1Maggio 2010 - FLC Campania
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1Maggio 2010 - FLC Campania
1 Maggio 2010 LAVORO, LEGALITÁ E SOLIDARIETÁ: Manifestazione Nazionale a Rosarno. Partenza corteo ore 9, area dello stabilimento ex Rognetta, arrivo e comizio conclusivo dei tre Segretari generali Guglielmo EPIFANI, Raffaele BONANNI e Luigi ANGELETTI a Piazza Valarioti. Primo maggio: CGIL, CISL e UIL a Rosarno. Quest'anno la festa dei lavoratori, per CGIL, CISL e UIL, avrà come fulcro il centro della piana di Gioia Tauro, più precisamente la cittadina di Rosarno, tristemente nota nei mesi passati per essere stata teatro di violenti scontri tra la popolazione del piccolo centro calabrese e i braccianti immigrati, insorti dopo ripetuti atti di violenza ai danni di loro connazionali e per le impossibili condizioni di vita a cui sono costretti. La scelta, ovviamente, non è casuale poiché la ricorrenza del primo maggio, per quest'anno sarà incentrata, oltre che sui tradizionali temi del lavoro e dello sviluppo economico, anche su quelli dell'integrazione, cogliendo l'occasione per rilanciare da Rosarno il tema del lavoro in stretto collegamento con quelli della legalità e dell'accoglienza degli immigrati. La notizia è stata accolta con grande entusiasmo a Rosarno, come spiega il Segretario della CGIL Calabria, Sergio Genco, perchè “quella dei sindacati confederali è una decisione estremamente importante”. Secondo il dirigente sindacale la manifestazione del primo maggio sarà l'occasione per rilanciare da Rosarno temi fondamentali per lo sviluppo e il futuro “non solo per la Piana di Gioia Tauro e della Calabria, ma per l'intero Paese”. Concerto a Piazza San Giovanni, Roma. La musica protagonista dell’evento vedrà alternarsi dal palco Vinicio CAPOSSELA, Carmen CONSOLI, Irene Grandi... IL COLORE DELLE PAROLE: Anche quest’ anno a Piazza San Giovanni a Roma arriva il concerto del 1 Maggio 2010: la ventunesima edizione del “concertone” del Primo Maggio. Quest’anno sarà l’attrice italiana Sabrina Impaccciatore a condurre e a presentare i cantanti e gli artisti che si esibiranno al concerto gratuito del 1 Maggio 2010 a Roma. Sabrina Impaccciatore sarà affiancata da due grandi artiste italiane: le cantanti Irene Grandi e Camen Consoli per un “concertone” del 1 Maggio 2010 molto al femminile. Oltre alla presenza già annunciata e confermata di Irene Grandi e Carmen Consoli, al concerto del 1 Maggio 2010 a Roma ci sarà anche Vinicio Capossela come “superospite” per un esclusivo spazio musicale di 40 minuti. Confermata anche la presenza di Paolo Nutini che va ad affiancare Vinicio Capossela. Oltre ai Big (Vinicio Capossela, Carmen Consoli, Irene Grandi e Paolo Nutini), tra i 20 artisti che saliranno sul palco di Piazza San Giovanni di Roma per il Concertone del 1 Maggio 2010 è stata confermata anche la presenza di: Roy Paci & Aretuska, Simone Cristicchi, Nina Zilli e i Beautiful (band formata da Gianni Maroccolo, Cristiano Godano dei Marlene Kuntz e dal produttore scozzese Howie B). L’ organizzatore Marco Godano sta inoltre lavorando per avere sul palco del concerto del 1 Maggio di Roma anche un’orchestra sinfonica (con circa 60-70 componenti) che si esibirà intorno alle ore 20:00. Il tema artistico del concerto del 1 Maggio 2010 a Roma quest’anno sarà “Il colore delle Parole”: tema ispirato ad una famosa poesia di Eduardo De Filippo (la poesia intitolata: “E pparole”). Il concerto del 1 Maggio 2010 a Roma sarà aperto dai vincitori 2009 del concorso “Primo Maggio Tutto l’ Anno”. Saranno i Bud Spencer Blues Explosion ad esibirsi sul palco di Piazza San Giovanni dalle ore 14:50, dando il via all’ Anteprima del Concerto del 1 Maggio, con la presentazione di Paolo Belli. Per chi non riuscirà a partecipare al concerto del 1 Maggio 2010 a Roma, l’ evento sarà trasmesso in diretta Tv da Rai Tre a partire dalle ore 16:00, la diretta Tv proseguirà fino alle ore 23:10 (con la sola interruzione dell’ edizione del TG3 delle ore 19:00). Alle ore 23:35, in differita, riprenderà la trasmissione con Piazza San Giovanni fino alla conclusione del Concertone del 1 Maggio 2010 prevista dopo la mezzanotte. Per ora le anticipazioni e gli artisti annunciati e confermati per il concerto del 1 Maggio 2010 a Roma sono questi, ma la preparazione del Concertone del 1 Maggio è ancora “work in progress” e non mancheranno di certo nuove sorprese! (Dal sito web Musica blog 19 aprile 2010) La Confederazione Europea dei Sindacati (Ces) sul Primo Maggio 2010 European Trade Union Confederation (ETUC) The Voice of European Workers (English and Italian versions; translation by Cgil Campania Trade Unionists Education Office) 29/04/2010 May Day: Europe’s future cannot be based on precarious work On the occasion of International Workers’ Day, the European Trade Union Confederation (ETUC) affirms that Europe’s future cannot be based on precarious work. The main challenge facing the EU and Member State governments is to focus on the quality of employment, promote social inclusion and reduce growing inequalities, particularly in a context of globalisation that is toppling the existing economic and social order. ETUC General Secretary John Monks commented: "In this economic crisis European workers must increasingly cope with unemployment and precarious job situations, which are aggravated by the brutality of the economic crisis we are experiencing. Precarious jobs, often the only type of employment available to young people, are also spreading to segments of society that until now were not affected by this phenomenon. Inequalities are increasing as huge fortunes continue to be amassed. Precarious work cannot represent the future of the European Union. It undermines people, society and democracy. Over the longer term, we are headed towards widespread impoverishment that downgrades Europe both economically and politically." To remedy the deteriorating employment situation, the EU must develop investment policies through an EU recovery plan equivalent to 1% of Europe’s gross domestic product and designed to deliver new, innovative and job-creating industrial policies. "By investing in the longer term, Europe can safeguard the permanence of its model. The challenge is tremendous, particularly in a context of aggressive globalisation and large government deficits in Europe. But the challenge has to be met, which is why Europe has to be given sufficient resources, particularly budget resources", added John Monks. With the centre of gravity of global growth having shifted to Asia and Latin America, the ETUC calls on the European Union to develop strong industrial policies. These can no longer be based on intergovernmental cooperation, but must function on a dynamic of Community industrial coordination that transcends intra-European divisions and the perverse effects of requirements of short-term profitability for industrial investments. Investments in people are also vital. Education and training - still the best defence against long-term unemployment – must be accessible to all citizens. Vocational training and lifelong learning are vital factors for the adaptation of European workers to a constantly changing environment. The knowledge-based society offers new prospects to everyone, but to avoid creating new categories of victims of social exclusion, it must ensure that everyone can acquire the new knowledge, skills and qualifications that make it possible to remain part of the workforce in a rapidly changing labour market. As the latest working paper of the Organisation for Economic Co-operation and Development notes, the schoolto-work transition must be facilitated through a commitment by the public authorities and the business world. The quality of employment must be the objective. Quality jobs ensure a decent life and sustainable economic and social development. Active solidarity policies are also necessary to provide support for individuals and countries in difficulty, but also to stimulate activity and social cohesion. The ETUC has repeatedly called for a New Deal, a pro-active policy to produce a more sustainable economy and a system of solidarity and social justice. Focusing on slashing public spending and social protection schemes at a time when the economy still needs to be shored up is a mistake that is sure to have serious consequences. Without investments, without solidarity measures, society as a whole will be shaken. Throughout Europe, trade unions will be on the march to express their rejection of this shift towards a lowest-bidder approach to social protection and will issue a loud and clear call for solidarity and cohesion for the future of workers. Primo Maggio: il futuro dell'Europa non può essere basato sul lavoro precario In occasione della Giornata Internazionale dei Lavoratori, la Confederazione europea dei sindacati (CES) afferma che il futuro dell'Europa non può essere basato sul lavoro precario. La sfida principale per l'UE e i governi degli Stati membri è quella di concentrarsi sulla qualità del lavoro, promuovere l'inclusione sociale e ridurre le crescenti disuguaglianze, in particolare in un contesto di globalizzazione che sta facendo cadere l'ordine esistente economico e sociale. Il Segretario generale della CES John Monks ha commentato: "In questa crisi economica i lavoratori europei devono sempre più far fronte a situazioni di disoccupazione e lavoro precario, che sono aggravate dalla brutalità della crisi economica che stiamo vivendo. I posti di lavoro precari, spesso l'unico tipo di lavoro disponibile per i giovani, si stanno diffondendo anche a segmenti della società che finora non sono stati colpiti da questo fenomeno. Le disuguaglianze sono sempre più grandi così come le enormi fortune continuano ad essere accumulate. Il lavoro precario non può rappresentare il futuro dell'Unione europea. Esso mina la gente, la società e la democrazia. Nel lungo periodo, stiamo andando verso un impoverimento diffuso che declassa l'Europa sia economicamente che politicamente. " Per porre rimedio al deterioramento della situazione occupazionale, l'Unione europea deve sviluppare politiche di investimento attraverso un piano di ripresa europeo equivalente