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CLASSIC Newsletter periodica sui mercati finanziari Direttore Responsabile: Pierluigi Gerbino Anno 2016 Numero 2 del 3 Dicembre SOMMARIO COMMENTI E ANALISI: • Referendum: se devo prendere o lasciare, allora lascio pag. 2 La mia opinione sul Referendum italiano • Referendum: comunque vada saranno guai 6 La vera domanda non è chi vincerà, ma cosa succederà il prossimo anno • Sale lo spread tra USA ed Europa. Non a caso 9 I mercati USA corrono, quelli europei arrancano. Il motivo sta nell’arrivo di Trump NOVITA’ ED EVENTI • Incontri Patrimon: diversificare il patrimonio nell’economia reale • Corsi di Trading: agli sgoccioli il Tour 2016 • Webinar: i prossimi appuntamenti su Sella.it 11 11 13 DETTO TRA NOI: LA POSTA DI CLASSIC 14 In questo numero si parla di: Rialzo dei tassi e titoli bancari; Short e stacco cedole IN EVIDENZA INCONTRO PATRIMON A TORINO: DIVERSIFICARE IL PATRIMONIO NELL’ECONOMIA REALE 1 COMMENTI E ANALISI Quelli che seguono sono solo alcuni tra i più significativi commenti ai mercati che abbiamo pubblicato sul sito borsaprof.it nell’ultimo periodo. Sul sito sono ora previste ben 3 sezioni che ospitano una nutrita serie di commenti ed analisi: Commenti Quotidiani: ospita le opinioni giorno per giorno sulla quotidianità dei mercati; Commenti Settimanali: contiene le analisi di medio periodo e le tabelle settimanali dei principali Market Movers; Commenti ed Analisi: contiene i contributi maggiormente articolati ed ampi, sugli scenari di medio-lungo periodo o su argomenti di ampio respiro. REFERENDUM: SE DEVO PRENDERE O LASCIARE, ALLORA LASCIO (di Pierluigi Gerbino – pubblicato su borsaprof.it il 3.12.2016 nella sezione Commenti Quotidiani) Ho riflettuto molto se esprimere pubblicamente il mio orientamento sul referendum ormai imminente. So che in questo clima da guerra civile tra fazioni, per chi ha un’attività commerciale o che, comunque, per andare avanti ha bisogno del favore dei clienti, lo schierarsi non è mai opportuno. Meglio dar ragione a tutti, o in questo periodo di anti-politica imperante, meglio dar torto a tutte le parti politiche. Però credo che sia giusto far conoscere la mia opinione anche su questo tema, dato che ogni giorno mi esprimo su quel che succede sui mercati finanziari e sull’economia mondiale. Magari a qualcuno interessa sapere come la penso sulla riforma costituzionale italiana. Allora dico la mia, senza fare campagna elettorale per nessuno, dato che il 4 dicembre si vota sull’opportunità di una precisa legge di revisione costituzionale, non sul governo o sull’euro. Purtroppo la campagna elettorale è stata stravolta da entrambe le parti e trasformata in un giudizio su Renzi, per colpa, è giusto dirlo, innanzitutto del Presidente del Consiglio, che ha presentato continuamente l’alternativa elettorale come la scelta tra lui e la casta, tra cambiamento e mantenimento del vecchio immobilismo, tra la risurrezione dell’Italia e l’affondamento del nostro paese da parte dei mercati internazionali. Sono convinto, e lo spiego in un altro intervento che si può leggere sotto, che il destino del nostro paese non dipenderà dall’esito del Referendum, ma dall’evoluzione dei tassi di interesse e della politica della BCE nei prossimi mesi. Credo invece che bisognerebbe sforzarsi di giudicare solamente la legge di riforma della Costituzione. La scelta del Governo di votare un unico provvedimento che tocca la Costituzione in molte parti e su materie tra loro assai differenti, rende difficile la vita dell’elettore, perché il quesito è uno solo: prendere tutto o buttare tutto. Se si fosse scelto di fare almeno 3 o 4 diverse leggi di riforma costituzionale su argomenti più omogenei sarebbe stato infinitamente meglio. Perché si è scelto di fare il minestrone? E’ forte Il sospetto che sia per far passare scelte che probabilmente il popolo non avrebbe accettato. Anche su questo il Governo, a mio parere, ha sbagliato, costringendo il cittadino ad un complicato percorso per riuscire ad esprimere il suo giudizio che, nella maggior parte dei casi, comporterà di digerire questioni che non gli piacciono oppure di cestinare riforme che avrebbe approvato se non fossero affogate in un minestrone indigesto. Provo a riassumere il processo di valutazione che ho attuato, tra enormi difficoltà e perdite di tempo per capirci qualcosa. Ho sostenuto quasi 40 anni fa un esame di Diritto pubblico, ma non sono certo un costituzionalista. La prima impressione che ho ricavato dallo studio di quello che siamo chiamati a giudicare è quella che la nostra Costituzione, che oggi non è semplice, ma comunque abbastanza comprensibile anche a chi non è docente universitario di Diritto Costituzionale, esce da questa riforma decisamente appesantita e complicata. Non è un buon inizio. Ho provato poi a classificare in ordine di importanza gli argomenti principali su cui la revisione incide, che, a mio parere, non sono quelli che troveremo sulla scheda elettorale su cui dovremo apporre il nostro SI oppure NO. Sono i seguenti: 1) La riforma del bicameralismo perfetto; 2 2) La definizione del nuovo Senato; 3) La modifica del percorso legislativo; 4) La riforma del “Federalismo”; 5) La velocizzazione dell’iter legislativo delle leggi proposte dal Governo; 6) La riforma della partecipazione dei cittadini al processo legislativo mediante referendum e proposte di legge di iniziativa popolare; 7) La riduzione dei costi della politica; 8) La nuova modalità di elezione del Presidente della Repubblica 9) L’abolizione del CNEL e delle province. Ci sono ancora parecchie altre cosucce, ma decisamente meno importanti. Partiamo dal basso nella valutazione. Sull’ultimo punto dell’elenco credo che quasi il 100% dei cittadini italiani, me compreso, sia favorevole e non vale la pena soffermarsi oltre. La nuova modalità di elezione del Capo dello Stato (punto 8) prevede dalla settima votazione la maggioranza dei tre quinti dei “votanti” al posto dell’attuale maggioranza assoluta dei componenti dell’assemblea dei grandi elettori. Si tratta certamente un ridimensionamento della applicazione del principio che il Capo dello Stato, essendo l’arbitro del sistema e rappresentando l’unità nazionale, deve esser espressione di un’ampia