2Bi - iis alberti

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2Bi - iis alberti
O – Programma svolto
Modulo 1 Il testo narrativo: ripasso
I Generi*
Dal racconto al romanzo (d’avventura, storico, realistico, d’analisi, postmoderno e di intrattenimento, nero e
giallo, epico…) *
Letture di testi tratti dalle letterature italiana e straniere, seguite da analisi
A. Puškin, La tormenta
M. de Cervantes, Don Chisciotte e i mulini a vento*
J. Swift, I viaggi di Gulliver*
Ch. Dickens, Oliver Twist*
J. Verne, In volo verso la Luna*
F. Quilici, Avventure in fondo al mare;
A. Manzoni, La madre di Cecilia*
G. Tomasi di Lampedusa, Due mondi confronto
H. de Balzac, La pensione Vauquer*
G. Verga, L’addio di ‘Ntoni*
C. Pavese, L’arresto di Cate*
L. Pirandello, Cambio treno! *
U. Eco, Un abile detective del Trecento *
M. Shelley, Il mostro*
Approfondimento: A. Manzoni, I Promessi Sposi. Video di sintesi.
Lettura e analisi dei seguenti capitoli. I, III, IV, VIII, IX, X, XII, XX, XXXIII e XXXIV. *
Lettura domestica di un romanzo a scelta tra alcuni consigliati dalla docente.
Lettura del romanzo Il Sistema periodico di P. Levi.
In occasione della Giornata della Memoria, la classe ha partecipato alla visione del film L’uomo che verrà
introdotto dal prof. Avondo.
In occasione delle celebrazioni del XXV Aprile, gli allievi hanno partecipato a una lezione del prof. Avondo
sul Neorealismo tra Cinema e Letteratura.
Modulo 2 Il testo poetico
Aspetto metrico – strutturale: verso, rima, strofa *
Aspetto retorico – stilistico: le figure retoriche *
Commento/Versione in prosa: parafrasi e commento di testi poetici e di canzoni tratti dalle letterature italiana
e straniere (schede, mappe e appunti forniti dalla docente e di seguito allegati). *
Lettura e analisi dei seguenti componimenti:
G. Caproni, Per lei
Saffo, A me pare uguali agli dei*
Catullo, Basta con la pazzia, sventurato Catullo*
Prévert, I ragazzi che si amano*
Montale, Ho sceso dandoti il braccio almeno un milione di scale *
canzoni a scelta degli allievi.
Modulo 3 Il testo teatrale
I Generi: tragedia, commedia, dramma moderno *
La messa in scena: spazio, scenografia, luci, commento sonoro, costumi *
Autore, regista, attori, pubblico *
Il linguaggio teatrale: canovaccio, copione, didascalie, dialoghi, monologhi,
battute *
Presentazione in PowerPoint alla Lim
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Moliére, Il malato immaginario: contenuti dell’opera; atto I, scena V (schede della docente e materiali
inseriti sul registro elettronico e di seguito allegati) *
Modulo 4 Epica (approfondimento interdisciplinare con Storia)
Epica greco – latina*
La struttura stereotipata*
Figure retoriche ricorrenti*
Linguaggio e registro*
Lettura e analisi del Proemio dell’Eneide, contenuti e caratteristiche del poema * (lavoro svolto in
cooperative learning nel laboratorio di informatica, utilizzando materiali reperiti nel web sotto la guida
della docente)
Modulo 5 Linguistica
La Comunicazione: ripasso
Le funzioni della lingua *
Quantità e qualità dell’informazione, registro e linguaggio settoriale, *
i rapporti di ruolo, il feedback e la riformulazione
Progettazione di un testo: pianificazione/ stesura/ revisione *
Riassunto: caratteristiche/ destinatario/ scopo/ tecniche di riduzione *
Tipologie testuali*
La scrittura del giornale
Articolo di cronaca *
Caratteristiche generali del testo regolativo/espositivo/argomentativo*
La relazione *.
Letture a supporto dello studio del testo argomentativo sono stati letti brani da: B. Stoker, Dracula; C.
Beccaria, Contro la pena di morte.
Modulo 6 Grammatica
Ortografia, sillabazione, punteggiatura (ripasso)
Le parti del discorso (ripasso)
Analisi della frase semplice: soggetto, predicato, complementi *
Analisi della frase complessa: proposizione principale, coordinate, subordinate *
In occasione della Giornata della Memoria, la classe ha partecipato alla visione del film L’uomo che verrà
introdotto dal prof. Avondo.
In occasione delle celebrazioni del XXV Aprile, gli allievi hanno partecipato a una lezione del prof. Avondo
sul Neorealismo tra Cinema e Letteratura..
Sul registro elettronico sono stati inseriti schemi e mappe di sintesi a supporto del metodo di studio.
Gli allievi con il debito dovranno preparare tutti gli argomenti segnati con l'asterisco * e consegnare i
compiti delle vacanze.
Per un eventuale passaggio da altro indirizzo, l’allievo deve aver raggiunto gli obiettivi minimi sotto
indicati relativi ai contenuti essenziali del programma (*).
Obiettivi minimi
Saper produrre testi semplici ma coerenti e senza gravi errori morfosintattici.
Saper esporre oralmente in modo semplice ma coerente e sintatticamente corretto.
Saper leggere in modo chiaro, corretto e scorrevole.
Comprendere brevi testi di generi testuali diversi.
Compiti delle vacanze (vedi allegato)
Pinerolo, 14 giugno 2016
Prof.ssa Maria Vittoria GARAVELLI
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Allegato 1.
Compiti delle vacanze
ITALIANO
Ripassa la Sintassi della frase e la Sintassi del periodo.
Svolgi sul foglio protocollo gli es. n. 32, 33 e 34 a p. 324 e gli es. n. 31, 32 e 33 a p. 407
del manuale di Grammatica.
Scegli un film – possibilmente con tematiche giovanili o storiche-, che ti abbia particolarmente
colpito e completa (su foglio protocollo) la scheda di analisi presente tra i materiali di classe
sul registro elettronico.
Leggi almeno un libro a scelta tra quelli consigliati nell’elenco allegato e Le Novelle di Pirandello,
dono del Banco Popolare di Novara; svolgi quindi l’analisi dei due testi, seguendo la griglia di
analisi del testo narrativo presente sul registro elettronico (materiali di classe).
N. B. I compiti saranno valutati.
BUONE VACANZE!!!
Pinerolo, 8 giugno 2016
Prof.ssa Maria Vittoria GARAVELLI
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Allegato 2.
Schede percorso di Poesia
e Teatro
Classe 2BIti
Prof. ssa Maria Vittoria GARAVELLI
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Saffo
Saffo, prima donna della letteratura europea, nacque a Ereso, nell’isola di Lesbo, da una famiglia
aristocratica e visse fra il VII e il VI secolo a.C. Trascorse la maggior parte della sua esistenza a
Mitilene, la più importante città di Lesbo, educando le giovani degli ambienti aristocratici.
Saffo fa raramente menzione delle lotte politiche che travagliarono Lesbo, tuttavia dovette
trascorrere un periodo d’esilio in Sicilia. Ebbe un marito, forse Cercila di Andro, e una figlia di
nome Cleide. Secondo alcune leggende, Saffo, piccola e bruna, si innamorò del giovane Faone, che
non ricambiava il suo amore e per questo si suicidò, gettandosi dalla rupe di Leucade.
