Diapositiva 1 - IVALSA

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Diapositiva 1 - IVALSA
Società di Ortoflorofrutticoltura Italiana
Gruppo di Lavoro
Micropropagazione e
tecnologie in vitro
Newsletter n° 1 – Novembre 2009
Questa Newsletter vuole essere un segno tangibile di ‘contatto’ e scambio di
informazioni tra i partecipanti al Gruppo di Lavoro SOI “Micropropagazione e
tecnologie in vitro”. Grazie a quello che, si spera, sarà il contributo di molti, la
Newsletter uscirà ogni 4 mesi. La Newsletter si avvale di un gruppo qualificato di
Corrispondenti, ripartiti in sezioni diverse, ai quali è chiesta fattiva collaborazione
al fine di rendere questa iniziativa efficace e stimolante. Tutti i partecipanti al
Gruppo di Lavoro sono però invitati a contribuire, inviando i loro commenti e
segnalazioni ai vari Corrispondenti o direttamente all’indirizzo di posta elettronica
<[email protected]>.
Questo numero inaugurale è per larga parte realizzato con i riassunti delle
comunicazioni presentate nell’ambito dei primi due importanti momenti di
incontro del Gruppo di Lavoro, ma già riporta due rubriche fisse che
accompagneranno ogni Newsletter, i “Laboratori di Ricerca e Commerciali” e le
“Novità Editoriali”.
In questo numero:
Laboratori di Ricerca e Commerciali
Il Laboratorio di Ricerca dell’IRF di Sanremo
Il Laboratorio Commerciale Microplant di Cesena
Pag. 2
Pag. 3
Workshop Progetti di Dottorato Tecnologie in Vitro Appli
Appli
cate alle Piante (Milano, 22 ottobre 2009) – Riassunti
Pag. 4
Giornata di Studio “La Tecnologia dell’
dell’Incapsulamento”
Incapsulamento”
(Perugia, 9 novembre 2009) – Riassunti
Pag. 13
Novità
Novità Editoriali
Pag. 19
Newsletter n° 1 – Novembre 2009 - 1
Gruppo di Lavoro
Micropropagazione e
tecnologie in vitro
I Laboratori di Ricerca e Commerciali
Segnalate le attività del vostro laboratorio in max 500 parole e 1-2 immagini a:
<[email protected]>
Il Laboratorio di Ricerca dell’Istituto Regionale di
Floricoltura (IRF) di Sanremo (www.regflor.it)
L’Istituto Regionale per la Floricoltura (IRF) è un Ente strumentale della Regione Liguria operante
sul territorio da circa trent’anni e di recente riorganizzato (LR 39 del dicembre 2006). La sua
missione è quella di promuovere, sostenere e valorizzare le attività di ricerca ed innovazione
rivolte al territorio ed alla filiera florovivaistica ivi operante. L’IRF è un ente senza fine di lucro le
cui risorse finanziarie derivano per la maggior parte dal contributo annuale della Regione Liguria
e delle Strutture pubbliche ed Associazioni o Cooperative aderenti all’Istituto. Addizionali risorse
finanziarie provengono dai diversi Progetti regionali, nazionali ed internazionali che vedono l’IRF
come capofila od unità afferente a gruppi di collaborazione o da introiti derivanti dalla cessione di
beni e/o servizi offerti dall’Istituto stesso al mondo della produzione. La filosofia di lavoro
perseguita all’IRF si snoda attraverso tre principali canali che perseguono lo svolgimento di
ricerche applicate, la fornitura di servizi all’utenza e la realizzazione di forme di divulgazione
specifiche per il mondo della produzione, sempre strettamente coinvolto nelle operatività
dell’Ente. L’attività tecnica è organizzata in diversi settori afferenti alla patologia, le tecniche
colturali, il miglioramento genetico e le coltura in vitro.
Il settore vitro è attivo all’IRF dal 1982 e nel corso dei diversi anni ha visto ampliare sia le
proprie competenze che le strutture a propria disposizione. Attualmente, in Istituto sono presenti
sei sale di coltura con una capacità complessiva di circa 120.000 piante, 9 posti cappa, una serra
di acclimatazione di nuova costruzione, indirizzata a gestioni attente al risparmio energetico,
serre (6000 m2) e zone in pieno campo (4000 m2) ove poter verificare la produzione ottenuta e
condurre le sperimentazioni. Il settore si è inizialmente affermato sul territorio regionale nella
conduzione delle tecniche di risanamento virale di importanti colture quali il garofano ed il
crisantemo, indirizzata ai diversi ibridatori e vivaisti presenti nella regione. Tale attività è tutt’ora
attiva, grazie anche alla produzione di sieri specifici attuata dal settore virologia dell’IRF che può
mettere a punto kit ELISA specifici per le colture di nicchia interessanti per il mercato ligure. Altra
applicazione delle tecniche in vitro meritevole di menzione è stato l’ottenimento di alcune varietà
di margherita da vaso attraverso l’induzione di variabilità
somaclonale; tali varietà hanno affiancato la produzione che
normalmente il nostro Istituto ottiene attraverso i
programmi di miglioramento genetico tradizionale e che
negli anni ha saputo dare un importante contributo
all’economia territoriale. Lo sviluppo professionale più
significativo è, tuttavia, stato ottenuto attraverso lo sviluppo
di ricerche applicative volte alla messa a punto di protocolli
metodologici di micropropagazione di colture importanti per
l’economia ligure (come ranuncolo, elleboro, papavero,
peonia, eucalitto, viburno) e studi relativi all’influenza
dell’agente gelificante e dei flussi nutritivi derivanti sulla
crescita dei tessuti in vitro. Attualmente l’IRF fornisce un
servizio di premoltiplicazione per i laboratori interessati che
implica la fornitura di uno stock di base di plantule in vitro,
controllate sotto il profilo genetico e fitopatologico, da cui
poter partire per la produzione commerciale; l’Ente è,
altresì, disponibile a sviluppare ricerche su base sia di
progetti finalizzati, sia contrattuale, che consideri le singole
esigenze della realtà produttiva interessata.
Margherita Beruto
Newsletter n° 1 – Novembre 2009 - 2
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Il Laboratorio Commerciale Microplant di Cesena (www.microplant.it)
Il laboratorio Microplant fa parte della Società Agricola Ceccaroni
Claudia che nasce a Cesena nel 1965 come azienda frutticola,
trasformandosi nel 1980 in floricola, fino ad essere nel 1989 la
maggior produttrice di fiore reciso in Romagna. Nel 2006, per
completare un percorso d’innovazione e di crescita tecnica, è nato il laboratorio di
micropropagazione Microplant con l’intento di produrre piante ornamentali da commercializzare sul
mercato italiano ed estero. Il responsabile tecnico di questa nuova iniziativa è il Perito Agrario
Mauro Masini, esperto del settore avendo lavorato per oltre 8 anni presso uno storico laboratorio
dell’area cesenate. La Microplant è una struttura giovane e dinamica, con una potenzialità
produttiva di circa 2.000.000 di piante annue. La struttura, dopo diversi ampliamenti effettuati
nell’arco di tre anni, si sviluppa oggi in una superficie complessiva di circa 180 mq. Si compone di
2 sale lavorazione piante con 14 posti cappa, 3 celle di crescita per una capacità di 28.000 vasi
(foto in basso, a destra), una sala per la preparazione e la sterilizzazione del substrato, una cella
frigo per il mantenimento in stand-by delle colture. La struttura è funzionante tutto l’anno, con un
picco di produzione che va da febbraio a luglio. All’interno del laboratorio lavorano uno
sperimentatore, 2 addetti alla programmazione e 12 operatrici specializzate.
Innovazioni tecniche
Peculiarietà del laboratorio è l’adozione di contenitori di plastica “usa e getta” in alternativa ai
classici vasi di vetro, tradizionalmente utilizzati nei laboratori di micropropagazione. Le piante
prodotte su questo tipo di contenitore, oltre a ridurre i problemi di contaminazione, favoriscono il
trasporto e la spedizione delle colture sia in ambito nazionale, sia internazionale. L’utilizzo dei
contenitori monouso ha inoltre determinato un notevole risparmio di mano d’opera e d’energia,
consentendo un discreto abbassamento dei costi di produzione. L’azienda, inoltre, nel 2008 ha
realizzato un impianto di pannelli fotovoltaici (foto in basso, a sinistra), sufficiente ad alimentare
tutta l’attività produttiva del laboratorio con evidenti vantaggi ambientali.
L’attività del laboratorio
La Microplant inizialmente era orientata alla sola produzione di piante ornamentali da interno e
da esterno e, in modo più limitato, a quella dei piccoli frutti (mirtillo). A partire dal 2008 la
micropropagazione è stata allargata alla produzione del carciofo ‘Romanesco’ con ottimi risultati.
In particolare, nel 2009 risultano in coltura 65 specie ornamentali da interno e 46 da esterno, 10
diversi tipi di carciofo (quali alcuni cloni di ‘Romanesco’, ‘Verde brindisino’, ‘Violetto di Chioggia’),
cloni di kiwi ‘Hayward’, 8 varietà di mirtillo gigante, 12 cultivar d’olivo e vari portinnesti di piante
da frutto.
I principali clienti sono florovivaisti, vivaisti frutticoli,
coltivatori di piante orticole e piccoli garden. Il 90% della
produzione è orientata al mercato nazionale, mentre il restante
10% è commercializzato in alcuni paesi dell’Unione Europea.
Oltre alla produzione di piante, all’interno della struttura
vengono svolti corsi di formazione per studenti e stage
aziendali.
Mauro Masini
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WORKSHOP PROGETTI DI DOTTORATO
TECNOLOGIE IN VITRO APPLICATE ALLE PIANTE
Aula Maggiore della Facoltà di Agraria dell’Università
degli Studi di Milano, 22 ottobre 2009
RIASSUNTI
Aspetti diagnostici e risanamento di una collezione di aglio
Luciana Altieri*
*Dottorato di Ricerca in Biologia e Biotecnologie, Università degli Studi della Basilicata
([email protected])
Il genere Allium comprende circa 500 specie, alcune coltivate. Tra queste, l’aglio, dopo la cipolla, è
sicuramente quella più diffusa. Rispetto alle specie propagate per seme, il mantenimento di collezioni di aglio,
specie apomittica obbligata, comporta una serie di problemi aggiuntivi di natura tecnica, economica e
gestionale. I bulbi possono, inoltre, essere sede di accumulo di virus e/o fitoplasmi, con conseguenti gravi
danni quali-quantitativi. Tali infezioni possono, peraltro, determinare danni degenerativi e perdita completa di
accessioni di aglio in collezioni di germoplasma.Il progetto di Dottorato si pone come obiettivo la produzione di
piante di aglio esenti da virus e fitoplasmi mediante coltura in vitro di apici meristematici di accessioni di aglio
appartenenti ad una collezione europea. L’avvenuto risanamento delle piantine prodotte sarà verificato tramite
il saggio sierologico ELISA (Enzyme Linked Immunosorbent Assay), utilizzando antisieri policlonali commerciali
e mediante l’applicazione di tecniche molecolari quali la PCR ed la RT-PCR (Reverse Transcriptase - Polimerase
Chain Reaction) con primers specifici per i virus ricercati e primer generali in grado d’individuare tutti i
fitoplasmi attualmente noti. Purtroppo non sono disponibili in letteratura coppie di primers specie-specifici per
tutti i virus che si intende indagare. Sulla base dell’analisi di regioni altamente conservate del genoma virale si
tenterà, quindi, di disegnare primer specie-specifici per tali virus. La RT-PCR risulta essere fino a 100 volte più
sensibile dell’ELISA (Meenakshi et al., 2006) ed è particolarmente utile per saggiare piantine ottenute da
meristemi, in quanto permette d’individuare un certo virus, anche se presente in concentrazioni ridottissime in
campioni molto piccoli di tessuti vegetali. Si indagherà, come già accennato, la presenza di fitoplasmi nel
materiale saggiato. Eventuali fitoplasmi individuati saranno caratterizzati molecolarmente mediante RFLP
(Restriction Fragment Length Polymorphism). I danni più gravi causati dalle infezioni fitoplasmatiche risultano
essere a carico degli organi riproduttivi, con conseguenti fenomeni di sterilità, ma determinano anche
riduzione di sviluppo della pianta e deformazioni, con conseguente calo di produzione. In definitiva, si prevede
di ottenere piantine di aglio da meristema apicale sicuramente esenti dai virus ricercati e da fitoplasmi. Le
piante risanate consentiranno di ottenere maggiori produzioni e di migliore qualità; ciò permetterà di ridurre le
importazioni di aglio dall’estero. La messa a punto di primers specie-specifici per alcuni virus che infettano
l’alliacea, al momento non disponibili in letteratura, consentirà ai ricercatori che operano nel settore di
effettuare uno screening del materiale prodotto in vitro, utilizzando tecniche molecolari che presentano una
sensibilità superiore rispetto all’ELISA, normalmente utilizzata per verificare l’esenzione da virus del materiale
saggiato. Sarà anche verificato il livello di sensibilità dei due metodi diagnostici utilizzati (ELISA e RT-PCR). Si
prevede, infine, di poter confrontare le sequenze dei virus e/o fitoplasmi eventualmente rinvenuti nelle piante
facenti parte della collezione europea di aglio, al fine d’individuare differenze geniche nelle stesse che possano
essere collegate con caratteristiche di patogenicità o virulenza diverse. Le sequenze ottenute saranno
depositate in Banca dati e rese disponibili per i ricercatori che operano nel settore.Aspetti diagnostici e
risanamento di una collezione di aglio.
