Catturati dall`altro/nell`altro
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Catturati dall`altro/nell`altro
Catturati dall'altro/nell'altro* Salomon Resnik** II transfert in psicoanalisi è l'espressione della storia sociale che si esprime attraverso la trama diadica paziente-terapeuta. La regressione del transfert rinvia ciò che è attuale o riattualizzato ai primi modelli di relazione oggettuale. Nel suo articolo sulla dinamica del transfert (1912) Freud afferma che: «Ogni uomo ha acquisito, per l'azione congiunta della sua disposizione congenita e degli influssi esercitati su di lui durante gli anni dell'infanzia, una determinata indole che caratterizza il modo di condurre la vita amorosa». Aggiunge che la capacità di rapportarsi all'altro, la sua capacità d'amare e la sua vita sessuale sono condizionati dai primi stadi dello sviluppo infantile. La maniera d'essere di ogni individuo diviene un modello di comportamento che si ripete nel corso della propria vita. La natura della scelta d'oggetto, la scelta dell'altro, sembra determinata dalla natura e dalla forma di questo scambio primitivo e primordiale tra mondo interno e mondo esterno. D'altra parte la delimitazione o l'equilibrio tra interiorità ed esteriorità ha origine dalle prime esperienze identificatorie con le figure parentali. Freud suggerisce che nel transfert, i modelli primitivi di relazione d'oggetto si manifestano nella relazione paziente-analista. Privilegia e indica nell'immagine paterna il fattore decisivo del modo in cui l'Io si organizza per rapportarsi al mondo. E la funzione superegoica, per Freud essenzialmente paterna, ad assumere dunque un ruolo di guida. È questo padre-guida che incoraggia o censura il bambino per renderlo capace di assumere il patrimonio culturale e il suo sistema di valori. L'imago paterna è riattualizzata nel transfert come l'imago materna che ne è complementare. Così le vicissitudini della relazione padre-madre, come coppia conflittuale o armoniosa, si manifestano a livello fantasmatico. Esse permettono al bambino d'avere accesso ai fantasmi di base legati alla coppia parentale e alla sua influenza sulla futura relazione con il partner. Lo spazio del transfert diviene così il luogo privilegiato in cui lo psicoanalista ed il paziente testimoniano e drammatizzano, allo stesso tempo, le vicissitudini della vita passata dell'individuo, riattualizzata nell'hic et nunc della relazione paziente-terapeuta. Tali vicissitudini corrispondono ad un incontro e ad un confronto fra le immagini parentali che rinviano sempre alle alternanze bisessuali di base tra l'Io maschile e l'Io femminile di ciascun individuo. Nella misura in cui c'è un padre, c'è un Io maschile, e nella misura in cui c'è una madre c'è un Io femminile. Lo sviluppo dell'identità sessuale del bambino è dunque legata al problema dell'identità maschile o femminile nella vita di tutti i giorni e al suo mondo interno. Un padre omosessuale o una madre lesbica influenzeranno l'immagine o la visione che il bambino avrà della propria identità o contribuiranno, in ogni caso, a creare delle confusioni e dei malintesi sulla propria identità sessuale. Il modello psicoanalitico del transfert è dunque una storia di coppia. Così paziente e psicoanalista diventano attori della messa in scena del transfert. Usando la terminologia di Melanie Klein, si può dire che l'uno e l'altro, il paziente e lo psicoanalista s'identificano nel transfert e controtransfert, con differenti modelli di relazione d'oggetto materno o paterno. Quello di oggetto interno, secondo Melanie Klein è un concetto utile, ma difficile da comprendere. Il termine oggetto interno sostituisce la nozione di imago che Freud stesso prende in prestito da Jung. La nozione di oggetto interno da una prospettiva stereoscopica o tridimensionale del mondo interno, mentre la nozione di immagine evoca piuttosto uno schermo, dunque una realtà bidimensionale. Un altro aspetto importante della nozione di oggetto interno riguarda il costante riferimento alla relazione Io-oggetto. Durante l'esperienza del lutto non è la mancanza o l'assenza dell'oggetto che è importante, ma sopratutto la