Intervista di Enzo Fragassi

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Intervista di Enzo Fragassi
Saldi di fine ragione con Alberto Gamberini
Attore e cantante della compagnia di Paolo Poli, è al suo secondo progetto
solista
Alberto Gamberini
Milano , 06 Luglio 2012 Alberto Gamberini ci riprova. Dopo aver concluso la
tournée al seguito di Paolo Poli – dal quale, come dice
nell’intervista, ha “rubato” moltissimo mestiere – questo
giovane e intraprendente attore innamorato della sua
professione torna in scena per l’esordio del suo secondo spettacolo. Dopo La solitudine
del piacere, è infatti la volta di Saldi di fine ragione, che debutta martedì 10 luglio (il
replica l’11) presso il Chiostro di S. Giovanni a Brescia (ingresso 8 euro, info e
prenotazioni al 3358406225, sig. Peli).
Saldi di fine ragione è un titolo adatto a questo luglio afoso e tormentato. Il
sottotitolo, “Divagazioni sulla penisola che non c’è” suona invece più oscuro. Di
cosa tratta dunque il nuovo spettacolo?
Saldi di fine ragione è un lavoro che nasce quasi un anno fa. Mi trovavo in tournée con la
compagnia Paolo Poli ed era un periodo intenso di debutti da una piazza all’altra, piccole e
grandi città. Era anche un momento molto teso per la politica italiana e ovunque andassi
avvertivo un mormorio comune: la gente era stanca di essere presa in giro. Così ho
iniziato ad analizzare ciò che mi stava accadendo intorno e da lì è nato il progetto. Questo
spettacolo di teatro-canzone, costruito come una tragedia greca dove si parte da un
prologo e si arriva ad un epilogo passando per episodi e stasimi, racconta in prima
persona il malessere esistenziale di un trentenne dei nostri giorni, incapace di vivere la
vita nei suoi aspetti più essenziali.
Quindi?
Smarrito in una società alienata, il cui imperativo è correre, il protagonista attraversa la
realtà senza la capacità di sviluppare un Pensiero. Nel suo “viaggio”, che parte dallo
smarrimento dell’IO, fino ad arrivare ad un dialogo con lo “Stato”, passando per monologhi
malin-comici come quello di Charlie il Matto (un uomo che non riesce più a muoversi dal
suo divano perché colpito da un forte senso di nausea) e Vladimiro (un attore in crisi
perché non riesce a divulgare il suo teatro), il protagonista cerca di offrire una visione
cinica della società, persa nel suo incessante divenire, dove tutto è possibile fuorché
fermarsi a riflettere (“Chi si ferma è perduto”, recita il copione). Solo quando saprà
ricostruirsi una nuova identità, sarà anche in grado di recuperare il Pensiero, rendendosi
conto che nel passare degli anni ha sempre accettato tutto a buon mercato, senza mai
opporsi concretamente, ma solo lamentandosi. Ma ecco arrivare “La Penisola che non
c’è”, il luogo ideale che ognuno di noi può creare nella propria immaginazione; che si potrà
concretamente realizzare solo quando ogni individuo sarà capace di cambiare se stesso
partendo dalle piccole cose.
L’accenno a una “Penisola che non c’è” fa subito venire in mente l’isola
immaginaria di J.M. Barrie. Ti senti un po’ Peter Pan? In altre parole, per fare l’attore
oggi bisogna essere degli inguaribili idealisti?
Bella domanda. No, fortunatamente non mi sento completamente Peter Pan, ma poter
rimanere eternamente bambini piace molto alla maggioranza delle persone. Questa idea è
tanto allettante quanto deleteria (come cerco di spiegare anche nello spettacolo) poiché
credo che ciò che serva all’uomo oggi, sia prendere piena consapevolezza di sé, del
proprio essere adulti, responsabili. Rimanere dei Peter Pan, significa rimanere “innocenti”
e quindi incapaci di dare continuità alla Storia e alla Memoria del mondo in cui si nasce.
