lissone nella storia del mobile

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lissone nella storia del mobile
12 marzo 2014
LISSONE NELLA STORIA DEL MOBILE
LISSONE NELLA STORIA DEL MOBILE
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GLI ANTEFATTI: IL SEICENTO
Il Seicento nel passato è stato definito da molti storici come il
“Secolo di Ferro”. Anche se in seguito è stato fortemente
rivalutato, non si può non dimenticare che esso fu percorso da
eventi segnati da guerre, morte, povertà, carestie e pestilenze.
L’Italia era sotto il dominio degli Spagnoli, che consideravano le
nostre terre essenzialmente da depredare.
Il nostro Paese era in piena decadenza; le cause erano molteplici:
1.
ormai il grande traffico commerciale internazionale si
svolgeva sull’Atlantico, e le navi italiane, tecnicamente
arretrate,
non
potevano
assolutamente
entrare
in
competizione;
2.
una fonte della ricchezza italiana veniva meno: i prodotti
dell’artigianato, prima di tutto i tessuti, che un tempo gli
italiani esportavano in ogni parte d’Europa, adesso non
riuscivano a trovare più acquirenti. Costavano troppo cari
rispetto a quelli prodotti altrove (specialmente in Olanda,
dove la manodopera veniva pagata meno ed erano impiegate
tecniche più moderne). Le attività artigianali e produttive
scomparvero da molte regioni d’Italia e con esse le banche;
3.
alla miseria si aggiunse la peste: una gravissima epidemia
colpì
l’Italia
settentrionale
nel
1630-31
(quella
di
manzoniana memoria); un’altra si abbatté
nel 1656-57.
Pochissimi sanno che un ricordo della peste del 1630-31
rimane a Lissone: sono due colonne, con sopra una piccola
croce, erette a ricordo della fine (e dei morti) di quella
epidemia; ora fanno bella mostra di sé, per chi le vuole
vedere, una nella Piazza Giulio Fumagalli dietro la chiesa
Prepositurale
(dove è stata spostata, nel passato, dalla
vecchia collocazione dell’attuale piazza Italia), l’altra nei
pressi dell’incrocio tra la via Buonarroti e la via per San
Giorgio (recuperata in un giardino privato e posta, a cura di
alcuni
Lissonesi
che
l’avevano
ristrutturata,
in
una
posizione vicino a quella originaria). Non giuro che le croci
siano originali, le colonne certamente sì.
Poi c’erano gli Spagnoli che, per il continuo bisogno di denaro,
spremevano
gli
Italiani,
imponendo
tasse
pesantissime.
Il
governatore di Milano, il cui ducato apparteneva direttamente al
re di Spagna, come altri del suo ruolo debole e corrotto, non era
in grado di riscuotere direttamente le tasse. Affidava, perciò, il
compito ai cosiddetti “arrendatori”, i quali anticipavano le somme
che il suddetto doveva ricevere attraverso le imposte, e in
seguito pretendevano dalla popolazione, con mezzi violenti, molto
più di quanto avevano versato allo Stato.
2
E Lissone faceva parte del Ducato di Milano. Il piccolo paese
risentiva naturalmente della crisi. Basti pensare che, secondo
dati parrocchiali, gli abitanti erano 1000 nel 1579, 1008 nel 1600
e 1120 nel 1700: in un secolo un aumento della popolazione di poco
più dello 0,1% all’anno.
Allora Lissone era divisa in due paesi: la Lissone propriamente
detta e l’attuale Santa Margherita, il quartiere a nord denominato
allora Cassina Aliprandi; l’ unificazione sarebbe avvenuta solo
nel 1869. La popolazione era soprattutto agricola. Il territorio
apparteneva a pochi grandi proprietari terrieri, alle cui
dipendenze c’era la quasi totalità della popolazione. Il terreno,
oltre che a cereali, era coltivato ad uva: molti erano i vigneti.
L’agricoltura, però, non riusciva a dare la piena occupazione a
tutti, provocando così una continua emigrazione.
All’agricoltura
era
complementare
l’artigianato
tessile
a
conduzione familiare largamente praticato nel tempo reso libero
dalla cura dei campi e nella stagione invernale. Centodieci erano
i telai per i panni di lana a Lissone, come risulta da un
documento del 1615: se pensate che le famiglie nel 1604 erano 150!
L’ACQUA, LE VILLE
Ed eccoci al Settecento, il secolo del dominio austriaco in Italia
e con esso il secolo delle riforme e della buona amministrazione,
pur in uno Stato accentrato e burocratico.
Il governo austriaco (pensiamo solo all’imperatrice Maria Teresa)
dà una svolta anche economica ai suoi possedimenti italiani, di
cui Lissone fa direttamente parte. Gli effetti per il paese
brianzolo cominceranno nell’ultima parte del secolo, ma non
saranno indifferenti.
Cosa fanno gli Austriaci anche per Lissone?
Il primo segno è la stesura (1723) della prima mappa del paese,
ordinata nell’ambito di un inventario generale dei poderi e delle
abitazioni, voluto dall’imperatore Carlo VI d’Austria. L’opera
trae
spunto
dalla
necessità
di
conoscere
le
potenzialità
economiche anche di Lissone, oltre che delle altre zone, allo
scopo di regolare la determinazione delle tasse e delle imposte.
L’opera (di una meticolosità tutta austriaca) viene portata a
termine sotto il governo di Maria Teresa. Essa costituisce anche
opera utilissima per gli stessi Lissonesi, in quanto viene fatto
un po’ d’ordine nelle proprietà e nei poderi.
3
Il governo austriaco non si limita, però, solo alle tasse: dà
impulso e sviluppo al commercio, favorendo il fiorire degli
antichi mercati.
Grazie al nuovo clima di pace ed attività che si é creato, anche
Lissone ha modo di uscire dalla situazione di immobilismo e di
decadenza: nel 1789 la popolazione è quasi raddoppiata rispetto
all’inizio del secolo, 1826 abitanti.
Prima di andare avanti, però, a questo punto è necessario fare un
excursus, chiamiamolo geografico.