all'1% del prodotto interno lordo europeo, e progettato per offrire nuove, innovative politiche industriali creatrici di lavoro. "Investendo nel lungo periodo, l'Europa può salvaguardare la permanenza del suo modello. La sfida è enorme, soprattutto in un contesto di globalizzazione aggressiva e di disavanzi pubblici di grandi dimensioni in Europa. Ma la sfida deve essere affrontata, motivo per cui l'Europa deve essere dotata di risorse sufficienti, in particolare le risorse di bilancio", Ha aggiunto John Monks. Con il centro di gravità della crescita mondiale che si è spostato verso l'Asia e l'America Latina, la CES richiama l'Unione Europea a sviluppare forti politiche industriali. Queste non possono più essere basate sulla cooperazione intergovernativa, ma devono funzionare su un sistema dinamico di coordinamento industriale comunitario che trascende le divisioni intra-europee e gli effetti perversi dei requisiti di redditività a breve termine per investimenti industriali. Gli investimenti in persone sono anche di vitale importanza. Istruzione e formazione ancora la migliore difesa contro la disoccupazione di lunga durata - devono essere accessibili a tutti i cittadini. La formazione professionale e l'apprendimento permanente sono fattori di vitale importanza per l'adattamento dei lavoratori europei ad un ambiente in costante evoluzione. La società basata sulla conoscenza offre nuove prospettive per tutti, ma per evitare di creare nuove categorie di vittime dell’esclusione sociale, essa deve garantire che tutti possano acquisire le nuove conoscenze, competenze e qualifiche che consentono di continuare a far parte della forza lavoro in un mercato del lavoro che sta rapidamente cambiando. Come sottolinea il più recente documento di lavoro della Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo, la transizione scuola-lavoro deve essere agevolata attraverso un impegno da parte delle autorità pubbliche e il mondo delle imprese. La qualità del lavoro deve essere l'obiettivo. Offerte di lavoro di qualità garantiscono una vita dignitosa e un sostenibile sviluppo economico e sociale. Politiche di solidarietà attive sono inoltre necessarie per fornire un sostegno alle persone ed ai paesi in difficoltà, ma anche per stimolare l'attività e la coesione sociale. La CES ha ripetutamente chiesto un New Deal, una politica di sostegno per la produzione di un'economia più sostenibile e un sistema di solidarietà e giustizia sociale. Concentrarsi sulla riduzione della spesa pubblica e di protezione sociale in un momento in cui l'economia deve ancora essere puntellata è un errore che di sicuro avrà gravi conseguenze. Senza investimenti, senza misure di solidarietà, la società nel suo complesso sarà sconvolta. In tutta Europa, i sindacati manifesteranno per esprimere il loro rifiuto di questo spostamento verso un approccio al “più basso offerente” per la protezione sociale e un invito forte e chiaro per la solidarietà e la coesione per il futuro dei lavoratori. <-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-<-< Le iniziative in Campania Manifestazioni unitarie si svolgeranno in tutta la regione. Di seguito, riportiamo quelle più importanti organizzate nelle diverse province della nostra regione. Le iniziative a Salerno 1° Maggio 2010 Lavoro, legalità e solidarietà sono i temi che racchiudono la festa del lavoro che quest’anno si terrà a Rosarno, teatro nei mesi scorsi di violenti scontri tra la popolazione e braccianti migranti. I fatti di questi giorni che hanno portato all’arresto di sfruttatori e al sequestro di aziende che hanno impiegato lavoro irregolare, ci confortano di questa scelta che affronta uno dei nodi più difficili del mondo del lavoro nel nostro Paese. Le iniziative territoriali metteranno al centro del dibattito la battaglia che la CGIL sta conducendo per contrastare la controriforma del diritto e del processo del lavoro. Per la difesa del contratto nazionale e per sconfiggere il tentativo della individualizzazione del contratto stesso. Manifestazioni ed eventi del Primo Maggio in provincia di Salerno Nocera Inferiore, manifestazione con corteo e comizio. Partenza da P.zza A. Diaz ore 9,30 Penta, comizio a P.zza Municipio ore 19,30. Piaggine, comizio a P.zza Municipio, ore 19,30. Bellizzi, incontro dibattito, P.zza Giovanni XXIII, ore 19,30. Ufficio Stampa Cdlt Salerno 28 Aprile 2010 CGIL CISL UIL CASERTA 1 Maggio 2010 Lavoro-Legalità-Solidarietà Sono questi i temi che quest’anno caratterizzano la Festa del 1° Maggio. A Caserta così come a Rosarno, il 1° Maggio sarà incentrato oltre che sui tradizionali temi del lavoro e dello sviluppo economico, anche su quelli della integrazione e della Legalità. Da quest’intreccio nasce una nuova frontiera di lotta per la difesa e l’estensione dei diritti, la dignità del lavoro e la coesione sociale. CGIL CISL UIL terranno a CASERTA presso il Teatro Comunale, alle ore 9,30 una Tavola Rotonda alla quale interverranno: Dott. EZIO MONACO Prefetto di Caserta Dott. DONATO CEGLIE Magistrato Dott. TOMMASO DE SIMONE Presidente C. C. I. A. A. Caserta Ing. ANTONIO DELLA GATTA Presidente Confindustria Caserta Ing. MICHELE DI FILIPPO Presidente CONFAPI CASERTA CGIL CISL UIL di Caserta invitano tutte le Istituzioni e i cittadini a partecipare. AVELLINO 1° MAGGIO 2010 La CGIL in collaborazione con la CISL, UGL, UIL, DIOCESI DI AVELLINO Organizzano la Manifestazione del 1° Maggio 2010. INTERVENGONO I SEGRETARI GENERALI CGIL CISL UIL UGIL Vincenzo PETRUZZIELLO - Mario MELCHIONNA Franco DE FEO - Costantino VASSILIADIS IL VESCOVO DI AVELLINO S.E. Monsignor Francesco MARINO Concentramento ore 9,30 -Villa Comunale (AV) Corteo - Corso Vittorio Emanuele Comizio - Piazza Libertà Palazzo Vescovile. 1º MAGGIO 2010 Benevento LAVORO, LEGALITA’, SOLIDARIETA’ Il Sannio protagonista per arginare la crisi e sviluppare l’occupazione CGIL, CISL e UIL di Benevento invitano i cittadini Sanniti alla Festa dei lavoratori che si terrà in piazza Roma alle ore 18,00 CGIL, CISL e UIL si confrontano sulla piattaforma unitaria per il rilancio dell’occupazione nel Sannio Intervengono i segretari generali CGIL CISL UIL, le Istituzioni locali, regionali e nazionali Seguirà il concerto con SINFONIC BAND - Pratola folk del Conservatorio musicale “Nicola Sala” Benevento inizio ore 20,00 Visita l'archivio dei manifesti Stampa varia Breve storia del Primo Maggio dai siti Cgil e contributi di approfondimento storico da varie fonti Primo maggio: storia e significato di una ricorrenza A CURA DELLA CGIL DEL LAZIO Il 1° maggio nasce il 20 luglio 1889, a Parigi. A lanciare l'idea è il congresso della Seconda Internazionale, riunito in quei giorni nella capitale francese: "Una grande manifestazione sarà organizzata per una data stabilita, in modo che simultaneamente in tutti i paesi e in tutte le città, nello stesso giorno, i lavoratori chiederanno alle pubbliche autorità di ridurre per legge la giornata lavorativa a otto ore e di mandare ad effetto le altre risoluzioni del Congresso di Parigi". Poi, quando si passa a decidere sulla data, la scelta cade sul 1 maggio. Una scelta simbolica: tre anni prima infatti, il 1 maggio 1886, una grande manifestazione operaia svoltasi a Chicago, era stata repressa nel sangue. Man mano che ci si avvicina al 1 maggio 1890 le organizzazioni dei lavoratori intensificano l'opera di sensibilizzazione sul significato di quell'appuntamento. "Lavoratori - si legge in un volantino diffuso a Napoli il 20 aprile 1890 - ricordatevi il 1 maggio di far festa. In quel giorno gli operai di tutto il mondo, coscienti dei loro diritti, lasceranno il lavoro per provare ai padroni che, malgrado la distanza e la differenza di nazionalità, di razza e di linguaggio, i proletari sono tutti concordi nel voler migliorare la propria sorte e conquistare di fronte agli oziosi il posto che è dovuto a chi lavora. Viva la rivoluzione sociale! Viva l'Internazionale!". Monta intanto un clima di tensione, alimentato da voci allarmistiche: la stampa conservatrice interpreta le paure della borghesia, consiglia a tutti di starsene tappati in casa, di fare provviste, perchè non si sa quali gravi sconvolgimenti potranno accadere. Da parte loro i governi, più o meno liberali o autoritari, allertano gli apparati repressivi. In Italia il governo di Francesco Crispi usa la mano pesante, attuando drastiche misure di prevenzione e vietando qualsiasi manifestazione pubblica sia per la giornata del 1 maggio che per la domenica successiva, 4 maggio. In diverse località, per incoraggiare la partecipazione del maggior numero di lavoratori, si è infatti deciso di far slittare la manifestazione alla giornata festiva. Del resto si tratta di una scommessa dall'esito quanto mai incerto: la mancanza di un unico centro coordinatore a livello nazionale - il Partito socialista e la Confederazione generale del lavoro sono di là da venire - rappresenta un grave handicap dal punto di vista organizzativo. Non si sa poi in che misura i lavoratori saranno disposti a scendere in piazza per rivendicare un obiettivo, quello delle otto ore, considerato prematuro da gran parte dei dirigenti del movimento operaio italiano o per testimoniare semplicemente una solidarietà internazionale di classe. Proprio per questo la riuscita del 1 maggio 1890 costituisce una felice sorpresa, un salto di qualità del movimento dei lavoratori,che per la prima volta dà vita ad una mobilitazione su scala nazionale, per di più collegata ad un'iniziativa di carattere internazionale. In numerosi centri, grandi e piccoli, si svolgono manifestazioni, che fanno registrare quasi ovunque una vasta partecipazione di lavoratori. Un episodio significativo accade a Voghera, dove gli operai, costretti a recarsi al lavoro, ci vanno vestiti a festa. "La manifestazione del 1 maggio - commenta a caldo Antonio Labriola - ha in ogni caso superato di molto tutte le speranze riposte in essa da socialisti e da operai progrediti. Ancora pochi giorni innanzi, la opinione di molti socialisti, che operano con la parola e con lo scritto, era alquanto pessimista". Anche negli altri paesi il 1 maggio ha un'ottima riuscita: "Il proletariato d'Europa e d'America - afferma compiaciuto Fiedrich Engels - passa in rivista