L’ambiente in cui si svolse la vita di Saffo è il tiaso, ossia la comunità fondata sulla religione
d’Afrodite, dove si sviluppava la formazione culturale e sociale di fanciulle aristocratiche, e in cui
l’educazione dei sentimenti e l’eros omosessuale erano parte integrante. Questo aspetto della vita
della poetessa non deve stupire, perché l’omosessualità, sia maschile sia femminile, era molto
frequente nella società greca e dunque considerata normale
La produzione letteraria di Saffo è composta nel dialetto eolico della sua patria.
Venne curata da grammatici alessandrini e suddivisa in nove libri, secondo i diversi metri usati.
Oggi possediamo un’intera ode, parti di altre odi e un considerevole numero di frammenti più
brevi.
Nell’intera opera è possibile individuare due gruppi, differenti per tematiche e stile: il gruppo
numericamente più ridotto è composto soprattutto da epitalami, canti corali eseguiti in occasione
delle nozze di una delle fanciulle del tiaso. Nelle poesie del secondo gruppo, Saffo parla in prima
persona, rivolgendosi a dei e uomini per esprimere in forma autobiografica le proprie emozioni e
riflessioni sull’amore.
Caratteri della poesia
La poetessa introduce una grande innovazione, sottolineando l’importanza dei sentimenti e della
memoria che stabilisce un rapporto tra passato e presente, accrescendo l’intensità degli affetti.
Saffo possiede una straordinaria capacità di trasformare i fenomeni della realtà in un’atmosfera
musicale, grazie all’accurata scelta di immagini, vocaboli e suoni. Il mondo della natura diventa
termine di paragone con le passioni e i sentimenti e crea un senso di armonia e bellezza.
A me pare uguale agli dèi
Saffo
(traduzione di Salvatore Quasimodo)
A me pare uguale agli dèi
chi a te vicino così dolce
suono ascolta mentre tu parli
e ridi amorosamente. Subito a me
il cuore si agita nel petto
solo che appena ti veda, e la voce
si perde sulla lingua inerte.
Un fuoco sottile affiora rapido alla pelle,
e ho buio negli occhi e il rombo
del sangue alle orecchie.
E tutta in sudore e tremante
come erba patita scoloro:
e morte non pare lontana
a me rapita di mente.
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Il testo greco di questa poesia è in realtà frammentario. La traduzione di Quasimodo gli ha dato
dunque un impianto unitario che manca nell'originale, ma che consente di apprezzarne la forza
travolgente. "Questa lirica è stata considerata, fin dall'antichità, come una riuscita descrizione dei
segni fisici che si manifestano per la passione amorosa. Saffo descrive tutto ciò che prova alla vista
della persona amata" (Bertinetto / Del Popolo / Marazzini).
Il testo può essere suddiviso in due parti. Nella prima (vv. 1-4) appare l'amato, che sembra quasi un
dio a chi l'osserva. Nella seconda (vv. 4-14) sono descritti gli effetti che questa visione causa nella
donna. E qui l'impressione iniziale si capovolge: a una serena contemplazione subentra il tumulto
dei sensi; l'amore non è felice ma tormentoso e quasi prossimo alla morte. Proprio questo induce a
pensare che nella lirica si esprima il sentimento della gelosia: i sintomi della passione, dunque, sono
generati sì da amore, ma da un amore non ricambiato.
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Gaio Valerio Catullo
Basta con la pazzia, sventurato Catullo
Basta con la pazzia, sventurato Catullo.
E ciò che vedi morto impara che è perduto.
Ci sono stati giorni splendidi, nel sole.
E andavi dove lei ti conduceva,
l'amata come non sarà nessuna,
e avvenivano cose deliziose
che tu volevi e lei non disvoleva.
Davvero giorni splendidi nel sole.
Ora non vuole più. Dunque anche tu
non volere. Non inseguire ciò che fugge,
o uomo senza freno, non vivere infelice.
Sii ostinato, Catullo, sii deciso.
Addio, ragazza. Catullo è deciso,
se non vuoi non ti cerca, non ti chiede.
Però ne soffrirai, se non ti cercano.
Sventurata, che vita ti rimane.
Varrà qualcuno? E ti vedranno bella?
E l'amore? Dirai più «sono sua»?
Bacerai? Morderai labbra amate?
Catullo, sii ostinato, sii deciso.
Gaio Valerio Catullo, Carmina, 8, I canti
Gaio Valerio Catullo (Verona 87/84-Sirmione 57-54 a.C.) ebbe una vita breve ma molto intensa, perché
trascorsa negli ambienti raffinati dell'alta e colta società romana. Nacque nella Gallia Cisalpina e sulla data
esistono incertezze. Era di famiglia aristocratica e facoltosa, che si poteva permettere di ospitare importanti
personaggi della vita politica contemporanea, come Quinto Cecilio Metello Celere, governatore della Gallia
Cisalpina o come lo stesso Cesare. Ricevette un'ottima educazione letteraria e incominciò da giovanissimo a
comporre poesie d'amore.
Poco più che ventenne si trasferì a Roma, con ambizioni mondane e intellettuali, non politiche. Trascorse
una vita di agi, brillante e dissoluta. Si legò in amicizia con alcuni giovani poeti, definiti con disprezzo da
Cicerone neóteroi (poeti nuovi), condividendo con loro una vita d'amore e di spensieratezza. Si tenne
lontano dagli impegni politici e dall'oratoria forense. Predilesse quindi la tranquillità degli studi e degli
affetti, in sintonia con il clima di crisi dell'ultima età repubblicana, in cui si andavano sgretolando gli ideali
austeri dei costumi degli antenati.
Catullo si innamorò perdutamente di Clodia, moglie di Q. Cecilio Metello, una dama del gran mondo,
affascinante e colta, ma di vita e costumi spregiudicati, che passava da un amante all'altro. Per lei Catullo
bruciò la sua breve esistenza e divenne il primo poeta d'amore della letteratura latina. Nelle sue liriche
chiamò Lesbia la donna amata, in ricordo della poetessa Saffo, nata appunto nell'isola di Lesbo. Tra il 58 e il
57 compì un viaggio in Bitinia, al seguito del propretore G. Memmio, nel tentativo di risanare la propria
situazione economica e per visitare, nella Troade, la tomba del fratello. Al ritorno si rifugiò, cercando pace e
riposo, nell'amata Sirmione, dove morì.
Il Liber catulliano si presenta come una raccolta di tre tipi di componimenti. A una serie di brevi
carmi in metri diversi ( 1-60 ), seguono i carmina docta ( 61-68 ), di dimensioni e impegno ben più
vasti; negli ultimi carmi, dal 69-116, abbiamo gli epigrammi in distici elegiaci. Un quarto circa dei
componimenti catulliani è dedicato all’amore per Lesbia. La poesia catulliana esprime una tensione
emotiva costante, il susseguirsi dei momenti felici e delle frattura di una storia d’amore, ma non
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mancano i ricordi nostalgici dei momenti belli.
Confronta gli ultimi versi della poesia di Catullo con il testo della canzone Tu come stai di
Claudio Baglioni. Quali sono i punti di contatto? E le differenze? A che cosa sono dovute
queste ultime?
«Tu come stai? Tu come stai?
tu come vivi? come ti trovi?
chi viene a prenderti?
chi ti apre lo sportello?
chi segue ogni tuo passo? chi ti telefona
e ti domanda adesso tu come stai? […]
Tu cosa pensi? dove cammini?
chi ti ha portato via? chi scopre le tue spalle?
chi si stende al tuo fianco? chi grida il nome tuo?
chi ti accarezza stanco?»
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Eugenio Montale
Eugenio Montale (Genova 1896-Milano 1981) divide l'infanzia tra la città natale e Monterosso,
nelle Cinque Terre. Quel paesaggio si imprime profondamente nell'animo del poeta e caratterizza la
sua poesia. Interrotti gli studi tecnici per motivi di salute, studia canto finché, nel 1917, è chiamato
alle armi e inviato al fronte. Terminata la guerra, ritorna in Liguria, entra in contatto con gli
ambienti letterari genovesi e torinesi e, nel 1925, pubblica la prima raccolta di versi Ossi di seppia.
