TESI - Il bambino e la morte

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TESI - Il bambino e la morte
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BOLOGNA
Corso di alta formazione
“L’assistenza psicologica di base nelle situazioni di lutto
naturale e traumatico”
IL BAMBINO E LA MORTE
Alessia Baccari
PREMESSA
Molti di noi hanno una grande difficoltà a parlare della morte e soprattutto a
parlarne con i bambini, in quanto questo argomento può sembrare troppo duro e
gravoso da affrontare per loro.
E’ come se la paura della morte portasse l’adulto a comportarsi in modo da
eliminare ogni fonte d’angoscia, evitando ogni discorso diretto e utilizzando
invece simboli, allusioni, metafore (ad es. al posto di “morto”si usano spesso
termini come "perduto", "scomparso", "partito").
Questa paura si fa sentire quanto più la persona morta ci è vicina affettivamente,
o quanto più il pericolo di morte è probabilmente vicino. Al contrario non si
teme di assistere a film con uccisioni anche violente o ascoltare al telegiornale
fatti catastrofici in cui migliaia di persone sono morte. La morte c’è, ne
parliamo, ma solo se ci sta ad una certa distanza "effettiva" e "affettiva". E’
come se l’uomo volesse mantenere una certa distanza dalla morte, sia dal punto
di vista concreto che psicologico allo scopo di non venire "contaminato " dalla
sua vicinanza o dalle riflessioni su di essa.1
Spesso si pensa così dolorosa questa spiacevole realtà che escludiamo i bambini
da tutti, o quasi, gli eventi connessi alla morte e li informiamo poco o affatto di
quello che sta accadendo. In realtà priviamo loro e noi stessi di una delle grandi
opportunità che la vita ci offre per instaurare legami intensi: la condivisione di
un'esperienza dolorosa e triste profondamente sentita.
Non bisognerebbe aspettare che si verifichi una tragedia personale per iniziare a
educare i bambini all'elemento che tutti accomuna: la mortalità. Sarebbe molto
meglio prepararli in anticipo alla realtà della morte, e le occasioni per affrontare
l’argomento certo non mancano nella vita quotidiana.. Infatti si può aiutare a
comprendere davvero la morte sia se qualcuno è morto da poco, sia se al
momento tale evento è solo una lontana ma dolorosa possibilità; anzi sarebbe
1
Marin M.L (2002), Il tabù della morte e le difficoltà degli insegnanti nell’affrontare questo tema in classe, n.11 e
n.13 Rivista Scuola Italiana Moderna (Editrice La Scuola)
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molto meglio sfruttare le opportunità che consentono di educare alla morte i
bambini senza l'impatto emotivo che la morte di una persona cara potrebbe
causare.
Gli adulti in genere tendono a sottovalutare le conoscenze che il bambino ha
relativamente alla problematica della morte. L’80% dei genitori intervistati
afferma che il bambino di età inferiore a cinque anni non pensa mai alla morte e
circa il 50% crede che anche fino ai 9-10 anni egli ne abbia una comprensione
molto ridotta. I genitori più giovani (età compresa tra i 20 e i 29 anni) o quelli
con istruzione superiore sembrano valutare più seriamente le capacità di
comprensione del bambino. Probabilmente si può pensare che il pregiudizio
dell’adulto, che pensa il bambino incapace di capire il concetto di morte, sia un
modo dell’adulto stesso per non affrontare il problema, o anche per non vedere
come stanno veramente le cose 2.
Come abbiamo detto, l’adulto pensa che il bambino sia troppo piccolo per capire
il termine “morte” e se proprio ne deve parlare preferisce usare altri termini tra i
quali “addormentarsi”, tentativi di addolcire la gravità della comunicazione.
Seguendo la logica il nonno addormentato si potrà svegliare. Il nonno invece
non si sveglia più e non ricompare. Quando si parla ai bambini di qualcuno che è
morto si devono usare le parole esatte, altrimenti si creano malintesi, il bambino
si confonde e può pensare che il sonno corrisponda alla perdita della persona e
quindi alla morte. Alcune volte i figli stessi in accordo con l’atteggiamento
protettivo dei genitori non fanno domande risparmiando così ai genitori il duro
compito di parlare e così quando una persona cara muore diventa ancor più
difficoltoso comunicare la morte perché bisogna parlare di qualcosa che non si è
mai nominato.