le sue forze mobilitate per la prima volta come un solo esercito. E lo spettacolo di questa giornata aprirà gli occhi ai capitalisti". Visto il successo di quella che avrebbe dovuto essere una rappresentazione unica, viene deciso di replicarla per l'anno successivo. Il 1 maggio 1891 conferma la straordinaria presa di quell'appuntamento e induce la Seconda Internazionale a rendere permanente quella che, da lì in avanti, dovrà essere la "festa dei lavoratori di tutti i paesi". Tra Ottocento e Novecento Inizia così la tradizione del 1 maggio, un appuntamento al quale il movimento dei lavoratori si prepara con sempre minore improvvisazione e maggiore consapevolezza. L'obiettivo originario delle otto ore viene messo da parte e lascia il posto ad altre rivendicazioni politiche e sociali considerate più impellenti. La protesta per le condizioni di miseria delle masse lavoratrici anima le manifestazioni di fine Ottocento. Il 1 maggio 1898 coincide con la fase più acuta dei "moti per il pane", che investono tutta Italia e hanno il loro tragico epilogo a Milano. Nei primi anni del Novecento il 1 maggio si caratterizza anche per la rivendicazione del suffraggio universale e poi per la protesta contro l'impresa libica e contro la partecipazione dell'Italia alla guerra mondiale. Si discute intanto sul significato di questa ricorrenza: giorno di festa, di svago e di divertimento oppure di mobilitazione e di lotta ? Un binomio, questo di festa e lotta, che accompagna la celebrazione del 1 maggio nella sua evoluzione più che secolare, dividendo i fautori dell'una e dell'altra caratterizzazione. Qualcuno ha inteso conciliare gli opposti, definendola una "festa ribelle", ma nei fatti il 1 maggio è l'una e l'altra cosa insieme, a seconda delle circostanze più lotta o più festa. Il 1 maggio 1919 i metallurgici e altre categorie di lavoratori possono festeggiare il conseguimento dell'obiettivo originario della ricorrenza: le otto ore. Il ventennio fascista Nel volgere di due anni però la situazione muta radicalmente: Mussolini arriva al potere e proibisce la celebrazione del 1 maggio. Durante il fascismo la festa del lavoro viene spostata al 21 aprile, giorno del cosiddetto Natale di Roma; così snaturata, essa non dice più niente ai lavoratori, mentre il 1 maggio assume una connotazione quanto mai "sovversiva", divenendo occasione per esprimere in forme diverse - dal garofano rosso all'occhiello alle scritte sui muri, dalla diffusione di volantini alle bevute in osteria - l'opposizione al regime. Dal dopoguerra a oggi All'indomani della Liberazione, il 1 maggio 1945, partigiani e lavoratori, anziani militanti e giovani che non hanno memoria della festa del lavoro, si ritrovano insieme nelle piazze d'Italia in un clima di entusiasmo. Appena due anni dopo il 1 maggio è segnato dalla strage di Portella della Ginestra, dove gli uomini del bandito Giuliano fanno fuoco contro i lavoratori che assistono al comizio. Nel 1948 le piazze diventano lo scenario della profonda spaccatura che, di lì a poco, porterà alla scissione sindacale. Bisognerà attendere il 1970 per vedere di nuovo i lavoratori di ogni tendenza politica celebrare uniti la loro festa. Le trasformazioni sociali, il mutamento delle abitudini ed anche il fatto che al movimento dei lavoratori si offrono altre occasioni per far sentire la propria presenza, hanno portato al progressivo abbandono delle tradizionali forme di celebrazione del 1 maggio. Oggi un'unica grande manifestazione unitaria esaurisce il momento politico, mentre il concerto rock che da qualche anno Cgil, Cisl e Uil organizzano per i giovani sembra aderire perfettamente allo spirito del 1 maggio, come lo aveva colto nel lontano 1903 Ettore Ciccotti: "Un giorno di riposo diventa naturalmente un giorno di festa, l'interruzione volontaria del lavoro cerca la sua corrispondenza in una festa de'sensi; e un'accolta di gente, chiamata ad acquistare la coscienza delle proprie forze, a gioire delle prospettive dell'avvenire, naturalmente è portata a quell'esuberanza di sentimento e a quel bisogno di gioire, che è causa ed effetto al tempo stesso di una festa". Nota curata da: Giuseppe Sircana cgil Lazio STORIA DEL 1° MAGGIO (DAL SITO WEB DELLA CGIL LOMBARDIA) Il 1° Maggio nasce come momento di lotta internazionale di tutti i lavoratori, senza barriere geografiche, né tanto meno sociali, per affermare i propri diritti, per raggiungere obiettivi, per migliorare la propria condizione. "Otto ore di lavoro, otto di svago, otto per dormire" fu la parola d'ordine, coniata in Australia nel 1855, e condivisa da gran parte del movimento sindacale organizzato del primo Novecento. Si aprì così la strada a rivendicazioni generali e alla ricerca di un giorno, il primo Maggio, appunto, in cui tutti i lavoratori potessero incontrarsi per esercitare una forma di lotta e per affermare la propria autonomia e indipendenza. La storia del primo Maggio rappresenta, oggi, il segno delle trasformazioni che hanno caratterizzato i flussi politici e sociali all'interno del movimento operaio dalla fine del secolo scorso in poi. Le origini Dal congresso dell'Associazione internazionale dei lavoratori - la Prima Internazionale - riunito a Ginevra nel settembre 1866, scaturì una proposta concreta: "otto ore come limite legale dell'attività lavorativa". A sviluppare un grande movimento di lotta sulla questione delle otto ore furono soprattutto le organizzazioni dei lavoratori statunitensi. Lo Stato dell'Illinois, nel 1866, approvò una legge che introduceva la giornata lavorativa di otto ore, ma con limitazioni tali da impedirne l'estesa ed effettiva applicazione. L'entrata in vigore della legge era stata fissata per il 1 Maggio 1867 e per quel giorno venne organizzata a Chicago una grande manifestazione. Diecimila lavoratori diedero vita al più grande corteo mai visto per le strade della città americana. Nell'ottobre del 1884 la Federation of Organized Trades and Labour Unions indicò nel 1 Maggio 1886 la data limite, a partire dalla quale gli operai americani si sarebbero rifiutati di lavorare più di otto ore al giorno. 1886: I "martiri di Chicago" Il 1 Maggio 1886 cadeva di sabato, allora giornata lavorativa, ma in dodicimila fabbriche degli Stati Uniti 400 mila lavoratori incrociarono le braccia. Nella sola Chicago scioperarono e parteciparono al grande corteo in 80 mila. Tutto si svolse pacificamente, ma nei giorni successivi scioperi e manifestazioni proseguirono e nelle principali città industriali americane la tensione si fece sempre più acuta. Il lunedì la polizia fece fuoco contro i dimostranti radunati davanti ad una fabbrica per protestare contro i licenziamenti, provocando quattro morti. Per protesta fu indetta una manifestazione per il giorno dopo, durante la quale, mentre la polizia si avvicinava al palco degli oratori per interrompere il comizio, fu lanciata una bomba. I poliziotti aprirono il fuoco sulla folla. Alla fine si contarono otto morti e numerosi feriti. Il giorno dopo a Milwaukee la polizia sparò contro i manifestanti (operai polacchi) provocando nove vittime. Una feroce ondata repressiva si abbatté contro le organizzazioni sindacali e politiche dei lavoratori, le cui sedi furono devastate e chiuse e i cui dirigenti vennero arrestati. Per i fatti di Chicago furono condannati a morte otto noti esponenti anarchici malgrado non ci fossero prove della loro partecipazione all'attentato. Due di loro ebbero la pena commutata in ergastolo, uno venne trovato morto in cella, gli altri quattro furono impiccati in carcere l'11 novembre 1887. Il ricordo dei "martiri di Chicago" era diventato simbolo di lotta per le otto ore e riviveva nella giornata ad essa dedicata: il 1 Maggio. 1890: 1 maggio, per la prima volta manifestazione simultanea in tutto il mondo Il 20 luglio 1889 il congresso costitutivo della Seconda Internazionale, riunito a Parigi, decise che "una grande manifestazione sarebbe stata organizzata per una data stabilita, in modo che simultaneamente i tutti i paesi e in tutte le città, i lavoratori avrebbero chiesto alle pubbliche autorità di ridurre per legge la giornata lavorativa a otto ore". La scelta cadde sul primo Maggio dell'anno successivo, appunto per il valore simbolico che quella giornata aveva assunto. In Italia come negli altri Paesi il grande successo del 1 Maggio, concepita come manifestazione straordinaria e unica, indusse le organizzazioni operaie e socialiste a rinnovare l'evento anche per 1891. Nella capitale la manifestazione era stata convocata in pazza Santa Croce in Gerusalemme, nel pressi di S.Giovanni. La tensione era alta, ci furono tumulti che provocarono diversi morti e feriti e centinaia di arresti tra i manifestanti. Nel resto d'Italia e del mondo la replica del 1 Maggio ebbe uno svolgimento più tranquillo. Lo spirito di quella giornata si stava radicando nelle coscienze dei lavoratori. 1891: la festa dei lavoratori diventa permanente Nell'agosto del 1891 il II congresso dell'Internazionale, riunito a Bruxelles, assunse la decisione di rendere permanente la ricorrenza. D'ora in avanti il 1 Maggio sarebbe stato la "festa dei lavoratori di tutti i paesi, nella quale i lavoratori dovevano manifestare la comunanza delle loro rivendicazioni e della loro solidarietà". Il primo maggio durante il fascismo Nel nostro Paese il fascismo decise la soppressione del 1 Maggio, che durante il ventennio fu fatto coincidere il con la celebrazione del 21 aprile, il cosiddetto Natale di Roma. Mentre la festa del lavoro assume una connotazione quanto mai "sovversiva", divenendo occasione per esprimere in forme diverse (dal garofano rosso all'occhiello, alle scritte sui muri, dalla diffusione di volantini alla riunione in osteria) l'opposizione al regime. Il 1 Maggio tornò a celebrarsi nel 1945, sei giorno dopo la liberazione dell'Italia. 