Lissone fa parte della Brianza e questa, a sua volta, fa parte
dell’alta pianura. Il terreno è ghiaioso, per cui l’acqua che
piove dal cielo non rimane in superficie ma penetra in profondità,
lì tocca il terreno argilloso, compatto, laddove si formano le
falde freatiche, per poi riaffiorare a sud di Milano. Qui il
terreno in superficie è argilloso e dà origine alle risorgive (o
fontanili) ed è quindi molto più fertile.
Le conseguenze? Da noi neanche a pensare alla praticoltura. Solo
culture, come quelle dei cereali e della bachicultura, che non
consentono cure particolari, ma a questo tipo di terreno sono
limitate.
Questa è la situazione. Si coltiva la terra a cereali ed a uva e
nei tempi morti ci si dà alla tessitura. Niente di più. Che fare?
Che fare per aumentare il reddito familiare?
Monza e altri centri lombardi (Como soprattutto) hanno già
raggiunto un livello qualitativo apprezzato nel settore della
filature/tessitura. La concorrenza è spietata e tutta a sfavore
dei Lissonesi.
Però… Però…
C’è un’antica consuetudine dei Milanesi più agiati di villeggiare
nella bassa Brianza, e non altrove in Lombardia. Adesso, oltre ai
nobili, anche i ricchi borghesi milanesi costruiscono la loro
seconda casa nella verde Brianza. Sono così mobilitati, tra la
fine del XVIII secolo e l’inizio dell’Ottocento, schiere di
architetti, imprese edili, arredatori, giardinieri e falegnami per
costruire nuove ville e restaurare le vecchie, e arredarle.
Già è presente a Lissone l’attività di falegnameria, quasi sempre
nelle ore e nei tempi morti dell’agricoltura. La produzione
lissonese di mobili è, come negli altri paesi dove tale industria
è fiorente (Cesano, Bovisio, Meda e Barlassina), qualitativamente
piuttosto modesta e di uso popolare diretta, attraverso la
mediazione dei commercianti milanesi, ai mercati rurali della
Lombardia, del Veneto e del Tirolo.
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Se la tessitura non riesce più a reggere la concorrenza, i mobili
lo possono fare?
Nel 1773 arriva la soppressione della “Università dei legnamari
(falegnami)” di Milano, che favorisce il ritorno ai paesi
d’origine ( e quindi anche a Lissone) di qualche “Magistro ad
lignamine (falegname provetto)” in grado di organizzare la
produzione in proprio ed all’esterno, e, soprattutto, di far
scuola.
Questo provvedimento, ad opera sempre di Maria Teresa d’Austria,
si inquadra nella più generale opera di soppressione delle
corporazioni (dette anche Università) allo scopo di favorire lo
sviluppo del sistema economico. L’abolizione di queste istituzioni
medioevali pone la base per una più libera attività economica e
commerciale: l’artigianato brianzolo (e quindi anche lissonese)
può accedere a mercati esterni – soprattutto quello milanese –
senza dover più sopportare alcun onere per l’esportazione di
propri prodotti.
Quindi, le ville brianzole e, in particolare, la Villa Reale di
Monza.
Maria
Teresa,
per
manifestare
il
prestigio
e
la
magnificenza della sua corte e accrescerne il lustro, nel 1777
decide la costruzione di “una casa di campagna che serva di
villeggiatura al Serenissimo Arciduca Governatore”, suo figlio
Ferdinando, sposato con Maria Beatrice Este.
La Villa Reale, con l’arredamento delle sue 700 e più stanze,
invoglia molti contadini della zona – e in special modo, i nostri
di Lissone - ad affiancare ancor di più ai tradizionali lavori dei
campi e della tessitura quello del “lagnajolo”. Se si pensa che la
costruzione della Villa Reale richiederà quasi settant’anni (dal
1780 al 1848), pensate quanto lavoro ci potrà essere per i
falegnami brianzoli e anche lissonesi!
NAPOLEONE E DOPO
Alla fine del Settecento arriva Napoleone che stravolge
E arriva anche in Italia. Che fine farà anche la piccola
soprattutto, per quanto ci riguarda, la sua crescente
mobiliera che ha cominciato a mettere le ali anche per
governo” austriaco?
l’Europa.
Lissone e
economia
il “buon
Intanto gli artigiani “legnamari” lissonesi sono aumentati di
numero in breve tempo. In un documento del 1804 il “Cancelliere
del Censo” del
XIII Distretto di Monza,
appartenente al
Dipartimento dell’Olona scrive così: “ … si rileva che la sola
comune di Lissone ha n. 44 famiglie che eserciscono l’arte di
Falegname le quali travagliano in fabbricare mobili vendibili, ed
eccone le indicazioni. 1)Li legnami occorrenti sono provveduti in
5
questo Dipartimento. 2) Il valore delle opere ridotte in merci non
si
può
individuare,
e
tali
manifatture
si
smerciscono
nell’interno. 3) n.68 persone sono verosimilmente occupate nelle
Manifatture. 4) Si servono dei soli istrumenti da falegname. 5)
Dal 1769 in avanti tale manifattura si è accresciuta”.
Melchiorre Gioia, giornalista, storiografo ed economista, vissuto
tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, nella sua
“Discussione economica sul Dipartimento dell’Olona” afferma che,
per opera di Giuseppe Maggiolini (1738-1814), nativo di Parabiago,
considerato il più ispirato maestro di intarsio ed ebanista del
tempo, “… in varie ville principalmente, come Lissone… si diffuse
l’arte, e andò vieppiù perfezionandosi, cosicché paragonando le
nostre leggiere ed eleganti mobiglie con le rozze e materiali dei
nostri maggiori, anche gli entusiasmi de’ bei tempi antichi sono
costretti a darci la preferenza.”.
Cosa c’entra Napoleone? A parte il fatto che, rimanendo sotto il
suo potere due terzi della popolazione italiana, permette il
formarsi di mercati che possono dirsi vastissimi per le attività
economiche del tempo, avvezze al clima chiuso del campanile
locale, un indizio ci porta di nuovo a vedere una possibilità per
l’industria mobiliera locale.
