Co-progettazione e intelligenza collettiva, a scuola e nella società
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Co-progettazione e intelligenza collettiva, a scuola e nella società
IDEE E QUESTIONI Co-progettazione e intelligenza collettiva, a scuola e nella società Marianella Sclavi Facilitatrice di processi partecipativi FEBBRAIO 2014 Il singolo tratto distintivo delle scuole e società “felici”, dove le persone si incontrano, lavorano e studiano volentieri e in modo fruttuoso, è la capacità di trasformare la diversità in risorsa. Si tratta di ambienti in cui diventa “normale” considerare la molteplicità dei punti di vista come occasione per costruire soluzioni creative di mutuo gradimento, invece che occasione per costruire schieramenti ostili e contrapposti. Perché i singoli, i gruppi e le istituzioni inizino a operare secondo questo principio sono necessari una serie di cambiamenti che, anche se inizialmente creano uno scombussolamento enorme nelle nostre vite e abitudini, una volta realizzati appaiono tutti molto semplici, relativamente poco costosi ed estremamente remunerativi sul piano della sostenibilità psichica e ambientale. Con una collega insegnante, esperta di mediazione creativa, Gabriella Giornelli, ho appena finito di scrivere un libro su questo argomento che propone la metafora della piadina: se hai gli ingredienti e magari una azdora1 che ti fa vedere come si fa, non è difficile 2. Ma in tutte le discussioni sulla riforma della scuola, sugli Invalsi o non Invalsi e sulla riforma della politica, primarie o non primarie, questi ingredienti così ovvi e semplici, farina (ascolto attivo), acqua (gestione creativa dei conflitti, confronto creativo) e sale quanto basta (un pizzico di umorismo), sono assenti. E allora: si chiacchiera, si chiacchiera, ma niente piadina. I cambiamenti di cui stiamo parlando, e che Loris Malaguzzi assieme a molti altri grandi pedagogisti del secolo scorso ha descritto in modo estremamente lucido e chiaro, appaiono semplici a posteriori, una volta attuati, ma come molte cose fondamentali, procurarseli e saperli usare adeguatamente comporta una rivoluzione personale, istituzionale, culturale, politica. La novità dell’oggi è che tali cambiamenti sono al tempo stesso più improcrastinabili e più facilmente attuabili di quanto non lo fossero una volta: improcrastinabili per la sempre più evidente crisi dei sistemi di potere e decisionali entrati in vigore con la modernità, e più facilmente attuabili per l’affermarsi delle modalità di elaborazione e trasmissione del sapere basate sulla ICT (Information and Communications Technology) e i cambiamenti nei modi di comunicare e di concepire la convivenza (reti) che questo ha comportato, specie per le giovani generazioni. Per le immagini che accompagnano l’articolo: © Scuole e Nidi d’infanzia – Istituzione del Comune di Reggio Emilia 8 NOSTALGIA DEL FUTURO L’INCREMENTO DELLE RETI COMUNICATIVE di Loris Malaguzzi D’accordo, la pedagogia relazionale non è tutto. È però la dimensione strategica primaria e fusionale del sistema – inteso come congiunzione di elementi in interazione dinamica in funzione di una finalità – e non un fondale solo caldo e protettivo. La sua forza sta nell’espandere e nel qualificare le forme e gli strumenti relazioni-interattivi che sono quelli che meglio assicurano il flusso delle attese, delle attività, degli scambi, delle cooperazioni, dei conflitti, delle scelte, del dipanarsi e integrarsi dei problemi cognitivi, affettivi, espressivi. Tra le sue finalità quella di rafforzare in ogni bambino il senso di una sua identità attraverso un riconoscimento che venga dai coetanei e dagli adulti fino a fargli sentire quel tanto di sicurezza e di Il navigare in rete e in particolare i migliori video-game, hanno abituato gli adolescenti di oggi all’idea di avere a che fare