1947: L'eccidio di Portella della Ginestra La pagina più sanguinosa della festa del lavoro venne scritta nel 1947 a Portella della Ginestra, dove circa duemila persone del movimento contadino si erano date appuntamento per festeggiare la fine della dittatura e il ripristino delle libertà, mentre cadevano i secolari privilegi di pochi, dopo anni di sottomissione a un potere feudale. La banda Giuliano fece fuoco tra la folla, provocando undici morti e oltre cinquanta feriti. La Cgil proclamò lo sciopero generale e puntò il dito contro "la volontà dei latifondisti siciliani di soffocare nel sangue le organizzazioni dei lavoratori". La strage di Portella delle Ginestre, secondo l'allora ministro dell'Interno, Mario Scelba, chiamato a rispondere davanti all'Assemblea Costituente, non fu un delitto politico. Ma nel 1949 il bandito Giuliano scrisse una lettera ai giornali e alla polizia per rivendicare lo scopo politico della sua strage. Il 14 luglio 1950 il bandito fu ucciso dal suo luogotenente, Gaspare Pisciotta, il quale a sua volta fu avvelenato in carcere il 9 febbraio del 1954 dopo aver pronunciato clamorose rivelazioni sui mandanti della strage di Portella. Il primo Maggio oggi Le profonde trasformazioni sociali, il mutamento delle abitudini, la progressiva omogeneizzazione delle abitudini hanno profondamente cambiato il significato di una ricorrenza che aveva sempre esaltato la distinzione della classe operaia. Il modo di celebrare il 1 maggio è quindi cambiato nel corso degli anni. Da diversi anni Cgil, Cisl, Uil hanno scelto di celebrare la giornata del 1 Maggio promovendo una manifestazione nazionale dedicata ad uno specifico tema. E' diventato un appuntamento anche il tradizionale concerto rock che i sindacati confederali organizzano in piazza San Giovanni a Roma Storia del Primo Maggio di Francesco Renda, Ediesse 2009 Prefazione di Guglielmo Epifani «Spezza il tuo bisogno e la tua paura di essere schiavo, il pane è libertà, la libertà è pane». Nel 1978 Luciano Lama, nella prefazione al volume di Massimo Massara, Claudio Schirinzi e Maurilio Sioli Storia del primo maggio, indicava nei versi di Albert R. Parsons, dirigente di primo piano del sindacalismo statunitense, «la definizione più pura e più universale del significato del Primo Maggio». In effetti, le parole proclamate da uno dei «martiri di Chicago», di fronte ad un tribunale che lo condannava all’impiccagione per essere stato a capo del movimento per le otto ore, racchiudono il senso che ancora oggi, a centoventitré anni di distanza da quel drammatico 1° maggio 1886, comunemente attribuiamo alla festa internazionale del lavoro: una celebrazione che per oltre un secolo, da quando venne istituita nel 1889, ha ribadito i valori della pace, della fratellanza e della solidarietà internazionale, del progresso sociale ed economico, della lotta per l’emancipazione e contro lo sfruttamento dei lavoratori, che rappresentano il patrimonio culturale e civile del movimento operaio. Dobbiamo ancora una volta essere grati a Francesco Renda per avere messo a disposizione di tutti noi la sua competenza scientifica e la sua sensibilità umana, con l’obiettivo di ricostruire in modo rigoroso e puntuale le vicende storiche sviluppatesi intorno alla Festa del lavoro, dalle origini ad oggi. E siamo completamente d’accordo con lui quando definisce tale ricorrenza «la più bella e la più valida invenzione del movimento operaio». La nostra storia, la storia ultracentenaria del sindacato e della Confederazione generale italiana del lavoro, accompagna, si affianca e si intreccia in modo indissolubile con le vicende narrate nel libro di Renda. Perché il 1° maggio non è soltanto una festa, ma è anche un momento di rivendicazione e di lotta (le otto ore nel 1886); ed anche il sindacato, che nasce proprio in quegli anni con le leghe di resistenza, si impone come soggetto conflittuale, che lotta contro la drammatica condizione operaia delle origini, fatta di orari massacranti, salari irrisori, sfruttamento minorile e femminile, ambienti lugubri e malsani, ritmi produttivi sfibranti. Il 1° maggio, però, non è soltanto una festa dei lavoratori e dei loro sindacati. Esso si è sempre configurato come una celebrazione «aperta» ad altre realtà politiche quali partiti, associazioni, movimenti. Tale aspetto non è mai venuto meno nel tempo. Non venne meno nei primi anni di celebrazioni, quando il macrocosmo socialista composto dal partito, dalle cooperative, dai municipi, dalle case del popolo, fu al fianco delle nostre camere del lavoro, e più tardi della Confederazione. Ancora oggi l’evento presenta caratteri spiccatamente politici. Basti guardare i «titoli» delle giornate di mobilitazione organizzate negli ultimi anni – la difesa della Costituzione e della legalità, la lotta alle mafie, le questioni dello sviluppo, l’invocazione della sicurezza e della salute dei lavoratori; ebbene, su questi temi sono chiamati a dare un contributo rilevante quegli stessi partiti, associazioni e movimenti che fanno del lavoro il fondamento della loro azione. Purtroppo, la storia – anche quella del 1° maggio – ci insegna che il cammino è stato, è e sarà tortuoso, difficile, irto di ostacoli; che le conquiste, una volta ottenute, vanno difese con la forza, con la lotta, con il diritto; che la violenza, praticata sia in forma aperta ed esplicita sia in modo subdolo e sotterraneo, è sempre in agguato, soprattutto in Italia. Nel 1890, l’anno nel quale milioni di lavoratori di ogni parte del mondo celebravano per la prima volta la loro festa, in Italia questa veniva contrastata con la repressione; l’anno seguente, nonostante qualche piccola apertura del governo (la possibilità di tenere i comizi, ma non i cortei), la violenza provocava i primi morti, i nostri primi «martiri »: tre manifestanti furono uccisi, insieme a una guardia e un carabiniere, nella manifestazione di Santa Croce in Gerusalemme a Roma. La storia successiva conobbe un andamento altalenante. Nell’età giolittiana le manifestazioni presero a diffondersi senza tensioni, ma durante la prima guerra mondiale esse tornarono ad essere vietate. Nel «biennio rosso» ripresero più ampie e incisive, ma poi il fascismo, appena giunto al potere in modo sanguinario e liberticida, volle cancellare la festività, sostituendola con il 21 aprile, «Natale di Roma». Il 1° maggio 1945 fu una giornata straordinaria per l’Italia, ad appena una settimana di distanza dall’altro evento fondamentale della storia nazionale, il 25 aprile. In tal modo si venne a creare quel nesso indissolubile tra antifascismo, democrazia e Repubblica che quindici anni più tardi, il 1° maggio 1960, i lavoratori furono nuovamente costretti a difendere dalle provocazioni del Governo Tambroni, sostenuto dai voti decisivi del Msi. Altre celebrazioni furono «storiche»: quella drammatica del 1947, quando a Portella della Ginestra la banda di Salvatore Giuliano, aiutata dagli agrari e dalla mafia del luogo, con la complicità di settori deviati delle istituzioni locali e nazionali, sparò sulla folla inerme di contadini e braccianti, causando ben undici vittime innocenti; la celebrazione del 1955, quando anche le Acli, con la benedizione del papa, poterono festeggiare il loro «1° maggio cristiano»; l’evento del 1968, quando in molte piazze italiane tantissimi giovani del movimento studentesco vollero affiancarsi ai lavoratori, per essere «uniti nella lotta»; infine il 1° maggio 1971, quando per la prima volta i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil – Luciano Lama, Bruno Storti e Raffaele Vanni – parlarono in tre diverse piazze (di Roma, Milano e Terni), ciascuno a nome non solo della sua organizzazione, ma anche della altre due. Oggi, per rispondere alle sollecitazioni che Renda solleva nell’ultima parte del suo volume, in una fase di profonda crisi economica e di negative divisioni sindacali, occorre agire in modo ancora più deciso che in passato per rilanciare il 1° maggio quale simbolo del valore sociale del lavoro, di quel lavoro che oltre sessant’anni fa i costituenti vollero mettere a fondamento della Repubblica democratica. A tale proposito, una delle proposte che egli suggerisce, quella cioè di fare del 1° maggio anche un momento di bilancio, a livello nazionale e locale, di quanto ottenuto e di quanto perduto nei precedenti dodici mesi, aggiungerebbe al momento della celebrazione anche quello della riflessione, ponderata e partecipata, che finirebbe per alimentare il tessuto vitale delle nostre strutture, a qualsiasi livello e in ogni territorio. Più che una fondazione ad hoc o l’ennesimo organismo nazionale, penso che una scelta positiva possa essere fatta attraverso l’istituzione di un coordinamento annuale delle fondazioni, con il compito di organizzare eventi collaterali, di preparare approfondimenti di studio e di ricerca, di sollecitare nuove iniziative sul 1° maggio. Alle realtà importanti citate da Renda (le Fondazioni Brodolini, Di Vittorio, Pastore e Turati) aggiungerei anche altre fondazioni impegnate sui temi del lavoro (Gramsci, Basso, Buozzi, Feltrinelli, Nocentini, Micheletti, Sabattini, Metes e tante altre). In questo modo uscirebbe rafforzato un elemento decisivo della nostra storia: la tensione unitaria tra le diverse culture e componenti, non slegata dal riconoscimento della pluralità ideale e organizzativa del movimento operaio italiano. Quanto all’impegno di diffondere le iniziative anche nei centri «minori» o in alcuni «luoghi simbolo», penso che i recenti appuntamenti di Scampia e di Locri sono lì a confermare la sensibilità delle Confederazioni sui problemi strutturali del nostro paese. Vorrei chiudere queste brevi note con le parole di due «padri nobili » della nostra cultura sindacale e politica. Antonio Gramsci, in un articolo scritto il 1° maggio 1918 sul settimanale socialista «Il grido del popolo», ci ha lasciato una bellissima definizione di questa straordinaria giornata: «è il convegno del mondo, dei lavoratori di tutto il mondo, è un momento della vita mondiale, è una anticipazione, nell’attualità, di ciò che dovrà essere la vita della società futura: comunione universale dello spirito umano». E Giuseppe Di Vittorio, nell’editoriale scritto per «l’Unità», poche ore prima della terribile strage di Portella, scriveva: «Ritorna il 1° maggio, il giorno della celebrazione del Lavoro. Ogni anno esso acquista un significato nuovo, che segna le tappe successive dell’evoluzione sociale. […] «Incrociando le braccia nello stesso giorno, i lavoratori del mondo intero, danno un senso più elevato e più diretto al patto della loro solidarietà, al di