il Venerdì, 23/07/2016

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il Venerdì, 23/07/2016
SPETTACOLI
BLAXPLOITATION
di Stefano Pistolini
Torna Shaft, il libro del 1970 (da cui fu
tratto anche il film) che cambiò lo stile
e lo slang con cui gli afroamericani si
raccontavano. Che fine ha fatto, oggi,
questo patrimonio dell’immaginazione?
ll’indomani della strage di
agenti della polizia di Dallas e
della rivolta contro le ingiustificate uccisioni di tanti afroamericani, le parole di Obama che negano
una nazione razzialmente divisa sono
un’illusione, un auspicio, o un ritratto di
verità, almeno parziale? La faglia culturale tra bianchi e neri è destinata a saldarsi,
o la distanza aumenterà, generando nuovi
disordini? Numerosi fattori possono contribuire a questa riflessione. Uno da usare
come indicatore del tipo di rappresentazione che, non molto tempo addietro, i
neri d’America vollero dare di loro stessi
va sotto la sigla di «blaxploitation», rilettura popolare ed estremizzata della cultura afroamericana in forma letteraria e cinematografica, col suo campionario di
stili e di slang. Un linguaggio estetico e
psicologico dove il nero si affranca dall’imitazione del bianco e diventa nerissimo.
Forzatura del nero. Caricatura del nero.
Business del nero. Una sottocultura che è
stata potente e poi del tutto anacronistica.
E della quale ragioniamo approfittando
della pubblicazione in Italia di Shaft
A
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(Big Sur) di Ernest Tidyman, che risale al
1970 ed è il romanzo-cardine della blaxploitation, della sua estetica e del suo
repertorio di contenuti.
Le origini di Shaft non sono elettrizzanti: il personaggio viene creato daTidyman,
giornalista del New York Times, per soldi
e non per passione, dopo aver annusato
una nicchia di mercato per un eroe nero
sofisticato, sicuro di sé, e privo del perenne
incubo del risarcimento sociale. Il romanzo funziona. La scrittura è energetica, più
funky che jazz, in sincronia con ciò che gli
americani vivono nelle realtà urbane del
tempo. Tidyman ha il tocco per storie d’azione semplici ma dinamiche e Hollywood
s’accorge di lui, sottoponendogli la sceneggiatura del Braccio violento della legge, con cui vincerà un Oscar, e poi lo script
dello stesso Shaft e di un’altra mezza
dozzina di pellicole di minor successo.
Shaft diventerà un caso mondiale più
ANTHONY BARBOZA/GETTY IMAGES
GETTY IMAGES
QUANDO
I NERI
DIVENTARONO
NERISSIMI
come film che come libro. La Mgm lo produce nel ’71, affidando la regia a Gordon
Parks, un bravo fotografo convertitosi al
cinema per quattrini.
La vicenda resta fedele all’intreccio del
romanzo: John Shaft, detective privato e
impenitente donnaiolo, viene assunto dalla malavita di Harlem per liberare la figlia
del capo, rapita dalla Mafia. Shaft porta a
compimento la missione muovendosi con
stile tra mondi pericolosi e dominati dai
bianchi, imponendo un’immagine che
strega la giovane platea afroamericana: il
black macho in versione raffinata, l’uomo
nero forte e sensuale, che agisce con decisione e che con altrettanta nonchalance
transita dai letti delle sue spasimanti,
sullo sfondo d’una NewYork anni Settanta
lurida e bellissima, per le cui strade diventa plausibile perfino un individuo come lui.
Il film è un affare per la major: oltre 13
milioni d’incassi con un budget di
QUI SOPRA, LO SCRITTORE ERNEST TIDYMAN E
LA COPERTINA DEL SUO SHAFT (BIG SUR, PP. 229,
EURO 15, TRAD. DI ETTORE CAPRIOLO). A DESTRA,
RICHARD ROUNDTREE, PROTAGONISTA DEL FILM
SHAFT DIRETTO DA GORDON PARKS NEL 1971 (IN
ALTO IL MANIFESTO) E QUI A FIANCO ISAAC HAYES
CHE VINSE L’OSCAR PER IL TEMA MUSICALE
EVERETT / CONTRASTO
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BLAXPLOITATION
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GETTY IMAGES
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[1] ICEBERG SLIM, AUTORE
soli 500 mila dollari. E uno dei motivi del
suo successo è il buon casting, che affida
la parte di Shaft a un attore semisconosciuto, ma abile a farne proprie le peculiarità:
Richard Roundtree, che ostenta proprio
quella coolness che sta già diventando
l’ossessione degli afroamericani vogliosi
di emergere. Nonostante il progetto Shaft
venga a tutti gli effetti governato da bianchi e dalle regole di un normale studio di
produzione, e per quanto la trama ricalchi
gli sviluppi tradizionali di una detective
story del tempo, l’interpretazione di Roundtree manda un messaggio forte ai fratelli
seduti nei cinema d’America: la cosa importante è irradiare sicurezza, classe e
personalità. Il resto viene da sé.