Così i tentativi di comunicazione del bambino sul timore della morte vengono
riassorbiti e mediati dai discorsi dell’adulto e le parole vanno perdute nelle zone
d’ombra che sono le paure dell’adulto stesso.
2
Vianello R., M. L. Marin (1985), La comprensione della morte nel bambino. Giunti Barbera, Firenze
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Ansia, paura di addormentarsi da solo, incubi notturni ne sono la logica
conseguenza.
Fortunatamente le cose negli ultimi anni stanno cominciando a cambiare,
sembra diminuire la tendenza a pensare che la morte sia un vero e proprio tabù,
proprio come un tempo è accaduto alla sessualità.
In effetti bisognerebbe sempre tenere presente che la morte è un aspetto della
vita che riguarda tutti, e così come tocca a noi adulti confrontarci
inevitabilmente con essa, allo stesso modo capita ai bambini, anche se non
vorremmo, di essere esposti alle perdite, al lutto e al dolore.
LA COMPRENSIONE DELLA MORTE NEL BAMBINO
Esistono alcuni interessanti studi che trattano i diversi aspetti del tema della
morte dal punto di vista evolutivo. Questi esaminano l’insegnamento ricevuto
dal bambino sul concetto di morte nell’ambito della cultura occidentale nei
secoli recenti; l’angoscia e la tensione collegate nei bambini alla concezione
della morte; le connessioni tra la morte e il tempo nel bambino e nell’adulto;
come il concetto di mortalità si sia sviluppato e trasformato e quale funzione
esso abbia avuto nella storia del progresso; la relazione tra il concetto di morte e
l’universalità della legge naturale. Tra i lavori più autorevoli sulla comprensione
della morte nel bambino ricordiamo: Nagy, 1953; Anthony, 1971; Childers e
Wimmer; 1971; Furman 1974; Raimbault, 1978; Koocher, 1981; Vianello,
Marin, 1985.3
La Nagy4, sulla base di ricerche sperimentali, distingue alcuni stadi
nell’evoluzione infantile del concetto di morte. Secondo questa autrice, prima
dei 5 anni la morte è concepita come un fatto reversibile ed è paragonata al
sonno, ad una partenza, a un viaggio. A queste età i bambini penserebbero che
chi è morto può ancora pensare e sentire.
3
4
Ibidem
Nagy M. (1953), Children’s birth theories. Journal of Genetic Psychology
4
Nonostante ciò il bambino può provare particolare angoscia, vedendo nella
morte soprattutto l’aspetto della separazione. Per quanto riguarda il periodo che
va dai 5 ai 9 anni l’aspetto caratterizzante sarebbe la personificazione della
morte: la morte viene vista come "scheletro mietitore" ed è concepita
contemporaneamente come inevitabile, anche se tipica della vecchiaia. Il
bambino tende a rappresentare il morto come in un altro stato di vita, copia più o
meno sbiadita della nostra. Solo dopo i 9 anni, secondo Nagy, la morte è
concepita come irreversibile e universale.
Secondo Anthony5 il concetto di morte nel bambino inizia a formarsi già verso i
3-4 anni. Prima di tale età la comprensione della parola morte è molto limitata e
indeterminata. Anche a 5-6 anni i concetti infantili di morte e di vita sono spesso
erronei e sempre incompleti (morto può voler dire addormentato, andato via, che
sta per nascere, che è in ospedale ecc.). Solo a 7-8 anni, secondo Anthony, il
bambino perviene ad un concetto di morte sufficientemente elaborato ed
abbastanza corretto. Inizia a capire ed accettare che la morte è comune a tutta
l’umanità ed è inevitabile. L’essere morto significa non essere vivo. Il bambino
comincia a preoccuparsi delle concomitanti circostanze personali e culturali
della morte. Anthony critica inoltre tutti quegli studiosi che hanno sottovalutato
la paura che può provare il bambino di fronte al problema della morte e sostiene
che a otto anni il bambino entra nello stadio della sfida in cui escogita un misto
di realtà e di fantasia per fronteggiare la sua paura e per sfidare la morte. Il
bambino, paradossalmente, previene il panico e padroneggia l’angoscia vivendo
terrori immaginari o provocati, andando nei pericoli o assistendo a film paurosi.