sopra di tutte le frontiere di Stati, di razze o di religione, e s’impegnano a lottare uniti per la pace, per la democrazia, per la libertà, per l’indipendenza nazionale dei popoli. […] «Essi riaffermano la propria volontà di unire sempre più i loro sforzi per la ricostruzione economica del Paese e per il consolidamento e lo sviluppo della democrazia e della Repubblica; per l’attuazione delle riforme sociali che il popolo attende; per migliorare ed elevare gradualmente il loro tenore di vita; per ottenere una condizione più umana per i pensionati; per dare utile lavoro ai disoccupati; per conquistare i nuovi diritti del lavoro e un più alto livello di benessere e di civiltà per tutto il popolo. «E noi abbiamo la forza, compagni lavoratori, per raggiungere i nostri obiettivi di liberazione dal bisogno, di emancipazione sociale e rinascita nazionale». Il 1° maggio 1890 - capitolo n. 7 di F. Renda «Oggi il proletariato d’Europa e d’America passa in rivista le sue forze mobilitate per la prima volta come un solo esercito, sotto una sola bandiera, per un solo fine prossimo, la giornata lavorativa normale di 8 ore, proclamata già nel congresso di Ginevra dell’Internazionale del 1866 e di nuovo nel Congresso operaio di Parigi nel 1889 da introdursi per legge. Oggi i proletari di tutti i paesi si sono effettivamente uniti. Fosse Marx accanto a me a vederlo coi suoi occhi!». Engels quel giorno si trova a Londra, e la festa del 1° maggio in quella città si sarebbe celebrata il 4 maggio. Perciò è dedito a scrivere la prefazione alla seconda edizione del Manifesto del Partito Comunista del 1848. Anche quel fatto letterario fa quindi parte della grande manifestazione operaia mondiale, svoltasi quasi ovunque con successo maggiore di quanto previsto o sperato. I governi e la borghesia avevano temuto di peggio e alla celebrazione del 1° maggio si erano preparati come se andassero alla guerra. E poiché il nemico da combattere era in casa avevano predisposto divieti e proibizioni e instaurato, ove più ove meno, lo stato di assedio o qualcosa che fin troppo gli rassomigliava. I divieti e le proibizioni più severi erano stati decisi in Francia. La capitale francese avrebbe dovuto celebrare la giornata con la solennità dovuta. Da qui era partito il movimento nel 1889. A cose fatte, invece, del programma previsto fu realizzato ben poco. I socialisti avevano deciso che il 1° maggio non sarebbe stato giorno di sciopero, ma di manifestazioni, cortei e comizi, nonché di presentazione solenne di petizioni alle pubbliche autorità. Il movimento operaio non era stato tutto concorde e soprattutto ne avevano dissentito gli anarchici”. Quella mancanza di unità non rimase senza effetti. Il primo fu lo sciopero, dai socialisti non programmato. A deciderlo furono gli operai fuochisti e gasisti del dipartimento della Senna. Allo sciopero si aggiunsero gli assembramenti. Alle quattro pomeridiane un folto gruppo di dimostranti, proveniente da place de la Concorde, fece mostra di avviarsi all’Eliseo. La polizia cercò di opporvisi, i dimostranti resistettero, si fece ricorso alle armi. Molti feriti, numerosi arresti. Una delegazione, composta da tre deputati, due consiglieri comunali e sei delegati operai, superando numerosi ostacoli opposti dalle forze dell’ordine, alle due pomeridiane giunse alla Camera dei deputati. Una folla numerosa sostava nelle vicinanze di place de la Concorde. Il presidente della Camera rifiutò di accogliere la delegazione per intero e ricevette soltanto i tre deputati, i quali consegnarono la petizione predisposta per l’occasione. Nel frattempo una folla numerosa continuava a stazionare nelle vicinanze della Camera. A nessuna altra delegazione fu consentito di portare petizioni all’Eliseo e al Ministero dell’Interno. Per ordine del presidente del Consiglio, fu impedito persino che i consiglieri comunali potessero ricevere petizioni. Il prefetto della Senna s’installò pertanto all’Hotel de Ville, sede del Consiglio comunale, bloccandone tutte le entrate. I consiglieri protestarono, ma all’Hotel de Ville non venne accolta delegazione alcuna. Non fu ammesso neanche che in place de la Republique sostasse pacifica una massa di gente. La polizia intervenne e la fece sfollare. La festa fu impedita in ogni modo. Non si fecero cortei, non ci furono bandiere e bande musicali, non si tennero discorsi, non furono consegnate alle autorità le predisposte petizioni. Altra capitale europea con situazione simile a quella parigina fu Roma. La città venne letteralmente occupata da poliziotti, carabinieri, corpi dell’esercito e squadroni di cavalleria. Il tutto era stato disposto per fronteggiare ogni tentativo rivoluzionario. A infondere siffatto timore era stato il governo, e gran parte della popolazione ci aveva creduto. Il 1° maggio, pertanto, la città fu in stato di assedio o quantomeno in una condizione molto simile. Gli anarchici tuttavia non ne furono intimiditi. Circa 200 operai si riunirono a Testaccio ma vennero sciolti. Si riunirono di nuovo nei pressi, ma furono dispersi dalla cavalleria. Si riversarono nel corso e contro di loro furono mandate le truppe che li dispersero e per resistenza alla forza pubblica effettuarono 14 arresti. Altri 500 operai si assemblarono alla Porta Trionfale e 300 in piazza Vittorio Emanuele. Vennero sciolti dalla cavalleria. E sempre per resistenza furono effettuati altri arresti. Completamente diversa la giornata del 1° maggio a Vienna. Anche nella capitale austriaca nei giorni precedenti si era diffuso il timore della violenza indiscriminata e persino della rivoluzione. Molte famiglie pertanto si erano allontanate dalla città o si erano preparate a restare chiuse nelle loro case. Il governo a sua volta aveva disposto misure di rigore ma poi in realtà non vi fece ricorso. Vienna divenne infatti la città simbolo del 1° maggio 1890. Consenziente il governo, la manifestazione pubblica si tenne al Prater, il grande parco cittadino. Alla passeggiata cominciata a mezzogiorno presero parte 40.000 operai. Non meno imponenti furono le riunioni; se ne tennero 63, in ognuna delle quali si votò la risoluzione delle otto ore. Fu anche stampata una cartolina postale celebrativa del 1° maggio diffusa in tutto il paese mediante la posta. Altri punti nevralgici furono Budapest, Praga e diverse località industriali e minerarie. In pratica, il 1° maggio lo sciopero fu generale in tutto l’impero degli Asburgo. Ma insieme allo sciopero la giornata venne celebrata con le passeggiate, con i comizi, con i meeting. A Praga vi fu la passeggiata di 13 mila operai recatisi in corteo al grande comizio. L’ordine venne controllato dagli organizzatori in uniforme blu-blu, cravatta rossa e larghi cappelli tipici dei socialisti. A Budapest un meeting di circa 50.000 persone approvò le decisioni del congresso di Parigi. In Germania i capi socialisti avevano invitato gli operai a celebrare il 1° maggio senza scioperi e pubbliche manifestazioni. Tutto si svolse come da loro disposto. Nondimeno, era pure influente il movimento anarchico e non poche delle manifestazioni di sciopero furono da addebitare alla sua influenza. Nonostante le misure adottate dalle autorità e dagli imprenditori, circa 200.000 lavoratori parte anarchici e parte socialisti si astennero dal lavoro. Ad Amburgo e a Monaco lo sciopero fu abbastanza generalizzato. A Darmstadt, Dresda, Francoforte sul Meno, Lipsia e altre città scioperarono minoranze valutabili intorno al dieci per cento. Di fatto, non vi fu alcuna città nella quale il 1° maggio non venisse celebrato o con lo sciopero o con riunioni nelle sedi sociali o con passeggiate che aggiravano il divieto di effettuare dimostrazioni. A Berlino, 2.000 operai, riuniti presso la Porta chiamata Rosenthal, fecero una passeggiata fino alla Alexanderplaz, e non vi fu intervento della polizia. In Svizzera, a Zurigo e a Basilea si tennero manifestazioni con 34.000 operai; con 500-1.000 operai a Losanna, San Gallo, Berna e Ginevra. A Londra per il 1° maggio non erano previste manifestazioni ufficiali, fissate per domenica 4 maggio. Le poche che vi si tennero, in dissenso con le Trade Unions e con i socialisti marxisti, furono di scarsissimo rilievo. Il corteo socialista di William Morris non raccolse in Hyde Park più di 1.500 persone. A Bruxelles una dimostrazione di 10.000 operai percorse la città con cartelli che reclamavano la giornata nazionale di otto ore di lavoro. Nei bacini carboniferi del Belgio numerosi cortei preceduti da bandiere rosse e bande musicali percorsero le strade dei vari paesi reclamando la giornata di otto ore e cantando la Marsigliese. A Liegi un corteo di 8.000 operai attraversò le vie della città con musiche e bandiere rosse cantando anch’esso la Marsigliese. In Olanda, assemblee operaie per la riduzione della giornata di lavoro a otto ore si tennero ad Amsterdam e a Rotterdam. Per l’occasione si pubblicò anche un numero unico celebrativo del 1° maggio. In Polonia, Varsavia partecipò con una manifestazione di 3.000 operai. Fu a sua volta di 5.000 operai la manifestazione che si tenne a Bucarest, però non il giovedì 1° maggio ma la domenica 4 maggio. Gli operai sfilarono per le strade e si diressero al giardino Trocadero ove tennero una grande assemblea. La giornata del 1° maggio in Spagna fu del tutto particolare perché caratterizzata dagli anarchici che decisero di intervenirvi in forza con la promozione dello sciopero generale nelle principali località industriali e minerarie del paese. La manifestazione a Madrid si svolse pacificamente. Gli anarchici furono assenti. L’adunanza dei lavoratori era grandiosa. Dopo i comizi, una delegazione, seguita da oltre 20.000 persone, si recò alla sede del governo per presentare la risoluzione approvata dal Congresso socialista di Parigi. La delegazione venne accolta dal presidente del Consiglio. Tutto diverso il clima di Barcellona ove, malgrado il divieto delle autorità, si svolse una grande manifestazione, per sciogliere la quale intervennero squadroni di cavalleria senza riuscire a disperderla. I manifestanti infatti resistettero alla carica. Oltre alla manifestazione, promossero anche lo sciopero generale organizzando un corteo con 100.000 partecipanti. Perduto il