Nello stesso anno prende posizione contro il regime fascista, firmando il Manifesto degli
intellettuali antifascisti redatto dal filosofo Benedetto Croce. Nel 1926 incontra Italo Svevo e scrive
su di lui alcuni articoli che contribuiranno a farlo conoscere al pubblico italiano.
Trasferitosi a Firenze, dirige il Gabinetto scientifico letterario Vieussex fino al 1938, quando viene
allontanato dall'incarico perché non iscritto al partito fascista. Dopo la guerra si trasferisce a
Milano, dove diviene redattore del Corriere della Sera e critico musicale per il Corriere
dell'informazione. Nominato senatore a vita per meriti letterari, nel 1975 riceve il premio Nobel per
la letteratura.
La sua prima raccolta di liriche, Ossi di seppia, già contiene i temi di fondo della sua poesia: il male
di vivere, l'insensatezza della vita, l'impossibilità umana di uscire da un'esistenza soffocante e
disperata. Segue la raccolta Le occasioni (1939) in cui sono rappresentati gli spiragli che la vita
offre contro la solitudine e le sconfitte. Pubblica poi La bufera e altro (1956) e Satura (1971) che
contiene le liriche di Xenia, dedicate alla moglie morta nel 1963. Altre raccolte di versi escono negli
anni Settanta.
Ho sceso, dandoti il braccio
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
Le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
Scendere le scale dandosi il braccio è assunto da Montale come simbolo della vita a due, dell’aiuto
che due persone che si amano si scambiano ogni giorno; milione di scale = iperbole;
l’esagerazione sottolinea la lunga durata della vita vissuta insieme alla moglie; è il vuoto = la
morte della moglie ha provocato una sensazione di vuoto e solitudine. Anche così = pur avendo
fatto un lungo cammino insieme.
viaggio = altra metafora (con le scale) per indicare la vita; breve/lungo = ossimoro; i due aggettivi
in contrasto evidenziano la situazione di sconforto del poeta per una vita comune solo
apparentemente lunga ma in realtà durata pochissimo; Il mio = viaggio è sottinteso; la vita del
poeta continua nell’indifferenza verso le incombenze quotidiane (coincidenze, prenotazioni), le
insidie della vita (trappole) e le delusioni (scorni); asindeto.
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Quattr’occhi = quelli di due persone, il poeta e la moglie; pupille, sebbene tanto offuscate =
riferimento alla forte miopia della moglie. Gli occhi della donna (pupille – sineddoche) avevano la
capacità di penetrare il vero senso delle cose al di là delle apparenze. Il poeta amaramente
riconosce che la moglie rappresentava non solo la compagna ma il sostegno e la guida della sua
vita.
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Jacques Prévert
Nasce a Neuilly-sur-Seine nel 1900 ed è uno dei poeti francesi più popolari del XX secolo. Giovanissimo
conosce André Breton, Raymond Queneau e i surrealisti ed entra a far parte di questo gruppo, interessato
dall'arte populista. Nel 1928 si discosta da questi e frequenta il Groupe Octobre, una compagnia teatrale di
sinistra. La sua fama è però dovuta alla produzione poetica, dove Prévert dà libero corso all'immaginazione
in uno stile vicino alla lingua parlata e alla vita quotidiana. I suoi temi preferiti sono l'amore, la libertà, il
sogno e la fantasia, la compassione, l'umorismo, la satira contro i potenti, l'avversità per l'oppressione
sociale. Muore a Parigi nel 1977.
Tra le sue raccolte di versi di maggiore successo, Parole (1945), La pioggia e il bel tempo (1955), Alberi
(1976); in Italia sono state pubblicate, oltre a queste, varie antologie come Le foglie morte (dal titolo di una
sua celebre poesia), Poesie d'amore e Poesie.
I ragazzi che si amano
Jacques Prévert
I ragazzi che si amano si baciano
In piedi contro le porte della notte
I passanti che passano se li segnano a dito
Ma i ragazzi che si amano
Non ci sono per nessuno
E se qualcosa trema nella notte
Non sono loro ma la loro ombra
Per far rabbia ai passanti
Per far rabbia disprezzo invidia riso
I ragazzi che si amano non ci sono per nessuno
Sono altrove lontano più lontano della notte
Più in alto del giorno
Nella luce accecante del loro primo amore.
I ragazzi che si amano si baciano in piedi , appoggiati a un portone nel buio della notte.
I passanti che li osservano,li indicano ma loro non si accorgono di ciò che li circonda.
Nella notte si nota solo la loro ombra tremante.
I passanti guardano i ragazzi con rabbia, con disprezzo, deridendoli e invidiandoli.
ma gli innamorati hanno la testa altrove, lontano, e vivono l'incanto del primo amore.
La poesia esalta l'aspetto totalizzante dell'amore presso i giovani innamorati: niente e nessuno esiste
più attorno a loro, poiché essi non appartengono più a questo mondo, ma a un altro, che vive
nell'accecante calore del loro sentimento" [S. Nicola / G. Castellano / I. Geroni]. Ciascuno può
dunque ritrovare in questa delicata lirica d'amore echi e immagini della propria adolescenza. Il
componimento si regge sulla contrapposizione - espressa con gioiosa partecipazione -, fra "i ragazzi
che si amano", estraniati dal mondo e dimentichi di tutto, e "i passanti" avvolti nella loro banale
quotidianità.
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BREVE STORIA DEL TEATRO
Il fenomeno del Teatro presenta stili diversi secondo i diversi momenti storici: il teatro classico (teatro
antico, greco e romano), il teatro medievale (che vede la nascita della sacra rappresentazione), il teatro
moderno (dal Rinascimento fino al Romanticismo) e infine il teatro contemporaneo (dal XX secolo fino a
oggi).
Il Teatro occidentale ha radici greche e mette in scena per lo più tragedie (con tema principale la
sofferenza e il dolore), privilegiando il dialogo rispetto all'azione. Caratteristica primaria è la presenza delle
maschere, che consentono di identificare velocemente l'attore con il personaggio e al contempo di
interpretare più parti (gli attori, essendo pagati dallo Stato, erano pochissimi). Nella tragedia solitamente
non avviene mai nulla di sconvolgente davanti l'occhio dello spettatore, ma le parti più crudeli si svolgono
dietro le quinte. Altro genere da ricordare è la commedia che, presentando per lo più personaggi
buffoneschi alle prese con situazioni ingarbugliate, fungeva soltanto da intermezzo tra i vari spettacoli. Per
quanto riguarda il Medioevo, a causa della dissoluzione dell'Impero Romano, possiamo sostenere che
questo momento storico non possegga una vera e propria "idea di teatro", ma piuttosto di "spettacolo":
alle tradizionali rappresentazioni teatrali, si sostituiscono spettacolini svolti nelle piazze da parte di mimi e
giullari e le sacre rappresentazioni.
A differenza del teatro medievale al quale tutti potevano partecipare, il teatro rinascimentale si sviluppa
all'interno delle corti principesche. Riguardando soltanto un'élite, lo scopo è quello di sottolineare il potere
delle classi sociali più elevate. Al di fuori delle corti invece, si può godere ancora della rappresentazione
sacra. Mentre nella scena medievale i luoghi dove si svolgono le azioni sono molteplici, qui è soltanto uno.
