1Maggio 2010 - FLC Campania

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1Maggio 2010 - FLC Campania
1 Maggio 2010
LAVORO, LEGALITÁ E SOLIDARIETÁ:
Manifestazione Nazionale a Rosarno.
Partenza corteo ore 9, area dello stabilimento ex Rognetta, arrivo e comizio conclusivo dei tre Segretari
generali Guglielmo EPIFANI, Raffaele BONANNI e Luigi ANGELETTI a Piazza Valarioti.
Primo maggio: CGIL, CISL e UIL a Rosarno. Quest'anno la festa dei lavoratori, per CGIL, CISL e
UIL, avrà come fulcro il centro della piana di Gioia Tauro, più precisamente la cittadina di Rosarno,
tristemente nota nei mesi passati per essere stata teatro di violenti scontri tra la popolazione del piccolo
centro calabrese e i braccianti immigrati, insorti dopo ripetuti atti di violenza ai danni di loro connazionali
e
per
le
impossibili
condizioni
di
vita
a
cui
sono
costretti.
La scelta, ovviamente, non è casuale poiché la ricorrenza del primo maggio, per quest'anno sarà
incentrata, oltre che sui tradizionali temi del lavoro e dello sviluppo economico, anche su quelli
dell'integrazione, cogliendo l'occasione per rilanciare da Rosarno il tema del lavoro in stretto
collegamento
con
quelli
della
legalità
e
dell'accoglienza
degli
immigrati.
La notizia è stata accolta con grande entusiasmo a Rosarno, come spiega il Segretario della CGIL
Calabria, Sergio Genco, perchè “quella dei sindacati confederali è una decisione estremamente
importante”. Secondo il dirigente sindacale la manifestazione del primo maggio sarà l'occasione per
rilanciare da Rosarno temi fondamentali per lo sviluppo e il futuro “non solo per la Piana di Gioia Tauro
e della Calabria, ma per l'intero Paese”.
Concerto a Piazza San Giovanni, Roma. La musica
protagonista dell’evento vedrà alternarsi dal palco Vinicio CAPOSSELA, Carmen CONSOLI, Irene Grandi...
IL COLORE DELLE PAROLE:
Anche quest’ anno a Piazza San Giovanni a Roma arriva il concerto del 1 Maggio 2010:
la ventunesima edizione del “concertone” del Primo Maggio. Quest’anno sarà l’attrice
italiana Sabrina Impaccciatore a condurre e a presentare i cantanti e gli artisti che si
esibiranno al concerto gratuito del 1 Maggio 2010 a Roma. Sabrina Impaccciatore sarà
affiancata da due grandi artiste italiane: le cantanti Irene Grandi e Camen Consoli per un
“concertone” del 1 Maggio 2010 molto al femminile. Oltre alla presenza già annunciata e
confermata di Irene Grandi e Carmen Consoli, al concerto del 1 Maggio 2010 a Roma ci
sarà anche Vinicio Capossela come “superospite” per un esclusivo spazio musicale di 40
minuti. Confermata anche la presenza di Paolo Nutini che va ad affiancare Vinicio
Capossela. Oltre ai Big (Vinicio Capossela, Carmen Consoli, Irene Grandi e Paolo Nutini),
tra i 20 artisti che saliranno sul palco di Piazza San Giovanni di Roma per il Concertone
del 1 Maggio 2010 è stata confermata anche la presenza di: Roy Paci & Aretuska,
Simone Cristicchi, Nina Zilli e i Beautiful (band formata da Gianni Maroccolo,
Cristiano Godano dei Marlene Kuntz e dal produttore scozzese Howie B). L’
organizzatore Marco Godano sta inoltre lavorando per avere sul palco del concerto del 1
Maggio di Roma anche un’orchestra sinfonica (con circa 60-70 componenti) che si esibirà
intorno alle ore 20:00.
Il tema artistico del concerto del 1 Maggio 2010 a Roma quest’anno sarà “Il colore delle
Parole”: tema ispirato ad una famosa poesia di Eduardo De Filippo (la poesia intitolata:
“E pparole”). Il concerto del 1 Maggio 2010 a Roma sarà aperto dai vincitori 2009 del
concorso “Primo Maggio Tutto l’ Anno”. Saranno i Bud Spencer Blues Explosion ad
esibirsi sul palco di Piazza San Giovanni dalle ore 14:50, dando il via all’ Anteprima del
Concerto del 1 Maggio, con la presentazione di Paolo Belli.
Per chi non riuscirà a partecipare al concerto del 1 Maggio 2010 a Roma, l’ evento sarà
trasmesso in diretta Tv da Rai Tre a partire dalle ore 16:00, la diretta Tv proseguirà
fino alle ore 23:10 (con la sola interruzione dell’ edizione del TG3 delle ore 19:00). Alle ore
23:35, in differita, riprenderà la trasmissione con Piazza San Giovanni fino alla
conclusione del Concertone del 1 Maggio 2010 prevista dopo la mezzanotte.
Per ora le anticipazioni e gli artisti annunciati e confermati per il concerto del 1 Maggio
2010 a Roma sono questi, ma la preparazione del Concertone del 1 Maggio è ancora
“work in progress” e non mancheranno di certo nuove sorprese!
(Dal sito web Musica blog 19 aprile 2010)
La Confederazione Europea dei Sindacati (Ces)
sul Primo Maggio 2010
European Trade Union Confederation (ETUC)
The Voice of European Workers
(English and Italian versions; translation by Cgil Campania Trade Unionists Education Office)
29/04/2010
May Day: Europe’s future
cannot be based on precarious work
On the occasion of International Workers’ Day, the European Trade Union Confederation
(ETUC) affirms that Europe’s future cannot be based on precarious work. The main
challenge facing the EU and Member State governments is to focus on the quality of
employment, promote social inclusion and reduce growing inequalities, particularly in a
context of globalisation that is toppling the existing economic and social order.
ETUC General Secretary John Monks commented: "In this economic crisis European
workers must increasingly cope with unemployment and precarious job situations, which
are aggravated by the brutality of the economic crisis we are experiencing. Precarious
jobs, often the only type of employment available to young people, are also spreading to
segments of society that until now were not affected by this phenomenon. Inequalities are
increasing as huge fortunes continue to be amassed. Precarious work cannot represent
the future of the European Union. It undermines people, society and democracy. Over the
longer term, we are headed towards widespread impoverishment that downgrades Europe
both economically and politically."
To remedy the deteriorating employment situation, the EU must develop investment
policies through an EU recovery plan equivalent to 1% of Europe’s gross domestic product
and designed to deliver new, innovative and job-creating industrial policies. "By investing
in the longer term, Europe can safeguard the permanence of its model. The challenge is
tremendous, particularly in a context of aggressive globalisation and large government
deficits in Europe. But the challenge has to be met, which is why Europe has to be given
sufficient resources, particularly budget resources", added John Monks.
With the centre of gravity of global growth having shifted to Asia and Latin America, the
ETUC calls on the European Union to develop strong industrial policies. These can no
longer be based on intergovernmental cooperation, but must function on a dynamic of
Community industrial coordination that transcends intra-European divisions and the
perverse effects of requirements of short-term profitability for industrial investments.
Investments in people are also vital. Education and training - still the best defence against
long-term unemployment – must be accessible to all citizens. Vocational training and
lifelong learning are vital factors for the adaptation of European workers to a constantly
changing environment. The knowledge-based society offers new prospects to everyone,
but to avoid creating new categories of victims of social exclusion, it must ensure that
everyone can acquire the new knowledge, skills and qualifications that make it possible to
remain part of the workforce in a rapidly changing labour market. As the latest working
paper of the Organisation for Economic Co-operation and Development notes, the schoolto-work transition must be facilitated through a commitment by the public authorities and
the business world.
The quality of employment must be the objective. Quality jobs ensure a decent life and
sustainable economic and social development.
Active solidarity policies are also necessary to provide support for individuals and
countries in difficulty, but also to stimulate activity and social cohesion. The ETUC has
repeatedly called for a New Deal, a pro-active policy to produce a more sustainable
economy and a system of solidarity and social justice. Focusing on slashing public
spending and social protection schemes at a time when the economy still needs to be
shored up is a mistake that is sure to have serious consequences. Without investments,
without solidarity measures, society as a whole will be shaken.
Throughout Europe, trade unions will be on the march to express their rejection of this shift
towards a lowest-bidder approach to social protection and will issue a loud and clear call
for solidarity and cohesion for the future of workers.
Primo Maggio: il futuro dell'Europa
non può essere basato sul lavoro precario
In occasione della Giornata Internazionale dei Lavoratori, la Confederazione europea dei
sindacati (CES) afferma che il futuro dell'Europa non può essere basato sul lavoro
precario. La sfida principale per l'UE e i governi degli Stati membri è quella di concentrarsi
sulla qualità del lavoro, promuovere l'inclusione sociale e ridurre le crescenti
disuguaglianze, in particolare in un contesto di globalizzazione che sta facendo cadere
l'ordine esistente economico e sociale.
Il Segretario generale della CES John Monks ha commentato: "In questa crisi economica i
lavoratori europei devono sempre più far fronte a situazioni di disoccupazione e lavoro
precario, che sono aggravate dalla brutalità della crisi economica che stiamo vivendo. I
posti di lavoro precari, spesso l'unico tipo di lavoro disponibile per i giovani, si stanno
diffondendo anche a segmenti della società che finora non sono stati colpiti da questo
fenomeno. Le disuguaglianze sono sempre più grandi così come le enormi fortune
continuano ad essere accumulate. Il lavoro precario non può rappresentare il futuro
dell'Unione europea. Esso mina la gente, la società e la democrazia. Nel lungo periodo,
stiamo andando verso un impoverimento diffuso che declassa l'Europa sia
economicamente che politicamente. "
Per porre rimedio al deterioramento della situazione occupazionale, l'Unione europea
deve sviluppare politiche di investimento attraverso un piano di ripresa europeo
equivalente all'1% del prodotto interno lordo europeo, e progettato per offrire nuove,
innovative politiche industriali creatrici di lavoro. "Investendo nel lungo periodo, l'Europa
può salvaguardare la permanenza del suo modello. La sfida è enorme, soprattutto in un
contesto di globalizzazione aggressiva e di disavanzi pubblici di grandi dimensioni in
Europa. Ma la sfida deve essere affrontata, motivo per cui l'Europa deve essere dotata di
risorse sufficienti, in particolare le risorse di bilancio", Ha aggiunto John Monks.