controllo della situazione, le autorità proclamarono la legge marziale. In Italia il grosso delle manifestazioni si svolse nelle regioni del Centro e del Nord. A Milano la situazione fu conforme alle direttive impartite dal Consolato operaio. Verso le nove del mattino un grosso raggruppamento fece ingresso nella Galleria Vittorio Emanuele II. Intervenne la polizia e il raggruppamento si sciolse senza intimazioni. Verso le tre di pomeriggio un numeroso assembramento si raccolse sulle gradinate del Duomo. Seguì l’intervento della forza pubblica. A Torino, come deciso dalle associazioni, gli operai non si astennero dal lavoro. Verso le ore 11 del mattino, tuttavia, operai disoccupati fecero scioperare le operaie del cotonificio Roma. Poi alle prime ore della sera si formarono assembramenti in Piazza dello Statuto. Intervenne la truppa per disperderli, ma gli operai fecero resistenza tirando colpi di revolver e di sassi. Alla fine, dispersi, furono effettuati dieci arresti. Conferenze, petizioni, ordini del giorno, astensioni dal lavoro si registrarono a Varese, Alessandria, Bra, Asti, Savona, Pavia, Cremona. A Voghera gli operai, costretti a recarsi al lavoro, si presentarono nella fabbrica vestiti a festa. A Ravenna i negozi furono chiusi con iscritto sulla porta «Festa proletaria internazionale». A Faenza, una commissione di operai si recò dalla Giunta municipale per chiedere lavoro. A Cesena, Castrocaro, Bagnacavallo ci furono manifestazioni, conferenze, petizioni, delegazioni al Comune, votazione di ordini del giorno affermanti la solidarietà ai lavoratori di tutto il mondo. A Lugo nella mattinata si adunò un assembramento davanti a un istituto scolastico. A Sant’Arcangelo di Romagna gli operai si astennero dal lavoro e a mezzogiorno si tenne una conferenza nella sala del municipio ove intervennero 300 operai. Furono votati ordini del giorno con i quali si espresse solidarietà alla manifestazione internazionale dei lavoratori e si chiese lavoro alle autorità e ai cittadini di cuore. A Parma furono pochissimi gli operai che si astennero dal lavoro. Nella sala Mazzini si tennero tuttavia tre conferenze, A Rimini circa 1.000 persone intervennero a una conferenza in locale non aperto al pubblico. Pochi e brevissimi i discorsi. Venne votato un ordine del giorno affermante l’unione mondiale dei lavoratori. Conforme alla richiesta della commissione operaia, i negozi restarono chiusi con la scritta «Chiuso per la festa mondiale». I sodalizi radicali issarono le bandiere nelle rispettive sedi sociali. A Forlì il Circolo Mazzini pubblicò un manifesto affermante la solidarietà del Partito alla dimostrazione operaia. A Bologna alle due del pomeriggio si tenne una assemblea affollatissima nella società operaia. Indi, si diede inizio alla dimostrazione la quale, partendo dalla società operaia, percorse via del Cavaliere, Mercato di Mezzo, Spadario e piazza Vittorio Emanuele. La manifestazione fu sciolta dalla truppa che occupò le adiacenze di piazza Vittorio Emanuele. Non vi furono incidenti. Ma la violazione del divieto governativo era clamorosa. Seguirono una trentina di arresti, A Firenze i negozi furono chiusi alle 10 antimeridiane. Alcune associazioni si adunarono al Foro Boario ma vennero disperse dalla truppa. A Livorno un tentativo di manifestazione fu immediatamente represso. A Pisa furono sciolti vari assembramenti. A Grosseto la polizia arrestò quattro noti anarchici per incitamento allo sciopero e ai disordini. A Napoli, la manifestazione si tenne dopo mezzogiorno in piazza Mercato. I negozi furono chiusi. Chiusero anche vari opifici meccanici. La manifestazione fu sciolta con la forza e la polizia procedette all’arresto di 70 lavoratori a norma degli articoli 247 e 251 del codice penale. Tutto normale a Genova. Mantova, Verona, Venezia e Vicenza. A Monza fu sciolto un assembramento di poco rilievo. Nel pomeriggio una riunione di operai in sede privata votò un ordine del giorno di solidarietà coi lavoratori di tutto il mondo e di augurio per la riduzione della giornata di lavoro A Como, negozi chiusi o semichiusi. Fuori Porta della Torre una dimostrazione di 300 operai fu sciolta dalla polizia. A San Pier d’Arena, a Biella, a Lodi, Modena, Brescia ed Ancona gli operai furono tutti al lavoro. A Palermo, in piazza Vigliena, ossia ai Quattro Canti, centro nevralgico della città, si riunirono 300 persone capitanate da un ope89 raio con un fazzoletto rosso che gridava «pane e lavoro». L’assembramento fu sciolto dalle forze dell’ordine. Impressionante lo schieramento di poliziotti, di carabinieri e di truppa. Gli arrestati furono più di trenta, processati per direttissima. A Catania una riunione ebbe luogo nei locali dei Figli del lavoro. De Felice-Giuffrida con un centinaio di persone si recò quindi in prefettura. Intervenne la truppa e impose lo scioglimento. In seguito al rifiuto, la truppa ricorse alla forza. A De Felice tuttavia non fu impedito di recarsi in prefettura e consegnare una petizione con le deliberazioni prese dagli operai. La giornata per la riduzione del lavoro a otto ore non si concluse il 1° maggio, perché le organizzazioni operaie inglesi avevano deciso che la loro manifestazione si svolgesse domenica 4 maggio. Quel rinvio infrangeva la data fissata dal Congresso socialista internazionale di Parigi ma evitava che per partecipare alla manifestazione si avesse una colossale astensione dal lavoro. Il 4 maggio l’onda lunga dei manifestanti popolò imponente le sponde del Tamigi. Preceduti da numerose bandiere e da molte bande musicali due immensi cortei operai, compresi gruppi tedeschi e stranieri, mossero nel pomeriggio dal Victoria Embarkment per Hyde Park, ove 13 tribune erano state preparate per gli oratori. Fu calcolata la presenza di 300.000 persone, parte costituita dai membri delle Trades Unions e dagli sckilled labourers (cioè gli artigiani il cui mestiere richiedeva un tirocinio); parte, dalla moltitudine degli operai più umili. Friedrich Engels, presente alla manifestazione, però nella qualità di ospite, ne scrisse pienamente soddisfatto: «Come deve ammettere persino l’intera stampa borghese, qui la manifestazione del 4 maggio è stata addirittura travolgente. Io mi trovavo sulla quarta tribuna (un grosso carro merci) e avevo modo di vedere solo una parte – un quinto, un ottavo – della massa che stava spalla a spalla fin dove poteva spingersi la mia vista. C’erano 250-300 mila persone, più dei tre quarti delle quali erano operai che manifestavano. Avening, Lafargue e Stepniak hanno parlato dalla mia piattaforma (io ero un semplice spettatore). Lafargue ha provocato una vera tempesta di applausi con il suo ottimo inglese dallo spiccato accento francese e la sua vivacità meridionale. Anche Stepniak, anche Ede (Edouard Bernstein) ha avuto un’accoglienza brillante sulla tribuna in cui si trovava Tussy (Eleonor Marx). Le sette piattaforme stavano 150 metri l’una dall’altra, le ultime distavano 45 dalla fine del Parco. Quindi la nostra manifestazione, quella della giornata lavorativa di otto ore da introdurre per legge a livello internazionale, era più lunga di 1.700 metri e larga abbondanti 400-450 metri, e tutta piena zeppa, Più in là stavano le sei piattaforme del Trade Council e le due della Federazione socialdemocratica che però non erano circondate nemmeno dalla metà del pubblico che attorniava le nostre. Tutto considerato, questo è stato il più gigantesco comizio mai tenuto qui. Inoltre qui rappresenta una brillante vittoria specialmente per noi. Ero più alto di due pollici quando sono sceso dal vecchio carro merci». Fatta la manifestazione londinese del 4 maggio, fu possibile trarre un bilancio completo della giornata internazionale Primo dato. Paesi europei partecipanti 18: Inghilterra, Francia, Austria, Italia, Belgio, Germania, Ungheria, Svezia, Danimarca, Olanda, Norvegia. Spagna, Portogallo, Svizzera, Olanda, Polonia, Romania, Russia e rispettive capitali. Sarebbero da aggiungere i paesi dell’America latina, gli Stati Uniti e l’Australia. Secondo dato: operai intervenuti alle manifestazioni, agli scioperi, alle adunanze, alle conferenze, alle votazioni di ordini del giorno e di petizioni. Nella impossibilità di calcolare la moltitudine, riportiamo le cifre più importanti: Londra 300.000, Barcellona 100.000, Stoccolma 50.000, Vienna 40.000, Budapest 30.000, Berlino 20.000, Madrid 20.000, Bruxelles 10.000, Zurigo 4.000, Varsavia 3.000. Aggiunti i minatori belgi, austro-ungarici e tedeschi, si raggiungeva la cifra di 1 milione di operai partecipanti. Ma quella cifra era forse da duplicare e da triplicare. Quanto ai giudizi, riportiamo i commenti della stampa del giorno dopo. Il «Daily Telegraph» di Londra scrisse che la giornata per le otto ore costituiva la conferma circa la possibilità di organizzare in tutta Europa una grande dimostrazione internazionale. Il «Times» sostenne che la solidarietà delle classi operaie era un fatto del quale gli uomini di Stato dovevano tener conto. «Debats» di Parigi ammonì che si sarebbe avuto torto nel considerare la giornata come incidente senza importanza; occorreva invece tener conto che dalla giornata era stato mostrato al mondo che l’operaio era obbediente alla parola d’ordine data da lungo tempo e che nel corso di 24 ore alterò profondamente le condizioni ordinarie della vita industriale e sociale. Il «Secolo Illustrato» descrisse le manifestazioni avvenute nei principali centri industriali dandone un quadro con le sue luci e le sue ombre. Il «Fascio operaio», organo del Partito operaio italiano, al riguardo però intese precisare che il 1° maggio lo si doveva considerare non in quello che era stato, ma in quello che significava. «Considerato in quello che significa, non si trova in tutta la storia del mondo una data che regga al suo confronto. Da un capo all’altro del mondo, in America, in Europa, in Australia, il pensiero di milioni e milioni di proletari si è raccolto sulla grande questione del lavoro e della fatica, ripartiti in modo equo e proporzionale alle forze umane e in modo utile e benefico per tutti». Friedrich Engels fu ancora più esplicito. «La festa di maggio del proletariato – scrisse – ebbe importanza storica non solo per il suo carattere generale, che ne fece il primo atto della classe operaia in lotta, ma anche perché è servita a far constatare i progressi dalla stessa felicemente raggiunti nei singoli paesi. Avversari ed amici concordano nel fatto che in tutta l’Austria e in particolare a Vienna la forza del proletariato si è sviluppata nel modo più importante e brillante e che con essa la classe operaia austriaca e in primo luogo quella viennese ha conquistato un posto assolutamente speciale all’interno del movimento. Solo qualche anno fa il movimento austriaco era ridotto a un livello nullo. I lavoratori delle province tedesche e slave erano divisi in partiti nemici, le loro forze logorate da lotte intestine. Chi solo tre anni fa avesse sostenuto che, il 1° maggio, Vienna e tutta l’Austria avrebbero dato a tutti gli altri un esempio di come debba essere celebrata la festa di classe del proletariato, sarebbe stato deriso. «Faremmo bene a non dimenticare questa realtà nel giudicare. Chi può sostenere che Parigi non possa fare ciò che ha fato Vienna? Ma Vienna il 4 maggio è stata superata da Londra. Io considero [la manifestazione all’Hyde Park], il dato più importante e grandioso di tutte le feste di maggio È un evento epocale». Fu concorde in tal senso anche Antonio Labriola: «La manifestazione mondiale del primo maggio dice ora con l’eloquenza dei fatti come la nuova storia sia già cominciata» Riferimenti bibliografici F. Della Peruta, Lavoro e industria, in R. Zangheri (a cura di), Storia del Primo Maggio, cit. 