Nel 1804 Napoleone nomina il figliastro Eugenio Beauharnais viceré
del neo costituito Regno d’Italia e costui sceglie come residenza
la Villa di Monza, che da allora verrà chiamata Villa Reale. E
tutto questo significa altro grande, febbrile lavoro per i nostri
artigiani, che, per la seconda volta, partecipano all’arredamento
della villa stessa.
Parliamoci chiaro. L’industria del mobile a Lissone, come in tanti
altri centri brianzoli, è ancora considerata secondaria rispetto a
quella agricola, nella quale si continua a cercare un reddito
certo.
Scrivono Emilio Diligenti e Alfredo Pozzi nella loro “Brianza in
un secolo di storia d’Italia (1848-1945)”: “… neppure tutto quello
splendore, quel potere e quella ricchezza, potevano mutare in
pochi anni come per incanto le miserevoli condizioni di vita e di
lavoro dei borghi rurali della Brianza, né potevano fare sorgere e
qualificare una nuova città produttiva. Evidentemente i contadini
non potevano diventare fornitori di beni preziosi, di prodotti di
classe, di oggetti rari, di vere e proprie opere d’arte,
direttamente a contatto con quell’ambiente sfarzoso. I brianzoli
del contado dovevano accontentarsi delle briciole, dei lavori
modesti, magari per le cucine della reggia o per gli alloggi della
servitù e della truppa.”.
Però, “sia la villeggiatura dei patrizi milanesi (già ricordata,
n.d.r.) sia i regnanti e la corte alloggiata nella Villa Reale di
“Monza” – continuano i due – creavano un mercato locale
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discretamente ampio, se non proprio per la produzione mobiliera,
senz’altro per lavori più modesti di falegnameria e carpenteria,
alla portata, almeno inizialmente, di quelle comunità rurali
brianzole. Il resto, cioè gli arredamenti veri e propri richiesti
per ville e palazzi, per il contado brianzolo funzionò come scuola
d’apprendistato. E nell’arco di neppure mezzo secolo anche il
povero contadino di questi borghi, in particolare di Lissone,
Meda, Seveso, Cantù riuscì a diventare maestro in ebanisteria”.
Insomma, anche a Lissone si impara il mestiere di artigiano del
mobile, che soppianta a poco a poco la tessitura dei tempi morti
lasciati dal lavoro agricolo.
Il movimento emigratorio cessa e verso il 1820 Lissone comincia ad
assorbire manodopera forestiera. Arrivano da tutte le parti ad
imparare il mestiere del falegname, quello che i nostri a loro
volta
hanno
appreso
nell’arredamento
delle
ville
patrizie
brianzole e, in particolare, della Villa Reale.
Stanno arrivando gli anni della svolta.
GLI ANNI DELLA SVOLTA
Agli
inizi
degli
anni
Trenta
dell’Ottocento
l’artigianato
lissonese del mobile può essere considerato come una categoria
produttiva vera e propria e, almeno in parte, questi artigiani
hanno abbandonato totalmente il lavoro agricolo.
E’ in questi anni, tra il 1830 e il 1840, che i nostri mobilieri
affrontano il problema degli sbocchi commerciali oltre i confini
brianzoli, in Lombardia e, in particolare, a Milano. Questa è una
città in espansione con un forte potere d’acquisto. E Lissone
dista pochi chilometri da essa. Già da prima i contatti fra i
Lissonesi e questa città non mancavano. Il raccolto, ad esempio,
veniva tutto portato sul mercato di Milano. La strada dei raccolti
viene ora seguita nottetempo per portare nel capoluogo i mobili
caricati su carri tirati da possenti cavalli da tiro. I
protagonisti sono gli artigiani più intraprendenti e con qualche
disponibilità di capitale; raccolgono la produzione locale per
portarla a Milano, in una piazzetta, detta allora dei “resegoni”.
Il significato della denominazione
è, con tutta evidenza, certo
che derivi da coloro che usano le seghe, e sono quasi sicuro che
il luogo si riferisca all’attuale piazza Mentana. Qui si
allestisce l’esposizione dei prodotti, assieme naturalmente ad
altri mobilieri brianzoli.
Il
settore
mobiliero
assume,
quindi,
sempre
maggior
peso
nell’economia
lissonese,
tanto
da
soppiantare
gradualmente
l’attività tessile, prendendo da questa, oltre ai capitali, i modi
imprenditoriali che l’avevano
caratterizzata alla fine del
Settecento.
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Nascono le prime ditte mobiliere, che cominciano a coordinare le
“botteghe”, a programmare il tipo e la quantità di produzione, a
garantire il lavoro agli artigiani cittadini, a propagandare il
prodotto
nelle
grandi
città,
oltre
ad
assicurare
l’approvvigionamento di materie prime e strumenti di lavoro.
Il sistema di approvvigionamento della materia prima è ormai
consolidato. E’ esclusivamente nazionale e
localizzato nel
Lodigiano, nel Cremasco, nella Lomellina e nelle vallate comasche
per le essenze di noce e di castagno.
La prima di queste aziende, a carattere e a dimensione
industriali, nasce a Lissone del 1840: è la Meroni e Fossati,
all’inizio, in vero, di Massimiliano Gatti. Nel 1848 poi verrà
fondata la Paleari.
Nel 1840 dai registri comunali risulta che la maggioranza della
popolazione (69,1%) è dedita al lavoro agricolo, ma già il 17,1%
di essa fa l’artigiano, in particolare nel settore mobiliero
(47,7% di tutti gli artigiani).
Da metà secolo in poi Lissone può essere considerata un centro del
mobile con un’attrezzatura e un’organizzazione efficaci e con le
capacità tecniche, artistiche, produttive e commerciali più
complete. La produzione lissonese non solo può accontentare il
cliente di ceto basso o medio, ma può permettersi di orientarsi
verso la riproduzione perfetta degli stili, verso i mobili più
pregiati.
Nel 1849, sempre dai registri comunali della popolazione, gli
artigiani sono ormai quasi un quarto (23,1%) della forza lavoro
locale, e di essi più del 60% sono falegnami. Lissone deve essere
considerato il più importante centro mobiliero d’Italia.