maggioranza. Alla maggioranza politica, che con la nuova legge elettorale Italicum avrebbe 340 deputati e probabilmente (la legge per la nomina dei senatori non c’è ancora) una cinquantina almeno di senatori, basterebbe ottenere l’assenza o il voto di un’ottantina circa di parlamentari dell’opposizione per eleggersi il Capo dello Stato da sola. Questo vulnus mi fa propendere per un rifiuto della riforma. Preferisco l’attuale regola. Sul punto 7 mi astengo, poiché la Ragioneria dello Stato ha stimato in circa 50 milioni di euro il risparmio annuo generato direttamente da questa riforma. Equivale a meno di un caffè all’anno per ciascun cittadino. In compenso spendiamo 300 milioni per fare il Referendum. La tentazione di dire un NO per ripicca è forte, ma resisto. Sul punto 6 constato un certo allargamento delle possibilità di partecipazione dei cittadini. Più che l’abbassamento del quorum per i referendum abrogativi presentati con almeno 800.000 firme (perché non abbassarlo anche se le firme sono solo 500.000?), apprezzo la garanzia, che ora non c’è, di esame e voto da parte del Parlamento delle proposte di legge di iniziativa popolare accompagnate da 150.000 firme. Su queste materie si poteva fare di più. Però il poco è meglio del nulla e voterei SI. 3 PROVA GOLD 2.0 La newsletter quotidiana OPERATIVA! 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Negli altri casi la velocità è nemica della democrazia e, dato che spesso si riescono a fare pessime leggi in tempi lunghi, abbreviarli riduce ulteriormente la qualità delle future leggi. Il voto sarebbe NO. Il punto 4 è la riforma della riforma dell.art 117 sui poteri delle Regioni, fatta male nel 2001 dal Centro Sinistra, che ha dato alle Regioni il potere legislativo su tutte le materie non espressamente riservate allo Stato. Questa riforma ha prodotto un sacco di conflitti di attribuzione, paralizzando la Corte Costituzionale che deve fare da arbitro. C’era necessità di rimettere ordine e la Riforma del Governo lo fa, senza farsi pregare e con mano pesante. Praticamente si torna a fissare solo alcune materie su cui le Regioni possono legiferare e si mette anche una norma capestro (chiamata principio di supremazia) che permette al Governo di proporre e far approvare dalla Camera leggi anche sugli argomenti di competenza regionale, quando lo richiede l’interesse nazionale. Praticamente il federalismo viene decisamente sbiadito, forse troppo. Si aggiunge anche il contentino populista del divieto di finanziare con soldi pubblici le spese dei gruppi consiliari regionali, dopo lo scandalo dei rimborsi facili che ha coinvolto centinaia di consiglieri di quasi tutte le regioni. Nonostante queste forzature il mio giudizio resta favorevole, perché si doveva agire ed in questo caso ritengo che il troppo sia comunque meglio di nulla. Veniamo ai punti più importanti, quelli che occupano il podio della classifica. I primi 3 punti sono il cuore della riforma, tra loro inscindibili e vanno valutati insieme. E’ con l’eliminazione del bicameralismo perfetto e la riforma dell’iter legislativo che si vuole rendere l’ordinamento Costituzionale più efficiente, semplice e veloce. Il bicameralismo perfetto è il sistema attualmente vigente, che prevede la doppia identica approvazione delle leggi da parte di Camera e Senato. Tutti ne lamentano la inadeguatezza perché oggi non c’è mai tempo da perdere, a parte quello che tutti perdono sui social network, e per lo strano motivo che solo pochi dei sistemi costituzionali avanzati lo prevedono. Il modo più certo per eliminarlo sarebbe eliminare una delle due Camere, ad esempio il Senato, ed abrogare tutte le norme che lo regolano, introducendo magari qualche regoletta di bilanciamento per evitare lo strapotere del governo. Questa sarebbe una semplificazione. Ma la riforma Boschi non abolisce il Senato. Lo trasforma in un ibrido composto da un numero variabile di senatori pari o poco superiore ai 100 componenti: 95 in rappresentanza di Regioni e Comuni, 5 nominati dal Presidente della Repubblica e tutti gli ex capi dello stato in vita. La nomina spetta ai consigli regionali che li eleggono con metodo proporzionale tra i loro componenti e tra i sindaci (uno per regione) dei comuni della regione. La legge, ambiguamente, dice che nell’elezione dei senatori i consigli regionali debbono tenere conto della volontà popolare espressa in occasione delle elezioni amministrative. Non sappiamo ancora come questi principi verranno concretizzati dalla legge elettorale, che ancora non c’è. I senatori decadono al termine del loro mandato da consiglieri regionali o da sindaco. Si tratta quindi di un secondo mandato che si aggiunge a quello principale da consigliere regionale e da sindaco, una specie di dopolavoro. Non percepiscono stipendio. Nessuno lo dice, ma è presumibile, oltre che equo, che le trasferte a Roma per le sedute del Senato ed i rimborsi spese, siano retribuiti, altrimenti non vedo chi accetterebbe di lavorare di più pagandosi pure le spese. Il risparmio, sbandierato in modo populista dal governo come elemento qualificante della riforma, potrebbe essere inconsistente. 4 Personalmente ritengo che chi lavora debba essere pagato e che sottrarre tempo al lavoro principale per farne un altro non retribuito non sia affatto una dimostrazione di efficienza. Se si può fare bene il consigliere regionale o il sindaco lavorando solo 2 o 3 soli giorni la settimana, significa che queste figure istituzionali sono in gran parte inutili. Se invece sono utili tutta la settimana, è stupido mandarle a Roma a fare altro gratis. Al nuovo Senato non viene sottratto il potere legislativo, ma solo limitato. Su parecchie materie il bicameralismo perfetto rimane. Inoltre viene concesso ai senatori, su richiesta di un terzo dei componenti, di poter esaminare un testo approvato dalla Camera e di proporre modifiche alla Camera, che decide in via definitiva. In questi casi c’è una subordinazione evidente del Senato alla Camera, ma il potere legislativo rimane. Su altre materie resta anche l’iniziativa legislativa, che obbliga la Camera ad accettare o respingere a maggioranza assoluta le proposte del Senato. La legge prevede addirittura che possano esistere conflitti di competenza tra Camera e Senato, ammettendo