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il Ducato
L’inchiesta a Urbania
La storia
Il percorso
Incubo disoccupazione
nell’Eden del denim
Quel prete che cuciva
i pantaloni per ‘Jesus’
Cinque euro di stoffa
in negozio sono 200
Lungo la strada statle 73 bis si alternano
le aziende con nomi che richiamano al
tessile. In quella che era “La valle del
jeans”, però, sono rimasti solo i cervelli
delle ditte, mentre la produzione è stata
spostata all’estero. E solo nell’ultimo
anno alle liste di mobilità del comune si
sono iscritti in 104, 83 del settore manifatturiero.
pagina 2
Ogni giorno partivano 40.000 paia di
jeans con i cartellini dei marchi italiani
più importanti: Pop 84, Carrera, Jesus.
Erano gli anni ‘80. Oggi la produzione è
stata spostata all’estero e di manodopera locale c’è sempre meno bisogno.
Storia di un distretto industriale nato
negli anni ‘50 per idea di un prete.
Come un metro denim che costa 5 euro
diventa un jeans da 200. Il passaggio
chiave è in lavanderia: è lì che si deciderà il valore finale del pantalone. E per le
produzioni più a buon mercato, c’è una
trasferta in Romania dove però avviene
solo il taglio. L’unica operazione rimasta in terra urbanese è lo stiro.
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il Ducato
DOSSIER
Intere generazioni di urbanesi sono cresciute lavorando il denim
Così la crisi fa le scarpe
alla capitale del pantalone
Tra fabbriche in fallimento e operai cassaintegrati. Viaggio nella ex “Valle del jeans”
T
arcisio Galavotti
passeggia calmo in
quello che è ancora
il suo studio. Si affaccia dalla finestra e vede le macchine passare lungo la statale
73 bis. E' la strada che collega
Urbania a Sant'Angelo in Vado
e Mercatello sul Metauro, paesi che un tempo formavano la
"Valle del jeans".
Galavotti non si siede quasi
mai mentre racconta gli episodi
che hanno portato lui e il suo
socio, Alessandro Giuliani, a
chiedere lo stato
di liquidazione
con concordato
preventivo sulla
concessione dei
beni della loro
azienda, la Italian Fashion.
"Ci sono due categorie di imprenditori: una investe sulla
'casa', cioè sull'arricchimento
personale, l'altra sull'azienda
per farla crescere e sviluppare
sempre di più. Io e il mio socio
facciamo parte di questa seconda categoria e abbiamo investito molto nella nostra società", dice con voce tranquil-
la.
Secondo il Cerved Group, società che valuta la solvibilità di
imprese e persone, da gennaio
a settembre 2009 in Italia sono
state 664 le aziende che sono
state costrette a chiedere lo
stesso tipo di fallimento della
Italian Fashion; il settore più
colpito è quello manifatturiero
dato che 53% di questi fallimenti ha riguardato imprese
tessili. In questa classifica non
proprio lusinghiera, le Marche
sono la quarta
regione, con 70
richieste. Sempre secondo il
Cerved, nel solo
trimestre agosto-settembre in
Italia sono state
aperte 1.735
procedure fallimentari.
La ditta di Galavotti e Giuliani,
era nata nel 1984
ad Acqualagna
per commercializzare jeans. L'anno dopo si è
trasferita ad Urbania e nel 2002
ha raggiunto il fatturato record
di 23 milioni di euro, 11 dei
quali grazie a Maggie, il marchio che aveva in licenza. Era il
momento più florido dell'azienda che contava 65 dipendenti. L'anno prima era stata
L’Italian
Fashion
fatturava
23 milioni
nel 2003
L’anno scorso
è fallita
Il glossario
Cassa integrazione
ordinaria
Garantisce al lavoratore un reddito sostitutivo. E’
richiesta dalle aziende in momentanea crisi di mercato
e può durare al massimo 13 settimane. Si percepisce
meno dell’80% dello stipendio che è a carico dell’Inps
Cassa integrazione
straordinaria
Può essere chiesta dalle aziende con più di 15 dipendenti
in casi di crisi particolarmente rilevante o sogetta a fallimento o in riconversione. Ha durata diversa in base ai casi
Liste di mobilità
E’ dove vengono inseriti i lavoratori licenziati da imprese
con oltre 15 dipendenti per cessazione, trasformazione
o riduzione di attività. La durata dell’iscrizione è in base
all’età del lavoratore (massimo 36 mesi)
2
presa la decisione di fare un investimento importante come
la costruzione della sede in cui
si trova attualmente lo studio
di Galavotti: 1.500 metri quadri
di uffici con una
facciata che richiama le strutture delle industrie inglesi
dell''800 e con
gli interni in
mattoncini rossi. Costo: 5 milioni di euro.