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Protocolli per la micropropagazione su larga scala di nuove costituzioni di Limonium
Miller
Maurizio Antonetti*, Gianluca Burchi
*Dottorato di Ricerca in Ortoflorofrutticoltura, Dipartimento di Produzione Vegetale, Università
degli Studi della Tuscia, Ciclo XXIV° ([email protected])
Negli ultimi anni il CRA-VIV di Pescia (PT) ha intrapreso diverse attività di ricerca finalizzate alla conservazione
e alla valorizzazione del genere Limonium. Tali attività hanno portato alla realizzazione di una collezione di
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germoplasma con oltre 180 genotipi botanici ed alla costituzione di un certo numero di nuovi ibridi e varietà
adatte alla coltivazione in ambienti mediterranei. Alla luce di esperienze preliminari effettuate sulle specie in
collezione, il genere Limonium può essere ripartito in tre gruppi distinti sulla base della loro attitudine alla
micropropagazione: (1) genotipi con tasso di moltiplicazione in vitro medio-alto e buona attitudine alla
radicazione (L. gmelinii, L. otolepis, L. latifolium, L. altaica, L. serotinum ed ibridi tra queste specie); (2)
genotipi con elevato tasso di moltiplicazione in vitro ma che possono manifestare difficoltà nella radicazione,
specialmente se in presenza di quantità eccessive di citochinine (L. sinense, L. aureum, L. bonduelli, alcuni
genotipi di L. sinuatum ed ibridi tra queste specie); (3) genotipi parzialmente o totalmente recalcitranti alla
micropropagazione, specialmente nella fase di radicazione (L. suworowii, L. perigrinum, L. tataricum, alcuni
genotipi di L. sinuatum). Per 48 accessioni appartenenti ai tre gruppi sopra descritti sono state indagate le
tipologie di espianto e le tecniche di sterilizzazione per la messa in coltura. I migliori risultati sono stati
ottenuti dopo lavaggio degli espianti (micro-talee ascellari delle infiorescenze e spighette fiorali prelevate 2-3
settimane prima dell’antesi) con tensioattivi generici e passaggio in etanolo 70% per 30 sec, seguiti da
trattamento di sterilizzazione in NaClO da 1 a 1.5% per 20 min. Gli espianti sono stati posti in coltura in tubi
con substrato MS, addizionato di 0,8 mg/l di BA (pH 5.9), mantenuti in fotoperiodo 16 h e temperatura di
23°C. Le linee clonali selezionate sono state successivamente trasferite su MS, contenente 0.2% di BA, un
substrato standard con caratteristiche tali da garantire un sufficiente tasso di moltiplicazione per tutti i
genotipi. Una volta stabilizzate le colture, con un numero sufficiente di germogli si procederà alla valutazione
di diversi terreni di moltiplicazione, in base alla risposta dei singoli genotipi al substrato standard. Le tesi
potranno variare da 3 (per genotipi rispondenti) a 6 (per genotipi recalcitranti). Dopo un certo numero di
subcolture saranno valutati altrettanti terreni di radicazione e diverse metodiche di ambientamento (in serra,
in serra sotto tunnel, in serra sotto fog system, in serra sotto spruzzatura). Le analisi statistiche multifattoriali
dei dati delle prove svolte nei primi 18 mesi di Dottorato permetteranno, nei 18 mesi finali, di apportare
modifiche ai vari protocolli, concentrando l'attenzione sui fattori evidenziatisi come i più determinanti, al fine di
formulare, per ogni nuova varietà o gruppo di varietà, la metodologia di propagazione più efficiente.
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Utilizzo di biotecnologie per migliorare la tolleranza delle piante allo stress salino
Angela Campanelli*
*Dottorato di Ricerca in Agronomia Mediterranea, Facoltà di Agraria, Università degli Studi di Bari
([email protected])
Lo scopo del presente lavoro è stato quello di sperimentare strategie atte a indurre nelle piante maggiore
resistenza alla salinità, utilizzando due diverse biotecnologie quali l’impiego di genotipi tolleranti e
l’inoculazione delle piante selezionate con funghi micorrizici arbuscolari. L’impiego della coltura in vitro per la
selezione di piante resistenti agli stress biotici e abiotici è un approccio metodologico da qualche tempo
sperimentato con successo nella ricerca di base. In questa sperimentazione la coltura in vitro ha rappresentato
un metodo semplice, rapido ed efficace per selezionare varietà di erba medica e ibridi di carciofo resistenti alla
salinità, dimostrandosi un buon modello per studiare, in tempi relativamente brevi, i meccanismi fisiologici
implicati nella risposta allo stress salino indotto da concentrazioni crescenti di NaCl (accrescimento su substrati
salinizzati, capacità di tollerare nei tessuti alte concentrazioni interne di sali, capacità di escludere i sali). Allo
scopo di definire un valore soglia di resistenza alla salinità, la selezione in vitro dei genotipi tolleranti ha
previsto la semina in vitro di quattro varietà di M. sativa (var. Loi, var. Gea, var. Australis, var. Icon) e di
quattro ibridi di carciofo (‘Opal F1’, ‘Concerto F1’, ‘Madrigal F1’, ‘Tempo F1’) in boccacci sterili della capacità di
500 ml su un substrato nutritivo agarizzato, arricchito con NaCl a concentrazioni variabili (50, 100, 150, 200
mM). Il valore soglia è risultato pari a 200 mM. Dopo dieci settimane di permanenza sul substrato arricchito
con 200 mM di NaCl, le plantule sopravvissute, di ciascuna varietà, sono state moltiplicate in vitro. Prima
dell’ambientamento in serra, le piante selezionate e micropropagate sono state sottoposte ad un’ulteriore
prova finalizzata alla valutazione del mantenimento della resistenza allo stress dopo le varie subcolture. I
genotipi sono stati classificati per la loro attitudine a tollerare il sale, secondo gli indici di sensibilità dei
seguenti parametri: capacità di sopravvivenza, lunghezza dei germogli, peso fresco e secco dei germogli, peso
fresco
e
secco
delle
radici.
L’indice
di
sensibilità
è
calcolato
secondo
la
formula:
IS = (Ps-Pt)/Pt x 100, dove Ps è il valore del parametro in piante sottoposte a stress salino e Pt è il valore
dello stesso parametro in plantule non trattate. Un’attenzione particolare è stata rivolta anche alla sostenibilità
e ecocompatibilità delle strategie da scegliere per indurre resistenza alla salinità, indagando l’effetto della
simbiosi con funghi micorrizici. Nella strategia per limitare lo stress salino gioca un ruolo importante la scelta
del ceppo fungino, in quanto presentano una efficienza maggiore ceppi fungini provenienti da suoli
naturalmente salini. Spore di funghi AM sono state isolate da terreni salini e moltiplicate tramite piante
trappola di cipolla in sabbia sterile. La micorriza così prodotta è stata utilizzata per inoculare le piante
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selezionate e moltiplicate in vitro. Su tali piante è stata effettuata, in serra, una prova di salinizzazione (0, 50
e 100 mM di NaCl) e sono stati rilevati i parametri caratterizzanti lo stress tossico (accumulo del sale in foglie,
fusto e radici), osmotico (potenziali idrici fogliari, contenuto idrico relativo, numero stomi e dimensioni,
conduttanza stomatica) e nutrizionale (parametri di crescita, attività fotosintetica, contenuto in macroelementi
e succhi cellulari). I risultati ottenuti con questa sperimentazione sono un contributo alla comprensione del
ruolo e della mediazione nel processo di salinizzazione delle micorrize arbuscolari e dei genotipi selezionati in
vitro.
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Propagazione in vitro di specie a rizogenesi naturale ridotta: i casi del cappero e del
carrubo
Maria Beatrice Del Signore*, Francesco Sottile
*Dottorato di Ricerca in Sistemi Arborei Agrari e Forestali, Università degli Studi di Palermo
([email protected])
Molte specie vegetali della flora tipicamente presente nel Bacino del Mediterraneo caratterizzano ampie aree
della Sicilia e delle Isole minori che la circondano. Alcune di queste specie, come ad esempio il cappero
(Capparis spinosa L.) e il carrubo (Ceratonia siliqua L.) sono fortemente legate alla tradizione e alla storia non
solo culturale e paesaggistica ma anche agronomica. La presenza di queste due specie, sia pure in areali
estremamente diversificati, è costante; il minore interesse agronomico dovuto a ragioni di tipo commerciale e
alla fortissima competizione di Paesi extracomunitari ha decretato una minore attenzione dal punto di vista
scientifico anche su scala internazionale. Per questa ragione, esse sono state considerate oggi specie minori
per interesse agronomico e per potenzialità di diffusione. Per tutta una serie di ragioni connesse con la
diversificazione delle produzioni e con la valorizzazione dei prodotti tipici, negli ultimi anni entrambe le specie
sono state oggetto di attenta rivalutazione anche nell’ottica di una coltura specializzata sempre meno diffusa.
