moleskine - Squarespace

Transcript

moleskine - Squarespace
w
w
.i
l
ri
ISSN 2035-0724
w
b
e
e
ll
om
.c
Poste It. Spa. Sped. in abb. post. DL 353/03 (conv. in L n° 46 27/02/2004) art.1 comma1 aut.171/2008 Rm.
Anno 5 - numero 43 - Aprile 2012
Mensile
Anno 5, Numero 43
Fondatore
Massimo Fini
Direttore responsabile
Valerio Lo Monaco
Lo Monaco:
ARRIVA - RAPIDO - L’EFFETTO DOMINO
Fini:
REAZIONI DI APRILE
Zamboni:
IL CASINÒ DEL FOREX
Obama:
QUATTRO ANNI DI RETROMARCIA
Lega:
IL BLUFF È STATO SCOPERTO
I N Q U E STO N U M E RO
E D I TO R I A L E
ANALISI
MOLESKINE
LA VERSIONE Barack Obama
di Fini 04/2012
No, he could not
di Massimo Fini
C
on la decadenza della Lega, con
i fatti di Bossi, cade definitivamente il sistema dei partiti...
di Davide Stasi
ramai ci siamo: i repubblicani sono
vicini a fare la loro scelta sul candidato che li rappresenterà nella
sfida contro il presidente democratico
uscente. E quest’ultimo, Barack Obam...
O
E D I TO R I A L E
M E TA PA R L A M E N T O
Effetto
Il bluff
Domino
di Valerio Lo Monaco
S
di Alessio Mannino
“U
n bluff: questo si è rivelata
essere la Lega Nord. Un
movimento sano, popolare,
con l’indiscutibile merito di aver dato...
E D I TO R I A L E
ANALISI
Forex?
Per una storia
di Federico Zamboni
L
o Stato ha le lotterie, per abbindolare la gente in cerca di facili guadagni. E con l’andare degli anni ha
intensificato massicciamente l’offerta,...
Anno 5, numero 43,
aprile 2012
Fondatore:
Massimo Fini
Direttore Responsabile:
Valerio Lo Monaco
([email protected])
Capo Redattore:
Federico Zamboni
Redazione:
Ferdinando Menconi
Art director:
Alessio Di Mauro
Intervista
Matteo Simonetti
di Fiorenza Licitra
L
a Sua opera riporta testualmente passi tratti da fonti ebraiche
dimostrazione che i “pregiudizi
antisemiti” trovano piena...
della Lega
e è vero, come sostiene Massimo Fini
da tempo, che il sistema del denaro
crollerà attraverso il denaro, e se è
vero che...
Il rischio è tutto vostro
I N T E R V I S TA
della Massoneria
di Umberto Bianchi
M
assoneria. Un termine che
evoca, in chi lo pronuncia, una
molteplicità di sensazioni, tutte
però accomunate da un unico...
Hanno collaborato
a questo numero:
Alessio Mannino, Davide Stasi, Fiorenza
Licitra, Umberto Bianchi, Andrea Bertaglio
Progetto Grafico:
Antal Nagy, Mauro Tancredi
La Voce del Ribelle è un mensile della
MaxAngelo S.r.l. Via Trionfale 8489, 00135
Roma, P.Iva 06061431000
Redazione: Via Trionfale 6415, 00136 Roma,
tel. 06/92938215,
fax 06/99369806,
email: [email protected]
Testata registrata presso il Tribunale di
Roma, n°316 del 18 Settembre 2008 -
CINEMA
Il primo
ribelle “moderno”
di Ferdinando Menconi
“È
mia opinione che a tempo
debito la Storia riconoscerà la
grandezza di Michael Collins. E
questo avverrà a mie spese"...
Rinnova
il tuo
Abbonamento
Sostieni
il Ribelle
Prezzo di una copia: 5 euro.
Sito internet www.ilribelle.com
Email: [email protected]
www: http://www.ilribelle.com
Tutti i materiali inviati
alla redazione, senza precedente
accordo, non vengono restituiti.
Chiuso in redazione il 18/04/2012
I N T E R V I S TA
LA VERSIONE
di Fini
aprile 2012
C
on la decadenza della Lega, con i fatti di Bossi, cade definitivamente il sistema dei partiti e in senso lato il discorso
della finta democrazia che abbiamo nel nostro paese. Ce
ne accorgiamo ogni momento. Adesso i presidenti della Camere hanno
detto che faranno una riforma del sistema di finanziamento pubblico ai partiti. Il che è ridicolo: gli italiani si erano già espressi in tal senso, e li avevano
annullati. Ma i partiti, all'epoca, nottetempo, avevano cambiato la legge e in
pratica se li erano assegnati di nuovo. Insomma gli è bastato cambiare le
parole per tornare alla situazione di prima, e anche peggio, noncuranti di
quello che avevano deciso gli italiani.
Se vuoi è, mutadis mutandis, la storia dell'articolo 11 della Costituzione, quello sulla guerra: non la chiami più guerra e allora nonostante l'Italia ripudia la
guerra si va in guerra lo stesso. A questo punto, con questo criterio, potrebbero sovvertire qualsiasi risultato referendario. Anche il nucleare: lo chiamano
in qualsiasi altro modo e fanno ciò che gli pare.
Il futuro della Lega?
In quanto tale dubito che abbia molto futuro. Ciò che rimane valido della
Lega delle origini è il concetto di identità, perché siccome l'utopia di Voltaire,
dell'illuminismo, è fallita - "uomo cittadino del mondo" - il concetto di avere
una identità e delle radici rimane valido e sarà motivo di scontro per il futuro. Naturalmente, ciò che i leghisti non hanno mai capito, è che l'affermazione sacrosanta dell'identità passa per il rispetto di quella altrui altrimenti
diventa violenza e prepotenza.
L'idea portante della Lega comunque è ancora valida, sia chiaro, nonostante la parabola malinconica e grottesca di questi giorni.
LA VOCE DEL RIBELLE
IL RIBELLE.COM
Maroni?
È l'uomo giusto, perché non si è mai compromesso con il denaro, perché
tutto sommato anche come ministro ha funzionato bene e quindi è l'unico
uomo presentabile. Non sono certo altri, come Calderoli o compagnia bella
a poterlo sostituire.
Che la Lega vada avanti, però, interessa fino a un certo punto, perché quello che ci interessa è smantellare questo sistema. Ci sono anche uomini, non
solo nella Lega ma anche da altre parti, che sono persone perbene, ma il
sistema rimane quello.
La colpa è di chi li vota?
Vero, ma solo in parte. Noi siamo costretti ogni cinque anni ad andare a legittimare qualcuno che ci comandi dove in realtà non esiste una alternativa,
perché in questo senso uno vale l'altro. La colpa è andare a votare, in senso
generale.
Ma il percorso normale, associarsi intorno alle idee, fondare un partito e
poi presentarsi alle elezioni...
In questo caso si fa la fine della Lega. Grillo se entra dentro questa cosa non
può pensare di rimanere estraneo a quelle logiche lì. Le logiche della partitocrazia non sono sfrondabili, tanto è vero che tutti i gruppi che ci hanno provato non ci sono riusciti. Gli unici sono stati i Radicali, soprattutto quelli di un
tempo ma in un certo senso anche quelli di oggi, però rimanendo sempre
marginali.
Pannella und Bonino una volta difendevano i diritti civili, oggi difendono
l'America, il suo modello di sviluppo, dunque è cambiato qualcosa. Dai diritti civili a difendere il tipo di economia capitalista ce ne passa. È cosa che
non può andar bene, ma all'interno del loro pensiero sono rimasti coerenti e
non mi pare ci sia stato un solo Radicale trovato con le mani in pasta.
Endorsement?
Cosa vuol dire? Ma non scherziamo: astensione, assolutamente. Coma facciamo da tempo sul giornale e con il Movimento: Zero Voto. Perché se vai a
votare li legittimi.
Infatti L'unica cosa che stanno facendo è la legge elettorale...
Ed è l'ennesima truffa. L'unico modo, e non è detto che sia così romantico e
utopico come poteva sembrare tempo fa, è puntare a un alto astensionismo.
Perché all'ultima elezione amministrativa non ha votato il 40% degli aventi
diritto (il 38 non è andato proprio e poi c'è stato un altro 2% di schede nulle
o bianche). Ebbene, se l'astensionismo aumenta ancora di un 20%, se non
altro è un segnale molto chiaro.
È vero che il sistema è organizzato in modo tale che se anche votano in due
è lo stesso, formalmente, però a un certo punto li vai a prendere tutti e due e
li mandi a lavorare in un campo di lavoro. E anche se sono il 20, il 25 o il 30 %.
E questo è interessante. I partiti hanno perduto finalmente. E ce ne è voluto,
ci sono voluti quasi quaranta anni perché le persone capissero, ma una
cosa era allora lo spartiacque ideologico, comunismo e mondo libero, e
tutto il baraccone poteva avere un senso, potevi anche avere gente che
entrava in politica per degli ideali, ma ora è totalmente escluso, ed è escluso che tu votando uno o l'altro cambi qualcosa.
Perché marcio non è l'uno o l'altro, marcio è l'uno e l'altro.
LA VOCE DEL RIBELLE
IL RIBELLE.COM
Il sistema dei partiti finisce, dunque, ma lo scenario è peggiore, perché
arrivano i tecnici, gli uomini delle Banche.
In Turchia dove c'era una situazione analoga, corruzione totale dei partiti,
clientelismo, corruzione, tangenti, insomma come noi, c'è stata una cosa
interessante. Il generale Evren prese il potere, cancellò tutto e disse che una
volta sistemate le cose avrebbe reso tutto al popolo. Cosa che fece. Solo che
noi abbiamo dei generali felloni, cagasotto, che dovrebbero essere mandati in Afghanistan a combattere per imparare qualcosa.
Ma insomma si deve azzerare tutto e ricominciare da capo, non possiamo
pensare che Fini, Schifani, Napolitano e gente del genere che ha vissuto tutta
la vita nel sistema partitocratico possa riformare il sistema partitocratico: è
come tagliarsi i coglioni, non glielo puoi neanche chiedere. O c'è una fortissima spinta dal basso che deriva soprattutto dalla situazione economica, il
che è probabile, e allora cambiano tutte le carte in tavola, o non cambierà
niente.
Dobbiamo puntare sull'astensionismo e sulla crisi economica in quanto
potenziale grilletto per far scattare una vera rivoluzione. Capisco che è duro
dire che è bene che la situazione economica si deteriori, ma questo è, sennò
non cambierà mai nulla.
LA VOCE DEL RIBELLE
IL RIBELLE.COM
E D I TO R I A L E
Effetto
Domino
S
di Valerio Lo Monaco
e è vero, come sostiene Massimo Fini da tempo, che il sistema
del denaro crollerà attraverso il denaro, e se è vero che anche
un intellettuale come Alain de Benoist, il quale si cimenta da
sempre con la metapolitica - dunque con le idee e non direttamente con gli
aspetti meramente pratici, di cui sono pure diretta conseguenza - sostiene
che siamo Sull'Orlo del Baratro (questo il titolo del suo ultimissimo libro pubblicato da Arianna Editrice) in merito alla attuale situazione economica, ciò
che oggi va compreso a fondo e ficcato in testa anche a martellate sono
due cose. La prima: in quel baratro il nostro sistema non può che finire poiché chi ne continua a proporre i dogmi, o detto altrimenti i centri di potere
che di fatto lo promuovono e lo sostengono, o meglio impongono a tutti noi
di sostenerlo, non ha cambiato direzione. La seconda: siccome non ci siamo
ancora, nel baratro, ma appunto siamo "sull'orlo", resta da affrontare le conseguenze che tale situazione impone.
È in altre parole ormai certo, lo è certamente per noi e per chi ci segue da
tempo, che "il fallimento annunciato del sistema del denaro", per usare
ancora parole del saggista francese, non è cosa che può avvenire da un
giorno all'altro. Non è cosa che può accadere senza un profondo e totale
stravolgimento di tutte le coordinate esistenziali nelle quali almeno la nostra
generazione, quelle che ci hanno immediatamente preceduto, e quelle che
si affacciano all'età della ragione in questo momento, hanno vissuto e vivono. Ciò non toglie anche che, e questo è il punto, il tempo che stiamo passando e passeremo sul baratro non possa essere che peggiore rispetto a
quello in cui si marciava fieri e ignari (almeno i più) verso tale baratro e peggiore certamente di quello che ci sarà quando, per un sentiero impervio
quanto si vuole, e certamente conducente a una destinazione differente da
quella di partenza, da questo baratro, o prima o poi, ne usciremo.
È fuori di dubbio, però, che al momento siamo bloccati e braccati. "Il nostro
LA VOCE DEL RIBELLE
IL RIBELLE.COM
futuro ci ha raggiunto alle spalle" (e questa volta è Fini che parla) diverso
tempo addietro, e la velocità esponenziale con la quale siamo andati avanti sino a questo momento ci ha di fatto spinto sempre di più proprio sull'orlo
del precipizio sul quale siamo. Invece di saltare giù, affrontare l'ignoto, ovvero il guado, siamo ora voltati verso il sistema stesso, che avanza verso di noi
e ci preme proprio su quell'orlo. E ne stiamo vivendo le conseguenze.
Il momento di transizione è inevitabile, e come per tutti i sistemi, economici o
meno, o comunque esistenziali, che sono fortemente interconnessi tra loro,
un cambiamento di un aspetto non può che ripercuotersi su altri aspetti, che
a loro volta imprimono cambiamenti in altri e così di seguito.
Posto che la direzione che si è presa per uscire dalla crisi non è, non è mai
stata, quella di risolvere i problemi stessi che a tale crisi hanno portato, e verificato che i punti cardinali dell'errore intrinseco di questo modo di vivere
sono rimasti immutati, la prima cosa evidente è che la crisi non potrà che
acuirsi sino al momento in cui non vi sarà un atto tanto grande da rompere
definitivamente il vaso.
Sentire oggi delle previsioni del presidente del Consiglio italiano, così come
del massimo esponente del Fondo Monetario Internazionale, in merito a
quando, ad esempio, in Italia vi sarà una inversione di tendenza rispetto alla
recessione della quale sentiamo appena le avvisaglie, è ridicolo. Monti,
Draghi, Lagarde & soci non possono fare altro che stime, per poi correggersi, per evitare che a livello mondiale vi sia in modo netto la presa di coscienza generale che siamo agli ultimi giorni di Saigon. Perché una presa di
coscienza di questo tipo sarebbe, da sola, in grado di portare sconvolgimenti civili e sociali enormi.Tanto grandi, per intendersi, da impedire, sempre a lor
signori, di portare avanti il più possibile la situazione pur disastrosa e ineluttabile nella quale loro, invece, possono continuare a vivere né più né meno
come hanno sempre fatto cercando peraltro di accaparrarsi fette ancora
crescenti di ricchezza e sicurezza per il momento in cui il futuro nero avvolgerà l'intero pianeta. Essi sperano che a quel punto avranno messo da parte
il necessario per vivere ancora nell'opulenza mentre tutti gli altri saranno
impegnati in una lotta di sopravvivenza all'ultimo sangue. Dunque più tirano
per le lunghe il tutto e meglio è, per loro. In merito agli altri, cioè a noi, la situazione è invece diversa.
Quello che sta accadendo, da una parte, è esattamente questo: a pagare i
sacrifici della situazione sono i popoli, mentre nelle stanze dei bottoni, e a
piramide chi a tali stanze e bottoni è variamente collegato, di fatto non sta
subendo più di tanto le conseguenze dalla situazione. A pagare maggiori
tasse è la parte più povera del pianeta, a suicidarsi sono i piccoli imprenditori, a vivere con molto meno sono i più. Non si sente mai di un broker o un
direttore di Banca, o di un esponente di una multinazionale, che si suicida, o
che protesta per una situazione che non gradisce. Semplicemente, questi,
sono ben distanti da quello che tutti gli altri stanno vivendo.
E questo da una parte.
L'altro aspetto è che tutti gli altri che già stanno subendo, o presto subiranno, il più classico degli effetti domino - del quale pure, su queste pagine, scrivemmo già anni addietro - hanno iniziato da poco, iniziano oggi o inizieranno presto, a doversi confrontare con gli effetti che un crollo da una parte
comporterà nelle altre e così a ripetersi per tutti gli aspetti collegati di un
medesimo meccanismo. Nel frattempo, appunto, sul baratro, si continuano a
pagare le conseguenze.
LA VOCE DEL RIBELLE
IL RIBELLE.COM
Per fare il caso del nostro Paese, che da solo non conta nulla in un discorso
mondiale ma che può essere preso come esempio paradigmatico generale, noi abbiamo già subito una serie di misure imponenti che hanno ipotecato il nostro futuro e ci hanno infilato direttamente nella recessione economica nella quale siamo. Solo nelle poche ore in cui scriviamo questo articolo
ci sono stati diversi suicidi tra piccoli imprenditori, sono state chieste, dalle
aziende, centinaia di migliaia di ulteriori ore di cassa integrazione, una azienda di un conosciutissimo alcolico ha chiuso i battenti in Italia e sta delocalizzando altrove, una casa costruttrice storica di motociclette è stata ceduta
a un gruppo tedesco, abbiamo perso la sovranità sui conti economici del
nostro paese perché la maggioranza della politica ha votato, tenendo di
fatto all'oscuro gli italiani, sul cambiamento della Costituzione che da oggi
impone il pareggio di bilancio e il controllo a livello europeo di come spendiamo i soldi e si sta intensificando il passaggio verso Eurogendfor, ovvero la
polizia europea che avrà ovviamente il compito di tenere, per quanto possibile, controllate le masse crescenti di cittadini furiosi.
Sono pochi esempi raccolti rapidamente. In altre parole, la situazione sta
risolutamente peggiorando. Sia dal punto di vista politico che macroeconomico, sia dal punto di vista locale sia da quello personale, ogni pedina si
muove in una direzione che è segnata.
L'effetto domino colpirà sempre più velocemente. I cassa integrati di oggi difficilmente saranno reintegrati in azienda a fine previdenza. Chi non ha un
lavoro difficilmente ne troverà a condizioni minimamente accettabili, e chi ha
un po' di ricchezza da parte sarà costretto a utilizzarla per sopperire alle
mancanze di una situazione fatalmente peggiorata.
Sentire Monti che dichiara che in Italia ci sarà una ripresa dal 2013 fa armare la mano sia nei suoi confronti sia nei confronti di chi ha raccolto tale
dichiarazione e la ha riportata al pubblico senza farsi spiegare su quali basi
tale dichiarazione poggi.
Perché se la recessione attuale non può che peggiorare, e se un peggioramento della situazione non può che condurre a ulteriore recessione, non vi
è un solo punto che sia uno, sia a livello macro (anche la Cina sta rallentando, il che è tutto dire) sia micro (basta vedere la situazione nelle nostre città
e nelle nostre province, il numero delle aziende che falliscono) che possa far
presumere anche lontanamente una situazione del genere.
È inutile, in altre parole, sperare di "vedere la luce alla fine del tunnel", come
ci ha scritto recentemente una nostra lettrice da tanti anni, se la luce che si
cerca vuole essere trovata tra i bagliori artificiali di quel mondo in decadenza che era e di cui stiamo vivendo gli ultimi scampoli. La luce, semmai, va
cercata in nuove direzioni. O, visto che siamo letteralmente al buio, si deve
cercare almeno di rimanere lucidi per individuare, quando sarà, un sentiero
del tutto nuovo da iniziare a percorrere pur non conoscendone la fine.
È inutile - tra noi dobbiamo pur dircelo chiaramente - rimanere attaccati a
una speranza, quella che ci propongono i vari Monti & Co., di tornare dopo
"grandi sacrifici" a vivere come vivevamo venti anni o anche solo dieci anni
addietro. Quel mondo è irrimediabilmente compromesso e diretto rapidamente verso la capitolazione. Ma la sfortuna che subiamo non è tanto in
questo, ovvero nel fatto che quel modello di sviluppo sia arrivato alla fine
come era giusto e sperabile che fosse, quanto nel fatto che viviamo, e subiamo, la transizione. Niente paura: l'uomo ce l'ha sempre fatta a continuare la
sua storia. Ce la faremo anche noi.
Valerio Lo Monaco
LA VOCE DEL RIBELLE
IL RIBELLE.COM
E D I TO R I A L E
Forex?
Il rischio è tutto vostro
L
di Federico Zamboni
o Stato ha le lotterie, per abbindolare la gente in cerca di facili guadagni. E con l’andare degli anni ha intensificato massicciamente l’offerta, aggiungendo sempre nuovi prodotti in
grado di lusingare le speranze in una vincita che, quand’anche non così
cospicua da consentire di smettere di lavorare e di vivere di rendita, permetta almeno di togliersi qualche sfizio più o meno costoso. Un’automobile di
grossa cilindrata, una vacanza esotica, magari un ritocchino estetico sotto i
ferri del chirurgo, e via sperperando nel segno di un benessere materiale
superiore ai propri mezzi abituali.
Le imprese private non vedevano l’ora di sfruttare anch’esse la situazione,
volgendo a proprio vantaggio l’insidiosissimo miscuglio di crescente povertà e di smanie consumistiche.
Lo Stato ha spianato loro la strada: un po’ autorizzando espressamente,
come nel caso delle scommesse, delle slot-machine, del bingo e dell’ormai
dilagante poker all’americana, e un po’ lasciando fare, senza intervenire su
attività commerciali a dir poco equivoche. Le quali sono altrettanto ciniche,
nel fare leva sulla credulità diffusa, ma forse sono ancora più subdole. Perché
nascondono la loro natura effettiva, che è assimilabile a quella dei giochi
d’azzardo, dietro la patina superficiale dell’investimento finanziario: che pur
essendo intrinsecamente aleatorio, per le sue ambizioni speculative, si presenta però in una luce diversa e più qualificata.
Al posto dei casinò, veri o virtuali, ecco i mercati planetari delle valute e dei
titoli. Al posto delle legioni di sprovveduti che si affidano solo alla buona
sorte, ecco un’ipotetica élite di sagacissimi operatori che studiano accuratamente le proprie mosse. Il superenalotto e il “gratta e vinci” sono per gli
sciocchi.Wall Street, e affini, sono per i furbi. E siccome molti si sentono furbi…
Basta poco. Che ce vo’?
All’origine Forex è solo una sigla, che sta per “Foreign Exchange Market” e
indica la compravendita di valute. Come riporta una guida specializzata, diffusa da una delle società di intermediazione di cui parleremo più avanti, il
Forex «è senza dubbio il più grande mercato del mondo come valore delle
transazioni effettuate giornalmente. Si stima, infatti, che ogni giorno nel merLA VOCE DEL RIBELLE
IL RIBELLE.COM
cato del Forex vengano scambiati quasi 2.000 miliardi di dollari». Un enorme
flusso di denaro che si articola su un’infinità di transazioni, grandi e piccole,
e che è il contesto ideale per chi vuole lucrare sugli scambi. Poiché le quotazioni reciproche sono in perenne mutamento, ancor più delle azioni e
obbligazioni che si scambiano in Borsa, le opportunità di profitto sono incessanti e si può guadagnare sia sugli spostamenti all’insù, sia su quelli all’ingiù. A patto, naturalmente, di essere così abili (o così fortunati) da prevedere la direzione che prevarrà di volta in volta.