rottura di una relazione. Nel lutto non si perde solamente un oggetto, ma una parte dell'Io legato all'oggetto. Freud nel suo lavoro «Lutto e melanconia» parla dell'ombra dell'oggetto assente che cade sull'Io. Quest'ombra rappresenta per me il doppio * Nell'originale l'Autore utilizza i termini captivité, captivant, ecc. con riferimento all'etimo latino capere e al suo intensivo captare nel significato rispettivamente di: «prendere» e: «mettere dentro» (n.d.t.). ** Membro titolare dell'International Psychoanalytical Association (Ipa). Interazioni, 0, 1992, pp. 71-77 speculare dell'oggetto che prova a ritrovare la sua sostanzialità e la sua forma nello spazio mentale del soggetto. La prima relazione d'oggetto è legata certamente alla madre. Ogni soggetto, uomo o donna, abita inizialmente nel ventre materno: il suo primo habitat. Il trauma della nascita è in effetti un problema di divorzio per la coppia madre-bambino. La nascita è già una perdita d'oggetto, un'esperienza depressiva primordiale, un lutto originario. Il modello di relazione di coppia madre-feto è simbiotico. La madre ha bisogno del bebé che nasce per apprendere il suo ruolo e la sua identità di madre. Biologicamente il feto dipende completamente dalla madre. Per il bambino nascere significa, tra l'altro, perdere la funzione contenitiva della madre e la funzione respiratoria «anfibia» intrauterina. Come Ferenczi lo definisce nel suo libro Thalassa, il bambino deve abbandonare il suo «aquarium» e utilizzare i suoi polmoni. Egli deve dunque essere aiutato a separarsi o a divorziare dal suo stato di «pesce» per divenire un essere aerobico. La prima introiezione non è il latte della madre, ma l'introiezione dell'aria (introiezione respiratoria). Se il bebé si rifiuta di negoziare il divorzio o se le condizioni materne, paterne o ambientali non sono adeguate, il bambino può morire: dire di no od opporsi al cambiamento di partner (dalla madre intrauterina alla madre-mondo) o delle condizioni di vita, significa accettare la morte. Sicuramente faccio riferimento all'ipotesi di un Io, così come è stato descritto da Glover nel suo libro La nascita dell'Io («The Birth of the Ego»). Per Glover esiste una «formazione nucleare originale» o un raggruppamenti) di funzioni dell'Io non ancora integrato. Ciò gioca un ruolo molto importante nella «prestruttura» dell'apparato mentale. La funzione primaria del pensiero per Glover è legata a un confronto conflittuale di sensazioni o sentimenti opposti. Questo aspetto del pensiero si ricollega all'aspetto dissociativo primitivo i dell'Io in Melanie Klein: la posizione schizo-paranoide. Anche Winnicott ha descritto gli stati emozionali primitivi dello sviluppo infantile (Primitive Emotional Development, 1945) e il ruolo dello spazio madre-bambino. Egli utilizzerà più tardi il termine «nursing couple» per definire la relazione madre-bambino come quella di una coppia. Egli aggiunge «There is no such thing as a baby»1 ma c'è una relazione madre-bambino. Egli ritorna così alla diade originaria madre-bambino come l'anticipazione di tutti gli altri modelli di relazione. Ma dov'è il terzo, l'altro angolo del triangolo edipico? O, in altre parole, dov'è il padre? Io suggerisco che il padre è il legame stesso. Un aspetto che io ho segnalato in altri lavori, a proposito della genesi della famiglia o gruppo primario (Cooley) consiste nel fatto che essa appare o che è presente potenzialmente nel passaggio dallo stadio sincretico allo stadio relazionale. La prima fenditura dell'amalgama sincretico madre-bambino (stato simbiotico) si caratterizza attraverso uno spazio che appare tra la madre e il bambino. Questa distanza viene sperimentata come un abisso, uno spazio senza fondo, che permette di strutturare l'immagine del triangolo lineare. Definisco triangolo lineare la continuità madre-spazio-bambino. Questa triade si apre o si chiude per costituire un vero triangolo euclideo, nel quale uno degli angoli è rappresentato dal padre. In ogni caso io chiamo la separazione madre-bambino: padre potenziale. Lo spazio di separazione permette di concepire l'idea di legame o funzione paterna. Dunque, la prima cifra di