Il linguaggio delle mani nell`arte iconografica

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Il linguaggio delle mani nell`arte iconografica
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Il linguaggio del “gesto” nell’Arte Iconografica
“Voglio dunque che gli uomini preghino, dovunque si trovino, alzando al
cielo mani pure senza ire e senza contese....”, scriveva San Paolo nella lettera
a Timoteo (1Tim. 2,8), ponendo l’attenzione sull’importanza che assume la
preghiera quando è collegata anche al “gesto”.
Pregare innalzando le mani verso il cielo è un
gesto liturgico molto antico adottato dagli Ebrei e
dai Cristiani, ma che andando a ritroso nel
tempo, ritroviamo già nei primordi dell’Arte
sacra egiziana e nei graffiti del popolo dei
Camuni tra l’VIII e il VI secolo a.C.
In tutte le tradizioni è stata conservata intatta
un’arcaica gestualità, nata ancor prima della
parola, che testimonia l’esistenza di un codice
rituale di matrice religiosa che contraddistinguerà
il sacerdote buddista da quello ebraico e da
quello cristiano,
ma che accomunerà
tutte le religioni.
La mano non esprime solo l’idea dell’azione e
dell’attività, ma anche tutta una serie di
atteggiamenti rituali e di stati d’animo. Già
nelle pitture rupestri del
Paleolitico compaiono
profili di mani che
testimoniano l’importanza del cerimoniale che si era
voluto immortalare.
Negli antichi monumenti funerari o onorari sono state
ritrovate mani in terracotta che fanno pensare ad un
segreto aspetto votivo. La stessa consuetudine fu poi
perpetuata anche in alcune chiese cristiane nelle quali
ancor oggi si possono osservare, insieme ad altri
oggetti votivi, mani in cera o d’argento e oro, offerte
come testimonianza della grazia ricevuta.
Dall’estremo Oriente nacquero gestualità legate ad un linguaggio segreto,
“senza parole”, ma carico di un significato di altissimo valore. Tremila anni
avanti Cristo gli Egiziani si erano accorti del potere irradiante delle mani e
ne avevano stabilito una scienza che serviva per le guarigioni del corpo e
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dell’anima. Osservando le
pitture, i bassorilievi e le
sculture egizie ancora oggi ci
accorgiamo di quanto il gesto
era tenuto in considerazione:
vi sono mani amichevoli che
si uniscono tra loro, altre che
benedicono, ed altre ancora
che sembrano proiettare dei
passaggi di forze.
Anche in Cina ed in India, più di duemila anni fa, si utilizzavano gesti che
non solo avevano un loro preciso significato religioso, ma che potevano
divenire anche “gesti terapeutici”, veri flussi di
energia, capaci di diffondersi nello spazio
circostante e di curare le malattie anche a
distanza.
Questa conoscenza si diffuse presto anche in
Giappone, Persia e Birmania e quella gestualità,
utilizzata dai sacerdoti, assunse una connotazione
di segretezza e sacralità che prese il nome di
“arte dei gesti” o “mudras”.
Il termine “mudra” che in sanscrito vuol dire
“sigillo”, è formato dalla sillaba “mud” che
significa ‘gioia’ e da “ra”, ‘principio dell’amore e
di ogni bene’. I termini “mu” o “moo” ricordano
il “muggito del Toro” - emblema delle Grandi
Acque - e il mantra “OM” dei Lama tibetani.
Per “mudra” quindi si intende un sigillo rituale o gesto, carico di energia
vitale o prâna, capace di portare un benefico stato di salute al corpo e
all’anima.
Secondo quanto afferma la saggista
Alice A.Bailey nel suo libro “La guérison
esotérique” le mani sono come dei radar
che emettono delle onde capaci di
ispezionare i corpi dei malati e di
percepirne la malattia.
Quei Sacerdoti, detentori di tale
conoscenza, avevano capito che le
funzioni vitali dell’organismo non erano
mantenute solo dal cibo, ma anche da
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questa particolare “vitalità” che
proveniva dal sole e che, circolando
lungo i canali energetici, veniva poi
distribuita a tutti i suoi organi e tessuti.
Tommaso Palamidessi in “Tecniche di
Risveglio Iniziatico”, afferma che
“l’uomo è in parte visibile, perché
fisicamente corporeo, e in parte
invisibile a causa della sua costituzione
diafana, incorporea, sottile, energetica
oltre che psichica”. L’Autore, studioso
anche di discipline orientali, asserisce
che l’uomo e la donna “essendo immersi
in un mare fluidico di forze sottili che si
compenetrano tra loro”, possono sottrarsi dalle cattive influenze astrali
attraverso una gestualità rituale capace di cambiare positivamente il corso
della propria e dell’altrui esistenza.