Con il centro di gravità della crescita mondiale che si è spostato verso l'Asia e l'America
Latina, la CES richiama l'Unione Europea a sviluppare forti politiche industriali. Queste
non possono più essere basate sulla cooperazione intergovernativa, ma devono
funzionare su un sistema dinamico di coordinamento industriale comunitario che
trascende le divisioni intra-europee e gli effetti perversi dei requisiti di redditività a breve
termine per investimenti industriali.
Gli investimenti in persone sono anche di vitale importanza. Istruzione e formazione ancora la migliore difesa contro la disoccupazione di lunga durata - devono essere
accessibili a tutti i cittadini. La formazione professionale e l'apprendimento permanente
sono fattori di vitale importanza per l'adattamento dei lavoratori europei ad un ambiente in
costante evoluzione. La società basata sulla conoscenza offre nuove prospettive per tutti,
ma per evitare di creare nuove categorie di vittime dell’esclusione sociale, essa deve
garantire che tutti possano acquisire le nuove conoscenze, competenze e qualifiche che
consentono di continuare a far parte della forza lavoro in un mercato del lavoro che sta
rapidamente cambiando. Come sottolinea il più recente documento di lavoro della
Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo, la transizione scuola-lavoro
deve essere agevolata attraverso un impegno da parte delle autorità pubbliche e il mondo
delle imprese.
La qualità del lavoro deve essere l'obiettivo. Offerte di lavoro di qualità garantiscono una
vita dignitosa e un sostenibile sviluppo economico e sociale.
Politiche di solidarietà attive sono inoltre necessarie per fornire un sostegno alle persone
ed ai paesi in difficoltà, ma anche per stimolare l'attività e la coesione sociale. La CES ha
ripetutamente chiesto un New Deal, una politica di sostegno per la produzione di
un'economia più sostenibile e un sistema di solidarietà e giustizia sociale. Concentrarsi
sulla riduzione della spesa pubblica e di protezione sociale in un momento in cui
l'economia deve ancora essere puntellata è un errore che di sicuro avrà gravi
conseguenze. Senza investimenti, senza misure di solidarietà, la società nel suo
complesso sarà sconvolta.
In tutta Europa, i sindacati manifesteranno per esprimere il loro rifiuto di questo
spostamento verso un approccio al “più basso offerente” per la protezione sociale e un
invito forte e chiaro per la solidarietà e la coesione per il futuro dei lavoratori.
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Le iniziative in Campania
Manifestazioni unitarie si svolgeranno in tutta la regione.
Di seguito, riportiamo quelle più importanti organizzate
nelle diverse province della nostra regione.
Le iniziative a
Salerno
1° Maggio 2010
Lavoro, legalità e solidarietà sono i temi che racchiudono la festa
del lavoro che quest’anno si terrà a Rosarno, teatro nei mesi
scorsi di violenti scontri tra la popolazione e braccianti migranti. I
fatti di questi giorni che hanno portato all’arresto di sfruttatori e al
sequestro di aziende che hanno impiegato lavoro irregolare, ci
confortano di questa scelta che affronta uno dei nodi più difficili del
mondo del lavoro nel nostro Paese.
Le iniziative territoriali metteranno al centro del dibattito la battaglia
che la CGIL sta conducendo per contrastare la controriforma del
diritto e del processo del lavoro. Per la difesa del contratto
nazionale e per sconfiggere il tentativo della individualizzazione
del contratto stesso.
Manifestazioni ed eventi
del Primo Maggio
in provincia di Salerno
Nocera Inferiore, manifestazione con corteo e comizio. Partenza
da P.zza A. Diaz ore 9,30
Penta, comizio a P.zza Municipio ore 19,30.
Piaggine, comizio a P.zza Municipio, ore 19,30.
Bellizzi, incontro dibattito, P.zza Giovanni XXIII, ore 19,30.
Ufficio Stampa Cdlt Salerno 28 Aprile 2010
CGIL CISL UIL CASERTA
1 Maggio 2010
Lavoro-Legalità-Solidarietà
Sono questi i temi che quest’anno caratterizzano la Festa del 1° Maggio.
A Caserta così come a Rosarno, il 1° Maggio sarà incentrato oltre che sui tradizionali temi
del lavoro e dello sviluppo economico, anche su quelli della integrazione e della Legalità.
Da quest’intreccio nasce una nuova frontiera di lotta per la difesa e l’estensione dei diritti,
la dignità del lavoro e la coesione sociale.
CGIL CISL UIL terranno a CASERTA presso il Teatro
Comunale, alle ore 9,30
una Tavola Rotonda alla quale interverranno:
Dott. EZIO MONACO
Prefetto di Caserta
Dott. DONATO CEGLIE
Magistrato
Dott. TOMMASO DE SIMONE
Presidente C. C. I. A. A. Caserta
Ing. ANTONIO DELLA GATTA
Presidente Confindustria Caserta
Ing. MICHELE DI FILIPPO
Presidente CONFAPI CASERTA
CGIL CISL UIL di Caserta invitano tutte le Istituzioni e i cittadini a partecipare.
AVELLINO 1° MAGGIO 2010
La CGIL in collaborazione con la CISL, UGL, UIL, DIOCESI DI AVELLINO
Organizzano la
Manifestazione del
1° Maggio 2010.
INTERVENGONO
I SEGRETARI GENERALI CGIL CISL UIL UGIL
Vincenzo PETRUZZIELLO - Mario MELCHIONNA
Franco DE FEO - Costantino VASSILIADIS
IL VESCOVO DI AVELLINO
S.E. Monsignor Francesco MARINO
Concentramento ore 9,30 -Villa Comunale (AV)
Corteo - Corso Vittorio Emanuele
Comizio - Piazza Libertà Palazzo Vescovile.
1º MAGGIO 2010
Benevento
LAVORO, LEGALITA’, SOLIDARIETA’
Il Sannio protagonista
per arginare la crisi e sviluppare l’occupazione
CGIL, CISL e UIL di Benevento invitano i cittadini Sanniti alla
Festa dei lavoratori
che si terrà in piazza Roma alle ore 18,00
CGIL, CISL e UIL si confrontano sulla piattaforma
unitaria per il rilancio dell’occupazione nel Sannio
Intervengono i segretari generali CGIL CISL UIL, le
Istituzioni locali, regionali e nazionali
Seguirà il concerto con
SINFONIC BAND - Pratola folk
del Conservatorio musicale “Nicola Sala” Benevento
inizio ore 20,00
Visita l'archivio dei
manifesti
Stampa
varia
Breve storia del Primo Maggio
dai siti Cgil e contributi di
approfondimento storico
da varie fonti
Primo maggio:
storia e significato di una ricorrenza
A CURA DELLA CGIL DEL LAZIO
Il 1° maggio nasce il 20 luglio 1889, a Parigi. A lanciare l'idea è il congresso della Seconda Internazionale,
riunito in quei giorni nella capitale francese:
"Una grande manifestazione sarà organizzata per una data stabilita, in modo che simultaneamente in tutti i
paesi e in tutte le città, nello stesso giorno, i lavoratori chiederanno alle pubbliche autorità di ridurre per
legge la giornata lavorativa a otto ore e di mandare ad effetto le altre risoluzioni del Congresso di Parigi".
Poi, quando si passa a decidere sulla data, la scelta cade sul 1 maggio. Una scelta simbolica: tre anni prima
infatti, il 1 maggio 1886, una grande manifestazione operaia svoltasi a Chicago, era stata repressa nel
sangue.
Man mano che ci si avvicina al 1 maggio 1890 le organizzazioni dei lavoratori intensificano l'opera di
sensibilizzazione sul significato di quell'appuntamento.
"Lavoratori - si legge in un volantino diffuso a Napoli il 20 aprile 1890 - ricordatevi il 1 maggio di far festa. In
quel giorno gli operai di tutto il mondo, coscienti dei loro diritti, lasceranno il lavoro per provare ai padroni
che, malgrado la distanza e la differenza di nazionalità, di razza e di linguaggio, i proletari sono tutti concordi
nel voler migliorare la propria sorte e conquistare di fronte agli oziosi il posto che è dovuto a chi lavora. Viva
la rivoluzione sociale! Viva l'Internazionale!".
Monta intanto un clima di tensione, alimentato da voci allarmistiche: la stampa conservatrice interpreta le
paure della borghesia, consiglia a tutti di starsene tappati in casa, di fare provviste, perchè non si sa quali
gravi sconvolgimenti potranno accadere.
Da parte loro i governi, più o meno liberali o autoritari, allertano gli apparati repressivi.
In Italia il governo di Francesco Crispi usa la mano pesante, attuando drastiche misure di prevenzione e
vietando qualsiasi manifestazione pubblica sia per la giornata del 1 maggio che per la domenica successiva,
4 maggio.
In diverse località, per incoraggiare la partecipazione del maggior numero di lavoratori, si è infatti deciso di
far slittare la manifestazione alla giornata festiva.
Del resto si tratta di una scommessa dall'esito quanto mai incerto: la mancanza di un unico centro
coordinatore a livello nazionale - il Partito socialista e la Confederazione generale del lavoro sono di là da
venire - rappresenta un grave handicap dal punto di vista organizzativo. Non si sa poi in che misura i
lavoratori saranno disposti a scendere in piazza per rivendicare un obiettivo, quello delle otto ore,
considerato prematuro da gran parte dei dirigenti del movimento operaio italiano o per testimoniare
semplicemente una solidarietà internazionale di classe.
Proprio per questo la riuscita del 1 maggio 1890 costituisce una felice sorpresa, un salto di qualità del
movimento dei lavoratori,che per la prima volta dà vita ad una mobilitazione su scala nazionale, per di più
collegata ad un'iniziativa di carattere internazionale.
In numerosi centri, grandi e piccoli, si svolgono manifestazioni, che fanno registrare quasi ovunque una
vasta partecipazione di lavoratori. Un episodio significativo accade a Voghera, dove gli operai, costretti a
recarsi al lavoro, ci vanno vestiti a festa.
"La manifestazione del 1 maggio - commenta a caldo Antonio Labriola - ha in ogni caso superato di molto
tutte le speranze riposte in essa da socialisti e da operai progrediti. Ancora pochi giorni innanzi, la opinione
di molti socialisti, che operano con la parola e con lo scritto, era alquanto pessimista".