Va da sé che il comparto vivaistico, sia dal punto di vista tecnico che scientifico, non ha mai sviluppato
approfondimenti accurati su queste due specie per le quale oggi è sentita invece l’esigenza di maggiori
conoscenze, sia per lo sviluppo nel territorio, sia per le possibilità offerte da interessanti mercati del NordAfrica. Sporadiche sono le citazioni bibliografiche sull’argomento sia in termini di ricerche finalizzate alle
colture in vivo che in vitro. Nell’ambito di una più vasta e recente attività condotta su tecniche di propagazione
applicate a specie notoriamente recalcitranti, sia pure per ragioni e con comportamenti differenti, con l’avvio
del XXII° ciclo del Dottorato di Ricerca in Sistemi arborei agrari e forestali è stata impostata una linea di ricerca
utilizzando queste due specie quali caso studio. L’attività condotta prevede una serie di valutazioni sulla
risposta a tecniche di propagazione agamica in vivo, per radicazione diretta e per innesto e mini innesto, così
come una linea più specifica che prevede l’applicazione di protocolli per l’introduzione in vitro e lo sviluppo
delle successive fasi di micropropagazione. Le piante di cappero, specie di notoria problematicità per la sua
propagazione, sono ancora oggi prevalentemente prodotte per seme in vivaio con successivo trapianto, a
radice nuda, in pieno campo, con una considerevole variabilità e riflessi anche sulla produttività, sul
portamento e sulla qualità del prodotto. Una recente attività di ricerca condotta su base regionale ha portato
all’individuazione di alcuni genotipi ritenuti particolarmente interessanti, facendo emergere, tuttavia, in modo
pressante la necessità di poter disporre di efficienti sistemi di moltiplicazione. L’attività condotta sul cappero
ha preso avvio attraverso la messa a punto di un protocollo di introduzione a partire da materiale vegetale
prelevato in pieno campo. Successivamente è stata avviata la sperimentazione su una serie di genotipi
selezionati presso impianti specializzati nell’Isola di Pantelleria e nell’Isola di Salina, dove peraltro si concentra
la maggior parte della cappericoltura siciliana. L’attività in corso sul carrubo, invece, tiene conto delle
esperienze già condotte in vitro in anni recenti e mira a sviluppare un sistema efficiente ed economico che
possa consentire di ottenere piante innestate nel più breve tempo possibile con lo scopo sia di ridurre
sensibilmente i tempi di attesa in vivaio, sia la fase improduttiva che è fattore limitante per lo sviluppo della
coltura. Di queste esperienze si riferisce ponendo l’attenzione sulle basi scientifiche di partenza e sulle
conoscenze finora acquisite durante un’attività ancora pienamente in corso.
-------------------------------------------------------------Tossicità ed assorbimento di alcuni metalli in cloni di Populus alba L. coltivati in vitro
Sara Di Lonardo*, Maurizio Capuana, Cristina Gonnelli
*Dottorato di Ricerca in
([email protected])
Biosistematica
ed
Ecologia
Vegetale,
Università
degli
Studi
di
Firenze
In relazione al crescente inquinamento e alla presenza nei suoli e nelle acque di metalli pesanti, da ormai più
di vent’anni una grande attenzione è stata rivolta all’utilizzo delle piante superiori nelle pratiche di bonifica
Newsletter n° 1 – Novembre 2009 - 6
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ambientale attraverso le cosiddette tecniche di “phytoremediation”. La “phytoremediation”, ossia l’impiego di
piante per la decontaminazione dei suoli e delle acque, è una tecnica economica, affidabile ed esteticamente
accettabile, con grandi potenzialità di mercato. Nell’ambito di questa pratica, un ruolo di grande importanza è
indubbiamente giocato dalle piante metallo-tolleranti ed, in particolare, dalle piante accumulatrici ed
iperaccumulatrici, così definite per la loro capacità di concentrare nei tessuti i metalli presenti nel suolo. Il
pioppo è considerato come un possibile candidato per la decontaminazione di suoli inquinati: è facile da
propagare in laboratorio e stabilizzare, cresce rapidamente, produce molta biomassa, ha un alto tasso di
respirazione ed un sistema di radici che vanno in profondità. Inoltre, il genoma del pioppo è stato interamente
sequenziato. Tuttavia, non ci sono abbastanza informazioni sulla capacità del genere Populus di accumulare e
tollerare i metalli pesanti. Pertanto, questo lavoro ha avuto come scopo la valutazione della variabilità nella
concentrazione tissutale di alcuni metalli in cloni di Populus alba L., utilizzando il sistema modello della coltura
in vitro. In particolare, sono state confrontate le risposte dei cloni ‘Villafranca’, selezione commerciale
ampiamente diffusa nella pioppicoltura italiana, ‘QRC’, selezionato nel comune di Greve in Chianti (FI), e ‘FRT’,
proveniente dalla provincia di Trento, nei confronti di diverse concentrazioni di rame, zinco, cadmio ed
arsenico. I cloni sono stati coltivati su mezzo nutritivo addizionato con varie concentrazioni di metalli. Dopo 15
giorni di trattamento le piante sono state campionate e sono stati registrati i pesi secchi di radici e parti aeree.
I campioni sono stati poi mineralizzati e sottoposti ad analisi dei metalli tramite spettroscopia ICP-OES. I
risultati dimostrano che lo screening in vitro rappresenta un metodo realmente utilizzabile al fine di valutare la
tolleranza, l’uptake e la sopravvivenza ai metalli dei diversi cloni di pioppo, in quanto sono state evidenziate
differenze significative tra di essi. Tra i tre cloni analizzati il ‘Villafranca’ è risultato il più adatto all’estrazione di
rame, zinco, cadmio e arsenico dai suoli inquinati e perciò meritevole di essere impiegato per studi di
fitoestrazione in campo.
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Tutela della flora d'alta quota: aspetti biologici, ecologici e di propagazione in vitro
Paolo Fasciani*
*Dottorato di Ricerca in Scienze Ambientali, Università degli Studi dell’Aquila ([email protected])
Le entità vegetali d’alta quota presenti nell’Italia Centrale, ed in particolare nel territorio del Parco Nazionale
Gran Sasso e Monti della Laga, rappresentano una forma di ricchezza (biodiversità) spesso sottovalutata. La
conoscenza del patrimonio biologico di un territorio è oggi un obiettivo importante, non solo dal punto di visto
scientifico ma anche economico, specialmente riguardo a piante di particolare interesse officinale, liquoristico
ed ecologico. Le profonde modificazioni climatiche riscontrate negli ultimi decenni si ripercuotono sugli habitat
più vulnerabili come quelli situati a 2000 m s.l.m., mettendo seriamente a rischio la loro sopravvivenza. La
protezione della flora è necessaria per preservare gli habitat e quindi anche le specie animali ad essi legate. In
questo panorama globale di tutela ambientale trova importanti applicazioni la micropropagazione
(propagazione in vitro).
Esempi di piante in pericolo di estinzione (a causa della loro raccolta indiscriminata) e per la cui salvaguardia è
stata utilizzata la micropropagazione sono rappresentati da due Asteraceae: Artemisia umbelliformis subsp.
eriantha (genepì appenninico) e Leontopodium nivale (stella alpina dell’Appennino). Artemisia umbelliformis
ssp. eriantha, rigenerata in vitro, è attualmente coltivata in campi sperimentali d’alta quota, mentre la stella
alpina è stata fatta radicare in coltura idroponica. Androsace mathildae, un interessante Primulacea presente
unicamente in Abruzzo, in limitate stazioni di alta quota (2100-2700 m s.l.m.), dopo numerosi studi ed
esperimenti è stata recentemente rigenerata.
Ulteriori indagini ed approfondimenti sono necessari per chiarire alcuni aspetti di tali ricerche. Per il genepì
appenninico ci si propone di effettuare il confronto sia genotipico, tra le piante in natura e quelle ottenute con
la propagazione in vitro, sia della composizione degli olii essenziali in esse contenute. Per quanto riguarda
Androsace mathildae, ulteriori studi sono previsti per individuare la presenza di endofiti già messi in evidenza
con studi al S.E.M.
(Ricerca supportata dal Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga e dalla L. R. 9 Aprile 1997, n°35
“Tutela della Biodiversità vegetale e la gestione dei giardini ed orti botanici” Regione Abruzzo)
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Trasformazione genetica e flusso genico in fragola: ereditarietà ed espressione dei
transgeni
Alessia Gargaro*, Maria Antonietta Palombi, Simona Monticelli, Carmine Damiano
*Dottorato di Ricerca in Ortoflorofrutticoltura, XXI° ciclo, Università degli Studi della Tuscia
([email protected])
Una delle maggiori preoccupazioni nell’ambito delle colture transgeniche riguarda la loro possibilità di
diventare piante infestanti all’interno delle colture agricole e altamente invasive nell’ambiente naturale. Questo
rischio è considerato alto in quelle specie che si incrociano facilmente, si propagano vegetativamente e hanno
dei parentali selvatici. In questo contesto la fragola rappresenta un modello eccellente tra le colture perenni.
In merito alla valutazione del flusso genico e dell’ereditarietà dei transgeni all’interno del genere Fragaria,
diversi genotipi di fragola, tra cui F. x ananassa, cv Capitola, F. virginiana, F. chiloensis (ottoploidi), F.
moschata, cv Capron Royal (esaploide), F. vesca, cv Zimbaro, Snovit e Ilaria (diploidi), sono stati impiegati
come piante riceventi e fecondati con polline di piante transgeniche (Fragaria x ananassa Duch., cv Teodora,
8n), precedentemente ottenute, trasformate con i geni nptII e uidA (GUS). Il polline è stato raccolto allo stadio
di antere indeiscenti, fatto maturare sotto una lampada ad incandescenza e conservato a 4°C. In seguito ne è
stata valutata sia la vitalità che la germinabilità. Le piante riceventi sono state emasculate. Le impollinazioni
sono state condotte manualmente, in una serra di contenimento, per quattro settimane e ogni fiore è stato
impollinato due volte, quindi isolato tramite sacchetti per impedire fecondazioni incontrollate. Gli acheni sono
stati raccolti dai frutti maturi, in numero variabile a secondo dell’incrocio, e in seguito sono stati suddivisi in
due gruppi: il primo è stato usato direttamente per il saggio istochimico GUS, il secondo, invece, è stato posto
su terreno di germinazione, previa sterilizzazione e i germogli ottenuti sono stati sottoposti a loro volta a saggi
GUS, a pressione selettiva su terreno contenente kanamicina e a indagini molecolari in PCR. L’attività GUS è
stata riscontrata negli acheni prodotti da F. virginiana e da F. x ananassa, cv Capitola, mentre gli acheni di F.
moschata, cv Capron Royal non hanno mostrato mai attività GUS, né nelle piante germinate, né nei semi. Nel
caso di F. vesca, le tre cultivar hanno presentato risultati differenti: ‘Snovit’ e ‘Ilaria’ sono risultate positive al
saggio GUS condotto direttamente su acheni, mentre le piante ottenute da germinazione non hanno mostrato
attività GUS. Al contrario nella cv Zimbaro nessun achenio usato direttamente è risultato GUS positivo, mentre
una sola pianta ottenuta da germinazione si è dimostrata GUS positiva (0.5%). La selezione su kanamicina ha
fornito gli stessi risultati, eccetto il caso della ‘Zimbaro’. In questo singolo evento la pianta ha presentato i
tipici sintomi di clorosi fogliare dovuto all’inattivazione del gene nptII. L’analisi in PCR e in Southern blotting
ha poi confermato i dati ottenuti con i saggi GUS. In conclusione, è stato possibile dimostrare la reale
possibilità di scambio genico sia a livello intra-specifico (Fragaria x ananassa, cv Capitola), sia a livello interspecifico tra le specie parentali di origine americana con la stessa ploidia (8n) che dà origine ad un certo
numero di ibridi vitali. Al contrario nell’incrocio interspecifico con la diploide F. vesca, cv Zimbaro, è stato
osservato un solo caso di trasmissione dei transgeni che ha raggiunto lo stadio di pianta. Quest’ultima
osservazione potrebbe essere considerata come indice di basso rischio di flusso genico in quegli ambienti in cui
la F. vesca cresce spontaneamente, risultato che, però richiede ulteriori approfondimenti.