Verso i 12 –13 anni il ragazzo si prende gioco della morte e talvolta compie
azioni e gesti di sfida per deriderla. Dietro a questo atteggiamento si può
nascondere, dice Anthony, un elemento di difesa contro l’angoscia che può
5
Anthony S. (1971),The discovery of death in childhood and after. Allen Lane Penguin. Press, London (tr. It.
La scoperta della morte nell’infanzia. Armando, Roma, 1973)
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durare anche molti anni, o per tutta la vita, tanto che per alcuni ha poco senso la
vita se non rischiando continuamente di perderla.
Per Anthony il concetto di morte risulta quindi possibile solo quando il bambino
ha superato la mentalità magica, ha acquisito i più elementari concetti temporali
ed è in grado di spiegare i fenomeni naturali facendo appello a spiegazioni
causali di tipo meccanicistico, rinunciando perciò alle spiegazioni inappropriate
di tipo finalistico (sta piovendo perché le nuvole vogliono dar da bere ai fiori; la
formica è morta perché era cattiva) o motivazionale (il gallo canta perché vuole
svegliare il sole; il coniglio è morto perché voleva dormire tanto)6. A sette anni
il bambino dal punto di vista cognitivo riconosce due cause di morte, una esterna
per aggressione e una per vecchiaia. Dal punto di vista affettivo la morte è
qualche cosa che arreca dolore e paura. Dolore perché la morte separa il figlio
dal genitore e paura perché la morte è vista come conseguenza della
aggressività.
Il bambino di fronte alle paure e alle angosce di morte desidera fortemente di
non morire e si convince che lui non morirà. Per aiutare il bambino a superare
l’angoscia di una sua possibile morte, il genitore a volte è portato a parlare della
vecchiaia come causa di morte, ma secondo Anthony il bambino potrebbe
dedurre che i bambini in quanto tali non muoiono e pertanto potrebbero non
voler crescere. La previsione della propria immortalità ha quindi la funzione
specifica di far diminuire l’angoscia. Questa negazione della propria mortalità è
tuttavia, secondo Anthony, un passaggio positivo e necessario, che per i bambini
di sette anni, facilita la successiva accettazione cosciente della inevitabilità della
propria morte. Solo quando il bambino si rende conto della generalità della
morte abbandona il senso di onnipotenza e anche l’eventuale senso di colpa
sorto in lui in caso di morte di un genitore o di un fratello.
6
Marin M.L (2002), Il tabù della morte e le difficoltà degli insegnanti nell’affrontare questo tema in classe, n.11 e
n.13 Rivista Scuola Italiana Moderna (Editrice La Scuola)
6
Nell’opera della Furman, "Muore il genitore di un bambino"7 si possono trovare
interessanti ipotesi di taglio psicoanalitico. Si tratta di uno studio basato
sull’analisi di ventitré casi di bambini che erano rimasti orfani per la morte di un
genitore. L’autrice sottolinea che normalmente i bambini possono comprendere
fin dai due anni la differenza tra la morte e una separazione momentanea, e che è
la comprensione della morte in generale che aiuta in seguito a comprendere il
lutto: è molto più facile per un bambino comprendere la realtà della morte
quando inizialmente non è associata con la perdita di una persona amata.
Viceversa è più facile per un bambino capire la morte di una persona amata
quando ha già acquisito il concetto di morte.
Gli studi che vogliono definire l’evoluzione del concetto di morte nel bambino
non sono però concordi tra loro nel definire l’età di passaggio tra un modo di
comprendere primitivo ed uno più evoluto. Basti pensare che, mentre per
Furman (1974) la comprensione dell’irreversibilità della morte avviene di norma
verso i due anni, viceversa secondo un paradigma piagetiano, sarebbe possibile
solo con un pensiero operatorio reversibile e quindi ad una età di 6-7 anni. Per
Anthony (1971) la comprensione della morte nel bambino può avvenire dopo i 7
anni. Ed infine Nagy (1951) sostiene che l’irreversibilità della morte è compresa
solo verso i 9 anni.