Nata come pratica riservata ai grandi operatori soprattutto bancari o comunque ai professionisti del campo, ovvero a chi dispone sia di una robusta competenza che delle informazioni necessarie a monitorare le mutevoli tendenze
al rialzo o al ribasso, si è poi deciso di aprirla anche ai piccoli investitori, nel
ben noto presupposto che essi sono destinati, nel loro insieme, a rimetterci ben
più di quanto guadagneranno. Per dirla nel gergo borsistico,“il parco buoi”.
La sigla tecnica ha così finito con l’assumere un significato assai più ampio,
e suggestivo. Oggi Forex è una specie di marchio commerciale, anche se
non appartiene in esclusiva a nessuna società e connota un intero settore.
Le pubblicità delle singole aziende replicano all’incirca lo stesso cliché, ma
concentriamoci su quella della Anyoption che compare spesso, tra l’altro, sul
sito del Corriere della Sera. Innanzitutto c’è la foto di un uomo che guarda
dritto nell’obiettivo e ha l’aria soddisfatta del gatto che ha mangiato il topo.
Anzi, che ha trovato una riserva illimitata di topi da sgranocchiare a piacimento, soddisfacendo al tempo stesso la propria fame e il proprio ego. La
voracità materiale e quella psicologica.
Alla faccia si accompagnano alcune frasi, brevi e attraenti. Concise per arrivare dritti al punto (il guadagno rapido e cospicuo) e per apparire indiscutibili. Attraenti (se no che pubblicità sarebbe?) per accendere il desiderio di
saperne di più. In calce al discorsetto-show, sulla sinistra, compare un fulmineo identikit del campioncino di turno. E infine, sulla destra, un pulsante con
la scritta, quanto mai ingannevole, «leggi l’articolo».
Primo esempio: Faccio € 1000 in pochi minuti senza alzarmi dalla sedia. Mi
piace l’azione rapida e prendere decisioni strategiche, quindi ho deciso di
investire con destrezza con diverse somme di denaro. Oggi scelgo le opzioni
che offrono profitti di quasi mille euro al minuto.
Giuseppe, 34, pilota.
Secondo esempio: Come sono riuscito a raddoppiare il mio stipendio? Non
ero soddisfatto del mio stipendio mensile, quindi ho deciso di aprire un conto
con anyoption. Ho iniziato con una piccola somma che è cresciuta rapidamente raggiungendo € 6.000 di entrate extra al mese!
Luca, 35, Direttore Marketing.
Terzo esempio: Guadagno € 7.000 extra al mese! Un collega mi ha raccontato di anyoption e ho deciso di provarci. Essendo un amante dell'azione e
del successo, sapevo che sarei stato bravo. Ho iniziato con dei trade saggi e
ho cominciato a vedere dei conspicui profitti. Mi piace essere concentrato e
prendere decisioni rapide che possono fruttare fino al 70% su ciascun investimento. E la parte migliore, è che non ci vuole alcuna esperienza precedente in finanza - chiunque ce la può fare.
Raffaele, 49, Chirurgo.
Poi si clicca sul fatidico invito a leggere “l’articolo” e ci si ritrova dentro la
homepage del gestore del servizio. La soglia del paradiso, a prima vista.
L’anticamera dell’inferno, per chi sarà così sciocco da sottovalutare le difficoltà che lo attendono. O da sopravvalutare sé stesso e le proprie capacità
di venirne a capo.
LA VOCE DEL RIBELLE
IL RIBELLE.COM
Benvenuti, amici. Benvenuti
L’incipit è un po’ perentorio e un po’ cordiale, come si conviene agli ultimi
arrivati che ambiscono a inserirsi in un gruppo altamente selezionato. Metà
invito e metà monito: «Ora tocca a te!». Il prosieguo mira a rafforzare le attrattive implicite e a ribadire la straordinaria possibilità di concretizzarle: «Hai
sempre sognato di guadagnare delle entrate extra in maniera immediata?
Vuoi imparare come si guadagnano un po' di soldi in più per andare in
vacanza o per fare shopping? Ecco come si fa: anyoption, un leader mondiale pionieristico nelle opzioni binarie, ti invita ad entrare nell'arena finanziaria. Con AnyOption puoi ottenere un profitto del 70% in meno di un'ora in
qualunque situazione del mercato, sia in rialzo che in ribasso (il grassetto è
nel testo – NdR).»
Un inno alla facilità di profitto, che del resto riecheggia anche nel motto
aziendale “Anyone can trade”. Perciò, dal momento che “ognuno può fare
trading”, va da sé che coloro i quali non si cimenteranno siano per definizione dei poveretti al di sotto della norma. Per trovare un primo accenno ai pericoli, viceversa, bisogna aguzzare la vista e cogliere quanto riportato in fondo
alla pagina, in caratteri assai più piccoli degli altri: «Avviso importante sui
rischi: il trading di opzioni coinvolge rischi significativi. Consigliamo vivamente di leggere attentamente tutti i nostri termini e condizioni prima di fare un
investimento». Eccetera eccetera, fino al conclusivo «i clienti devono essere
consapevoli delle proprie responsabilità fiscali in materia di rendite finanziarie nel proprio paese di residenza».
Quali siano queste “responsabilità fiscali” lo spiega la guida che abbiamo
già citato prima, e che viene gentilmente fornita da Mondoforex.com: «La
prima cosa da sapere è che in Italia le valute acquistate con il Forex sono
tassate e tassabili solo se mantenute per almeno 7 giorni lavorativi e se l'importo supera le vecchie 100 milioni di lire. Se quindi volete fare Forex per
divertimento o per provare, andate pure tranquilli».
Tranquilli? Sul piano fiscale forse sì. Ma molto meno sugli altri. Quando si
giunge alla questione dei rischi, infatti, il testo si sofferma solo su quelli oggettivi e sorvola sull’altro aspetto fondamentale, che è la preparazione personale di chi quei tranelli dovrà affrontarli.
L’unico avvertimento – stemperato quanto basta a ridurlo ad avvertenza en
passant, e formulato in modo tale da caldeggiare l’utilità del supporto che
verrà assicurato ai clienti – lo si ritrova nella prefazione: «Il nostro consiglio è
quello di non fare mai le cose di fretta e di ragionare il più possibile. Studiate,
restate sempre informati su quello che accade nel mondo (perché, come
leggerete in seguito, gli andamenti del mercato del Forex sono influenzati da
tantissime variabili) e, soprattutto, non investite mai nel Forex del denaro che
vi è strettamente necessario (come quello che vi serve per pagare una rata
del mutuo, ad esempio)».
Grandiose suggestioni e modesti richiami alla cautela. Un accorto dosaggio
di lusinghe da imbonitori, che incendieranno la cupidigia, e di precisazioni a
margine, che resteranno pressoché ignorate. Il tipico “doppio binario” delle
pubblicità che riguardano prodotti o servizi con talune, eventuali, spiacevoli
controindicazioni: i vantaggi si magnificano ad alta voce e riempiono la
quasi totalità dello spazio (dello spot); gli svantaggi si relegano in un accenno sistemato in coda, che si consuma in un attimo e che tende a passare
inosservato. Uno stringato post scriptum da dimenticare un istante dopo
averlo ascoltato.
LA VOCE DEL RIBELLE
IL RIBELLE.COM
Le autorità stanno a guardare
Che lo Stato non vada per il sottile, quando c’è da rimpinguare le casse pubbliche incentivando la tentazione popolare a ottenere vincite mirabolanti, lo
abbiamo già ricordato in apertura. Ed è cosa nota che per lavarsi le mani
dalle degenerazioni possibili, o probabili, ci si limiti a un fuggevole, e ipocrita, «gioca senza esagerare». Che è un po’ come portare i golosi in pasticceria e poi, mentre quelli hanno occhi solo per le montagne di dolci e l’unica
cosa che si chiedono è se abbiano in tasca abbastanza soldi per farne
incetta, sussurrare in un soffio «mangia senza abbuffarti”.
Ciò che però lascia ancora più perplessi è la totale indifferenza nei confronti di un fenomeno come quello che stiamo esaminando. Secondo l’articolo
2 del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale, pervenuto alla sua 53esima edizione in vigore dal 21 novembre 2011, la pubblicità
«deve evitare ogni dichiarazione o rappresentazione che sia tale da indurre
in errore i consumatori, anche per mezzo di omissioni, ambiguità o esagerazioni non palesemente iperboliche, specie per quanto riguarda le caratteristiche e gli effetti del prodotto, il prezzo, la gratuità, le condizioni di vendita, la
diffusione, l'identità delle persone rappresentate, i premi o riconoscimenti.
Nel valutare l'ingannevolezza della comunicazione commerciale si assume
come parametro il consumatore medio del gruppo di riferimento». Il Codice,
vale la pena di ricordare, «è vincolante per utenti, agenzie, consulenti di pubblicità e di marketing, gestori di veicoli pubblicitari di ogni tipo e per tutti
coloro che lo abbiano accettato direttamente o tramite la propria associazione, ovvero mediante la sottoscrizione di un contratto di cui al punto d),
finalizzato all'effettuazione di una comunicazione commerciale».
Ergo, non solo le aziende e le agenzie pubblicitarie ma anche i media che
ne ospitano le inserzioni. E dunque i quotidiani come il Corriere, che non battono ciglio né di fronte al messaggio nel suo insieme, né davanti al succitato «leggi l’articolo». Quanto allo Stato, e in particolare a quell’Autorità
Garante della Concorrenza e del Mercato, altrimenti nota come Antitrust,
alla quale «dal 2007 è stato affidato il compito di tutelare i consumatori (e
dal 2012 anche le microimprese) dalle pratiche commerciali scorrette delle
imprese e dalla pubblicità ingannevole», non risulta che sia stata presa alcuna iniziativa concernente la propaganda delle società, sempre più numerose, che danno la caccia ai nuovi adepti del Forex.
Eppure sembrerebbe una valutazione semplice, quella da fare. Come abbiamo appena visto, si tratta solo di verificare che venga evitata «ogni dichiarazione o rappresentazione che sia tale da indurre in errore i consumatori,
anche per mezzo di omissioni, ambiguità o esagerazioni non palesemente
iperboliche». Ma a quanto pare non è così, nei casi che abbiamo passato in
rassegna e negli altri che ne ricalchino le modalità. Evidentemente, è del
tutto normale strombazzare che c’è un Giuseppe, 34, pilota che fa «€ 1000 in
pochi minuti senza alzarmi dalla sedia», un Luca, 35, Direttore Marketing che
ha «iniziato con una piccola somma che è cresciuta rapidamente raggiungendo € 6.000 di entrate extra al mese!», e un Raffaele, 49, Chirurgo, che guadagna «7.000 extra al mese!».
Persone come tutti noi. Gente comune che ha avuto la fortuna di scoprire la
cuccagna del Forex e che ha avuto quel pizzico di coraggio che serve per
allungare la mano verso l’albero fatato e gravido di doni.
Suvvia: perché mai dubitarne? E perché mai non fare altrettanto?
Federico Zamboni
LA VOCE DEL RIBELLE
IL RIBELLE.COM
A n a l i s i
Barack Obama
No, he could not
O
di Davide Stasi
ramai ci siamo: i repubblicani sono vicini a fare la
loro scelta sul candidato che li rappresenterà nella
sfida contro il presidente democratico uscente. E
quest’ultimo, Barack Obama, ha alle spalle quattro anni di lavoro. Novembre,
mese in cui l’America sceglierà la propria guida per il prossimo quadriennio,
è alle porte, e ormai da mesi la politica a stelle e strisce è influenzata essenzialmente dall’imminenza della campagna presidenziale. Insomma è il
momento giusto per cercare di tracciare un bilancio dell’amministrazione
Obama.
Il punto migliore da cui partire sono le reazioni che si ebbero, nel novembre
2008, dopo la sua elezione. Una standing ovation nell’opinione pubblica globale, a cui i leader dei vari paesi diedero voce, seppure con diverse declinazioni. Dentro e fuori gli Stati Uniti ciò che colpì di più fu constatare che alla
Casa Bianca si era insediato un presidente non bianco. Nemmeno nero, in
realtà, ma i tratti vagamente afroamericani del nuovo uomo più potente del
mondo stupirono tutti. Uno stupore molto ben alimentato da un’informazione
che non mancò di mettere in luce la novità puramente etnica delle elezioni
presidenziali americane, insieme a tutto il portato di retorica ed emozionalità che Barack Obama mostrò fin dall’inizio di saper maneggiare con notevole perizia.A seguire, stupì la giovane età del presidente, connessa strettamente, nella comunicazione politica che lo sosteneva, all’ampio uso delle nuove
tecnologie durante la sua campagna elettorale. In breve si diffuse il mito che
Obama avesse raccolto denaro solo tramite le donazioni su internet, evitando le grandi lobby, e che si innervosisse se la sicurezza gli imponeva di rinunciare al suo Blackberry. Un uomo della modernità, insomma, un uomo nuovo.
Radicalmente nuovo rispetto agli abissi toccati con le presidenze di Bush jr.
L’immagine costruita attorno al presidente della speranza resse per un po’,
almeno fino all’attribuzione ad Obama del Nobel per la pace.Talmente tem-
LA VOCE DEL RIBELLE
IL RIBELLE.COM
pestivo da essere definito da qualche analista critico come “preventivo”, riecheggiando ironicamente la natura gli attacchi militari voluti da Bush in
Afghanistan e Iraq. Dopo il massimo riconoscimento internazionale, le attese
per la nuova amministrazione americana erano altissime. Trovarsi su una
vetta così alta, però, significa correre il rischio di ruzzolare giù con una caduta rovinosissima. Ed è quello che, di fatto, è accaduto ad Obama. È più che
legittimo quindi, di fronte a tante aspettative generiche, e di fronte a quelle
particolari del suo programma elettorale, ora che l’amministrazione dovrà
rinnovarsi, ripassare l’elenco del “fatto” e del “non fatto”, o del “fatto male”.
Servirà a capire quanto si sbagliava l’opinione pubblica mondiale a sperare in un cambiamento radicale sulla sola base del colore della pelle, della
giovane età o delle grandi parole. Servirà a capire il motivo per cui i leader
progressisti del resto del mondo hanno smesso in breve di citare il presidente americano come modello da seguire. Ma soprattutto servirà a spiegare
perché, dopo la strabordante vittoria del 2008, ora Obama sia preoccupato
dalle elezioni presidenziali, e dai sondaggi che gli attribuiscono un gradimento modesto, seppur sempre maggioritario.
Oltre che nero, il presidente americano venne subito considerato anche
verde. L’ecologia è stata un punto forte della sua retorica elettorale, ed era
ben presente nel suo programma. La chiave di tutto doveva essere la “green
economy”, come nuova opportunità di sviluppo. Verissimo sulla carta, ma le
migliori intenzioni, quand’anche fossero state sincere e non meramente strumentali ad acquisire il consenso elettorale degli ecologisti, si sono presto
schiantate sulla realtà dei fatti. Di cui fanno parte le potentissime lobby,
soprattutto nel comparto energetico, e l’imbattibile concorrenza cinese. Dal
primo versante, poco dopo l’elezione, Obama spiazzò tutti i suoi sostenitori
tirando drittissimo sul nucleare: gli stanziamenti e gli investimenti dell’era
Bush vennero tutti confermati, e nessun piano di superamento della fonte
energetica atomica è stato mai nemmeno vagamente abbozzato. L’unico
atto antinucleare dell’amministrazione è stata la croce sopra messa sul
deposito nazionale di scorie di Yucca Mountain, su cui gli USA lavoravano da
quarant’anni. Non si è trattato però di un atto strategico, bensì di un obbligo
derivato dai fatti: la catena montuosa del Nevada, dopo averci speso sopra
miliardi di dollari di soldi pubblici, è risultata inidonea e strutturalmente insufficiente ad accogliere in piena sicurezza i fusti di scorie radioattive. Non solo:
i costi e i rischi per trasportare i veleni dalle diverse centrali al sito di stoccaggio erano totalmente insostenibili. Insomma Obama non ha realizzato un
atto di volontà, ma si è conformato a un obbligo dei fatti, lasciando in sospeso l’aspetto più grave legato alla produzione di energia dal nucleare. Nel
frattempo al dirimpettaio giapponese esplodevano tre reattori, ma nemmeno questo ha fermato i programmi d’investimento americani. Sì, perché intanto la crisi ha travolto gli Stati Uniti, e il nucleare è da sempre la chimera perfetta per la creazione di posti di lavoro. E davanti ad essa il presidente si
piega, senza fiatare. Restando paralizzato, dall’altro versante, dal lato della
vera green economy, di fronte alla spietata concorrenza cinese nella produzione di pannelli solari, dove gli USA avevano discreti margini di competitività. Il mercato viene inondato di prodotti orientali efficienti e a basso costo. E
le imprese “green” a stelle e strisce cadono come mosche. Quanto al resto,
del colore verde nelle iniziative di Obama, a livello nazionale così come nei
consessi internazionali indetti per trovare risoluzione al riscaldamento globale, non rimane nulla. Se non forse il sempre predominante colore dei dollari.
LA VOCE DEL RIBELLE
IL RIBELLE.COM
Poi c’è la pace. La grande aspettativa per il nuovo presidente, fregiato a
tempo di record, senza ancora aver fatto praticamente nulla, del Nobel. La
speranza era dimenticare le guerre preventive di Bush con tutto ciò che
hanno portato. Ed ecco quindi la promessa di riportare i ragazzi a casa,
strappandoli da territori, l’Afghanistan e l’Iraq, che, non c’è verso, proprio non
riescono a vederli come liberatori e portatori di democrazia. Con le truppe in
smobilitazione, si sarebbe anche andati verso una nuova filosofia di pacificazione, con la chiusura di Guantanamo e un nuovo ordine nelle relazioni internazionali, improntato alla diplomazia più che alle armi. Niente da fare. Poco
dopo la sua elezione, Obama sostituisce la “guerra preventiva” con la “guerra giusta”, nuova definizione che inchioda i soldati americani là dove stanno da anni, e da cui continuano a tornare fasciati dalla bandiera a stelle e
strisce, in una bara. A parte un minimo disimpegno, realizzato dietro l’obbligo di sostituzione da parte di truppe europee (tra cui quelle italiane), la
guarnigione yankee rimane lì, a protezione dei soliti governi fantoccio e
soprattutto degli interessi americani. Che sono il petrolio, i tracciati dei
gasdotti ed oleodotti e, in subordine, la possibilità di creare nuove comunità
di consumatori inebetiti per la spazzatura prodotta in America. Quanto a
Guantanamo, la prigione è sempre lì. Solo un po’ meno affollata, dato che
Obama ha spedito alcuni dei prigionieri nelle prigioni dei paesi d’origine,
dopo essersi assicurato che il trattamento non sarebbe cambiato.
Sui processi di pace in generale, a livello mondiale, nulla è cambiato, se non
in peggio. In Medio-Oriente Israele continua ad essere comandato a bacchetta da Washington, e a servire gli interessi americani dell’area. Ma è
soprattutto nell’asse asiatico che Obama ha operato peggio nell’ottica
della pace futura. Lì l’obiettivo è la Cina, il competitore più pericoloso per
l’egemonia americana. E insieme ad essa la Russia, sempre troppo pericolosamente autonoma e orgogliosa sul piano internazionale. Date le ristrettezze
della crisi che hanno finito per coinvolgere anche il ricchissimo bilancio del
Pentagono, Washington è stata costretta ad “appaltare” la difesa, anzi l’attacco potenziale, ai paesi alleati, che sono stati costretti ad accogliere
impianti di difesa missilistica americani e a costruire di tasca propria infrastrutture militari potenzialmente utili agli USA. Questo è avvenuto inizialmente nell’arco che dai paesi dell’est-Europa arriva in India, passando per la
Turchia, con il palese intento di tenere sotto tiro la Russia. Con Obama, e tramite l’instancabile attività del Segretario di Stato Clinton, l’arco si è ampliato, comprendendo il sud-est asiatico, l’Australia, il Giappone, fino a convergere nella Corea del Sud (utile in questo senso rileggere gli approfondimenti e
riascoltare le interviste realizzate dal Ribelle sulla base militare prevista
nell’Isola di Jeju). Un arsenale straordinario è dunque puntato sulla Russia,
ma adesso anche sulla Cina, e basi militari sono sparse ovunque nei paesi
alleati, anzi proni, all’autorità imperiale americana, grazie alle “politiche di
pace” di Obama. Il tutto a costo zero per le casse pubbliche americane, e
con profitti per l’industria bellica a stelle e strisce. Non male, insomma, per un
Nobel per la pace.
Sul fronte interno c’erano grandi attese, proporzionali alle promesse elettorali, relativamente ai diritti civili, calpestati allegramente dalle amministrazioni
Bush, e alla sanità. Obama aveva assicurato che avrebbe abolito il Patriot
Act, la normativa di limitazione delle libertà personali, voluta da Bush all’indomani dell’11 settembre. Allo stesso modo aveva promesso che sarebbe
stato limitato il ricorso alle intercettazioni e al controllo delle comunicazioni
LA VOCE DEL RIBELLE
IL RIBELLE.COM
della cittadinanza. Niente da fare: il Patriot Act è stato riapprovato senza
colpo ferire, e sul capitolo intercettazioni l’amministrazione ha fatto peggio.
Oltre a riconfermarle, ha dato loro dignità di legge, fornendo per di più immunità alle compagnie che le effettuano. La tanto celebrata “land of freedom”,
già violentata da otto anni di amministrazione repubblicana, è e continua
ad essere una terra di libertà condizionata e vigilata.
La riforma sanitaria, poi, doveva essere il fiore all’occhiello dell’amministrazione Obama. L’obiettivo era riuscire là dove aveva fallito l’amministrazione di
Clinton: limitare fortemente lo strapotere delle compagnie assicurative, aprire l’accesso all’assistenza sanitaria alle classi meno abbienti, cancellare
tutte le storture e i condizionamenti delle compagnie farmaceutiche.
Insomma si profilava, sul suo programma elettorale, una riforma complessiva
di tutto il sistema anomalo che Michael Moore aveva impietosamente messo
alla berlina con il suo film “Sicko”. Su questo Obama era oggettivamente partito lancia in resta, come già il suo predecessore democratico, ma quando
la riforma è arrivata in Congresso, è stata annacquata fino a diventare irrilevante nel merito, mantenendo però nella forma il carattere, sempre essenziale nelle iniziative del presidente uscente, di grande ed efficace spot. Di fatto
il protocollo resta com’è, con il misero sistema “Medicaid” per i più poveri e
il sistema “Medicare” per gli anziani, che i repubblicani, specie dopo aver
conquistato la maggioranza in Congresso dopo le elezioni di medio termine,
vorrebbero eliminare o ridurre. Ciò che resta, alla fine, è un aggravio per le
casse pubbliche di 900 miliardi di dollari, che in dieci anni finiranno invariabilmente nelle casse delle case farmaceutiche e delle società assicurative,
avendo in cambio qualche misera agevolazione non per i poveri, ma per il
ceto medio americano, il perenne punto di riferimento nelle retoriche politiche ed elettorali, pur essendo oggi in agonia terminale.