Anche negli altri paesi il 1 maggio ha un'ottima riuscita:
"Il proletariato d'Europa e d'America - afferma compiaciuto Fiedrich Engels - passa in rivista le sue forze
mobilitate per la prima volta come un solo esercito. E lo spettacolo di questa giornata aprirà gli occhi ai
capitalisti".
Visto il successo di quella che avrebbe dovuto essere una rappresentazione unica, viene deciso di replicarla
per l'anno successivo.
Il 1 maggio 1891 conferma la straordinaria presa di quell'appuntamento e induce la Seconda Internazionale
a rendere permanente quella che, da lì in avanti, dovrà essere la "festa dei lavoratori di tutti i paesi".
Tra Ottocento e Novecento
Inizia così la tradizione del 1 maggio, un appuntamento al quale il movimento dei lavoratori si prepara
con sempre minore improvvisazione e maggiore consapevolezza. L'obiettivo originario delle otto ore viene
messo da parte e lascia il posto ad altre rivendicazioni politiche e sociali considerate più impellenti. La
protesta per le condizioni di miseria delle masse lavoratrici anima le manifestazioni di fine Ottocento.
Il 1 maggio 1898 coincide con la fase più acuta dei "moti per il pane", che investono tutta Italia e hanno il
loro tragico epilogo a Milano. Nei primi anni del Novecento il 1 maggio si caratterizza anche per la
rivendicazione del suffraggio universale e poi per la protesta contro l'impresa libica e contro la
partecipazione dell'Italia alla guerra mondiale.
Si discute intanto sul significato di questa ricorrenza: giorno di festa, di svago e di divertimento oppure di
mobilitazione e di lotta ?
Un binomio, questo di festa e lotta, che accompagna la celebrazione del 1 maggio nella sua evoluzione
più che secolare, dividendo i fautori dell'una e dell'altra caratterizzazione.
Qualcuno ha inteso conciliare gli opposti, definendola una "festa ribelle", ma nei fatti il 1 maggio è l'una e
l'altra cosa insieme, a seconda delle circostanze più lotta o più festa.
Il 1 maggio 1919 i metallurgici e altre categorie di lavoratori possono festeggiare il conseguimento
dell'obiettivo originario della ricorrenza: le otto ore.
Il ventennio fascista
Nel volgere di due anni però la situazione muta radicalmente: Mussolini arriva al potere e proibisce la
celebrazione del 1 maggio.
Durante il fascismo la festa del lavoro viene spostata al 21 aprile, giorno del cosiddetto Natale di Roma;
così snaturata, essa non dice più niente ai lavoratori, mentre il 1 maggio assume una connotazione
quanto mai "sovversiva", divenendo occasione per esprimere in forme diverse - dal garofano rosso
all'occhiello alle scritte sui muri, dalla diffusione di volantini alle bevute in osteria - l'opposizione al
regime.
Dal dopoguerra a oggi
All'indomani della Liberazione, il 1 maggio 1945, partigiani e lavoratori, anziani militanti e giovani che
non hanno memoria della festa del lavoro, si ritrovano insieme nelle piazze d'Italia in un clima di
entusiasmo.
Appena due anni dopo il 1 maggio è segnato dalla strage di Portella della Ginestra, dove gli uomini del
bandito Giuliano fanno fuoco contro i lavoratori che assistono al comizio.
Nel 1948 le piazze diventano lo scenario della profonda spaccatura che, di lì a poco, porterà alla scissione
sindacale. Bisognerà attendere il 1970 per vedere di nuovo i lavoratori di ogni tendenza politica celebrare
uniti la loro festa.
Le trasformazioni sociali, il mutamento delle abitudini ed anche il fatto che al movimento dei lavoratori si
offrono altre occasioni per far sentire la propria presenza, hanno portato al progressivo abbandono delle
tradizionali forme di celebrazione del 1 maggio.
Oggi un'unica grande manifestazione unitaria esaurisce il momento politico, mentre il concerto rock che
da qualche anno Cgil, Cisl e Uil organizzano per i giovani sembra aderire perfettamente allo spirito del 1
maggio, come lo aveva colto nel lontano 1903 Ettore Ciccotti:
"Un giorno di riposo diventa naturalmente un giorno di festa, l'interruzione volontaria del lavoro cerca la sua
corrispondenza in una festa de'sensi; e un'accolta di gente, chiamata ad acquistare la coscienza delle
proprie forze, a gioire delle prospettive dell'avvenire, naturalmente è portata a quell'esuberanza di
sentimento e a quel bisogno di gioire, che è causa ed effetto al tempo stesso di una festa".
Nota curata da: Giuseppe Sircana cgil Lazio
STORIA DEL 1° MAGGIO
(DAL SITO WEB DELLA CGIL LOMBARDIA)
Il 1° Maggio nasce come momento di lotta internazionale di tutti i lavoratori, senza barriere geografiche, né
tanto meno sociali, per affermare i propri diritti, per raggiungere obiettivi, per migliorare la propria condizione.
"Otto ore di lavoro, otto di svago, otto per dormire" fu la parola d'ordine, coniata in Australia nel 1855, e
condivisa da gran parte del movimento sindacale organizzato del primo Novecento. Si aprì così la strada a
rivendicazioni generali e alla ricerca di un giorno, il primo Maggio, appunto, in cui tutti i lavoratori potessero
incontrarsi per esercitare una forma di lotta e per affermare la propria autonomia e indipendenza.
La storia del primo Maggio rappresenta, oggi, il segno delle trasformazioni che hanno caratterizzato i flussi
politici e sociali all'interno del movimento operaio dalla fine del secolo scorso in poi.
Le origini
Dal congresso dell'Associazione internazionale dei lavoratori - la Prima Internazionale - riunito a Ginevra nel
settembre 1866, scaturì una proposta concreta: "otto ore come limite legale dell'attività lavorativa".
A sviluppare un grande movimento di lotta sulla questione delle otto ore furono soprattutto le organizzazioni
dei lavoratori statunitensi. Lo Stato dell'Illinois, nel 1866, approvò una legge che introduceva la giornata
lavorativa di otto ore, ma con limitazioni tali da impedirne l'estesa ed effettiva applicazione. L'entrata in
vigore della legge era stata fissata per il 1 Maggio 1867 e per quel giorno venne organizzata a Chicago una
grande manifestazione. Diecimila lavoratori diedero vita al più grande corteo mai visto per le strade della
città americana.
Nell'ottobre del 1884 la Federation of Organized Trades and Labour Unions indicò nel 1 Maggio 1886 la data
limite, a partire dalla quale gli operai americani si sarebbero rifiutati di lavorare più di otto ore al giorno.
1886: I "martiri di Chicago"
Il 1 Maggio 1886 cadeva di sabato, allora giornata lavorativa, ma in dodicimila fabbriche degli Stati Uniti 400
mila lavoratori incrociarono le braccia. Nella sola Chicago scioperarono e parteciparono al grande corteo in
80 mila. Tutto si svolse pacificamente, ma nei giorni successivi scioperi e manifestazioni proseguirono e
nelle principali città industriali americane la tensione si fece sempre più acuta. Il lunedì la polizia fece fuoco
contro i dimostranti radunati davanti ad una fabbrica per protestare contro i licenziamenti, provocando
quattro morti. Per protesta fu indetta una manifestazione per il giorno dopo, durante la quale, mentre la
polizia si avvicinava al palco degli oratori per interrompere il comizio, fu lanciata una bomba. I poliziotti
aprirono il fuoco sulla folla. Alla fine si contarono otto morti e numerosi feriti. Il giorno dopo a Milwaukee la
polizia sparò contro i manifestanti (operai polacchi) provocando nove vittime. Una feroce ondata repressiva
si abbatté contro le organizzazioni sindacali e politiche dei lavoratori, le cui sedi furono devastate e chiuse e i
cui dirigenti vennero arrestati. Per i fatti di Chicago furono condannati a morte otto noti esponenti anarchici
malgrado non ci fossero prove della loro partecipazione all'attentato. Due di loro ebbero la pena commutata
in ergastolo, uno venne trovato morto in cella, gli altri quattro furono impiccati in carcere l'11 novembre 1887.
Il ricordo dei "martiri di Chicago" era diventato simbolo di lotta per le otto ore e riviveva nella giornata ad
essa dedicata: il 1 Maggio.
1890: 1 maggio, per la prima volta manifestazione simultanea in tutto il mondo
Il 20 luglio 1889 il congresso costitutivo della Seconda Internazionale, riunito a Parigi, decise che "una
grande manifestazione sarebbe stata organizzata per una data stabilita, in modo che simultaneamente i tutti
i paesi e in tutte le città, i lavoratori avrebbero chiesto alle pubbliche autorità di ridurre per legge la giornata
lavorativa a otto ore".
La scelta cadde sul primo Maggio dell'anno successivo, appunto per il valore simbolico che quella giornata
aveva assunto.
In Italia come negli altri Paesi il grande successo del 1 Maggio, concepita come manifestazione straordinaria
e unica, indusse le organizzazioni operaie e socialiste a rinnovare l'evento anche per 1891.
Nella capitale la manifestazione era stata convocata in pazza Santa Croce in Gerusalemme, nel pressi di
S.Giovanni. La tensione era alta, ci furono tumulti che provocarono diversi morti e feriti e centinaia di arresti
tra i manifestanti.
Nel resto d'Italia e del mondo la replica del 1 Maggio ebbe uno svolgimento più tranquillo. Lo spirito di quella
giornata si stava radicando nelle coscienze dei lavoratori.
1891: la festa dei lavoratori diventa permanente
Nell'agosto del 1891 il II congresso dell'Internazionale, riunito a Bruxelles, assunse la decisione di rendere
permanente la ricorrenza. D'ora in avanti il 1 Maggio sarebbe stato la "festa dei lavoratori di tutti i paesi, nella
quale i lavoratori dovevano manifestare la comunanza delle loro rivendicazioni e della loro solidarietà".
Il primo maggio durante il fascismo
Nel nostro Paese il fascismo decise la soppressione del 1 Maggio, che durante il ventennio fu fatto
coincidere il con la celebrazione del 21 aprile, il cosiddetto Natale di Roma. Mentre la festa del lavoro
assume una connotazione quanto mai "sovversiva", divenendo occasione per esprimere in forme diverse
(dal garofano rosso all'occhiello, alle scritte sui muri, dalla diffusione di volantini alla riunione in osteria)
l'opposizione al regime. Il 1 Maggio tornò a celebrarsi nel 1945, sei giorno dopo la liberazione dell'Italia.