E poi arriva l’Unità.
LA SECONDA PARTE DELL’800: UN PERIODO D’ORO
Questo periodo della storia del mobile è legata a eventi
particolari,
ognuno
dei
quali
imprime
un
grande
impulso
all’attività economica mobiliera. Si inizia così il periodo d’oro
del mercato mobiliero.
Anni Settanta: Nasce l’idea di una scuola professionale di disegno
e di intaglio. Un complesso produttivo come quello di Lissone non
può trascurare questo settore, se vuole mantenere il suo primato
nell’avvenire.
Nel 1873 è stata fondata una Società di Mutuo Soccorso fra operai
e contadini per opera di alcune lungimiranti personalità locali.
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Per opera di questa società nel 1878 si inaugura la Scuola Serale
di Disegno e Intaglio. La scuola prevede un corso preparatorio di
due anni comune a tutte le professioni, e poi due corsi di tre
anni, o per falegnami ebanisti o per intagliatori; infine un corso
di specializzazione di due anni per falegnami ebanisti. Il
percorso scolastico può, quindi, durare ben sette anni! Nel 1898
la scuola costruirà la sua sede definitiva in via Besozzi: un
palazzo a tre piani con 14 aule, laboratorio e salone per copia
dal vero. Nel 1900 saranno 73 gli allievi per poi aumentare in
seguito.
Anni Ottanta: Il 10 ottobre 1879 una delibera del Consiglio
Comunale
di
Lissone,
approvata
all’unanimità
dai
quindici
consiglieri presenti, chiede al Governo che sulla linea MilanoComo venga costruita “una stazione con scalo merci presso il
cavalcavia
soprastante
la
strada
per
Muggiò
(attuale
via
Carducci), essendo il luogo più vicino ai due Comuni di Lissone e
Muggiò e a distanza favorevole tra le due stazioni di Desio e
Monza”. Anche il Comune di Muggiò, il dicembre dello stesse anno,
delibera in tal senso. La stazione, denominata “Lissone-Muggiò”
viene costruita tra il 1881 e il 1882. E’ evidente il notevole
vantaggio che questa realizzazione porterà all’economia lissonese,
in particolare a quella del mobile. Gli approvvigionamenti di
materie prime sarà più veloce, la diffusione dei prodotti finiti
potrà
raggiungere,
e
più
celermente,
grandi
distanze
e,
soprattutto, ci sarà la possibilità di far venire in loco tanti
possibili acquirenti.
Già nel 1880 la Meroni e Fossati ha costruito, proprio all’uscita
della futura stazione, un palazzo di esposizione con annessa una
fabbrica di mobili, per una superficie complessiva di circa 40.000
metri quadrati. Nel 1890 la Paleari farà altrettanto, sempre in
prossimità della stazione.
Sorgono rapidamente altre ditte e tutte di una certa importanza e
con un giro di affari piuttosto rilevante; costruiscono le loro
esposizioni, le loro fabbriche aumentano sempre di più la capacità
produttiva del paese.
Con tutto questo complesso mobiliero Lissone si fa conoscere in
tutto il mondo, partecipando a molte mostre, fiere, esposizioni in
Italia e all’estero: Milano, Nizza, Anversa, Napoli, Bordeaux,
Besancon, Monaco, Chicago.
Nel 1892 all’Esposizione Internazione di Chicago la ditta Paleari
ottiene
una
medaglia
d’oro.
Brillante
anche
la
figura
all’Esposizione Universale di Parigi del 1900. Nella capitale
francese gli artigiani lissonesi fanno concorrenza ai mobili
locali già conosciuti dappertutto, assicurandosi fra l’altro un
posto di primo piano nei mercati turco ed egiziano, imponendo la
loro arte nel Medio Oriente.
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Intanto, alcuni Lissonesi, almeno fino alla fine del secolo,
continuano a lavorare per l’arredamento della Villa Reale, questa
volta però per mobili di alto pregio.
INIZI DEL NOVECENTO. L’INDUSTRIA
“BELLE EPOQUE” ANCHE A LISSONE.
DEL
LEGNO.
LA
Agli albori del nuovo secolo a Lissone si comincia a pensare ad
investire seriamente nella lavorazione della materia prima, il
legno, in modo che poi possa essere utilizzato dai mobilieri.
A dir la verità, già nel 1880 i fratelli Mussi avevano realizzato
la prima trancia, interamente in legno: i primi fogli di tranciato
erano stati ricavati da una radica di noce.
L’invenzione, però, non aveva avuto successo, perché i mobilifici
non avevano strutture e strumenti adatti a questa innovazione
tecnologica.
Sarebbero occorsi ancora vent’anni di ricerche e sperimentazioni
per arrivare ad applicazioni di macchine collaudate per la
lavorazione del legno.
Ai primi del Novecento viene inventato un nuovo materiale derivato
dal legno: il compensato, un prodotto fabbricato con alcuni strati
di fogliato incollati tra di loro in modo incrociato.
In futuro avrà grande successo, ma adesso non ha grande fortuna:
il mercato mobiliero stenta ad assorbire un prodotto che non sia
tutto di legno massiccio. La prima fabbrica italiana, la società
italo-lettone “Luterna”, fondata a Lissone da Carlo De Capitani da
Vimercate, avrà vita stentata. Nel 1910, comunque, apre un’altra
fabbrica di compensati nel rione “Borgo”: è la “Sapoli”.
Sono, però, maturi i tempi per la lavorazione meccanica del legno.
In città vengono installate le prime macchine per la lavorazione
pesante del legno, come i refendini per ridurre i tronchi in
tavole. Vengono installate le prime seghe a nastro, le pialle, i
torni, a disposizione degli artigiani, i quali, dietro compenso,
li possono utilizzare per la loro produzione. Siamo all’inizio di
una nuova tappa: l’artigiano lissonese, e non solo, comincia a
rivoluzionare la tecnica della costruzione del mobile.