Secondo l’antica tradizione sapienziale yogica, nel palmo delle mani vi sono
due importanti Centri di Forza, che una volta misticamente risvegliati, le
rendono altamente ricettive alle influenze spirituali. Il medico-sacerdote
quando si accorgeva che in un organismo
la cor rente vitale stava subendo
rallentamenti o brusche interruzioni
cercava di ripristinarne il corretto flusso
energetico, muovendo le mani e le dita
secondo precise e ordinate combinazioni:
un gioco silenzioso ma efficace per
ricaricare il corpo di prâna e per scaricare
l’energia negativa accumulata. Prima si
interveniva con gesti idonei a chiudere il
corpo alle cattive influenze e poi, con appropriati
movimenti delle dita, si aprivano nuovi circuiti per
rendersi ricettivi a quelle buone.
In questo caso le dita della mano avevano funzionato da
antenne riceventi e trasmittenti ben sintonizzate con il
cosmo e con la Forza universale Divina che tiene in vita
tutto l’Universo.
Palamidessi afferma che “tutto vibra, tutto irradia campi
energetici” e che dalle dita vengono “emesse onde di
differente frequenza e lunghezza che variano a seconda
delle ore della giornata, della stagione, della fase lunare e
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delle posizioni dello Zodiaco rispetto ai pianeti”.
Secondo un’antica corrispondenza astrologica ad ogni dito della mano
corrisponderebbe un pianeta.
Ad esempio dal “pollice” è stato riscontrato
che scaturisce la corrente vibratoria di
Venere, dal dito “indice” quella di Giove, dal
“medio” quella di Saturno, dall’ “anulare”
quella del Sole e dal “mignolo” quella di
Mercurio. La Luna invece trova
corrispondenza con il “monte della Luna”
posizionato all’opposto di quello di Venere,
mentre dalla cavità della mano irradia la corrente di Marte.
E’ importante ricordare che tutte le volte che muoviamo le mani
gesticolando, emettiamo delle onde che possono portare un cambiamento
positivo o negativo al campo elettromagnetico ambientale: un gioco di forze
che è bene conoscere e saper tenere sotto controllo.
La Bibbia è intrisa di poteri benefici o malefici del gesto ed anche in questo
caso è interessante osservare che “ogni
gesto, ogni segno di benedizione o di
c r o c e, o g n i g e n u fl e s s i o n e s o n o
accompagnati da una carica di forza
spirituale”.
Le mani quindi parlano ed hanno un
loro silenzioso linguaggio. Se il braccio
alzato identifica l’oratore, la mano nuda
implica l’esteriorizzazione di un
messaggio, mentre quella coperta dal
lembo di un mantello, è indice di
silenziosa ricezione.
Il Cristianesimo, più di qualsiasi altra religione ha
saputo dare alla mano un’importanza di grande
valore. Le benedizioni di un Pontefice o di un
Vescovo o di un sacerdote durante il sacrificio
della Messa, fanno capire quali poteri abbia la
mano durante il rito di consacrazione.
Nei primi secoli del Cristianesimo i Padri della
Chiesa recitavano il Salterio con le braccia alzate,
mentre durante la recita dell’Oremus e del
Prefazio le braccia venivano aperte in forma di
croce, in ricordo della posizione adottata da Mosé
per intercedere con la sua preghiera affinché il
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popolo d’Israele riportasse la vittoria contro gli
Amalekiti (Es. 17, 9-13).
Quindi, come abbiamo già accennato, quando il
gesto è sostenuto dalla preghiera, si carica di una
forza che supera di gran lunga la parola: un codice
“non verbale” che fin dall’epoca degli Esseni venne
utilizzato negli antichi ambienti monastici.
Fu proprio nel silenzio, nel digiuno e nella preghiera,
che nei primi monasteri nacque l’arte iconografica e
quel tessuto di simboli capace di innalzare l’anima a
Dio.
Dato che nei riti liturgici i gesti venivano utilizzati
per “incanalare” e
“dirigere” le forze che dal Cielo
giungevano fino alla terra, si pensò di
immortalarli nella pittura su tavola in
modo da caricare quello “spazio sacro”
anche di una funzione talismanica.
Nella pittura iconografica il gesto della
mano guida, benedice, indica, accoglie,
s u p p l i c a , r i c eve e c o n s a c r a e l a
disposizione delle dita segue ogni volta un
rituale preciso che mette in evidenza il
momento mistico che si è voluto
immortalare.
Nella tradizione orientale la mano destra è
l’emblema dell’autorità sacerdotale e
tradizionalmente è messa in rapporto con l’aspetto
della “misericordia”, mentre la sinistra con quello del
“rigore”.