E infine c’è la crisi. Obama si è trovato a gestire la slavina partita proprio
dagli Stati Uniti, cercando di contenere i danni, senza alcuna azione reale
sulla fonte del problema. Da politico astuto, è corso a promuovere qualunque iniziativa potenzialmente utile a creare posti di lavoro, o a dare l’illusione che se ne potessero creare. Della politica sul nucleare si è detto, e si
potrebbero aggiungere, in connessione sempre con le politiche energetiche, la questione del dannosissimo shale gas o della condotta che dovrebbe sventrare verticalmente il territorio statunitense per portare dal Canada al
Texas il petrolio spremuto dai fanghi bituminosi. Tutte attività devastanti per
gli ecosistemi e la salute umana, ma in grado di creare qualche manciata
di posti di lavoro, utili da buttare sul tavolo della campagna elettorale. Ma
politiche del genere vanno a tappare le falle dell’oggi, raccattano qualche
consenso in più, lasciando invariata la causa prima dell’imminente affondamento: il sistema finanziario e bancario. Su cui, in campagna elettorale,
Obama aveva annunciato sfracelli, con controlli severissimi, misure draconiane, e una generale riappropriazione del primato della politica su quella
finanza che, con i suoi giochetti imperniati sull’immobiliare, ha praticamente
mandato a catafascio il paese e il mondo. Nella pratica: nulla di fatto. Gli
aiuti, diretti e indiretti, al sistema finanziario in crisi sono proseguiti. Nuove
regolamentazioni, a rimpiazzare quelle polverizzate dai tempi di Reagan fino
all’era di Bush jr., non ce ne sono state: tutto rimane selvaggio e governato
dai potentati bancari coordinati apertamente dalla FED e segretamente da
altri consessi ancor più impenetrabili. J.P. Morgan, Goldman Sachs, Citigroup
sono stati e restano, anche con Obama alla Casa Bianca, i burattinai del
LA VOCE DEL RIBELLE
IL RIBELLE.COM
sistema. Anzi costituiscono il sistema stesso, nel momento in cui i propri uomini finiscono per sedere nelle sedi decisionali del potere politico.
Il primo capo di gabinetto di Obama fu, ad esempio, Rahm Emanuel, proveniente da una banca d’investimento (la Wasserstein Perella) dove si era
occupato di settori strategici come l’energia, l’immobiliare, la sicurezza e le
comunicazioni. Insomma la prima nomina del neo presidente proveniva proprio dal settore che aveva creato la crisi. E non è stata l’unica: a segretario
del tesoro ha nominato, ad esempio, Timothy Geithner, ex presidente della
Federal Reserve, nonché uno dei responsabili della devastazione finanziaria,
che ha candidamente ammesso di consultarsi regolarmente più con i vertici di Goldman Sachs che con il Congresso. Non è finita: uno dei consiglieri
economici più ascoltati da Obama è Robert Rubin, già segretario al tesoro
di Clinton, ma soprattutto per 26 anni alle dipendenze di Goldman Sachs e
poi direttore di Citigroup. A questi si è aggiunta tutta una pletora di membri
organici al sistema finanziario e bancario americano e internazionale, che
sono finiti ad occupare posti-chiave, i gangli del potere decisionale, che
così, anche con Obama, è rimasto ben lontano dal riappropriarsi del proprio
primato. L’impegno, politico e finanziario, profuso per contrastare la crisi si è
ridotto così nell’elaborazione di piani salva-banche e nell’approvazione di
continue e dannose iniezioni di liquidità pubblica (quantitative easing) nel
sistema. Chi ha sfasciato il sistema è stato chiamato da Obama a ripararlo,
ed ora i soliti soggetti sono ancora più ricchi e potenti di prima, mentre sul
territorio sono fioccate nuove tasse, misure di austerità, i poveri sono sempre
più poveri, i senza casa in aumento costante a causa dei pignoramenti a
pioggia. Non è forse un caso che nella iperconformista America, pur sotto
una presidenza che si presumeva illuminata a progressista, si è organizzato
un movimento di protesta ampio e determinato come non se ne vedeva
dagli anni ’60, i noti “Occupy Wall Street”. Anche questo dimostra come, alla
fine, nulla sia cambiato, se non nello stile e nelle modalità comunicative, nel
passaggio da Bush a Obama, dal governo repubblicano a quello democratico. Ancor più dopo la conquista della maggioranza al Congresso da parte
dei repubblicani alle elezioni di medio termine, nel 2010. Da quel momento
la politica di Obama è stata una continua ricerca del compromesso o un
braccio di ferro, a seconda dei casi, come nel frangente folle del default di
bilancio. Sfiorato ed evitato “a norma di legge”, semplicemente modificando
l’altezza dell’asticella superata la quale si deve chiudere bottega.
Con tutti questi dati si può ben dire che la presidenza di Obama è stata una
grande promessa non mantenuta. Un nulla di fatto. Dunque perché gli americani dovrebbero tornare a votarlo? Perché ancora mantiene un appeal,
seppure decisamente diminuito rispetto al 2008? La risposta sta probabilmente nella costante presa della retorica obamiana, capace di agganciare la costante speranza di una redenzione per tutti, insita per natura dentro
ogni americano, e così bene sintetizzata dal quel “Yes, we can”, poi risultato
vuoto di contenuti. Ma sta anche nel fatto che Obama, non ha ostacolato,
anzi ha aiutato concretamente i potentati che ne hanno determinato l’elezione, rendendosi utile ai loro interessi e mostrandosi affidabile più di uno
qualunque dei possibili candidati repubblicani.
Un’altra risposta possibile l’ha data uno dei maggiori analisti critici degli
USA, Noam Chomsky. Semplicemente Obama è l’unico personaggio, nel
quadro dei possibili candidati alla presidenza, che abbia un qualche senso
LA VOCE DEL RIBELLE
IL RIBELLE.COM
logico, specie rispetto ai deliri pronunciati dai diversi aspiranti candidati
repubblicani. Non che con ciò Chomsky sposi l’idea di un secondo mandato del presidente uscente. Esattamente come tutti coloro che si guardano
bene dal votare repubblicano, e che sono rimasti cocentemente delusi dal
quadriennio obamiano, semplicemente lamenta che non esistano alternative tra un presidente «astuto e senza scrupoli» come Obama, e un candidato proveniente da un ambiente, quello repubblicano, che è «al di fuori dello
spettro internazionale di un comportamento normale». Può essere che sia
così. Sicuramente Chomsky ha il polso dell’opinione pubblica e della platea
elettorale americana più di quanto non si possa avere qui in Italia. Ma, per
esperienza e storia, è già ben noto che il popolo statunitense, specie quando deve scegliere i propri leader, non ha difficoltà, se anche ha già raggiunto il fondo, a mettersi a scavare per arrivare ancora più in basso.
Davide Stasi
LA VOCE DEL RIBELLE
IL RIBELLE.COM
Metaparlamento
Il bluff
della Lega
“U
di Alessio Mannino
n bluff: questo si è rivelata essere la Lega
Nord. Un movimento sano, popolare, con
l’indiscutibile merito di aver dato nuova
linfa all’esangue politica italiana nel momento in cui essa crollava sotto le
macerie della Prima Repubblica, che dopo vent’anni dalla sua ascesa ha
compiuto la parabola dell’imborghesimento dissolvendosi nel corrotto sistema romano”. Era il dicembre 2008 quando anticipavamo ciò che per noi era
già evidente e che oggi, dopo tre anni, lo è diventato per tutti: il partito di
Bossi, che aveva mosso i primi passi con l’impeto rivoluzionario, anche se un
po’ sgangherato, delle prime Leghe indipendentiste e autonomiste, si è venduto al bengodi del finanziamento pubblico e alle sue sirene corruttrici.
Vizio originario
Con una peculiarità tutta sua, però: l’odore dei soldi ha reso metastasi il vizio
d’origine del Carroccio, quello per cui il leghismo ha perduto anno dopo
anno, uno dopo l’altro, esponenti anche storici come il fondatore della Liga
Veneta, Franco Rocchetta, assieme a molti altri, ovvero l’accentramento dittatoriale nella figura del Gran Capo, che cacciava ed espelleva chi non si
metteva sull’attenti, degenerato dopo l’ictus del 2004 in conduzione familistica, col “cerchio magico” a fare e disfare linee politiche e bonifici della cassa,
fino a innalzare l’ex autista di Biondi, tale lombrosiano Belsito, al rango di
tesoriere, deputato, sottosegretario e vicepresidente di Federmeccanica
(sic!). Cose che neanche il Psi dei nani e ballerine di craxiana memoria.
Il repulisti di Maroni, al di là della condanna etica ed eventualmente giudiziaria degli indagati vicini all’Umberto e a sua moglie Manuela, significherà
che nella lotta di potere interna alla Lega la corrente maroniana conquisterà il partito (ed è plausibilissimo, questo va detto, che chi ha fatto partire le
indagini sia stato uno dei suoi). La loro vittoria equivale ad una normalizzazione - qualcuno dice "democristianizzazione" - che abbandonerà giocoforza i residui cascami della retorica bossiana (urla rauche, insulti, annuncishock) relegandola a ricordo nostalgico, e mirando al sodo per tutto quanto riguarda il resto: al presidio del territorio, dove la Lega ha ancora una nutriLA VOCE DEL RIBELLE
IL RIBELLE.COM
ta schiera di amministratori, e alla sopravvivenza politica e materiale vera e
propria, perchè in gioco c'è appunto il vivere o morire, per una Lega che ha
stufato ma che dispone ancora di uno zoccolo duro di fedelissimi. In questa
ostinazione va dato atto che c'è un che di nobile. Ma è la nobiltà degli sconfitti, che sconfitti rimangono.
Bilancio fallimentare
La Lega Nord, partita come movimento per l’indipendenza e poi ammorbiditasi su un più moderato federalismo, dopo venticinque anni di storia, tre partecipazioni al governo, un ribaltone, una secessione mancata, la devolution
mai attuata e una riforma federale, Monti o non Monti, che di federale aveva
poco o nulla, ha un bilancio oggettivamente negativo. Gli ultimi giapponesi
del leghismo, i meno sbracati maroniani, restano pur sempre fedeli ad una
forza politica che ha mancato l'obbiettivo, e il loro attaccamento all'ideale
può essere sentimentalmente comprensibile ma è politicamente illusorio.
L'errore fondamentale è stato l'abbraccio mortale con Berlusconi. Che esso
sia stato "oliato" da una compravendita del simbolo da parte del Cavaliere,
poco cambia: dopo aver fatto la cosa giusta nel '94, cioè farlo cadere, Bossi
ha scelto l'alleanza permanente con l'ex "mafioso di Arcore", posizionando
definitivamente la Lega nel sistema partitocratico contro cui aveva combattuto agli inizi. Il fisiologico deteriorarsi dello slancio primigenio, tipico di ogni
movimento di rottura, è stato aggravato da una funesta, umana troppo
umana avidità di posti, prebende e comodità romane. In cambio, all'alleatopadrone hanno permesso tutto: le porcate ad personam, il salvataggio statalista di Roma e Catania, le cordate amiche in Alitalia, l'assistenzialismo forestale in Calabria, una politica finanziaria di occultamento, giusto per citare
le cose peggiori. Il bluff è scoperto. Chi vuole continuare la partita è un baro,
che ne sia consapevole o meno, che l'accetti oppure no.
Il buono resta
Un vero leghista dovrebbe star fuori da una Lega irrimediabilmente destinata a dissolversi, anche se rimessa a nuovo e resa ripresentabile dal restyling
del moralizzatore Maroni (che difendeva il lombardo Boni sotto inchiesta per
malversazione). Perché le idee di fondo rimangono valide, per chi le trova
giuste. Il federalismo come autodeterminazione decisionale, sul piano fiscale e in alcune materie politiche, è un meccanismo responsabilizzante e massimamente libertario di cui si avrebbe gran bisogno contro le spinte centralizzatrici e mondializzanti della finanza anonima e delle tecnocrazie apolidi
(come la Bce). La concezione di un popolo come un gruppo con caratteristiche storiche, linguistiche, economiche e tradizionali dai confini ben precisi è l'antidoto alla globalizzazione che livella, appiattisce, desertifica, uniforma. Vedere lo Stato come fornitore di servizi essenziali ed efficienti e non
come un onnipresente padrone, se declinato non secondo la prospettiva
individualista liberale ma secondo quella comunitarista e civica, farebbe
riscoprire il senso della comunità locale (in un percorso di decrescita non
soltanto in economia, ma anche nelle istituzioni).
Un nuovo inizio
Se questi temi sono in circolo lo si deve alla Lega, c'è poco da fare. Purtroppo
Bossi&Co li hanno mischiati ad un becero razzismo prima anti-meridionale,
poi xenofobo in generale e ultimamente anti-islamico, che per quanto fosse
più verbale che fattivo (la stessa legge Bossi-Fini ricalca una visione economicista dell’immigrazione, l'uomo come merce, che non razziale) ha reso il
LA VOCE DEL RIBELLE
IL RIBELLE.COM
leghismo odioso ai più. Per non parlare dell'ossessione per la sicurezza, questo spauracchio in gran parte ingiustificato, o della sostanziale acquiescenza verso l'Europa bancaria e iper-regolamentatrice (nel 2007 anche la Lega
votò a favore del Trattato di Lisbona, architrave dell'Eurocrazia). I tempi eroici
delle martellate alla partitocrazia, dell'appoggio al pool Mani Pulite, della
democrazia dei gazebo sono finiti da un pezzo. Ma è da quelle battaglie che
bisognerebbe ricominciare. In questo senso Maroni ha ragione quando indica ai leghisti di ripartire dal 1991. Solo che lui è ben poco credibile, perché
è lì, a fianco di Bossi, da sempre, e perciò responsabile del declino quanto
lui. Rivolgersi agli espulsi e ai transfughi rimasti con le idee e le mani pulite,
piuttosto. Come ad esempio il gruppo del giornale online “L’Indipendenza”
di Facco e Oneto o gli innumerevoli piccoli movimenti che al Nord sono
spuntati come funghi per reagire alla romanizzazione dei dané e delle trote.
Un consiglio: nella storia non si torna indietro. Quel patrimonio ideale vale
come ispirazione, ma c’è bisogno di ben altro che di una Lega 2. Abbiamo
già dato.
Alessio Mannino
LA VOCE DEL RIBELLE
IL RIBELLE.COM
A n a l i s i
Per una storia
della Massoneria
M
di Umberto Bianchi
Premessa
assoneria. Un termine che evoca, in chi lo pronuncia, una molteplicità di sensazioni, tutte però accomunate da un unico ed onnipresente denominatore: il mistero, proprio perché si parla di un’ordine esoterico, ovverosia legato
ad una modalità di rapportarsi con la realtà, legato all’idea di una conoscenza nascosta rivelata per simboli e per ciò stesso, comprensibile solamente a pochi eletti. Massoneria non costituisce solamente “un” ordine esoterico tra i tanti bensì, a detta di taluni, “l’ordine” esoterico par excellence,
rappresentando “de facto” l’ultima parvenza ufficiale, in un’Occidente fondamentalmente scettico ed agnostico, di un sapere misterico tale da poter
vantare una plurisecolare presenza sullo scenario occidentale. Massoneria
evoca complotti, uomini incappucciati, servizi deviati e chissà quali altre
oscure trame, ma anche interi pezzi di storia patria che videro le organizzazioni massoniche fornire un rilevante apporto ideologico, culturale ed alfine
operativo alla realizzazione del disegno dell’Unità d’Italia. Massoneria è tutto
questo, ma anche di più. Massoneria ci riporta ad una modalità d’agire antica quanto l’uomo stesso, ovverosia quella di legarsi in società segrete che
prendevano le proprie mosse dall’esigenza di rapportarsi ad un totem protettore, ad un animale sacro che spesso richiamava alla mente degli adepti l’uccisione di un padre primordiale, al cui posto quest’ultimo veniva eretto,
a monito e simbolo dei limiti all’azione degli appartenenti al clan comunitario. Freud a parte, la società segreta rappresenta l’esaltazione dell’idea di
un’azione sottoposta a particolari vincoli ed obblighi, nel nome di un particolare status o appartenenza, generalmente inseriti in un più ampio contesto comunitario. Ci vengono alla mente le società segrete di adolescenti rinvenibili nei contesti tribali di mezzo mondo quale, per esempio, quella degli
“uomini-coccodrillo” della Nuova Guinea, o di altre consimili nel continente
africano, tutte caratterizzate dai cosiddetti “riti di passaggio” da un’età ad
un’altra e di cui fanno parte anche le donne nel passaggio dalla pubertà
all’età adulta. Queste società non svolgono solamente un’azione di definizione ed esaltazione di particolari ruoli comunitari legati al singolo momento
LA VOCE DEL RIBELLE
IL RIBELLE.COM
della vita dell’individuo, bensì divengono un vero e proprio contenitore di
conoscenze segrete destinate ai più virtuosi della comunità, inizialmente
anziani e guerrieri, ma in seguito (e qui risiede il punto di discrimine) anche
ad altri individui in grado di mostrare la propria “valentia”, nel settore di competenza all’interno di una comunità. Iniziamo allora a vedere come, per
esempio tra gli indiani Hopi del Messico o tra le popolazioni della Sierra
Leone e della Costa d’Avorio esista il Poro, una vera e propria società segreta, i cui membri occupano le più importanti cariche all’interno delle comunità di riferimento.
Le origini
Volgendo il nostro sguardo all’Europa, i primi gruppi esoterici di cui si abbia
ufficiale conoscenza, sono quelli riferiti al contesto della civiltà classica, con
particolare riferimento ai praticanti dei cosiddetti “misteri di Eleusi”, (che traevano origine dalla complicata vicenda del rapimento di Kore-Persefone, figlia
di Demetra, dea delle messi, da parte di Ade-Plutone) ai seguaci dell’Orfismo
( ovvero di tutta quella serie di conoscenze che traevano spunto dalla vicenda mitologica di Orfeo) ed a quelli del filosofo greco Pitagora, le cui idee di
matematica e di musica sacre, rimandavano ad un ordine occulto della realtà, di cui solo pochi eletti avrebbero potuto intendere il senso compiuto.
Questi ultimi due gruppi, in particolare, presentano le caratteristiche di un
primo compiuto corpus dottrinale teologico, inserito all’interno della cornice
di società a carattere iniziatico, tanto da far sobbalzare dall’indignazione due
grandi della filosofia di quel tempo, quali Parmenide ed Eraclito che, in quel
primevo tentativo di dare un ordine logico allo sterminato corpus mitologico
ellenico, avevano ravvisato un qualche tentativo di privazione della libertà del
pensiero. Sia come sia, anche all’interno della quanto mai algida e razionale
società greca, le correnti di pensiero esoterico continuarono a farsi silenziosamente strada. I semi gettati dal pitagorismo, al pari delle suggestioni platoniche che invitavano l’uomo a rivolgere le proprie attenzioni alla iperurania
dimensione del mondo delle idee (da “idein/vedere”), avrebbero dato i loro
frutti con la vicenda dell’Ellenismo, ovvero quando, in seguito alle conquiste
di Alessandro Magno, la cultura greca verrà a stretto contatto con i principali filoni religiosi del Vicino Oriente. La sintesi della cultura ellenica con le culture egizia, anatolica, fenicia, iranica, giudaica, darà luogo ad altrettante svariate misteriosofie, rispondendo in questo alle necessità di salvezza individuale ed al turbamento che la fine della polis greca e l’insediamento dell’impersonale stato universale ellenistico avevano ingenerato nelle coscienze dei cittadini della sterminata ecumene ellenistica. Il fenomeno del sincretismo ellenistico non può però essere completamente compreso se non se ne comprende la matrice culturale neoplatonica e gnostica alla base delle quali sta
la tendenza del pensiero platonico ad assumere via via una valenza sempre
più radicalmente dualista ed emanazionista. Il mondo materiale è separato
ed al contempo legato all’Uno di matrice spirituale, attraverso una serie di
emanazioni che ne rappresentano degli stadi intermedi, nella veste di vere e
proprie degradazioni, sino alla dimensione della materia. Mentre però il neoplatonismo tramite Plotino, Ammonio Sacca, Porfirio, Giamblico ed altri, manterrà una visione sostanzialmente olistica, cioè unitaria dell’intera realtà, considerando la stessa materia nella propria negatività, quale prodotto del principio di complementarietà che anima l’intero neoplatonismo per cui Uno e
molteplice, materia e spirito, pur nella loro radicale differenza sono accomunati ad una visione organica d’insieme, ad un logos che ne anima e ne giustifica l’esistenza. Con la Gnosi, invece, materia e spirito sono qui intese quali
LA VOCE DEL RIBELLE
IL RIBELLE.COM
inconciliabili dimensioni, tra cui non vi può essere alcun punto in comune.
