Bandabardò: quelli che dal vivo... DOC è in

Transcript

Bandabardò: quelli che dal vivo... DOC è in
9
ottobre2001
FRESCHIDISTAMPA
vitamine recensioniletterarie,cinematograficheemusicali acuradiPaoloBoschi
t LIBRI
PEARL ABRAHAM,
America addio (Einaudi)
Il prologo di America addio mette
subito i lettori sull’avviso riguardo al
futuro matrimoniale di Daniel e Deena, due giovani ebrei che s’incontrano nel negozio dei Bluth dove
lei lavorava. A poco servono le negative previsioni cabalistiche del padre di Deena: i due si sposano, sei
anni dopo stanno ancora insieme ed
il settimo sono pronti per l’acquisto
di una vecchia casa newyorchese da
ristrutturare. Tra lavori domestici e
verniciature Daniel e Deena consumano l’autunno del loro matrimonio: Pearl Abraham, già autrice de
La lettrice di romanzi d’amore, si
rivela implacabile nel presentarci la
ragnatela di piccoli equivoci familiari
che in modo apparentemente sommerso finirà per dividere la giovane
coppia. Dopo una lunga serie di serate forzate e l’incombenza di una
nuova donna, alla fine scopriremo
che la frattura si verifica soprattutto
per la diversa sensibilità dei due coniugi rispetto alla vita, per le distanze cromosomiche che li separano:
Daniel è un ebreo americano, rigorosamente ortodosso, consuma
solo cibi kosher e non può sottrarsi
al fascino della sua bella collega
d’ufficio. Al contrario Deena è incline ad una velata indulgenza chassid, proviene da una famiglia meno
osservante di quella del marito ed i
suoi genitori sono tornati a Gerusalemme. Nella dissolvenza a quadri
multipli che prende ad offuscare la
vita di Deena, lei più che altro pensa
a dedicarsi all’adorato jogging: un
passo dopo l’altro le scivolano intorno le promesse coniugali infrante,
varie delusioni professionali e lo
stress imposto dall’american way of
life. Non le resterà che tentare il ritorno a Gerusalemme dai genitori,
salvo ripensamenti dovuti al richiamo dell’America. Pearl Abraham è
nata a Gerusalemme e cresciuta a
New York in una famiglia chassid,
come la protagonista di America
addio: oltre all’attività letteraria
l’autrice insegna Scrittura creativa
alla New York University.
MANUEL VÁZQUEZ
MONTALBÁN,
Quintetto di Buenos Aires
(Feltrinelli)
Il personaggio di Pepe Carvalho, detective catalano dotato di palato da
raffinato gourmet, nacque nell’ormai lontano 1972 dalla fantasia di
Manuel Vázquez Montalbán. Da allora si è reso protagonista di numerose avventure, è anche un po’
invecchiato ed ha cominciato ad interrogarsi sul futuro, sull’amore, sul
senso della vita: è sempre rimasto
però un personaggio che, letterariamente parlando, ‘funziona’, almeno
quando la penna del suo creatore è
in vena, come nel Quintetto di Buenos Aires – recentemente ripubblicato nella collana “Universale
Economica” –. Il romanzo prende
l’avvio nella capitale catalana, con
Carvalho alle prese con la sua malinconia e in lite con l’eterna fidanzata
Charo, ex prostituta, in esilio volontario per pensare al futuro della loro
relazione. Il detective si turba contemplando i cambiamenti post-olimpici che snaturano la sua
Barcellona: a togliere l’investigatore
dall’impasse generale arriva opportunamente il classico caso dell’altrettanto classico zio d’America,
emigrato in Spagna per strappare il
figlio alle grinfie della dittatura militare. Il problema dello zio è che il figlio è rientrato in Argentina, forse in
cerca della figlia, desaparecida da
quando gli fu strappata in fasce, forse per ritrovare le proprie origini o
per diventare lui stesso un desaparecido. Il detective catalano arriva
così a Buenos Aires con in testa po-
chi concetti essenziali dell’Argentina – «Maradona, desaparecidos,
tango», e non necessariamente
nell’ordine –: troverà il cugino per
perderlo e ritrovarlo ancora, incontrando una serie di strani personaggi, occupandosi di altri casi ed
entrando gradualmente nel malinconico stato d’animo locale. Un
grande romanzo, da gustare a poco
a poco.
t FILM
BELFAGOR.