Successivamente, vedendo l'importanza del teatro, gli umanisti chiedono la creazione di teatri stabili, ma i
principi rifiutano l'idea in quanto preferiscono mantenere spettatori di un certo ceto sociale. Nel febbraio
del 1545 vediamo la nascita del moderno professionismo teatrale con la commedia dell'arte. Questa forma
di creazione scenica si rivolge ad un pubblico vasto, dove ognuno è obbligato a pagare un prezzo stabilito.
Altro grande cambiamento avviene a partire dal 1570, con l'introduzione delle donne nelle troupe (fino ad
allora entrambi i ruoli erano interpretati da uomini). Molto creativo è il periodo che caratterizza il teatro
elisabettiano (1558-1642): esso non rispetta le regole aristoteliche e mescola con estrema disinvoltura
commedia e tragedia. Per quanto riguarda le tecniche di allestimento degli spettacoli, possiamo dire che
non esistono elementi scenografici veri e propri, in quanto sono i gesti e le parole degli attori a far capire il
luogo in cui si svolge l'azione.
A metà del Settecento vediamo la nascita di un nuovo genere: il dramma borghese (rappresentazione
realistica di una vicenda umana) L'ambientazione tipica è quella del salotto borghese e i temi
principalmente toccati riguardano l'amore, i valori e la morale. I personaggi rappresentati sono
appartenenti alla piccola-media borghesia, e ne descrive la vita quotidiana. Verso la fine dell'Ottocento le
tematiche predilette diventano l'adulterio e la crisi dei valori morali Tra la fine del Settecento e l'inizio del
secolo seguente, avviene uno scontro fra il dramma borghese e la tragedia romantica: i romantici tedeschi
ribadiscono la centralità della tragedia pura come espressione dell'io contro la realtà circostante Il
Novecento si caratterizza per una nuova figura teatrale: il regista Egli diventa così unica figura dirigenziale
e punta a realizzare un prodotto-spettacolo che possa andare in scena ogni sera Con l'affermarsi delle
avanguardie, nascono così nuove forme teatrali come il teatro dell'assurdo di Beckett, o il dramma
psicologico di Pirandello.
CARATTERISTICHE DEL TESTO TEATRALE
Concepito per essere rappresentato, il testo teatrale presenta delle caratteristiche che lo differenziano
notevolmente da qualunque altro tipo di testo. Manca, nel testo teatrale, il narratore, manca l’io soggettivo
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del poeta, mancano descrizioni o racconti di quanto avviene o è avvenuto: lo sviluppo dell’intera vicenda è
affidato alle battute dei personaggi attraverso le quali sarà possibile discernere anche i loro tratti
psicologici, i fatti anteriori all’inizio della rappresentazione e i legami tra i vari avvenimenti.
I personaggi teatrali
In un testo teatrale, i personaggi hanno senza dubbio un ruolo di fondamentale importanza: in totale
assenza di un narratore che agevoli loro il compito, essi devono raccontare e sviluppare la vicenda
rappresentata attraverso le proprie parole e le proprie azioni.
A partire dal ruolo che ciascuno di essi svolge, è possibile individuare, come nel romanzo o nella novella, un
protagonista, che è il personaggio principale, quello intorno al quale ruota l’intera vicenda, dei personaggi
secondari, che avranno, secondo i casi, la funzione di aiutanti o di antagonisti, e delle semplici comparse,
che pronunceranno pochissime battute o saranno addirittura “mute”.
Atti e scene
Il testo teatrale si divide generalmente in atti e scene. Gli atti sono, in sostanza, le diverse parti in cui è
articolato il testo. Il loro numero varia in base al genere drammatico. Ciascun atto viene poi suddiviso in
scene, che cambiano a seconda dell’entrata o dell’uscita di uno o più personaggi; il loro numero può variare
a piacimento dell’autore.
Didascalie e battute di dialogo
Dal punto di vista letterario, gli elementi fondamentali del testo teatrale sono due: le didascalie (dal greco
didascalia, «istruzione») e le battute di dialogo.
Le didascalie sono, in sostanza, delle sintetiche indicazioni che l’autore fornisce sul luogo e il tempo in cui si
sviluppa la vicenda o sul modo in cui i personaggi entrano oppure escono dalla scena, si muovono, sono
vestiti, parlano. Sul testo sono generalmente stampate in corsivo o poste tra parentesi se si intervallano alle
battute. Pur nei riconosciuti limiti di estensione, la lunghezza delle didascalie può variare da poche parole a
periodi più lunghi e dettagliati.
Colonna portante del testo teatrale sono, invece, le battute di dialogo che occupano la quasi totalità del
testo stesso. Alle parole dei personaggi, infatti, è affidato lo svolgersi integrale dell’intera vicenda: il
racconto dei fatti presenti e passati, la delineazione del carattere e dei sentimenti dei singoli personaggi, gli
avvenimenti non rappresentati direttamente in scena.
In base al numero di persone che pronunciano le battute e alla maniera in cui esse vengono pronunciate, è
possibile distinguere vari tipi di battute di dialogo:
dialogo: rappresenta, senza dubbio, il tipo di battuta più frequente e si realizza tra due personaggi
che si alternano a parlare;
concertato: è un dialogo tra tre o più personaggi;
duetto: indicato più comunemente con l’espressione «botta e risposta», è un dialogo
dall’andamento incalzante e serrato che si svolge tra due personaggi;
soliloquio: è il “pensiero” del personaggio che, rimasto solo sulla scena, espone ad alta voce le
proprie idee perché il pubblico possa venirne a conoscenza;
monologo: è ancora la riflessione intima del personaggio che questa volta non è solo, ma appartato
sulla scena e si rivolge direttamente al pubblico;
tirata: è, solitamente, un discorso relativo a qualcosa di importante circa fatti avvenuti in passato o
a commenti di determinati eventi o azioni e per recitare il quale il personaggio chiede
esplicitamente che si faccia silenzio;
a parte: è un commento (segnalato sul testo da una didascalia e posto fra parentesi) che il
personaggio fa sull’argomento trattato, estraniandosi per un momento dalla rappresentazione
stessa e rivolgendosi solo allo spettatore;
fuori campo: sono delle battute affidate a un personaggio non direttamente coinvolto nell’azione
scenica, ma incaricato di intervenire “fuori scena” a interloquire con i personaggi o a commentare
la vicenda in atto.
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In sintesi. Per analizzare un testo teatrale
È necessario individuare immediatamente se si tratta di un monologo o di un dialogo e i personaggi
che sono in scena, tenendo sempre presente che, a differenza di quanto accade in un testo
narrativo, tutti gli elementi (dall’intreccio, all’ambientazione, alla caratterizzazione dei personaggi)
devono essere desunti dalle battute e da eventuali didascalie.
Leggere attentamente le singole battute e le didascalie consente, innanzitutto, di ricostruire la
caratterizzazione dei personaggi in scena.
Bisogna, poi, prestare attenzione ai caratteri delle battute - se sono lunghe o brevi, se danno vita a
un ritmo incalzante o lento -, e delle didascalie - se sono brevi o al contrario lunghe e dettagliate,
quali informazioni forniscono …
Analizza con attenzione il registro linguistico: in una commedia, ad esempio, con ogni probabilità
avremo un linguaggio medio con forme vicine al parlato, anche popolari, che mira alla comicità;
alto e aulico sarà invece il registro di una tragedia.
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Molière
Jean Baptiste Posquelin (Parigi 1622-1673), in arte Molière, dopo gli studi e una laurea in legge, esercita per
qualche tempo a Parigi l'avvocatura. L’interesse per il teatro lo porta a fondare, nel 1643, con un gruppo di
attori comici la Compagnia dell'Illustre Theatre, ma l'insuccesso lo costringe ad anni di spettacoli itineranti
in provincia.