Vianello e Marin8 (1985), utilizzando metodologie specifiche, come
l’osservazione partecipante o il colloquio clinico piagetiano su un vasto e
articolato campione, hanno riesaminato il tema con l’obiettivo di concentrare
l’attenzione su tre aspetti fondamentali: la comprensione dell’universalità della
morte, della sua irreversibilità, e il suo consistere in una totale cessazione delle
funzioni vitali. Essi avevano anche lo scopo di dare al lettore una visione il più
possibile sistematica e organica di come il bambino, o l’educatore nei confronti
del bambino, affronta il tema della morte. Vianello e Marin (1985) sostengono
7
Furman E. (1974) (a cura di), A Child’s Parent Dies. Studies in Child-hood Bereavement, Yale University, New
Haven e London (Tr. It. Muore il genitore di un bambino. Il Pensiero Scientifico, Roma, 1976).
8
Vianello R., M. L. Marin (1985), La comprensione della morte nel bambino. Giunti Barbera, Firenze
7
che il bambino comprende che la morte è irreversibile, universale e comportante
la cessazione delle funzioni vitali già prima dei 6-7 anni di vita, e che la grande
maggioranza raggiunge effettivamente questa comprensione fra i 4 e i 6 anni di
vita. I bambini in età di scuola materna affrontano con serietà il problema,
formulando ipotesi e risposte sempre più appropriate, affrontando sia il
problema della morte degli animali e degli "altri uomini", sia successivamente
quella delle persone care e di se stessi.
Come si è visto i risultati delle ricerche più citate sono in parte contrastanti; ciò
probabilmente dipende dalla difficoltà di individuare criteri assoluti che
stabiliscano l’avvenuta comprensione della morte da parte del bambino. In
sostanza, noi abbiamo la possibilità di verificare quando il bambino comprende
la morte, ma dobbiamo prima capire però cosa si intende per concetto di morte,
cioè se stiamo adottando una prospettiva di tipo cognitivo o di tipo emotivo
nello scegliere i criteri che ci aiuteranno in tale ricerca. E’ tuttavia è possibile
formulare utili considerazioni.
A partire dai 2-3 anni di età la problematica della morte è già presente nel
bambino ed è anche vissuta in modo complesso e articolato. Di ciò sono
testimonianza le concettualizzazioni, dapprima frammentarie e poi via via
sempre più organiche. Ancor prima del compimento dei tre anni il bambino si
accorge del fenomeno morte, per esempio quando manifesta stupore e
compassione di fronte alla morte di un fiore appassito, di un insetto schiacciato,
o di un animale che non si muove più9.
In qualche modo il bambino incomincia a differenziare la morte dal semplice
dormire o dalla malattia, considerandola sempre più come il “contrario”della
vita e riconoscendone sia alcune cause (incidente, violenza ecc.), sia alcuni
effetti, come l’assenza di movimento.
Le sue riflessioni non si focalizzano solo sulla morte degli animali, ma anche su
quella degli uomini e addirittura dei bambini; tali riflessioni derivano da vari tipi
9
Marin M.L (2002), Il tabù della morte e le difficoltà degli insegnanti nell’affrontare questo tema in classe, n.11 e
n.13 Rivista Scuola Italiana Moderna (Editrice La Scuola)
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di stimoli come la televisione,( attraverso la quale sente parlare di guerra,
stragi..) e le fiabe in cui, in modo più o meno diretto, la problematica della morte
è spesso presente. Il bambino non è passivo di fronte a queste notizie, ma cerca
di
comprenderle
e
di
spiegarle
in
modo
più
o
meno
originale.