implicitamente di essere fatta con i piedi, e per risolverli demanda la decisione ai due presidenti delle Assemblee. E se anche loro sono in disaccordo? Non è previsto. L’insieme di questi pasticci dovrebbe semplificare e velocizzare la produzione delle leggi, realizzando il miracolo che la complicazione delle regole produca la semplificazione dei risultati. A me pare che ciò che si dovrebbe semplificare sia la vita burocratica del cittadino, non quella del politico per aumentare la burocrazia. Detto in altri termini, la cosa da fare non è la facilitazione del processo legislativo, ma quella del processo abrogativo. Abbiamo troppe leggi, spesso in contraddizione tra loro, che ci complicano inutilmente la vita. Dovrebbe essere inserito in Costituzione il principio che per 10 anni l’approvazione di ogni nuova legge dovrebbe essere preceduta dall’abrogazione di almeno 3 vecchie. Questo sarebbe semplificazione. Non è un caso, a mio parere, che, sia il Belgio, 3 anni fa, che la Spagna, quest’anno, abbiano conosciuto un boom economico nel periodo, molto lungo, in cui sono rimaste senza governo e si è bloccata la produzione normativa. Se andiamo a vedere gli articoli che regolano la nuova produzione di leggi c’è da mettersi le mani nei capelli. Sono rimasto allibito dal livello di confusione e di complicazione che si è voluto introdurre (per semplificare!!!). L’art. 70 della Costituzione ora è composto da un solo comma di 9 parole. Dopo sarà formato da 7 lunghi commi e 439 parole, scritte come normalmente si scrive la legge di stabilità, che richiede stuoli di commercialisti per capire che cosa si vuole dire. Spesso si sente dire che le leggi dovrebbero essere scritte in linguaggio semplice, come è scritta la Costituzione. Ora si uniformano i linguaggi andando a riscrivere la Costituzione con il linguaggio criptico dei decreti legge. E’ un passo indietro colossale. Ed il risultato finale è che, se ora abbiamo 2 diversi iter legislativi chiari, dopo la riforma ne avremo 10 e lacunosi. Mi fermo qui. Ci sarebbe altro da dire, ma basta questo per bocciare il cuore della riforma costituzionale, che sottrae sovranità al popolo, amplia i poteri della maggioranza parlamentare, trasforma il bicameralismo perfetto in bicameralismo pasticciato. Comprendere come il bicameralismo pasticciato sia più efficiente di quello perfetto è uno sforzo che oggettivamente non mi riesce. Probabilmente non sono abbastanza moderno. Facciamo ora il conteggio delle novità che approverei e di quelle che boccerei. Sui nove punti elencati i SI che darei sono 3 (i punti 4, 6 e 9). Mi asterrei sul punto 7 e boccerei col NO il punto 5, l’8 ed il cuore della riforma, cioè i punti 1-2-3. Su questi ritengo che l’attuale Costituzione sia migliore. Dovendo essere costretto ad un unico voto debbo scegliere il NO, per il peso maggiore delle porcherie rispetto alle cose apprezzabili. Sono cosciente che in questo modo rifiuto il cambiamento. Ma il cambiamento che mi piace è quello verso un maggior democrazia e partecipazione. Se il cambiamento ci fa arretrare verso l’autoritarismo la mia risposta è senza dubbi un chiaro “preferisco di NO”. Mi tengo il vecchio. Nessuno ha la sfera di cristallo. Le opinioni e le previsioni di questo report derivano dall’applicazione di tecniche di analisi e dall’esperienza diretta dell’autore. Esprimono pertanto esclusivamente il punto di vista dell’autore e non hanno lo scopo di fornire previsioni né tantomeno consulenza. Si garantisce perciò soltanto scrupolo ed indipendenza delle analisi. Invitiamo i lettori che vogliano contribuire con le loro libere opinioni a scriverci a [email protected] Pubblicheremo i contributi che possano stimolare la discussione e siano di interesse generale. 5 REFERENDUM: COMUNQUE VADA SARANNO GUAI (di Pierluigi Gerbino – pubblicato su borsaprof.it il 2.12.2016 nella sezione Commenti e Analisi) Il tormentone sul Referendum Costituzionale italiano, che ha occupato metà dei tg da settembre in avanti, è ormai agli sgoccioli. Secondo la campagna elettorale ormai terminata da esso dipende il destino del nostro paese. Per il Governo, pardon, per Renzi, perché in tv si è visto praticamente solo lui, a volte persino in contemporanea su più canali e su diversi media (tv, radio, internet), mentre i suoi cortigiani sembrano spariti, la vittoria del SI lancerebbe l’Italia nel paradiso delle riforme, spingerebbe i mercati ad investire sul nostro futuro e addirittura consentirebbe all’Italia di dettare la linea anti austerità all’Europa il prossimo anno. Già mi immagino la Merkel sfidata a duello dal baldanzoso fiorentino. Non meno rosee sono le prospettive che ci vengono presentate da buona parte del fronte assai eterogeneo del NO. Se cade la riforma costituzionale cadrà anche Renzi. Nuove elezioni manderanno al potere il fronte euroscettico, che rinnegherà l’austerità e proporrà un nuovo referendum per uscire dall’euro, riacquistare la sovranità monetaria e ridare la libertà al popolo italiano, ora schiavo della Merkel. A dire il vero tra quelli che si oppongono alla riforma renziana ci sono anche quelli che, molto più sommessamente, semplicemente non vogliono deturpare la nostra Costituzione con novità, che, a loro parere, limitano la sovranità del popolo e creano un sistema legislativo più confuso di prima. Questa terza parrocchia è comunque sommersa dalle urla delle altre due. I cittadini vengono perciò chiamati a scegliere tra due sogni estremisti, che presentano due scorciatoie verso la felicità, alternative tra loro. Quasi nessuno ricorda che invece il 5 di dicembre, chiunque vinca, i problemi del nostro paese saranno ancora tutti lì, da risolvere. In ambito politico ce lo ha ricordato molto bene Michele Ainis in un articolo apparso su Repubblica il 25 novembre. Riassumo prendendomi qualche libertà interpretativa. - Non è vero che se vince il SI le riforme sono finite. Per stessa ammissione di Renzi bisognerà ritoccare alcuni pasticci presenti nel testo. Comunque bisognerà fare da zero la legge elettorale del Senato. Anche se vince il NO occorrerà comunque farla, perché l’Italicum vale solo per la Camera. E inoltre, secondo le promesse di Renzi, sembra che debba essere cambiato pure quello. - Siccome il Governo si è pesantemente esposto