L’impatto della Gnosi si ripercuoterà sul mondo tardo antico, sino all’Evo
Medio, accompagnato dalla versione iranica di quest’ultima, il Manicheismo,
che rappresenterà una forma ancor più estrema di dualismo. E sarà il dualismo il grande protagonista delle dottrine eretiche che renderanno insonni le
notti della Chiesa romana. Pauliciani, Bogomili ed infine Catari saranno i tragici ed involontari protagonisti di un’epopea che si concluderà con la cosiddetta “crociata degli Albigesi”, ovvero una delle più spaventose operazioni di
pulizia etnica e di persecuzione ideologica, condotta in Linguadoca da una
Chiesa cattolica decisa a farla finita con chiunque deviasse dalla propria versione della dottrina di Cristo. Di poco posteriore a quella dei Catari, vi è un’altra persecuzione che rappresenterà uno dei fondamentali pilastri ideologici
della nascita della futura massoneria: la soppressione dell’ordine mistericocavalleresco dei Templari decisa nel 1312 per mano di Filippo il Bello sotto
l’immancabile spinta della Chiesa romana, ambedue interessati all’immenso
patrimonio detenuto da quest’ultimo. Il Rinascimento assisterà ad un vero e
proprio risveglio delle scienze umane e della filosofia neoplatonica, nella sua
versione più misteriosofica ed aperta alle suggestioni offerte dalla riscoperta
di tutti quei testi fondamentali dell’ermetismo e dell’alchimia che, in auge
durante l’Ellenismo, con la fine del mondo antico erano invece caduti in una
sorta di vero e proprio dimenticatoio. Il cardinal Bessarione, Pomponio Leto,
Marsilio Ficino, Pico della Mirandola e tanti altri saranno i protagonisti della
speranza nella rinascita di una cultura “altra”, in grado di collocarsi cioè, oltre
le pastoie dell’arido aristotelismo di S.Tommaso e della Scolastica. Quel grande afflato di entusiasmo misterico che attraverserà l’intera Rinascenza troverà simbolicamente la propria tragica conclusione nel 1600 con il rogo del filosofo ermetico Giordano Bruno a Campo dè Fiori, in un’Europa attraversata da
conati di oscurantismo e dai sussulti di un guerra civile interreligiosa che
vedeva orami contrapporsi “ urbi et orbi” i fautori della Riforma Protestante e
del suo nazionalismo mercantilistico ed i sostenitori del vecchio ordinamento
cattolico a carattere universalistico, che nella Controriforma avevano trovato
una risposta all’iniziale espansionismo luterano. Ma non sarà solo in Italia che
le varie misteriosofie troveranno terreno fertile. Quando nel 1583 Rodolfo II,
imperatore del Sacro Romano Impero, deciderà di trasferire la capitale
dell’Impero da Vienna a Praga, la splendida città boema diverrà un vero e
proprio salotto per esoteristi, scienziati e filosofi di mezzo mondo, questo grazie agli interessi culturali ed al mecenatismo di questa controversa figura di
imperatore. Suoi illustri ospiti saranno scienziati del calibro di Tycho Brae e di
Keplero, o esoteristi come il mago inglese John Dee, il medium Edward Kelly e
l’alchimista Michael Sendivogius, senza contare la presenza di pittori del calibro di un Arcimboldo, di un Giambologna o di un Albrecht Durer. Resta preminente però, il fatto che la Praga in quegli anni balzerà agli onori della cronaca in quanto capitale europea del pensiero magico, ruolo questo perduto dal
Bel Paese che,all’indomani del Concilio di Trento era oramai tornato sotto
l’asfissiante tutela ecclesiastica. La speranza di fare di Praga la capitale di un
pensiero “altro” andrà però infrangendosi su una serie di delusioni, rappresentate inizialmente dalla ingloriosa fine del regno di Rodolfo II e successivamente dalla disastrosa battaglia della Montagna Bianca che vedrà nella sconfitta della lega protestante guidata da Federico V, margravio del Palatinato, la
fine di una speranza. Costui aveva difatti, con un gesto simbolico, reinsediato
la propria corte a Praga, attirando presso di sé le speranze dei vari cenacoli
esoterici europei, che in lui avevano visto un redivivo Rodolfo II. Ben presto
sarà l’Inghilterra a dare ospitalità ai vari gruppi in fuga da quel continente
LA VOCE DEL RIBELLE
IL RIBELLE.COM
europeo, afflitto da un pesante clima di intolleranza e che, contrariamente a
quanto si può credere, favorirà il sorgere di gruppi e consorterie esoteriche in
grado di fungere da porto franco e punto d’incontro tra persone di differenti
estrazioni politiche e religiose. Delle vere e proprie zone grigie ove poter dialogare, confrontarsi e ricercare obiettivi comuni, senza incorrere nei rigori delle
censure delle confessioni religiose d’appartenenza, cattoliche o protestanti
che fossero. A tal proposito va menzionato un episodio significativo: l’apparizione nel 1614 a Kassel di “Fama Fraternitatis Rosae Crucis”, un anonimo opuscolo avente per oggetto le peregrinazioni esoteriche di Christian Rosencreuz,
a cui l’anno seguente seguirà un altrettanto anonimo “Fama Fraternitatis”,
sino alla pubblicazione nel 1616 di “Le nozze chimiche di Christian
Rosencreuz”, da parte del teologo Johannes Valentino Andreae. Tutti e tre gli
opuscoli sono intrisi di cultura ermetica ed alchemica e, anche se i primi due
sono anonimi, qualcuno ha supposto che fossero frutto della mano stessa di
Andreae. Sia come sia, la loro apparizione generò un grande scalpore nell’intera Europa; qualcuno, tra cui lo stesso Andreae, parlò di uno scherzo tirato
ad arte; fatto sta che gli autori, o l’autore, dei pamphlet non fu mai scoperto,
creando in tal modo la leggenda di un misterioso cenacolo formato dalle
menti più illuminate dell’epoca, portatore di una misteriosa conoscenza
ermetica e che, tra i propri sodali avrebbe addirittura annoverato personaggi come Leonardo da Vinci e Giordano Bruno. E qui arriviamo alla nascita
della vera e propria massoneria.
La nascita
In seguito ai prodromi della guerra dei Trenta Anni, molti esponenti di spicco
dei vari cenacoli esoterici, migrarono in Inghilterra e Scozia, dove trovarono
un clima più favorevole allo studio dell’astrologia e dell’esoterismo in generale. Alcuni tra questi gruppi, per darsi più lustro, cominciarono a voler far
affondare le proprie origini nelle antiche corporazione dei costruttori di piramidi egizi, tra i “colegia fabrorum” romani o tra i mastri costruttori di cattedrali dell’Evo Medio. Per questo motivo, legato più che altro ad una moda culturale, personaggi di elevato lignaggio iniziarono a frequentare le varie corporazioni professionali o logge allora esistenti, sino a snaturarne completamente l’essenza, sancendo in tal modo il passaggio dalla massoneria cosiddetta “operativa” (cioè legata meramente ad un ordine professionale, quale il
muratore, lo scalpellino, l’architetto, etc.) a quella “speculativa”, cioè imperniata all’edificazione di una costruzione per le anime, un vero e proprio tempio di conoscenze, a cui l’adepto avrebbe dovuto attingere, quale appunto
quello mitico di Salomone, la cui costruzione, macchiata dall’omicidio rituale del suo architetto Hiram Abif, diverrà parte integrante della mitografia massonica. Le varie Logge diverranno così il ricettacolo delle menti illuminate
dell’epoca, avendo come primo esempio il misterioso “Ordo
Rosicrucianum”. Come abbiamo sinora visto, le società segrete trovano origine nella notte dei tempi, ma la Massoneria “si et si”, o quantomeno per
come noi la conosciamo nella sua attuale veste, ha i propri natali ufficiali in
quel di Londra, il 24 giugno del 1717, con la fondazione della Gran Loggia di
Londra, più tardi Gran Loggia d’Inghilterra. Nata dall’unificazione di tre differenti gruppi massonici o logge, annovera immediatamente tra le proprie fila
letterati, uomini di pensiero e religiosi come quel James Anderson, pastore
presbiteriano che, con le sue “Costituzioni” cercherà di dare un primo, fondamentale, assetto istituzionale ed ideologico alla novella muratoria.
Fondamentale è, tra l’altro, quella prescrizione che richiede agli adepti l’adesione al credo in un “Grande Architetto dell’Universo”, termine con cui si
LA VOCE DEL RIBELLE
IL RIBELLE.COM
suole indicare il credo in un’entità metafisica superiore, al di là di qualsiasi
particolarismo religioso confinato alla sfera del libero arbitrio dell’individuo.
Ma, al di là dell’apparente compattezza ideologica e dottrinale, ben presto
le Logge massoniche, nel loro sorgere e prender piede in Francia, Scozia e
Germania, inizieranno anche a differenziarsi in quelli che ne avrebbero dovuto essere i comuni principi ispiratori. Tra questi a primeggiare, sarà
l’Illuminismo. Molti, anche se non tra tutti i suoi ispiratori, daranno la loro adesione alle Logge massoniche, all’epoca un vezzo comune a molti famosi personaggi. Basterebbe solo pensare ad un Goethe, ad un Mozart o ad un
Newton, solo per citarne alcuni, tralasciando volutamente il caustico Voltaire.
E qui già ci dovremmo porre la domanda su cosa sia realmente stato il fenomeno illuminista, almeno ai suoi albori. Da parte di vari autori si è parlato di
una forma di neoplatonismo poi travolta da una deriva di tipo scientistamaterialista. Come abbiamo già accennato, la letteratura ufficiale massonica fa risalire la “veneranda istituzione” ad un comune bagaglio di conoscenze misteriche che partendo dalle corporazioni dei fabbricanti egizi di piramidi, attraversa i secoli incarnandosi via via in organizzazioni quali i “collegia
fabrorum” romani, le corporazioni dei costruttori di cattedrali dell’Evo Medio,
i Cavalieri Templari, sino ai misteriosi adepti alla Rosacroce.
Successivi sviluppi e conclusioni
L’evocazione di comuni radici non nasconde, però, il dato di fatto che la massoneria nasca già attraversata da profonde discrepanze. La prima e più rilevante, sorge su uno dei punti più importanti delle “costituzioni” di Anderson,
cioè la già citata prescrizione riguardo al credo nel “Grande Architetto
dell’Universo”. Così accanto alle varie fratellanze massoniche legate all’ideabase dell’esistenza di un Entità Suprema, sorgeranno presto gruppi massonici
ispirati al più radicale laicismo ed ateismo, che, nella Francia sconvolta dalla
Rivoluzione, per esempio, troveranno il proprio ideale brodo di coltura e terreno di affermazione grazie all’influenza giacobina, non senza condividere il
proprio percorso con altri simili gruppi, come quello germanico degli
Illuminati di Baviera. Ma le divisioni non riguarderanno solamente il concetto
di laicità. Massoneria Scozzese, Gran Loggia d’Inghilterra, Grande Oriente
d’Italia, ma anche il Rito di Memphis e Misraim, gli Eletti Cohens” seguaci sia
di Martinez De Pasqually (Martinesisti) che di Claude De Saint Martin
(Martinisti), la Massoneria Neotemplare di Von Hund e tanti altri ancora, rappresentano gruppi tendenti a privilegiare uno o più aspetti di quel percorso
del sapere esoterico di cui abbiamo poc’anzi parlato. Come in un immane
caleidoscopio, le varie logge massoniche accolgono al proprio interno cabalistica,Vangelo di S.Giovanni, sapienza egizio-alessandrina, pratiche astrologiche, conoscenze alchemiche, neoplatonismo, Gnosi, pitagorismo, neopaganesimo e sinanche occultismo, in tal modo accentuando quel carattere di
contradditorietà, includente tutto ed il suo contrario. Qui le conclamate simpatie per la razionale civiltà dei Lumi, faranno il paio con l’occultismo di personaggi alla Papus, alla Eliphas Levi, alla Oswald Wirth o alla Ciro Formisano
(Kremmerz), destando non poche inquietudini nella società occidentale. Alla
massoneria saranno attribuite adesioni di personaggi circondati da un alone
di mistero, come il conte Cagliostro ed il principe di Sansevero, ma anche di
intere dinastie regnanti, di uomini politici ed esponenti di punta dell’economia e della finanza mondiale, alimentando in tal modo la “leggenda nera” di
un complotto ispirato da “superiori sconosciuti”, in nome della creazione di
uno stato universale, così come preconizzato dall’intellettuale “fin de siecle”
Yves D’Alveidre, nel suo “L’Archeometra”. Persino di città come Washington,
LA VOCE DEL RIBELLE
IL RIBELLE.COM
Parigi o Londra si dice portino l’impronta di un progetto esoterico, ispirato
dalle varie obbedienze muratorie, con un occhio alla posizione degli astri e
del Sole. A volte tollerata, a volte perseguitata da Chiesa e Stato ma mai,
comunque, ufficialmente riconosciuta, la massoneria appoggerà indifferentemente insurrezioni e contro insurrezioni, ribellioni e restaurazioni. E così accanto al conclamato appoggio alla Rivoluzione Americana, a quella Francese, ai
vari Risorgimenti europei (ed in primis, a quello italiano) avremo il beneplacito sostegno a regimi ultraconservatori e reazionari come quello dell’anti italiano Napoleone 3°. In Italia, in particolare, dal Risorgimento sino al Ventennio,
la maggior parte dei governi sarà più o meno espressione dei desiderata
della massoneria, che esprimerà rivoluzionari alla Garibaldi e alla Mazzini (il
quale, in un momento successivo, criticherà duramente l’eccessiva moderazione e la poca propensione all’azione rivoluzionaria dell’istituzione, ponendosene de facto, al di fuori, sic! riformisti e moderati come Cavour, Crispi,
Giolitti e Nathan (sindaco di Roma), ma anche quella casa Savoia che a fine
Ottocento non esiterà a ricorrere alle cannonate del generale Bava Beccaris
per sedare le giuste rivendicazioni del popolo affamato, sino alla sinistra figura del generale Badoglio ed alla sua coorte di traditori che, durante l’ultimo
conflitto mondiale contribuiranno alla sconfitta ed alla resa italiana, grazie
alle loro relazioni di affiliazione massonica con la Gran Bretagna e le sue
logge. Proibite o messe “in sonno” durante il Ventennio, le logge massoniche
dal dopoguerra ad oggi, continueranno a rappresentare una silenziosa, ma
costante presenza nella vita del nostro paese. Le vicende legate alla loggia
P2 di Licio Gelli ed ai risultati della commissione Anselmi, torneranno a conferire all’intera istituzione massonica quell’aura di negatività superata solamente dalla propaganda del Ventennio. L’elezione di Gustavo Raffi quale guida
del Grande Oriente d’Italia(la più antica e numerosa delle istituzioni massoniche italiane), accompagnata da un’attività di apertura al mondo esterno, tramite conferenze, etc., aperte a chiunque, sembra proprio voler rappresentare
un momento di forte discontinuità e rottura con l’idea di una massoneria
“coperta” e semi clandestina nel suo relazionarsi con la società. Tutte queste
vicende, però, non tolgono i dubbi sulla reale essenza e portata di un fenomeno quale quello massonico che, a ben vedere, si presenta molto più variegato e complesso rispetto a certe vicende ufficiali. Per esempio, qualcuno ha,
per associazione d’idee, accostato alla massoneria anche realtà che, con
quella ufficiale, avrebbero in verità poco o nulla da spartire, quali per esempio gli Ariosofi di Von Sebottendorf e Von List, l’Ordo Templum Orientis di
Aleister Crowley, i Teosofi, Anne Blavatsky e addirittura alcune alcune realtà
del satanismo. E’ anche vero, però che, la storia e la genesi di tutte queste realtà sono in qualche modo legate ed interconnesse a deviazioni ed interpretazioni di quel comune filone di pensiero esoterico, delle cui vicende abbiamo
già parlato. Arrivati a questo punto della nostra analisi, non ci si può esimere
dall’interrogarci su quale coerenza possano avere gruppi che, nel loro proclamarsi fautori dell’egualitarismo democratico e del liberalismo, quali dirette
filiazioni dell’Illuminismo, adottano invece rituali e simbologie che rimandano
a realtà e tradizioni che si situano sul versante opposto. A ben vedere, la tradizione egizia, non può certo richiamare alla mente l’ideologia liberale e la
stessa osservazione vale per tutte le altre tradizioni richiamate dalla massoneria: dall’elitario ed antidemocratico pitagorismo, passando attraverso la tradizione ermetica o a quella alchemica, o ai cavalieri del Tempio, nulla ci sembra evocare un’idea di eguaglianza, anzi. Certe espressioni del sapere esoterico, sono per definizione quanto di più ristretto ed esclusivo possa esistere.
L’unica tra le radici massoniche che, in qualche modo ci può riconnettere ai
LA VOCE DEL RIBELLE
IL RIBELLE.COM
contenuti fondanti della Modernità è quella ebraica. Questo perché lo spirito
biblico sta alla base dello spirito della svolta economicista e mercantilista
della Modernità, per l’appunto tutta imperniata sul protestantesimo di marca
calvinista. Ma, a ben vedere, la stessa Qabbalah, libro sacro di quell’esoterismo ebraico tanto caro a certe comunioni massoniche, altri non è che un
concentrato di sapere misterico imperniato su un’idea di esclusivismo gerarchico tale, da far addirittura contemplare delle precise indicazioni sul diritto
di appartenenza, esclusivamente ereditario, alla casta dei rabbini-maghi, rappresentata in questo caso dagli appartenenti alla tribù dei Levi. Di fronte a
questa incoerenza ontologica, si può dare una risposta la cui valenza deve
rientrare per forza nell’ambito della ricerca psicanalitica e sociologica. La tendenza innata dell’uomo a costituire degli alvei di appartenenza privilegiata
all’interno dei contesti sociali in cui vive, porta anche all’adozione di determinati simboli, in quanto richiami ad un passato prestigioso, anche a costo di
snaturarne valenze e significati. Il grande Renè Guenon ebbe a descrivere un
processo simile, nei termini di una scienza iniziatica i cui simboli verrebbero
rigirati e stravolti nel nome di una perversa ed innaturale eterogenesi dei fini.
Quella stessa eterogenesi che, dunque, sembra guidare l’intera storia di certa
massoneria e dei suoi sviluppi nei secoli. Da cenacoli iniziatico-sapienziali a
vere e proprie congreghe politico-affaristiche di elevato lignaggio, certe massonerie divengono il miglior veicolo per l’elaborazione, la pianificazione e la
messa in opera di un’azione volta ad assoggettare il mondo all’unica, omologante legge di stampo occidentale, che del primato dell’economia finanziaria sull’uomo e sulla sua vita, fa il proprio asse portante. Inizialmente portato avanti dallo stato-canaglia britannico, il progetto mondialista avrà negli
USA e nei propri stati-satellite il miglior prosecutore. Oggi, in piena PostModernità, le ramificazioni del progetto mondialista non necessitano più né
di una nazione di riferimento, né delle vecchie istituzioni massoniche, oramai
superate ed abbandonate in favore di molto più potenti ed efficaci “Club”,
“Commissioni” e via dicendo. A proposito di mondialismo, abbiamo sinora
parlato di “certe” massonerie, proprio perché riteniamo pericoloso e fuorviante parlare in certi termini di un’esperienza che, proprio in quanto esoterica,
non è facilmente catalogabile secondo criteri di scienza esatta. Figure come
un Reghini, un Armentano, un Frosini ed altri ancora, attraverso il tentativo di
rifondare la massoneria, riattivando il Rito Filosofico Italiano e partecipando in
prima persona all’esperienza del Gruppo di Ur, impressero all’istituzione massonica una svolta in direzione di quel neopitagorismo che, con un forte richiamo al paganesimo romano e mediterraneo, si situava in una prospettiva ideologica e dottrinale ben lontana da suggestioni cabalistiche. Questi personaggi di sicuro, con la Massoneria non ci fecero certo i soldi, né ricevettero gratificazioni di altro tipo ma, in compenso, cercarono di dare un contributo ed
una spinta chiarificatrice a quel contesto di idee “tradizionalista” che allora,
sulla falsariga dell’esperienza fascista, iniziava a muovere i propri primi passi,
in direzione di un proprio specifico assetto. Il discorso potrebbe continuare
ancora per intere pagine, senza però portarci ad alcun risultato certo, se non
quello della fondamentale ed occidentalissima “ambiguità” ontologica dell’esperienza massonica. Il che ci porta, giuocoforza, ad essere prudenti nell’emettere giudizi affrettati per non ricadere in stereotipi che altro non fanno il
gioco di chi, invece, ha tutto l’interesse a confondere le acque.
Umberto Bianchi
LA VOCE DEL RIBELLE
IL RIBELLE.COM
Se Monti fa il negazionista
VENERDÌ, APRILE 13, 2012
a cosa che più sorprende, all'interno del toboga relativo all'andamento
dello spread italiano, e ci riferiamo soprattutto agli ultimi giorni, in cui il
valore è salito così tanto, e così repentinamente da aver fatto raddoppiare i tassi del titoli a breve e media scadenza e impedire di piazzare tutti quelli a lunga scadenza previsti, sono le dichiarazioni di Monti.
Sotto certi aspetti stupefacenti. Dichiarazioni che vengono riportate dai
media mainstream senza battere ciglio, o quanto meno senza azzardare, da
parte di alcun giornalista, almeno lo straccio di una domanda in cui si richiede una spiegazione.
Beninteso, che le dichiarazioni di Monti in talune circostanze rasentino il ridicolo è cosa nota. Nei giorni in cui era in tournée in Oriente per vendere la
nuova Italia alle rampanti economie della schiavizzazione, il presidente del
Consiglio dichiarava che la fase peggiore della crisi era alle spalle e che
l'Italia non era più un problema nello stesso esatto momento in cui da noi
venivano resi i noti i disastrosi report sulla disoccupazione e sul costo della
vita: come se lì si vivesse in un mondo altro in cui non arrivano, come invece
avviene in tempo reale, le notizie provenienti dal nostro.
Ma insomma negli ultimissimi giorni si è arrivato a punte di follia veramente
impossibili da non notare.
Quando il nostro spread aumentava di circa 100 punti in appena una settimana, secondo Monti era colpa di Madrid e della Marcegaglia. La Spagna
rea di non essere in grado di contrastare la crisi così come l'Italia invece
stava facendo, la Marcegaglia di aver fatto il suo lavoro, che è ovviamente
quello di portare avanti unicamente gli interessi delle imprese, quando ha
dichiarato che la riforma del lavoro era concepita in pessimo modo.
Monti, testuale: "per lo spread non ci sono ragioni specifiche italiane". E
ancora: "stiamo pagando, di rimbalzo, la crisi spagnola". Come se la crisi
spagnola, e quella Greca, per esempio, oppure quella portoghese, fossero
diverse, dal punto di vista delle motivazioni, da quella italiana. Come se non
provenissero dal medesimo modello allo sfacelo di cui Monti stesso è uno
degli esponenti internazionali di punta (vedi Goldman Sachs).
Secondo Monti la nostra situazione non dipende da problemi strutturali, anzi:
per il premier i nostri dati sono tornati convincenti. E dunque - seguendo il
ragionamento - la risalita dello spread dipende certamente da altri fattori,
Madrid e Lisbona, per esempio.
Come se non fossero veri i dati della disoccupazione nel nostro Paese, come
se non fossero veri quelli relativi alla cassa integrazione e al numero delle
aziende che hanno chiuso o stanno per chiudere. Come se non fosse vero
che chi può, ancora, delocalizza. Come se non fosse vero, infine, che il peggio per gli italiani deve ancora venire e che è dietro l'angolo, vedi la prossima Imu e l'aumento dell'Iva da ottobre. O vedi i risultati dell'effetto domino
che ci sarà su tutto il Paese quando i cassa integrati di oggi arriveranno alla
scadenza degli ammortizzatori sociali e ovviamente non potranno essere
reintegrati in azienda. Sempre che l'azienda sia ancora attiva: saranno semplicemente licenziati, e con la giusta causa del calo dell'attività. Nè più, né
meno.
La realtà è ovviamente differente: i mercati sanno benissimo che per qualche mese ci siamo un po' - un po' - salvati, grazie all'intervento di Draghi e
alla sua concessione di 1000 miliardi alle Banche che erano sull'orlo del fal-
L
MOLESKINE
limento. E sanno che delle due l'una: o si continua sulla stessa strada, dunque la BCE fa ripartire le rotative per stampare denaro dal nulla (che nulla
vale) oppure il default di molti stati d'Europa torna a essere presente e imminente né più né meno che come era a fine 2011, poco prima della prima
tranche dell'LTRO da 500 miliardi (la seconda c'è stata a fine febbraio).
E intanto oggi Piazza Affari lascia sul tavolo il 3.5%. Con i crolli di Bpm e
Unicredit. Di chi è la colpa, oggi?
A pensarci bene, più che fare una seconda domanda al professor Monti, si
dovrebbe aprire un processo per negazionismo.
Valerio Lo Monaco
È tutto così chiaro, purtroppo
MERCOLEDÌ, APRILE 11, 2012
per fortuna, si sarebbe portati a dire, visto che almeno si può capire
la situazione per quella che è. Se solo vi fosse la volontà reale di leggerla e dunque di prendere differenti misure. Invece a quanto pare la
barra rimane a dritta, da parte del governo che la attua e da parte degli italiani, almeno la maggioranza, che la accetta senza battere ciglio o quasi, e
lo schianto si avvicina.
I dati sono noti, ieri Borse giù del 5% e spread di nuovo sopra 400 punti.
Dunque siamo da capo, pur avendo subito le quattro manovre monstre sulla
pelle degli italiani, dai tempi dell'ultimo Berlusconi ai giorni nostri, dopo il
carro armato di Monti passato sull'Italia, ovvero sul presente e sul futuro che
sono quasi azzerati e, in fin dei conti, bruciati.
I mercati se ne infischiano delle misure che ci hanno fatto prendere e di
quanto stiamo soffrendo e soffriremo, e dunque si ricomincia la giostra. E da
subito, visto che tra oggi e venerdì l'Italia deve piazzare circa 15 miliardi tra
Bot e Btp che saranno dunque contrattati ai nuovi tassi (che oggi presumibilmente vedremo ballare ulteriormente).