Rientrato a Parigi nel 1659, grazie alla protezione del Re Sole, Luigi XIV, e al favore del pubblico, può
dedicarsi alla creazione dei suoi capolavori. Molière, che recita come attore nelle sue commedie, muore
sulla scena il 17 febbraio 1673 in seguito a un malore, che lo coglie durante la quarta replica della sua
ultima opera, Il malato immaginario.
Molière non fu soltanto scrittore di teatro ma anche un grande attore e un colto intellettuale. Egli
trasforma in commedia la sua denuncia delle debolezze umane e dei costumi sociali della sua epoca,
portando sulla scena il seduttore, l'ipocrita, l'avaro, il borghese arricchito, le dame saccenti, i gentiluomini
tronfi e insolenti, il malato immaginario, il presuntuoso, l'ambizioso.
La comicità delle sue commedie non nasce dagli intrecci, che sono abbastanza scontati, ma dalla
caratterizzazione dei personaggi. I tipi che Molière porta in scena sono sempre attuali, perché
rappresentano le molteplice sfaccettature della stoltezza e dell'irragionevolezza umana e il nome di
Tartufo, di Don Giovanni, di Arpagone sono entrati nel linguaggio comune come sinonimi di impostore,
donnaiolo, avaro. Molière sa divertire il pubblico con battute brevi e dialoghi veloci. Il suo stile leggero, sa
avvincere ogni tipo di pubblico. Tra le commedie più famose ricordiamo: Tartufo, Don Giovanni, Il
misantropo, L'avaro, Il borghese gentiluomo e Il malato immaginario.
Il malato immaginario
di Molière
La fabula
La commedia è composta di tre atti seguiti da altrettanti intramezzi; il primo atto è preceduto da un
prologo, nella rappresentazione teatrale costituito da un balletto cantato. Tale parte iniziale comprendeva
un elogio di re Luigi, al quale era dedicata la commedia, un elogio verso i grandi pregi militari e politici del
sovrano, alla sua saggezza e al suo valore. L'intero prologo è rappresentato in una scena di natura. Il primo
atto si apre con il monologo del protagonista Argante, un uomo ricco e di buona salute, che si crede
malato; egli è intento a conteggiare i gettoni che deve al farmacista, il signor Fiorante, in cambio delle
numerose cure mediche prestategli a causa della sua grave malattia.
L'uomo, credendo ormai di aver ben poco tempo da vivere, vuole che la bella figlia Angelica si sposi
con Tommaso Diafoirus, figlio del signor Diafoirus, noto medico, affinché il genero acquisito faccia le veci
del medico di fiducia del padre, compito che al momento spetta al dottor Purgone. Angelica, ignorando
totalmente il futuro marito, si è invece innamorata di un giovane, Cleante, il quale ricambia la ragazza con
gli stessi sentimenti. Il rifiuto di Angelica manda in collera il padre che la minaccia di mandarla in convento
se mai dovesse disobbedire ai suoi ordini e mandare in fumo i suoi progetti. La governante discute a lungo
con il padrone, cercando di convincerlo di quanto sia sbagliato costringere qualcuno con la forza a sposarsi
con una persona che non ama, ma tutto invano; Argante vuole che Angelica sposi un medico.
Il protagonista è sposato con una donna avida di denaro e per nulla curante dei sentimenti, la
signora Belinda, la quale fa il possibile per impossessarsi delle ricchezze dell'uomo, compatendolo a tale
fine nella sua malattia immaginaria. Come tutti i malati gravi anche Argante decide di stendere un
testamento sotto la guida di un notaio, il signor Buonafede. Ed è proprio alla nomina di ereditiera in questo
testamento che aspira la perfida moglie Belinda, che naturalmente agisce a discapito della figliastra. Nel
frattempo Angelica e Tonietta pensano a come risolvere il problema del pretendente.
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Nel primo intramezzo si assiste alla serenata di Pulcinella per la propria innamorata, che purtroppo
non ha buoni esiti poiché interrotta più volte da ballerini, musici e arcieri.
Il secondo atto si apre nuovamente nella camera di Argante che, infuriato, impreca contro Tonietta,
accusata di disturbargli l'udito. La governante annuncia l'arrivo del supplente del maestro di musica della
figlia, interpretato da Cleante, che si finge assai abile nel canto. Angelica entrando nella stanza rimane
allibita per la presenza dell'innamorato; intanto arrivano a casa di Argante il futuro sposo e il padre, giunti
qui per conoscere la fanciulla. Il pretendente ha l'aria di un grande sciocco, appena congedato da scuola,
che non sa nemmeno parlare con parole sue e perciò ricorre a discorsi prestabiliti da padre. Argante coglie
l'occasione per far mostrare le doti canore di Angelica agli ospiti e invita la figlia a cantare accompagnata
dal maestro; i due intraprendono un'operetta improvvisata che ha come tema la loro stessa storia d'amore.
Il canto è interrotto da Argante che irritato scaccia Cleante. Angelica smantella completamente i discorsi del
padre e del pretendente, confermando le sue intenzioni di non voler sposare per forza Tommaso.
Mentre Belinda discute animatamente con la figliastra, il dottor Diafoirus e il figlio simulano una
visita accurata ad Argante, diagnosticandogli, grazie a chissà quali sintomi, una nuova malattia immaginaria.
Alla fine del secondo atto entra in scena un nuovo personaggio, Belardo, fratello di Argante, che cerca in
ogni modo di far capire al fratello come la sua malattia non sia altro che una convinzione psicologica,
mentre i medici, i farmacisti e la stessa moglie cercano solo di truffarlo per derubarlo delle sue ricchezze.
Il secondo intramezzo è costituito da un balletto organizzato dal fratello di Argante per distrarre il
malato. Il terzo atto si apre con una discussione tra i due fratelli e la governante. Belardo costringe Argante
a rifiutare una delle tante prestazioni mediche; questo fa infuriare il farmacista Fiorante e il dottor Purgone,
che si rifiuta da questo momento di curare il malato. Grazie a un piano escogitato da Belardo e dall'astuta
governante, in seguito a una messa in scena della morte di Argante, l'uomo riesce a capire chi veramente
fra la moglie e la figlia gli voglia bene, e grazie a ciò Angelica e Cleante possono unirsi in matrimonio.
Nell'ultima parte Belardo propone ad Argante di diventare lui stesso medico, così da poter curare
autonomamente i propri mali. L'ultimo intramezzo è interamente cantato e espone la cerimonia di laurea
del protagonista scritta in latino, lingua tipica dei dotti.
I personaggi
* Argante: è il protagonista della vicenda. È un uomo abbastanza ricco, che è convinto di essere
gravemente malato mentre è invece sanissimo; a causa di questa sua fissazione spende gran parte del suo
denaro, per pagare le cure inutili prestategli da un dottore e un farmacista assai avidi di arricchirsi. Argante
ha una figlia in età da marito, che vorrebbe vedere in sposa a un medico, così da potersi assicurare le
migliori cure gratuitamente. Lo si può definire un personaggio dinamico, poiché nella parte iniziale credeva
che la figlia non gli volesse bene, anzi facesse di tutto per farlo stare male, mentre nella parte conclusiva si
rende conto del fatto che la figlia gli vuole bene veramente.
* Belinda: è la seconda moglie di Argante, una donna per la quale il denaro conta più del marito. Se
all'apparenza può sembrare innamorata di Argante, nella parte conclusiva si dimostra al contrario
interessata più ai suoi averi, e Argante non appena scopre questa sua caratteristica, la caccia.