con realtà molti-stabili, dai molteplici significati a seconda dei contesti e dei punti di vista. I teenager oggi capiscono al volo che l’ascolto attivo e il confronto creativo concretizzano, nelle relazioni faccia a faccia, principi analoghi a quelli a cui si sono abituati navigando su Internet 3, cioè muoversi in un campo di sapere diffuso, lo smantellamento delle gerarchie e dei gateckeeper4, un atteggiamento di curiosità e disponibilità alla invenzione di soluzioni inaspettate attraverso il mutuo apprendimento. La scuola deve riuscire a incamerare questi stessi principi in un processo di radicale ripensamento dei suoi spazi fisici, mentali ed emozionali. Dove ciò avviene, il clima cambia completamente: la scuola diventa un luogo energetico e allegro, un luogo abitato da persone appassionate e impegnate, invece che da insegnanti fru- di osservazione, scoperta, dei modi con cui diversamente i bambini partecipano, procedono e scelgono. Di qui la selezione e l’attribuzione delle attività, seguendo quanto più possibile le motivazioni e gli interessi dei bambini. Le attività di piccolo gruppo (a due, a tre, a quattro bambini) sono i moduli di massima desiderabilità ed efficacia comunicativa, la tipologia organizzativa più confacente alla pedagogia relazionale dove più robusta e probabile si fa la complessità interattiva e dove emergono di più gli accomodamenti autoregolativi, le fecondità conflittuali e i giochi delle reciproche retroazioni. L’immagine sistemica ci può aiutare: il sistema relazionale che si attua nella scuola è un sistema reale e fisico, un organismo vivente e, contemporaneamente, un sistema simbolico, un sistema di rappresentazioni reciproche dove l’adulto fa l’adulto, il bambino il bambino e insieme si interrogano, si ascoltano, si restaurano e si danno risposta. I bambini apprendono e comunicano attraverso esperienze concrete: un privilegio che sfugge alle censure della cultura, dei curriculi familiari, delle esperienze di vita consuetudinarie. E c’è ancora una prerogativa della relazione: è già un sistema che ha, virtualmente, una sua capacità autonoma di educare. L’organizzazione del lavoro di gruppo è molto di più di un semplice strumento funzionale: è un contesto culturale che porta nel suo grembo una vitalità e una rete infinita di possibili. Non si spenderanno mai parole sufficienti per sollecitare la sua adozione da parte degli insegnanti del nido e della scuola dell’infanzia. 1 Azdora, regina del focolare romagnolo. G. Giornelli, M. Sclavi, L’arte di ascoltare a scuola. Ingredienti: farina, acqua e sale quanto basta, Feltrinelli, Milano, settembre 2014. 3 Nella mia generazione un ruolo analogo è stato svolto dal surrealismo e dagli esperimenti degli artisti e pensatori facenti capo alla patafisica. Ma le esperienze narrate nel libro che ho appena citato dimostrano che questo è vero anche per i giovani meno attrezzati culturalmente, i ripetenti per la terza volta e quelli con un piede sempre fuori della scuola. 4 Sono coloro che filtrano le scelte attraverso i cancelli (gate) di un mezzo d’informazione. 2 FEBBRAIO 2014 Bambini, n. 2, febbraio 1992 appartenenza che lo abilita ad accettare e a concorrere alla trasformazione delle situazioni. In questo senso si dà vigore all’aumento delle reti comunicative, alla familiarizzazione coi diversi codici linguistici, come questi sorreggono l’azione e gli scambi individuali e di gruppo. Cosicché ciascuno ed il gruppo scoprono che il valore comunicativo è ciò che privilegia l’autonomia. Il gruppo avverte che può farcela da solo: che è una nicchia che trova i suoi legami conversazionali e fa affidamento su un proprio assetto del comunicare, dell’agire, del pensare. Il metodo relazionale è quello che meglio svela come una sezione, una classe di bambini, siano fatte di bambini uno ad uno, di consociazioni di bambini, con