Il discorso può essere affrontato in due modi: dal punto di vista tecnico,
monetario, e tutto inerente le "motivazioni" dei mercati, e poi dal punto di
vista logico, che è probabilmente quello più indicativo.
Vediamo il primo.
Preoccupano Spagna e Italia? Bene, cioè male: vuol dire che preoccupano,
e sprofondano, proprio i Paesi che hanno adottato e stanno adottando le più
grandi e severe misure per superare la crisi. Misure che, appunto, dimostrano
di non funzionare.
Secondo gli analisti, a livello di Borsa possono essere successe due cose. La
prima: i mercati non credono nello stato di salute delle Banche spagnole e
italiane, piene di titoli di Stato dei due rispettivi paesi che sono considerati
praticamente spazzatura, e dunque fanno crollare i loro listini, che poi si sono
portati dietro tutto il resto. La seconda: gli speculatori sono risolutamente
(ri)partiti all'attacco dell'Europa, prendendo nel mirino Spagna e Italia, che
dopo la Grecia, ormai fallita, sono i prossimi candidati alla medesima sorte
insieme al Portogallo. Lo stanno facendo per "vedere" il gioco del fondo
salva stati, recentemente aumentato a 800 miliardi di euro, ovvero per verificare se davvero l'Europa lo metterà in campo o meno. E per vedere quanto
funzionerà.
In entrambi i casi, come si vede, puri "giochi" speculativi, sulla pelle di tutti
noi.
O
MOLESKINE
Fino a ora, come abbiamo scritto spesso, tutto si è tenuto in piedi, ovvero il
default di questi paesi è stato rimandato, grazie all'intervento enorme di
Draghi e della Bce che ha concesso alle Banche i mille miliardi praticamente a prezzi di costo con le quali le Banche hanno poi acquistato i titoli di
Stato. Ma la cosa, è evidente, non può durare: si tratta di un espediente che
potrebbe essere definito ridicolo se non fosse drammatico. E soprattutto, la
solfa non può continuare: le Banche sono ora piene di titoli di Spagna e Italia
e non possono acquistarne ancora. O ci pensa la Bce, che aveva smesso di
farlo settimane addietro, o i rendimenti cresceranno di molto. Sempre di spazzatura si tratta, e in questo senso torna utile ragionare su quanti, tra gli italiani, sono accorsi tempo addietro a fare incetta dei nostri titoli nella più becera delle truffe dei nostri istituti di credito, con i media complici a sostenere la
cosa: i Btp day, ricorderete. Ebbene, i mercati pensano che siano robaccia e
invece gli italiani vi hanno investito. Poveri loro.
Insomma, i nodi rimandati qualche mese addietro tornano ovviamente al
pettine.
Ma andiamo avanti. Dal punto di vista meramente logico il discorso è, come
accennavamo, ancora molto più semplice, ancora molto più chiaro: la strada intrapresa non funziona, i punti salienti della crisi non sono stati affrontati e anzi i governi dei maggiori paesi in crisi sono andati nelle mani di chi non
poteva che favorire gli attori che nella crisi stessa ci hanno messo e nella
quale continuano a speculare su di noi. Dunque stiamo subendo austerità e
tagli per favorire loro stessi, e la situazione generale non è cambiata e non
può cambiare.Tutte le parole di Monti delle settimane addietro erano fandonie dunque, come era facile capire. Come quando parlava non più tardi di
due settimane fa di "Italia solida e fuori dalla crisi" mentre venivano comunicati i dati della disoccupazione. Insomma allora il nostro spread non scendeva grazie alle misure prese e perché l'Italia era in recupero, ma solo perché le Banche acquistavano i nostri titoli forti del prestito LTRO concesso loro
dalla Bce. Ma i fondamentali economici italiani erano e sono disastrosi: la
recessione aumenta in forze anche al fatto che tutti gli altri indicatori economici non possono che farla aumentare. Disoccupazione in aumento, debito
pubblico crescente, industrie, piccole e medie imprese in crisi o chiuse, e
povertà sempre più diffusa con una pressione fiscale reale oltre il 70% non
possono che farla continuare ad aumentare. E dunque siamo da capo.
Il tutto, ovviamente, tenuto ben nascosto all'opinione pubblica grazie allo
specchietto per le allodole della storia sull'articolo 18 e ora con le vicende
della Lega e dei finanziamenti ai partiti.
Ma gli speculatori, ieri, ci hanno iniziato a picchiare nuovamente, e non sarà
così facile ignorarne i pugni i faccia.
Valerio Lo Monaco
Lavoro da ripensare in toto.
Altro che articolo 18
VENERDÌ, APRILE 6, 2012
anto rumore per nulla. Nel senso che arrivati a questo punto della storia,
ormai le dichiarazioni dei politici, degli esponenti dei sindacati e di quelli di varie altre entità civili e industriali, non è che servano poi a molto.
Decisamente più importanti, influenti, chiarificatrici e definitivi, sono invece i
T
MOLESKINE
dati, impietosi, che arrivano dai vari uffici di statistica e rilevazione. Il punto
non è, come scriviamo da tempo, aumentare o diminuire la facilità di ingresso per i lavoratori nelle imprese o quella di uscita. Il punto è che proprio tutta
l'impalcatura del lavoro, e del modello di sviluppo di cui esso è una estensione, è ormai in via di demolizione.
Anche solo dal punto di vista logico, in una situazione in cui si va in pensione più tardi, molto più tardi, è evidente che per i giovani (che invece in pensione non ci andranno mai) non vi sia più spazio. Così come dovrebbe essere evidente che per creare spazio alle nuove generazioni, il massimo che le
aziende - e il sistema - possano fare è licenziare i lavoratori più anziani, con
stipendi più costosi, e assumere (ove serve, ma ne serve sempre meno) lavoratori più giovani e inclini ad accettare anche posti di lavoro meno e peggio
retribuiti. Non ci sono altre vie, in questo quadro. Solo che le conseguenze
sono terribili in entrambi i casi. Per i più giovani perché in ogni caso con i
lavori attuali, con la flessibilità e i salari ridicoli che circolano, non c'è comunque possibilità per risolversi la vita. Per andare via dalla casa dei genitori, ad
esempio, e iniziare insomma a camminare totalmente con le proprie gambe
così come dovrebbe essere normale. Per i più anziani, una volta licenziati e
non ancora arrivati all'età della pensione, lo scenario più probabile che ci si
aspetta è quello che stanno vivendo gli esodati di questi tempi: nessun lavoro, nessuna pensione. Un limbo terrificante.
A quel punto ci saranno genitori a casa senza denaro e figli al lavoro con stipendi da fame. La "giusta causa", grimaldello dialettico sul quale si è impostata tutta la discussione sulla riforma attuale, è ovviamente un aspetto ridicolo e secondario di tutta la faccenda, perché se la "causa" generale delle
aziende deve essere quella del profitto, è evidente che in questa era di post
industrialismo, di cause per licenziare giustamente ce ne sono e ce ne saranno molte.
Un esempio su tutti: se la Fiat ha un calo pauroso di vendite, e il mercato dell'automobile non può andare avanti in questo modo, nessuna Fiom del
mondo potrà evitare che vengano licenziati i lavoratori. E così in altri ambiti.
Resta da capire - o meglio, i signori del vapore dovrebbero capire e cercare
una soluzione - come faranno a continuare a spremere i lavoratori per arricchirsi nel momento in cui di lavoratori ce ne saranno sempre meno.
Per comprendere il fenomeno lavoro nel suo complesso e cercare delle
argomentazioni risolutive, in altre parole, si devono guardare le cose senza
scendere nel particolare, ma dall'alto, meglio ancora prendendo la rincorsa
a decenni e secoli addietro. Se per anni è sembrato giusto, o quanto meno
non si è combattuto più di tanto (o non in maniera tanto diffusa dal creare
degli effetti) che i mezzi di lavoro fossero privati e che l'unico modo per lavorare per la massa fosse quella di essere schiava salariata, è evidente che
oggi, quando quel modello non funziona più, i ricchi abbiano messo da
parte fortune e possano vivere ancora a lungo di quanto accumulato prima
rispetto alla massa che in mano ha quasi unicamente ancora rate da pagare. Essa, nei fatti, lusingata dalle (false) promesse del "migliore dei mondi possibili", ha quasi unicamente faticato per far arricchire i pochi altri. E oggi ha
poco più di nulla tra le mani.
Discorso trito e ritrito, vero. Eppure l'unico che bisognava - e bisogna - prendere in considerazione per qualsiasi riforma del lavoro, a qualsiasi latitudine
e longitudine. Lottare per piccole parziali vittorie, cavilli, norme di codice,
senza rivoluzionare il concetto stesso generale del lavoro, equivale - oggi - da
una parte a perpetrare nel medesimo errore, dall'altra parte a ottenere, nella
migliore delle ipotesi, poco più, o poco meno, di un pugno di riso.
MOLESKINE
È per questo motivo che lo scontro, lo scenario più probabile del prossimo
imminente futuro, non sarà quello di vedersi fronteggiare maggioranze politiche o corporazioni di vario tipo, ma molto più semplicemente Sud e Nord
del mondo. Il divario tra questi due agglomerati è enorme e insostenibile,
come frutto del nostro sistema sbagliato. Per ora, ancora una volta, sta vincendo il Nord dei soliti pochi noti, che nel momento in cui si rende conto che
il Sud non può più consumare perché il lavoro è finito e il denaro non c'è,
passa alla fase due, ovvero all'esproprio di quanto il Sud, male e con estrema difficoltà, è riuscito a mettersi da parte a fronte di grandi sacrifici: le tasse
sulla prima casa sono il primo visibile atto di questo nuovo scenario. Poi sarà
la volta delle confische.
È insomma di rovesciare il tavolo che c'è bisogno, altro che di discutere sull'articolo 18.
Valerio Lo Monaco
Bossi e gli altri: la colpa è di chi li vota
VENERDÌ, APRILE 6, 2012
iducia tradita? Elettori “in buona fede” che cadono dalle nuvole e scoppiano, metaforicamente o concretamente, a piangere? Non fateci ridere.
Che razza di personaggio fosse Umberto Bossi non lo si deve certo scoprire
ora, e così come in tanti altri casi il punto non è l’eventuale, o probabile, commissione di veri e propri reati. Il punto è che si tratta di individui a dir poco
spregiudicati che stringono un patto perverso con i propri sostenitori: in cambio del potere personale che essi conseguiranno, via via che le loro carriere
li porteranno dalle oscure contese locali agli scranni del Parlamento, o addirittura ai banchi del governo, dovranno garantire a chi li vota una qualche
contropartita, a volte materiale ma più spesso psicologica. Nel caso della
Lega, com’è noto, quest’ultima consiste nella sensazione di addivenire, o
anche solo di avvicinarsi, al sospiratissimo federalismo.
In nome di questo obiettivo, ben presto innalzato a totem al quale inchinarsi e a panacea alla quale tendere con tutte le proprie forze, i leghisti si sono
lanciati a capofitto in un tunnel senza fine: tutti dietro all’Umberto, che in un
modo o nell’altro avrebbe sicuramente portato “i Padani” alla vittoria e al
riscatto, e bando alle discussioni.
Un classico esempio di obbedienza “cieca, pronta e assoluta” di guareschiana memoria. Un’apertura di credito illimitata e ottusa, che demonizza a priori i critici riclassificandoli come pusillanimi, o persino traditori. Una lampante
dimostrazione di ciò che accade quando si viene travolti dal bisogno di
identificarsi in un Capo carismatico, al quale tutto va concesso proprio perché dotato di una superiore e inarrivabile capacità di leadership.
Ribadito che la questione non riguarda affatto il solo Bossi – tanto è vero che
nel centrosinistra è prassi normale acclamare come salvatore della Patria
chiunque prometta un rilancio, in una sconfortante sequenza che ha già inanellato i vari Prodi e Veltroni, e che in futuro potrebbe comprendere anche un
Matteo Renzi – basterebbe ricordare i clamorosi e ripetuti voltafaccia nei
confronti di Berlusconi, per avere la prova provata di una totale mancanza
di scrupoli.
A fronte della quale la cosa più ovvia sarebbe domandarsi se essa sia davvero una “licenza politica”, anziché il riflesso di un’attitudine generale, e
F
MOLESKINE
patologica, a strafottersene di qualunque principio di coerenza e di correttezza.
In altre parole: il soldato che spara sul nemico di turno, o la spia che è pronta a ingannare chiunque fingendosi suo amico, sono davvero delle persone
che agiscono così solo per portare a termine la propria missione? O piuttosto sono individui che prendono a pretesto la guerra, esplicita o strisciante
che essa sia, per dare libero sfogo ai loro istinti di sopraffazione?
Bisognerebbe chiederselo sempre, quando ci si affida a qualche genere di
guida: in che mani ci stiamo mettendo? Qual è la vera natura dell’accordo,
implicito ma vincolante, che andiamo a sottoscrivere? E quale sarà il prezzo
da pagare, soprattutto se non eserciteremo assiduamente le nostre facoltà
di controllo?
L’esperienza attesta che i più se ne fregano. L’ansia di pervenire a una meta
spinge a sorvolare sulle modalità con cui la si consegue, o si tenta di farlo.
Per restare in ambito leghista, Calderoli che partorisce il Porcellum è ritenuto
poco meno di un genio. Un sottile stratega che bisogna rallegrarsi di avere
nelle proprie file.
E pazienza, poi, se lo stesso Umberto Bossi promuove l’ascesa a consigliere
regionale, per cominciare, di un somaro patentato come suo figlio Renzo:
debolezze di padre nei riguardi del suo rampollo malriuscito, invece che arroganze da padre-padrone nei confronti di un intero partito. Nonché di quell’entità ancora più ampia, e celebrata con accenti quasi sacri, che è, o
sarebbe, il “popolo padano”.
Per dirla con il proverbio, si raccoglie quel che si semina. O presto o tardi un
terreno contaminato, e abbandonato a se stesso, non potrà che produrre dei
frutti tossici. Come riporta il Corriere, «“Oggi, alle 14:15, tutti in Bellerio per solidarietà con il capo, mi raccomando”: è l'sms che hanno fatto girare, giovedì mattina, alcuni dirigenti leghisti. L'invito era a raggiungere la sede federale del partito per sostenere Umberto Bossi. Lo stesso appello ai militanti è
stato lanciato giovedì mattina dai microfoni di «Radio Padania» da Giuseppe
Leoni, fondatore, insieme a Umberto Bossi, della Lega autonomista lombarda,
nel 1984.“Dobbiamo stare tutti uniti e vicini al capo”, ha detto Leoni».
Infatti.
Ognuno ha i capi che si merita. E il minimo che si deve pretendere è che,
dopo esserseli scelti all’inizio e averli riconfermati per chissà quanti anni, non
ci si sorprenda delle loro caratteristiche. Soprattutto quando, come nel caso
di Bossi, sono state messe in mostra innumerevoli volte. Esibendole, e con
ciò rivendicandole, come le stimmate del grande leader: che è appunto
troppo grande, per sottostare ad alcun principio inderogabile che ne limiti la
libertà d’azione. O di abuso.
Federico Zamboni
Governano i super-ricchi:
e lo dice anche Repubblica
MARTEDÌ, APRILE 3, 2012
n editoriale da tenere a mente, quello che Federico Rampini ha pubblicato ieri su Repubblica (qui). Chiarissimo fin dal titolo,“Il potere dei
soldi, ecco i padroni del mondo”, e altrettanto netto nel passare da
questa sintesi estrema all’analisi successiva. Che, pur essendo riferita quasi
U
MOLESKINE
esclusivamente alla realtà statunitense, coglie perfettamente una tendenza
assai più ampia. Anzi, generalizzata.
Scrive Rampini, «Il pensatore più emblematico di quest’epoca forse un giorno sarà considerato Ajay Kapur. Non è un politologo né un economista o un
sociologo, è un' analista di origine indiana che decide le strategie della
Deutsche Bank in Asia. Nel suo mestiere precedente, come stratega del
colosso bancario Citigroup a Wall Street, Kapur pubblicò uno studio interno
in cui teorizzava l’avvento di una “plutonomia”: un sistema in cui i ricchi definiscono le leggi, scrivono le regole, dettano l’agenda ai leader del mondo.
Stati Uniti, Inghilterra e Canada per Kapur sono i "modelli" originari di plutonomie nel XXI secolo, come in passato lo furono la Spagna del XVI secolo, l'
Olanda del XVII, la stessa America nei ruggenti anni Venti alla vigilia della
Grande Depressione».
Il grassetto lo abbiamo aggiunto noi, ma il concetto dovrebbe balzare all’occhio comunque. E di fatto, sia pure coi toni distaccati di un articolo che si
astiene dal dare qualsivoglia giudizio di liceità politica o morale, va nell’identica direzione dei cosiddetti complottisti.
I quali, al di là dei singoli episodi (e delle singole esagerazioni/esasperazioni), sono accomunati dal medesimo convincimento: a tirare i fili delle
trasformazioni in corso sono dei potentati economici, che fanno leva sulle
immense quantità di denaro di cui dispongono per orientare l’intera società a loro uso e consumo. In altre parole, ancora più esplicite, la democrazia è solo una facciata – e quindi una truffa – messa lì a bella posta per
nascondere i veri termini della partita, o piuttosto della guerra, che si sta
svolgendo.
Grazie a questo accorgimento, che insieme al mito, simmetrico, della possibilità di informarsi compiutamente attraverso i grandi media è il principale
inganno di cui ci si serve per instupidire le masse, si realizza la premessa
ideale per agire indisturbati a danno dei cittadini: far credere che a decidere siano loro stessi, anziché quella che lo stesso Rampini definisce «l’oligarchia che governa il mondo». E in questo modo, ovviamente, si occultano i veri
rapporti di forza, e ancora prima l’esistenza stessa di schieramenti contrapposti e dalle divergenze insormontabili, da cui discendono le gravissime disuguaglianze che assillano da sempre gli Stati Uniti e che ora stanno stravolgendo anche l’Europa. Come ricorda l’articolo, «I trecentomila americani più
ricchi - che non sono il famoso un per cento, bensì una élite ancora più
ristretta: lo 0,1% - non soltanto si prendono una quota del reddito nazionale
superiore del 50% rispetto a 180 milioni di loro concittadini; ma sono attivamente coinvolti nel governo della nazione per far sì che questi rapporti di
forze non cambino mai. È una delle conclusioni raggiunte dagli studi di
Jacob Hacker e Paul Pierson sulle cause del crescente divario: le diseguaglianze non sono una conseguenza naturale della globalizzazione e del progresso tecnologico che impoveriscono i meno istruiti; per la maggior parte il
divario tra ricchi e poveri è "fabbricato" da politiche fiscali e di spesa pubblica».
Non ci si può aspettare che lo si dica in maniera più drastica, su un giornale come Repubblica. E sarebbe assurdo illudersi che i lettori del quotidiano
ne traggano motivi di ripensamento, e di rifiuto, nei confronti di personaggi
come Mario Monti e lo stesso Obama. Se non altro, però, si può acquisire il
fatto che queste parole siano apparse su una testata tutt’altro che rivoluzionaria, dal suo proprietario De Benedetti in giù: hai visto mai che questa provenienza torni utile, alla prossima discussione.
Federico Zamboni
MOLESKINE
I nemici da identificare: Monti & C.
MERCOLEDÌ, MARZO 21, 2012
È
tutto talmente chiaro, in teoria. È tutto terribilmente confuso, in pratica. Al
punto che, nell’opinione pubblica, non si riesce nemmeno a tracciare
una linea di confine evidente e inequivocabile tra gli interessi perseguiti dal governo Monti e quelli dei lavoratori dipendenti e dei loro familiari, che
per definizione corrispondono anche alla maggioranza dei cittadini. E quindi degli elettori.
Quale sia la direzione in cui si sta andando lo spiega benissimo Valerio Lo
Monaco nel suo articolo di oggi (“Tutti a casa”), e al riguardo non c’è altro
da aggiungere. Quello che resta da fare, invece, è intensificare l’impegno a
suonare l’allarme, da parte di tutti noi che abbiamo capito, e a compiere
ogni sforzo per diffondere la stessa consapevolezza tra quelli che ancora
non l’hanno acquisita.
La massima forma di manipolazione, infatti, è occultare i termini del conflitto
in corso, spacciandone le misure a senso unico per sacrifici che non risparmiano nessuno e che, o presto o tardi, si risolveranno in un vantaggio generale. Napolitano (sempre lui) lo ha detto quasi testualmente lunedì scorso,
durante la commemorazione di Marco Biagi tenutasi a Montecitorio nel
decennale dell’uccisione del giuslavorista che, col suo Libro bianco del
2001, preparò la strada alla famigerata Legge 30 del 14 febbraio 2003: «Mi
aspetto che anche le parti sociali dimostrino che è il momento di far prevalere l'interesse generale su qualunque calcolo particolare. Lo richiedono le
difficoltà del Paese e dei giovani».
Non è vero. Non lo è neanche un po’. Come abbiamo ricordato anche ieri
(qui) la contrapposizione tra vecchie e nuove generazioni, per cui i diritti
“eccessivi” delle prime sono il principale ostacolo all’inserimento e alla crescita delle seconde nel mondo del lavoro, è una colossale menzogna. Che
fa il paio con quella sulle pensioni “insostenibili” e con la sostanziale cancellazione del Tfr, aggiungendosi ai precedenti accordi sul venir meno della
scala mobile. E incardinandosi, perciò, sull’offensiva neoliberista che si è scatenata dagli anni 80 in poi, a partire dagli USA di Reagan e dall’Inghilterra di
Margaret Thatcher.
Ancora prima di stabilire delle forme di lotta, per contrapporsi all’azione di
questo governo, è indispensabile uscire dalla cappa di ipocrisia che la circonda. Il presupposto, per inchiodare alle proprie responsabilità chi appoggia le strategie di Mario Monti, è far comprendere – almeno a chi ne è investito e danneggiato direttamente – che si stanno privilegiando degli interessi precisi, e di vertice, a scapito di tutti gli altri. Detto in maniera più esplicita,
anche se per i nostri lettori abituali sarà superfluo, si favoriscono gli interessi
di quello che una volta si sarebbe definito “il grande capitale”, a danno dei
comuni cittadini. I quali, costretti a vivere del proprio lavoro, devono forzatamente cercarsi un’occupazione all’interno del sistema esistente, piegandosi
alle imposizioni di chi ne tira i fili.
Non c’è bisogno di imbastire chissà quali analisi di carattere macroeconomico, per arrivare al punto. Basta che ognuno si ponga due domande. La
prima è se in futuro sarà tutelato di più o di meno nei confronti dei suoi datori di lavoro (o piuttosto “datori di stipendio”, visto che il lavoro lo danno
appunto i lavoratori). La seconda è chi lo ha condotto a questo esito, dai
partiti ai sindacati e a ogni altra organizzazione che stia promuovendo, o
MOLESKINE
anche solo assecondando, il disegno complessivo. Non solo Confindustria,
su cui è quasi pleonastico puntare il dito, ma anche quelle entità – forze
popolari tramutatesi in potentati oligarchici – come ad esempio i’Alleanza
delle Cooperative, che riunisce le principali associazioni del settore. Il presidente, Luigi Marino, si è affrettato ad accodarsi alla versione corrente: «La
riforma va fatta non perché lo chiede l'Europa ma perché ne ha bisogno
l'Italia. Ci rendiamo conto che sul 18 bisogna conciliare posizioni differenti, in
modo che il premier Monti possa fare il suo road show in Europa».