* Angelica: è la figlia di Argante, una giovane ragazza innamorata di Cleante, ma ostacolata dal padre, che
vuole farle sposare Tommaso Diafoirus. È un personaggio molto attivo, che sa bene ciò che vuole ed è
disposta a tutto pur di raggiungere i suoi obiettivi. Nonostante sia spesso in contraddizione con il padre,
dimostra di volergli molto bene, nel momento in cui apprende la falsa notizia della morte di Argante. Si
confida con Tonietta riguardo ai sentimenti sinceri che prova per Cleante.
* Luigina: è la figlia minore di Argante. Non ha un ruolo fondamentale nella vicenda.
* Beraldo: è il fratello di Argante, zio di Angelica. È la mente, insieme a Tonietta del piano finale per
dimostrare che i medici sono dei truffatori e che la figlia vuole veramente bene al padre. È un personaggio
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molto attivo, modifica completamente il corso della storia e il comportamento di Argante.
* Cleante: è l'innamorato di Angelica, un ragazzo semplice ma sincero. Alla fine della vicenda riesce a
conquistare la simpatia di Argante. Nella parte finale è riconosciuto come nipote di Belardo, e pertanto può
sposare la tanto amata fanciulla, con il consenso del suocero.
* Il signor Diafoirus: è un noto medico, padre del pretendente di Angelica, che con Argante ha organizzato
le future nozze. È un uomo abbastanza astuto, che guarda più ai propri interessi.
* Tommaso Diafoirus: è il figlio del signor Diafoirus; è il giovane che Argante vorrebbe vedere accanto alla
figlia per tutta la vita; è un medico neo-laureato, che si dimostra sciocco e falso, impostato e studiato in
ogni suo atteggiamento o discorso.
* Il signor Purgone: è il medico curante di Argante, un astuto ingannatore, che curando l'uomo con
sciocchezze inutili, guadagna molto denaro, a discapito del paziente. Non appena troverà davanti a sé un
ostacolo, scomparirà dalla scena, offeso per la mancanza di fiducia di Belardo.
* Il signor Fiorante: è il farmacista di Argante, complice dei piani del signor Purgone.
* Il signor Buonafede: è il notaio di fiducia di Argante che stende il testamento del pover’uomo
completamente a favore della moglie, che raggiungerebbe il suo scopo alla morte del marito.
* Tonietta: è la governante con la quale spesso Argante ha discussioni e battibecchi. È una donna molto
astuta, nonostante non sia colta. Con l'aiuto di Beraldo, la donna riesce a progettare il piano che porterà al
lieto fine. È un personaggio dinamico, attivo, molto simpatico e spiritoso, che coinvolge nelle sue azioni
anche lo spettatore.
Tutti i personaggi si auto-presentano e ci forniscono informazioni su di loro indirettamente, tramite
le loro azioni. Le loro caratteristiche psicologiche sono frutto diretto dell'interpretazione del lettore. Sono
riportate delle note dell'autore che ci comunica la gestualità, il movimento e il modo di parlare di questi
personaggi.
I luoghi
La storia è ambientata nella casa di un importante uomo francese, probabilmente nella Parigi del
Seicento. Il luogo fondamentale, entro il quale è ambientata la commedia, è la stanza di Argante.
Gli intramezzi si svolgono o in foreste o in strade, e comunque in luoghi aperti, al contrario delle
scene principali che si svolgono in luoghi chiusi e ben definiti.
Il tempo
Possiamo dedurre che la commedia sia ambientata nel Seicento, per le indicazioni sul sovrano cui è
dedicata la stessa.
La struttura
* Rapporto fabula-intreccio: essendo un testo teatrale non si può definire alcuna corrispondenza tra fabula
e intreccio, in quanto la vicenda è data dall'azione stessa dei personaggi.
* Voce narrante e punto di vista: non è presente alcuna voce narrante, nessun punto di vista. È come se
sulla scena si muovesse una telecamera che si sposta da un lato all'altro, direttamente sui fatti.
* Modi enunciativi dei discorsi dei personaggi: i protagonisti parlano sempre in discorso diretto, attuano dei
monologhi, delle riflessioni sempre ad alta voce.
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Lessico e stile
* Analisi lessicale: non sono utilizzati termini aulici, sono presenti alcuni termini tecnici medici o latinismi
spesso usati impropriamente (vedi ultimo intramezzo). Lo stile è medio-comico. Non sono utilizzati termini
volgari. L'autore non fa uso di modi di dire o proverbi.
* Analisi sintattica: la sintassi è abbastanza semplice, con un periodare generalmente breve e comunque
non complesso.
* Analisi retorica: non vengono utilizzate numerose figure retoriche, sono presenti alcune esortazioni o
esclamazioni dei personaggi principali, forse per richiamare l'attenzione del pubblico, forse per sottolineare
l'importanza a livello psicologico del personaggio.
* Analisi dei registri: il registro è abbastanza informale, come si può chiaramente dedurre dai dialoghi tra
Tonietta e Argante; solo i dottori cercano di dare tono ai loro interventi, ma chiaramente non sono così
competenti come sembrano.
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N. B. Nella scena che segue i nomi di alcuni personaggi presentano delle variazioni in seguito a scelte
effettuate in fase di traduzione.
Il malato immaginario
Atto II
Scena V
Il dottor Diarroicus, Tommaso Diarroicus, Argante, Angelica, Cleante, Antonietta
ARGANTE (mettendo la mano alla berretta senza togliersela)
Signore, il dottor La Squacquera mi ha proibito di tenere il capo scoperto. Voi siete del mestiere, conoscete
le conseguenze.
DOTTOR DIARROICUS Facciamo le nostre visite per portare aiuto ai malati, non per recar loro un incomodo.
ARGANTE Vi ricevo, Signore...
Parlano entrambi nel medesimo tempo, interrompendosi l'un l'altro e confondendo le voci.
DOTTOR DIARROICUS Siamo venuti, Signore...
ARGANTE Con infinita soddisfazione...
DOTTOR DIARROICUS Mio figlio Tommaso ed io...
ARGANTE L'onore che mi fate...
DOTTOR DIARROICUS A testimoniarvi, Signore...
ARGANTE E avrei voluto...
DOTTOR DIARROICUS Il nostro compiacimento...
ARGANTE Poter venire io da voi...
DOTTOR DIARROICUS Per la grazia che ci fate...
ARGANTE Per garantirvi...
DOTTOR DIARROICUS Nel volerci ricevere...
ARGANTE Ma voi sapete, Signore...
DOTTOR DIARROICUS Onorandoci di entrare, Signore...
ARGANTE Che cos'è un povero malato...
DOTTOR DIARROICUS Nella vostra famiglia...
ARGANTE Che altro non può fare...
DOTTOR DIARROICUS E garantirvi...
ARGANTE Che dirvi qui...
DOTTOR DIARROICUS Che in ciò che dipende dal nostro mestiere...
ARGANTE Ch'egli cercherà in ogni occasione...
DOTTOR DIARROICUS Come del resto in tutte le altre...
ARGANTE Di dimostrarvi, Signore...
DOTTOR DIARROICUS Saremo sempre pronti, Signore...
ARGANTE Ch'egli sarà al vostro servizio...
DOTTOR DIARROICUS A testimoniarvi le nostre premure. (Si gira verso suo figlio e gli dice) Coraggio,
Tommaso, venite avanti. Fate il vostro discorso.
TOMMASO DIARROICUS (un giuggiolone che ha appena terminato gli studi e che fa ogni cosa senza grazia e
nel momento sbagliato) Convien cominciare dal padre, non è così?
DOTTOR DIARROICUS Certo.
