VAI AL SITO - Tonjproject

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LA PROVINCIA
GIORNALE DI BRESCIA MERCOLEDÌ 18 GIUGNO 2014
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SOLIDARIETÀ
Radio Don Bosco,
l’evangelizzazione
corre veloce
sulle onde medie
Un ospedale per dare sollievo
alle sofferenze del Sud Sudan
La struttura aprirà i battenti a luglio ed è stata realizzata
dalla TonjProject di Darfo fondata da don Omar Delasa
DARFO I sette anni di progetti,
speranze, disperazione, cene di
beneficenza, sudore, vaccinazioni contro aerei pericolanti e zanzare letali, oggi sono soltanto
una parte del viaggio. A Tonj, nel
cuore dimenticato del Sud Sudan, l’associazione fondata dal
salesiano camuno don Omar Delasa che ha fatto dell’Africa la sua
missione pastorale, ha realizzato
il suo sogno. Il nuovo ospedale è
in piedi: la fortezza di muri, cemento, corridoi ventilati e tetti di
lamiera, è realtà ed entro fine luglio entrerà in funzione. Intanto,
la squadra di volontari bresciani,
bergamaschi e milanesi si prepara al viaggio e a portare avanti il
lavoro. «La prossima estate sarà
tutto pronto», ci aveva raccontato Don Omar lo scorso anno durante la cena a base di riso e crostini. Eravamo arrivati al villaggio della speranza dopo due giorni e mezzo di scali, mal di testa,
ritardi, strade impraticabili. Il
cantiere era solo un cimitero di
fosse e trincee scavate nella terra
rossa. «Siamo andati un po’ per
le lunghe ma i tempi dell’Africa
non si possono misurare col no-
stro orologio». E la promessa è
stata mantenuta: l’associazione
«TonjProject» che è nata a Rogno
e ha sede a Darfo, ha raccolto
l’eredità di altruismo e tenacia di
Monsignor Cesare Mazzolari e
Padre John Lee che ogni volta rivivono nelle parole di chi ha fatto
dell’Africa una ragione di vita.
«L’indipendenza dal Nord è riuscita ma lebbra, malaria e febbre
gialla se ne fregano della secessione», spiega Don Omar. Qui, si
muore di parto come in nessun
altro posto al mondo e la metà
dei bambini non arriva a sei anni.
Lebbrosari e unità di concentramento dei malati di Tbc, sono
sempre pieni. Eppure, dove tante Ong hanno alzato bandiera
bianca, «TonjProject» ha aperto
il proprio campo di lavoro. In
Sud Sudan, i missionari cristiani
- suore di Maria Ausiliatrice e salesiani - da trent’anni garantiscono ciò che lo Stato non dà: mense, scuole e ospedali con preti-medici e suore-meccanico che
da mattina a sera si inginocchiano sulle strade di polvere e miseria di questo Paese segnato da
una guerra infinita. A Tonj, abbia-
mo incontrato Maria, pensionata loverese e unica ostetrica in
questo villaggio di 20mila persone. Tre mesi l’anno, insieme a Sister Shanty, cura un campionario infinito di piaghe e porta a termine parti impossibili. Pinze, garze, acqua ossigenata e forbici.
C’è un esercito di bambini urlanti con febbre malarica. «Ne vacciniamo anche 50 al giorno», ci aveva raccontato. Ecco un’altra donna gravida all’ottavo mese: c’è il
battito. Sorrisi e battute in dialetto. Il giorno dopo, sullo stesso lettino, abbiamo detto addio alla testolina ricciuta di un bambino di
tre anni. Nel nuovo ospedale sarà
ancora così, ma con molto più
spazio, medici e infermieri. A
Tonj, l’aldilà è sempre dietro l’angolo e, in agguato, c’è sempre la
tentazione del dubbio: che senso
ha aiutare l’Africa? Troppe malattie, troppa indifferenza dell’Occidente. «Se riesci ad essere utile in
qualche maniera, ti fa dimenticare il peggio di questi posti», garantisce Don Omar. Per questo, a luglio si riparte: l’Africa chiama e il
nuovo ospedale ci aspetta.