Ecco a chi va la comprensione di questi capataz di contorno: non ai milioni
e milioni di persone condannate a rifluire in un nuovo proletariato di massa,
ma al presidente del Consiglio. Il quale, povero caro, deve andare a sciorinare i suoi successi all’estero.
Ma la cosa assurda, e inquietante, e decisiva, rimane un’altra. È il fatto che
le vittime predestinate tardino a rendersene conto, ammanettandosi da sole
alla convinzione che tutto ciò sia assolutamente inevitabile. Mentre lo è soltanto se non si ha la lucidità necessaria a identificare i propri nemici e a
denunciarli pubblicamente per quello che sono: gli aggressori che hanno
dato inizio alla guerra. Avviando i bombardamenti a tappeto, sul terreno dei
diritti e del welfare, che preludono ai massacri successivi.
Federico Zamboni
Buon compleanno Occupy Wall Street
GIOVEDÌ, MARZO 22, 2012
È
passato un anno esatto dalla nascita del movimento “Occupy Wall
Street”. Dodici mesi fa facevano la loro comparsa gli attivisti del 99%
contro l’1%, prendendo quasi di sorpresa il sistema con i loro metodi
non-violenti di protesta e i loro presidi nei parchi pubblici. Ne è passata di
acqua sotto i ponti, le iniziative sono state moltissime nel corso dei mesi, alcune chiare ed efficaci, altre più controverse. Sta di fatto che lo spirito ipercritico degli attivisti di OWS si aggira tra la popolazione conformista americana,
con un radicamento tanto più significativo quanto più si radicano e si diffondono la crisi e le sofferenze sociali che vi sono collegate.
Un anno fa le immagini di folle di giovani e meno giovani riunite nel centro
di New York, e tenute energicamente a bada dai poliziotti, fecero il giro del
mondo. Una mobilitazione del genere non si vedeva dagli anni ’60, si diceva,
con un paragone azzardato, perché oggi come allora è una visione decisamente alternativa di distribuzione della ricchezza e di gestione della democrazia a cercare, e ottenere, visibilità. Qualcuno l’ha definita una riedizione
post-11 settembre del movimento “no-global”, un paragone azzeccato limitatamente alla convinzione e alla proposta di “un altro mondo possibile”.
Ma non ci sono più, almeno non in prima linea, le tematiche anti-corporate,
la battaglia contro le multinazionali di ogni genere e contro i loro scagnozzi
nella politica. Stavolta il bersaglio è il sistema bancario e finanziario internazionale. Costituito anch’esso da corporate, ovviamente, e tenuto insieme da
un coordinamento globale più o meno strutturato, ma unico e solo avversario individuato dagli attivisti di Occupy Wall Street, che già nel nome pronunciano alta e forte la propria proposta alternativa. Se si vuole, da questo punto
di vista, l’ispirazione di OWS è più ristretta, quasi egoistica, rispetto ai “no-global”. L’obiettivo diretto non è l’equità nel mondo, ma un modello di esistenza
MOLESKINE
più dignitoso e giusto per ogni individuo, ogni famiglia.
L’oggetto della battaglia è improntato a una forma di “localismo sociale”,
che si contrappone solo indirettamente alla globalizzazione economica e
finanziaria, senza fare della battaglia contro di essa il centro della mobilitazione. Occupy Wall Street sembra, in questo, aver acquisito maggiore
coscienza del fatto che le infamie delle grandi corporate in patria e in giro
per il mondo altro non sono che la punta di un iceberg, la cui base sommersa è costituita dall’intero sistema nel suo complesso.Tenuto insieme e governato da un sistema finanziario impietoso e vorace.
Da lì il cambio di prospettiva. Niente più vetrine di McDonald’s infrante. Non
serve a nulla. Meglio sollevare quella coscienza culturale diffusa che fa cacciare a pedate la stessa multinazionale del panino dalla Bolivia.Tanto, finché
non è l’intero sistema ad essere messo in discussione, le grandi corporate
continueranno a fare utili sfruttando in modo disumano le persone in parti
remote e povere del mondo, e la credulità dei consumatori nel ricco occidente. Dunque: meglio andare al cuore della questione. E le porcate speculative venute alla luce alla fine del decennio scorso hanno reso più facile
capire dove fosse quel cuore.
Lì mira a colpire Occupy Wall Street. Un movimento “liquido”, quindi adeguato ai tempi, capace di sciogliersi qui per ricostituirsi lì, da un angolo all’altro
d’America, su tematiche magari differenziate, ma legate dal comune denominatore della lotta allo strapotere disumano delle banche e della finanza.
Una natura non del tutto contagiosa all’estero: nonostante sembri esserci
una parentela, gli “indignatos” spagnoli, così come gli autori della “primavera araba”, hanno una natura diversa, e agiscono in un contesto diverso.
Tanto da venire sovrastati i primi da una crisi senza precedenti, e i secondi
dal calare sul proprio mondo, che si sperava “nuovo”, della solita cortina di
ferro a stelle e strisce, arrivata sul volo dei missili della NATO.
Fuori dagli USA non sembrano esserci il coraggio e la determinazione che gli
OWS, nella patria natia del cancro che sta divorando il mondo da decenni,
sembrano in grado di esprimere. Forse perché altrove gli apparati repressivi
sono più efficaci, o perché l’idea di una non più rimandabile affermazione di
un’alternativa sistemica non ha ancora attecchito veramente, complice
l’egoismo radicale che nelle colonie USA, come l’Europa, domina in ambito
sociale, quasi più che negli USA stessi.
Fatto sta che OWS, mentre festeggia il primo compleanno tornando a
Zuccotti Park, e tornando a prendere manganellate e subire arresti, rappresenta ad oggi un unicum e un’avanguardia nel panorama mondiale dell’attivismo anti-sistema. Rimane l’incognita sul suo reale potenziale di contagio
fuori dai confini statunitensi. E rimane un auspicio: che Occupy Wall Street
sappia continuare a resistere alle potenti forze che tentano di renderlo inoffensivo cooptandolo nel sistema. Che è poi la strategia americana classica
per fronteggiare i movimenti di protesta interni: se non puoi batterli, comprali. Tanti auguri Occupy Wall Street.
Davide Stasi
MOLESKINE
Boom di suicidi: è il rigetto al sistema
GIOVEDÌ, APRILE 5, 2012
i allunga di giorno in giorno la lista delle persone che si tolgono la vita,
o provano a farlo, per motivi in qualche modo legati alla crisi.
Dall’imprenditore strozzato da debiti al lavoratore dipendente rimasto a
spasso, senza più nulla per sostenere la propria famiglia, passando per l’anziano che si vede decurtata la pensione o il giovane artigiano ossessionato
dai vampiri di Equitalia, fanno sempre più notizia gli atti autolesionisti di tanti
italiani che non ce la fanno più.
L’informazione mainstream si butta a capofitto sulle notizie, subito inquadrate in cronaca, e dunque proposte al pubblico con tutto il corredo commovente del resoconto del suicidio, dei commenti dei conoscenti, della disperazione dei parenti. Robe che a leggerle ti senti fortunato, con i tuoi 800 euro
mensili da lavoratore interinale o la tua pensione da fame. Di uno straccio di
analisi di questo fenomeno sempre più diffuso ovviamente non c’è nessuna
traccia, e tutto viene derubricato implicitamente come un effetto indesiderato, limitato e sostanzialmente irrilevante, delle necessarissime riforme che porteranno il nostro paese e il mondo intero a una nuova età dell’oro.
Quella che, anche se in modo un po’ forzato, può essere considerata l’informazione non mainstream, ossia quella in Rete, declina invece le notizie con
l’ossessività tipica dei mezzi che tendono a rendere simbolico qualunque
fenomeno. Ad ogni suicidio, i social network esplodono di messaggi strabordanti indignazione, corredati da sempre più accorati appelli alla rivolta o
alla rivoluzione.
Ultimamente a circolare di più è la notizia del farmacista greco suicidatosi
davanti al proprio parlamento, dopo aver accusato politici e speculatori di
essere come i nazisti nel 1941. Sul luogo della morte fioccano biglietti che
incitano alla rivolta, e che riecheggiano in Rete con grande virulenza. E che
nella Rete restano poi quietamente confinati.
Poi c’è la politica. E, come sempre in Italia, si tocca il fondo. Da un lato ci
sono personaggi come Di Pietro, che ha imparato da Grillo a trarre ispirazione e consenso proprio dai sommovimenti delle comunità virtuali.
Probabilmente l’ex PM ha ben presente la pioggia di immagini e immaginette che colmano Facebook e altri social network, dove Mario Monti e la sua
squadra sono ferocemente incolpati della recente scia di suicidi.
Difficilmente condivide quel punto di vista, di per sé irrazionale, ma cinicamente coglie l’occasione per dare voce pubblicamente alla pancia della
Rete, sperando così di acquisirne l’apprezzamento e i consensi elettorali.
Dall’altra parte c’è la politica conformista, che non perde occasione per
mostrarsi al peggio. Se per puro caso la questione posta da Di Pietro volesse servire anche a interrogarsi sui motivi profondi dell’impressionante
aumento dei suicidi, gli altri yesmen della politica bloccano ogni possibilità
d’analisi tacciando di folle irresponsabilità il leader dell’IDV. Allo stesso modo
erano state tagliate le gambe a Grillo quando aveva esortato a interrogarsi
su ciò che, a livello sociale e culturale, poteva spingere alcuni a cercare di
far saltare in aria gli uffici di Equitalia. In quel caso, come in molti altri, basta
sventolare lo spauracchio del terrorismo, e tutto viene archiviato, senza colpo
ferire.
Comunque la si guardi, dunque, sussiste un blocco generalizzato che non
permette di inquadrare la questione dei sempre più numerosi suicidi, in Italia
e altrove (in Grecia sono a quota 1.725 in due anni). Eppure c’è un filo rosso
S
MOLESKINE
che lega tutte quelle morti: sono il fenomeno con cui il corpo sociale manifesta il proprio rigetto per il trapianto forzato del sistema di vita discendente
dall’imposizione in economia dei paradigmi del turboliberismo.Tutti gli atteggiamenti riduttivi dell’informazione mainstream, più superficiali di quella
potenzialmente alternativa (Internet), cinici o conformisti di questa o quella
parte politica, servono al sistema per sfuggire a una analisi più approfondita, che parta appunto dal concetto di base: la palese insostenibilità del sistema nel suo complesso.
Nel merito dei singoli casi, è vero che ci sono persone talmente disperate da
togliersi la vita. Non è vero che è colpa di Monti, al quale al massimo si può
attribuire la responsabilità di aver affondato il coltello quanto nessuno mai
prima, per di più con un malcelato compiacimento. Ma soprattutto è vero
che le condizioni e gli stili di vita che da decenni sono stati imposti in modo
crescente alla maggioranza delle persone non sono umani. In un gioco del
genere, la regola è quella di reprimere e soffocare nel disagio le persone,
anche portandole al suicidio, tenendole ben lontane da una presa di
coscienza che il problema è complessivo, e come tale andrebbe risolto.
L’obiettivo è evitare che l’istinto al suicidio, o anche solo all’accettazione
passiva dello status quo, delle persone disperate, si tramuti in consapevolezza della realtà, quindi in rabbia, quindi in azione. In realtà l’aumento della
pressione che i sacerdoti dell’iperliberismo stanno attuando su tutte le
comunità fa parte degli ultimi scossoni di vita di un sistema intimamente
insostenibile. Sono le ultime accelerazioni su un percorso non più percorribile, che le comunità stesse sovvertiranno, proprio nel momento in cui capiranno la reale portata del problema, smettendo di suicidarsi e tramutando la
disperazione in rabbia, da dirigere non più contro se stessi.
Davide Stasi
Produci e consuma. Ma soprattutto crepa
GIOVEDÌ, APRILE 12, 2012
l Fondo Monetario Internazionale scopre le carte e lancia l’allarme: viviamo troppo a lungo. E l’aspettativa è che si viva tutti sempre di più. E questo è un problema a livello finanziario. La longevità delle persone minaccia la sostenibilità di bilancio di gran parte dei paesi, con il rischio di far
esplodere il rapporto debito/PIL di oltre 50 punti percentuali. C’è solo un
modo per evitare questo disastro: aumento dell’età pensionabile, aumento
dei contributi da versare e riduzione del deficit. Misure dure, ma da attuare
in fretta, perché le decisioni prese oggi «impiegano anni per dare i loro frutti».
Senza andare troppo a fondo, il FMI sostiene che l’allungamento delle prospettive di vita rischia di avere ricadute sia sul settore pubblico che sul settore privato: «le implicazioni finanziarie del vivere più del previsto sono molto
grandi. Se nel 2050 la vita media si allungherà di 3 anni rispetto alle attese
attuali, i costi già ampi dell'invecchiamento della popolazione aumenteranno del 50%». I governi, secondo il FMI, sanno questa cosa, ma sono pigri e
lenti, e tendono a non ammettere il problema, la cui soluzione richiede misure impopolari. Inoltre, dice ancora il FMI, gran parte dei paesi manca di educazione finanziaria. Ed è per questo che non prende in dovuta considerazione il problema.
L’allarme del FMI, basato apparentemente su ragionamenti finanziariamen-
I
MOLESKINE
te nitidi, rigorosi e quadrati, va considerato all’interno di un contesto generale. La longevità è da sempre considerata un indicatore del benessere di una
società. Si vive più a lungo, rispetto a nonni e bisnonni, perché c’è più benessere. E nel benessere sono comprese le conquiste tecnologiche e scientifiche
che, specie nella medicina, consentono alle persone di nutrire una maggiore aspettativa di vita. Tutti i paesi occidentali da sempre segnano la propria
distanza con i paesi in via di sviluppo sbandierando questo dato ma, come
al solito, si tratta in buona parte di una falsificazione.
Nei paesi più sviluppati si vive di più, è vero. Ma come? Le roboanti statistiche sui progressi medici disegnano un quadro davvero confortante: la vita è
sempre più al sicuro. E in caso di malattia, anche grave, le possibilità di guarigione sono sempre di più. Ciò che non si dice è che, insieme all’aumento
delle persone che guariscono, c’è un proporzionale aumento delle persone
che si ammalano. L’incidenza di tumori, derivati nella stragrande maggioranza dei casi dallo schifo che respiriamo e mangiamo, è in continuo aumento.
La medicina semplicemente rincorre il male, cercando di tamponare i danni
e di garantire la più lunga esistenza possibile a noi preziosissimi consumatori. Non importa se la qualità della vita, dopo una malattia importante, è pessima e tormentata. L’essenziale, fino a poco fa, era continuare a esistere e a
comprare.
Questo, in linea generale, è vero per le persone che raggiungono una certa
età, dopo una vita dedita sostanzialmente al lavoro, necessario per avere
almeno il minimo sufficiente per vivere e consumare, sotto la pressione della
pubblicità e degli stili di vita nevrotizzanti. Condizioni che di certo contribuiscono, insieme a un ambiente deteriorato e ad un’alimentazione marcia, a
rendere la vita peggiore, a mano a mano che essa avanza. La medicina
interviene a prolungarla il più possibile, consentendoci di continuare a produrre e consumare. Finché non interviene la natura, e allora non resta che
crepare.
Tutto questo era vero, e costituiva un investimento ben bilanciato per il sistema, fino a quando il FMI non ha messo mano ai conti, scoprendo che continuare a dare qualche spicciolo agli anziani non più attivi non è più profittevole. Sono soldi che possono più utilmente essere destinati altrove, anche
perché gli anziani già di per sé sono poco inclini a consumare, e ultimamente ancora meno, esattamente come tutte le altre categorie. La loro vita, in
una parola, è un asset che non rende più. Soluzione: sfruttare il lavoro delle
persone fin tanto che si può, con l’aumento dell’età pensionabile, spremendo loro più soldi possibile, con l’aumento della contribuzione previdenziale.
Sperando che, se poi sono ancora vivi all’età della pensione, non stiano a
zavorrare il sistema troppo a lungo. Insomma, la nuova declinazione del noto
“produci-consuma-crepa”, per chi non può più produrre e consuma troppo
poco, si riduce nel mero “crepa”. Copyright by Fondo Monetario
Internazionale.
L’approccio non meraviglia, per lo meno non chi conosce le logiche che
muovono il FMI e la sua sublime “educazione finanziaria”. Ma l’indignazione
per osservazioni tanto disumane non basta. Occorre fare un passo oltre, e
riflettere sul fatto che il Fondo sta via via diventando il padrone di una parte
crescente di paesi e di aree geografiche, grazie al diabolico meccanismo
dei prestiti finalizzati a restituire i debiti pregressi. A breve sarà lui a dettare
legge un po’ ovunque, ancora più di quanto già non avviene. E, se queste
sono le premesse, non c’è da stare allegri rispetto al futuro.
Alla luce delle osservazioni di oggi, non ci si dovrà meravigliare se improvvisamente la scienza e la tecnica, in particolare la medicina, rimarranno gra-
MOLESKINE
dualmente senza risorse e smetteranno di fare scoperte utili a prolungarci la
vita. Ugualmente, non dovrà stupire se si continuerà a fare scelte scellerate
sull’ambiente e l’alimentazione, o se alle persone verranno imposti ritmi di
vita sempre più isterici e stressanti. L’obiettivo del futuro padrone del mondo,
sempre che qualcuno non si decida a fermarlo, è farci vivere al peggio possibile per il tempo necessario a farci produrre e consumare al massimo.
Crepando poi alla svelta, perché sennò i padroni del vapore rischiano di non
arricchirsi quanto vorrebbero.
Davide Stasi
La Palestina non è uno Stato:
crimini di guerra legittimati
GIOVEDÌ, APRILE 5, 2012
a Corte Penale Internazionale non indagherà sui crimini di guerra
commessi dallo Stato di Israele nell’offensiva contro Gaza
(Operazione ‘Piombo Fuso’, 2008-2009) poiché la Palestina non è
uno Stato pienamente sovrano”: questa la vergognosa decisione del supertribunale vendicatore dei vincitori.
Sono passati tre anni prima che si addivenisse a tale pilatesca decisione
che, grazie ad un basso escamotage giuridico, salva l’onorabilità di Israele.
Il concetto che passa è terribile: se uno Stato non è pienamente tale si possono commettere tutti i crimini di guerra che si desiderano. Poco importa che
oltre 130 nazioni abbiano riconosciuto lo Stato palestinese, insieme ad alcune Agenzie delle Nazioni Unite.
Eppure quando il tribunale ha voluto processare gli sconfitti, da Saif
Gheddafi a Slobodan Milo?evi?, non si è mai tirata indietro, nonostante i loro
crimini non fossero stati compiuti contro Stati pienamente sovrani. Tuttavia,
l’escamotage è facile a trovarsi non solo quando non si vuol processare un
vincitore, ma anche quando si vuole processare un vinto: il crimine diventa
contro l’umanità e questo vale anche per gli affari interni. Quello che è strano, però, è che possano essere processati per crimini di guerra i Presidenti di
Stati pienamente sovrani, come Milan Babi?, Presidente della Repubblica
Serba di Krajina, e anche chi li ha commessi contro di loro, come Ante
Gotovina, proprio contro i serbi di Krajina.
L’acrobazia giuridica usata per non processare i criminali israeliani ha quindi molte falle, visto che nei balcani questa eccezione dello Stato pienamente sovrano non è stata applicata. Acrobazia che costituisce un pericoloso
precedente per la, giustamente, opinabile giurisprudenza ad attitudine della
Corte Penale Internazionale.
Questa decisione della Corte di fatto autorizza i crimini guerra se commessi
contro stati non pienamente sovrani, e, per conseguenza, nel regolare questioni di ordine interno: una buona notizia per Assad, almeno in teoria: nel
suo caso, se sarà sconfitto, un escamotage per vendicare i vincitori lo si troverà.
Ferdinando Menconi
“L
MOLESKINE
Erdogan è “stanco” del libero dibattito
sul genocidio degli armeni
MERCOLEDÌ, APRILE 4, 2012
l premier Erdogan è stufo del fatto che ad ogni aprile, nell’approssimarsi
del 24, il “Giorno della Memoria” armeno, negli USA si apra il dibattito sul
riconoscimento del genocidio degli armeni e che venga richiesto al
Presidente degli Stati Uniti di pronunciare la parola con la “G”, fin qui mai
osata, salvo una volta da Ronald Reagan.
Erdogan è indubbiamente più indispettito del normale dal fatto che più forti
del solito siano le pressioni sul Nobel per la pace, affinché mantenga quanto promesso durante la campagna elettorale scorsa, e che, questa volta,
pare ci sia un reale rischio che Mr President ceda alla verità storica e chiami con suo nome lo sterminio degli armeni: Genocidio.
Il premier turco, che ben potrebbe addossare il crimine alla Turchia di
Atatutrk, le cui conquiste laiche combatte quotidianamente, si ostina nel
sostenere il negazionismo di Stato, e mentre, in Francia, egli lotta contro le
leggi contro il negazionismo in quanto paladino musulmano della libertà di
espressione, pretende di limitare questa, oltre che in Turchia, anche negli USA
dove chiede ad Obama di evitare che “deputati e senatori si prendano per
storici” e riconoscano, come tale, il genocidio che aprì la lista di tutti i genocidi moderni.
Contemporaneamente ha la sfrontatezza di accusare Erevan di non voler
risolvere la questione del Nagorno Karabagh, dove gli armeni, che, per usare
un parallelismo di rivolta caro a Erdie, possiamo definire i palestinesi
dell’Azerbaigian, sono riusciti a liberarsi dei loro coloni e ad abbattere i confini artificiali voluti da Stalin.
In aggiunta a ciò ha dato corso ad un’offensiva di propaganda artisticomediatica che vuole far passare il messaggio che gli armeni erano dei traditori dell’Impero Ottomano e, quindi, “se la sono voluta” durante la prima
guerra mondiale. Certo gli armeni non erano amici del loro oppressore,
avrebbero volentieri sostenuto il liberatore russo, ma, similitudine facile e calzante, sarebbe stato come se gli austriaci avessero sterminato tutti gli italiani, sotto il loro dominio, durante la stessa guerra: combattere con determinazione è una cosa, sterminare donne e bambini, dopo i maschi adulti, è altra
cosa, e si chiama, appunto, genocidio.
In linea col mai tramontato desiderio di egemonia etnica, ma indegno e
contraddittorio con l’immagine democratica che il partito islamico di Erdie
cerca di darsi, è stato il suo esprimere insoddisfazione perché vengono ricostruite e, orrore, riaperte al culto chiese medievali armene nella zona di Van,
là dove gli armeni furono sostituiti dalla manovalanza del genocidio curda,
che adesso però, in quanto non turca e seppur musulmana, dovrebbe essere cacciata a sua volta. Questa è la libertà che Ankara pratica in patria,
mentre esige che l'occidente rispetti, in suo nome, il dogma negazionista.