Proprio per la
spesa fatta per la
struttura, i due
titolari hanno
ricevuto il premio per la "valorizzazione dell'entroterra"
dalla Confindustria provinciale.
Poi la discesa. Nel 2006 i dipendenti erano diventati 40 e il fatturato dimezzato. "Alcuni investimenti forse li abbiamo
sbagliati, ma se ci troviamo in
questa situazione è perchè non
eravamo più competitivi sui
costi. E per fortuna che avevamo due marchi in licenza, altrimenti molto probabilmente
avremmo chiuso prima", dice
Galavotti. "Io e il mio socio abbiamo chiesto un tipo particolare di fallimento perchè è
quello che consente di garantire al massimo i creditori. Io
quando esco per Urbania voglio camminare a testa alta. E
non si pensi che per un imprenditore sia facile prendere
questa decisione, ma non avevamo più altra scelta. E le banche non ci hanno aiutato".
Ora qui arriverà una multinazionale indiana e questo diventerà il loro showroom e sede di rappresentanza. Non
avranno bisogno dei 17.500
metri quadri di capannoni industriali pieni di macchinari
che saranno ceduti per pagare
i debiti. La produzione infatti
rimarrà in Egitto.
Egitto e nord Africa sono l'ultima frontiera delle delocalizzazioni. Prima si andava in Romania, ma ora comincia ad essere poco conveniente portare
la produzione lì dopo che Bucarest è entrata nell'Unione
Europea. Nel corso degli anni
infatti da Urbania gran parte
della produzione è stata spostata e ora non stanno che rimanendo facciate di uffici, alcuni anche progettate da architetti importanti. Ad Urbania c'è il cervello delle aziende,
le braccia sono altrove.
Per questo probabilmente Galavotti verrà assunto dalla nuova proprietà. "Per la mia esperienza nel settore. Hanno bisogno di figure professionali con
il profilo come il mio, Magari
più avanti mi faranno fare
l'amministratore delegato",
dice senza che nella voce si
senta il disturbo di passare dalla situazione di
imprenditore a
quella di impiegato-salariato,
anche se di ottimo livello.
Oltre agli operai
impiegati nella
confezione dei
pantaloni, a vivere una situazione di crisi sono anche tutti
quelli impegnati
nell'indotto: stirerie, lavanderie
e ditte di trasporto.
Poco più avanti rispetto la Italian Fashion c'è la Stir Control,
stireria con 24 anni di storia alle spalle. "Qui una volta si lavorava tutto l'anno, oggi si va a
stagioni: da metà novembre a
febbraio e da maggio a luglio",
dice il titolare, Giovanni Dini. I
suoi dipendenti sono venti, ma
ora a lavoro nel grande capannone sono solo dieci. "Faccio
esaurire le ferie che hanno in
arretratato, poi scatta la cassa
integrazione a turno. Una settimana uno, la settimana dopo
un altro". A partire dal settembre 2009, nei mesi in cui si lavora meno gli operai sono stati
in cassa integrazione a gruppi
di 5-6 alla volta.
E questa situazione non riguarda solo la Stir Control. La
Leontex è una lavanderia storica di Peglio, comune subito
fuori Urbania. Negli anni Novanta aveva più di cento dipendenti, tra amministrativi ed
Nel 2009
83 iscritti
su 104 alle
liste di
mobilità
urbanesi
erano tessili
A destra, la sede della Italian
Fashion. L’azienda è fallita ed è
stata acquisita da una
multinazionale indiana.
Sopra, la porta chiusa dell’outlet
I numeri del lavoro
operai e nel 1993 aveva un fatturato di 18,6 miliardi di lire.
Oggi le persone che ci lavorano
sono diventate una quarantina. "L'anno scorso abbiamo
fatto 60-70 ore di cassaintegrazione a testa e la nostra azienda aveva esaurito quella ordinaria", racconta Fausto Falasconi delegato sindacale Cisl.
"Nel 2009, 6-7 dipendenti sono
stati messi in mobilità. Hanno
tutti tra i 40 e i 50 anni. Alcuni
non hanno ritrovato lavoro, altri si, ma di questi non mi pare
che qualcuno lo abbia ritrovato nel tessile ", continua Falasconi.