I mobilieri lissonesi, che già hanno arredato il Vaticano, il
Palazzo Reale di Alberto I di Monaco, il Casinò di Montecarlo, ora
vengono chiamati ad arredare alberghi famosi in Italia ed Europa
in tutte le città e centri di richiamo turistico, dove l’industria
alberghiera conosce un primo grande sviluppo. Alcuni esempi di
alberghi arredati: Quirinale, Milano, Continentale, Excelsior e
Atlantico di Roma; Excelsior Gallia, Touring, Americano di Milano;
Vesuvio, de Londres, Terminus di Napoli; Eden Paradiso di Capri,
Delle Rose di Rodi. Lo stile che domina anche nell’arredamento, è
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naturalmente il Liberty. Una curiosità: D’Annunzio, che nel 1910
abita alla Capannuccia, una villa sopra Firenze, fa scuola anche
per l’arredamento. I suoi numerosi amici, desiderosi di imitarlo,
arrivano a Lissone alla ricerca di botteghe d’arte capaci di
assecondare il gusto del poeta.
Altra nota: la realizzazione della linea tranviaria Monza-Cantù
favorisce ancor di più l’accesso a Lissone di visitatori e
compratori oltre che della manodopera per l’attività economica
locale.
In questo periodo cominciano a sorgere industrie sussidiarie,
connesse con il mobile (lavorazione dei marmi, delle serrature,
del vetro) o parallele (mobili in ferro): un altro capitolo da
approfondire.
La continua trasformazione economica, ed anche sociale, sta alla
base di uno sviluppo rapido anche dal punto di vista urbanistico.
L’area edificata dal comune è quintuplicata, mentre i vasti
caseggiati con cortile (tipici
dell’economia agricola) lasciano
sempre più il posto a case a due piani: al piano terra la bottega
dell’artigiano, al piano sopra l’abitazione della famiglia.
Dal 1911, però, comincia a finire un’era, anche per Lissone. Un
dato: la guerra libica fa cessare l’esportazione lissonese dei
mobili in Medio Oriente.
E poi siamo alla Grande Guerra. Anche il potenziale produttivo
cittadino si mette al servizio dell’economia di guerra: si arriva
a costruire cassette per munizioni.
IL PRIMO DOPOGUERRA: SI RIPRENDE.
Al termine della guerra i mobilieri lissonesi, nonostante la grave
crisi successiva, riprendono a tessere le fila del lavoro.
Bisogna, però, cominciare dall’industria del legno.
Nel 1920 viene realizzata proprio a Lissone l’INCISA, la più
grande fabbrica di compensati (che cominciano ad avere presa nel
settore del mobile) e di tranciati d’Italia. Essa arriverà a dare
lavoro a oltre 1.000 dipendenti e a trasformare giornalmente 1750
quintali di tronchi in 70 metri cubi di compensato.
Negli anni Venti hanno inizio le spedizioni dei Lissonesi nelle
foreste di tutto il mondo, alla ricerca di legnami pregiati e di
quelli non ancora utilizzati nelle lavorazioni per arredamento.
Alcuni esempi di mete alla ricerca di materia prima di ottima
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qualità e a basso costo: Africa Equatoriale, Brasile, Venezuela,
India, Afghanistan, Russia.
Frattanto lo stile Liberty è al tramonto; anche se a fatica, si fa
strada, anche nell’arredamento, quello razionale. A Lissone, però,
ci si rifà allo stile dei neoclassici lombardi, tenuto a battesimo
da un folto gruppo di architetti milanesi.
In città si è ripreso a lavorare intensamente: le Nazioni alleate
della prima guerra mondiale diventano i migliori clienti della
produzione
locale
e
si
riapre
una
cospicua
corrente
di
esportazione. E si aprono mercati come quelli dell’America Latina
a del Sud Africa, assai reattivi nei confronti di quelle
produzioni, appunto di stile classico, che Lissone fornisce in
gran quantità. Anche l’arredamento dei grandi alberghi è ripreso
su vasta scala, grazie alla nuova intensificazione del turismo.
Nel 1926 alcune ditte lissonesi intraprendono fiorenti traffici
con Londra, spiazzando la concorrenza belga e francese: in
Inghilterra Lissone invia 120 camere alla settimana!
Altri
due
esempi
di
presenza
dei
Lissonesi
sui
mercati
internazionali:
- viene fatta una fornitura di mobili all’ambasciatore del Libano a
Parigi;
- gli
artigiani
lissonesi
realizzano
una
pregevole
opera
d’ebanisteria per l’organo della Chiesa di S. Vincenzo Ferrieri a
New York.
Per quanto riguarda il mercato interno, la cittadina brianzola
diventa la meta preferita dei gerarchi del regime fascista:
numerose sono le forniture di mobili per le nuove abitazioni dei
capi e per le sedi federali. Fra questi clienti si trovano Arnaldo
Mussolini, fratello del duce, e il duca d’Aosta.
Alla fine degli anni Venti, esempio significativo della creatività
e versatilità dei Lissonesi, Ambrogio Fossati, ebanista e
scultore, futuro progettista della fontana di Piazza Libertà,
disegna arredi per il “Rex”, il più grande transatlantico italiano
dell’epoca, e per il suo gemello “Conte di Savoia”. A Lissone, nel
frattempo, viene inaugurata la nuova grande chiesa prepositurale
dedicata ai S.S. Apostoli Pietro e Paolo. E’ il 1926: i lavori
sono durati più di due decenni, essendo iniziati nel 1904. E per
gli arredi sono chiamati gli artigiani lissonesi, che offrono il
loro grande contributo di creatività e originalità.
Nel 1925 ha chiuso la Società di Mutuo Soccorso, ma ciò non
significa la fine della Scuola Serale di Disegno ed Intaglio,
perché essa viene prelevata dall’Amministrazione Comunale. Alla
guida di essa,come Presidente, c’é Giuseppe Meroni, il quale
penserà anche a una scuola professionale diurna: questa idea verrà
definitivamente chiusa dall’inizio della seconda guerra mondiale.
Il suo nome, però, lo ritroveremo più avanti.
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Il primo censimento industriale italiano del 1927 permette di fare
una fotografia anche sulle attività economiche lissonesi. Nel
paese brianzolo su 4.800 posti di lavoro (34% della popolazione
esistente), 2.638 sono quelli collegati alla produzione del mobile
(il 55%). Le imprese mobiliere hanno mediamente 4 addetti
ciascuna: sono chiaramente, in massima parte, aziende artigianali.