tutte le strutture relazionali è il tre. La diade madre-bambino fa parte di una triade, unica maniera di concepire una struttura relazionale. Io concepisco lo psicoanalista come un mediatore tra gli aspetti coscienti e incoscienti dell'individuo e del gruppo (familiare o no), così come lo definiva Freud, ma anche come una personificazione del legame tra la funzione di paziente e la funzione di terapeuta. Si può parlare anche del legame e delle vicissitudini del legame tra la funzione materna o di contenimento della coppia psicoanalitica e la funzione paterna o strutturante lo spazio del transfert. Per tornare al tema del mio lavoro, l'«essere catturati dall'altro o nell'altro» nella coppia, vorrei parlare di un modello particolare di relazione primitiva con la madre e poi di un caso clinico. Melanie Klein parla spesso dell'idealizzazione del ventre materno e del fantasma mitico dell'eterno ritorno al grembo originario. Nelle situazioni di grande ansietà, il bebé e il bambino che abita nell'adulto, prova a «regredire» allo stato prenatale come per ritrovare la calma 1 «Non esiste l'infante». Interazioni, 0, 1992, pp. 71-77 all'interno della madre. Personalmente io non credo che la vita intrauterina sia calma, ma che piuttosto, il fantasma del ritorno al grembo originario sia l'espressione di un'angoscia agorafobica. La nascita è un'uscita nello spazio, ma l'Io primitivo ile I bebé non è sempre pronto a fare il salto. Egli reagisce dunque spesso con una fuga di fronte allo spazio esterno, provando a ritornare nuovamente nella sua casa d'origine: il ventre materno. All'inizio di ogni analisi, l'agorafobia rispetto allo spazio del transfert, si manifesta attraverso un transfert parassitario materno-infantile, nel quale l’Iodel paziente tenta di fuggire dallo spazio aperto, provando a rifugiarsi, attraverso l'identificazione proiettiva, nello spazio mentale dell'analista-madre. Questo stadio corrisponde alla relazione parassitaria d'oggetto nella quale il paziente prova a psicoanalizzarsi non con, ma nel corpo somatopsichico dell'analista. Il problema che si pone nel transfert, quando l'identificazione proiettiva è così forte o violenta, è che la parte proiettata può rimanere catturata nell'altro (lo psicoanalista o perfino il paziente nel caso di un controtransfert patologico). Colui che si sente invaso reagisce aggressivamente trasformandosi in prigione o in guardiano della prigione. Vorrei parlare adesso di Maurice, un paziente di quarantadue anni, dalla personalità schizoide, che parla spesso della sua solitudine interiore e del suo sentimento di vuoto. Egli parla del suo isolamento e della sua apatia, facendo riferimento ad una esperienza traumatica della sua infanzia. Quand'era bambino si era avvicinato a sua madre domandandole un bacio. Sua madre l’aveva respinto dicendo che era troppo occupata. A partire da quel momento egli si distacca sempre più da sua madre e da se stesso, divenendo così depersonalizzato. Coscientemente egli parla di una «guerra fredda» con sua madre che non ha mai perdonato. Un aspetto importante della vita di Maurice è che la guerra fredda contro sua madre si trasforma in guerra fredda contro la donna in generale. Durante l'analisi, durata diversi anni, l'idea di un'espulsione dallo spazio materno appare dietro la sua frustrazione traumatica. Egli esprime i suoi sentimenti dicendo: «mia madre non mi ha solo rifiutato esteriormente, ma mi ha piuttosto espulso dal suo interno dove io avevo già il mio posto». Maurice aveva accentuato i suoi meccanismi d'introiezione proiettiva dopo la nascita della sorella, tre anni più giovane di lui. In effetti alla nascita della sorella, lui e suo fratello vengono mandati via di casa ed ospitati da una zia. La madre non era solo assorbita dalla neonata, ma anche troppo depressa secondo il paziente e non poteva occuparsi di tutti i figli. Durante il viaggio in treno per andare dalla zia, un signore cercando di stabilire un dialogo con Maurice gli chiede il suo nome. Egli reagisce rispondendo «Mi chiamo cacca!». Ho compreso che per Maurice l'espulsione dall'interno di sua madre era equivalente ad una espulsione anale e ad un