Diritto e fantascienza: alcune riflessioni su

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Diritto e fantascienza: alcune riflessioni su
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Diritto e fantascienza: alcune riflessioni su
“Black Mirror”
venerdì 08 gennaio 2016
Di Martino Federico
Lo spunto per l’introduzione a questa mini-serie di fantascienza a sfondo “iper-reale”, prodotta
dalla BBC a partire dal 2010, mi è dato dalla postfazione di Jean Baudrillard all’edizione italiana
de “I simulacri” di Philp Dick (P. Dick, I simulacri, Roma 2005).
Il filosofo, riassumendo il suo pensiero in materia di fantascienza (già ampiamente espresso in
J. Beaudrillard, Simulacri e impostura, Milano, 2009) suddivide il genere in tre grandi filoni:
Utopia, corrispondente all’epoca pre-industriale. In questo periodo, in cui l’uomo vive in un
contesto ancora relativamente circoscritto, la letteratura di genere crea dei mondi a loro volta
circoscritti, sebbene alternativi e idealizzati.
Fantascienza propriamente detta, caratteristica dell’era industriale. Qui i mondi immaginati
dagli autori "sci-fi" sono una "proiezione smisurata, ma non qualitativamente differente, del
mondo della produzione".
Tipici di questo filone sono i viaggi spaziali, riflesso di un’epoca in cui la Terra non era ancora
stata “mappata” centimetro per centimetro e le grandi costruzioni meccaniche e energetiche
(astronavi, robot), ancora inesistenti, ma comunque proiezioni delle meccanica e in generale
delle tecnologie industriali.
A questi due filoni “storici”, l’autore fa seguire quello corrispondente all’epoca attuale, in cui il
simulato, la fiction, è diventato la realtà stessa, o, per usare le parole dell’autore, la finzione
ha superato la realtà.
Nell’era dell’informazione, non esiste più un concetto di realtà, ma esiste solo il simulato, quello
che i mezzi di comunicazione ci raccontano.
È questa la fantascienza che ci descrive un mondo appunto “iper-reale”, che si è “rinchiuso
mondializzandosi”, portando a una condivisione sempre più pervasiva dei mercati, dei valori e
dei modelli.
In tale contesto, la letteratura non può più inventarsi mondi alternativi, in quanto viviamo già in
un mondo simulato, il mondo appunto dell’informazione.
Black Mirror, almeno nei suoi episodi più ispirati (uno avente ad oggetto specificamente
l’amministrazione della giustizia), sembra inserirsi in quest’ultimo filone.
Ogni episodio della serie racconta di un mondo credibile, nel quale possiamo tranquillamente
riconoscerci. In ognuno di questi mondi, però, a causa dell’utilizzo distorto di una
tecnologia di tipo “informativo”, qualcosa è andato terribilmente storto.
Nel primo episodio della prima serie, un importante uomo politico è ricattato e richiesto di
compiere degli atti altamente umilianti, a sfondo sessuale, che inevitabilmente finiranno nei
principali siti di video hosting.
Nel secondo episodio, il protagonista vive in una società interamente basata sul fitness. L’unico
modo per far parte della “classe media” è quello di mantenersi in forma tramite l’utilizzo della
cyclette. Tutti coloro che non riescono a mantenere un certo peso forma finiscono
inevitabilmente nella classe più bassa, quella deputata a “lavorare”. L’uso della cyclette è
anche l’unico modo per guadagnare soldi. In questo mondo distopico il denaro non serve solo
a soddisfare i bisogni comuni, ma anche, ad esempio, ad evitare che dalle mura della propria
abitazione fuoriescano degli spot pubblicitari. L’unico modo per salire di grado in questa
società è quello di entrare nella classe elevata, ovvero coloro che stanno dall’altra parte dello
schermo. Molto originale è l’evoluzione del tentativo di ribellione a questo sistema del
protagonista, con un finale assolutamente straniante.
Nel terzo e ultimo episodio della prima stagione, ogni persona è dotata di una tecnologia in
grado di registrare tutto ciò che gli occhi vedono. Molto suggestive sono alcune scene del film
che descrivono alcuni possibili utilizzi di tale tecnologia, come ad esempio il poliziotto che,
all’ingresso dell’aeroporto, chiede al protagonista di mostrare l’ultima settimana di “registrato”
della sua vita. Evidente risulta la riflessione in tema di privacy derivante dall’utilizzo pervasivo di
tecnologie di registrazione.
Nel primo episodio della seconda serie, la protagonista si confronta con un software in grado di
reperire la vita digitale di una persona recentemente scomparsa per poi replicarne i
comportamenti. Inizialmente il software si compone esclusivamente di un’intelligenza artificiale
in grado di rispondere in modo credibile a degli sms, ma nel corso dell’episodio il programma si
evolve…
Il secondo episodio è quello avente ad oggetto l’amministrazione della giustizia; vista la
struttura, è impossibile raccontarne la trama senza svelare il finale. La protagonista, ad ogni
modo, si ritrova involontariamente all’interno di una sorta di reality show a sfondo
“penitenziario”. Vengono così sottolineati, in chiave allegorica, gli aspetti “spettacolari” della
giustizia, tipici della cultura odierna, al punto che l’effettiva colpevolezza stessa della
protagonista risulta passare in secondo piano.
L’ultimo episodio è invece dedicato alla politica e, in particolare, alla fase della campagna
elettorale. Dei politici in carne e ossa, ritratti in modo tutt’altro che lusinghiero, si troveranno a
dover concorrere con uno sboccato orsetto virtuale, interpretato da un comico fallito.
Nonostante sia chiaro a tutti chi sia a controllare il personaggio virtuale, Waldo (questo il nome
dell’orso) riuscirà a candidarsi alle elezioni e a ottenere un ampio numero di consensi. È
impossibile non leggere, in questo episodio, una satira alla politica attuale, sempre più
sbilanciata sul lato della forma che sullo quello dei contenuti.
Ciò che rende questa mini-serie degna di essere vista è, a parere di chi scrive, la capacità di
immedesimazione che ogni episodio riesce a ingenerare nel protagonista.
Tutte le tecnologie “fantascientifiche” descritte, infatti, sono in realtà applicazioni tecnologiche
già esistenti o comunque in via avanzata di sviluppo (a breve, ad esempio, verranno introdotti
degli occhiali con tecnologia di realtà aumentata); ciò, insieme alla totale mancanza di lieto fine
in quasi tutti gli episodi, induce lo spettatore a una riflessione sulla deriva sociale che l’utilizzo
acritico della tecnologia può comportare.
Molto interessanti risultano, poi, per il giurista, i rilievi critici in tema di privacy, libertà di
espressione e amministrazione della giustizia.
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