Libertà di espressione e di parola che non esiste in Turchia ma che Erdogan
esige esista in Francia: questa è la scusa con cui il governo di Ankara pretende il silenzio o l’accettazione della sua “verità” storica. Proprio in reazione a
questa arroganza, cui la Corte costituzionale francese ha dato vergognosa
soddisfazione, e all’uso strumentale dei “principi dell’89” da parte di
Erdogan, sia Sarkozy che Hollande, pur avversari nella corsa all’Eliseo, hanno
rilasciato inequivoche e orgogliose dichiarazioni di volontà, tali da far sperare che non si estinguano con la fine della campagna elettorale, di voler
I
MOLESKINE
avere in Francia una legge che tuteli il genocidio degli armeni come quello
degli ebrei, modificando la legge, votata e annullata da sentenza, in modo
che, pur punendo chi insulta la memoria di un’infamia, permetta quel dibattito fra storici (che invece è represso nella Turchia che ipocritamente lo invoca).
Erdogan sta sbagliando tattica nel suo rumoroso e borioso difendere la vergognosa indifferenza che avvolge la tragedia subita dal popolo armeno: ha
aiutato la grancassa mediatica e rotto la congiura del silenzio. Il colpo finale rischia, però, di arrivargli dal cinema: Steven Spielberg sta digitalizzando
una quantità impressionante di filmati originali sul genocidio, confermando
così che il suo “Shindler list” sul Metz Yeghern si farà ed il mondo saprà cosa
accadde in Armenia Occidentale. Si indignerà in maniera adeguata, sconfessando finalmente le parole di Hitler sul “chi si ricorda il massacro degli
armeni?”.
Ferdinando Menconi
Siria: il vittimismo ribelle canta vittoria
GIOVEDÌ, MARZO 22, 2012
na premessa è doverosa, per non essere fraintesi o strumentalizzati:
quello di Assad è un regime tirannico, sanguinario e indifendibile. Ciò
detto, però, si può senza timore affermare che altrettanti difetti hanno
coloro che lo vogliono abbattere, con le armi e il piagnisteo, cosa che
aggiunge ipocrisia alla violenza.
I “ribelli”, infatti, già cantano vittoria e considerano che il regime abbia i giorni contati: aspettano solo armi in sufficienza per abbatterlo. E queste armi
stanno arrivando, dall’Arabia Saudita, che non le produce, ma che le paga
e le importa dall’occidente cristiano per poi convogliarle attraverso un
paese sotto ricatto: la Giordania. I “civili” pronti ad irrompere in Siria per
abbattere il regime sono, a seconda delle fonti preferite, fra i 4 mila e gli 80
mila: un divario che fa impallidire i soliti duelli questura-organizzatori, ma
sono comunque sicuramente molti.
Interessante notare, però, che quando si tratta di truppe che attendono armi
si tratta di fieri insorti, mentre se si deve denunciare che Assad è un criminale, che ha minato il confine, tutti costoro diventano improvvisamente profughi: vittime dello scellerato atto repressivo messo in opera dal regime.
Delle due l’una: o il governo ha minato il territorio per legittimamente difendere lo Stato da una invasione dall’estero, o si tratta una indegna azione per
falcidiare dei profughi in fuga, che per quante armi arrivino non sapranno
come usarle. In realtà esisterebbe anche una terza, impronunciabile, opzione: quella di milizie straniere addestrate - la Turchia lo sta facendo coi libici di stanza alla frontiera e pronte ad invadere la Siria, che l’Arabia avrà rifornite a sufficienza di armi cristiane.
Intanto, mentre i media passano i proclami baldanzosi dei ribelli, questi
fanno passare alle agenzie, che riforniscono i medesimi media, un cinico
piagnisteo sulle vittime, che ci sono e molte, ma che andrebbero verificate,
attribuite e, soprattutto, rispettate e non strumentalizzate. I caduti, stando a
fonti embedded, dalla parte di Assad sono 1027 e, caso strano, tutti militari
(verrebbe cinicamente da chiosare magri risultati) mentre dall’altra parte i
“civili uccisi negli scontri” sarebbero oltre 10 mila, di cui 1500 fra donne e
bambini. I “civili uccisi negli scontri”: naturalmente non viene specificato da
U
MOLESKINE
chi siano stati uccisi tutti, ma è sottointeso che a farlo sia stato il criminale
Assad (che criminale è, sia chiaro) nonostante le recenti autobombe, di
marca “Al Qaeda©”, abbiano fatto immonde stragi di civili veri, ma che, probabilmente, essendo o sciiti o supporter dell’infame, non contano come tali.
Quello che stupisce di più, però, è come non vi sia un solo miliziano ribelle
fra le vittime: eppure costoro vantano di essere in tanti e pronti (vedi i numeri sopraccitati) ad abbattere il regime, ma come succede che scompaiano
dalle liste quando si contano le vittime? Che siano fuggiti in attesa delle armi
veicolate dalla Mecca? O che le cifre siano strumentalmente mistificate?
Siamo di fronte alla più sporca ed ipocrita guerra di cifre che la storia delle
guerre abbia mai conosciuto, comprese le guerre civili, come tale è quella
in corso attualmente in Siria, anche se così è vietato chiamarla dalla propaganda ufficiale, la quale ha bisogno che esista l’ossimoro di decine migliaia di patrioti determinati che però sono, a seconda della bisogna, anche civili indifesi.
Una serie di menzogne così palese, che solo un’enormità di distratti umanitaristi è disposta a bersele.
Ferdinando Menconi
Autorevolezza ONU?
Solo se fa comodo, e se non va contro Israele
MARTEDÌ, MARZO 27, 2012
entre si moltiplicano gli sforzi per raggiungere una risoluzione ONU
sulla Siria, che sia vincolante per Assad, grazie all’autorevolezza dell’organizzazione, gli stessi che la esigono contestano e delegittimano il palazzo di vetro, come vota in senso contrario ai loro desiderata: i diritti
dell’uomo si vorrebbe valessero, invece, anche in Israele.
L’attacco alle Nazioni Unite si è puntualmente ripetuto come il Consiglio per
i diritti dell’uomo ha dato il via libera ad una missione di inchiesta, che verifichi il rispetto dei diritti umani nelle zone della West Bank dove si moltiplicano gli insediamenti ebraici. Fra le ultime, delle molte, violazioni riscontrate, vi
è l’occupazione dei pozzi da parte dei coloni che ne impediscono l’uso da
parte dei palestinesi, e in quelle zone aride, dove l’acqua è preziosa come il
petrolio, se non di più, i pozzi sono essenziali per l’irrigazione e l’allevamento,
nonché, in ristretti casi, anche per il consumo umano.
Questa dei pozzi è solo la punta dell’iceberg delle violazioni compiute in una
dilagante occupazione, che è già di per sé illegale, ma, ora che l’ONU ha
deciso di attivarsi a tutela dei palestinesi, si leva la voce sdegnata di Israele,
naturalmente spalleggiata dagli USA, cui va aggiunta la vile acquiescenza
italiana, che si è manifestata in una pilatesca astensione al momento del
voto.
La dichiarazione con cui Netanyahu ha reagito al voto sulla missione umanitaria è un insulto all’ONU:“E’ un Consiglio ipocrita con maggioranze automatiche contro Israele”. Naturalmente neppure l’ipotesi di pensare che, se le
maggioranze sono costantemente contro Israele, e in maniera schiacciante
(36 voti contro 1 e 10 astensioni), forse lo Stato ebraico qualche colpa possa
averla e che anche lui, non solo gli “altri”, possa violare i diritti umani.
Il Premier israeliano, però, non si è accontentato ed ha rincarato la dose con
un “Questo Consiglio dovrebbe vergognarsi di se stesso”, mentre forse
M
MOLESKINE
dovrebbe fermarsi a riflettere se non è piuttosto Israele a doverlo fare, visto
che si indigna quando gli viene chiesto, essenzialmente, di “adottare e implementare” misure efficaci per prevenire le azioni di violenza da parte dei coloni: il terrorismo non solo palestinese nella West Bank.
Gli USA che tanto si scandalizzano come i diritti umani sono violati, ma solo
quando a farlo sono Stati che non sono nella loro lista di amici, hanno commentato dicendo che “passi come questo non servono per portare a una
pace duratura”, che forse loro interpretano possibile solo con la scomparsa
dei palestinesi: una visione uguale e contraria a quella che l’Iran ha di
Israele. Due posizioni estreme ed inaccettabili nella stessa misura.
Non sono, invece, misure come questa del Consiglio per i diritti umani ad
“allontanare le parti” in conflitto, come sostengono a Washington: a farlo
sono proprio le sistematiche chiusure statunitensi e le mancate applicazioni
israeliane come l’ONU mette in discussione la politica di Tel Aviv.
Un sottoprodotto di questa continua delegittimazione dell’ONU, quando
richiama Israele al rispetto del diritto, è minare alla base la credibilità dell’organizzazione quando si tratta di risolvere conflitti o far rispettare i diritti umani
in altre parti del globo, specie in medio oriente.
Se Israele non rispetta mai le decisioni delle Nazioni Unite, anzi ne contesta
sistematicamente la legittimità stessa, come si può pretendere che altri lo
facciano?
Ferdinando Menconi
Islanda e Ungheria mandano alla sbarra
i politici che li hanno mandati in default
MARTEDÌ, MARZO 20, 2012
n Islanda c’è il primo caso di ex primo ministro alla sbarra con l’accusa di
colpevole default: Geir Haarde è stato incriminato per negligenza – un
evidente eufemismo per dire connivenza - nel mandato 2006-2009. Che è
come dire ieri. Nessuna scusa, nessun rinvio a future storicizzazioni che fan
passare tutto in cavalleria: uno degli artefici della catastrofe finanziaria della
piccola isola dell’Atlantico verrà giudicato da un regolare tribunale. Del resto
la legge, se non serve il popolo, che razza di legge è?
Non che sia l’unico, intendiamoci. Ma in ogni caso non stiamo parlando di
un capro espiatorio, perché gli islandesi hanno saputo sollevarsi dal pantano di cui, come tutti i beoti votanti democratici occidentali, erano stati essi
stessi corresponsabili. Proprio dal 2009 è cominciata quella silenziosa, silenziata, pacifica ma determinata e agguerrita “rivoluzione” che, tramite referendum, cambi di governo e un’assemblea di rifondazione costituzionale, ha
ridato ai 300 mila isolani la sovranità economica e la libertà politica, ripudiando il debito con le banche estere, nazionalizzando quelle di casa propria e uscendo dal meccanismo usuraio del Fmi.
La gente d’Islanda, insomma, si è riscattata. E ora, giustamente, chiede giustizia a chi l’ha governata vendendo il paese alla finanza. La tesi accusatoria è che l’ex premier non ha esercitato nessun controllo sui banksters che
saccheggiavano la ricchezza nazionale, nascondendo la verità all’opinione pubblica. La pena è tutto sommato molto inferiore a quella che, personalmente, mi sentirei di dover infliggere a un politico corrotto di tal fatta: appena due anni di gattabuia. Ma importante, nel contesto internazionale di per-
I
MOLESKINE
donismo minimizzante e assolutorio verso chi questa crisi l’ha provocata e ci
ha mangiato, è la valenza simbolica del processo. Fra parentesi, ridicola la
difesa di Haarde: «Nessuno di noi a quel tempo capiva che c´era qualcosa
di sospetto nel sistema bancario, come è diventato chiaro adesso», ha detto
al giudice. Meglio passare da cretini che da criminali, vero? Questi politicanti con la faccia come il culo…
È interessante notare che nell’orbe terracqueo esiste un altro Stato con un
governo deciso a fargliela vedere ai predecessori complici dell’usurocrazia
bancaria. È la tanto vituperata Ungheria, in cui l’anno scorso il premier locale, Viktor Orbán, ha presentato un disegno di legge per trascinare sul banco
degli imputati i tre leader socialisti, Peter Medgyessy, Ferenc Gyurcsany e
Gordon Bajnai, che dal 2002 al 2010 hanno portato il debito pubblico dal 53
all’80% del Pil, mentendo sapendo di mentire sulla situazione dei conti.
Nell’Europa beneducata e manovrata a bacchetta dalla troika Ue-Bce-Fmi,
Orbán viene dipinto come un pericoloso despota fascista (è invece un
nazional-conservatore: discutibile finché si vuole, ma trattasi di destra nazionalista vecchio stampo, e perciò non allineata al pensiero unico global ed
eurocratico come invece sono le destre liberal-liberiste stile Sarkozy,
Berlusconi e compagnia).
Budapest, in realtà, sia pur “da destra”, sta seguendo lo stesso schema di
liberazione che Rejkyavik sta conducendo “da sinistra”: riconquistare l’autodeterminazione e chiedere il conto ai responsabili della rovina. Il solito
Corriere della Sera, quando nello scorso agosto uscì la notizia della proposta di legge, commentò con Giorgio Pressburger che il diritto non può essere retroattivo, e condì il tutto con un prevedibile, stantìo spauracchio del ritorno all’eterno fascismo. Oh bella: adesso non si può introdurre un nuovo reato
se questo inguaia i servetti del sistema bancario mondiale? Cos’è, lesa maestà finanziaria? E gli islandesi cosa sono, tutti fascisti anche loro? Come sempre penosi, gli avvocati difensori dell’associazione a delinquere altrimenti
nota come speculazione.
Alessio Mannino
Ustica: la sentenza infinita
MARTEDÌ, MARZO 20, 2012
a prima sezione civile della Corte d'appello di Palermo ha sospeso l'esecutività della sentenza che imponeva un risarcimento di oltre cento
milioni, anche con Buoni del Tesoro, a carico dei ministeri della Difesa e
dei Trasporti, per i familiari delle vittime della strage di Ustica del 1980.
Sono passati 31 anni da quando l’aereo di linea della compagnia aerea
Itavia che viaggiava tra Ustica e Ponza si squarciò in volo causando 81 vittime dando inizio a uno dei casi irrisolti più controversi del Paese. Sul caso esistono migliaia di cartelle di atti per circa un milione e mezzo di pagine e
quasi trecento udienze processuali. Nonostante ciò ancora non si arriva a
una sentenza univoca, che riveli le cause e le responsabilità dell’accaduto.
Non solo, più passa il tempo più il mistero Si infittisce, fornendo materiale per
una vero noir militare. Le ipotesi più accreditate parlano di missili sparati per
errore da un caccia straniero impegnato in un’esercitazione Nato, o di collisioni con lo stesso velivolo statunitense o francese o, ancora, libico. Ma le
morti sospette successive all’accaduto, un processo per presunti depistaggi,
i vari ricorsi e le inchieste sempre nuove nate da dichiarazioni tardive di per-
L
MOLESKINE
sonaggi che all’epoca dell’accaduto occupavano posizioni che non permettevano loro di parlare, hanno dato alla strage di Ustica un senso di indeterminazione che non permetterà presumibilmente di conoscere mai a
fondo la realtà dei fatti di quel 27 giugno.
Anche per il risarcimento bisognerà aspettare ancora, almeno fino al 15 aprile 2015, quando La Corte d' appello deciderà se confermare o meno il verdetto. Al di là dell’accaduto, infatti, già a settembre 2011 i ministeri della
Difesa e dei Trasporti sono stati condannati al risarcimento perché responsabili di non avere garantito la sicurezza del volo e avere negato ai familiari
chiarezza e verità sul disastro. Ora, quel verdetto è stato impugnato per essere sottoposto a approfondite verifiche, soprattutto perché lo Stato avrebbe
difficoltà a reperire i 110 milioni previsti per ciascun familiare.
Daniele Osnato, legale di 68 delle 81 parti in causa, se l’aspettava. «La
sospensiva è in un certo senso comprensibile vista l'estrema importanza della
somma», ha infatti commentato. Oltre il danno, la beffa: chissà se, e il dubbio
è più che lecito, nel 2015 lo Stato Italiano, se non avrà dichiarato bancarotta,
avrà i soldi per risarcire le vittime ancora in vita di questo caso infinito.
A quella data, in ogni caso, saranno passati 35 anni dai fatti. Ogni altro commento è superfluo.
Sara Santolini
Costi e rischi legati ai cambiamenti climatici:
intervista a Sergio Castellari
GIOVEDÌ, MARZO 29, 2012
econdo un rapporto della tedesca Munich Re, a causa dei cambiamenti
climatici il costo dei disastri naturali che hanno investito il pianeta Terra nel
2011 è stato di quasi 300 miliardi di euro: il doppio rispetto al 2010, ed oltre
tre volte tanto rispetto al 2005, quando l'economia mondiale ha dovuto sborsare circa 90 miliardi di euro.
Fra i motivi di questa impennata delle spese da sostenere vengono evidenziati
il disastro giapponese, l’aumento della popolazione mondiale, la crescita della
complessità e quindi del costo delle infrastrutture. Ma soprattutto i cambiamenti climatici, a cui è legata la maggior parte degli eventi registrati come catastrofici.
La “scottante” questione della gestione del rischio degli eventi estremi climatici
ha spinto infatti anche il del Comitato Intergovernativo per i cambiamenti climatici (IPCC) a pubblicare un rapporto proprio su questa tematica. Il rapporto
"Managing the Risks of Extreme Events and Disasters to Advance Climate
Change Adaptation" sarà reso pubblico entro questo mese, ma intanto è già
disponibile una sintesi qui. Ne parliamo con il dottor Sergio Castellari, referente
italiano dell’IPCC e ricercatore presso il Centro Euro-Mediterraneo per i
Cambiamenti Climatici.
È il momento di fermarsi a riflettere sull’irresponsabilità umana? Se sì, cosa
pensa che blocchi i leader mondiali dal muoversi concretamente verso la
lotta al “climate change”?
La negoziazione internazionale sul tema dei cambiamenti climatici è molto
complessa e avviene principalmente nell'ambito della Convenzione Quadro
dell'ONU sui cambiamenti climatici (UNFCCC) che ha avuto l'ultima sessione in
dicembre a Durban (Sudafrica). Infatti negoziare su tematiche come la mitiga-
S
MOLESKINE
zione (prevenire gli effetti degli impatti dei cambiamenti climatici mediante la
riduzione delle emissioni dei gas-serra e del particolato aerosol) e l'adattamento (far fronte sia agli impatti in corso. che a quelli futuri che devono essere anticipati) implica negoziare su politiche socio-economiche e tecnologiche.
In Italia, invece, qual è la situazione a livello di danni provocati da eventi
legati al clima?
Ci si aspetta che nei prossimi decenni la regione mediterranea, e in particolare la nostra penisola, dovrà far fronte ad impatti dei cambiamenti climatici particolarmente negativi, i quali, combinandosi agli effetti dovuti alle pressioni
antropiche sulle risorse naturali, fanno di questa regione una delle aree più vulnerabili d’Europa. Le situazioni nazionali più critiche sono: le risorse idriche e le
aree a rischio di desertificazione; l’erosione e le inondazioni delle zone costiere
e l’alterazione degli ecosistemi marini; la regione alpina e gli ecosistemi montani, con la perdita di ghiacciai e di copertura nevosa; le aree soggette a rischio
idrogeologico e, in particolare, l’area del fiume Po.
Oltre alle emissioni di gas serra in atmosfera, non pensa che, soprattutto se
ci si riferisce al contesto italiano, il problema sia anche quello di una “mala
gestione” del territorio (penso ad esempio alla Liguria o alla Sicilia nei mesi
scorsi)?
Sicuramente quando si parla di impatti degli eventi estremi, in particolare di
impatti di eventi intensi di precipitazione, bisogna sempre tenere conto della
vulnerabilità del territorio in questione che dipende anche dal dissesto idrogeologico.
Pensa si possa invertire la rotta entro la metà di questo secolo?
È tecnicamente possibile, e seppure non si sa una data precisa oltre la quale
si possa parlare di un punto di non ritorno, è assolutamente opportuno prendere delle misure che ci facciano cambiare rotta in termini di emissioni di
gas climalteranti.
Quali soluzioni pensa siano le più appropriate per ridurre la portata dei cambiamenti climatici?
In ambito della Unione europea ci si è posti l'obiettivo di attenuare l'impatto dei
cambiamenti climatici limitando l'aumento della temperatura media del globo
a 2°C rispetto ai livelli dell'epoca preindustriale.Al fine di realizzare questo obiettivo bisogna avviare una considerevole riduzione delle emissioni di gas serra,
come stabilito dal Consiglio europeo del marzo 2007. Purtroppo alcuni effetti
dei cambiamenti climatici sono ineluttabili e comporteranno impatti significativi legati, tra l'altro, all'aumento delle temperature, alla alterazione dell'andamento delle precipitazioni, alla riduzione delle risorse idriche e all'aumento
della frequenza di eventi estremi. Le misure di mitigazione devono pertanto
essere accompagnate da misure di adattamento destinate a far fronte a questi impatti. L'adattamento deve riguardare sia i cambiamenti in corso sia i cambiamenti futuri che devono essere anticipati.
Non pensa sia giunto anche il momento di rivedere il nostro modello di sviluppo?
Molti settori economici che dipendono dalle condizioni climatiche potranno
risentire delle conseguenze dei cambiamenti climatici, in particolare l'agricoltura, la silvicoltura, la pesca, il turismo e la sanità. Anche il settore dell'energia e del consumo energetico ne risentiranno, in particolare nel settore idroelettrico oltre al maggiore consumo di energia elettrica legata all'uso
di sistemi di condizionamento in estate. Quindi rivedere il nostro modello di
sviluppo potrà portare sicuramente effetti benefici sia al sistema climatico
che alla nostra società.
Andrea Bertaglio
MOLESKINE
I N T E R V I S TA
Intervista
Matteo Simonetti
L
di Fiorenza Licitra
a Sua opera riporta testualmente passi tratti da fonti ebraiche dimostrazione che i “pregiudizi antisemiti” trovano
piena corrispondenza negli stessi autori da Lei citati, tanto
che si potrebbe tacciarli di antisemitismo
In effetti il titolo del libro a questo allude. Se si dovesse accusare oggi di antisemitismo chi sostiene che certi pregiudizi non sono poi del tutto pregiudizi,
si dovrebbe condannare la stessa Hannah Arendt e con lei Sigmund Freud,
Gershom Scholem, Ernst Bloch e tutti gli altri protagonisti del mio saggio.
Sono gli stessi pensatori ebrei a comunicarci che la fondatezza di tali posizioni è plausibile, e lo fanno in due modi: il primo è denunciare essi stessi i
lati negativi dell'ebraismo e del sionismo, come fa la Arendt con il nazionalismo ebraico e l'attaccamento al denaro; il secondo è avvalorare i giudizi
negativi espressi dai Goym sugli ebrei con la rivendicazione di certi comportamenti e certe posizioni. Questo secondo punto vale per l'accusa di separatismo, di odio nei confronti degli altri, per l'asserito senso di superiorità
ebraico che Freud, ad esempio, conferma. In questo testo la mia presenza è
davvero minima e lascio volentieri il campo esclusivamente ad autori ebrei,
limitandomi a raccogliere in maniera sensata e organica il loro pensiero e a
trarne a volte delle conclusioni logiche che rimarrebbero celate. Ricordo
comunque, a scanso di equivoci, che il tema del saggio è la cultura ebraica
in generale e ciò che emerge non può essere in nessun caso addossato,
come colpa, responsabilità eccetera, a singoli individui di etnia o religione
ebraiche. E' come operare una critica sulla cultura americana o sulla visione del mondo tedesca: questo è possibile mentre se lo si fa con gli ebrei si
incorre in minacce di scomunica, quando va bene. Questa anomalia deve
cessare.