Nell’arte bizantina del mosaico e dell’affresco il
Cristo Pantocratore veniva ritratto nel suo
atteggiamento maestoso, seduto sul trono, nell’atto di
benedire secondo l’uso ortodosso.
Nei gesti di benedizione di Gesù Cristo, degli Angeli
e dei Santi ritroviamo anche tutta una serie di
posizioni delle dita che ricordano la drammaturgia
degli antichi sacerdoti romani e greci ed anche il
linguaggio “non verbale” dei “mudras” orientali.
Nella pittura iconografica il Cristo Pantocratore
conserva la sua espressione regale e severa e
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solitamente è ritratto con la
mano destra benedicente,
mentre con la sinistra,
simbolo di rigore e giustizia,
regge il libro chiuso (o
aperto) della Legge.
Spesso le sue dita sono
atteggiate nel movimento che
riproduce il monogramma “IC XC”, forma
abbreviata di Iesus (IC) Christos (XC). In
questo caso tre dita - pollice, anulare e
mignolo - si uniscono per ricordare la sua
natura Una e Trina, mentre l’indice e il medio
vanno ad incrociarsi leggermente.
Questa leggera sovrapposizione delle due dita
ricorda la X latina, la Jod ebraica ed il numero Dieci, simbolo di “potenza,
splendore, gloria e onore” e trova corrispondenza con la Khi greca e la
lettera Delta che riassume lo stesso identico significato.
Il termine Pantocratore, dal greco “panto” “tutto” e “krateo”, che vuol dire
“dominare con forza”, mette già in evidenza la regalità della Sua persona.
Il libro chiuso fa riferimento al rigore ed a Cristo Giudice Giusto che tornerà
alla fine dei tempi per condannare o assolvere,
mentre il libro aperto, simbolo di Scienza e
Saggezza, riporta al suo aspetto misericordioso
ed alle parole: “Venite a me, voi tutti, che siete
affaticati e oppressi ed io vi
ristorerò” (Mt.11,28).
Un altro gesto simile che vede il
pollice, l’anulare e il mignolo
uniti e le altre due dita ben tese
e puntate verso l’alto, trova la
sua perfetta sintonia nel mudra “della Vita”. Secondo la
tradizione indiana quei movimenti delle dita servono per
risvegliare il potere dell’energia pranica, prodotta dal sole,
rimuovere la stanchezza ed aumentare la resistenza alle
malattie.
Invece quando indice e mignolo rimangono ben tesi e la
punta del pollice va a toccare il medio e l’anulare, la
figura del Cristo sta riproponendo il mudra
“dell’Energia” in grado di compiere veri miracoli di
guarigione sul corpo e sull’anima.
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Benefici effetti si hanno anche quando la punta
dell’indice va a toccare il pollice, lasciando le altre tre dita
distese, ma non rigide. In questo caso si sta utilizzando il
mudra “della Conoscenza” che ha la capacità di togliere
la sonnolenza, aiutare la concentrazione del pensiero e
ridurre le negatività della mente.
Gesù Cristo, vero Uomo e vero Dio, come attestano le
Sacre Scritture, agisce per volontà del Padre ed ha il
dominio non solo su tutta la Creazione ma anche sugli Angeli e sui Demoni;
quando parla e agisce, lo fa sempre in
cooperazione con lo Spirito Santo e la
Sapienza Creata ed avendo in sé ogni
potere, trionfa sia sulla malattia che
sui “dominatori di questo mondo di
tenebra” di cui parla San Paolo (Ef.
6,10-20).
“Ora, perché sappiate che il Figlio
dell’uomo ha il potere sulla terra di
rimettere i peccati, ti ordino - disse al
paralitico- alzati, prendi il tuo
lettuccio e va a casa tua”: così Gesù si
rivolse agli increduli scribi tentando di
far capire quanto la malattia del corpo fosse strettamente legata alla malattia
del cuore e dell’anima.
Quindi quando nella pittura iconografica osserviamo il movimento delle dita
di Gesù Cristo o degli Angeli o degli Apostoli o dei Santi, non dobbiamo
fermarci solo ad un gesto di protezione o di
benevolo augurio, ma ad un segno che agisce
molto più in profondità: una “benedizione
terapeutica” di grande forza e valore.
Nelle scene dell’Annunciazione i gesti
dell’Arcangelo Gabriele e della Vergine Maria
sono altrettanto densi di contenuti.
Quell’energico movimento
della mano dell’Arcangelo,
protesa verso Colei che darà
alla luce il Figlio di Dio,
riproduce il mudra “della
Saggezza” che ha il potere di
aprire i centri vitali e facilitare
lo sviluppo della mente.
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Gabriele, personificazione della Potenza di Dio, rivela alla Vergine il volere
Divino e Maria apre la sua mano destra in atteggiamento di umiltà e di
silenziosa accettazione.