IL FANTASMA DEL LOUVRE,
regia di Jean-Paul Salomé,
con Sophie Marceau, Michel
Serrault, Frédéric Diefenthal,
Julie Christie;
fantastico/thriller;
Francia; 2001; C.
La ‘traslazione’ cinematografica di
Belfagor, mitico sceneggiato francese in quattro puntate del 1965,
anche grazie all’imponente lancio
pubblicitario, ha replicato al di là
delle Alpi i fasti di pubblico
dell’archetipo televisivo, ricevendo
copiose bacchettate sul versante critico. La storia è stata rivista in ossequio alle più recenti tendenze
orrorifiche di Hollywood: il prologo
alla vicenda ci porta nel 1935 con la
scoperta del sepolcro di un’inquietante mummia sconosciuta da parte
di un egittologo francese. Il tragitto
via mare verso il Louvre, futura destinazione dell’antico reperto, è se-
gnato dal suicidio collettivo dell’intero equipaggio e dalla morte
dell’autore del ritrovamento. Il sarcofago maledetto viene riesumato a
scopo di ricerca ai giorni nostri e per
il pubblico si palesano subito i termini dell’affaire: trattasi del fantasma
di un dignitario di corte in cerca
dell’eterno riposo, che prende a
scorrazzare per il Louvre causando
guasti elettrici a ripetizione, finché
non trova la bella Sophie Marceau,
residente nel palazzo di fronte al
museo, e decide di possederla per
realizzare i suoi fini. La splendida
giovane donna è così costretta ad
indossare il tenebroso paramento
con maschera nerobronzea della
mummia e prende a girovagare di
notte per il Louvre terrorizzandone
a morte i guardiani. L’happy ending
arriverà grazie agli sforzi congiunti
della studiosa incaricata di risolvere
l’enigma archelogico, del vecchio
ispettore cui è affidata l’indagine
poliziesca e del giovane elettricista
innamorato della Marceau. Belfagor. Il fantasma del Louvre pare
un mélange non troppo ispirato tra
un film di genere con toni parodici
alla Fantomas (sembra ricercati volutamente dal regista), un horror
movie d’hollywoodiana memoria
(ma privo di effetti speciali di livello)
ed infine un fumetto avventuroso
senza troppa fantasia.
LA MALEDIZIONE DELLO
SCORPIONE DI GIADA,
regia di Woody Allen,
con Woody Allen, Helen Hunt,
Dan Aykroyd, Charlize Theron;
commedia/giallo; Usa/Germ.;
2001; C.
Il periodo tra gli anni Venti ed i Quaranta, si sa, per Woody Allen costituisce da sempre un intervallo
cronologico indelebile, romantico
ed irripetibile, pellicole come Pallot-
tole su Broadway, Radio days e
Accordi e disaccordi sono lì a dimostrarlo. Inoltre il regista newyorchese negli ultimi tempi ha voglia di
giocare: shakerando la tematica del
furto presente nella sua precedente
commedia Criminali da strapazzo
con le atmosfere dei mitici anni
Quaranta nell’ambito del genere
giallo (già portato ai massimi livelli in
Misterioso omicidio a Manhattan), la gemma di celluloide è servita: nello specifico trattasi de La
maledizione dello Scorpione di
Giada, un film dove tutto ‘magicamente’ finisce per andare per il verso giusto. Protagonista è lo stesso
Allen nei panni dell’investigatore assicurativo C.W. Briggs, un improbabile derivato di Bogey, già suo nume
tutelare in Provaci ancora Sam, un
detective scalcinato ma con un sorprendente record di casi risolti, anche grazie ad una buona dose di
fortuna. C.W. Briggs ha trovato la
sua nemesi in Miss Fitzgerald, una
bionda incaricata di modernizzare
l’agenzia dove Briggs lavora (nonché amante segreta del suo capo,
Mr. Magruder). Autori di continui
quanto acidi battibecchi professionali, Briggs e Fitzgerald sono scelti
da un mago durante una cena di lavoro per un esperimento di ipnosi:
grazie al potere dell’esotico pendente noto come Scorpione di Giada, i due cadono in trance e sono
suggestionati a credersi fatalmente
innamorati. Da questo momento
s’innesca il giallo vero e proprio: i
due protagonisti diverranno inconsapevoli vittime dell’ipnotizzatore,
che si servirà di loro per tentare audaci furti sui quali l’allibito C.W.