Dal 1925 al 1935 si inizia e generalizza il fenomeno dello
sganciamento della bottega artigiana dalle grandi case commerciali
lissonesi, anche attraverso l’opera della Cooperativa di lavoro e
produzione fra falegnami della Brianza, creata in Lissone da
Alessandro Pennati, esponente del movimento cooperativo cattolico
brianzolo e uomo politico. Forse l’arresto dell’esportazione nel
1931, dovuto in gran parte ai dazi protettivi imposti dai Paesi
acquirenti, e la conseguente minor richiesta spinge l’artigianato
a procurarsi da solo lo sbocco alla vendita dei suoi mobili. A
Lissone, così come in tutta Italia, il mercato passa gradatamente
dalle mani delle grosse ditte commerciali, che l’hanno tenuto per
decenni, all’iniziativa diretta dell’artigianato.
Si moltiplicano nelle città, come nel resto della Brianza, i
laboratori specializzati nella piccola lavorazione del legno
presso i quali, spesso a fare lunghe file di attesa, si recano i
garzoni delle botteghe per far segare, piallare e sagomare le
tavole di legno.
Ecco, la grave crisi economica mondiale non può non avere
un’influenza negativa anche su Lissone. Per esempio si bloccano le
esportazioni di mobili in Inghilterra. Ma poi si riprende. Alla
triennale di Milano del 1933 Lissone è presente con un buon numero
di mobili.
Nel 1934 sorge
in Città la
“Famiglia Artistica”, libera
associazione con scopi culturali, che svolgerà la sua attività
coordinando mostre d’arte, concorsi, concerti. Nel 1936 organizza,
in
collaborazione
con
l’Associazione
Artigiani,
la
“Prima
Settimana Lissonese” per far conoscere la produzione local. A
fianco di una mostra del Mobile, nucleo centrale dell’iniziativa,
sono
allestiti
momenti
di
carattere
folcloristico
(fuochi
artificiali, convegni di corali) e culturali (mostre d’arte). Il
grande successo di questa miscela tra cultura, arte, interesse
economico e divertimento popolare, fa sì che l’iniziativa venga
ripetuta ogni anno fino alla guerra. La manifestazione avrà un
futuro ancora più luminoso nel dopoguerra.
In questo periodo molti artigiani lissonesi si mettono al servizio
dei
“designer”,
come
li
chiameremmo
oggi,
più
affermati.
Ordinazioni arrivano anche da ospedali, chiese, biblioteche.
Un segnale della potenza
dall’industria del legno.
economica
13
mobiliera
lissonese
arriva
Alla vigilia della seconda guerra mondiale Lissone dispone di 22
trance, 16 sfogliatrici, 18 presse e 82 gru. Per rifornire
l’economia mobiliera locale di legname, sufficiente per una
giornata, occorrono venti vagoni ferroviari. All’Incisa si è
affiancata l’Alecta-Feltrinelli: sono le due più importanti
industrie italiane di tranciati e compensati.
Poi arriva il buio per più di cinque anni.
DALLE BOTTEGHE ALLE MOSTRE. DALLE
LISSONESI ALLE AFFINITA’ ELETTIVE
SETTIMANE
Alla fine della seconda guerra mondiale, per effetto delle
attrezzature meccaniche potenziate in base alle esigenze della
produzione bellica, Lissone si trova relativamente già preparata
ad affrontare la nuova espansione della domanda di una vastissima
clientela commerciale e privata che a causa della guerra aveva
dovuto
necessariamente
limitare
gli
acquisti.
Lissone
fa
naturalmente parte integrante del moto di ricostruzione iniziato
in tutta la nazione, ponendo così le fondamenta allo sviluppo
economico e sociale dei decenni seguenti.
Al
censimento
del
1951
la
popolazione
lissonese
supera
abbondantemente i 18.000 abitanti e raggiunge in un decennio i
25.000. Effetto anche dell’immigrazione che comincia a diventare
un fatto piuttosto rilevante. Dal ‘55 al ‘59 arriva a Lissone una
media di oltre 300 immigrati all’anno, per ora per lo più delle
regioni più vicine come il Veneto. Ciò che attira intere famiglie
è la notevole offerta di lavoro da parte di tutta la struttura
economica lissonese. La parte del padrone la fa naturalmente
l’industria del legno e del mobile, anche se altri settori, come
quelli meccanico, tessile, alimentare, mostrano una capacità di
espansione superiore.
Lo
sviluppo
del
settore
mobiliero
mostra
caratteristiche
peculiari, anche se pare un po’ disordinato. Dalle vecchie
botteghe artigianali si staccano congiunti ed operai che danno
origine a un’altra unità produttiva. Alcuni studiosi hanno
accusato quello che hanno chiamato processo di “discriminazione
produttiva” di aver dato origine ad aziende piuttosto modeste, con
scarsi capitali, a basso reddito, poiché l’organizzazione e le
attrezzature sono approssimative. Altri hanno preferito parlare di
“scomposizione
di
vecchie
botteghe
artigianali
a
tipo
paternalistico” e hanno indicato che nella seconda metà degli anni
Cinquanta “la maggior parte delle ditte artigiane… è dotatissima
di attrezzature moderne e produce con criteri industriali anche
per quanto riguarda la ricerca del basso costo”.
14
A disposizione dei vecchi e nuovi artigiani c’è una ricca
biblioteca del settore, voluta nel lontano 1941 dalla Scuola
Professionale attraverso il presidente Meroni ed il direttore
Massimo Ronzoni. La biblioteca offre volumi e riviste usate per
l’insegnamento nella scuola stessa e si è arricchita nel tempo con
altri libri e disegni. Molto frequentata fino alla metà degli anni
Sessanta, verrà donata all’Amministrazione Comunale e costituisce
oggi, in Piazza IV Novembre, la Civica Biblioteca del Mobile e
dell’Arredamento.