sul Referendum e purtroppo la consultazione è diventata un plebiscito su Renzi, tutti pensano che se vince il SI il governo possa procedere gagliardo fino al 2018, mentre se vince il NO Renzi debba andare a casa. Invece potrebbe succedere che, se vince il NO, Mattarella imponga a Renzi di presentarsi in Parlamento per verificare la fiducia. E, siccome Renzi in Parlamento ha ancora la maggioranza, potrebbe tranquillamente restare. Se invece vince il SI, Renzi, ringalluzzito da una vittoria in volata ottenuta tutta da Lui (la maiuscola non è un errore), potrebbe voler stravincere e dimettersi subito dopo aver fatto la legge elettorale per il nuovo Senato, per incassare l’investitura elettorale e mettere le radici a Palazzo Chigi per altri 5 anni (almeno?), grazie al rafforzamento dei poteri che la nuova Costituzione gli garantirebbe. Pertanto gli elettori che pensano che dopo lo sforzo fatto per capire il rompicapo elettorale del 4 dicembre, si possa pensare a cose più concrete dell’ingegneria costituzionale, si possono mettere il cuore in pace, perché il referendum potrebbe essere solo l’antipasto di altri rompicapo politici. Vediamo ora come stanno le cose in ambito economico, che dovrebbe essere la palestra più frequentata dal Governo, ma negli ultimi mesi è passato in secondo piano rispetto alle questioni costituzionali. Dal punto di vista economico, non è che si possa dire che il nostro paese, nonostante gli annunci e l’esultanza di Renzi, abbia fatto molta strada nella giusta direzione. I compiti che si assunse Renzi ormai più di 1000 giorni fa, quando disarcionò Letta a colpi di “Enrico, stai sereno” erano, in estrema sintesi, due: - il ripristino di livelli di crescita sostenuti, che recuperassero almeno in parte la pesante caduta di reddito subita dagli italiani con la lunga crisi economica scoppiata nel 2008 e riducessero il pesante gap che separa la asfittica competitività italiana da quella media europea; - il risanamento dei nostri conti, che riducesse quel rapporto debito/PIL che da molti anni è la spada di Damocle che grava sulla nostra credibilità. Circa il primo impegno si può dire che qualche passo avanti è stato fatto, ma solo perché prima di Renzi il PIL scendeva: così è stato nel 2008, 2009, e, dopo il rimbalzino congiunturale di 2010 e 2011, ancora nel 2012 e 2013. Quando Renzi arrivò, nel 2014, il PIL riuscì finalmente a risalire, ma solo del misero +0,1%. Meglio andò lo scorso anno con +0,9%, ma quest’anno sembra che 6 l’accelerazione sia finita, dato che l’ISTAT stima per fine anno un +0,8%. Insomma, Renzi è al potere da oltre 1000 giorni ma il tasso di crescita del PIL non si è schiodato da percentuali da zero virgola. E’ vero che Renzi non ha subito l’onta dei suoi predecessori, che hanno assaggiato il segno meno, ma non si può certo dire che i suoi risultati siano sufficienti, dato che oggi il PIL italiano, in termini reali, è ancora sui livelli di 15 anni fa e di ben il 7,7% inferiore al massimo raggiunto nel primo trimestre del 2008. A rappresentare ancor meglio il ritardo che l’Italia mantiene rispetto ai partner europei, è il fatto che l’Italia, dopo la Grecia, è ancora il paese che cresce di meno rispetto alla media dell’Eurozona. Il Grafico 1 sottostante, che mette a confronto la crescita italiana e quella di Germania, Francia ed Eurozona, ci mostra che il divario, già presente anche prima della grande crisi del 2008, dopo di essa si è allargato in modo impressionante, anche durante gli anni di Renzi. Il nostro giovane premier ha così dilapidato la possibilità, forse difficilmente ripetibile, di sfruttare le condizioni ambientali, estremamente favorevoli alla crescita, che abbiamo vissuto dal 2014 in avanti, quando abbiamo avuto dalla nostra un circolo virtuoso, fatto di bassi prezzi dell’energia, bassa inflazione e tassi di interesse estremamente favorevoli, grazie agli acquisti di bond da parte della BCE. Purtroppo a pesare sulla nostra crescita, oltre alle inefficienze storiche, su cui Renzi non ha calato abbastanza la scure, è stata anche la devastante situazione del nostro sistema bancario, in cui sono venuti al pettine tutti i nodi nascosti dai suoi predecessori e che lui stesso ha fatto finta di non vedere finché ha potuto. Il blocco dell’attività creditizia ed il macigno delle sofferenze (le banche italiane detengono un terzo dell’ammontare complessivo delle sofferenze dell’Eurozona) hanno impedito di far affluire al sistema produttivo l’ingente massa di denaro erogata dalla BCE, che si è scaricata quasi completamente in acquisti di titoli pubblici. La mancanza di crescita ha contribuito a rendere improbo anche il secondo compito che spetta a Renzi, cioè il risanamento dei conti pubblici. La parabola del rapporto debito/PIL, rappresentata dal Grafico 2, ci mostra che l’ultimo anno che questo rapporto diminuì fu il 2007 (al governo c’era Prodi). Poi, per ben 8 anni questo rapporto salì, fino al 132,3% di fine 2015. Per fine anno è stimato leggermente superiore al 133%, e pertanto gli anni di peggioramento diventeranno 9. E pensare (pochi lo ricordano!) che era il 114% nel 1997, quando fummo accettati nell’euro nonostante le regole di ammissione prevedessero di non superare il 60%, con il Premier Prodi ed il suo Ministro del Tesoro Ciampi che firmarono in cambio l’impegno a ridurlo ogni anno e portarlo entro il 2014 al 60%. Queste vicende storiche dovrebbero farci capire abbastanza bene per quale motivo i tedeschi non si fidano di noi. 7 Il giorno dopo il Referendum, a prescindere da chi vincerà e da chi siederà a Palazzo Chigi, i due macigni, crescita e debito, che Renzi non ha saputo frantumare saranno ancora lì, a pesare sulla nostra credibilità. Ma, rispetto a quel che ha dovuto affrontare Renzi negli ultimi anni, dal 2017 potrebbe esserci una differenza sostanziale: la fine della spirale benigna petrolio – inflazione - tassi. L’accordo OPEC del 30 novembre ha decretato la fine della guerra economica, voluta dall’Arabia Saudita contro lo shale-oil americano, combattuta attraverso il crollo dei prezzi del greggio. Prezzi troppo bassi ora non convengono più nemmeno agli arabi, che hanno subito un drastico calo delle entrate negli ultimi due anni. La riduzione della produzione di greggio da parte del