Briggs sarà poi chiamato a far luce.
Un raffinato e delizioso divertissement giallo-rosa di Allen: jazz
d’epoca, detectives, dark ladies, un
furto anomalo, un cast in parte, battute a profusione e capaci di assicurare rare sensazioni di libidine
verbale. Da non perdere.
t DISCHI
RAF, Iperbole
[Cgd East West]
Il precedente album di Raf, La prova del 1998, ci aveva consegnato
un cantautore che tentava (e riusciva) a proporre qualcosa di diverso,
svincolandosi così dalla sua inveterata militanza nel filone pop nazionale. Con il recente Iperbole Raf
mostra di non aver abbandonato
tout court la via maestra percorsa
per lunga parte della sua carriera:
non a caso l’album, lungo le nove
tracce della tracklist (comprendente
anche un remix di Infinito) alterna
brani rock alle ballate sentimentali
che da sempre gli hanno procurato
un vasto consenso di pubblico.
Esemplare in tal senso il brano che
apre il disco, il contagioso ed elegante Infinito, primo singolo
estratto dall’album, molto FM come
concezione e già diventato un tormentone estivo. Raf cambia registro
nella traccia successiva, la coinvolgente R4, basata su un rock vagamente acido che si miscela a
meraviglia con il bridge melodico. A
ruota un trittico di ballate: una davvero notevole, lirica e suggestiva
(Nei silenzi), le altre due (Via e
Oasi) basate su melodie più facili (e
già sentite). Con Assolti Raf ha realizzato uno strano ibrido tra rap e
pop melodico: un racconto impegnato e personale, che arriva a segno ed ispira spazi di riflessione.
Subito dopo c’è il rock svagato ed
ironico che contraddistingue Troppo sensibile, una delle chicche
dell’album, nata dalla collaborazione in cabina di scrittura con Max
Gazzé: un brano che ben si accorda
al successivo Allegro tormentone,
in cui Raf dimostra un’ottima dose
di autoironia concentrandosi sul
corposo bersaglio della psicopatologia da tormentone estivo. La title
track è una gran bella ballata, che
regala un buon numero di suggestioni introspettive, mentre il remix
di Infinito ‘prende’ meno della versione originale. Degna di nota la
corposa sezione interattiva del Cd,
che propone una gallery fotografica, un bel video (di Infinito) e la
possibilità di aggiornare il supporto
in continuazione collegandosi al
Web-site di Raf.
NELLY FURTADO, Whoa. Nelly!
[Dreamworks]
Un atipico cocktail musicale: è la prima definizione che impone il sound
di Whoa. Nelly!, l’album d’esordio
della giovane canadese di origini lusitane Nelly Furtado, ventunenne
dagli splendidi occhi blu cresciuta a
Victoria, nella British Columbia.
Indipendentemente dal pezzo apripista, Hey, man!, segnato da un attacco sinfonico in cui s’innesta un
giro di chitarra acustica e la voce cristallina e non comune della Furtado
(anche per il tiro di ottave che riesce
a raggiungere), le tredici tracce
dell’album costituiscono nel loro
complesso un continuo altalenarsi
tra generi musicali diversi e talora
accostati in modo che cattura e
spiazza allo stesso tempo. Esemplare in tal senso la deliziosa Legend,
giocata tra pop e bossanova, l’intrigante contaminazionismo di Party
oppure il dittico finale costituito da
Scared of you (secondo singolo
estratto dall’album) e Onde estas,
nelle quali Nelly Furtado rilegge in
maniera filologicamente corretta la
musica della terra d’origine dei propri genitori. In pratica il mix multiculturale della Furtado vive di
continui rimandi tra l’hip hop e la
musica elettronica d’estrazione metropolitana con il folk, la musica etnica
ed
il
rhythm’n’blues
frequentato in età adolescenziale.