A tre anni la capacità del bambino di comprendere la morte progredisce
ulteriormente anche se non ha ancora compreso che la morte è irreversibile,
universale ed implica la cessazione delle funzioni vitali, ma i progressi in questa
direzione sono particolarmente significativi. Egli tende ad esempio a non
considerare più l’ospedale come un luogo in cui i morti possono tornare in vita e
a contrapporre sempre più sistematicamente la morte alla vita; anche la
terminologia si fa più ricca e alcuni bambini parlano, ad esempio, di cimitero o
di tombe. Inoltre il bambino ci rivela di pensare alla morte non solo come un
fenomeno che può accadere solo agli altri, ma anche ai propri genitori e a sé
stesso. In questi casi manifesta la propria ansia di separazione e la propria paura
di essere aggredito.
A quattro e cinque anni la maggioranza dei bambini rivela una sostanziale
comprensione
della
irreversibilità
e
della
universalità
della
morte.
Per quanto riguarda i bambini di età superiore ai cinque anni si può dire che le
concettualizzazioni di irreversibilità, universalità e cessazione delle funzioni
vitali sono completamente acquisite. Inoltre il bambino manifesta a questa età un
atteggiamento sempre più attivo nei confronti della problematica della morte,
che è vissuta come evitabile, in certi casi, per mezzo dell’abilità dell’uomo.
Aumenta anche la consapevolezza degli effetti negativi che la morte provoca nei
sentimenti dei parenti e degli amici ed è direttamente espressa.
La comprensione che un bambino ha della morte evolve per mezzo di una serie
di concetti collegati tra loro, come lo sono le perle di una collana, fino a che
diventano una vera e propria collana, ossia fino a una comprensione coerente
della morte10.
10
Despelder L.A, Strickland A. L (2005) The last dance. L’Incontro con la morte e il morire. CLUEB.
9
L’analisi della morte nel bambino si può fare secondo un altro criterio, quello
che scaturisce dall’impostazione propria del nostro corso di alta formazione
appena terminato: quindi innanzi tutto partire dalla valutazione del grado di
sviluppo cognitivo (biologico), personale, umano del bambino, per poi tener
conto del contesto e dell’impostazione delle relazioni.
L’ESPERIENZA DEL LUTTO NEL BAMBINO
Nella prima infanzia l’esperienza del lutto é un evento importante per lo
strutturarsi della personalità (morte dei nonni, di conoscenti, di esseri viventi in
generale).
Il modo in cui viene vissuto nell’infanzia il processo di lutto è determinante per
l’evoluzione psicologica successiva e contribuisce sensibilmente a definire le
modalità secondo cui questa esperienza viene affrontata nella vita adulta.
Viceversa la chiusura ed il silenzio dell’adulto nei confronti del bambino, sulla
morte di una persona cara o sulla preoccupazione di morte di fronte ad una
malattia inguaribile, lasciano il bambino nella solitudine e nella paura, resa più
dolorosa dalla percezione che l’adulto in quel momento non vuole essere con
lui. Il bambino in questo senso vive la morte come separazione o esclusione,
come un "venir meno" dell’Altro e all’Altro.
In seguito alla scomparsa di un familiare l’essere insieme, da parte di chi è
rimasto, è anche la condizione perché il bambino possa elaborare il lutto.
Accompagnare il bambino nell’elaborazione del lutto richiede che l’adulto abbia
vissuto correttamente il processo da parte sua, affinché il bambino non venga
implicato nelle difficoltà emozionali dell’adulto stesso.
In sostanza bisogna capire attentamente quale sia il nostro atteggiamento, in
modo che la visione della morte del bambino non sia determinata da eventuali
durature inibizioni che ci appartengono. Più comprendiamo noi stessi, più sarà
10
facile evitare che i nostri sentimenti influenzino i bambini; più comprenderemo
noi stessi e la storia del nostro rapporto con la morte, meglio saremo capaci di
aiutare i bambini ad affrontare la realtà della morte.
Occorre assecondare e guidare la curiosità e la ricerca intorno alla morte perché
il processo di lutto possa compiersi (il vedere la persona morta, le esequie, il
parlare di quanto è accaduto: premesse per la presa di coscienza di una perdita
irreparabile). Il bambino ha una viva curiosità per tutto ciò che concerne la
morte; le non risposte dell’adulto bloccano nel bambino ogni ricerca, ogni
interrogazione e le implicazioni psicologiche in una mancata elaborazione del
lutto possono essere molto gravi.