cartello OPEC non sarà probabilmente in grado di riportare i prezzi a quota 100 dollari al barile, ma è possibile che possa stabilizzarli per un po’ intorno ai 60 dollari. Sarebbe pur sempre un incremento del 50% rispetto alla media di circa 40 dollari vista per larga parte del 2016. Questo scenario porterebbe un contributo decisamente inflazionistico sull’economia mondiale, all’opposto del forte calo del 2014-2015, che alimentò spinte deflazionistiche globali. Ma non solo il petrolio spingerà in alto i prezzi. Anche la vittoria di Trump potrebbe alimentare un bel po’ l’inflazione negli USA e nel mondo, a colpi di spesa pubblica in aumento e gettito fiscale in diminuzione, dati i forti tagli alle tasse promessi. Questo, almeno, è quel che i mercati finanziari stanno cominciando a scontare con buona lena. A giudicare dalla salita dei rendimenti su Treasury Bond americani, il mercato teme che l’inflazione possa essere piuttosto abbondante, tale da causare la rapida accelerazione dell’aumento dei tassi da parte della Federal Reserve per combatterla. Se succederà, è difficile pensare che la BCE di Draghi possa continuare a stampare allegramente moneta, pena l’affondamento dell’euro e il risveglio dell’inflazione anche in Europa ben oltre l’agognato obiettivo del 2%. Allora la direzione dei rendimenti anche in Eurozona dovrà uniformarsi a quella dettata dalla FED. Ci sono segnali abbastanza forti che il ciclo ribassista secolare dei rendimenti sia terminato, per lasciar spazio ad un lungo periodo che dovrebbe vedere rendimenti in salita. Magari ci vorrà un po’ di tempo per tornare alla media storica dei rendimenti. Sul Bund decennale tedesco il rendimento medio di lungo periodo è compreso tra il 4 e il 5%. Valori leggermente più alti riguardano il Treasury decennale americano. Un ritorno verso la media di lungo periodo potrebbe perciò riportare al 4% i rendimenti in USA e Germania. In queste condizioni il nostro paese, che ha un debito del 133% del PIL, il secondo in europa dopo la Grecia, verrebbe subito individuato dai mercati come un morto che cammina, incapace di pagare tassi che potrebbero salire intorno al 7-8% e si applicherebbero ad uno stock di debito molto elevato. Sono i tassi che abbiamo conosciuto nel 2011, prima che arrivasse Monti al Governo. Ma Monti trovò un rapporto debito/PIL inferiore di 17 punti rispetto ai livelli attuali. La sostenibilità del debito italiano, che Draghi ultimamente ha voluto confermare, per rassicurare i mercati, che stanno alzando lo spread BTP-Bund, è realistica solo in un contesto di tassi molto bassi e di continuazione all’infinito degli acquisti di titoli di stato da parte della BCE. In mancanza di ciò tutti i nodi potrebbero venire assai rapidamente la pettine. E’ realistico pensare che la cuccagna dei tassi a zero e del QE possa continuare all’infinito, quando si presenterà il problema di spegnere l’inflazione invece che quello di stimolarla, come la BCE sta facendo ora? Si comprende perciò che la vera domanda che dovremmo porci non è “chi vincerà il referendum?”, ma che cosa succederà il prossimo anno se Trump sarà di parola e spingerà il mondo verso INVESTI IN FONDI COMUNI ? ALLORA FALLI LAVORARE !! 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Con un ammontare di sofferenze che è un terzo di quelle presenti nell’intera Eurozona, con le note difficoltà a fare gli aumenti di capitale richiesti dalla BCE, gli investitori internazionali si ritirerebbero, lasciando allo Stato il compito di salvare MPS (e magari anche Unicredit?), dopo aver fatto il bail-in. Se vincerà il SI potremmo avere ancora qualche mese di ossigeno. Le banche riusciranno a ricapitalizzarsi e le loro quotazioni potrebbero risollevarsi un po’. L’euforia per lo scampato pericolo farebbe pensare che i problemi siano risolti. Invece sarebbero solo spostati, perché il bersaglio diventerebbe direttamente il nostro debito pubblico, più o meno come successe nel 2011. L’attacco non partirebbe subito, ma quando Draghi chiuderà il paracadute chiamato Quantitative Easing. In assenza del compratore di ultima istanza le vendite di BTP potrebbero infliggere ai rendimenti un’impennata epocale, alla quale nessun governo saprebbe resistere. … E allora scenderebbe in campo la Troika. SALE LO SPREAD TRA USA ED EUROPA. NON A CASO (di Pierluigi Gerbino – pubblicato su borsaprof.it il 28.11.2016 nella sezione Commenti Settimanali) Se confrontiamo i valori dei principali indici azionari di venerdì sera con quelli di una settimana prima osserviamo che le divergenze di comportamento emerse poco dopo la vittoria di Trump si irrobustiscono ulteriormente. SP500 ha chiuso con un +1,44% la sua terza settimana di crescita dopo il 4 novembre, confermando una notevole spinta rialzista, che gli ha permesso di salire di oltre 6 punti percentuali in questo rally presidenziale trisettimanale. L’indice globale dell’Eurozona Eurostoxx50 ha ancora una volta faticato non poco a tenere il passo americano, senza riuscirci. Infatti le performance europee negli analoghi intervalli temporali sono state di +0,9% in settimana e +3,2% nell’andamento trisettimanale, che non può essere classificato certo come un rally. Tutto ciò è avvenuto nonostante la settimana passata la corsa americana sia stata frenata da un orario di contrattazioni ridotto dalla festività di giovedì e dal mezzo ponte di venerdì, e quella delle borse europee favorita, dopo la vittoria di Trump, dal super dollaro, che ha guadagnato nei confronti della moneta unica europea quasi il 5%, passando con il cambio EUR/USD da oltre 1,11 a meno di 1,06. Se convertiamo tutto in dollari, per eliminare le differenze di cambio, la sovraperformance della borsa americana rispetto a quelle europee è stata di oltre 8 punti percentuali in tre settimane: una mostruosità che non può più essere spiegata con la semplice ed eccessiva, tanto quanto momentanea, infatuazione degli americani per il miliardario dai capelli color pannocchia. Il quale peraltro, pare aver capito che meno parla, più cresce la sua popolarità e si alimentano le aspettative. Quel che ai mercati pare ormai piuttosto chiaro è che la rivoluzione elettorale USA divaricherà ulteriormente le già differenti politiche economiche che si possono ipotizzare tra le