Per fare gli attori oggi bisogna essere “idealisti consapevoli”. Da una parte, soprattutto per
chi intraprende la strada comica, deve rimanere “vivo” il bambino, utile all’artista per
sognare e far sognare, come sostiene Freud; dall’altra bisogna alimentare la sfera
razionale, dando una visione critica della realtà. Riprendendo la tua domanda, credo che
un buon attore sia colui che sappia essere un po’ Peter Pan e un po’ Diogene, connubio
assai difficile da raggiungere, ma estremamente efficace.
Il tuo primo lavoro da autore, La solitudine del piacere, era ispirato al “teatro
canzone” di Giorgio Gaber e Sandro Luporini, tanto da essere riconosciuto dalla
Fondazione che ne cura la memoria. Anche Saldi di fine ragione lo è? Cosa ti
affascina di più nell’approccio di Gaber al teatro?
Sì, anche quest’ultimo lavoro è un concentrato di prose e musiche originali, quest’ultime
composte e dirette da Andrea Gipponi, con l’ausilio fondamentale come assistente di
regia di Emanuela Sabatelli. Vi è un chiaro riferimento ai maestri Gaber e Luporini.
Gaber, partendo dalla televisione, ha poi scoperto la “forza” del teatro, il dialogo fra attore
e pubblico, questo continuo donare per ricevere, uno scambio di idee, la partecipazione, la
libertà. I suoi spettacoli erano folgoranti, lui era folgorante, un attore straordinario capace
di mettere in musica qualsiasi testo. Aveva grande fiducia nel prossimo, credeva davvero
in un cambiamento sociale, morale. Prendere coscienza di sé non è roba da poco e Gaber
attraverso l’ironia, la solitudine, l’amore, cercava di responsabilizzarci prima nei confronti
di noi stessi e poi nei confronti della società. Trasmetteva forza e vitalità senza la
presunzione o l’arroganza d’imporre. Leggero, sincero, parlava di “illogica allegria”, di
“libertà”, di “destra e sinistra”, di “polli di allevamento”, di “comune” e tanto altro ancora.
Questo è ciò che mi affascina di Gaber: trasmettere la quotidianità con allegria,
comunicare al pubblico una risata liberatoria ed intelligente, poter riflettere col sorriso.
Cosa ti divide, invece, dalla visione gaberiana?
“La mia generazione ha perso”, scriverà alla fine Gaber. La mia, invece, può e deve
continuare a lottare e credere in un futuro migliore. Non è utopia, ma voglia di una
rivoluzione socio-culturale.
Fai parte ormai da alcuni anni della compagnia di Paolo Poli, un “capocomico”
come pochi rimasti in attività. Quali sono i "trucchi del mestiere" che gli hai
“rubato” tournée dopo tournée?
Paolo Poli è il “capo-comico” per eccellenza. Incontrandolo ho scoperto il vero teatro
all’italiana, fatto di piccoli trucchi, accorgimenti, espressioni, movimenti precisi, battute che
sembrano frutto d’improvvisazione momentanea, ma che in realtà nascono da lunghi tempi
di prova sul palco. E poi tanta passione, smisurata, quella che lo porta ancora oggi, ad 83
anni, ad affrontare tournée di cinque-sei mesi in giro per l’Italia. Stimo (e invidio) la sua
inesauribile voglia di confrontarsi e mettersi in discussione continuamente e
quotidianamente. Probabilmente lavorare al suo fianco è stata una delle più grandi fortune
che mi siano capitate nella vita. In risposta alla tua domanda, ti riporto una delle prime
frasi che mi disse Paolo appena arrivato in compagnia: “Il Teatro è Artigianato, lo si impara
guardando (rubando)”.
Chiudiamo con un classico: progetti futuri?
Il futuro oggi come oggi coincide con martedì 10 e mercoledì 11 luglio presso il chiostro di
S. Giovanni a Brescia per le due repliche di Saldi di Fine Ragione, spettacolo che
partecipa al Festival “Ecce Histrio”, diretto da Paolo Peli. Poi lavorerò duro per proporre lo
spettacolo nei vari teatri italiani, sperando in qualche replica e starò sempre attento alla
realtà che mi circonda, perché non c’è musa migliore del tempo storico in cui viviamo.
(Enzo Fragassi)