sentimento di degradazione. Maurice s'innamora, nella sua gioventù, di una giovane compagna di studi con la quale ha dei rapporti sessuali. La ragazza resta incinta, abortisce e tronca la relazione con lui. Più tardi Maurice si sposa, la moglie resta incinta, abortisce e l'abbandona. Le sue esperienze di coppia nelle quali egli si sentiva abortito dalla donna (identificazione con il feto) corrispondono al suo antico fantasma di espulsione dal ventre materno. Maurice svilupperà nelle sue relazioni ulteriori con le donne un sentimento di claustrofobia come se egli fosse prigioniero all'interno della donna. Una tale esperienza corrisponde anche alla sua tendenza ad essere catturato da donne accattivanti o seducenti. Egli si presenta fisicamente come un uomo timido con un'aria da eterno adolescente, seduttore e accattivante. Nel corso di una recente seduta egli manifesta la sua sensazione d'isolamento, aggiungendo che egli si sente pressoché morto, come se abitasse in una bara: protetto e catturato allo stesso tempo. La sua difesa consiste nel non esistere veramente, e nel sentirsi sempre vuoto interiormente. Maurice dice frequentemente di sentirsi prigioniero all'interno di un corpo che identifica spesso con quello di sua madre o della sua attuale ragazza o nello spazio mentale dello psicoanalista in un transfert materno. «Quando mi sento prigioniero io non posso pensare. O meglio, ogni volta che un'idea compare qualcuno la uccide». Così ogni idea «neonata» diviene l'equivalente di un bambino o di un feto. La propria madre interna, indifferenziata spesso dall'Io infantile, adirata con tutti gli altri neonati, appare responsabile dell'aborto mentale dell'altro. Mi viene da pensare ad una bara o ad una nicchia. Guardo in particolare un angolo della nicchia che vedo adesso come un angolo aperto, come due braccia allargate che si dirigono verso di me. Interazioni, 0, 1992, pp. 71-77 Ma non sono delle braccia che mi contengono o meglio sono le braccia della morte. All'interno di questo angolo materno o meglio della madre morta, c'è qualcosa che si agita che esce e rientra: è il neonato. Maurice è un uomo colto. Egli esprime la propria difficoltà descrivendo il proprio spazio mentale abitato da due idee, sorta di partner che possono convergere o divergere. C'è anche un aspetto «puntiforme» della convergenza che si manifesta come una sorta di articolazione tra due idee. È a quel livello lì, credo di capire, che i due elementi, madre-bambino, o uomo-donna, hanno bisogno di una mediazione o di una articolazione adeguata, per un buon matrimonio cognitivo o meglio, per produrre un bambino vivente. «A volte non sono io che parlo, c'è "un dire" che pensa per me. Io sono come un cieco condotto attraverso la parola da qualcuno. Oggi mi sento raffreddato, i miei occhi e il mio naso piangono e ciò mi permette di distendermi». Dopo una pausa egli aggiunge ancora «Io penso alle calde braccia di mia madre che sono scomparse all'orizzonte, mi sento alla mercé del neonato, vuoto e senza avvenire...». Maurice esprime così uno stato di depersonalizzazione nel quale, vittima della guerra fredda, prigioniero della madre nicchia, spesso una madre morta che parla freddamente per lui, al posto suo, come una mummia che parla. Ci troviamo nel registro dell'inquietante estraneità (Freud, 1919). Nella seduta seguente Maurice si presenta ancora raffreddato, provando a confrontare le braccia calorose della madre analista, con le braccia fredde della madre mummia. «Io volevo sentirmi vivere» dice Maurice «e ritrovare la madre e la donna vivente che ho sempre cercato». Dopo una pausa, aggiunge «Vedo la mia ragazza vestita di giallo. Mi immagino intorno ad una tavola da pranzo e occupo il posto di mio padre. Sono tutti intorno a me. Mio padre e morto, ma io lo ritrovo ora vivo dentro di me». La funzione mediatrice di padre, il «Pater Pontifex» è colui che stabilisci l'ordine a tavola. Qui il quadrato non è una nicchia, ma una tavola da pranzo «Io devo imparare ad essere un uomo, ad essere padre e ad avere un giorno una famiglia. Ora io vedo il vestito della mia ragazza con dei pois e dei buchi nei i all'interno. Io non