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Strategie per la conservazione ex situ di due specie endemiche rare della Liguria di
Ponente: Limonium avei (De Not.) Brullo et Erben (limonio annuale) ed Erysimum
burnati Vidal (violacciocca provenzale)
Annalisa Giovannini*, Antonio Mercuri, Simonetta Peccenini
*Dottorato di Ricerca in Botanica Applicata all’Agricoltura e all’Ambiente, Scuola di Dottorato in
Scienze e tecnologie per l’ambiente e il territorio, Università degli Studi di Genova
([email protected])
La Liguria è caratterizzata da una elevata biodiversità grazie alla presenza di tre regioni biogeografiche
distinte: mediterranea, continentale ed alpina. Nell’estremo Ponente ligure esistono specie rare, minacciate di
estinzione dall’espansione urbana e da altre attività antropiche. L’Erysimum burnati Vidal. (Cruciferae) è una
specie endemica delle Alpi sud-occidentali, descritta nel M. Mounier (dip. Alpes De Haute-Provence, Francia) e
presente in Italia in pochissime stazioni localizzate sulle Alpi Liguri; vive in pendii rupestri aridi del piano
montano e subalpino. Il Limonium avei (De Not.) Brullo et Erben (Plumbaginaceae) è una specie
stenomediterranea a distribuzione molto frammentaria; è presente in pochissime stazioni in Sicilia e Sardegna
ed in una sola località in Liguria occidentale. E’ una pianta annuale a riproduzione apomittica, vive in ambienti
costieri, in lagune e paludi salmastre litoranee. L. avei è incluso nella Lista rossa delle specie a rischio di
estinzione IUCN ed è compreso nell’allegato A del D.L. N. 400 del 6/11/2008 “Disposizioni in materia di tutela
Newsletter n° 1 – Novembre 2009 - 8
Gruppo di Lavoro
Micropropagazione e
tecnologie in vitro
e valorizzazione della biodiversità” della Regione Liguria. Nel progetto di Dottorato di Ricerca sono state
localizzate alcune popolazioni naturali di E. burnati (violacciocca provenzale) sul Monte Grai ed a Colla Melosa
(Parco delle Alpi Liguri) e la sola popolazione di L. avei (limonio annuale) presso Punta Rocca (Ventimiglia);
sono state inoltre intraprese una serie di iniziative volte alla conservazione ex situ delle due specie. Sono stati
messi a punto i protocolli di sterilizzazione ed ambientamento in vitro per entrambe le specie, a partire da
semi (E. burnati) e da infiorescenze immature (L. avei). I semi di violacciocca provenzale sono stati sterilizzati
e posti a germinare in piastre Petri, contenenti il terreno di coltura ½MS, mantenute in camera di crescita in
condizioni di fotoperiodo 16 h e temperatura di 24°C. Sono stati utilizzati due diversi terreni di moltiplicazione,
costituiti entrambi da sali e vitamine MS, saccarosio (30 g/l), portati a pH 5.7 e agarizzati con agar (0.8%
w/v), addizionati con 2 mg/l di 6-furfuril amino purina (KIN), oppure 0.2 mg/l di 6-benzil aminopurina (BAP) e
0.001 mg/l di acido naftalene acetico (NAA), rispettivamente. Il numero medio di germogli formati da un seme
dopo un mese di coltura era di 18.4 su terreno MS con KIN e maggiore di 50, con presenza di callo
organogenetico, su terreno MS con BAP e NAA. E’ stato messo a punto un efficace protocollo di
micropropagazione per il limonio annuale, con indice di moltiplicazione di 8 germogli per espianto, su terreno
costituito da sali e vitamine MS, addizionato con KIN (2 mg/l) e saccarosio (30 g/l) e agar (0.8% w/v). La
percentuale di radicazione sul terreno MS privo di regolatori di crescita è stata del 66.6%. Le piante radicate
sono state trasferite in serra, con una percentuale di ambientamento del 73.4%. Le piante di L. avei,
provenienti da coltura in vitro e coltivate in serra, sono andate a fiore ed è stato possibile raccogliere semi
fertili (in grado di germinare). Sono stati inoltre individuati i protocolli di organogenesi da foglia e da steli
fiorali sviluppati in vitro su terreno MS addizionato con acido indol-3-acetico (2 mg/l) e BAP (1 mg/l).
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Propagazione in vitro di orchidee rare e minacciate e pratiche di conservazione ex situ
Maddalena Grimaudo*, Elisabetta Sgarbi, Carlo Del Prete
*Dottorato di Ricerca in Earth System Sciences Environment, resources and cultural heritage, ciclo
XXII°, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia ([email protected])
Tutte le orchidee durante la germinazione e la successiva crescita sono da considerare micoeterotrofe a causa
della necessità di instaurare una simbiosi micorrizica che assicuri un apporto di componenti organici. In natura
la simbiosi tra funghi e orchidee rappresenta una strategia vincente per queste piante, permettendone la
sopravvivenza fino al raggiungimento dell’autosufficienza fotosintetica; la relazione simbiotica viene comunque
mantenuta per tutta la durata di vita delle orchidee. Le tecniche di colture in vitro consentono di svincolare i
semi dalla dipendenza dal fungo simbionte favorendo una rapida germinazione (germinazione asimbiotica). In
alcuni casi la crescita di giovani plantule può essere ottenuta in tempi brevi, ma rimangono tuttora irrisolti i
problemi relativi al passaggio dalle condizioni in vitro alle condizioni naturali, riconducibili alla necessità di
instaurare un rapporto simbiotico con uno specifico endofita. Scopo di questo lavoro è testare un sistema di
micorrizazione in vitro, utilizzando plantule di orchidee terrestri, ottenute asimbioticamente, e ceppi fungini
isolati da piante adulte di orchidea cresciute in habitat naturali, al fine di ottenere informazioni sulle diverse
compatibilità dei simbionti e, possibilmente, migliorare l’acclimatazione delle plantule nella fase ex vitro. Le
specie di orchidee utilizzate sono: Anacamptis morio (L.) R.M. Bateman & Prigeon & Chase, Serapias
vomeracea (N.L. Burm.) Briquet. e Anacamptis laxiflora (Lam) R.M. Bateman & Prigeon & Chase. I ceppi
fungini utilizzati, Ceratobasidium sp. e Tulasnella sp. (isolati da S. vomeracea) e due ceppi di Rhizoctonia sp.
(da A. morio e A. laxiflora), sono stati isolati ed identificati dal gruppo di ricerca del Dipartimento di Biologia
Vegetale dell’Università degli Studi di Torino (Coordinamento Prof. Perotto). Nelle prove di micorrizazione sono
state utilizzate le tre specie di orchidea e tutti i ceppi fungini disponibili, variando le combinazioni orchideafungo. Sono stati testati differenti tempi di contatto della pianta con il fungo (3, 7 e 14 giorni), al fine di
individuare il tempo minimo necessario all’instaurarsi della simbiosi micorrizica in vitro. Le piante sono state
poi prelevate, destinandone una alle prove di microscopia (SEM) e una alle prove di acclimatazione ex vitro.
Per queste ultime sono stati utilizzati terricci preventivamente sterilizzati per evitare contaminazioni estranee
al sistema sperimentale e saggiare quindi la reale utilità dei soli ceppi fungini impiegati nel promuovere la
crescita. Le piante sono poi state collocate in cella climatica a 19°C e fotoperiodo di 12 ore, misurandole dopo
1 e 2 mesi per verificarne la vitalità e registrare l’incremento della crescita. I risultati ottenuti mostrano che i
ceppi fungini più utili nel promuovere la simbiosi sono quelli isolati da S. vomeracea e A. laxiflora, mentre il
ceppo fungino isolato da A. morio ha mostrato un effetto inibente sulla crescita delle plantule. Gli incrementi
osservati dopo 1 e 2 mesi di permanenza su terriccio sono risultati significativi per le combinazioni S.
vomeracea/ Ceratobasidium. Le analisi al SEM hanno confermato la presenza di pelotons intracellulari, a
conferma dell’avvenuta simbiosi. Nei campioni di A. morio è stato possibile, in alcuni casi, osservare uno shift
dalla relazione micorrizica ad una relazione necrotrofica.
Newsletter n° 1 – Novembre 2009 - 9
Gruppo di Lavoro
Micropropagazione e
tecnologie in vitro
Produzione dell’antimalarico artemisinina
micropropagate di Artemisia annua L.
da
cellule
in
sospensione
e
piantine
Rossella Nisi*, Miriana Durante, Angela Quarta, Giovanni Mita, Federica Blando, Angelo
De Paolis, Sofia Caretto
*Dottorato
di
Ricerca
([email protected])
in
Biologia
Vegetale,
Università
degli
Studi
di
Parma
La malaria è una malattia febbrile acuta diffusa dalla puntura della zanzara femmina del genere Anopheles.
Nell’uomo la malaria è causata da quattro specie diverse di un protozoo del genere Plasmodium. Il Plasmodium
falciparum, è la specie che provoca la forma più grave di malaria. Per più di 350 anni questa malattia è stata
trattata con chinino, ma nel 1986 si è scoperto che il chinino, non ha più effetto su determinati ceppi resistenti
di P. falciparum. Negli ultimi anni un trattamento alternativo contro la malaria è rappresentato
dall’artemisinina, estratto da una pianta medicinale cinese, l’Artemisia annua L. Recentemente l’OMS ha
raccomandato di usare trattamenti combinati con artemisinina, come prima linea di trattamento per quei ceppi
resistenti alla cura tradizionale. L’Artemisia annua L. è una pianta aromatica erbacea annuale appartenente
alla famiglia delle Asteracae, endemica della Cina. L’artemisinina è sequestrata nei tricomi ghiandolari che
ricoprono la superficie di foglie e fiori. La produzione dell’artemisinina è ancora notevolmente costosa, vista la
scarsa quantità di molecola presente nella pianta ed il periodo piuttosto limitato della sua presenza. La sintesi
chimica della molecola è difficile da ottenere, con costi elevati e bassa resa. Ecco perché sono numerosi i
gruppi di ricerca il cui principale obiettivo è quello di aumentare il contenuto in planta oppure aumentare la
sua sintesi in colture in vitro o mediante ingegnerizzazione di microrganismi. Lo scopo di questa ricerca è
quello di mettere appunto diversi tipi di colture cellulari di A. annua al fine di individuare il sistema più idoneo
a una produzione massiccia di artemisinina. Sono state allestite diverse tipologie di colture in vitro di Artemisia
annua L. (cellule in sospensione e piantine micropropagate). Per aumentare il loro contenuto in principio
attivo, le colture in sospensione sono state elicitate con metilgiasmonato, una molecola che stimola il
metabolismo secondario, e miconazolo, un inibitore della sintesi degli steroli, una via competitiva dei
sesquiterpeni. Inoltre, le cellule sono state trattate con estratti fungini. Attraverso analisi HPLC si è potuto
osservare che i trattamenti hanno stimolato in misura differenziale la produzione di artemisinina. Inoltre,
l’allestimento di colture di germogli di A. annua è un risultato importante da utilizzare come punto di partenza
per ottimizzare protocolli efficienti di rigenerazione delle piantine. L’analisi dell’espressione genica, mediante
Real Time-PCR, ha permesso di studiare la regolazione di alcuni geni della via biosintetica dell’artemisinina.