affinità e abilità diverse. Il panorama comunicativo si sfrangia, si disarticola e si compie attraverso le voci e i pensieri dei bambini, le assonanze e dissonanze, le stipule continue, gli aggiustamenti linguistici e analogici, l’avanzare delle produzioni. Ci saranno processi di imitazione, di pause, di emergenze eccessive, di dosaggi e riequilibrazioni, di accensione improvvisa di idee, di transitività esplicite e silenziose, di colloquialità in cui è trascinato anche l’adulto. Per l’adulto si aprono oblò sconosciuti 9 FEBBRAIO 2014 IDEE E QUESTIONI 10 strati e da allievi svogliati che giocano di nascosto col telefonino. E tuttavia ci sono enormi resistenze fra gli addetti ai lavori anche solo per impostare la discussione su questo piano. Mi propongo qui di illustrare alcune di queste resistenze, sia sul piano scolastico che della vita politica, a partire da un tema caro a Loris Malaguzzi: la strutturazione dell’insegnamento/apprendimento centrata sul lavoro di gruppo degli studenti, una spazialità che mette al centro i lavori dei piccoli gruppi, l’ascolto attivo, il confronto creativo. Prendo il via da una esperienza personale. Negli ultimi anni di insegnamento al Politecnico di Milano, prima di andare in pensione (2008) ho incominciato a praticare delle “co-lezioni”: su un certo argomento che sarebbe stato trattato a una certa data, di solito un mese dopo, gli studenti avevano il compito di svolgere, in gruppetti di tre o quattro, una ricerca a 360 gradi, principalmente su Internet, ma anche utilizzando riviste, libri, film, documentari, ricorrendo a interviste ecc. e di sintetizzare le loro scoperte, gli aspetti e informazioni che ritenevano a loro insindacabile giudizio più interessanti, in un poster, composto di disegni, parole chiave, foto, brevi cronologie. La lezione iniziava con “il giro dei poster”, ovvero la presentazione e discussione di tutti gli spunti e contributi, per poi (e questo era compito mio) vedere come si innestavano nel dibattito corrente e nella più vasta letteratura esistente. Imparavo sempre qualcosa di nuovo e imprevisto e gli studenti riuscivano a stabilire fra loro e con me delle vere conversazioni, dei veri dialoghi fra pari. Il segreto della vivacità e interesse di queste lezioni era l’insistenza affinché selezionassero gli aspetti che li avevano maggiormente stupiti, sorpresi, sconcertati, “spiazzati” e via dicendo. Era, infatti, attraverso il filtro di queste emozioni che loro incominciavano a dialogare con quell’argomento, con quella materia (in precedenza spesso sconosciuto/a) e a lasciare che la materia parlasse loro; tutta la discussione diventava più fresca, attuale, emergevano i motivi per cui valeva la pena approfondirla. Comunicavo meglio di quanto avrei fatto in una le- zione frontale e tradizionale, a degli allievi non annoiati perché la lezione era anche loro, si era stabilito un contesto dialogico dal quale non si sentivano esclusi. Il coraggio di fare questa esperienza l’ho tratto dalla constatazione che ormai quasi tutti gli studenti possedevano un personal computer o comunque potevano accedervi facilmente, e dalla consapevolezza che questo strepitoso strumento, a differenza del libro di testo, offre una molteplicità di fonti, stimoli, informazioni che consentono a ognuno di “scrivere un testo diverso” su uno stesso argomento. La prima immediata obiezione dei miei colleghi a questo approccio era: ma come fai con 200-300 studenti? La risposta è che non è (più) necessario che tutti abbiano le stesse informazioni su tutto: va benissimo se, girando in mezzo a decine di poster, ognuno si ferma a chiedere spiegazioni su quelli che destano il suo interesse e non sugli altri. Come avviene in qualsiasi convegno scientifico internazionale. Ho poi scoperto che insegnanti e scuole che praticano le co-lezioni sono presenti in tutta