voglio vegetare nella mia vita, voglio diventare vivo ed essere in relazione con gli altri». Maurice esce dalla sua sepoltura-madre (lo psicoanalista nella seduta) e vuole abbandonare la relazione parassitaria per abitare lo spazio che sente aprirsi tra lui e l'altro. Uscire dall'identificazione proiettiva patologica e impadronirsi della propria vita, del proprio corpo corrisponde ad una nuova nascita significa anche affrontare lo stadio aerobico post-natale e accettare la separazione dal suo primo habitat: la madre. Per tornare al discorso dell'essere catturati dall'altro o nell'altro si può dire che Maurice può vivere in coppia o in famiglia se è capace di accettare il lega me che insieme lo lega e lo separa dall'oggetto. Si ritorna così all'immagine di una triade lineare e di un triangolo edipico (o triade chiusa). Così dal pensiero «puntiforme» e lineare che Maurice ritrova nel suo spazio mentale, si passa all'immagine euclidea che introduce l'idea di super fide. Ma lo spazio mentale non è una superficie, è una realtà tridimensionale, un volume che vibra nella quadridimensionalità della temporalità. Così dall'apatia fredda e asintonica emerge l'empatia calorosa del transfert materno, e la funzione paterna appare come condizione strutturante della coppia originaria. Ma vorrei aggiungere ancora che se l'essere catturati nell'altro parla in termini di identificazione proiettiva patologica, l'essere catturati dall'altro, parla di una introiezione o una reintroiezione massiccia e soffocante dell'altro. L'altro, madre, padre o partner in generale è inghiottito dalla bocca avida del bambino che si sente vuoto e non pilo tollerare la sua solitudine di essere. Essere se stesso, accettare la propria solitudine ontologica, è alla base del tollerare la realtà dell'altro come differente. Su questa alterità poggiano tutte le relazioni possibili: l'uno, lo spazio che separa e l'altro. È attraverso l'abisso che separa che l'idea di un punto può essere concepita. È il punto che organizza il passaggio e da senso al dire delle cose, come nel poema «Correspondances» di Baudelaire: Dans une tenebreuse et profonde unité Vaste comme la nuit et comme la clarté Interazioni, 0, 1992, pp. 71-77 Les parfums, les couleurs, et le sons se repondent2 Ma che cos'è l'inconscio se non una molteplicità pluridimensionale che fa parte di un paesaggio inafferrabile. Il sistema di relazione, il discorso dei legami plurimi introduce nella coscienza l'idea di un linguaggio organizzato e suscettibile di comunicare. Ma siccome la separazione tra conscio e inconscio non è assoluta, l'uomo ha avuto bisogno di sviluppare una filosofia della dualità e della bipartizione. Pierre Maxime Schul, professore alla Sorbona, a proposito del meraviglioso del pensiero e dell'azione si pone il problema della dualità nel pensiero greco e il bisogno di schematizzare i problemi della vita in termini di divisioni bipartite. L'uomo pensa perché egli ha una mano, dice Anassagora. Ma è soprattutto perché egli ne ha due, che il suo spirito ha una predilezione naturale per la dualità delle cose... Platone vede nella diade il principio della molteplicità. Tutto ciò per ritornare all'idea della coppia come sistema di pensiero o necessità di ordine nella molteplicità, ma anche, per tornare alla complessità della relazione con l'altro e alle vicissitudini della relazione con il partner. Io credo di capire anche che per dar volto all'idea di coppia all'interno del paesaggio, bisogna allontanarsi e contemplare la molteplicità dei fatti che circondano la dualità e che la rinviano al discorso del multiplo e della gruppalità familiare e non familiare. Così io ho scelto questa prospettiva fra le molte possibili per dar volto alla accattivante estraneità del partner, là dove il fantasma originario ci può permettere, allo stesso tempo, di riflettere e di penetrare nella foresta... Traduzione di Francesco Borgia. Tratto dalla rivista Dialogue, n. 113,3 trimestre, 1991. 2 «Come echi che a lungo e da lontano tendono a un unità profonda e buia grande come le tenebre o la luce i suoni rispondono ai colori, i colori ai profumi». Interazioni, 0, 1992, pp. 71-77