1947: L'eccidio di Portella della Ginestra
La pagina più sanguinosa della festa del lavoro venne scritta nel 1947 a Portella della Ginestra, dove circa
duemila persone del movimento contadino si erano date appuntamento per festeggiare la fine della dittatura
e il ripristino delle libertà, mentre cadevano i secolari privilegi di pochi, dopo anni di sottomissione a un
potere feudale. La banda Giuliano fece fuoco tra la folla, provocando undici morti e oltre cinquanta feriti. La
Cgil proclamò lo sciopero generale e puntò il dito contro "la volontà dei latifondisti siciliani di soffocare nel
sangue le organizzazioni dei lavoratori".
La strage di Portella delle Ginestre, secondo l'allora ministro dell'Interno, Mario Scelba, chiamato a
rispondere davanti all'Assemblea Costituente, non fu un delitto politico. Ma nel 1949 il bandito Giuliano
scrisse una lettera ai giornali e alla polizia per rivendicare lo scopo politico della sua strage. Il 14 luglio 1950
il bandito fu ucciso dal suo luogotenente, Gaspare Pisciotta, il quale a sua volta fu avvelenato in carcere il 9
febbraio del 1954 dopo aver pronunciato clamorose rivelazioni sui mandanti della strage di Portella.
Il primo Maggio oggi
Le profonde trasformazioni sociali, il mutamento delle abitudini, la progressiva omogeneizzazione delle
abitudini hanno profondamente cambiato il significato di una ricorrenza che aveva sempre esaltato la
distinzione della classe operaia. Il modo di celebrare il 1 maggio è quindi cambiato nel corso degli anni.
Da diversi anni Cgil, Cisl, Uil hanno scelto di celebrare la giornata del 1 Maggio promovendo una
manifestazione nazionale dedicata ad uno specifico tema. E' diventato un appuntamento anche il
tradizionale concerto rock che i sindacati confederali organizzano in piazza San Giovanni a Roma
Storia del Primo Maggio
di Francesco Renda, Ediesse 2009
Prefazione di Guglielmo Epifani
«Spezza il tuo bisogno e la tua paura di essere schiavo, il pane è
libertà, la libertà è pane». Nel 1978 Luciano Lama, nella prefazione
al volume di Massimo Massara, Claudio Schirinzi e Maurilio Sioli
Storia del primo maggio, indicava nei versi di Albert R. Parsons, dirigente
di primo piano del sindacalismo statunitense, «la definizione più pura
e più universale del significato del Primo Maggio». In effetti, le parole
proclamate da uno dei «martiri di Chicago», di fronte ad un tribunale
che lo condannava all’impiccagione per essere stato a capo del movimento
per le otto ore, racchiudono il senso che ancora oggi, a centoventitré
anni di distanza da quel drammatico 1° maggio 1886, comunemente
attribuiamo alla festa internazionale del lavoro: una celebrazione
che per oltre un secolo, da quando venne istituita nel 1889, ha
ribadito i valori della pace, della fratellanza e della solidarietà internazionale,
del progresso sociale ed economico, della lotta per l’emancipazione
e contro lo sfruttamento dei lavoratori, che rappresentano il
patrimonio culturale e civile del movimento operaio.
Dobbiamo ancora una volta essere grati a Francesco Renda per
avere messo a disposizione di tutti noi la sua competenza scientifica
e la sua sensibilità umana, con l’obiettivo di ricostruire in modo rigoroso
e puntuale le vicende storiche sviluppatesi intorno alla Festa
del lavoro, dalle origini ad oggi. E siamo completamente d’accordo
con lui quando definisce tale ricorrenza «la più bella e la più valida
invenzione del movimento operaio».
La nostra storia, la storia ultracentenaria del sindacato e della
Confederazione generale italiana del lavoro, accompagna, si affianca
e si intreccia in modo indissolubile con le vicende narrate nel libro
di Renda. Perché il 1° maggio non è soltanto una festa, ma è anche
un momento di rivendicazione e di lotta (le otto ore nel 1886); ed
anche il sindacato, che nasce proprio in quegli anni con le leghe di
resistenza, si impone come soggetto conflittuale, che lotta contro la
drammatica condizione operaia delle origini, fatta di orari massacranti,
salari irrisori, sfruttamento minorile e femminile, ambienti
lugubri e malsani, ritmi produttivi sfibranti.
Il 1° maggio, però, non è soltanto una festa dei lavoratori e dei
loro sindacati. Esso si è sempre configurato come una celebrazione
«aperta» ad altre realtà politiche quali partiti, associazioni, movimenti.
Tale aspetto non è mai venuto meno nel tempo. Non venne meno nei
primi anni di celebrazioni, quando il macrocosmo socialista composto
dal partito, dalle cooperative, dai municipi, dalle case del popolo, fu al
fianco delle nostre camere del lavoro, e più tardi della Confederazione.
Ancora oggi l’evento presenta caratteri spiccatamente politici. Basti
guardare i «titoli» delle giornate di mobilitazione organizzate negli ultimi
anni – la difesa della Costituzione e della legalità, la lotta alle mafie,
le questioni dello sviluppo, l’invocazione della sicurezza e della salute
dei lavoratori; ebbene, su questi temi sono chiamati a dare un contributo
rilevante quegli stessi partiti, associazioni e movimenti che fanno
del lavoro il fondamento della loro azione.
Purtroppo, la storia – anche quella del 1° maggio – ci insegna che
il cammino è stato, è e sarà tortuoso, difficile, irto di ostacoli; che le
conquiste, una volta ottenute, vanno difese con la forza, con la lotta,
con il diritto; che la violenza, praticata sia in forma aperta ed
esplicita sia in modo subdolo e sotterraneo, è sempre in agguato,
soprattutto in Italia.
Nel 1890, l’anno nel quale milioni di lavoratori di ogni parte del
mondo celebravano per la prima volta la loro festa, in Italia questa veniva
contrastata con la repressione; l’anno seguente, nonostante qualche
piccola apertura del governo (la possibilità di tenere i comizi, ma
non i cortei), la violenza provocava i primi morti, i nostri primi «martiri
»: tre manifestanti furono uccisi, insieme a una guardia e un carabiniere,
nella manifestazione di Santa Croce in Gerusalemme a Roma.
La storia successiva conobbe un andamento altalenante. Nell’età
giolittiana le manifestazioni presero a diffondersi senza tensioni, ma
durante la prima guerra mondiale esse tornarono ad essere vietate. Nel
«biennio rosso» ripresero più ampie e incisive, ma poi il fascismo, appena
giunto al potere in modo sanguinario e liberticida, volle cancellare
la festività, sostituendola con il 21 aprile, «Natale di Roma».
Il 1° maggio 1945 fu una giornata straordinaria per l’Italia, ad appena
una settimana di distanza dall’altro evento fondamentale della
storia nazionale, il 25 aprile. In tal modo si venne a creare quel nesso
indissolubile tra antifascismo, democrazia e Repubblica che
quindici anni più tardi, il 1° maggio 1960, i lavoratori furono nuovamente
costretti a difendere dalle provocazioni del Governo Tambroni,
sostenuto dai voti decisivi del Msi.
Altre celebrazioni furono «storiche»: quella drammatica del 1947,
quando a Portella della Ginestra la banda di Salvatore Giuliano, aiutata
dagli agrari e dalla mafia del luogo, con la complicità di settori deviati
delle istituzioni locali e nazionali, sparò sulla folla inerme di contadini e
braccianti, causando ben undici vittime innocenti; la celebrazione del
1955, quando anche le Acli, con la benedizione del papa, poterono festeggiare
il loro «1° maggio cristiano»; l’evento del 1968, quando in
molte piazze italiane tantissimi giovani del movimento studentesco
vollero affiancarsi ai lavoratori, per essere «uniti nella lotta»; infine il 1°
maggio 1971, quando per la prima volta i segretari generali di Cgil, Cisl
e Uil – Luciano Lama, Bruno Storti e Raffaele Vanni – parlarono in tre
diverse piazze (di Roma, Milano e Terni), ciascuno a nome non solo
della sua organizzazione, ma anche della altre due.
Oggi, per rispondere alle sollecitazioni che Renda solleva nell’ultima
parte del suo volume, in una fase di profonda crisi economica
e di negative divisioni sindacali, occorre agire in modo ancora più
deciso che in passato per rilanciare il 1° maggio quale simbolo del
valore sociale del lavoro, di quel lavoro che oltre sessant’anni fa i
costituenti vollero mettere a fondamento della Repubblica democratica.
A tale proposito, una delle proposte che egli suggerisce,
quella cioè di fare del 1° maggio anche un momento di bilancio, a
livello nazionale e locale, di quanto ottenuto e di quanto perduto
nei precedenti dodici mesi, aggiungerebbe al momento della celebrazione
anche quello della riflessione, ponderata e partecipata, che
finirebbe per alimentare il tessuto vitale delle nostre strutture, a
qualsiasi livello e in ogni territorio.
Più che una fondazione ad hoc o l’ennesimo organismo nazionale,
penso che una scelta positiva possa essere fatta attraverso l’istituzione
di un coordinamento annuale delle fondazioni, con il compito
di organizzare eventi collaterali, di preparare approfondimenti
di studio e di ricerca, di sollecitare nuove iniziative sul 1° maggio.
Alle realtà importanti citate da Renda (le Fondazioni Brodolini,
Di Vittorio, Pastore e Turati) aggiungerei anche altre fondazioni
impegnate sui temi del lavoro (Gramsci, Basso, Buozzi, Feltrinelli,
Nocentini, Micheletti, Sabattini, Metes e tante altre). In questo
modo uscirebbe rafforzato un elemento decisivo della nostra storia:
la tensione unitaria tra le diverse culture e componenti, non slegata
dal riconoscimento della pluralità ideale e organizzativa del movimento
operaio italiano. Quanto all’impegno di diffondere le iniziative
anche nei centri «minori» o in alcuni «luoghi simbolo», penso che i recenti
appuntamenti di Scampia e di Locri sono lì a confermare la sensibilità
delle Confederazioni sui problemi strutturali del nostro paese.