Italia e in tutti gli ordini di insegnamento 5. Il problema non è che esperienze di questo tipo in Italia mancano, è che rimangono isolate, che non diventano i fari di un “arcipelago della riforma della scuola del XXI secolo”. Le insegnanti che sono a disagio di fronte a questi cambiamenti e innovazioni si trovano in balia di un intero apparato sia organizzativo sia di relazioni umane che spinge a reagire in termini di “non mi riguarda”, oppure, “chi si credono di essere?” Anche le insegnanti più disponibili all’innovazione si fanno frenare dal timore di essere accusate di smania di protagonismo. Ho trovato illuminante, al proposito, la seguente discussione con la mia co-autrice nel libro già citato, dal quale vi anticipo un “dialogo fuori dai denti”. Gabriella: “Le struttura dello spazio nelle classi è fondamentale; per facilitare comunicazione e movimenti sarebbe richiesta una sistemazione diversa o comunque mutevole dei banchi. Chi ha progettato l’ambiente aveva in mente un tipo di lezione frontale, con la lavagna disposta dietro l’insegnante e la fila dei banchi davanti. Per me questo assetto della classe è sempre stato un problema: sono piccola d’altezza e non vedo tutti, né tutti mi vedono. È difficile osservare con chiarezza i ragazzi che stanno in fondo e sono soprattutto infastidita quando si nascondono dietro la schiena dei compagni, per fare qualcosa di diverso rispetto alle consegne date. L’ambiente non facilita la comunicazione fisica e verbale e, poiché il mio lavoro si basa sulla comunicazione, sono dispiaciuta, spesso fortemente contrariata”. Marianella: “Be’, cambia la struttura dello spazio! Organizzalo in modo diverso”. G: “Non è così facile. Per esempio: la posizione fissa della lavagna condiziona tutto”. M.: “Procurati un’altra lavagna, una lavagna mobile, di quelle con i fogli di carta che si usano nei seminari”. G: “Una classe con più lavagne? Devi tenere conto che chi avanza una tale richiesta rischia di passare per una... rompi-coglioni!” M.: “Che coglioni sensibili che ha, questa scuola italiana!! E i banchi? Perché non ti fai aiutare dagli studenti e li disponete in modo che faciliti il lavoro per piccoli gruppi?”. G: “È che non ho voglia di urtarmi con gli altri insegnanti criticando il loro modo di disporre i banchi. Anche se sono convinta che la disposizione dello spazio sia importante, è mia intenzione entrare ‘in punta di piedi’ nelle aule, modificando le situazioni in sintonia con i docenti e questo rimane per loro NOSTALGIA DEL FUTURO l’ultimo dei problemi. La loro lamentela, semmai, riguarda l’inadeguatezza delle aule rispetto al numero degli studenti, non se sono disposti in file o in cerchio, per ranghi o per gruppi di pari. La struttura dello spazio riflette fortemente il modo in cui gli insegnanti insegnano e tutti usano strategie frontali d’insegnamento, da cui consegue la disposizione dei banchi”. M.: “Anche viceversa, l’hai detto tu stessa prima: la disposizione della lavagna e dei banchi ostacola l’adozione di altri modi di concepire l’insegnamento”. G: “Cambiare la disposizione spaziale è un elemento di grande scombussolamento: anche quando una insegnante organizza forme collaborative di apprendimento in classe, di solito chiede agli studenti di spostarsi per disporsi intorno ai banchi considerati inamovibili, forse per non far chiasso, forse per non dispiacere ai bidelli che poi devono riordinare”. M.: “A proposito di bidelli, mi fai venire in mente che durante un corso a Faenza, con un gruppo di soci di una cooperativa che ha in appalto le pulizie nelle scuole, è venuto fuori che c’è una regola per cui loro possono spolverare solo il sedile dei banchi, perché lo schienale è riservato ai bidelli. Quindi nelle aule prima passa uno e poi passa l’altro. Una trovata ‘idiota e umiliante’, ma che viene subita perché ormai “è un regolamento” e sarebbe uno scombussolamento trop- po grande metterlo in discussione. Non penserai che si possa cambiare la scuola, se questo tipo di mentalità non viene travolta da una valanga di risate!?”