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Ottenimento di microrizomi di ranuncolo
Margherita Beruto, Simona Rinino*
*Dottorato di Ricerca in Botanica applicata all’Agricoltura e all’Ambiente, Università degli Studi di
Genova ([email protected])
Nel presente lavoro è stata considerata la messa a punto di un protocollo per la produzione di micro rizomi di
ranuncolo. In una prima serie di esperimenti si è valutata la formazione di microrizomi in funzione della
composizione del terreno colturale (concentrazione e tipo di zucchero), dell’agente gelificante e di alcuni
fitoregolatori (IBA, acido giasmonico e paraclorobutrazolo, a diverse concentrazioni). Plantule in vitro del clone
‘Krisma’ sono state coltivate per un periodo di circa 12 settimane su di un mezzo base MS (macroelementi,
microelementi e vitamine) ad una temperatura variabile da 20°C iniziali fino a 35-40°C finali (incremento di 12°C per settimana), umidità relativa 40-50%, fotoperiodo 16 h con intensità luminosa di 50-60 µmol s-1 m-2. I
substrati sono stati gelificati con 0.8% (p/v) agar (Daishin); quando si è voluto verificare l’influenza della
concentrazione dell’agente gelificante si sono saggiate quattro diverse concentrazione delle stesso agar (0,
0.4, 0.6 e 0.8%, p/v) e l’agente gelificante Gelrite (0.25%, p/v). La formazione di microrizomi è stata
registrata a tutte le concentrazioni di saccarosio o fruttosio impiegate (88, 176, 262 e 350 mM), sebbene le
concentrazioni micromolari 176 e 262 abbiano fornito sia la migliore percentuale di plantule con microrizomi
(80-100%), sia una qualità più soddisfacente degli stessi sotto il profilo morfologico. La natura fisica del
substrato (solido vs liquido) si è rivelata importante: sul mezzo liquido si è registrata la percentuale minore di
formazione di microrizomi rispetto al mezzo solido (65% vs 80-85%). Con una concentrazione di agar pari a
0.4% (p/v) si è avuta la percentuale maggiore (38%) di microrizomi di migliore qualità, sebbene sia stata
registrata un’interazione significativa tra concentrazione di saccarosio e concentrazione di agar. Quando il
substrato è stato gelificato con Gelrite (0.25% p/v) la percentuale complessiva di formazione di microrizomi è
risultata generalmente inferiore a quella dell’agar (80% vs 88%). I fitoregolatori acido giasmonico e
paraclorobutrazolo non hanno mostrato significativa influenza sulla formazione di microrizomi di ranuncolo;
Newsletter n° 1 – Novembre 2009 - 10
Gruppo di Lavoro
Micropropagazione e
tecnologie in vitro
viceversa, il fitoregolatore IBA a concentrazione di 2 mg/l ha evidenziato un effetto rilevante sul fenomeno
(circa 100% di plantule con microrizoma e circa il 75% di microrizomi di qualità). In una seconda serie di
esperimenti è stata valutata l’influenza delle condizioni di coltura, con particolare attenzione al fotoperiodo
applicato e all’effetto che pre-trattamenti al freddo (0.5°C) possono avere sulla formazione dei microrizomi di
ranuncolo. Nel primo caso le plantule sono state coltivate sullo stesso mezzo base delle prove descritte nella
prima serie di esperimenti, a una temperatura costante di 20°C e diversi fotoperiodi (0, 8, 16 e 24 h di luce);
per saggiare l’influenza del pre-trattamento al freddo, plantule coltivate su mezzo MS sono state preincubate a
0.5°C, fotoperiodo 12 h (50-60 µmol s-1.m-2) per diversi periodi (0, 7, 14, 21 e 28 giorni) e poi trasferite a
20°C nelle condizioni usuali di coltura. I risultati ottenuti mostrano che il pre-trattamento al freddo esercita
un’influenza significativa sul grado di sviluppo dei microrizomi (88% di microrizomi completi con un pretrattamento al freddo di 28 giorni); l’esperimento volto a verificare l’influenza del fotoperiodo ha evidenziato,
invece, che con i fotoperiodi di 24 h e 16 h si è ottenuta la percentuale maggiore di formazione di microrizomi
(50% vs 2% dei fotoperiodi 0 h e 8 h).
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Rigenerazione in vitro di espianti maturi di pelargoni profumati
Monica Tullio*, Mariateresa Cardarelli, Elvira Rea
*Dottorato di Ricerca in Ortoflorofrutticoltura, XXII° ciclo, Università degli Studi della Tuscia
([email protected])
I pelargoni, appartenenti alla famiglia delle Geraniaceae, sono molto importanti dal punto di vista economico
per la presenza nei tessuti di oli essenziali che vengono estratti e destinati all’industria della profumeria, della
cosmetica e dell’industria farmaceutica. Scarse sono però le informazioni inerenti l’organogenesi e la
rigenerazione vegetale dei pelargoni a partire da espianti maturi e la maggioranza delle ricerche in questo
ambito sono svolte su espianti estremamente giovani. La limitata quantità di informazioni disponibili e la
mancanza di successi nella rigenerazione vegetale a partire da espianti maturi ha conseguentemente
ostacolato il miglioramento genetico di varietà propagate vegetativamente. Per quanto sopra, l’obiettivo del
lavoro è stata l’individuazione di un efficiente sistema di rigenerazione vegetale in vitro per i gerani zonali
profumati che utilizzi espianti maturi provenienti da piante cresciute in serra. Le cultivar prescelte sono state
Pelargonium ‘Lemon fancy’, P. tomentosum, P. crispum ‘Minor’ e ‘Pac angeleyes burgundi’ e P. grandiflorum
‘Lotus’. Le piante utilizzate nelle prove provenivano da allevamento in serra. Sono stati utilizzati diversi metodi
di sterilizzazione al fine di limitare eventuali danni agli espianti stessi. Sono stati quindi approntati due
substrati base di coltura, uno di rigenerazione, contenente i sali MS, 30 g l-1 saccarosio e 7 g l-1 agar, ed uno di
allungamento formulato con ½ di sali MS, 20 g l-1 saccarosio e 7 g l-1 agar, entrambi a pH 5.7. A questi sono
stati addizionati singoli o miscele di fitormoni [acido α-naftaleneacetico (NAA), 6-benzilaminopurina (BAP),
zeatina, kinetina, thidiazuron], al fine di individuare quello/i più adatti sia alla rigenerazione di gerani
profumati allevati in serra, sia alla fase successiva di allungamento dei germogli. Sezioni fogliari e di
peduncolo, in posizione sia assiale che subassiale, sono state poste in capsule Petri (10 per capsula),
contenenti 25 ml di substrato. Queste sono state poi mantenute in camera climatica in condizioni controllate di
temperatura (25±1°C) e con un fotoperiodo di 16 ore di luce (con intensità di 40 µmol m-2s-1). La metà delle
Petri sono invece state mantenute al buio per 18 giorni e poi sottoposte a fotoperiodo di 16 ore, sempre a
25±1°C. I parametri rilevati sono stati la presenza/assenza di callo ed il numero di germogli/espianto. Sono
stati presi in considerazione anche eventuali fenomeni di vitrescenza (iperidricità). Per la successiva fase di
allungamento, germogli di circa 1.5 cm di lunghezza sono stati posti all’interno di contenitori sterili (200 ml),
contenenti 30 ml dei vari substrati di allungamento messi a punto. Lo studio condotto ha individuato una
efficace procedura di sterilizzazione degli espianti, con scarsi danni ai tessuti, e un valido sistema di
rigenerazione a partire da porzioni di foglia e peduncolo provenienti da piante di pelargonio allevate in serra.
La risposta alla tecnica della propagazione in vitro è stata specie-specifica. Il P. grandiflorum ‘Lotus’ risulta
essere la cultivar con la migliore attitudine verso questa tecnica. Il sistema di rigenerazione che ha dato i
risultati migliori è stato quello basato su substrati di coltura che contengano, quali fonti di citochinine, una
miscela di BAP (1 mg l-1) e zeatina (1 mg l-1) in combinazione con NAA. La rigenerazione ottenuta è stata sia
diretta che indiretta. Su tale sistema risulta essere ininfluente la posizione assiale o subassiale degli espianti
sul mezzo di coltura. Il sistema individuato è rapido, in quanto la rigenerazione degli espianti avviene in 2-3
mesi dalla messa in coltura, consentendo l’ottenimento di germogli ben sviluppati con un aspetto tomentoso,
caratteristico dei pelargoni, in particolare il P. grandiflorum ‘Lotus’.
Newsletter n° 1 – Novembre 2009 - 11
Gruppo di Lavoro
Micropropagazione e
tecnologie in vitro
Impiego della β-nanospugna per il rilascio controllato di fitoregolatori rizogeni nella
micropropagazione di Camellia japonica
Ludovica Seglie*, Valentina Scariot, Marco Devecchi
*Dottorato di Ricerca in Scienze Agrarie, Forestali ed Agroalimentari, indirizzo in Colture Arboree e
Ambiente,
ciclo
XXIII°,
Facoltà
di
Agraria,
Università
degli
Studi
di
Torino
([email protected])
Recentemente sono stati sviluppati e proposti nano-veicolatori colloidali per il rilascio di molecole bio-attive, in
quanto il loro utilizzo è in grado di favorire la solubilizzazione di molecole normalmente poco solubili in acqua,
di permetterne il rilascio prolungato e controllato e di proteggerle dalla degradazione, incrementandone la biodisponibilità. A seconda del processo sintetico e del reticolante utilizzato, esse sono in grado di includere
stabilmente sia molecole organiche, sia cationi metallici. L’obiettivo della ricerca attualmente in corso è quello
di valutare l’impiego di nanospugne, complessate con fitoregolatori, al fine di ottimizzare le procedure di
micropropagazione di specie ornamentali. A tale scopo sono state inizialmente individuate cultivar rizogeniche
e recalcitranti di specie acidofile, quali la Camellia japonica. E’ stato messo quindi a punto il protocollo di
moltiplicazione, al fine di ottenere il materiale vegetale da sottoporre alle successive prove di radicazione in
vitro, impiegando le nanospugne quali veicolanti di fitoregolatori di crescita. In particolare sono state saggiate
4 cultivar di C. japonica: ‘California’ e ‘General Colletti’ (con buona capacità rizogenica), ‘Doctor Burnside’ e
‘Charles Cobb’ (con scarsa radicazione). Da queste sono stati prelevati i germogli apicali (10-30 mm) ed i
segmenti nodali (30 mm) che sono stati sterilizzati effettuando un lavaggio in acqua e sapone (10-15 min),
un’immersione in soluzione di etanolo al 70% (1 min) e, successivamente, in soluzione di ipoclorito di sodio
all’1% (NaClO, 10 min). Infine, gli espianti sono stati sottoposti a 3 risciacqui in acqua sterile (10 min
ciascuno) e posti su substrato di moltiplicazione costituito da Anderson’s Rhodondendron Medium (AR)
completo di vitamine, addizionato di Plant Preservative Mixture (PPM, 2 ml/l), benziladenina (BA) alla dose di 1
mg/l (= 4.4 µM), saccarosio (30 g/l) e agar (8 g/l). La prima prova condotta ha permesso di ottenere materiale
vegetale sano. Tuttavia, al primo trasferimento su nuovo substrato sono stati riscontrati segni di
deterioramento ed imbrunimento degli espianti. Pertanto, nelle successive prove di moltiplicazione sono stati
prelevati soltanto i germogli giovani (di circa 3 mesi) che hanno mostrato, in vitro, un’ottima capacità
rigenerativa ed un eccellente stato sanitario. Sono in fase di definizione la sintesi del complesso nanospugnafitoregolatore ed il protocollo per valutarne l’efficacia. Le ricadute dei risultati ottenuti nell’ambito del presente
studio potrebbero essere di grande interesse per le aziende florovivaistiche dedite alla propagazione,
prevedendo un contenimento dei costi ed un incremento qualitativo del prodotto, soprattutto per specie
acidofile, recalcitranti alla propagazione in vivo e in vitro.
------------------------------------------------Callus induction and plant regeneration from seeds of four Agropyron species
Masoume Amirkhani*, Maurizio Lambardi, Carla Benelli
*Ph.D. in Rangeland Science (Gorgan University of Agricultural Sciences and Natural Resources, Gorgan, Iran
([email protected])
Agropyron species, i.e., native grasses of semiarid regions in Iran, are resistant to cool and drought climates;
moreover, they withstand heavy grazing. The genus has a close phylogenetic relationship with Triticum and
Hordeum genera and is widely used not only for livestock and wildlife feed, but also as ornamental grass in the
parks, lawns and roadsides, adding beauty to surroundings and preventing erosion. The present study
investigated the effect of growth regulators, supplemented to semi-solid MS medium, on in vitro seed
germination and morphogenic callus production from seeds of four species, i.e., A. cristatum, A. trichophorum,
A. intermedium and an unknown Agropyron species. Different concentrations of 2,4-D and TDZ (from 5 to 25
µm), alone or in combination (20 µm 2,4-D + 5 µm TDZ), were tested. The experiments were conducted both
in darkness and under 16 h photoperiod, provided by cool daylight fluorescent lamps (16 µmol m-2 s-1).