La definizione di “antisemitismo”, fatta erroneamente equivalere ad antiebraismo, non fa che confondere fino a emarginarne la reale comprensione. E’ in qualche modo voluta tanta imprecisione semantica?
Bisognerebbe prima dire che si può essere contrari ad un'idea o ad alcuni
suoi aspetti, senza essere per questo “anti”quell'idea, nutrire cioè un'avversioLA VOCE DEL RIBELLE
IL RIBELLE.COM
ne a priori. Utilizzare il suffisso “anti” come la particella “fobia”, come si fa nei
concetti di omofobia e xenofobia, è già un mettersi al riparo da critiche che
potrebbero essere fondate. E' un comportamento questo che Theodor
Adorno adopera continuamente e teorizza apertamente. Detto questo, sì,
l'equivalenza di antisemitismo ed antiebraismo è in gran parte voluta ed ha
una triplice finalità: da un lato impedire la ricerca storica su fatti essenziali
del '900; dall'altro fungere da copertura geopolitica ai misfatti israeliani nel
Vicino Oriente e da ultimo impedire che venga alla luce la trama dell'elite
ebraica che opera nell'occidente. D'altronde, una delle caratteristiche dell'ebraismo, come Scholem testimonia, è il culto dell' “attore dietro le quinte”,
vero protagonista dell'attualità politica, economica e militare che ci investe
come cittadini occidentali. Nel mio libro, tra l'altro, do ampio spazio alla critica di un testo di Pierluigi Battista, che incorre continuamente nell'errore di
confondere antisemita ed antiebraico.
L’Olocausto, vissuto come evento pseudo-teologico, diviene incontestabile proprio perché capovolge il consueto revisionismo storico in contraffazione ideologica?
Non sono né uno storico né tanto meno uno storico dell'Olocausto, pur
essendo conoscitore dell'argomento, quindi non sono in grado di pronunciarmi sull'esattezza della ricostruzione uscita dal processo di Norimberga.
Mi sembra però che, come tutte le verità uscite da luoghi ove il diritto della
forza si sostituisce alla forza del diritto, difficilmente possa avvicinarsi al vero.
Credo che sia importante però, rilevare come, sia idealmente che,purtroppo,
giuridicamente, la “verità indubitabile” dell'Olocausto, unica certezza rimasta
in piedi in un mondo relativista (che proprio i pensatori relativisti ebraici
hanno forgiato) sia un pessimo unicum. Come rileva Mutti nel saggio introduttivo che apre il mio libro, l'Olocausto non è mai entrato nella storia ma è
rimasto nel mito, nel dogma se vogliamo, e questo è certamente un male. E'
vero che, così come l'accettazione acritica dei dogmi olocaustici ha finalità
politiche, allo stesso modo il revisionismo può essere, e spesso lo è, arruolato
agli stessi fini da chi intende rivalutare l'operato nazionalsocialista. E' per
questo, per pura fame di conoscenza, che aspetto con impazienza che uno
degli storici “sterminazionisti”, ad esempio la Pisanty, accetti di confrontarsi in
un dibattito-fiume, ovviamente pubblico, con uno dei “negazionisti”, ad
esempio Mattogno.
Yahweh si rivela storicamente e, a dire dello stesso Bloch, sarà proprio il
popolo eletto il “gran manovratore della storia”. E’così che il messianismo
ebraico si svela ineluttabilmente legato al progresso universalista che
renderà il mondo come “deve essere”?
I nessi tra progressismo rivoluzionario ed ebraismo sono tanti e si intrecciano
tra loro. Uno dei cosiddetti pregiudizi antisemiti recita che dietro ad ogni rivolta verso ogni ordine ci sia l'anima ebraica e devo dire che proprio tale indagine è il tema cruciale del mio libro, sia a livello storico che filosofico, e che
ad essa sono dedicate molte pagine. Qui vorrei sottolineare solamente che
alla base del messianismo c'è la mancata accettazione del reale e della
gioia che lo pervade, nei suoi aspetti anche tragici. La contrapposizione tra
la visione del mondo greca fino a Platone, che fa di tale accettazione il
punto chiave, come Nietzsche insegna, e quella ebraica della Torah intera, è
totale. L'ebreo dell'antichità soffre e nell'impotenza della lotta allo scoperto,
elabora due strade: una è la certezza “religiosa” del riscatto futuro,l'altra è la
tecnica del dominio occulto, attraverso il quale realizzare il riscatto già su
LA VOCE DEL RIBELLE
IL RIBELLE.COM
questa terra. Nel potenziamento di quest'ultima strada, giocano un grande
ruolo le correnti mistiche frankiste e sabbatiane.
L’ereditario complesso di colpa nei confronti della Shoah fa sì che
l’Europa acconsenta passivamente a ogni violazione commessa dallo
Stato di Israele. Crede che riusciremo mai a elaborare il lutto e come?
Qui non si tratta né di senso di colpa né di lutto, per lo meno non per quanto riguarda la mia generazione e quelle ad essa successive. Ormai la Shoah
è un'entità cristallizzata e al suo posto, se fosse sottolineato con la stessa insistenza ed univocità, con la stessa puntualità enfatica, avrebbe lo stesso effetto qualsiasi altro simbolo. Si tratta esclusivamente di potere, che si concretizza nel rapporto con il suo suddito attraverso il controllo mediatico e la manipolazione della informazione. Lei dice bene “ereditario” ma a passare di
generazione in generazione non è il tema della Shoah ma la tendenza a credere alla facciata, a non approfondire per proprio conto, a non riflettere sulla
legittimità di ciò che ci viene “gentilmente proposto” dall'elite che ci sovrasta, che sia esso la natura della moneta o la finzione della democrazia.
Questo è stato il tema del mio precedente saggio,“Demonocrazia”, edito per
la Solfanelli. Per quanto riguarda Israele non c'è dubbio che, anche a detta
degli stessi ebrei, quello stato nasca “come risposta all'antisemitismo” e che
la Shoah,l'unicità di essa soprattutto, minimizzi la Nakba palestinese e renda
improbabili, agli occhi degli sprovveduti, comportamenti di sopraffazione da
parte del popolo perseguitato per eccellenza.
Il sionismo è un’ideologia messianica e colonialista non semitica, ma
occidentale?
Così ad esempio ritiene la Arendt, la quale sostiene che la parte “buona” del
sionismo, quella socialista, sia ad un certo punto della storia di Israele, capitolata a vantaggio del bieco nazionalismo,tanto più violento quanto sostenuto dai potentati economici trasferitesi negli Usa. Non a caso il sionismo
ammirava nazionalismo e fascismo, con i quali collaborò e ai quali si
rifece,anche stilisticamente, per il loro nazionalismo e statalismo. Per altri
versi però il sionismo affonda le sue radici in elementi del tutto presenti nella
cultura ebraica più antica, come il tema del Grande Israele, l'idea della Terra
Promessa, del Popolo Eletto ed altri squisitamente ebraici. Ora, come prima
accennavo a proposito delle correnti mistiche e cabalistiche, il Messia che
Israele attende non vi è dubbio che si sia incarnato nello stesso Stato
d'Israele,il quale quindi diventa il punto di riferimento supremo, in una sorta
di secolarizzazione della cultura ebraica che mantiene saldi Talmud e
Cabala, dimenticando quanto nella Torah scritta poteva opporsi a tale visione esclusivista dell'universo.
Ritiene che il cosiddetto antisemitismo sia un fenomeno utile al sionismo?
Già esponenti del sionismo lo ammisero, dichiarando i cosiddetti antisemiti i
loro principali alleati nella realizzazione dello Stato di Israele. Entrambi infatti
erano interessati alla fuoriuscita degli ebrei dai paesi ospitanti. Oggi lo è senz'altro perché contribuisce a mantenere Israele al riparo da qualsiasi critica,
rivestendolo del ruolo di eterna vittima sacrificale. Ma cosa significa davvero antisemitismo? Si tratta di un'avversione alla razza, alla religione o alla cultura degli ebrei? Il mio libro spiega appunto questo cruciale quesito, con le
parole degli ebrei stessi.
Fiorenza Licitra
LA VOCE DEL RIBELLE
IL RIBELLE.COM
CINEMA
Il primo
ribelle “moderno”
“È
di Ferdinando Menconi
mia opinione che a tempo debito la Storia riconoscerà la grandezza di Michael Collins. E questo
avverrà a mie spese".
Eamonn De Valera, Presidente della Repubblica d’Irlanda, nel 1966, durante
le celebrazioni per il cinquantenario dell’insurrezione della Pasqua del 1916.
Torniamo di nuovo in Irlanda, forse il paese più frequentato da questa rubrica di “cinema ribelle”, ma quel paese, capace anche di non pagare la sua
IMU, è la rebel country per eccellenza d’Europa e il protagonista di questo
film nacque e morì nella rebel county* della rebel country: Michael Collins,
colui modernizzò l’uso politico della violenza per abbattere l’oppressione,
era di Clonakilty, Co. Cork.
La prima teorizzazione sistemica dell’uso politico della violenza è mazziniana,
ma esiste un filo rosso (sangue) che lega la Giovine Italia all’IRA di Collins e
passa per la Giovane Irlanda, la Young Ireland che fu fondata proprio sui principi mazziniani e ne condivise insurrezioni e fallimento nel fatale ’48.
I paralleli col Risorgimento italiano potrebbero finire qui, salvo il fatto che l’insurrezione della Pasqua del 1916, che segnò l’inizio della fine del dominio
inglese, fu più elitaria dei moti italiani del ’48, che furono anche di popolo: il
popolo irlandese non solo non comprese, ma osteggiò quei velleitari che
avevano seminato caos e distruzione per Dublino.
La rivolta irlandese avrebbe potuto conservare quei caratteri di creazione
artificiosa di pochi intellettuali, se non vi fosse stata l’ottusa repressione di
sua maestà, che mandò di fronte al plotone di esecuzione ben 16 dei capi
degli insorti, e coloro che fino a quel momento il popolo vedeva come folkoristici eccentrici, che meritavano più sberleffo che piombo, divennero martiri
ed eroi eterni.
Ma piombo fu e così nacque, come la definì Yeats,“una terribile bellezza”. E
insorse un popolo che aveva bisogno di un capo, un capo non facile da trovare: gli inglesi per sedicesimo fucilarono, su una sedia, il migliore di tutti gli
LA VOCE DEL RIBELLE
IL RIBELLE.COM
insorti, James Connolly, immobilizzato dalla cancrena per una ferita alla
gamba e già moribondo.
Quel James Connolly, che, insieme a Larkin, aveva sconvolto Dublino con
scioperi paralizzanti e illegali, ma erano tempi che i sindacati sapevano fare
il loro lavoro e i lavoratori avevano le palle. Quel James Connolly che aveva
unito la causa socialista a quella di liberazione nazionale, sintetizzandola
nella frase, di grande valore ancora oggi, “la causa del lavoro è la causa
dell’Irlanda, la causa dell’Irlanda è la causa del lavoro”.
Il leader, gli irlandesi, lo trovarono in Eamonn De Valera, che il film bistratta
oltre ogni liceità, compresa quella di creare un dualismo con Collins, utile, sì,
per la narrazione, ma che non aveva alcun senso portare a certi livelli. Per il
regista Neil Jordan, Eamonn era troppo cattolico, quindi un pessimo modello per chi ha diretto anche “La moglie del soldato”, mentre per gli inglesi, che
lo dovettero risparmiare (era il diciassettesimo in lista) interrompendo le
sequela di esecuzioni, era troppo cittadino americano, e nel ‘16 non si potevano irritare i potenziali alleati.
Ma così, insieme a De Valera, fu permesso anche a Collins di sopravvivere e
di innovare profondamente nei metodi di lotta per la liberazione dei popoli.
Nel film, con abile soluzione narrativa, a Collins, nel disastro della sconfitta
della Pasqua di sangue, viene fatto chiedere “cosa succederà la prossima
volta?”, la prossima volta di una serie di sconfitte lunga sei secoli, e gli viene
fatto rispondere:“Non giocheremo più secondo le loro regole, ci inventeremo
le nostre”. La chiave del film e di tutte le rivolte a venire.
Con Collins inizia il ventesimo secolo per le insurrezioni popolari, il secolo
della guerriglia, rurale e urbana, e finisce il XIX: l’insurrezione di Pasqua somigliava più alle rivolte mazziniane e garibaldine, insurrezioni generali, con
tanto di governi provvisori, che promulgano costituzione buone solo per i
posteri. Eccellenti, magari, come quella della Repubblica romana, ma solo
simboli per i posteri e regolarmente calpestate dagli eserciti occupanti.
Eserciti in uniforme, come in uniforme sono anche gli insorti.
L’uniforme del ribelle, per Collins, deve, invece, essere quella dell’uomo
comune, quella della “invisibile armata”, che passa e colpisce, inafferrabile,
come lui, che girava in bicicletta per le vie di Dublino, con una taglia di
£10.000 sulla testa, ma non fu mai tradito da nessuno: non c’è bisogno di
andare in talebania per trovare gente che sa combattere con efficacia e
non sa tradire per denaro, basta guardare verso l’isola di smeraldo, che questa arte l’ha praticata da prima e fino a tempi recentissimi.
Collins è l’indiscusso inventore della guerriglia moderna, del terrorismo direbbero i suoi detrattori, ma lui non si mai lasciato andare alla bomba indiscriminata, che uccide soprattutto civili e che, ingenerando terrore diffuso, non
fa proseliti, ma serve solo alla propaganda del nemico. Quelli che promosse
lui nella guerra di liberazione irlandese furono omicidi mirati e abili azioni di
guerriglia, supportate da una profonda azione di intelligence: se “loro (gli
inglesi) sanno anche cosa mangiamo la mattina”, “c’è un solo modo per
batterli: sapere cosa (loro) mangiano la mattina”.
In questo fu inesorabile e spietato, applicando la violenza come la intendeva Sorel: per combattere l’uso statuale della forza. Purtroppo, però, oggi va
più di moda il più comodo, per i ribelli da salotto, messaggio del suo contemporaneo Gandhi, la cui “non violenza” è divenuta il mito incapacitante
della sinistra, grazie al quale il potere prospera indisturbato. Anche se la “non
LA VOCE DEL RIBELLE
IL RIBELLE.COM
violenza” di Gandhi è stata fraintesa e addomesticata, così da farla rendere
praticabile alle destre mulino bianco e alle sinistre cachemire: in realtà
anche i suoi erano atti di violenza, contro l’establishment finanziario e imperiale.
Collins, però, e giustamente, non si fa scrupolo di uccidere chi occupa il suo
paese, perché, come dice De Valera: “La Repubblica irlandese non è più un
sogno: è ratificata ogni giorno dal sangue di chi l’ha proclamata”.
De Valera, Dev, che nel film è l’antagonista cattivo di Collins, il Big Fellow, mentre, invece, erano complementari, l’uno indispensabile all’altro: il Big Fellow
nella sua scardinante azione armata e Dev nella sua propaganda, impagabile fabbrica di consenso.
Ma il bigottismo al contrario di Jordan, altrimenti ottimo nel dirigere il film e
raccontare, sia pur con ampie licenze, la storia dell’indipendenza irlandese,
esige che il “cattolico” sia un’infame e subdola primadonna, e il regista arriva anche a far intendere che quando Dev andò negli USA fu per viltà, mentre quel viaggio fu determinante per raccogliere consenso internazionale
alla causa della nascente nazione, insieme a $5,500,000 utilissimi per sostenere le azioni armate di Collins.
I due furono sempre complementari invece, anche quando esplose il conflitto aperto: il giorno che Collins tornò col Trattato che faceva dell’Irlanda uno
“stato libero”**, ma non una “repubblica”. L’evento scatenò una guerra civile, necessaria così come fu necessaria l’accettazione di quello che Londra
offriva. Accettare meno di quanto è giusto esigere fu una cosa che il Big
Fellow fece, ma solo per poter consolidare quanto conquistato e farne una
nuova piattaforma di rivendicazione, anche armata. Una rivendicazione che,
però, potrà essere portata avanti solo se qualcuno rifiuta il trattato e continua nella lotta armata, e questa fu la parte Dev.
Cosa valida, questa, anche oggi: lo Sinn Fein non ha “tradito”, come non
tradì Collins e neppure Dev, quando a metà degli anni 20 accettò di fatto,
ma non di diritto, lo Stato Libero, per poi divenire, lui ricercato terrorista, lo stimato presidente della Repubblica irlandese: esistono giochi delle parti che
devono essere portati avanti, per quanto sanguinosi e cinici siano, per poter
abbattere il giogo straniero. Non è un caso che l’Irlanda abbia superato la
sua guerra civile e che i nemici complementari, Dev e Collins, siano eroi indiscussi e condivisi, anche se criticati nei dettagli nelle interminabili chiacchiere da pub.
Collins deve essere anche un esempio di uomo d’azione rivoluzionaria, in
mezzo a tanti teorici che sanno sparare solo teorie. Per Jordan anche Dev
rientrava nella categoria, ma si sbagliava: ci deve essere chi preme il grilletto e chi a quel proiettile dà senso e vi ci crea consenso. Quel proiettile qualcuno deve pur spararlo però, altrimenti è solo sparar cazzate, e pure a salve.
E pure la minaccia ha significato, ma solo se non è un bluff:“La collaborazione con le forze di occupazione sarà punibile con la morte, firmato l’IRA”. Una
provocazione cui gli inglesi reagirono con brutalità cieca: “Voi non ci minacciate, porci feniani, siamo noi che minacciamo voi”. Solo che quelle di
Collins non erano minacce vane e con cruda spietatezza le condanne furono eseguite, così fu fatta terra bruciata intorno all’intelligence di sua maestà
britannica: i pavidi e gli avidi devono aver più paura della ribellione che del
potere.
È fondamentale la neutralizzazione dell’intelligence del nemico e per riuscirLA VOCE DEL RIBELLE
IL RIBELLE.COM
vi qualsiasi mezzo è lecito, se in gioco sono la libertà e la sovranità di una
nazione, ma bisogna farlo con azioni mirate, non colpendo a casaccio, stile
rivoluzionari de noantri: si deve colpire ad alto livello, non sindacalisti che
sono più vicini al lavoratore delle Bierre di turno.***
Nella rivolta ci vuole anche il coraggio di accettare che il regime si difenderà, non bastano i proclami su Facebook: bisogna resistere sul campo. Nel
caso dell’Irlanda di Collins, contro la libertà, furono schierate le peggiori forze
mercenarie camuffate da soldati che la storia conobbe: i famigerati Black &
Tans, di fronte ai quali le coeve squadracce fasciste fanno la figura dei chierichetti, e poi dicono che Churchill, che le volle, fondò e inviò, non fu un criminale di guerra.
Per fortuna, quando si mettono in mano le repressioni a milizie camuffate da
soldati, la reazione assume contorni di rara ottusità: i B&T reagirono alle offensive mirate dell’IRA con il primo Bloody Sunday****, quando, a Croke Park,
durante la finale del campionato di calcio gaelico, spararono ad alzo zero
su folla e giocatori. Altro che la scena dei fucili Enfield, che spararono sui
dimostranti indiani in Gandhi: quelle di Dublino erano autoblindo e mitragliatrici, inoltre nessuno stava dimostrando, roba che neppure i nazisti, ma fu il
miglior regalo che si potesse fare alla rivolta.
Attenzione alla stampa enbedded, però: per lei i pochi, che combattono da
invisibili, contro i molti, che in uniforme sparano sui civili indifesi, sono, sempre
e comunque, assassini e terroristi, e anche vigliacchi, perché non accettano
il confronto su un piano in cui sarebbero facilmente schiacciati. Tutto ciò
ricorda scenari palestinesi, ma i palestinesi non hanno dei Collins e neppure dei Dev, usano piccole bombe contro quelle grandi e non praticano la
lotta armata mirata.
Se si vuole obiettare che i nemici della Palestina sono troppo forti, vale la
pena ricordare che l’Impero britannico allora comandava su due terzi del
pianeta, altro che USA, ma Collins seppe metterlo militarmente in ginocchio
e Dev lo paralizzò sul profilo del consenso.
La fine di Collins fu quando accettò il Trattato che, oltre ad accettare che
l’Irlanda fosse solo “Free State”, comportò la partition dell’Ulster, questione
ancora irrisolta. Jordan, nel suo film, imputa ciò a una subdola manovra di
Dev, ma se quel Trattato l’avesse firmato Dev nessuno l’avrebbe seguito, non
era carismatico come il Big yellow: il gioco delle parti esigeva fosse lui, pur
conscio di firmare la sua condanna a morte, ad accettare e Dev a ribellarsi.
Entrambi erano consapevoli di ciò, dovevano accettare il poco, che era una
cosa enorme contro l’Inghilterra, per renderlo irripetibile, per poter poi chiedere il più: un gioco rischioso e sanguinoso da portare avanti, ma inevitabile. Sono quelle le sole condizioni alle quali il compromesso è accettabile,
solo se è finalizzato al raggiungimento degli obiettivi primari e irrinunciabili:
il riformismo è accettabile solo se consolida le conquiste, ma il fine ultimo
deve essere massimalista, altrimenti è vero tradimento. Il compromesso ha
senso solo se è transitorio: moderato e riformista devono essere sempre
avvertiti come insulti inaccettabili, da lavare nel sangue, non come etichette di responsabilità.
Come disse Collins, per condensare il concetto: il trattato “non ci dà la
Repubblica, ma ci dà la libertà di costruire la Repubblica”, e “arriva il
momento di costruire con quello che abbiamo”, solo in questo senso il
moderatismo ha senso: per poter portare l’estremismo a compimento.
LA VOCE DEL RIBELLE
IL RIBELLE.COM
Il film di Jordan ha discreti limiti storici ed è discutibile, a dir poco, come tratta Dev, ma fu un’avvincente maniera di raccontare l’epopea della libertà
irlandese, e della nascita della ribellione moderna. Talmente riuscita che
meritò il Leone d’oro alla 53° mostra del cinema di Venezia, un successo che
fu completato dalla, meritata, Coppa Volpi per un titanico Liam Neeson. Non
va però dimenticato che venne affiancato, a completamento del capolavoro, dagli ottimi Ian Hart, Aidan Quinn, Brendan Gleeson, Alan Rickman e
Stephen Rea, per tacere di Julia Roberts - un ribelle vero non è un nerd della
rivoluzione, ha anche tempo per l’amore - che pur di essere presente nel cast
accettò il minimo di paga sindacale, ma non di meno: avrebbe offeso la
memoria di Connolly e anche quella di Connolly. In sintesi “Michael Collins”
è un film assolutamente da vedere e rivedere.
Da ultimo va rimarcato che Michael Collins, quando morì nel 1922, aveva 31
anni, questo non deve essere dimenticato da quella generazione di eterni
trentenni, e loro epigoni o predecessori pantofolai, che, digitando sul web, in
“pigiama volevano cambiare il mondo” : il mondo lo si cambia in mimetica
o con l’uniforme della “invisibile armata”, e non è l’iPad che si deve aver in
tasca per riuscire a farlo.
Ferdinando Menconi
Note:
*Rebel county, così si fregia di essere la contea di Cork
**Tipo Canada o Australia
***chi vede un riferimento a Rossa, vede bene
**** http://it.wikipedia.org/wiki/Bloody_Sunday_(1920)
LA VOCE DEL RIBELLE
IL RIBELLE.COM