Vorrei chiudere queste brevi note con le parole di due «padri nobili
» della nostra cultura sindacale e politica. Antonio Gramsci, in
un articolo scritto il 1° maggio 1918 sul settimanale socialista «Il
grido del popolo», ci ha lasciato una bellissima definizione di questa
straordinaria giornata: «è il convegno del mondo, dei lavoratori di
tutto il mondo, è un momento della vita mondiale, è una anticipazione,
nell’attualità, di ciò che dovrà essere la vita della società futura:
comunione universale dello spirito umano». E Giuseppe Di
Vittorio, nell’editoriale scritto per «l’Unità», poche ore prima della
terribile strage di Portella, scriveva:
«Ritorna il 1° maggio, il giorno della celebrazione del Lavoro.
Ogni anno esso acquista un significato nuovo, che segna le tappe
successive dell’evoluzione sociale. […]
«Incrociando le braccia nello stesso giorno, i lavoratori del mondo
intero, danno un senso più elevato e più diretto al patto della loro
solidarietà, al di sopra di tutte le frontiere di Stati, di razze o di
religione, e s’impegnano a lottare uniti per la pace, per la democrazia,
per la libertà, per l’indipendenza nazionale dei popoli. […]
«Essi riaffermano la propria volontà di unire sempre più i loro
sforzi per la ricostruzione economica del Paese e per il consolidamento
e lo sviluppo della democrazia e della Repubblica; per l’attuazione
delle riforme sociali che il popolo attende; per migliorare ed
elevare gradualmente il loro tenore di vita; per ottenere una condizione
più umana per i pensionati; per dare utile lavoro ai disoccupati;
per conquistare i nuovi diritti del lavoro e un più alto livello di
benessere e di civiltà per tutto il popolo.
«E noi abbiamo la forza, compagni lavoratori, per raggiungere i
nostri obiettivi di liberazione dal bisogno, di emancipazione sociale e
rinascita nazionale».
Il 1° maggio 1890 - capitolo n. 7 di F. Renda
«Oggi il proletariato d’Europa e d’America passa in rivista le sue
forze mobilitate per la prima volta come un solo esercito, sotto una
sola bandiera, per un solo fine prossimo, la giornata lavorativa normale
di 8 ore, proclamata già nel congresso di Ginevra dell’Internazionale
del 1866 e di nuovo nel Congresso operaio di Parigi nel
1889 da introdursi per legge. Oggi i proletari di tutti i paesi si sono effettivamente
uniti. Fosse Marx accanto a me a vederlo coi suoi occhi!».
Engels quel giorno si trova a Londra, e la festa del 1° maggio in
quella città si sarebbe celebrata il 4 maggio. Perciò è dedito a scrivere
la prefazione alla seconda edizione del Manifesto del Partito Comunista
del 1848. Anche quel fatto letterario fa quindi parte della grande
manifestazione operaia mondiale, svoltasi quasi ovunque con successo
maggiore di quanto previsto o sperato.
I governi e la borghesia avevano temuto di peggio e alla celebrazione
del 1° maggio si erano preparati come se andassero alla guerra.
E poiché il nemico da combattere era in casa avevano predisposto
divieti e proibizioni e instaurato, ove più ove meno, lo stato di
assedio o qualcosa che fin troppo gli rassomigliava.
I divieti e le proibizioni più severi erano stati decisi in Francia. La
capitale francese avrebbe dovuto celebrare la giornata con la solennità
dovuta. Da qui era partito il movimento nel 1889.
A cose fatte, invece, del programma previsto fu realizzato ben
poco. I socialisti avevano deciso che il 1° maggio non sarebbe stato
giorno di sciopero, ma di manifestazioni, cortei e comizi, nonché di
presentazione solenne di petizioni alle pubbliche autorità. Il movimento
operaio non era stato tutto concorde e soprattutto ne avevano
dissentito gli anarchici”.
Quella mancanza di unità non rimase senza effetti. Il primo fu lo
sciopero, dai socialisti non programmato. A deciderlo furono gli operai
fuochisti e gasisti del dipartimento della Senna. Allo sciopero si
aggiunsero gli assembramenti. Alle quattro pomeridiane un folto
gruppo di dimostranti, proveniente da place de la Concorde, fece mostra
di avviarsi all’Eliseo. La polizia cercò di opporvisi, i dimostranti resistettero,
si fece ricorso alle armi. Molti feriti, numerosi arresti.
Una delegazione, composta da tre deputati, due consiglieri comunali
e sei delegati operai, superando numerosi ostacoli opposti
dalle forze dell’ordine, alle due pomeridiane giunse alla Camera dei
deputati. Una folla numerosa sostava nelle vicinanze di place de la
Concorde. Il presidente della Camera rifiutò di accogliere la delegazione
per intero e ricevette soltanto i tre deputati, i quali consegnarono
la petizione predisposta per l’occasione. Nel frattempo una
folla numerosa continuava a stazionare nelle vicinanze della Camera.
A nessuna altra delegazione fu consentito di portare petizioni
all’Eliseo e al Ministero dell’Interno. Per ordine del presidente del
Consiglio, fu impedito persino che i consiglieri comunali potessero
ricevere petizioni. Il prefetto della Senna s’installò pertanto all’Hotel
de Ville, sede del Consiglio comunale, bloccandone tutte le entrate. I
consiglieri protestarono, ma all’Hotel de Ville non venne accolta delegazione
alcuna. Non fu ammesso neanche che in place de la Republique
sostasse pacifica una massa di gente. La polizia intervenne e
la fece sfollare.
La festa fu impedita in ogni modo. Non si fecero cortei, non ci
furono bandiere e bande musicali, non si tennero discorsi, non furono
consegnate alle autorità le predisposte petizioni.
Altra capitale europea con situazione simile a quella parigina fu
Roma. La città venne letteralmente occupata da poliziotti, carabinieri,
corpi dell’esercito e squadroni di cavalleria. Il tutto era stato disposto
per fronteggiare ogni tentativo rivoluzionario. A infondere
siffatto timore era stato il governo, e gran parte della popolazione ci
aveva creduto. Il 1° maggio, pertanto, la città fu in stato di assedio o
quantomeno in una condizione molto simile. Gli anarchici tuttavia
non ne furono intimiditi. Circa 200 operai si riunirono a Testaccio
ma vennero sciolti. Si riunirono di nuovo nei pressi, ma furono dispersi
dalla cavalleria. Si riversarono nel corso e contro di loro furono
mandate le truppe che li dispersero e per resistenza alla forza
pubblica effettuarono 14 arresti.
Altri 500 operai si assemblarono alla Porta Trionfale e 300 in
piazza Vittorio Emanuele. Vennero sciolti dalla cavalleria. E sempre
per resistenza furono effettuati altri arresti.
Completamente diversa la giornata del 1° maggio a Vienna. Anche
nella capitale austriaca nei giorni precedenti si era diffuso il timore
della violenza indiscriminata e persino della rivoluzione.
Molte famiglie pertanto si erano allontanate dalla città o si erano
preparate a restare chiuse nelle loro case. Il governo a sua volta
aveva disposto misure di rigore ma poi in realtà non vi fece ricorso.
Vienna divenne infatti la città simbolo del 1° maggio 1890. Consenziente
il governo, la manifestazione pubblica si tenne al Prater, il
grande parco cittadino. Alla passeggiata cominciata a mezzogiorno
presero parte 40.000 operai. Non meno imponenti furono le riunioni;
se ne tennero 63, in ognuna delle quali si votò la risoluzione
delle otto ore. Fu anche stampata una cartolina postale celebrativa
del 1° maggio diffusa in tutto il paese mediante la posta.
Altri punti nevralgici furono Budapest, Praga e diverse località
industriali e minerarie. In pratica, il 1° maggio lo sciopero fu generale
in tutto l’impero degli Asburgo. Ma insieme allo sciopero la
giornata venne celebrata con le passeggiate, con i comizi, con i
meeting.
A Praga vi fu la passeggiata di 13 mila operai recatisi in corteo al
grande comizio. L’ordine venne controllato dagli organizzatori in
uniforme blu-blu, cravatta rossa e larghi cappelli tipici dei socialisti.
A Budapest un meeting di circa 50.000 persone approvò le decisioni
del congresso di Parigi.
In Germania i capi socialisti avevano invitato gli operai a celebrare
il 1° maggio senza scioperi e pubbliche manifestazioni. Tutto si
svolse come da loro disposto. Nondimeno, era pure influente il
movimento anarchico e non poche delle manifestazioni di sciopero
furono da addebitare alla sua influenza.
Nonostante le misure adottate dalle autorità e dagli imprenditori,
circa 200.000 lavoratori parte anarchici e parte socialisti si astennero
dal lavoro. Ad Amburgo e a Monaco lo sciopero fu abbastanza generalizzato.
A Darmstadt, Dresda, Francoforte sul Meno, Lipsia e
altre città scioperarono minoranze valutabili intorno al dieci per
cento.
Di fatto, non vi fu alcuna città nella quale il 1° maggio non venisse
celebrato o con lo sciopero o con riunioni nelle sedi sociali o con
passeggiate che aggiravano il divieto di effettuare dimostrazioni. A
Berlino, 2.000 operai, riuniti presso la Porta chiamata Rosenthal, fecero
una passeggiata fino alla Alexanderplaz, e non vi fu intervento
della polizia.
In Svizzera, a Zurigo e a Basilea si tennero manifestazioni con 34.000 operai; con 500-1.000 operai a Losanna, San Gallo, Berna e
Ginevra.
A Londra per il 1° maggio non erano previste manifestazioni ufficiali,
fissate per domenica 4 maggio. Le poche che vi si tennero, in
dissenso con le Trade Unions e con i socialisti marxisti, furono di
scarsissimo rilievo. Il corteo socialista di William Morris non raccolse
in Hyde Park più di 1.500 persone.
A Bruxelles una dimostrazione di 10.000 operai percorse la città
con cartelli che reclamavano la giornata nazionale di otto ore di lavoro.
Nei bacini carboniferi del Belgio numerosi cortei preceduti da
bandiere rosse e bande musicali percorsero le strade dei vari paesi
reclamando la giornata di otto ore e cantando la Marsigliese. A Liegi
un corteo di 8.000 operai attraversò le vie della città con musiche e
bandiere rosse cantando anch’esso la Marsigliese.
In Olanda, assemblee operaie per la riduzione della giornata di
lavoro a otto ore si tennero ad Amsterdam e a Rotterdam. Per
l’occasione si pubblicò anche un numero unico celebrativo del 1°
maggio.
In Polonia, Varsavia partecipò con una manifestazione di 3.000
operai. Fu a sua volta di 5.000 operai la manifestazione che si tenne
a Bucarest, però non il giovedì 1° maggio ma la domenica 4 maggio.