Germination rate of Agropyron spp. was always better when the medium was devoid of growth regulators
(MS0). As for morphogenic callus production, they benefited from the inclusion of 2,4-D in the induction
medium, 5 or 10 µm producing the best conditions for A. cristatum, A. trichophorum and the unknown
species. 2,4-D concentrations exceeding 10 µm had a detrimental effect on callus production. However, when
a 20 µm 2,4-D was supplemented in combination with TDZ, the percentage of forming-callus seeds of A.
intermedium was higher. In contrast to 2,4-D, morphogenic callus was never produced when the medium was
supplemented with only TDZ, and this negative effect was regardless of its concentration. As for the culture
conditions, although no difference was observed as percentages of regenerating seeds, the callus produced
under a 16 h photoperiod was of superior quality, in terms of both embryogenic and organogenic
Newsletter n° 1 – Novembre 2009 - 12
Gruppo di Lavoro
Micropropagazione e
tecnologie in vitro
characteristics. Somatic embryos at the globular stage were observed only when embryogenic callus masses of
A. trichophorum, obtained by two subsequent subculturing on MS medium containing 5 µm 2,4-D, were
transferred to liquid MS0 medium, under continuous agitation. No embryogenic callus was obtained from seeds
of the other Agropyron species. However, several organogenic callus lines were obtained, from which
elongated shoots were easily developed in semi-solid MS0 medium. In vitro rooting and plantlet
acclimatization are presently in progress.
Al Workshop hanno contribuito:
Dottorato di Ricerca in Biologia
Vegetale e Produttività della
Pianta Coltivata-Unimi



Giornata di Studio
“LA TECNOLOGIA DELL’INCAPSULAMENTO”
9 novembre 2009 - Facoltà di Agraria
Università degli Studi di Perugia
RIASSUNTI
INCAPSULAMENTO: DEFINIZIONI E PROCEDURE
Alvaro STANDARDI, Maurizio MICHELI
Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali, Università degli Studi di Perugia, Borgo XX Giugno
74, 06121 Perugia. E-mail: [email protected]
Keywords: coltura in vitro, alginato di sodio, capsula, seme sintetico, conversione
Da alcuni anni vari gruppi di ricerca si stanno dedicando alla messa a punto di tecnologie in grado di coniugare
i vantaggi della clonazione (elevata efficienza produttiva in spazi ridotti, certezza sanitaria, omogeneità ed
uniformità del materiale vegetale, rapidità del ciclo produttivo) con quelli propri dei semi gamici, quali
maneggevolezza, conservabilità, dimensioni ridotte e facilità di trasporto. La tecnologia dell’incapsulamento,
definita come processo mediante il quale espianti vitro-derivati vengono racchiusi in una matrice con funzione
Newsletter n° 1 – Novembre 2009 - 13
Gruppo di Lavoro
Micropropagazione e
tecnologie in vitro
nutritiva e protettiva, capace di mantenerne inalterata la vitalità e la capacità di crescita (ripresa), anche dopo
stoccaggio o conservazione e trasporto, sembra offrire tali prospettive. Mediante l’incapsulamento, i propaguli
vengono, quindi, dotati di un rivestimento esterno (capsula) contenente disciolte sostanze nutritive
(endosperma artificiale), che consentono di proteggerli da eventuali danni meccanici durante la manipolazione
ed il trasporto e preservarli dal pericolo della disidratazione durante la conservazione (funzione protettiva). La
capsula, inoltre, fornisce ai propaguli elementi nutritivi, fonti energetiche, sostanze regolatrici della crescita ed
eventuali prodotti per il controllo dei parassiti (funzione trofica). Tra i metodi di incapsulamento, quello della
gelificazione ha fornito risultati promettenti e, per la realizzazione della matrice gelatinosa della capsula,
l'alginato di sodio è risultato particolarmente adatto perché la sua solidificazione, attraverso la quale avviene la
formazione della capsula, avviene per complessazione (scambio ionico) che, generalmente, non provoca danni
ai propaguli. In sintesi, la procedura per formare l’involucro consta di tre successive fasi, la prima delle quali
prevede l’immersione dei propaguli o degli embrioni somatici in una soluzione incapsulante di alginato di
sodio; essi vengono poi prelevati con la goccia di gel che aderisce intorno e fatti cadere, quindi, nella soluzione
incapsulante di alginato di sodio; essi vengono poi prelevati con la goccia di gel che aderisce intorno e fatti
cadere, quindi, nella soluzione complessante di cloruro di calcio dove si verifica, in circa 30 minuti, la graduale
solidificazione del gel, fino ad ottenere un rivestimento esterno (capsula) di consistenza idonea alla
manipolazione, caratterizzata da una resistenza alla pressione di rottura pari a circa 2-3 Kg. Al termine della
procedura si ottengono due prodotti, distinti in funzione della tipologia di espianti incapsulati e della prevista
loro successiva evoluzione: 1) capsule e 2) semi sintetici. Si parla di capsule quando gli espianti, dopo
trasporto e conservazione, verranno successivamente utilizzati nello stesso o altro laboratorio, per ripristinare
la coltura in vitro e quindi riutilizzati nella tecnica della micropropagazione. Si parla, invece, di seme sintetico
se l’espianto all’interno della matrice è destinato ad evolvere in plantula (conversione), a seguito di
conservazione, trasporto e semina in condizioni di asepsi (in vitro) o in vivo (ex vitro) e, quindi, può essere
oggetto di commercializzazione, in quanto potenzialmente destinato all’utilizzatore finale. Il concetto originario
del seme sintetico, avanzato da Murashige allo scopo di poter utilizzare l'embriogenesi somatica a fini
applicativi, ha subito vari riadattamenti, fino alla definizione odierna che estende il concetto all’impiego di
qualsiasi propagulo vegetale (vitro-derivato o meno) che sia in grado di evolvere in plantula, mentre quello di
capsula si limita a prevedere l’utilizzo e lo scambio di materiale fra laboratori di micropropagazione anche fra
continenti diversi. La tecnica del seme sintetico presenta delle peculiarità che possono apportare notevoli
vantaggi nella propagazione delle piante, ma anche alcuni problemi che al momento rappresentano dei limiti
alla diffusione a livello applicativo, quali: l’ottimizzazione del protocollo di incapsulamento, l’individuazione di
opportune procedure in grado di indurre soddisfacente rizogenesi e ripresa vegetativa da parte degli espianti
unipolari incapsulati, la possibilità di ricorrere alla conversione ex vitro e la riduzione di interventi manuali
nell’allestimento tramite sistemi di automazione o di semi-automazione delle diverse fasi.
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SVILUPPO DELLA TECNICA DELL’ INCAPSULAMENTO IN PIANTE ORNAMENTALI
Anna DE CARLO, Carla BENELLI
CNR-IVALSA, Istituto per la Valorizzazione del Legno e delle Specie Arboree, via Madonna del
Piano 10, 50019 Sesto Fiorentino (Firenze). E-mail: [email protected]
Keywords: coltura in vitro, incapsulamento, specie ornamentali.
La tecnologia dei semi sintetici è oggi un importante strumento per la propagazione e la conservazione in vitro
di specie vegetali. Inizialmente applicata per l’incapsulamento di embrioni somatici, la tecnica è stata
successivamente sviluppata per espianti non embriogenici in vitro-derivati, come gemme e segmenti nodali,
interessando in anni recenti anche il settore relativo alla produzione e conservazione di specie ornamentali.
Presso il CNR-IVALSA di Sesto Fiorentino (FI) sono stati sviluppati efficienti protocolli di incapsulamento per
diverse specie ornamentali (arboree, arbustive e succulente). Le ricerche hanno riguardato sia l’effetto della
componente glucidica (10-30-60 g/l di saccarosio) nell’endosperma artificiale di gemme apicali incapsulate di
lillà (Syringa vulgaris), di rosa (cv Sant’Antonio di Padova), di frassino (Fraxinus excelsior), sia la valutazione
dei tempi (20-30-40 min) di indurimento delle capsule di fotinia (Photinia fraseri), utilizzando diverse
concentrazioni (2-3-4%) di alginato di sodio. I semi sintetici di lillà hanno beneficiato dell’aggiunta del
saccarosio (10 e 30 gr/l) nell’endosperma artificiale, mostrando un più rapido sviluppo (11-12 giorni vs 16
giorni con la concentrazione più elevata di saccarosio), sebbene la germinabilità sia risultata leggermente
minore rispetto agli espianti nudi. Al contrario, gemme apicali incapsulate di rosa hanno mostrato una più alta
percentuale di germogli sviluppati (100%), rispetto alle non incapsulate (80%). Un ottimale scambio ionico,
con ottenimento di capsule traslucide e isodiametriche, è stato ottenuto quando gemme apicali di Photinia
fraseri, in una soluzione di Na-alginato al 3 o 4%, sono state indurite in 100 mM di CaCl2×2H2O per 30 min.
Newsletter n° 1 – Novembre 2009 - 14
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tecnologie in vitro
Con questa combinazione, più dell’86% dei semi sintetici sono germinati in 10-12 giorni e hanno formato
germogli ben sviluppati. In semi sintetici preparati con porzioni di callo embriogenico di frassino, la presenza
della capsula ha ritardato il recupero dell’attività proliferativa delle cellule; dopo 38 giorni, solo il 76% dei
campioni di callo incapsulati con 10 g/l di saccarosio hanno recuperato l’attività proliferativa. Peraltro, questa
dose di saccarosio è stata di gran lunga la più efficace in termini di “ricrescita” del callo embriogenico. Infatti,
alla dose di saccarosio immediatamente superiore (30 g/l) sono stati rilevati valori percentuali più contenuti.
In assenza di saccarosio, come pure alla dose massima di 60 g/l, è stato riscontrato un mancato sviluppo dei
semi sintetici. Per quanto concerne la conservazione dei semi sintetici in crescita rallentata, questa ha
raggiunto risultati soddisfacenti quando condotta a 4°C in oscurità; in tali condizioni, il 75% dei semi sintetici
di oleandro (Nerium olenander) e il 91% di fotinia hanno mantenuto la capacità germinativa dopo 2 o 3 mesi
di stoccaggio a bassa temperatura. La tecnologia dei semi sintetici potrebbe, quindi, portare un valido
contributo al settore ornamentale, con particolare riguardo alle specie di difficile propagazione e
conservazione.