due sponde dell’atlantico. In un certo senso le parole dei presidenti delle due principali banche centrali del mondo, Yellen e Draghi, lo hanno confermato, almeno dal lato monetario. La Yellen, sebbene con tutta la cautela di cui è ottima maestra, ha confermato un’accelerazione della velocità della manovra di rientro verso la normalità, con lo scontatissimo rialzo dei tassi di dicembre, che sarà seguito da altri passi verso una politica più restrittiva nel 2017, ovviamente tenendo conto della gamba fiscale della politica monetaria. Ciò significa che se veramente Trump vorrà mettere in pratica almeno parte delle abbondanti e scarsamente compatibili promesse elettorali in campo economico, che si appoggiano sui due pilastri dell’aumento della spesa pubblica per rimodernare le infrastrutture USA e del taglio cospicuo delle tasse a carico di imprese e cittadini (soprattutto per i 9 TEMPI DURI PER “IL FAI DA TE” IN BORSA? FORSE E’ ORA D’IMPARARE UN METODO !! A SCUOLA DI TRADING ONLINE E’ IL PERCORSO IN 4 GIORNATE PER IMPARARE A FARE IL TRADING ONLINE CON METODO LA PRIMA GIORNATA E’ GRATIS Per saperne di più ed iscriverti visita http://www.borsaprof.it/scuola.asp PRIMI PASSI CON FUTURES ED OPZIONI E’ UNA GIORNATA INTERAMENTE DEDICATA A CONOSCERE ED UTILIZZARE GLI STRUMENTI FINANZIARI DERIVATI Per saperne di più ed iscriverti visita http://www.borsaprof.it/derivati.asp FARE TRADING IN OBBLIGAZIONI E’ UNA GIORNATA INTERAMENTE DEDICATA A CONOSCERE LE OBBLIGAZIONI IN OTTICA DI INVESTIMENTO E DI TRADING Per saperne di più ed iscriverti visita http://www.borsaprof.it/obbligazioni.asp IL TOUR E’ IN CORSO Per conoscere le date previste: http://www.borsaprof.it/prossimi_corsi.asp suoi elettori più ricchi), dovrebbero sorgere pressioni inflazionistiche piuttosto cospicue, che richiederanno un intervento rapido ed incisivo di drenaggio monetario. Pertanto la FED potrebbe essere costretta ad accelerare notevolmente nel cammino del rialzo dei tassi. Ovviamente questo scenario, che i mercati stanno già scontando in parte, mostrando di credere abbastanza alle promesse di Trump, poggia sulla credibilità del neo presidente, che potrebbe accorgersi, quando entrerà nella stanza dei bottoni alla Casa Bianca, che promettere la luna è più facile che catturarla, e magari potrebbe ridimensionare di molto le sue ambizioni quando dovranno passare al vaglio della sostenibilità, così come ha già fatto con la messa sotto accusa della Clinton (abolita), la costruzione del muro col Messico (rinviata) e la rimozione del programma sanitario di Obama (trasformata in semplice riforma senza fretta). Comunque è evidente che qualcosa delle suo promesse dovrà pur essere realizzato, per cui ipotizzare che l’inflazione rialzi la testa in un futuro ormai non più così lontano, mi pare sensato, anche se forse i mercati, come è nella loro natura sempre più speculativa, hanno forse messo il carro un po’ troppo davanti ai buoi, e dovranno moderare un po’ gli entusiasmi. Del tutto opposte paiono le intenzioni di Draghi, che si trova in Europa alle prese con politiche fiscali dei vari stati che sono infinitamente meno disposte a largheggiare nel deficit di bilancio di quanto abbia intenzione di fare Trump. Anzi, il suo interlocutore principale, che è Angela Merkel, impegnata in una lunga campagna elettorale per confermarsi, a settembre del prossimo anno, per la quarta volta alla guida della Germania (e della UE), sa che per vincere deve dimostrarsi inflessibile nella imposizione dell’austerità al ventre molle mediterraneo dell’Eurozona. Non penso perciò che sia ipotizzabile un allineamento delle politiche fiscali europee al vento “keynesiano” portato da Trump, nonostante le grida di battaglia di Renzi, che dopo il referendum vuole dare l’assalto al dogma europeo dell’austerità. Pertanto Draghi sembra intenzionato a resistere all’opposizione tedesca alla politica monetaria accomodante, fin qui attuata dalla Bce a colpi di QE. La partita in seno al Board della BCE è molto incerta e ne capiremo l’esito probabilmente in dicembre, quando l’ultima riunione dell’anno dovrebbe comunicare l’accoglimento della proposta di Draghi di prorogare di almeno 6 mesi la scadenza, prevista a marzo 2017, del programma di acquisto di titoli obbligazionari da 60 miliardi al mese (QE). Se Draghi manterrà il controllo della BCE avremo una divaricazione piuttosto significativa delle politiche fiscali e monetarie tra le due sponde dell’Atlantico. In USA le prospettive potrebbero perciò essere di incremento della crescita e di politica monetaria progressivamente 10 sempre più restrittiva. Al contrario, in Europa potrebbe ancora continuare il mix di bassa crescita e politica monetaria ancora molto accomodante. Ecco perché i mercati hanno premiato il dollaro rispetto all’Euro e perché il rendimento del Treasury decennale americano è salito molto di più di quello del collega tedesco. E perché le borse USA sono schizzate al rialzo con molta più convinzione dei quelle europee. C’è da notare che i mercati stanno scontando aspettative che solo il futuro ci potrà dire quanto poi verranno confermate dai fatti. La mia impressione personale è anche che l’opera di inserimento del futuro nei prezzi di borsa sembra aver messo decisamente il carro delle borse USA davanti ai buoi. Si vedono eccessi rialzisti piuttosto evidenti, con indicatori di eccesso di breve in ipercomprato su livelli che, tradizionalmente, chiamano almeno una correzione momentanea. Potrebbe avvenire proprio questa settimana, anche se l’esperienza degli ultimi rally vissuti dalle borse USA ci ha mostrato 4 settimane di rialzo consecutivo nel luglio scorso (dopo la paura Brexit) ed addirittura 5 tra febbraio e marzo di quest’anno (dopo la paura Cina). La nostra borsa vive un momento particolare, completamente rapita dalle incertezze sul Referendum, al quale manca ormai solo una settimana. Il Ftse-Mib sta resistendo sui supporti di area 16.000, ma non ha praticamente partecipato alla festa di Trump, dato che, tra vari saliscendi nelle tre settimane di gloria delle borse USA, oggi vale appena l’1,2% in più rispetto al 4 novembre scorso. I mercati non si azzardano a investire sul nostro paese, in attesa che la partita politica su cui Renzi sta giocando il suo futuro si