Gli operai sfilarono per le strade e si diressero al giardino Trocadero
ove tennero una grande assemblea.
La giornata del 1° maggio in Spagna fu del tutto particolare perché
caratterizzata dagli anarchici che decisero di intervenirvi in forza
con la promozione dello sciopero generale nelle principali località
industriali e minerarie del paese.
La manifestazione a Madrid si svolse pacificamente. Gli anarchici
furono assenti. L’adunanza dei lavoratori era grandiosa. Dopo i
comizi, una delegazione, seguita da oltre 20.000 persone, si recò alla
sede del governo per presentare la risoluzione approvata dal Congresso
socialista di Parigi. La delegazione venne accolta dal presidente
del Consiglio.
Tutto diverso il clima di Barcellona ove, malgrado il divieto delle
autorità, si svolse una grande manifestazione, per sciogliere la quale
intervennero squadroni di cavalleria senza riuscire a disperderla. I
manifestanti infatti resistettero alla carica. Oltre alla manifestazione,
promossero anche lo sciopero generale organizzando un corteo con
100.000 partecipanti. Perduto il controllo della situazione, le autorità
proclamarono la legge marziale.
In Italia il grosso delle manifestazioni si svolse nelle regioni del
Centro e del Nord.
A Milano la situazione fu conforme alle direttive impartite dal
Consolato operaio. Verso le nove del mattino un grosso raggruppamento
fece ingresso nella Galleria Vittorio Emanuele II. Intervenne
la polizia e il raggruppamento si sciolse senza intimazioni.
Verso le tre di pomeriggio un numeroso assembramento si raccolse
sulle gradinate del Duomo. Seguì l’intervento della forza pubblica.
A Torino, come deciso dalle associazioni, gli operai non si astennero
dal lavoro. Verso le ore 11 del mattino, tuttavia, operai disoccupati
fecero scioperare le operaie del cotonificio Roma. Poi alle
prime ore della sera si formarono assembramenti in Piazza dello
Statuto. Intervenne la truppa per disperderli, ma gli operai fecero
resistenza tirando colpi di revolver e di sassi. Alla fine, dispersi, furono
effettuati dieci arresti.
Conferenze, petizioni, ordini del giorno, astensioni dal lavoro si
registrarono a Varese, Alessandria, Bra, Asti, Savona, Pavia, Cremona.
A Voghera gli operai, costretti a recarsi al lavoro, si presentarono
nella fabbrica vestiti a festa.
A Ravenna i negozi furono chiusi con iscritto sulla porta «Festa
proletaria internazionale». A Faenza, una commissione di operai si
recò dalla Giunta municipale per chiedere lavoro. A Cesena, Castrocaro,
Bagnacavallo ci furono manifestazioni, conferenze, petizioni,
delegazioni al Comune, votazione di ordini del giorno affermanti
la solidarietà ai lavoratori di tutto il mondo. A Lugo nella
mattinata si adunò un assembramento davanti a un istituto scolastico.
A Sant’Arcangelo di Romagna gli operai si astennero dal lavoro e
a mezzogiorno si tenne una conferenza nella sala del municipio ove
intervennero 300 operai. Furono votati ordini del giorno con i quali
si espresse solidarietà alla manifestazione internazionale dei lavoratori
e si chiese lavoro alle autorità e ai cittadini di cuore.
A Parma furono pochissimi gli operai che si astennero dal lavoro.
Nella sala Mazzini si tennero tuttavia tre conferenze,
A Rimini circa 1.000 persone intervennero a una conferenza in
locale non aperto al pubblico. Pochi e brevissimi i discorsi. Venne
votato un ordine del giorno affermante l’unione mondiale dei lavoratori.
Conforme alla richiesta della commissione operaia, i negozi
restarono chiusi con la scritta «Chiuso per la festa mondiale». I sodalizi
radicali issarono le bandiere nelle rispettive sedi sociali.
A Forlì il Circolo Mazzini pubblicò un manifesto affermante la
solidarietà del Partito alla dimostrazione operaia.
A Bologna alle due del pomeriggio si tenne una assemblea affollatissima
nella società operaia. Indi, si diede inizio alla dimostrazione
la quale, partendo dalla società operaia, percorse via del Cavaliere,
Mercato di Mezzo, Spadario e piazza Vittorio Emanuele. La manifestazione
fu sciolta dalla truppa che occupò le adiacenze di piazza
Vittorio Emanuele. Non vi furono incidenti. Ma la violazione del
divieto governativo era clamorosa. Seguirono una trentina di arresti,
A Firenze i negozi furono chiusi alle 10 antimeridiane. Alcune associazioni
si adunarono al Foro Boario ma vennero disperse dalla
truppa. A Livorno un tentativo di manifestazione fu immediatamente
represso. A Pisa furono sciolti vari assembramenti. A Grosseto
la polizia arrestò quattro noti anarchici per incitamento allo
sciopero e ai disordini.
A Napoli, la manifestazione si tenne dopo mezzogiorno in piazza
Mercato. I negozi furono chiusi. Chiusero anche vari opifici meccanici.
La manifestazione fu sciolta con la forza e la polizia procedette
all’arresto di 70 lavoratori a norma degli articoli 247 e 251 del codice
penale.
Tutto normale a Genova. Mantova, Verona, Venezia e Vicenza.
A Monza fu sciolto un assembramento di poco rilievo. Nel pomeriggio
una riunione di operai in sede privata votò un ordine del
giorno di solidarietà coi lavoratori di tutto il mondo e di augurio per
la riduzione della giornata di lavoro
A Como, negozi chiusi o semichiusi. Fuori Porta della Torre una
dimostrazione di 300 operai fu sciolta dalla polizia. A San Pier
d’Arena, a Biella, a Lodi, Modena, Brescia ed Ancona gli operai furono
tutti al lavoro.
A Palermo, in piazza Vigliena, ossia ai Quattro Canti, centro nevralgico
della città, si riunirono 300 persone capitanate da un ope89
raio con un fazzoletto rosso che gridava «pane e lavoro». L’assembramento
fu sciolto dalle forze dell’ordine. Impressionante lo schieramento
di poliziotti, di carabinieri e di truppa. Gli arrestati furono
più di trenta, processati per direttissima.
A Catania una riunione ebbe luogo nei locali dei Figli del lavoro.
De Felice-Giuffrida con un centinaio di persone si recò quindi in
prefettura. Intervenne la truppa e impose lo scioglimento. In seguito
al rifiuto, la truppa ricorse alla forza. A De Felice tuttavia non
fu impedito di recarsi in prefettura e consegnare una petizione con
le deliberazioni prese dagli operai.
La giornata per la riduzione del lavoro a otto ore non si concluse
il 1° maggio, perché le organizzazioni operaie inglesi avevano deciso
che la loro manifestazione si svolgesse domenica 4 maggio. Quel
rinvio infrangeva la data fissata dal Congresso socialista internazionale
di Parigi ma evitava che per partecipare alla manifestazione si
avesse una colossale astensione dal lavoro.
Il 4 maggio l’onda lunga dei manifestanti popolò imponente le
sponde del Tamigi. Preceduti da numerose bandiere e da molte bande
musicali due immensi cortei operai, compresi gruppi tedeschi e stranieri,
mossero nel pomeriggio dal Victoria Embarkment per Hyde Park,
ove 13 tribune erano state preparate per gli oratori. Fu calcolata la
presenza di 300.000 persone, parte costituita dai membri delle Trades
Unions e dagli sckilled labourers (cioè gli artigiani il cui mestiere richiedeva
un tirocinio); parte, dalla moltitudine degli operai più umili.
Friedrich Engels, presente alla manifestazione, però nella qualità
di ospite, ne scrisse pienamente soddisfatto: «Come deve ammettere
persino l’intera stampa borghese, qui la manifestazione del 4 maggio
è stata addirittura travolgente. Io mi trovavo sulla quarta tribuna (un
grosso carro merci) e avevo modo di vedere solo una parte – un
quinto, un ottavo – della massa che stava spalla a spalla fin dove
poteva spingersi la mia vista. C’erano 250-300 mila persone, più dei
tre quarti delle quali erano operai che manifestavano. Avening, Lafargue
e Stepniak hanno parlato dalla mia piattaforma (io ero un
semplice spettatore). Lafargue ha provocato una vera tempesta di
applausi con il suo ottimo inglese dallo spiccato accento francese e
la sua vivacità meridionale. Anche Stepniak, anche Ede (Edouard
Bernstein) ha avuto un’accoglienza brillante sulla tribuna in cui si
trovava Tussy (Eleonor Marx). Le sette piattaforme stavano 150
metri l’una dall’altra, le ultime distavano 45 dalla fine del Parco.
Quindi la nostra manifestazione, quella della giornata lavorativa di
otto ore da introdurre per legge a livello internazionale, era più lunga
di 1.700 metri e larga abbondanti 400-450 metri, e tutta piena
zeppa, Più in là stavano le sei piattaforme del Trade Council e le due
della Federazione socialdemocratica che però non erano circondate
nemmeno dalla metà del pubblico che attorniava le nostre. Tutto considerato,
questo è stato il più gigantesco comizio mai tenuto qui. Inoltre
qui rappresenta una brillante vittoria specialmente per noi. Ero più
alto di due pollici quando sono sceso dal vecchio carro merci».
Fatta la manifestazione londinese del 4 maggio, fu possibile trarre
un bilancio completo della giornata internazionale
Primo dato. Paesi europei partecipanti 18: Inghilterra, Francia,
Austria, Italia, Belgio, Germania, Ungheria, Svezia, Danimarca,
Olanda, Norvegia. Spagna, Portogallo, Svizzera, Olanda, Polonia,
Romania, Russia e rispettive capitali. Sarebbero da aggiungere i paesi
dell’America latina, gli Stati Uniti e l’Australia.
Secondo dato: operai intervenuti alle manifestazioni, agli scioperi,
alle adunanze, alle conferenze, alle votazioni di ordini del giorno e
di petizioni. Nella impossibilità di calcolare la moltitudine, riportiamo
le cifre più importanti: Londra 300.000, Barcellona 100.000,
Stoccolma 50.000, Vienna 40.000, Budapest 30.000, Berlino 20.000,
Madrid 20.000, Bruxelles 10.000, Zurigo 4.000, Varsavia 3.000. Aggiunti
i minatori belgi, austro-ungarici e tedeschi, si raggiungeva la
cifra di 1 milione di operai partecipanti. Ma quella cifra era forse da
duplicare e da triplicare.