Nella sua elaborazione del lutto il bambino è più fragile, più esposto dell’adulto
e il processo attraverso il quale si instaura la possibilità di riassunzione delle
relazioni oggettuali, viene acquisito, nella prima infanzia, solo in un tempo
prolungato, con un’evoluzione più complessa e difficile rispetto a quella che si
verifica nell’adulto.
Una morte in famiglia provoca nel bambino tutta una serie di cambiamenti che
vanno al di là della scomparsa della persona, ma ciò che nuoce al bambino è
soprattutto il silenzio dell’adulto che, soffrendo lui stesso, non sopporta la
sofferenza del bambino.
COME PARLARE ED EDUCARE IL BAMBINO ALLA MORTE
Tutti i genitori vorrebbero evitare ai figli il dolore del lutto. Quando nella vita di
un bambino si verifica una perdita, si fanno dei tentativi per cercare di
minimizzarne gli effetti; ad esempio, alla morte di un animale può seguire un
rimpiazzo veloce, cosa che ha una scarsa utilità: la morte è un fatto della vita che
non può essere ignorato11.
11
Despelder L.A, Strickland A. L (2005) The last dance. L’Incontro con la morte e il morire. CLUEB.
11
Prendersi cura dei bambini richiede un approccio flessibile;un bambino che non
si senta aiutato o che non sia certo di quello che sta succedendo può arrivare a
fantasie ben peggiori della realtà. Un’atmosfera d’aiuto, nella quale il bambino
si possa sentire libero di esprimere le proprie paure, contribuisce a far calare i
sentimenti di separazione e solitudine.12L’abilità fondamentale di chi dialoga
con il bambino è di mettere il suo piccolo interlocutore a proprio agio, farlo
riflettere e attivare le sue domande spontanee, in sintonia con le strutture mentali
che possiede. Spesso il bambino non ha un’idea già bella e pronta, cioè una
credenza spontanea sulle problematiche del vivere e morire ma deve rifletterci in
quel momento in cui la quotidianità gli presenta il problema. In tal caso solo se
l’adulto lo lascia "protagonista" della situazione fornirà delle affermazioni
veramente aderenti al suo modo di pensare, dettate da una credenza provocata e
coerente con le idee spontanee già formulate su argomenti intimamente collegati
con il tema in questione. Ma, se queste condizioni non vengono rispettate
dall’adulto frettoloso e poco attento, il bambino può reagire lasciandosi
suggestionare dalle parole e dagli atteggiamenti del proprio interlocutore e le sue
affermazioni risulteranno o credenze suggerite o opinioni date a caso o anche
fantasie espresse con il solo scopo di far un piacere o tacitare chi vuole
conoscere la sua opinione.
L’adulto che desidera aiutare il bambino nella problematica della morte può
incorrere in alcuni errori grossolani o per sua incompetenza sullo sviluppo
infantile o per sottovalutazione della complessità del tema.
Un primo pericolo sta nel provocare nel bambino riflessioni non adeguate al
tempo, al luogo o all’età del soggetto. Se l’adulto vuole parlare della morte non
può dimenticare che questo è un tema molto coinvolgente a livello affettivoemotivo, sia per gli adulti che per i bambini, e pertanto è certamente più efficace
ed adeguato un aiuto alla riflessione quando il problema viene posto dal
bambino stesso e non viceversa.
12
Ibidem
12
Un secondo pericolo consiste nel rispondere alle domande del bambino con una
vera e propria "lezione", che forse raggiunge lo scopo di tranquillizzare l’adulto,
ma non quello di dialogare con il bambino rispettando i suoi pensieri e i suoi
ritmi di comprensione. E’ in realtà molto più produttivo un atteggiamento di
attesa, con risposte mirate a rispondere solo a ciò che il bambino ha chiesto,
senza inibire il suo desiderio di dialogare con l’adulto. Il bambino può porre
all’adulto, a distanza di tempo, più o meno le stesse domande. Questo può essere
dovuto sia al non sentirsi soddisfatto con la prima risposta, sia a un bisogno di
ulteriori riflessioni dopo un tempo che lo ha fatto maturare nelle sue concezioni.