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UTILIZZO DELL’INCAPSULAMENTO PER MIGLIORARE L’EFFICIENZA
SELEZIONE NELLA TRASFORMAZIONE GENETICA DEL PESCO
DI
Luca GIROLOMINI1, Daniela PALMA2, Oriano NAVACCHI3, Bruno MEZZETTI1
1
Dipartimento di Scienze Ambientali e delle Produzioni Vegetali, Università Politecnica delle
Marche, Via Brecce Bianche, Ancona
2 Dipartimento Biotecnologie, Università degli Studi di Verona, Via delle Grazie, Verona
3 Vitroplant Italia, Cesena
Keywords: coltura in vitro, pesco, incapsulamento, trasformazione genetica
Efficienti metodi di trasformazione e rigenerazione sono elementi prioritari per ottenere risultati soddisfacenti
durante il processo di ingegneria genetica delle piante. I metodi correnti per la produzione di piante
transgeniche prevedono la co-coltura con l’ Agrobacterium e la successiva rigenerazione e selezione di
germogli avventizi che hanno subito un evento di trasformazione stabile. Tale tecnica di miglioramento
genetico assistito dall’ingegneria genetica risulta di difficile applicazione alle specie considerate recalcitranti
alla rigenerazione, tra queste molte specie da frutto ed in particolare il pesco. Questo gruppo di lavoro ha
sviluppato un metodo di rigenerazione per organogenesi, basato sulla preparazione di tessuti meristematici,
provenienti da coltura in vitro di germogli a differenti concentrazioni di N6-benzyl adenine (BA), che ha
permesso di ottenere elevate efficienze di rigenerazione e trasformazione in vite. Attualmente si sta adottando
tale metodo anche per la messa a punto di protocolli di trasformazione del pesco (varietà e portinnesti). I
primi risultati ottenuti hanno evidenziato una elevata capacità rigenerativa dei tessuti ottenuti dagli ammassi
meristematici prodotti per diversi genotipi di pesco, ciò creando problemi nella fase successiva di selezione su
kanamicina. Al fine di rendere più efficiente la fase di selezione di germogli avventizi geneticamente modificati
sono stati avviati esperimenti di selezione basati sull’utilizzo dell’incapsulamento dei tessuti in rigenerazione,
utilizzando alginato addizionato con kanamicina.
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POTENZIALITÀ DEI SEMI SINTETICI PER LA CRIOCONSERVAZIONE DI SPECIE
VEGETALI
Maurizio LAMBARDI1, Carla BENELLI1, Emilia CABONI2, Florent ENGELMANN3,4
1
2
3
4
CNR-IVALSA, Istituto per la Valorizzazione del Legno e delle Specie Arboree, via Madonna del
Piano 10, 50019 Sesto Fiorentino (Firenze). Email: [email protected], [email protected]
CRA-Centro di Ricerca per la Frutticoltura, via di Fioranello 52, 00134 Roma.
Email: [email protected]
IRD, Institut de recherche développement, BP64501, 34394 Montpellier cedex 5, Francia.
Email: [email protected]
Bioversity International, 00057 Maccarese (Roma).
Keywords: crioconservazione, disidratazione, incapsulamento, PVS2, vitrificazione
Nell’ultimo ventennio la crioconservazione di specie vegetali ha tratto un grande impulso dallo sviluppo di
nuove ed efficienti tecniche che permettono l’immersione diretta e lo stoccaggio di organi e tessuti in azoto
liquido, a -196°C. Tra queste, di particolare interesse risultano quelle basate sull’incapsulamento degli espianti
Newsletter n° 1 – Novembre 2009 - 15
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in una matrice di alginato; i semi sintetici così costituiti sono poi opportunamente trattati con osmoprotettivi
e/o sottoposti a riduzione del contenuto in acqua, fattori questi fondamentali per indurre tolleranza alla
conservazione in azoto liquido. In particolare, nella tecnica di “incapsulamento-disidratazione”, proposta per la
prima volta nel 1990 da Dereuddre e collaboratori, la vitrificazione degli espianti durante raffreddamento ultrarapido è promossa dal pre-trattamento dei semi sintetici in substrato con alte concentrazioni di saccarosio e
successiva disidratazione in flusso d’aria sterile (quello di una cappa a flusso laminare) o su gel di silice per un
tempo appropriato a ridurne sensibilmente il contenuto in acqua, a valori in genere compresi tra il 30% e il
20%. A fine trattamento disidratante, le capsule sono inserite in crioprovette da 2 cc e queste immerse
direttamente in azoto liquido. E’ questa una tecnica che comporta alcuni vantaggi, quali la facilità di
manipolazione e trattamento dei semi sintetici, nonchè la possibilità di includere regolatori di crescita nella
capsula che possono favorire lo sviluppo dell’espianto incluso dopo scongelamento e reintroduzione in
vitrocoltura. Una variante prevede il trattamento dei semi sintetici con la soluzione PVS2 (“incapsulamentovitrificazione”), combinando così la praticità degli espianti inclusi in capsule di alginato con l’efficacia
vitrificante del PVS2, una miscela di crioprotettivi (glicerolo, DMSO, etilenglicole) ad elevata concentrazione.
Nel tempo, vari e diversificati espianti, provenienti da coltura in vitro, sono stati crioconservati previo
incapsulamento in alginato, quali apici meristematici (shoot tips), embrioni somatici e zigotici, cellule e
porzioni di callo embriogenico, hairy roots, semi e protocormi. Sono oggi disponibili in letteratura protocolli
completi di crioconservazione mediante “incapsulamento-disidratazione” per specie appartenenti ad oltre 60
generi diversi. La tecnica di “incapsulamento-vitrificazione” è di più recente introduzione ed è stata
prevalentemente sviluppata per la conservazione di apici meristematici, dimostrandosi efficace per la
crioconservazione del germoplasma di importanti specie da frutto, quali melo, vite, susino, kaki, fragola e
olivo.
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MICRO E NANO-SISTEMI BIODEGRADABILI COME VEICOLI PER IL RILASCIO
CONTROLLATO DI MOLECOLE ATTIVE
Rita CORTESI
CoReS Techno group, Dipartimento Scienze Farmaceutiche, Università di Ferrara, 44121 Ferrara.
E-mail: [email protected]
Keywords: microsfere, nanosfere, incapsulamento, rilascio controllato
Fin dalla fine degli anni ’90 la micro- e nano- incapsulazione in sistemi biocompatibili e biodegradabili è stata
oggetto di studio prevalentemente in ambito farmaceutico. Recentemente però anche altri settori, quali
l’agroindustriale, il chimico e il veterinario hanno manifestato un grosso interesse in questo tipo di sistemi. La
ragione di tanto interesse sta nel fatto che questi sistemi presentano diversi vantaggi, tra cui l'aumento della
stabilità di principi attivi, la protezione del principio attivo nei confronti dell'ambiente, il controllo delle
cinetiche di rilascio e la diminuzione della eventuale tossicità. Col termine micro- e nano- incapsulazione ci si
riferisce al processo tramite il quale il principio attivo viene disperso o dissolto in una matrice polimerica o
lipidica. Le micro e nano-particelle possono essere distinte fondamentalmente in micro- e nano-capsule e
micro- e nano-sfere. Le prime sono costituite da un "core" o fase interna, e da un rivestimento, mentre le
seconde non presentano una netta distinzione tra parte interna e parte esterna. Il rivestimento e/o la matrice
delle particelle sono responsabili del controllo della velocità di rilascio del principio attivo. Per la preparazione
di micro- e nano- particelle possono essere utilizzati diversi tipi di polimeri, classificabili in tre categorie
principali: naturali, semisintetici e sintetici. In particolare, i polimeri utilizzati devono rispondere a specifici
requisiti di tipo biologico e funzionale quali (a) assenza di tossicità, (b) inerzia chimica, (c) assenza di
cancerogenicità e teratogenicità e (d) non devono rilasciare impurezze, additivi e residui di polimerizzazione,
nè alterare le caratteristiche dei fluidi biologici. L’uso dei polimeri naturali è complicato dalla variabilità delle
caratteristiche e della purezza del materiale tra i diversi lotti di produzione. Per superare questi inconvenienti,
si possono utilizzare polimeri sintetici che hanno una composizione chimica definita, non sono immunogenici e
possono essere preparati in grande quantità in modo riproducibile. Tra i polimeri biodegradabili di origine
sintetica, si possono ricordare i poliesteri, polianidridi, poliamidi e polialchilcianoacrilati. I poliesteri, quali gli
omo- e copolimeri di lattide, glicolide e gli omo- e copolimeri di caprolattone, rappresentano la categoria
maggiormente utilizzata. Tra i materiali biodegradabili occorre ricordare i lipidi, in particolare mono-, di-,
trigliceridi e acidi grassi fisiologici che costituiscono la matrice di produzione delle nanoparticelle solide
lipidiche (SLN), dispersioni colloidali acquose di nanoparticelle di composizione lipidica. La natura lipidica di
queste nanoparticelle le rende adatte alle veicolazione di principi attivi lipofili, insolubili nei solventi acquosi
solitamente utilizzati. Per quanto riguarda i materiali non biodegradabili, i più utilizzati sono gli esteri poli(metil
metacrilati). L'impiego di polimeri di diversa natura per la produzione di microsfere ha comportato lo sviluppo
Newsletter n° 1 – Novembre 2009 - 16
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Micropropagazione e
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di diverse tecniche preparative classificabili nei seguenti gruppi: (1) coacervazione colloidale di macromolecole
di origine sintetica, semisintetica o naturale (polisaccaridi, gomme, esteri di cellulosa, polipeptidi); (2)
solidificazione di micelle sferiche di natura liquida per polimerizzazione interfacciale; (3) incapsulamento di una
fase solida con un agente di rivestimento polimerico. L'utilizzo di queste diverse metodiche sperimentali
consente di ottenere microsfere estremamente differenziate in termini di dimensioni, caratteristiche di
superficie, permeabilità, solubilità nei fluidi biologici, meccanismi e velocità di rilascio.
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INCAPSULAMENTO: POSSIBILI UTILIZZAZIONI NELL’ATTIVITÀ VIVAISTICA
Giuliano DRADI, Romano RONCASAGLIA
Vivai Piante Battistini S.A., via Ravennate 1500, 47023 Martorano di Cesena (FC)
Email: [email protected]
Keywords: conservazione, embriocoltura, risanamento da virosi, incapsulamento
L’incapsulamento in alginato di gemme ascellari e segmenti nodali, embrioni somatici e zigotici, porzioni di
callo morfogenetico per costituire i cosiddetti “semi sintetici o artificiali” è indubbiamente una delle più
interessanti innovazioni della coltura in vitro dell’ultimo ventennio. Peraltro, allo stato attuale, non si è a
conoscenza di applicazioni della tecnica su larga scala al settore commerciale della micropropagazione in vitro.
E’ perciò senz’altro auspicabile una maggiore attenzione della ricerca alle possibili ricadute applicative che
potrebbero derivare da questa tecnica. A titolo di esempio, si potrebbe ipotizzarne l’impiego in settori quali:
• la conservazione di espianti nel breve-medio periodo, riducendo consistentemente lo spazio e i costi
necessari per lo stoccaggio tradizionale dei germogli a 4°C. Per questa applicazione occorrerebbe, ad
esempio, avviare prove su larga scala per valutare tempi e modalità di conservazione di espianti incapsulati
provenienti da specie diverse;
• la conservazione in azoto liquido, ove il seme sintetico si è rivelato già idoneo all’impiego in procedure di
nuova generazione;
• l’embriocoltura, relativamente a embrioni sia zigotici, provenienti ad esempio da incroci controllati, sia
somatici, settore nel quale esistono già esempi di applicazione commerciale alla propagazione in vitro di
conifere;
• il risanamento da virosi, confrontando le capacità di recupero di un apice meristematico “nudo” con uno
incapsulato;
• il trasferimento e lo scambio di materiale sterile tra laboratori di micropropagazione, contenendone volume
e costi di spedizione e riducendo i rischi di contaminazione da trasporto.
Sono questi, appunto, alcuni esempi sui quali si è chiamati a riflettere, sviluppando opportune ricerche in
sinergia tra laboratori di produzione e di ricerca. Per ipotizzare applicazioni della tecnica a livello industriale,
inoltre, la sperimentazione dovrà valutarne l’adattabilità a processi di produzione in automatico o semiautomatico.
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PRODUZIONE DI SEMI SINTETICI DI HIBISCUS ROSA-SINENSIS (L.)