concluda. Il timore è che una vittoria del NO trascini alle dimissioni il governo e riporti un periodo di grave instabilità politica. Questa settimana dovrebbe essere ancora sull’ottovolante. Poi domenica sera arriverà un impulso direzionale. Al rialzo in caso di vittoria del SI, ma al ribasso in caso di vittoria del NO. NOVITA’ ED EVENTI INCONTRO PATRIMON: DIVERSIFICARE IL PATRIMONIO NELL’ECONOMIA REALE Dato il grande successo e soddisfazione dei partecipanti ai precedenti incontri di Torino e Milano, Patrimon srl, la società di servizi che si rivolge a liberi professionisti, istituzionali e investitori privati con la missione di contribuire a risolvere problematiche relative alla conservazione e crescita del patrimonio, ripete a TORINO l’incontro gratuito sul tema: DIVERSIFICARE IL PATRIMONIO NELL’ECONOMIA REALE. Verrà approfondita una interessante opportunità di investimento nell’economia reale, in grado di dare un ritorno interessante in termini di rendimento, ora che è così difficile torvare opportunità di investimento redditizie. L’incontro si volgerà a TORINO nella sede Patrimon, c. Massimo D’Azeglio 8, Martedì 6 Dicembre dalle ore 18 alle 20. Per partecipare prenotarsi scrivendo a [email protected] oppure telefonare al numero 011-2277234. CORSI DI TRADING: AGLI SGOCCIOLI IL TOUR 2016 Si sta concludendo anche la sessione autunnale dei corsi di trading, organizzati in collaborazione con Sella.it nelle principali città italiane, per mettere a disposizione di chi vuole imparare a gestire in modo totalmente autonomo i propri risparmi il metodo e l’esperienza di lungo corso sui mercati finanziari di Pierluigi Gerbino. Sono ancora previste due giornate a Milano. I corsi riprenderanno in Gennaio, e le date ed i luoghi del Tour 2017 saranno disponibili entro Natale. Riepilogo l’offerta formativa di corsi in aula, tutti tenuti da Pierluigi Gerbino, responsabile di Borsaprof.it, con date e luoghi di svolgimento fino a fine anno. 11 A SCUOLA DI TRADING ON LINE E’ il percorso base di formazione al trading online, che da anni riscuote notevole successo ed è stato seguito con soddisfazione da centinaia di partecipanti. Il ciclo didattico prevede quattro giornate in progressione per imparare il trading on line “con metodo”, senza dare nulla per scontato. Primi Passi nel Trading Online: Una giornata assolutamente gratuita dedicata a chi ha poca esperienza di trading on line. Con linguaggio semplice e molti esempi concreti, senza dare nulla per scontato, introduce a capire le regole di borsa, come si inseriscono gli ordini, le caratteristiche dei principali strumenti finanziari per l’investimento ed il trading, gli errori assolutamente da evitare. L’Analisi Operativa dei Mercati Finanziari: Vengono presentate le principali metodologie di analisi dei mercati finanziari (Analisi macroeconomica, Fondamentale e Tecnica). Particolare risalto viene dato all’analisi tecnica grafica, ritenuta lo strumento più efficace per disegnare scenari operativi e trarre segnali di ingresso ed uscita per il trading. Fare Trading con Metodo: Viene illustrata in modo preciso e puntuale una metodologia operativa basata sull’analisi tecnica. Per ciascuna delle principali ottiche operative di trading direzionale (medio periodo, breve periodo, intraday) si fornisce un preciso piano di lavoro per la selezione degli strumenti finanziari più adatti, l’ingresso e la gestione della posizione intrapresa. Vengono poi trattate metodologie operative non direzionali: la gestione attiva dei fondi comuni e degli ETF, il trading non direzionale di lungo periodo, lo spread trading, il trading automatico. Particolare risalto viene dato alla componente psicologica nel trading, al fine di evitare i principali errori e migliorare le performance. Una Giornata di Trading Online: È un seminario applicativo in cui vengono messe concretamente in pratica le tecniche illustrate nei precedenti corsi. Si effettuata operatività con denaro reale con la piattaforma SellaExtreme . E’ il naturale completamento dei precedenti corsi, poiché rappresenta il passaggio dalla teoria alla pratica e permette di verificare la replicabilità concreta del metodo. CALENDARIO CORSI BORSAPROF.IT & SELLA.IT A SCUOLA DI TRADING ONLINE LUOGO DATA ORARIO PREZZO UNA GIORNATA DI TRADING ON LINE (CORSO PRATICO) MILANO Sella Gestioni SGR: v. Vittor Pisani 13 14/12/16 Ore 9,30 – 17,30 € 160 Dettagli ed iscrizioni: http://www.borsaprof.it/scuola.asp oppure NUMERO VERDE 800.142.142 Sconti e promozioni per chi fa tutto il percorso e per chi ha frequentato precedenti corsi FARE TRADING CON LE OBBLIGAZIONI E’ un corso previsto nelle principali città e dedicato all’approfondimento degli strumenti obbligazionari. Con linguaggio semplice, senza dare nulla per scontato, si esaminano le principali categorie di strumenti obbligazionari, indicando come valutarne rischi ed opportunità. Si illustrano le relazioni esistenti tra l’andamento delle principali variabili economiche e l’evoluzione delle quotazioni di mercato degli strumenti obbligazionari. Viene presentata l’operatività di base sia per l’ottica da investitore che per il trading sulle obbligazioni. Il corso non richiede prerequisiti ed è consigliato anche a chi non ha esperienza operativa sul mercato obbligazionario. CALENDARIO CORSI BORSAPROF.IT & SELLA.IT IL TRADING CON LE OBBLIGAZIONI LUOGO DATA ORARIO MILANO Sella Gestioni SGR: v. Vittor Pisani 13 15/12/16 Ore 9,30 – 17,30 PREZZO € 95 Dettagli ed iscrizioni http://www.borsaprof.it/obbligazioni.asp oppure NUMERO VERDE 800.142.142 PRIMI PASSI CON FUTURES ED OPZIONI E’ un corso previsto nelle principali città dedicato all’approfondimento degli strumenti derivati. 