Un terzo pericolo in cui l’adulto può incorrere è quello di utilizzare per le
risposte delle argomentazioni di cui non é molto convinto. L’educatore ha il
dovere, dice Sicurelli13 (1982) di rispondere congruentemente rispetto alle
proprie convinzioni, avendo nel contempo l’accortezza di far comprendere al
bambino che la spiegazione riflette un’opinione personale e che altri potrebbero
fornire risposte diverse. Questo tipo di risposta può mantenere una certa
incertezza, dato che tiene vivo il principio di tolleranza verso opinioni diverse,
ma se viene detta da una persona autorevole per il bambino, crea in lui piena
sicurezza e soddisfazione relativamente alle idee appena espresse dal suo
interlocutore.
Quando l’adulto parla al bambino non trasmette solo il contenuto semantico
delle parole, le pause del discorso, la voce più o meno alta, il ritmo nel parlare,
la mimica ecc.. Trasmette tanti altri messaggi non verbali che, più o meno
inconsapevolmente, vengono recepiti dal bambino. Questi messaggi non verbali
risultano talvolta più importanti di tante parole un po’ teoriche e forse nebulose
per il bambino.
In conclusione, l’unica via d’uscita alla paura della morte è la "possibilità di
essere insieme" sia nella percezione della propria morte, sia nel vivere la
dolorosa vicenda della perdita di una persona cara. Ma l’essere insieme
13
Sicurelli R. (1982) Il bambino e la morte; un problema educativo. Neuropsichiatria infantile, 255, 763-772.
13
presuppone il dire o far percepire che "anch’io come te sono preoccupato per il
tuo dolore e per la tua paura; ciò che vivi e provi non ti separa da me"14.
Oggi l’educazione alla morte va molto o nel senso biologico (quindi
“sostituendo” la persona che ci è venuta a mancare) o personale (tentando di far
vivere la persona cara da un’altra parte, ad es. in cielo). Volendo tentare un
approccio educativo dal punto di vista umano, la proposta è quella di far
comprendere al bambino che la persona che è morta è qui con noi, non da vivo e
neanche da morto, ma attraverso le cose che ci ha lasciato, i ricordi, le parole, gli
atti e i modi in comune; vivere per lei potrà manifestarsi attraverso
l’attaccamento ai valori, gli scopi, gli interessi di cui la persona morta era
portatrice e con la quale si condividevano.
14
Marin M.L (2002), Il tabù della morte e le difficoltà degli insegnanti nell’affrontare questo tema in classe, n.11 e
n.13 Rivista Scuola Italiana Moderna (Editrice La Scuola)
14
Bibliografia
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● Campione F. (2006),
Perpatire – un nuovo verbo per un nuovo inizio.
Armando Editore
● Campione F. (1990), Il deserto e la speranza – psicologia e psicoterapia del
lutto. Armando Editore
● Campione F. (2000), Rivivere – L’aiuto psicologico nelle situazioni di crisi.
Clueb
● Despelder L.A, Strickland A. L (2005) The last dance. L’Incontro con la
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● Nagy M. (1953), Children’s birth theories. Journal of Genetic Psycholgy.
● Furman R.A. (1964), Death and Young Child. Some Preliminary
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● Furman E. (1974) (a cura di), A Child’s Parent Dies. Studies in Child-hood
Bereavement, Yale University, New Haven e London (Tr. It. Muore il genitore
di un bambino. Il Pensiero Scientifico, Roma, 1976.
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● Marin M.L (2002), Il tabù della morte e le difficoltà degli insegnanti
nell’affrontare questo tema in classe, n.11 e n.13 Rivista Scuola Italiana
Moderna (Editrice La Scuola)
● Oppenheim D (2004), Dialoghi con i bambini sulla morte. Erickson
● Raimbault G. (1978), Il bambino e la morte. La Nuova Italia, Firenze.
● Robustelli F. e Pagani C. (1983). Il bambino e la morte, Riforma della scuola
● Sicurelli R. (1982) Il bambino e la morte; un problema educativo.
Neuropsichiatria infantile, 255, 763-772.
● Vianello R., M. L. Marin (1985), La comprensione della morte nel bambino.
Giunti Barbera, Firenze
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