TOMMASO DIARROICUS Signore, io vengo a salutare, conoscere, onorare, riverire in voi un secondo padre;
ma un secondo padre al quale, oso dire, sono più obbligato che al primo. Il primo mi ha generato; ma voi mi
avete scelto. Egli mi ha accolto per necessità; ma voi mi avete accettato per grazia. Quel che in me si trova
di lui è opera del suo corpo; ma quel che in me si trova di voi è opera della vostra volontà; e poiché le
facoltà spirituali sono tanto più eccelse delle corporali, così tanto più grande è il mio debito e tanto più
preziosa io stimo la prossima affiliazione, della quale vengo oggi, precorrendola, a rendere gli umilissimi e
rispettosissimi omaggi.
ANTONIETTA Evviva le scuole, da cui escono giovani di tanto talento!
TOMMASO DIARROICUS È andata bene, padre mio?
DOTTOR DIARROICUS Optime.
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ARGANTE (ad Angelica) Suvvia, salutate il Signore.
TOMMASO DIARROICUS Baciar potrò?
DOTTOR DIARROICUS Ma certo.
TOMMASO DIARROICUS (ad Angelica) Signora, il Cielo nella sua giustizia vi ha concesso il nome di suocera,
poiché...
ARGANTE
Non state parlando a mia moglie, ma a mia figlia.
TOMMASO DIARROICUS E la suocera ov'è?
ARGANTE Verrà subito.
TOMMASO DIARROICUS Dovrò dunque aspettare, padre, ch'ella sia venuta?
DOTTOR DIARROICUS Fate lo stesso il discorso alla Signorina.
TOMMASO DIARROICUS Signorina, né più né meno della statua di Memnone, che armonioso concento
mandava quando la illuminavano i raggi del sole, alla stessa guisa mi sento io animato da un dolce empito
all'apparir di quel sole che son le bellezze vostre. E come osservano gli indagator della natura che il fiore
chiamato eliotropio si volge sempre mai verso l'astro del giorno, così il mio cuore quind'innanzi verso gli
astri risplendenti dei vostri adorabili occhi, come al suo unico polo ognora si volgerà. Sofferite dunque,
Signorina, che io appenda in oggidì all'altare delle vostre venustà l'offerta di questo cuore, che altra gloria
non respira e ad altra gloria non aspira che d'essere per tutta la vita, Signorina, il vostro umilissimo,
obbedientissimo e fedelissimo servitore e marito.
ANTONIETTA (canzonandolo) Ecco quel che significa studiare; impari a dire cose meravigliose.
ARGANTE Eh! che ne dite voi?
CLEANTE Il Signore non finisce di stupirmi; se è buon medico quanto è buon oratore, sarà un piacere far
parte dei suoi pazienti.
ANTONIETTA Questo è sicuro. Sarà una meraviglia, se le sue cure saranno belle come i suoi discorsi.
ARGANTE Su, presto, la mia poltrona, e sedie per tutti. Mettetevi là, figlia mia. Come vedete, Signore, tutti
ammirano il Signore vostro figlio; potete dirvi felice di avere un tale rampollo.
DOTTOR DIARROICUS Signore, non perché io sia suo padre, ma posso dire che ho buone ragioni per essere
contento di lui; tutti coloro che lo conoscono ne parlano come d'un ragazzo sprovvisto della minima
ribalderia. Non ha mai avuto troppo viva immaginazione, né quegli sprazzi di intelligenza che si possono
notare in certuni; ma proprio per questo ho tratto buoni auspici circa le sue facoltà di giudizio, che sono
indispensabili per esercitare la nostra arte. Da piccolo, non è mai stato quel che si dice uno sbarazzino e un
bambino vivace. Era sempre tranquillo, pacifico e taciturno, non c'era verso che dicesse una parola né mai
si trastullava in quei giochi che definiamo infantili. Non vi dico la fatica che abbiamo fatto per insegnargli a
leggere; aveva già nove anni e ancora non distingueva le lettere dell'alfabeto. «Bene,» dicevo fra me e me,
«gli alberi tardivi son quelli che danno i frutti migliori; è assai meno agevole incidere sul marmo che sulla
sabbia; ma le cose vi rimangono impresse ben più a lungo, e l'essere tanto lento nell'apprendere, tanto
greve nel pensare, è il crisma della retta capacità di giudizio che avrà.» Quando lo mandai a scuola, fece
molta fatica; ma davanti alle difficoltà ce la metteva tutta, e i suoi insegnanti lodavano la sua assiduità e la
sua volontà nell'adoperarsi. Infine, a furia di battere il ferro, è trionfalmente riuscito ad ottenere i suoi bravi
diplomi e posso dire senza vanità che da quando è sui banchi universitari, cioè da due anni, non c'è stato
candidato che abbia fatto più rumore di lui nelle dispute d'esame della nostra Facoltà. Ora è temutissimo e
non c'è discussione di tesi in cui egli non sostenga ad oltranza l'opinione esattamente contraria. Nella
disputa egli è incrollabile, difende i suoi princìpi con la fermezza di un Turco, non recede mai dal proprio
parere e conduce ogni ragionamento fino alle estreme conseguenze della logica. Ma quel che mi piace in lui
sopra ogni cosa, e in questo egli segue il mio esempio, è che si rifà ciecamente alle opinioni degli antichi, e
che mai ha voluto comprendere, e nemmeno ascoltare, le ragioni e le esperienze delle pretese scoperte del
nostro tempo intorno alla circolazione del sangue e ad altre opinioni della stessa risma.
TOMMASO DIARROICUS (estraendo dalla tasca il rotolo di una dissertazione, che egli presenta ad Angelica)
Ho scritto una dissertazione contro i circolazionisti, che col permesso del Signore oso presentare alla
Signorina, doveroso omaggio delle primizie del mio sapere.
ANGELICA Signore, sarà per me un oggetto inservibile. Io non intendo questi argomenti.
ANTONIETTA Date, date, ci può sempre interessare per le figure, che vanno benissimo per arredare la
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nostra camera.
TOMMASO DIARROICUS E sempre col permesso del Signore, vorrei invitarvi ad assistere, uno di questi
giorni, per il vostro svago, all'autopsia di una donna, che sarà oggetto di una mia relazione.
ANTONIETTA Sarà uno svago molto divertente. Certuni invitano la fidanzata a teatro, ma vuoi mettere la
galanteria di offrire un'autopsia?
DOTTOR DIARROICUS Infine, circa i requisiti richiesti per il matrimonio e la propagazione, posso garantire
che, secondo le regole dettate dai nostri luminari, egli è quanto di meglio si possa desiderare; possiede in
lodevole grado la facoltà prolifica e ha il temperamento necessario per generare e procreare figli di sana
costituzione.
ARGANTE Non avreste intenzione, Signore, di mandarlo a corte e di sollecitare per lui una carica di medico?
DOTTOR DIARROICUS Parlando con franchezza, non è mai stato di mio gradimento esercitare la professione
nell'ambiente dei potenti; ho sempre pensato che fosse meglio per noi dedicarci alla gente comune. La
gente comune è di tutto comodo. Non dovete rispondere delle vostre azioni; e purché si seguano le regole
correnti dell'arte, non ci si preoccupa di quel che può capitare. Quel che dà fastidio nei potenti è che
quando sono malati pretendono assolutamente che i medici li guariscano.
ANTONIETTA Che strani tipi! È una bella pretesa voler essere guariti da voialtri; non li curate mica per
questo; il vostro scopo è di prescrivere dei rimedi e ricevere un appannaggio; tocca a loro guarire, se ci
riescono.
DOTTOR DIARROICUS È vero. Abbiamo soltanto l'obbligo di eseguire i trattamenti secondo le forme
consacrate.