Nel 1957 si valuta a circa 15 miliardi di lire il volume
complessivo annuo d’affari: quasi un terzo del mercato nazionale
mobiliero, il cui valore finanziario è stimato in circa 50
miliardi.
D’altra parte si è cercato di coordinare e razionalizzare questa
crescita.
Già nel 1949 è stata creata in Via Matteotti, nei pressi della
Stazione, l’E.P.A.M. – Esposizione Permanente Artigiana del Mobile
– che raggruppa 200 aziende artigiane con un’esposizione di 100
ambienti.
Nel 1997 viene inaugurata, con i suoi 250 ambienti, la Selettiva
Artigiana del Mobile e dell’Arredamento; i suoi locali oggi sono
la sede del Comune.
Nel 1958 nasce, sulla nuova superstrada Vallassina, il Centro del
Mobile, meglio conosciuto come Palazzo del Mobile: il biglietto
d’ingresso, con 400 ambienti su cinque piani, a quella che ormai
può considerarsi la capitale del mobile. Il Centro del Mobile è
stato voluto dall’Ente Comunale per il Potenziamento del Mercato
Mobiliero
(poi
Ente
del
Mobile)
che
è
stato
creato
dall’Amministrazione Comunale nel 1951 e che ha iniziato la sua
attività nel 1952. L’ente ha dato vita ad un giornale denominato
“Attività” che, oltre alla propaganda, “si prefigge anche la
elevazione del livello tecnico-mobiliero del mercato lissonese”.
L’Ente del Mobile, già dal 1952 eredita la “Settimana Lissonese”
dalla Famiglia Artistica. Questa manifestazione sposta sempre più
l’attenzione sui problemi legati alla produzione e all’economia
mobiliera, trascurando gli aspetti più folcloristici del passato.
Le varie edizioni si succederanno fino al 1973 con una grande
partecipazione di designer, produttori e consumatori, delle
associazioni di categoria e delle istituzioni locali, regionali e
nazionali.
Accanto ad esse il Premio di Lissone di pittura. Il Premio di
pittura è stato istituito sempre dalla Famiglia Artistica nel 1946
e dapprima ospita solo artisti italiani, ma dal 1952, quando si
affianca alla ripresa della “Settimana Lissonese”, ripresa dopo
sei anni di stop, diventa internazionale.
15
Fino al 1967, anno in cui chiuderà i battenti, il Premio Lissone
vedrà partecipare i più famosi pittori italiani ed esteri e verrà
accostato, per importanza e prestigio, alla Biennale di Venezia.
La
giuria
che
aggiudica
il
premio
è
internazionale
e
l’Amministrazione Comunale pensa bene di acquistare i quadri dei
vincitori. Questi oggi costituiscono il patrimonio del Museo
d’Arte Contemporanea di Lissone.
Altra miscela fra cultura
dell’altra: un mix vincente.
e
arte
da
una
parte
ed
economia
Nel 1956, tornando agli anni Cinquanta, apre i battenti l’Istituto
Professionale di Stato per l’Industria e l’Artigianato in Via
Alfieri. Esso sostituisce la vecchia Scuola Professionale di
Disegno e Intaglio e viene intitolato a Giuseppe Meroni, che di
questa era stato il mitico presidente dagli anni Venti agli anni
Quaranta. Nato come succursale dell’I.P.S. “Cesare Correnti” di
Milano, diverrà in seguito autonomo e formerà migliaia di
mobilieri e arredatori, lissonesi e non.
Nel frattempo Lissone deve reggere l’urto della crisi delle
fabbriche di compensato che, di fronte alla concorrenza esterna,
entrano in crisi. Alla fine del decennio, alcune delle più grosse
ditte del settore (tra cui la storica I.N.C.I.S.A.) sono costrette
a chiudere o a ridurre fortemente la propria attività, provocando
la disoccupazione di oltre 500 lavoratori.
Negli anni Sessanta e Settanta l’evolversi, anche convulso, del
settore mobiliero, in conseguenza del boom economico italiano dei
primi anni Sessanta e soprattutto del successivo ristagno, portano
ad una vera e propria rivoluzione economica e sociale della
cittadina.
Tra gli aspetti essenziali di questa rivoluzione:
1. A causa della crisi della seconda parte degli anni Sessanta
molti piccoli artigiani abbandonano il proprio lavoro, in fuga
verso i salari di industrie come l’Autobianchi di Desio. In un
primo momento il lavoratore che ha imboccato questa strada
continua a lasciar aperta la propria bottega, ma in seguito è
costretto a chiuderla per l’inevitabile impossibilità di lavorare
su due fronti: l’artigiano si è trasformato in operaio.
2. Altri artigiani cercano spazi più confacenti alla loro
attività, per cui si consolida un processo, già in atto negli anni
Cinquanta, che vede i nostri occupare zone periferiche rispetto al
centro, con il caratteristico edificio che presenta al pianterreno
la bottega e al primo piano la residenza.
3. Le stesse aree periferiche sono occupate da piccole e medie
industrie che nascono nel periodo. Esse presentano una tipologia
16
edilizia diversa: un vasto capannone rettangolare a scopo di
lavoro, deposito ed esposizione con intesta un fabbricato con al
piano terra gli uffici e al primo piano l’abitazione del
proprietario.
Ma è soprattutto la Vallassina che produce notevoli cambiamenti.
Questa grande via di comunicazione
è un chiaro invito a mettere
in mostra la produzione mobiliera, e non solo quella lissonese.
In questi anni si sono fatte strada sul mercato marchi mobilieri
conosciuti a livello nazionale e internazionale. Molte famiglie
artigiane scelgono la strada di aprire mostre sul lato orientale
dell’arteria. In esse presentano ai possibili clienti la propria
produzione (fin quando esisterà), ma anche, e con il tempo
soprattutto, mobili non lissonesi, per cui si andrà a pescare, per
esempio, dal Veneto o dalle Marche.
Perché tutto ciò? Esprimo un mio parere personale. Gli artigiani
mobilieri lissonesi hanno mandato a studiare i loro figli per
allontanarli
dalle
fatiche
che
hanno
dovuto
essi
stessi
affrontare. Ora si trovano senza quegli eredi che possono
continuare l’attività di famiglia. Non per tutti è così: alcuni
ampliano la propria ditta, creando le piccole industrie di cui ho
parlato. Ma per tanti è così come ho detto prima, per cui è
giocoforza trasformarsi in commercianti.