Quanto ai giudizi, riportiamo i commenti della stampa del giorno
dopo. Il «Daily Telegraph» di Londra scrisse che la giornata per le
otto ore costituiva la conferma circa la possibilità di organizzare in
tutta Europa una grande dimostrazione internazionale. Il «Times»
sostenne che la solidarietà delle classi operaie era un fatto del quale
gli uomini di Stato dovevano tener conto. «Debats» di Parigi ammonì
che si sarebbe avuto torto nel considerare la giornata come
incidente senza importanza; occorreva invece tener conto che dalla
giornata era stato mostrato al mondo che l’operaio era obbediente
alla parola d’ordine data da lungo tempo e che nel corso di 24 ore
alterò profondamente le condizioni ordinarie della vita industriale e
sociale.
Il «Secolo Illustrato» descrisse le manifestazioni avvenute nei
principali centri industriali dandone un quadro con le sue luci e le
sue ombre. Il «Fascio operaio», organo del Partito operaio italiano,
al riguardo però intese precisare che il 1° maggio lo si doveva considerare
non in quello che era stato, ma in quello che significava.
«Considerato in quello che significa, non si trova in tutta la storia
del mondo una data che regga al suo confronto. Da un capo
all’altro del mondo, in America, in Europa, in Australia, il pensiero
di milioni e milioni di proletari si è raccolto sulla grande questione
del lavoro e della fatica, ripartiti in modo equo e proporzionale alle
forze umane e in modo utile e benefico per tutti».
Friedrich Engels fu ancora più esplicito. «La festa di maggio del
proletariato – scrisse – ebbe importanza storica non solo per il suo
carattere generale, che ne fece il primo atto della classe operaia in
lotta, ma anche perché è servita a far constatare i progressi dalla stessa
felicemente raggiunti nei singoli paesi. Avversari ed amici concordano
nel fatto che in tutta l’Austria e in particolare a Vienna la
forza del proletariato si è sviluppata nel modo più importante e
brillante e che con essa la classe operaia austriaca e in primo luogo
quella viennese ha conquistato un posto assolutamente speciale
all’interno del movimento. Solo qualche anno fa il movimento austriaco
era ridotto a un livello nullo. I lavoratori delle province tedesche
e slave erano divisi in partiti nemici, le loro forze logorate
da lotte intestine. Chi solo tre anni fa avesse sostenuto che, il 1°
maggio, Vienna e tutta l’Austria avrebbero dato a tutti gli altri un
esempio di come debba essere celebrata la festa di classe del proletariato,
sarebbe stato deriso.
«Faremmo bene a non dimenticare questa realtà nel giudicare.
Chi può sostenere che Parigi non possa fare ciò che ha fato Vienna?
Ma Vienna il 4 maggio è stata superata da Londra. Io considero [la
manifestazione all’Hyde Park], il dato più importante e grandioso di
tutte le feste di maggio È un evento epocale».
Fu concorde in tal senso anche Antonio Labriola: «La manifestazione
mondiale del primo maggio dice ora con l’eloquenza dei fatti
come la nuova storia sia già cominciata»
Riferimenti bibliografici
F. Della Peruta, Lavoro e industria, in R. Zangheri (a cura di), Storia del Primo
Maggio, cit.
'La belva scatenata' articolo di Girolamo Li Causi
sulla Strage di Portella della Ginestra
Tutto il mondo civile fremerà di orrore nell’apprendere la ferocia fredda disumana con la
quale al Piano della Ginestra, luogo caro ed amato dai contadini di Piana dei Greci, di S.
Giuseppe Jato e di S. Cipirrello per avervi ascoltato fin dal 1894 la calda pacata umana
parola dell’apostolo del socialismo siciliano Nicola Barbato, sono stati abbattuti al suolo
bimbi, donne, vecchi, fiorenti gioventù, da parte di sicari armati di mitragliatrici e moschetti
che vomitavano il fuoco micidiale per ben venti minuti sulla folla silenziosa e festosa
raccolta attorno al primo oratore che celebrava la festa del lavoro.
Le masse lavoratrici italiane che in tutte le piazze d’Italia avevano manifestato insieme con
tutte le forze sinceramente democratiche e repubblicane, il loro giubilo per la splendida
vittoria delle forze del progresso contro quelle del passato nelle elezioni del 20 aprile,
fremeranno di sdegno per questo inaudito delitto che supera in ferocia le stragi dei nazisti
e dei fascisti contro le popolazioni inermi.
I lavoratori siciliani, le masse contadine della nostra Isola, tutti i cittadini onesti balzeranno
in piedi per imporre che la belva scatenata – i grossi agrari, la mafia che ha lottato con tutti
i mezzi per il trionfo della monarchia e del qualunquismo monarchico, che aveva ancora le
mani grondanti di sangue di Accursio Miraglia, di Nicola Azoti e di altri generosi figli del
popolo – ora che ha mostrato apertamente la sua grinta mostruosa sia distrutta con la
stessa implacabilità con cui ci si difende dalle belve scatenate.
Sconfitta sul terreno della democrazia, della civile competizione, la casta dominante della
nostra Isola ha minuziosamente, freddamente premeditato il piano di provocazione e di
aggressione contro le sane vive forze che hanno voluto con le elezioni del 20 aprile
manifestare il loro profondo deciso desiderio di rinnovamento. Lungi dal rassegnarsi alla
sconfitta e di trarre le necessarie conseguenze dalla affermazione delle forze
democratiche, profittando della debolezza, tolleranza e spesso complicità di certe autorità
centrali e periferiche nostalgiche della monarchia e del fascismo, ma soprattutto legate agli
agrari, alla mafia e alla più bassa e volgare delinquenza delle campagne e delle città dal
momento in cui hanno appreso la irreparabile cocente sconfitta, il blocco monarchicoliberal-qualunquista è passato alla controffensiva e non potendo più contare sulla
intimidazione ha ricorso alla aperta violenza.
È una sfida che il blocco borbonico e la sua guardia armata, la mafia, lancia contro i
lavoratori di tutto il mondo intenti a celebrare il Primo Maggio: è una sfida che viene
lanciata alla democrazia repubblicana italiana, è un vile proditorio attacco ai lavoratori
siciliani, ai contadini siciliani, agli onesti cittadini siciliani che, felici della lotta di liberazione
conclusasi con la vittoria del 20 aprile, nella giornata consacrata alla festa del lavoro di ieri
civilmente affermavano la volontà di marciare avanti verso un avvenire di libertà e di
benessere.
Ma la sfida della belva scatenata è lanciata anche contro lo Stato italiano, contro la nuova
Repubblica democratica dell’Italia risorta, ed è la più genuina e belluina espressione di
come le forze del blocco agrario e della sua forza armata la mafia intendono l’autonomia
siciliana.
Oggi alla Costituente – dove saranno chieste al governo le misure e l’azione che intende
svolgere per riparare questo feroce delitto di lesa umanità e per incatenare per sempre la
belva che tanti lutti già ha seminato e che minaccia ora dalle fondamenta il vivere civile
della più generosa terra d’Italia – il problema della Sicilia e della distruzione delle
manifestazioni più barbare delle sue caste feudali sarà posto in tutta la sua interezza. Guai
al nuovo Stato repubblicano e democratico, guai alle forze che dovranno assicurare la
rinascita del nostro Paese se non rinnoveranno l’apparato della polizia, della pubblica
amministrazione, della magistratura, per garantire civiltà e libertà alla nostra Isola!
Le forze del Blocco del Popolo, e con esse tutte le forze sinceramente democratiche e
amanti del civile progresso della Sicilia, sono già mobilitate e sono decise, insieme con le
forze della civiltà e del progresso del mondo e dell’Italia tutta, ad imporre un energico
deciso intervento del governo per schiacciare la testa ai criminali del blocco agrario per
eliminare dall’Isola la belva scatenata che ha nome mafia.
*
La Voce della Sicilia, 2 maggio 1947.
Risoluzione del Direttivo CGIL - 2 maggio 1947
“Il Comitato Direttivo ristretto della Cgil convocato d’urgenza il due maggio 1947, sotto la
Presidenza del Segretario Generale Oreste Lizzadri per discutere in merito al barbaro
eccidio di Portella della Ginestra, eccidio consumato ai danni di pacifici ed inermi lavoratori
riuniti per festeggiare il primo maggio
CONSTATATO
che l’eccidio è la conseguenza dei delitti perpetrati in Sicilia contro le organizzazioni
sindacali – delitti rimasti per la maggior parte ancora impuniti – e dalla volontà dei
latifondisti siciliani di soffocare nel sangue l’organizzazione dei lavoratori, mentre invia un
riverente e commosso pensiero alle vittime innocenti e alle loro famiglie
INVITA
il Governo democratico a colpire e con la severità richiesta dalla efferatezza del delitto,
esecutori e mandanti
in segno di protesta e di solidarietà
DELIBERA
l’astensione dal lavoro in tutta Italia per domani sabato 3 maggio dalle ore 11 in poi con
l’esclusione dei servizi pubblici e dei pubblici esercizi indispensabili. Le Camere del Lavoro
organizzeranno nelle ore e nei luoghi più convenienti comizi di protesta”.
PRIMO MAGGIO NEL MONDO
In occasione del Primo maggio 2010 l’ ITUC, che rappresenta 176 milioni di lavoratori
di155 paesi nel mondo con 312 organizzazioni sindacali nazionali affiliate, ha emanato il
seguente comunicato.