. G: “Hai completamente ragione, ma al tempo stesso io temo che se per svolgere il mio lavoro ponessi come condizione la disponibilità di uno spazio specifico, mi vieterei di farlo proprio dove ce n’è più bisogno, nelle scuole più disastrate. A volte con un gruppetto di studenti devo girovagare a lungo per la scuola, prima di trovare una collocazione accettabile, ma in questo mi sento vicina ai tanti colleghi che operano eroicamente in ambienti scarsi di spazio e di strumenti”. M.: “Quanto dici mi convince sempre più che la configurazione e cura dello spazio nella scuola è un vero e proprio tabù. Non mi stupisce che gli edifici scolastici italiani vadano a pezzi”. Il filosofo Michel Serres ha esposto con chiarezza il tipo di rivoluzione copernicana che i sistemi scolastici devono intraprendere per offrire contesti di apprendimento adeguati agli sconvolgimenti provocati dalle tecnologie digitali e dalla globalizzazione: “Una volta lo spazio dell’aula si configurava come un campo di forze il cui centro orchestrale di gravità si trovava sulla pedana, nel punto focale della cattedra, letteralmente un power point. Era là la densità pesante del sapere, pressoché inesistente alla periferia. Ma ormai, sparso dappertutto, il sapere si espande in uno spazio omogeneo, decentrato, libero. L’aula di una volta è archiviata, anche se si vedono soltanto aule fatte così, anche se non se ne sanno costruire di diverse, anche se la società dello spettacolo cerca ancora di imporle” 6. La crisi non solo della nostra scuola, ma dell’intera nostra società sta tutta qui: chi ha il potere non ha interesse a valorizzare e coltivare questo “sapere che si espande in uno spazio decentrato”, questa intelligenza collettiva, e chi non ha il potere o mira a prenderselo così come è, o non sa come fare a cambiarlo e quindi pensa che sia impossibile. Credo siano maturi i tempi per organizzare degli incontri su “cambiamento e scombussolamento”. E qui entra in ballo la centralità dell’ascolto attivo e del confronto creativo. L’arte di ascoltare, ridotta ai suoi termini essenziali, riguarda la trasformazione delle pene e ansie connesse con le divergenze nella comunicazione e nella convivenza, in opportunità di apprendimento e consapevolezza, in intelligenza collettiva. Il confronto creativo 7 è l’applicazione sistematica dell’ascolto attivo ai principi e rituali che riguardano come si fanno le riunioni e le dinamiche decisionali. Anche nell’organizzazione della vita politica, come nella scuola, da tempo ormai, dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, sono state elaborate metodologie e messe in atto una quanOltre a Reggio Children, di cui ho sentito parlare con grande ammirazione per la prima volta a New York da un professore di Harvard, Howard Gardner, vi segnalo per quanto riguarda la scuola primaria i deliziosi testi di E. Carloni, Il viaggio di Ulis, Edizioni Junior, Azzano S. Paolo (Bg), 2009; E. Carloni, B. Campolmi, Come si impara a scrivere e a leggere. Aver cura degli spazi, dei tempi e delle risorse per rendere interessante e importante l’apprendimento, Edizioni Junior, Azzano S. Paolo (Bg), 2010. 6 Michel Serres: Non è un mondo per vecchi. Perché i ragazzi rivoluzionano il sapere, Bollati Boringhieri, Torino, 2012, pag.36. 