12 Con linguaggio semplice, esempi ed illustrazioni pratiche, senza dare nulla per scontato, si presentano le caratteristiche e l’operatività di base con i Futures e le Opzioni, strumenti finanziari dotati di leva, che permettono di estendere le possibilità operative, ma che devono essere conosciuti appieno per evitare sgradite sorprese dovute alla presenza dell’effetto leva. Il corso è consigliato a chi ha un minimo di esperienza operativa sul mercato azionario e rappresenta il naturale completamento del percorso “A SCUOLA DI TRADING ONLINE”. CALENDARIO CORSI BORSAPROF.IT & SELLA.IT PRIMI PASSI CON FUTURE ED OPZIONI LUOGO DATA ORARIO PREZZO Da Definire TORINO Banca Sella: C. Vercelli 168 Ore 9,30 – 17,30 € 95 nel 2017 Dettagli ed iscrizioni: http://www.borsaprof.it/derivati.asp oppure NUMERO VERDE 800.142.142 VIDEOCORSI Per chi non ha la possibilità di partecipare ai corsi “dal vivo” (del resto non possiamo andare dappertutto) sono disponibili ben 3 VIDEOCORSI relativi alle 3 giornate teoriche del percorso formativo “A SCUOLA DI TRADING ONLINE”. Questa serie di lezioni consente, anche al neofita, di acquisire gli strumenti per costruire una sua metodologia personalizzata e rispondente alle proprie caratteristiche di trader. I Videocorsi possono essere visti in streaming attraverso la rete internet. L’accesso ha durata illimitata e può essere fatto ogni volta che si vuole, senza alcun limite. I videocorsi durano ciascuno alcune ore, ma sono organizzati in tanti filmati separati, che permettono di seguire anche solo le sezioni che interessano. Ogni videocorso consente di scaricare anche il manuale in pdf stampabile e le slides utilizzate nel filmato. Per tutti i 3 Videocorsi il docente è Pierluigi Gerbino, responsabile di Borsaprof.it Ecco le caratteristiche salienti dei 3 prodotti e le modalità per acquistarli: PRIMI PASSI NEL TRADING ONLINE E’ il corso introduttivo per chi inizia e vuole conoscere come funziona il mercato finanziario. Durata 6 ore e 25 minuti – Prezzo Euro 29. Per ulteriori dettagli e per acquistarlo: http://www.borsaprof.it/videocorsobase.asp ANALISI OPERATIVA DEI MERCATI FINANZIARI Il corso aiuta a comprendere le principali metodologie per analizzare i mercati finanziari ai fini operativi. Durata 7 ore e 47 minuti – Prezzo Euro 97. 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Per ulteriori dettagli e per acquistare: http://www.borsaprof.it/videocorsitutti.asp WEBINAR: I PROSSIMI APPUNTAMENTI SU SELLA.IT Accanto ai corsi di trading, che toccano le principali città italiane del Nord e del Centro Italia, Sella.it ha istituito una iniziativa formativa a distanza, per cercare di approfondire vari aspetti del trading e gli scenari economici e finanziari di mercato. Si tratta di Webinar gratuiti online con gli esperti di trading e gli analisti di Sella.it. Parte dei Webinar viene registrata e messa a disposizione dei clienti anche in differita, in un’apposita sezione del sito Sella.it e possono essere visionati anche successivamente allo svolgimento. Ecco il calendario dei Webinar fino a fine anno che vedono impegnato Pierluigi Gerbino come relatore. 13 CALENDARIO WEBINAR SELLA.IT ARGOMENTO Le figure grafiche di congestione ed incertezza DATA 7/12/16 La Selezione dei Titoli con Sella Trading Marker 20/12/16 Dettagli ed iscrizioni https://www.sella.it/ita/trader/eventi-formazione/corsionline.jsp oppure NUMERO VERDE 800.142.142 DETTO TRA NOI: LA POSTA DI CLASSIC Valerio: Rialzo dei tassi e titoli bancari “Nello scenario di un rialzo dei tassi,c'è da aspettarsi un miglioramento delle performance dei bancari,oppure saranno sempre i peggiori quando c'è ribasso? Vorrei fare dello spread trading tra dax e ftsemib..” Risposta: Teoricamente il settore bancario e quello assicurativo dovrebbero avvantaggiarsi del rialzo graduale dei tassi, perchè questo aumenterebbe il loro margine di interesse, consentendo un miglioramento della redditività. Un rapido e significativo aumento farebbe però nascere minusvalenze implicite sulla massa enorme di titoli obbligazionari che in questi anni le banche hanno comprato a tassi azzerati. Diciamo che quelle più esposte all’economia reale potrebbero migliorare la loro situazione. Quelle più votate al business sui mercati finanziari potrebbero invece soffrire. Se poi il rialzo dei tassi facesse fallire soggetti troppo indebitati oppure emergere nuovamente il rischio paese per qualche sistema fortemente indebitato (Italia, per esempio) allora sarebbero dolori simili a quelli che abbiamo visto nel 2011. Pertanto lo spread dax ftse-mib lo farei a favore del nostro indice solo se dovessimo vedere un miglioramento della situazione sulle sofferenze. Non se dovesse esserci un rallentamento economico e nemmeno se i tassi dovessero salire velocemente. Marco: Short e stacco cedole “Ho partecipato al suo corso di trading online presso Banca Sella a Biella. Ho una domanda tecnica da porle che mi ha suscitato curiosità. La pongo facendo un esempio. Apro una posizione a short su un titolo, diciamo a 5 euro il giorno 10 il titolo stacca dividendo (o diritti per aumento di capitale) il giorno 11. Il dividendo o il diritto è pari a 1 euro. Supponiamo che, in modo lineare, il titolo il giorno 11 quoti pertanto 4 euro. Se chiudo la posizione, acquistando quindi a 4 euro la mia operazione, da parte della banca o del gestore che mi ha garantito il prestito titoli, tiene presente il dividendo/diritto staccato ed esegue conguaglio ? Oppure l’operazione si conclude semplicemente con un ricavo lineare di 1 euro? Le sembrerà una domanda stupida ma sono curioso di sapere come la situazione viene gestita, non credo che in modo così semplice, sia possibile realizzare utile! Risposta: Vedo che ha compreso il senso di quanto ho più volte ricordato durante il percorso dei corsi di trading: se una cosa è troppo bella per essere vera, probabilmente è falsa. Infatti lo stacco dividendi non si sottrae alla regola. Tecnicamente quando ci sono posizioni short aperte su un titolo che stacca la cedola, dato che per consentire lo short è stato attivato un prestito titoli, il prestatore del titolo ha diritto ad avere le cedole che si staccano, poichè ha ceduto il possesso e non la proprietà. Tecnicamente sulle cedole per dividendi gli intermediari addebitano al titolare dello short l’importo lordo della cedola, che viene poi trasferita al proprietario del titolo prestato. Nel caso di aumenti d capitale il comportamento standard è quello di imporre la chiusura forzata dell’operazione short prima della partenza dell’aumento di capitale. In entrambi i casi viene meno la cuccagna di shortare un titolo prima dell’operazione sul capitale per avvantaggiarsi della perdita di quotazione successiva. Se non fosse così tutti avremmo scoperto come fare i soldi senza fatica e senza rischio. Ma chi ci presterebbe i titoli, allora? 14