La perla di Whoa. Nelly! è il pezzo
più dichiaratamente pop dell’album, l’irresistibile singolo I’m like a
bird, segnato da una base quasi ipnotica da cui si sviluppa in un refrain
capace di trasmettere un incredibile
senso di leggerezza e libertà – non a
caso la Furtado nel relativo video sfida in ogni modo la legge di gravità
–. Per il resto la cantautrice canadese sfida il moralismo del gentile pubblico a partire dal titolo di Shit on
the radio, presenta un pezzo
all’insegna dell’hip hop canonico
come Baby girl, si fa più cupa e
grintosa nel dittico centrale costituito da Turn of the light e dall’elettronica Trynna finda way, nonché
ballabile in Will make u cry. Un
sorprendente album d’esordio.
I libri sono cortesemente offerti
dalla libreria SEEBER,
Via Tornabuoni 70/r, Firenze
Tel. 055215697
I dischi sono gentilmente offerti
da GHOST,
Piazza delle Cure 16/r, Firenze
Tel. 055570040
MUSICA
Bandabardò: quelli che dal vivo...
Se mi rilasso... collasso: il primo imperdibile live della band fiorentina
n Paolo Boschi
Date un palco alla Bandabardò e loro vi faranno divertire, vi intrigheranno, vi contamineranno mettendovi addosso una gran voglia di danza. Se mi rilasso...collasso
(che, già come titolo, è una
perla allusiva) è il primo album dal vivo della band capitanata dall’estroso Erriquez,
una banda con un gran senso
del ritmo che pare trovare il
suo apice espressivo proprio
nella dimensione live. Insomma, considerando il virtuosismo e la verve esibitoria dei
nostri musicisti, Se mi rilasso... collasso è l’equivalente di
pagina precedente
un best of di un gruppo “normale”. Non a caso nell’album
dal vivo ritroviamo il meglio
della Bandabardò in sedici
tracce altamente caloriche
corredate da una ghost track
in cui figura una delle più belle cover realizzate dal gruppo
fiorentino, ovvero Una giornata uggiosa di Lucio Battisti. Per il resto, l’album propone le migliori canzoni presenti nei tre album precedenti e
le propone con un credibile
ordine da concerto, in un crescendo di emozioni, qualche
citazione musicale (evidente
il riferimento a Could you be
loved di Marley nell’attacco
di Disegnata) e chiacchiera-
te propositive col pubblico, in
un clima che trasfigura su Cd
una calda festa di piazza. I
Bandabardò accendono le
polveri con Manifesto, inno
all’anticonformismo nonché
l’unico inedito della tracklist,
seguito da un altro brano-manifesto come 20 bottiglie di
vino e quindi dalla splendida
accoppiata di Cuore a metà
e Vento in faccia. Una dopo
l’altra si alternano ballate e
pezzi più movimentati (con
un Finaz spesso in vena di virtuosismi): Pedro, Il muro
del canto, Lo sciopero del
sole, Ubriaco canta amore,
Mojito F.C., Povera Consuelo, W Fernandez. Con la
Bandabardò ci si muove in un
territorio magico ed indefinito tra Modena City Ramblers,
Nomadi, Manu Chao e Tonino Carotone, entrambi ringraziati da Erriquez e compagni,
che non dimenticano di salutare l’affezionato pubblico di
227 concerti, ed è impossibile
non farsi prendere da un sound tanto ricco, contaminato,
trascinante e live, il sound di
un gruppo che pare assai vivo
anche umanamente, impressione confermata pure da
Alessandro Benvenuti nella
sua spassionata introduzione
al booklet.