Giovanna Parravicini, ricercatrice
della Fondazione Russa Cristiana,
nel suo “Icona, immagine di fede
e arte” ricorda che nella cultura
cristiana si dava la preferenza alla
misura e alla riservatezza
piuttosto che alla loquacità, e che i
maestri spirituali invitavano i
cristiani a tenere un silenzioso e
dignitoso comportamento
riassunto in quest’antica
esortazione: “non parlare forte né
di cose vacue, poiché la lingua ti è data per lodare e magnificare il
Creatore...e le mani per levarle in preghiera”.
Lo stesso messaggio appare particolarmente
chiaro nelle raffigurazioni che ritraggono la
Vergine Maria con il Figlio Divino.
In Isaia (7,10) troviamo scritto: “il Signore vi
darà un segno. Ecco, la vergine concepirà e
partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele
(Dio-con-noi)”.
Maria prenderà così il nome di “Madre di Dio
del Segno”, quando verrà ritratta con le mani
aperte e le braccia alzate nell’atteggiamento
dell’“orante”, con l’Emmanuel benedicente sul
suo cuore.
Il Figlio viene rappresentato imberbe, a volte
con le braccia aperte e altre volte con la destra
benedicente e la sinistra che
chiude il rotolo della Legge.
Sulla sua aureola appaiono le tre lettere greche “O ! N”
che sintetizzano la frase “Colui che è, il vivente”, con
chiaro riferimento alle parole dette da Dio a Mosé sul
Sinai: “Io sono Colui che sono”.
Nel linguaggio delle mani il palmo aperto della Vergine,
ricorda l’abbandono alla Volontà Divina. Nel caso invece
del Figlio, quella mano diventa “la mano che salva” e che
allontana ogni negatività, mentre il rotolo serrato nella
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sinistra rappresenta il segreto da rivelare.
Invece la Vergine Maria prenderà nome di
“Madre di Dio Odigitria”, dal greco “odigos”
che significa “guida”, quando verrà raffigurata
con in braccio il Bambino Divino e l’altra
mano che lo indica, quale via di salvezza per
l’Umanità: in quel semplice gesto Maria rende
manifesto il suo ruolo di guida del popolo
cristiano e di silenziosa “cooperatrice” al
piano salvifico divino.
Nella “Madre di Dio della Tenerezza”, in
greco “Eleousa” che vuol dire misericordia, la
Vergine viene ritratta mentre con la mano
destra sostiene il Bambino e con la sinistra lo
indica stringendolo a sé. I loro volti, rivolti
l’uno verso l’altra, si avvicinano fino a toccarsi
e le braccia di Gesù cingono il collo della Madre in un momento di
tenerezza, ma anche di seg reta
rivelazione. La tradizione ha individuato
in quell’intima unione, l’attimo in cui il
Figlio rivela alla Madre il mistero della
sua futura morte e resurrezione. In
questo caso il volto della Vergine diventa
pensoso e assorto e la sua mano sinistra
aperta esprime dolore, ma anche serena
accettazione.
L’iconografia bizantina e russa, per
secoli ha saputo tramandare questo
antico tesoro gestuale che altrimenti
sarebbe andato perso. Come afferma
Giovanna Parravicini: “Per anni in
Occidente siamo stati abituati a pensare
all’icona come un patrimonio esclusivo
dell’Oriente cristiano, e in particolare a
identificarla con l’arte russa medievale,
riducendola ad una forma artistica estranea alla nostra tradizione...”. Inoltre
la scrittrice osserva con rammarico che in alcuni ambienti religiosi si è
assistito alla ‘decontestualizzazione’ dell’icona relegandola “ad una forma
puramente religiosa, espressiva di uno spiritualismo rarefatto e disincarnato,
di una simbologia espressa attraverso segni e cifre più o meno schematici e
forzati”.
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Questa grave perdita è avvenuta quando sono stati abbandonati i codici
pittorici e tutta la segreta simbologia dei soggetti ritratti, dei colori utilizzati e
del linguaggio del gesto.
Secondo Fëdor Dostoevskij sarà la “bellezza” a salvare il mondo e siccome
l’Arte iconografica si rifà a dei canoni precisi di perfezione e armonia, e
quindi di Bellezza, riscoprire il messaggio simbolico che vi è dietro ad
un’icona può diventare uno dei mezzi più sicuri per operare una lenta
trasformazione interiore.
Se quelle sacre immagini, logorate dai secoli, riescono ancora oggi a
comunicarci il loro pacato, silenzioso, intimo messaggio, vuol dire che
quell’arte ha ancora molto da trasmetterci...
Salvatore in Trono
Mosca, Galleria Tret’iakov, XVI sec.
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