Bisogna vestirsi bene – beh, almeno col
gusto di cui Shaft pare convinto: cappotti
di pelle lucida e dolcevita attillate – bisogna lasciarsi ammirare, concedersi alle
ammiratrici, ma non perdere mai di vista i
propri target. Non sono la sottomissione o
l’intransigente opposizione politicizzata
alla dominanza bianca,le strade giuste per
il posto al sole: funziona anche il mostrarsi tipi in gamba, blasé, svelti ed efficaci. Le
rivendicazioni non vanno dimenticate, ma
conviene riservarle ai momenti adatti.
Nella società Usa del momento, il modello-Shaft propone ai neri una via d’uscita,per vivere meglio e tutto sommato godersela. E Roundtree è credibile e carismatico nell’intepretazione: Shaft diventa non
solo un eroe popolare, ma un modello di
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FILM MAGIC / GETTY IMAGES
FILM MAGIC / GETTY IMAGES
DEL ROMANZO DA CUI È
STATO TRATTO IL FILM TRICK
BABY (1972). [2] IL RAPPER
SNOOP DOGG. [3] IL
REGISTA MARIO VAN
PEEBLES COL PADRE
MELVIN, CHE DIRESSE
E INTERPRETÒ SWEET
SWEETBACK’S BAADASSSSS
SONG. [4] SAMUEL
L. JACKSON NEL REMAKE
DI SHAFT DEL 2000. [5] PAM
GRIER E QUENTIN
TARANTINO SUL SET DI
JACKIE BROWN (1997)
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ruolo che durerà a lungo nella società di
colore, la stessa che sta vivendo una crisi
culturale, l’ombra del senso d’ingiustizia e
una perenne stagnazione economica.
Shaft parla di libertà e di controllo del
proprio destino: argomenti sensibili per la
platea nera delle grandi città, ma accolti
positivamente anche dall’America bianca
progressista, oberata dal senso di colpa
razziale. Del resto anche il sessismo e il
maschilismo al limite della misoginia del
suo personaggio, sono gli stessi che
risuonano negli atteggiamenti di figure di riferimento dell’epoca, come
Malcolm X o Huey Newton,Amiri
Baraka o Eldridge Cleaver.
In una scena memorabile,
quando una ragazza gli sus-
NEL REMAKE
DEL 2000, JOHN
SINGLETON
OFFRE LA PARTE
DI SHAFT
A SAMUEL L.
JACKSON
EVERETT / CONTRASTO
surra che lo ama, Shaft distrattamente risponde: «Sì, lo so». Lui è ipersessuale, magnifica incarnazione della «Sex Machine»
singhiozzata da James Brown.Del resto un
fattore-chiave del successo di Shaft e dei
suoi epigoni, è il potente apparato musicale che li correda. La premiatissima soundtrack del film innesta nello spettacolo
cinematografico il suono del momento, il
funky-soul della stagione d’oro. Il merito
va ad Isaac Hayes, che compone una colonna sonora che rilegge in versione nera le
creazioni di Phil Spector, valorizzando gli
interventi gospel e r&b e col favoloso contributo musicale dei Bar-Kays. Presto Barry White si approprierà di quel suono,
trasformandolo nel mainstream da discoteca, mentre i migliori musicisti neri del
momento – James Brown, Marvin Gaye,
Curtis Mayfield, Bobby Womack – diventeranno habitué di queste pellicole, dando
loro quel sapore soul 70 che attira il pubblico più giovane.