Marcello AIRÒ1, Giovan Vito ZIZZO1, Giovanni IAPICHINO2
CRA – SFM Unità di ricerca per il recupero e la valorizzazione delle Specie Floricole Mediterranee,
Km 245,5 - 90011 Bagheria (PA). Email: [email protected]
2 Dipartimento di Agronomia Ambientale e Territoriale, Sezione Orticoltura e Floricoltura, Università di Palermo, Viale delle Scienze, 90128, Palermo.
1
Keywords: incapsulamento, micropropagazione, microtalee, plantule
L’incapsulamento di microtalee e di embrioni somatici costituisce una metodologia innovativa nei sistemi di
conservazione in vitro e crioconservazione delle piante, nello scambio di materiale vegetale tra laboratori ed in
prospettiva, anche nel settore vivaistico. La possibilità di realizzare strutture (capsule) che assicurino un
ambiente protettivo e nutritivo intorno al materiale vegetale micropropagato ha una duplice valenza: da un
lato il vantaggio del seme naturale, in termini di maneggevolezza e conservabilità, dall’altro la certezza
genotipica della discendenza, grazie alla clonazione della specie oggetto di studio. L’obiettivo della presente
ricerca è stato quello di valutare l’adattabilità di Hibiscus rosa-sinesis alla produzione di ‘semi sintetici’.
Microtalee uninodali e di punta provenienti da germogli coltivati in vitro sono state incapsulate complessando,
in una soluzione all’1.4% di CaCl2, un substrato di Murashige e Skoog (MS) contenente 3% di saccarosio, 1.78
µM benziladenina e 40 g L-1 alginato di sodio. I substrati di coltura utilizzati per la ‘germinazione’ sono stati
Newsletter n° 1 – Novembre 2009 - 17
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differenziati in funzione dei nutrienti e dei fitoregolatori di crescita. Tutte le colture sono state poste in camera
di crescita ad una temperatura di 24±1°C, in condizione di luce di intensità pari a 40 µmol m-2 s-1. Dopo circa
40 giorni sono stati rilevati i seguenti parametri: vitalità, intesa come colorazione verde degli espianti e
assenza di ingiallimenti o necrosi; ripresa vegetativa, intesa come allungamento dei germogli di almeno 3 mm,
numero e lunghezza media dei germogli prodotti, presenza o meno di callo alla base del germoglio. I risultati
preliminari hanno evidenziato sia l’idoneità delle microtalee di Hibiscus ad essere incapsulate, sia una diversa
risposta dei propaguli in funzione dei mezzi nutritivi a confronto.
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SEMI ARTIFICIALI DI CYCLAMEN PERSICUM
Marco SAVONA, Sara BARBERINI, Barbara RUFFONI
CRA – FSO Unità di Ricerca per la Floricoltura e le Specie Ornamentali, Corso Inglesi 508, 18038
Sanremo (IM)
Keywords: embriogenesi somatica, ABA, incapsulamento, ornamentale
Il ciclamino (Cyclamen persicum Mill. cv Halios) è commercializzato su scala mondiale come pianta da vaso
fiorito ed è reperibile sul mercato invernale. Viene propagato attraverso seme ibrido F1 (ottenuto da piante
madri d’èlite, da cui sono state individuate linee F1) il cui prezzo è molto elevato. La sua propagazione
attraverso embriogenesi somatica può avere un risvolto realmente applicativo. E’ stato, quindi, standardizzato
il protocollo di embriogenesi somatica ed è stato possibile effettuare prove di incapsulamento dei singoli
embrioni in soluzioni di alginato di sodio (2%) contenenti: terreno base MS (30g/L di saccarosio) al quale è
stato aggiunto o Carbone Attivo (1%) o Acido Glutammico (10 mg/L) e Mannitolo (10 g/L) o GA3 (0,3 mg/L). Il
callo embriogenico proveniente da tre differenti substrati di coltura (MS contente o solo 2,4-D (2 mg/L) o solo
PBU (4 µM) o entrambi) è stato disgregato per 15 giorni in MS liquido con ABA (2,5 mg/L) a 120 rpm, è stato
filtrato 500 micron e trasferito per 15 giorni in terreno liquido senza ormoni a ridotta rpm (60). Gli embrioni
selezionati, immersi nelle varie soluzioni di alginato, sono stati prelevati con una pipetta sterile e lasciati
gocciolare in una soluzione di cloruro di calcio (CaCl2 50 mM) preventivamente sterilizzata. I semi artificiali
sono stati posti, per verificare la germinazione, o in capsule Petri contente carta bibula imbibita con 10 mL di
MS liquido senza fitoregolatori di crescita o su perlite sterile bagnata con lo stesso mezzo di coltura.
Valutazioni sulla germinazione sono state effettuate ogni 15 giorni.
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LA TECNICA DELL’INCAPSULAMENTO APPLICATA ALLA CONSERVAZIONE DELLE
ORCHIDEE SPONTANEE
Elisabetta SGARBI1, Maddalena GRIMAUDO2
1
2
Dipartimento di Scienze agrarie e degli alimenti, Università degli Studi di Modena e Reggio
Emilia, via Amendola 2, Padiglione Besta, 42100 Reggio Emilia.
E-mail: [email protected]
Dipartimento del Museo di Paleobiologia e dell’Orto Botanico, Università degli Studi di Modena e
Reggio Emilia, viale Caduti in Guerra 127, 41100 Modena.
Keywords: orchidee, protocormi, incapsulamento, vitrificazione, crioconservazione
Un aspetto interessante della biologia delle orchidee riguarda i semi, che sono piccolissimi e mancano di
endosperma e di cotiledone. Nell’ambiente naturale le poche sostanze di riserva presenti nell’embrione
consentono solo le prime fasi della germinazione, in attesa che si stabilisca una relazione micorrizica con
funghi simbionti: questi sostengono lo sviluppo del protocormo e della plantula fino al raggiungimento di
un’efficiente attività fotosintetica. In laboratorio la germinazione può avvenire anche asimbioticamente, in
vitro, fornendo nel substrato di coltura le sostanze nutritive che occorrono e applicando specifici protocolli per
l’interruzione della dormienza. Le tecniche di colture in vitro sono indispensabili per la propagazione delle
orchidee da seme, garantendo la conservazione della biodiversità intraspecifica. In questo contesto si inserisce
la possibilità di applicare la tecnologia dell’incapsulamento per la crioconservazione dei protocormi che si
ottengono dopo le prime fasi di germinazione, selezionando quelli a più rapida velocità di crescita e
sicuramente vitali. L’approccio sperimentale adottato prevede che i protocormi, una volta incapsulati in
alginato, siano sottoposti a protocolli di osmoprotezione (utilizzando una soluzione glicerolo 2 M e saccarosio
0,4 M). Successivamente si procede con la disidratazione, indotta immergendo le perle di alginato in una
soluzione vitrificante, la PVS2, da anni utilizzata con successo con diversi tipi di espianti. La PVS2, costituita da
Newsletter n° 1 – Novembre 2009 - 18
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glicerolo, etilenglicole, saccarosio e DMSO in substrato di coltura MS, presenta elevata molarità e induce un
drastico aumento della viscosità cellulare, riconducibile ad una concentrazione dei soluti delle cellule, evitando
così la formazione di cristalli durante il successivo congelamento in azoto liquido. In questa fase due
importanti variabili, tra loro correlate, devono essere testate per garantire la sopravvivenza dei protocormi:
durata del trattamento con la PVS2 e temperatura a cui avviene la vitrificazione. Lo scongelamento,
ultrarapido, a 40 °C per 2 minuti, è seguito dal recupero dei protocormi incapsulati e da una progressiva
reidratazione, ottenuta sottoponendo i campioni a lavaggi con soluzioni di saccarosio a molarità decrescente.
La correttezza del processo di crioconservazione viene verificata applicando il test di vitalità al TTC e, in
parallelo, ponendo in coltura i protocormi, mantenuti sempre all’interno delle perle di alginato. La tecnica
dell’incapsulamento si configura come un ottimo metodo per proteggere i protocormi durante le varie fasi del
trattamento di crioconservazione e nella successiva fase di messa in coltura, garantendo una rapida ripresa
della crescita.
Al Workshop ha contribuito:
Micropoli di Rovere Enrico
Cesano Boscone (Milano)
www.micropoli.it
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Novità Editoriali
Questa rubrica riporta le novità editoriali (articoli di riviste, libri, note tecniche) di
interesse per il settore della micopropagazione e delle tecnologie in vitro. Inviate le
vostre segnalazioni a <[email protected]>.
PROTOCOLS FOR MICROPROPAGATION OF WOODY TREES AND FRUITS
S. M. Jain & H. Häggman (eds). Springer, The Netherlands, 2007.
559 pagine (ISBN: 978-1-4020-6351-0).
Questo testo, curato da due apprezzati studiosi del settore, ha il pregio di
fornire dettagliate informazioni su protocolli di micropropagazione di numerose
specie forestali e da frutto di importante rilevanza economica. In tale contesto,
vengono affrontati anche aspetti importanti della micropropagazione che
possono in alcuni casi interferire negativamente nella varie fasi della coltura in
vitro, quali la variabilità somaclonale, la difficoltà di radicazione di alcune
specie forestali, l’iperidricità, la contaminazione, la perdita del materiale duran
te la fase di indurimento (hardening) e la qualità del materiale proveniente dal vitro. Nel capitolo
introduttivo vengono ampiamente analizzate le attuali conoscenze sulla totipotenza delle cellule
vegetali in relazione al ciclo cellulare e ai meccanismi di silenziamento genico che determinano la
competenza o la recalcitranza delle cellule ad esprimere la totipotenza. Il libro è articolato in 48
capitoli, suddivisi in tre sessioni. La prima sessione contiene 22 capitoli riguardanti la
micropropagazione di specie forestali, quali pini, sequoia, querce, cipresso, tasso, larice, betulla,
frassino, salice, robinia e olmo. Nella seconda sessione sono riportati i protocolli di alcune specie
da frutto; alcuni dei capitoli sono riferiti a specie comuni delle zone temperate come vite,
albicocco, castagno, susino, fico, noce e ciliegio, mentre altri riguardano specie tipiche delle aree
tropicali e sub-tropicali, come l’albero del pane (Artocarpus altilis), il pistacchio, l’anacardio, la
noce moscata (Myristica fragrans), l’albero di Neem (Azadirachta indica), il frutto della passione,
l’albero delle zucche (Crescentia cujete) e la papaia. Infine, gli 8 capitoli della terza sessione
riguardano piante non arboree (bambù, ananas, peonia, palma da datteri, mirtillo e banano).
Anna De Carlo
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Gruppo di Lavoro
Micropropagazione e
tecnologie in vitro
Gruppo di Lavoro SOI “Micropropagazione e tecnologie in vitro”
vitro”
Responsabile: Maurizio Lambardi, CNR-IVALSA
Comitato di Redazione della Newsletter
Carla Benelli, <[email protected]>
Maurizio Capuana, <[email protected]>
Anna De Carlo, <[email protected]>
Corrispondenti
Specie da frutto:
Maurizio Micheli, <[email protected]>
Claudia Piagnani, <[email protected]>
Specie ornamentali:
(fiore, interno, esterno)
Margherita Beruto, <[email protected]>
Aylin E. Ozudogru, <[email protected]>
Arboree da legno e forestali: Maurizio Capuana, <[email protected]>
Anna De Carlo, <[email protected]>
Specie orticole e medicinali: Giorgio De Paoli, <[email protected]>
Alberto Previati, <[email protected]>
Agrumi e vite:
M. Antonietta Germanà, <[email protected]>
Ivana Gribaudo, <[email protected]>
Fruttiferi minori:
Edgardo Giordani, <[email protected]>
Tecnologie in vitro:
Carla Benelli, <[email protected]>
Emilia Caboni, <[email protected]>
Innovazione nei laboratori:
Giuliano Dradi, <[email protected]>
Barbara Ruffoni, <[email protected]>
L’email della Newsletter è <[email protected]>