Nascono così le esposizioni sulla Vallassina: la “vetrina” di
Lissone, un unico imponente negozio per il maggior mercato di
consumo, Milano.
Le mostre offrono ampie vetrate, nelle quali dalla strada si
possono vedere i mobili esposti; l’abitazione con gli uffici è a
fianco o sopra. Una nuova tipologia edilizia, dopo il cortile
agricolo, le case artigiane a due piani e le fabbriche
rettangolari. Questa nuova attività e questa nuova tipologia
edilizia toccherà anche Via Carducci, strada di entrata a Lissone
dalla Vallassina, e Viale della Repubblica, che collega Lissone a
Monza.
Negli anni Ottanta Lissone offre ai possibili clienti oltre
500.000 metri quadrati di esposizione di mobili: dai salotti ai
mobili per bagno, alle camere da letto alle cucine e ai mobili per
ufficio.
Nel 1985 l’Amministrazione Comunale organizza, attraverso l’Ente
Comunale del Mobile ed in collaborazione con la Triennale di
Milano, “Le Affinità Elettive”.
Ventun progettisti (architetti-designer) di fama internazionale
vengono chiamati a sviluppare ricerche e proposte sperimentali
d’arredo che poi sono consegnate a industrie e artigiani
lissonesi per la loro realizzazione. I prototipi vengono esposti,
tra febbraio e marzo, presso il Palazzo dell’arte di Milano
nell’ambito della XVII Triennale. La mostra segna una svolta nella
17
cultura del design, ed è anche il solito connubio tra cultura ed
economia che per tanto tempo ha segnato la storia mobiliera
Lissonese.
18
Mi fermo qui. Non è facile presentare gli anni seguenti
dell’evoluzione mobiliera lissonese. Gli anni a venire non sono
più, per me, storia, si corre il rischio di cadere nella cronaca e
di lasciarsi prendere oltremodo dalle passioni di parte.
Non vedo, d’altra parte, a disposizione studi precisi dal punto
di vista specifico sulla storia del mobile a Lissone. Una visione
storica degli eventi e degli accadimenti ha bisogno che passi un
certo lasso di tempo, perché si possa capire bene e fino in fondo
ciò che è accaduto nel passato. Sono consapevole che tutto non ho
detto, basti pensare al ruolo che hanno giocato nel secolo
precedente le associazioni di categoria, come quelle degli
artigiani e dei commercianti del mobile. Qualcuno nel futuro potrà
prendersi la briga di fare, anche su ciò, una ulteriore ricerca
storica.
Se un giudizio posso trarre dalle vicende che ho ripercorso
assieme a voi, posso dire, con convinzione, brevemente questo:
la storia del mobile a Lissone è stata costruita da uomini
coraggiosi. Nelle varie epoche hanno saputo, anche rischiando,
scegliere strade diverse ed innovative: a partire dai pochi,
all’inizio, che scelsero l’attività mobiliera al posto di quella
tessile ed, in seguito, del tradizionale lavoro agricolo, per
passare a quei mobilieri che decisero di portare i loro prodotti,
su carretti, a Milano; a quelli che inventarono la Scuola
Professionale e
poi l’Istituto del mobile;
a coloro che
parteciparono a mostre e fiere internazionali per strappare nuovi
mercati alla concorrenza; a chi impiantò e sviluppò l’industria
del legno; a quelli che inventarono le Settimane Lissonesi ed il
Premio Lissone di Pittura, e così via.
Certo furono spesso favoriti, o spinti, dalle circostanze
storiche, ma dovettero fare soprattutto appello appunto al proprio
coraggio, oltre che al proprio ingegno, alla propria creatività e
anche alla capacita di prevedere il futuro.
E poi il Lissonese, tradizionalmente individualista, come credo
tutti i Brianzoli, nei momenti decisivi ha saputo mettersi assieme
agli altri: un esempio sono le mostre artigiane e l’Ente del
Mobile dell’ultimo dopoguerra.
Noi, come comunità,
siamo quello che nel passato abbiamo
costruito, non possiamo costruire bene il futuro senza sapere chi
siamo e da dove veniamo.
In questo momento di grave crisi economica e sociale, le lezioni
che ci arrivano dai nostri avi, i valori profondi su cui questi
hanno incanalato la loro attività e anche la loro vita possono
essere un contributo decisivo per risollevare i destini della
nostra terra.
Renzo Perego
19
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SECOLO
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STORIA
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Comune Lissone
10.Antonio Vismara
MEMORIE E APPUNTI DI
STORIA LISSONESE
11.Don Ennio Bernasconi LISSONUM (riedizione) Comune Lissone
12.Alberto Crespi
AMBROGIO
Comune Lissone
FOSSATI,EBANISTA
E
SCULTORE (1887-1947)
13.Eugenio Mariani
L’ANTICO
COMUNE
DI
CASSINE ALIPRANDI
14.Renzo Perego
1904-2004.VIRTUS
Polisportiva
LISSONE.CENTO ANNI DI Virtus
SPORT
15.Umberto Mariani
LISSONEISMI
16.A cura delle classi A
SPASSO
PER
LA Comune Lissone
II e III A della Scuola VECCHIA LISSONE
Secondaria di 1° grado
dell’Istituto
Comprensivo De Amicis
Lissone
17.Silvano Lissoni
Appunti sulla storia
di Lissone
18.Silvani Lissoni
Articoli sulla storia
di Lissone
19.Documenti del sito Internet del Comune di Lissone
20.Documenti dal sito Internet dell’A.N.P.I. di Lissone
21.Altra documentazione non databile
20
Lissone 1953
Lissone 1955
Lissone 1957
Lissone 1973
Lissone 1975
Lissone 1976
Lissone 1978
Milano 1980
Lissone 1984
Lissone 1984
Lissone 1987
Lissone 1990
Milano 1999
Lissone 2005
Lissone 2005
Lissone 2009
Lissone 2014