Shaft è il capostipite d’una serie di
pellicole che riempiranno gli schermi americani per tutti gli anni 70. È a questo
punto che il sottogenere viene codificato e
che la critica comincia a parlare di un
«Blaxploitation cinema» che sfrutta il filone commerciale connesso alla rappresentazione vitaminizzata e avventurosa della
comunità nera: sono dozzine di B-movies
che, senza scrupoli, convertono al nero
qualsiasi trend. Solo gli spettatori più avvertiti sanno che Shaft ha un predecessore
illustre, girato in un contesto produttivo
assai meno ufficiale: è Sweet Sweetback’s
Baadasssss Song scritto,diretto e interpretato da Melvin Van Peebles – non un novellino, con già all’attivo una notevole love
story interazziale girata in Francia, in stile NouvelleVague: The
Story of aThree Day Pass (1968).
Sweetback, pagato da investitori che credevano di puntare su un porno, è una
pellicola più provocatoria,
irridente ed estrema di
Shaft, tutta a base di
prostitute, magnaccia e
poliziotti corrotti e destinata a diventare un
culto per il pubblico
radical e il primo
esperimento di quel
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MICHAEL OCHS ARCHIVES/GETTY IMAGES
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milieu a base di bulli e pupe che fa da cornice alle imprese di tanti good negroes nei
film a venire: «Voglio filmare le facce che
Norman Rockwell non ha mai dipinto»
predicava Melvin Van Peebles. Arrivano
operine ragguardevoli come Superfly, firmato da Gordon Parks jr, figlio del regista
di Shaft, Blacula, con un vampiro della
madre Africa che terrorizza L.A., Cleopatra
Jones, con la prima protagonista femminile,Tamara Dobson, nella parte di un’agente specializzata in karate. E ancora The
Mack, storia di droga e corruzione con Richard Pryor, Foxy Brown col debutto di
Pam Grier, futura diva suprema del blax
cinema, Black Shampoo e Dr Black e Mr
Hyde, versioni nere delle quasi omonime
pellicole «pallide».
Poco alla volta il filone s’esaurisce, perché il gusto del pubblico gli volta le spalle,
nonostante alcuni notevoli colpi di coda:
Mario Van Peebles che nel 2004 in Baadasssss!racconta l’epica guascona del film
diretto dal padre più di trent’anni prima.
O QuentinTarantino, cresciuto consumando Shaft e i suoi brutti sequel, che in Jackie
Brown riscopre Pam Grier, immergendola
in un’estetica da poster anni 70.In quel film
c’è anche Samuel L. Jackson a cui, nel 2000,
il maestro del cinema hip hop John Singleton offre la parte di Shaft nel remake dell’originale. E ancora pochi anni orsono il solito Tarantino offre il suo definitivo omaggio al cinema blaxploitation, affibbiando a
uno dei personaggi di Django Unchained
un cognome che è tutto un programma:
Broomhilda von Shaft.
Oggi dov’è finito questo patrimonio
dell’immaginazione? Nel frattempo sono
passati Barack e Michelle Obama. LeBron
James e Kobe Bryant. Michael Jackson e
Prince. Il mondo è cambiato e l’America
con lui, anche se molti guasti razziali messi alla berlina dai film blax sono ancora lì,
intatti. Il linguaggio di questo cinema è stato adottato IL LINGUAGGIO
da numerosi artisti È STATO
del rap – Snoop ADOTTATO
DA MOLTI ARTISTI
Doggy Dogg, per DEL RAP E DA
dirne uno, perfetto AUTORI COME
personaggio blax, SPIKE LEE
col suo contorno di maggiorate, gioielleria
cafona e Cadillac cromate. Il genere è stato
rivisitato da autori come Spike Lee e popolarizzato da serial tv come Empire. E rileggere oggi le avventure di Shaft nei sei romanzi che Tidyman gli ha dedicato, è un
passatempo da intellettuali chic.
Certo, adesso la cultura afroamericana
è altrove. Ma nel frattempo Shaft è stato
ammesso nel Registro Nazionale dei Film
della Biblioteca del Congresso, dove si
conservano le opere da non dimenticare.
Evidentemente tempo addietro per le
strade di Harlem, davanti alle cineprese di
questi avventurieri, è sfilato davvero un
brandello della ricostruzione psicologica
di un popolo. Poi le cose sono andate come
sappiamo: il riscatto e la segregazione
hanno di fatto viaggiato parallelamente.
La questione non si è mai veramente sanata. E oggi siamo qui a frugare tra questi
reperti, per capire se tra i sogni dei neri, la
loro descrizione e le opportunità offerte
dalla realtà, sia mai esistita una possibile,
praticabile aderenza.
Stefano Pistolini
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