'La belva scatenata' articolo di Girolamo Li Causi sulla Strage di Portella della Ginestra Tutto il mondo civile fremerà di orrore nell’apprendere la ferocia fredda disumana con la quale al Piano della Ginestra, luogo caro ed amato dai contadini di Piana dei Greci, di S. Giuseppe Jato e di S. Cipirrello per avervi ascoltato fin dal 1894 la calda pacata umana parola dell’apostolo del socialismo siciliano Nicola Barbato, sono stati abbattuti al suolo bimbi, donne, vecchi, fiorenti gioventù, da parte di sicari armati di mitragliatrici e moschetti che vomitavano il fuoco micidiale per ben venti minuti sulla folla silenziosa e festosa raccolta attorno al primo oratore che celebrava la festa del lavoro. Le masse lavoratrici italiane che in tutte le piazze d’Italia avevano manifestato insieme con tutte le forze sinceramente democratiche e repubblicane, il loro giubilo per la splendida vittoria delle forze del progresso contro quelle del passato nelle elezioni del 20 aprile, fremeranno di sdegno per questo inaudito delitto che supera in ferocia le stragi dei nazisti e dei fascisti contro le popolazioni inermi. I lavoratori siciliani, le masse contadine della nostra Isola, tutti i cittadini onesti balzeranno in piedi per imporre che la belva scatenata – i grossi agrari, la mafia che ha lottato con tutti i mezzi per il trionfo della monarchia e del qualunquismo monarchico, che aveva ancora le mani grondanti di sangue di Accursio Miraglia, di Nicola Azoti e di altri generosi figli del popolo – ora che ha mostrato apertamente la sua grinta mostruosa sia distrutta con la stessa implacabilità con cui ci si difende dalle belve scatenate. Sconfitta sul terreno della democrazia, della civile competizione, la casta dominante della nostra Isola ha minuziosamente, freddamente premeditato il piano di provocazione e di aggressione contro le sane vive forze che hanno voluto con le elezioni del 20 aprile manifestare il loro profondo deciso desiderio di rinnovamento. Lungi dal rassegnarsi alla sconfitta e di trarre le necessarie conseguenze dalla affermazione delle forze democratiche, profittando della debolezza, tolleranza e spesso complicità di certe autorità centrali e periferiche nostalgiche della monarchia e del fascismo, ma soprattutto legate agli agrari, alla mafia e alla più bassa e volgare delinquenza delle campagne e delle città dal momento in cui hanno appreso la irreparabile cocente sconfitta, il blocco monarchicoliberal-qualunquista è passato alla controffensiva e non potendo più contare sulla intimidazione ha ricorso alla aperta violenza. È una sfida che il blocco borbonico e la sua guardia armata, la mafia, lancia contro i lavoratori di tutto il mondo intenti a celebrare il Primo Maggio: è una sfida che viene lanciata alla democrazia repubblicana italiana, è un vile proditorio attacco ai lavoratori siciliani, ai contadini siciliani, agli onesti cittadini siciliani che, felici della lotta di liberazione conclusasi con la vittoria del 20 aprile, nella giornata consacrata alla festa del lavoro di ieri civilmente affermavano la volontà di marciare avanti verso un avvenire di libertà e di benessere. Ma la sfida della belva scatenata è lanciata anche contro lo Stato italiano, contro la nuova Repubblica democratica dell’Italia risorta, ed è la più genuina e belluina espressione di come le forze del blocco agrario e della sua forza armata la mafia intendono l’autonomia siciliana. Oggi alla Costituente – dove saranno chieste al governo le misure e l’azione che intende svolgere per riparare questo feroce delitto di lesa umanità e per incatenare per sempre la belva che tanti lutti già ha seminato e che minaccia ora dalle fondamenta il vivere civile della più generosa terra d’Italia – il problema della Sicilia e della distruzione delle manifestazioni più barbare delle sue caste feudali sarà posto in tutta la sua interezza. Guai al nuovo Stato repubblicano e democratico, guai alle forze che dovranno assicurare la rinascita del nostro Paese se non rinnoveranno l’apparato della polizia, della pubblica amministrazione, della magistratura, per garantire civiltà e libertà alla nostra Isola! Le forze del Blocco del Popolo, e con esse tutte le forze sinceramente democratiche e amanti del civile progresso della Sicilia, sono già mobilitate e sono decise, insieme con le forze della civiltà e del progresso del mondo e dell’Italia tutta, ad imporre un energico deciso intervento del governo per schiacciare la testa ai criminali del blocco agrario per eliminare dall’Isola la belva scatenata che ha nome mafia. * La Voce della Sicilia, 2 maggio 1947. Risoluzione del Direttivo CGIL - 2 maggio 1947 “Il Comitato Direttivo ristretto della Cgil convocato d’urgenza il due maggio 1947, sotto la Presidenza del Segretario Generale Oreste Lizzadri per discutere in merito al barbaro eccidio di Portella della Ginestra, eccidio consumato ai danni di pacifici ed inermi lavoratori riuniti per festeggiare il primo maggio CONSTATATO che l’eccidio è la conseguenza dei delitti perpetrati in Sicilia contro le organizzazioni sindacali – delitti rimasti per la maggior parte ancora impuniti – e dalla volontà dei latifondisti siciliani di soffocare nel sangue l’organizzazione dei lavoratori, mentre invia un riverente e commosso pensiero alle vittime innocenti e alle loro famiglie INVITA il Governo democratico a colpire e con la severità richiesta dalla efferatezza del delitto, esecutori e mandanti in segno di protesta e di solidarietà DELIBERA l’astensione dal lavoro in tutta Italia per domani sabato 3 maggio dalle ore 11 in poi con l’esclusione dei servizi pubblici e dei pubblici esercizi indispensabili. Le Camere del Lavoro organizzeranno nelle ore e nei luoghi più convenienti comizi di protesta”. PRIMO MAGGIO NEL MONDO In occasione del Primo maggio 2010 l’ ITUC, che rappresenta 176 milioni di lavoratori di155 paesi nel mondo con 312 organizzazioni sindacali nazionali affiliate, ha emanato il seguente comunicato. Per ulteriori informazioni vedi: http://www.youtube.com/ITUCCSI DALLA CRISI AD UNA GIUSTIZIA GLOBALE Decenni di deregolamentazione, l'avidità e la speculazione del libero mercato hanno fatto piombare il mondo in una profonda recessione economica, con effetti terribili sui lavoratori e le loro famiglie in tutto il pianeta. 34 milioni di posti di lavoro sono stati persi, e la fine di questa situazione non è ancora in vista. Con ulteriori 64 milioni di persone spinte verso la povertà estrema, il tentativo di porre fine alla povertà globale è ancora più fuori portata. Gli anni in cui i governi hanno abrogato le loro responsabilità a governare devono finire. Alle banche ed agli speculatori finanziari non può più essere permesso di governare l'economia mondiale, o semplicemente inviare legge ai governi quando la loro incompetenza e avidità ha gettato l'economia mondiale nel caos. Coloro che hanno beneficiato così tanto e per così tanto tempo della distruzione dei mezzi di sostentamento e del saccheggio delle risorse della terra devono essere chiamati a rispondere, ed i responsabili dei crimini economici devono pagarne le sanzioni. Migliaia di miliardi di dollari sono stati spesi dai governi per salvare le banche. Eppure, anche in questa recessione così profonda, enormi somme di denaro vengono succhiate dall'economia ancora una volta da banchieri e finanzieri, senza considerare il danno che fanno. Le valute sono sotto attacco, i multimilionari bonus di dollari sono ritornati e la speculazione finanziaria è ancora diffusa, mentre l'economia reale è privata dai mezzi necessari per sostenere e creare occupazione. Il casinò globale resta aperto agli affari, ed è la gente comune che sta ancora pagando il prezzo, in quanto i loro destini economici sono comprati e venduti per soddisfare l'avidità di altri. Nel frattempo, il divario tra ricchi e poveri continua ad allargarsi, in cima ad anni di crescente disuguaglianza che ha contribuito essa stessa a causare la crisi. I governi devono rispettare i propri impegni di governare nell'interesse della gente, per mettere la finanza al servizio dell'economia reale, creare posti di lavoro dignitosi e assicurare che tutti i datori rispettino i diritti dei lavoratori. Devono recuperare, tassando le banche e la finanza, la ricchezza che è necessaria per riordinare l'economia mondiale e per far fronte alle spese per sconfiggere la povertà e fermare il catastrofico cambiamento climatico. Se i governi falliranno in questi doveri, e trascureranno le esigenze dei deboli e degli emarginati, il conflitto sociale su una scala che non si è mai vista da decenni è sicuro che diventerà una realtà. Chiediamo che il governo della cosa pubblica torni al centro della scena, che