Per ulteriori informazioni vedi: http://www.youtube.com/ITUCCSI
DALLA CRISI AD UNA GIUSTIZIA GLOBALE
Decenni di deregolamentazione, l'avidità e la speculazione del libero mercato hanno fatto
piombare il mondo in una profonda recessione economica, con effetti terribili sui lavoratori
e le loro famiglie in tutto il pianeta. 34 milioni di posti di lavoro sono stati persi, e la fine di
questa situazione non è ancora in vista. Con ulteriori 64 milioni di persone spinte verso la
povertà estrema, il tentativo di porre fine alla povertà globale è ancora più fuori portata. Gli
anni in cui i governi hanno abrogato le loro responsabilità a governare devono finire. Alle
banche ed agli speculatori finanziari non può più essere permesso di governare
l'economia mondiale, o semplicemente inviare legge ai governi quando la loro
incompetenza e avidità ha gettato l'economia mondiale nel caos. Coloro che hanno
beneficiato così tanto e per così tanto tempo della distruzione dei mezzi di sostentamento
e del saccheggio delle risorse della terra devono essere chiamati a rispondere, ed i
responsabili dei crimini economici devono pagarne le sanzioni. Migliaia di miliardi di dollari
sono stati spesi dai governi per salvare le banche. Eppure, anche in questa recessione
così profonda, enormi somme di denaro vengono succhiate dall'economia ancora una
volta da banchieri e finanzieri, senza considerare il danno che fanno. Le valute sono sotto
attacco, i multimilionari bonus di dollari sono ritornati e la speculazione finanziaria è
ancora diffusa, mentre l'economia reale è privata dai mezzi necessari per sostenere e
creare occupazione. Il casinò globale resta aperto agli affari, ed è la gente comune che sta
ancora pagando il prezzo, in quanto i loro destini economici sono comprati e venduti per
soddisfare l'avidità di altri. Nel frattempo, il divario tra ricchi e poveri continua ad allargarsi,
in cima ad anni di crescente disuguaglianza che ha contribuito essa stessa a causare la
crisi.
I governi devono rispettare i propri impegni di governare nell'interesse della gente, per
mettere la finanza al servizio dell'economia reale, creare posti di lavoro dignitosi e
assicurare che tutti i datori rispettino i diritti dei lavoratori. Devono recuperare, tassando le
banche e la finanza, la ricchezza che è necessaria per riordinare l'economia mondiale e
per far fronte alle spese per sconfiggere la povertà e fermare il catastrofico cambiamento
climatico. Se i governi falliranno in questi doveri, e trascureranno le esigenze dei deboli e
degli emarginati, il conflitto sociale su una scala che non si è mai vista da decenni è sicuro
che diventerà una realtà.
Chiediamo che il governo della cosa pubblica torni al centro della scena, che l'erosione
della democrazia, nel nome del capitale debba essere ribaltato, e che coloro che hanno
preso e continuano a mantenere il potere attraverso metodi non democratici di
sottomettersi alla volontà della gente. Ogni persona deve essere messa in condizione di
realizzare le proprie aspirazioni, per loro stessi e le generazioni a venire. Essi devono
avere la possibilità di costruire una vita dignitosa attraverso un lavoro dignitoso e
attraverso servizi pubblici che rispondano alle loro esigenze.
Si tratta di governi che hanno salvato il sistema finanziario globale, lavorando insieme per
risolvere il disordine causato dal proprio “roll-back” di regolamentazione e per l'avidità dei
banchieri. I governi devono ora mantenere la rotta. Essi devono respingere le richieste di
ritirare il sostegno alle economie fragili e fare tagli devastanti della spesa pubblica. Essi
devono muoversi insieme senza ulteriori indugi per controllare e regolare la finanza.
L'alternativa è un’altra, più profonda, recessione che può portare anche ad una più
grande miseria umana.
Il deficit enorme nella governance globale democratica non è limitato al perdurare della
crisi economica. Con il misero fallimento dei governi al vertice di Copenaghen sul clima, la
terra è ancora in accelerazione verso i cambiamenti climatici catastrofici. La necessità di
una profonda, transizione da far subito verso l'economia verde mondiale è quindi più
urgente di giorno in giorno. I governi hanno il potere, ma devono anche avere la volontà, di
tirare indietro il mondo dall'orlo del disastro ambientale.
Gli impatti del cambiamento climatico colpiranno più duramente il mondo in via di sviluppo,
aggiungendo al record spaventoso di abbandono delle esigenze dei paesi più poveri
l'incapacità di raggiungere gli obiettivi fissati e gli impegni da parte dei paesi più ricchi per
porre fine alla povertà nel mondo. Una nuova agenda internazionale per lo sviluppo è
necessario, quella che aiuta i paesi più poveri del mondo ad uscire da se stessi dalla
povertà, costruire la democrazia, responsabilità e rispetto per i diritti umani e sindacali, e di
creare un lavori dignitosi, sostenibili per tutti.
Le strutture e le politiche della Banca Mondiale, FMI e WTO devono essere radicalmente
trasformate ponendo il lavoro dignitoso al loro centro e sostenendo una ripresa della
responsabilità democratica e di governance in ogni paese e a livello globale. L'OIL deve
essere al centro della nuova governance internazionale che lavora nell'interesse della
gente, e che garantisca un futuro sostenibile ed equo per l'umanità.
I sindacati del mondo si sono fatti avanti per rispondere a questa crisi a testa alta.
Abbiamo mobilitato per chiedere una riforma fondamentale, e ripresa la causa delle
lavoratrici e dei lavoratori al G20, alle Nazioni Unite e attraverso le istituzioni globali.
Porteremo avanti la nostra campagna per la giustizia globale, per smantellare l'edificio di
corruzione e di eccesso e per ricostruire. Da questa crisi, una nuova economia globale
deve essere creata, che:
• Fornisca un lavoro dignitoso, nel pieno rispetto dei diritti sindacali, a tutti;
• Sia fondata su un’efficace, democratica e responsabile governance globale che dia
priorità ai bisogni delle persone in primo luogo;
• Garantisca una forte regolamentazione finanziaria, mettendo la finanza al servizio
dell'economia reale e l'economia reale al servizio della gente;
• Garantisca rispetto per i diritti di tutte le lavoratrici ed i lavoratori, mettendo fine alla
povertà, alla disuguaglianza, alla discriminazione ed allo sfruttamento; e
• Assicurare la sostenibilità anche negli investimenti e nei posti di lavoro dell’economia
verde.
La sfida che abbiamo davanti è grande come quelle che i sindacati hanno dovuto far fronte
in qualsiasi momento. Noi abbiamo l'orgoglio e la fiducia nella nostra tradizione di
solidarietà che oggi è più forte che mai, e che ci dà le basi per trasformare la nostra
aspirazione per un mondo basato su democrazia, giustizia, uguaglianza e sostenibilità in
una realtà.
(English version)
FROM THE CRISIS TO GLOBAL JUSTICE
Decades of deregulation, greed and free-market speculation have plunged the world into
deep economic recession, with appalling impacts on working people and their families
across the planet. 34 million jobs have been lost, and the end is not in sight. With a further
64 million people pushed into extreme poverty, the quest to end global poverty is yet
further out of reach. The years of governments abrogating their responsibilities to govern
must end. Banks and financial speculators can no longer be allowed to rule the world
economy, or to simply send the bill to governments when their incompetence and greed
throws the world economy into chaos. Those who have profited so much and for so long
from the destruction of livelihoods and the plunder of the earth’s resources must be held to
account, and those responsible for economic crimes must pay the penalty. Trillions of
dollars have been spent by governments to rescue the banks. Yet even in the depths of
this recession, vast sums of money are being sucked out of the economy once more by
bankers and financiers without regard to the damage they do. Currencies are under attack,
multi-million dollar bonuses have returned and financial speculation is again rife, while the
real economy is starved of the means to sustain and create employment. The global
casino remains open for business, and it is ordinary people who are still paying the price,
as their economic futures are bought and sold to satisfy the avarice of others. Meanwhile,
the gap between rich and poor continues to widen, on top of years of growing inequality
which itself helped cause the crisis.
Governments have to meet their obligations to govern in the interests of the people, to put
finance at the service of the real economy, create decent jobs and ensure that all
employers respect the rights of working people. They must reclaim, by taxing banks and
finance, the wealth that is needed to put the world economy in order and to meet the costs
of defeating poverty and stopping catastrophic climate change. If governments fail in these
duties, and neglect the needs of the vulnerable and the marginalised, social conflict on a
scale not seen for decades is sure to become a reality.
We demand that government return to centre stage, that the erosion of democracy in the
name of capital be turned around, and that those who have taken and continue to hold
power through undemocratic means submit to the will of the people. Every person must be
empowered to fulfill their aspirations, for themselves and the coming generations. They
must be given the chance to build decent lives through decent work and through public
services that meet their needs.
It is governments that rescued the global financial system, working together to fix the mess
caused by their own roll-back of regulation and the greed of bankers. Governments now
need to stay the course. They must reject the demands to withdraw support for fragile
economies and make devastating cuts in public expenditure. They have to move together
without any further delay to control and regulate finance. The alternative is another,
deeper, recession bringing even greater human misery.
The huge deficit in democratic global governance is not limited to the continuing economic
crisis. With the abject failure of governments at the Copenhagen Climate Summit, the
earth is still accelerating towards catastrophic climate change. The need for a far-reaching,
just transition to a green world economy is thus more urgent by the day. Governments
have the power, but must also have the will, to pull the world back from the brink of
environmental disaster.
The impacts of climate change will hit hardest in the developing world, adding to the
appalling record of neglect of the needs of the poorest countries and the failure to meet the
targets set and the pledges made by richer countries to end world poverty. A new
international agenda for development is required, one which helps the world’s poorer
countries lift themselves out of poverty, build democracy, accountability and respect for
human and trade union rights, and create decent, sustainable jobs for all.
The structures and policies of the World Bank, IMF and WTO must be fundamentally
transformed to put decent work at their centre and support a resurgence of democratic
accountability and governance in every country and at the global level. The ILO must be at
the centre of new international governance which works in the interests of the people, and
which ensures a sustainable and equitable future for humankind.
The trade unions of the world have stepped forward to meet this crisis head-on. We have
mobilised to demand fundamental reform, and taken up the cause of working women and
men at the G20, the United Nations and right across the global institutions. We will carry
forward our campaign for global justice, to dismantle the edifice of corruption and excess
and to build afresh. Out of this crisis, a new global economy must be created, which:
• Delivers decent work, with full respect for trade union rights, to all;
• Is based on effective, democratic and accountable global governance which prioritises
the needs of people first;
• Ensures strong financial regulation, putting finance at the service of the real economy
and the real economy at the service of people;
• Guarantees respect for the rights of all working women and men and brings an end to
poverty, inequality, discrimination and exploitation; and
• Secures sustainability though green investment and green jobs.
The challenge before us is as great as any that trade unions have faced at any time. We
have pride and confidence in our tradition of solidarity which is stronger today than ever,
and which gives us the foundation for turning our aspiration for a world based on
democracy, justice, equality and sustainability into a reality.
The ITUC represents 176 million workers in 155 countries and territories and has 312
national affiliates. http://www.youtube.com/ITUCCSI
For more information, please contact the ITUC Press Department on: +32 2 224 0204 or
+32 476 621 018.