7 M. Sclavi, L. Susskind, Confronto Creativo. Dal diritto di parola al diritto di essere ascoltati, Et-al edizioni, Milano, 2011. Sezione della Scuola comunale dell’infanzia Diana, Reggio Emilia FEBBRAIO 2014 5 11 IDEE E QUESTIONI FEBBRAIO 2014 tità di esperienze di democrazia deliberativa, centrate sulla partecipazione, sul coinvolgimento dei cittadini inteso come processo di mutuo apprendimento e non mero sondaggio di opinione o referendum. Anche in questo caso il problema principale non è tanto la ricetta (perché ormai abbiamo a disposizione una ricca messe di strumentazioni sia teoriche che di verifiche nella pratica) quanto la volontà e capacità di procurarsi gli ingredienti. Una delle più importanti organizzatrici e teoriche nel campo della democrazia deliberativa, Carolyn Lukensmeyer, ha riassunto la filosofia degli studiosi in questo campo nei seguenti termini: “Non è vero che le istituzioni non funzionano perché la gente è litigiosa e di parte. Litigiosità e partigianeria sono il prodotto di come funzionano le istituzioni, sono dei requisiti del funzionamento delle stesse”. Una controprova è che ogni volta che si mettono in pratica modalità di incontro, di organizzazione e decisione che promuovono l’intelligenza collettiva e trasformano le divergenze in risorse conoscitive, queste istituzioni si sentono minacciate e fanno di tutto per affossarle. In estrema sintesi: la ricetta tradizionale del tipo: “Tutti in assemblea, seduti in file come tanti soldatini, parla A, parla B, parla C, replica A, adesso si vota, la maggioranza vince, la minoranza scon- 12 tenta si rifarà la prossima volta”, risulta oggi sempre più spesso indigesta e improponibile, una noia, una frustrazione. Le nuove ricette, decisamente più attuali ed apprezzate dai commensali, sono del tipo: “Tutti riuniti in una grande sala, seduti attorno a decine di tavoli rotondi di max dieci posti l’uno: plenaria–lavoro di gruppo-plenaria-lavoro di gruppo- plenaria-lavoro di gruppo-plenaria finale, dove si designa un comitato misto di volontari ed esperti che traduce le linee guida emerse in un progetto specifico, oggetto di future altre riunioni in stile analogo” 8. Il poter fare delle ricerche sul Web ci permette di renderci conto di quanto rapidamente queste nuove modalità di incontro e organizzazione, di comunicazione e trasmissione del sapere si stanno affermando in tutto il mondo, nonostante le resistenze. Perché per fortuna siamo arrivati a un punto in cui le esperienze positive trovano canali autonomi per pubblicizzarsi nonostante la sordità e le censure e in cui lo scombussolamento del non cambiare è ormai chiaramente superiore a quello provocato dal cambiare! La scuola, in quanto organismo deputato alla trasmissione intergenerazionale delle conoscenze e in quanto sede in cui vengono educati i futuri cittadini e la futura classe dirigente della società, è una istituzione assolutamente fonda- mentale per il successo di queste prospettive e progetti. Oggi la scuola non può più essere il luogo di trasmissione di un sapere acquisito e valido una volta per tutte, deve essere un luogo in cui s’impara a muoversi autonomamente nel mondo del life long learning e in cui i giovani, i loro genitori e tutti gli addetti ai lavori, hanno occasione di riflettere su come si fa a partecipare in modo efficace e democratico alle decisioni che riguardano loro stessi e la comunità di cui sono parte. In un programma e progetto di società desiderabile, la scuola non è un’istituzione di retroguardia, ma di avanguardia, sede di sperimentazione della società del futuro. Alla base di tutto questo c’è l’arte di ascoltare. La scuola deve presentarsi come un’istituzione che in modo esplicito e palese, in tutte le sue istanze di programmazione, decisionali e di convivenza, pratica essa stessa l’ascolto attivo. Ne è impregnata. 8 Vedi l’articolo I grandi cuochi della democrazia Urbana, in “Newton”, luglio 2010, scaricabile da Marianella Sclavi website. Aula della Scuola primaria statale e sezione della Scuola comunale dell’infanzia al Centro Internazionale Loris Malaguzzi di Reggio Emilia, una scuola che, per la prima volta nell’esperienza del “Reggio Emilia Approach”, unifica il percorso formativo dai 3 agli 11 anni