Sergio Gabossi
Lamissione
■ Nella foto grande i volontari che hanno
contribuito alla costruzione dell’ospedale.
Dall’alto i ragazzi di Tonj e il lavoro di infermieri
e medici nell’attuale ambulatorio. Qui sopra,
invece, Radio Don Bosco che porta avanti
l’opera d’evangelizzazione
■ L’Africa, vista dal rimorchio scoperto di un «Ape porter» senza targa, è il posto più
bello del mondo. Padre «Radio» Dominique, salesiano di
Tonj, guida con la scioltezza
di un pilota della Parigi-Dakar e, a una curva fradicia di pioggia, rischiamo di ribaltare su un fianco.
Destinazione, «Radio Don Bosco» l’ombelico tecnologico
dei salesiani che con una mano afferrano il rosario e con
l’altra il mouse del pc: cinque
anni fa, recuperano un container vuoto e una batteria di
generatori. Ci piazzano tre
computer, due microfoni e
un paio di ventilatori, e cominciane a sparare musica in
mezza Africa.
«Oggi, a turno, ci lavorano 14
ragazzi del villaggio ma ultimamente anche le suore si
stanno dando da fare», racconta Dominique. «Trasmettiamo musica, notizie e preghiere in africano per quasi
12 ore al giorno». La nuova
evangelizzazione, quaggiù,
corre sulle onde medie di frequenza e arriva nei mercati e
nelle scuole a 150 chilometri
di distanza. Piace Bob Marley, ma vanno bene anche
corsi di inglese che si alternano ad una bombardante campagna di consigli per l’igiene
su come ci si lava le mani e
perché è pericoloso fare il bagno negli stagni dove le zanzare sono come trapani ad ultrasuoni. «A luglio 2011, nei giorni del referendum per l’indipendenza del Sud Sudan, abbiamo fatto un grande lavoro», racconta uno dei giovani
che parla inglese. «Leggevamo i comunicati e davamo le
istruzioni su come bisognava
votare». Le modalità di voto,
poi, sono leggendarie: la gente uscita dai villaggi si è fatta
un giorno a piedi per arrivare
alla strada che collega Rumbek e Wau. Qui, un camion
cingolato caricava gli elettori
che, dopo un altro giorno di
viaggio, raggiungevano una
delle postazioni di voto messe su in mezzo ai campi di arachidi. Alla quinta volta di «No
woman, no cry», gettiamo la
spugna e torniamo al villaggio. All’orizzonte, la notte
avanza silenziosa come un
puma.
gabo
La patria dei missionari bresciani
La missione di Tonj tra essenzialità e poesia d’Africa
■ Il nome di Monsignor
Mazzolari, quaggiù, fa sbocciare sorrisi e risveglia sentimenti di commozione e di
grande gratitudine.
Se l’Africa è la seconda casa
degli italiani, il Sud Sudan è la
seconda patria dei bresciani:
è qui che monsignor Cesare
Mazzolari ha consumato la
propriavita e ancora vive, seppellito in una tomba umilissima sotto la piccola chiesa di
Rumbek. Anche a lui si deve
la nascita del martoriato Sta-
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to del Sud Sudan.
A mezza giornata di viaggio, il
compound di Tonj è un inno
all’essenzialità: tetti di lamiera, zanzariere alle finestre e
un muretto di mattoni che ci
divide da un mondo fatto di
capanne di fango e sorrisi
bianchissimi.
Nella missione, la poca corrente elettrica arriva da un tetto di pannelli solari ma, in
compenso, provano a supplire dei generatori che si ingolfano un giorno sì e l’altro an-
che. In un angolo del cortile,
di sera, ci si lava a turno: e,
quando afferri il rubinetto
della cisterna di acqua piovanae gli occhi incontrano il cielo, capisci che ne valeva la pena, perché le meraviglie del
cosmo trovano compimento
nelle notti dell’Africa che sono un tappeto di stelle senza
fine.
Dormono tutti: anche il cantiere dell’ospedale che l’anno
scorso era solo una trincea di
scavi e oggi è pronto a vivere.
I ragazzi volontari che hanno partecipato al progetto di costruzione dell’ospedale