l'erosione della democrazia, nel nome del capitale debba essere ribaltato, e che coloro che hanno preso e continuano a mantenere il potere attraverso metodi non democratici di sottomettersi alla volontà della gente. Ogni persona deve essere messa in condizione di realizzare le proprie aspirazioni, per loro stessi e le generazioni a venire. Essi devono avere la possibilità di costruire una vita dignitosa attraverso un lavoro dignitoso e attraverso servizi pubblici che rispondano alle loro esigenze. Si tratta di governi che hanno salvato il sistema finanziario globale, lavorando insieme per risolvere il disordine causato dal proprio “roll-back” di regolamentazione e per l'avidità dei banchieri. I governi devono ora mantenere la rotta. Essi devono respingere le richieste di ritirare il sostegno alle economie fragili e fare tagli devastanti della spesa pubblica. Essi devono muoversi insieme senza ulteriori indugi per controllare e regolare la finanza. L'alternativa è un’altra, più profonda, recessione che può portare anche ad una più grande miseria umana. Il deficit enorme nella governance globale democratica non è limitato al perdurare della crisi economica. Con il misero fallimento dei governi al vertice di Copenaghen sul clima, la terra è ancora in accelerazione verso i cambiamenti climatici catastrofici. La necessità di una profonda, transizione da far subito verso l'economia verde mondiale è quindi più urgente di giorno in giorno. I governi hanno il potere, ma devono anche avere la volontà, di tirare indietro il mondo dall'orlo del disastro ambientale. Gli impatti del cambiamento climatico colpiranno più duramente il mondo in via di sviluppo, aggiungendo al record spaventoso di abbandono delle esigenze dei paesi più poveri l'incapacità di raggiungere gli obiettivi fissati e gli impegni da parte dei paesi più ricchi per porre fine alla povertà nel mondo. Una nuova agenda internazionale per lo sviluppo è necessario, quella che aiuta i paesi più poveri del mondo ad uscire da se stessi dalla povertà, costruire la democrazia, responsabilità e rispetto per i diritti umani e sindacali, e di creare un lavori dignitosi, sostenibili per tutti. Le strutture e le politiche della Banca Mondiale, FMI e WTO devono essere radicalmente trasformate ponendo il lavoro dignitoso al loro centro e sostenendo una ripresa della responsabilità democratica e di governance in ogni paese e a livello globale. L'OIL deve essere al centro della nuova governance internazionale che lavora nell'interesse della gente, e che garantisca un futuro sostenibile ed equo per l'umanità. I sindacati del mondo si sono fatti avanti per rispondere a questa crisi a testa alta. Abbiamo mobilitato per chiedere una riforma fondamentale, e ripresa la causa delle lavoratrici e dei lavoratori al G20, alle Nazioni Unite e attraverso le istituzioni globali. Porteremo avanti la nostra campagna per la giustizia globale, per smantellare l'edificio di corruzione e di eccesso e per ricostruire. Da questa crisi, una nuova economia globale deve essere creata, che: • Fornisca un lavoro dignitoso, nel pieno rispetto dei diritti sindacali, a tutti; • Sia fondata su un’efficace, democratica e responsabile governance globale che dia priorità ai bisogni delle persone in primo luogo; • Garantisca una forte regolamentazione finanziaria, mettendo la finanza al servizio dell'economia reale e l'economia reale al servizio della gente; • Garantisca rispetto per i diritti di tutte le lavoratrici ed i lavoratori, mettendo fine alla povertà, alla disuguaglianza, alla discriminazione ed allo sfruttamento; e • Assicurare la sostenibilità anche negli investimenti e nei posti di lavoro dell’economia verde. La sfida che abbiamo davanti è grande come quelle che i sindacati hanno dovuto far fronte in qualsiasi momento. Noi abbiamo l'orgoglio e la fiducia nella nostra tradizione di solidarietà che oggi è più forte che mai, e che ci dà le basi per trasformare la nostra aspirazione per un mondo basato su democrazia, giustizia, uguaglianza e sostenibilità in una realtà. (English version) FROM THE CRISIS TO GLOBAL JUSTICE Decades of deregulation, greed and free-market speculation have plunged the world into deep economic recession, with appalling impacts on working people and their families across the planet. 34 million jobs have been lost, and the end is not in sight. With a further 64 million people pushed into extreme poverty, the quest to end global poverty is yet further out of reach. The years of governments abrogating their responsibilities to govern must end. Banks and financial speculators can no longer be allowed to rule the world economy, or to simply send the bill to governments when their incompetence and greed throws the world economy into chaos. Those who have profited so much and for so long from the destruction of livelihoods and the plunder of the earth’s resources must be held to account, and those responsible for economic crimes must pay the penalty. Trillions of dollars have been spent by governments to rescue the banks. Yet even in the depths of this recession, vast sums of money are being sucked out of the economy once more by bankers and financiers without regard to the damage they do. Currencies are under attack, multi-million dollar bonuses have returned and financial speculation is again rife, while the real economy is starved of the means to sustain and create employment. The global casino remains open for business, and it is ordinary people who are still paying the price, as their economic futures are bought and sold to satisfy the avarice of others. Meanwhile, the gap between rich and poor continues to widen, on top of years of growing inequality which itself helped cause the crisis. Governments have to meet their obligations to govern in the interests of the people, to put finance at the service of the real economy, create decent jobs and ensure that all employers respect the rights of working people. They must reclaim, by taxing banks and finance, the wealth that is needed to put the world economy in order and to meet the costs of defeating poverty and stopping catastrophic climate change. If governments fail in these duties, and neglect the needs of the vulnerable and the marginalised, social conflict on a scale not seen for decades is sure to become a reality. We demand that government return to centre stage, that the erosion of democracy in the name of capital be turned around, and that those who have taken and continue to hold power through undemocratic means submit to the will of the people. Every person must be empowered to fulfill their aspirations, for themselves and the coming generations. They must be given the chance to build decent lives through decent work and through public services that meet their needs. It is governments that rescued the global financial system, working together to fix the mess caused by their own roll-back of regulation and the greed of bankers. Governments now need to stay the course. They must reject the demands to withdraw support for fragile economies and make devastating cuts in public expenditure. They have to move together without any further delay to control and regulate finance. The alternative is another, deeper, recession bringing even greater human misery. The huge deficit in democratic global governance is not limited to the continuing economic crisis. With the abject failure of governments at the Copenhagen Climate Summit, the earth is still accelerating towards catastrophic climate change. The need for a far-reaching, just transition to a green world economy is thus more urgent by the day. Governments have the power, but must also have the will, to pull the world back from the brink of environmental disaster. The impacts of climate change will hit hardest in the developing world, adding to the appalling record of neglect of the needs of the poorest countries and the failure to meet the targets set and the pledges made by richer countries to end world poverty. A new international agenda for development is required, one which helps the world’s poorer countries lift themselves out of poverty, build democracy, accountability and respect for human and trade union rights, and create decent, sustainable jobs for all. The structures and policies of the World Bank, IMF and WTO must be fundamentally transformed to put decent work at their centre and support a resurgence of democratic accountability and governance in every country and at the global level. The ILO must be at the centre of new international governance which works in the interests of the people, and which ensures a sustainable and equitable future for humankind. The trade unions of the world have stepped forward to meet this crisis head-on. We have mobilised to demand fundamental reform, and taken up the cause of working women and men at the G20, the United Nations and right across the global institutions. We will carry forward our campaign for global justice, to dismantle the edifice of corruption and excess and to build afresh. Out of this crisis, a new global economy must be created, which: • Delivers decent work, with full respect for trade union rights, to all; • Is based on effective, democratic and accountable global governance which prioritises the needs of people first; • Ensures strong financial regulation, putting finance at the service of the real economy and the real economy at the service of people; • Guarantees respect for the rights of all working women and men and brings an end to poverty, inequality, discrimination and exploitation; and • Secures sustainability though green investment and green jobs. The challenge before us is as great as any that trade unions have faced at any time. We have pride and confidence in our tradition of solidarity which is stronger today than ever, and which gives us the foundation for turning our aspiration for a world based on democracy, justice, equality and sustainability into a reality. The ITUC represents 176 million workers in 155 countries and territories and has 312 national affiliates. http://www.youtube.com/ITUCCSI For more information, please contact the ITUC Press Department on: +32 2 224 0204 or +32 476 621 018.