Bandabardò, Se mi rilasso...collasso
[Danny Rose/Venus]
DOC
è in edicola
Dal 5 ottobre in edicola si può acquistare al prezzo di
copertina di L. 20.000 una nuova rivista di 160 pagine: Doc,
ovvero pensieri e fatti di qualità per l’Europa delle regioni,
che richiama la denominazione d’origine controllata è una
sorta di laboratorio a favore di una nuova “identità
regionale” per la valorizzazione delle attività e delle
competenze su progetto dell’editore fiorentino Giovanni
Gentile. Grafica e carta eleganti, la pubblicazione
monografica è rivolta alla realtà toscana e da questa trae
linfa e identità, e cercherà di fondere cultura e politica
mettendo a confronto amministratori e scienziati,
imprenditori, economisti e artisti che siano portatori nel loro
campo di idee e attività innovative.
Ogni numero è costruito attorno ad una parola chiave
capace di legare più argomenti e più aspetti della vita
sociale sottraendoli ai vincoli di una visione superficiale o
demagogica. Il primo ruota attorno alla parola libertà.
MOSTRA
Fino al 15 novembre
Ardengo Soffici
Dopo le grandi mostre di Fattori (‘94), Rosai (‘95), De Pisis
(‘96) e i Macchiaioli (‘97), la Galleria Pananti di Firenze
continua la sua opera di sostegno e diffusione dell’arte
italiana dell’800 e ‘900 con l’esposizione di Ardengo Soffici
(Rignano sull’Arno, 1879 – Vittoria Apuana, 1964). Oltre
cento opere provenienti da collezioni pubbliche e private,
numerosi manoscritti e un ricchissimo carteggio
contribuiranno a descriverne l’avventura artistica e umana.
La mostra è la prima di tale importanza che Firenze riserva a
Soffici ed è dedicata all’editore Enrico Vallecchi, uno dei
personaggi più meritevoli dell’ambiente culturale che ha
dato carattere al nostro tempo, amico fraterno del pittore.
Negli anni Dieci e Venti Firenze era del resto la città delle
riviste e dei caffè letterari in cui si ritrovavano artisti, poeti,
scrittori spalleggiati da un’editoria vivace e colta che seppe
collocarsi come uno tra i riferimenti più seguiti in Italia e in
Europa. Una fase di affermazione del linguaggio moderno
che proprio con Soffici si può visitare traendone nuove
ragioni poetiche e critiche.
Lo svolgimento formale delle ricerche di Soffici potrà
leggersi nei dipinti e nei disegni. A segnare ogni periodo,
dando rilievo di colori e di spazi alle pagine grafiche, dipinti
di scelta significazione (Nervi, 1903; Margherite, 1911; La
route, 1911; Decorazione di Bulciano, 1914; Pera, libro e
tazza, 1914-15; Paesaggio a Chiavris, 1916) illuminano le
energie plastiche e compositive, il filo conduttore
profondamente umano, la dimensione creativa che fanno di
Soffici uno dei riferimenti maggiori del secolo appena
trascorso.
Nelle opere su carta, disegni monotipi, acquerelli, tempere,
l’intera evoluzione, dal 1901 al 1915, le influenze simboliste
cezanniane, cubiste e futuriste, fino alla ricomposizione
figurativa degli anni Venti e Trenta e all’approfondimento
del paesaggio, dei panorami che rispecchiano l’intima e
assorta meditazione di un artista che non ha mai cessato di
identificare nella realtà, nella verità il ritmo armonico che
lega l’uomo ai valori universali.
Paesaggi, figure, nature morte dal ’20 al ’60, qui esposti,
una tematica mai discosta da profonde necessità espressive,
articolano l’opera di Soffici dove ci si può ritrovare come in
un territorio amorosamente coltivato nel quale spuntano
erbe e fiori che attengono a una spirituale idea di bellezza.
In una sala saranno esposte le opere che il maestro ha
dipinto su spunti religiosi (i cartoni per L’elemosina
francescana e per l’affresco Miracolo di San Francesco; i
quadri Trasporto funebre, 1910; La cena di Emmaus, 1941);
in un’altra, la ristretta silloge della ritrattistica familiare
(Mamma Egle, 1904 – 8; i figli Valeria, Sergio e Laura, la
moglie Maria).
Palazzo Ridolfi, via Maggio 16 Orario: 10–19 da martedì a domenica
Ingresso: L. 10.000 - Comitive (minimo 12 persone): Lit. 5.000
Tel. 055244931 Fax 055245849
E-mail: [email protected].
pagina successiva