ARGANTE (a Cleante) Signore, volete far cantare mia figlia davanti agli ospiti?
CLEANTE Attendevo i vostri ordini, Signore, e mi è venuto in mente, per divertire i convenuti, di cantare con
la Signorina la scena di un'operina composta da poco. Ecco, questa è la vostra parte.
ANGELICA Io dovrei...?
CLEANTE Non tergiversate, vi prego, e lasciate che vi spieghi in che cosa consiste la scena che dobbiamo
cantare. Io non ho una bella voce; ma è sufficiente in questo caso che i presenti mi sentano; e avranno la
bontà di scusarmi, sapendo che sono costretto a farlo per dar modo alla Signorina di cantare.
ARGANTE E come sono i versi? belli?
CLEANTE Si tratta propriamente di un'operina del genere «improvviso» e voi sentirete cantare soltanto
della prosa ritmica, o brani di versi liberi, così come la passione e la necessità possono far nascere in due
persone che dicono certe cose come a loro riesce e che parlano improvvisando.
ARGANTE
Benissimo. Ascoltiamo.
CLEANTE (nella veste di un pastore, racconta all'innamorata del suo amore dopo il loro incontro; quindi i
due si comunicano, cantando, i loro pensieri) L'argomento della scena è il seguente. Un pastore sta
seguendo, interessato, le belle invenzioni di una recita appena iniziata, quando la sua attenzione viene
distratta da un rumore ch'egli intende accanto a sé. Sigira e vede che un prepotente sta oltraggiando con
male parole una Pastorella. Egli prende subito le difese del sesso a cui ogni uomo deve inchinarsi; e dopo
avere punito della sua insolenza il prepotente, si rivolge alla Pastorella e si accorge che la giovane creatura,
con i più begli occhi che egli avesse mai visto, sta versando lacrime che gli paiono le più belle del creato.
«Ohimè!» egli dice a se stesso, «come si può recare oltraggio a una così attraente creatura? E quale
inumano, qual barbaro essere non si sentirebbe toccato da queste lacrime?» Si prende allora cura di farle
cessare, quelle lacrime che tanto incanto gli procurano; e l'attraente Pastorella a sua volta si prende cura di
ringraziarlo per la sua gentile attenzione, ma in maniera così affascinante, così tenera, così appassionata,
che il Pastore non sa più resistere; ogni parola, ogni sguardo son lame di fuoco che penetrano nel suo
cuore. «Esiste cosa» si diceva, «che meriti una gratitudine espressa con parole tanto incantevoli? Che cosa
non si vorrebbe fare, quali servigi non si vorrebbe rendere, e quali pericoli non si sarebbe felici di correre,
per poter avere, anche per un momento solo, le toccanti dolcezze di un'anima così riconoscente?» Lo
spettacolo termina senza ch'egli vi presti attenzione; ma si lamenta il Pastore che sia tanto breve, poiché,
terminando, lo separa dalla sua adorabile Pastorella; e da quel primo incontro, da quel primo momento,
egli porta dentro di sé tutto ciò che di più intenso può esistere in un amore che duri da anni. Ed eccolo che
patisce tutto il male dell'assenza, e sente il tormento di non poter più vedere colei che così poco ha visto. E
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fa tutto quel che è in suo potere per rivedere la donna di cui conserva, notte e giorno, una sì cara
immagine; ma la costrizione in cui vien tenuta la Pastorella gli rende vana ogni possibile occasione. Tanto
violenta è la sua passione ch'egli si risolve a chiedere in isposa l'adorabile beltà senza la quale non può
vivere, e ottiene il di lei consenso attraverso un biglietto che ha l'abilità di farle recapitare. Ma nello stesso
tempo viene a sapere che il padre della sua bella ha deciso che essa debba sposare un altro, e che si sta
disponendo ogni cosa per la cerimonia. Giudicate voi quanto crudele sia stato il colpo inferto al cuore del
povero Pastore. Eccolo sconvolto da un dolore mortale. Egli non può sopportare il pensiero spaventoso di
vedere quel che ha di più caro al mondo fra le braccia di un altro; e il suo amore, con la forza della
disperazione, gli fa trovare il modo di introdursi nella casa della sua Pastorella; vuole accertare i sentimenti
di lei e sapere qual destino gli toccherà. Vede i preparativi dell'evento che tanto teme; vede arrivare
l'indegno rivale che il capriccio di un padre oppone al suo straripante amore. Lo vede mentre trionfa,
questo ridicolo rivale, accanto all'adorabile Pastorella, che è poi una conquista che altri gli hanno
assicurato; e questa visione lo riempie d'una collera che a fatica riesce a padroneggiare. Lancia dolorosi
sguardi su colei che adora; e il suo rispetto, e la presenza del padre, gli impediscono di parlare se non con
gli occhi. Ma infine egli vince ogni costrizione e l'empito del suo amore lo costringe a parlare in questo
modo (canta):
Fillide, troppo grande è il mio patire; Duro è il silenzio, il vostro cuor m'aprite. Quale sarà mia sorte? Vivere
io dovrò? Dovrò morire?
ANGELICA risponde cantando: Voi mi vedete, Tirsi, malinconica e triste Per l'imeneo che causa in voi tema e
doglianza: Levo al cielo lo sguardo, vi contemplo e sospiro. Ho già detto abbastanza.
ARGANTE Perbacco! Non sapevo che mia figlia avesse già imparato a cantare a prima vista, e senza la
minima esitazione.
CLEANTE
Ohimè! Fillide bella, Accadrà mai che Tirsi innamorato Sia tanto fortunato D'aver sua stanza dentro al
vostro cuore?
ANGELICA Non posso più tacere in quest'ora penosa: Sì, Tirsi, vi amo.
CLEANTE
O parola meravigliosa! Ohimè! ho sentito bene?
Fillide, ripetetela! dissipate i miei dubbi.
ANGELICA Sì, Tirsi, vi amo.
CLEANTE Di grazia, Fillide, ancora.
ANGELICA Vi amo.
CLEANTE Ancora cento volte, non vi stancate mai.
ANGELICA Vi amo, vi amo, Sì, Tirsi, vi amo.
CLEANTE O numi, o re, che avete ai vostri piedi il mondo, Cos'è il contento vostro a paragon del mio? Ma,
Fillide, un pensiero or viene l'allegrezza a conturbare: Un rivale, un rivale...
ANGELICA Mi è odioso più che morte; Non v'ha pena più forte Per me come per voi che la sua vista.
CLEANTE Ma un padre vi costringe al suo desire.
ANGELICA
Oh! piuttosto morire, Che giammai consentire; Oh! sì, meglio morir, meglio morire.
ARGANTE E che dice il padre di fronte a queste dichiarazioni?
CLEANTE Non dice niente.
ARGANTE È un bel babbeo di padre, quel padre, che sopporta tutte quelle scempiaggini senza dir nulla.
CLEANTE
Amore mio...
ARGANTE No, no, basta così. È di cattivo esempio, quella commedia. Il Pastore Tirsi è uno sfrontato, e la
Pastorella Fillide una spudorata, se parla in questa maniera di fronte a suo padre. Fatemi un po' vedere il
testo. Ah! ma dove sono le parole che avete cantato? Qui ci sono soltanto delle note musicali.
CLEANTE Non sapete, Signore, che è stata inventata da poco la maniera di scrivere le note musicali con già
dentro le parole?
ARGANTE Benissimo. Servitor vostro, Signore. Arrivederci. Avremmo fatto volentieri a meno della vostra
impertinente operina.
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CLEANTE
Contavo di divertirvi.
ARGANTE Le sciocchezze non divertono nessuno. Ah! ecco mia moglie.
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