La musica non cambia se si
ascoltano le parole di Adelinda
Torcolacci, anche lei delegata
Cisl, alla ditta Ganzo: “Noi siamo 45 operaie e una quindicina di tecnici. L’anno scorso abbiamo fatto tutti tre mesi di
cassaintegrazione. E io, che la-
Ore di cassa integrazione
Straordinaria
2008
2009
Italia
113,2
milioni
578,1
milioni
109,8
milioni
339,9
milioni
223,1
milioni
918,1
milioni
Marche
2,3
milioni
13,4
milioni
3,6
milioni
9,2
milioni
5,9
milioni
22,6
milioni
Pesaro e Urbino
735
mila
4,8
milioni
23
mila
1,7
milioni
758
mila
6,5
milioni
Iscritti
liste di mobilità
Pesaro e Urbino
Urbania
IL LIBRO
Scritto dal professor Augusto
Calzini nel 1995, è il libro gelosamente
conservato da molti imprenditori e
abitanti urbanesi perchè racconta
la loro storia.
Contiene molte informazioni sul
distretto industriale del jeans, i
profili delle industrie e dei loro
creatori.
Il testo è in italiano, ma riporta la
traduzione in inglese nelle pagine
a fronte.
Totale
2008
2009
Ordinaria
2008
2009
2005
2006
2007
2008
2009
2.052
1.901
1.337
2.266
4.141
n.d
n.d
24
62
104
I dati nazionali sono dell’Inps; quelli provinciali e comunali della provincia di Pesaro e Urbino
voro part-time, sono andata
avanti con uno stipendio di 550
euro. E’ normale che la prima
spesa su cui si taglia è il superfluo. Ma io non voglio nemmeno lamentarmi, anche perchè
so che ci sono situazioni peggiori della mia. La mia azienda
aveva assicurato me e le mie
colleghe che saremmo tornati
a lavoro e per fortuna così è stato. Per quanto riguarda quest’anno, era stata nuovamente
richiesta la cassaintegrazione,
ma per ora siamo riusciti ad
evitarla”.
I lavoratori che perdono il posto si iscrivono alle liste di mobilità. E così hanno fatto anche
quelli della Leontex. Ma non
sono stati i soli. Nel solo comune di Urbania nel 2009 ci sono
state 104 iscrizioni, di cui 83
provenienti proprio dal settore
manifatturiero. Nel 2008 erano
state 62 e l'anno prima solo 24.
Ancora peggiore è la situazione
se si guardano le ore di cassa
integrazione. Quelle fatte dagli
operai della Stir Control, della
Ganzo e da quelli della Leontex
vanno a sommarsi a un mare di
ore che hanno interessato i lavoratori di tutte le Marche, ma
soprattutto della provincia di
Pesaro-Urbino. Nessun'altro
territorio ha visto un aumento
così forte di questo ammortizzatore sociale. Secondo la Confindustria provinciale a Pesaro-Urbino tra il 2008 e il 2009 le
ore di cassaintegrazione,
straordinaria e ordinaria, sono
passate da 758.121 a 6.533.538.
In percentuale il balzo è stato
del 761%. Nello stesso periodo
in Italia l'aumento è stato meno del doppio, cioè del 311% e
nella Marche del 283%.
"Speriamo - dice Falasconi che la situazione migliori. Dall'inizio dell'anno abbiamo fatto solo poche ore di cassa integrazione e per quanto riguarda
la mia ditta è arrivata una nuova commessa che per il momento ci fa respirare".
"Se negli anni- dice Galavotti fossimo stati capaci di creare
un consorzio con un marchio
proprio oggi non saremmo in
questa situazione. Dovevamo
formare un'unione tra imprenditori, ma non lo abbiamo
fatto. Potevamo chiamarlo "La
valle del jeans" e sono sicuro
che molti grandi marchi avrebbero inserito nella propria collezione uno o due capi che venivano da questa zona. Qui però siamo abituati a guardare
tutti al proprio orticello e in
pochi hanno la cultura del
marchio".
Mentre dice queste parole, Tarcisio Galavotti è ancora alla finestra del suo studio, guarda
fuori a vedere quello che ci sarebbe potuto essere e invece
non c'è.
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DOSSIER
L’iniziativa messa in campo dal Comune
Il personaggio Il pionere da cui tutto partì 54 anni fa
E l’assessore
aiuta l’operaio
Il jeans sotto la tonaca
Don Corrado Catani è il prete
che ha portato a Urbania
la prima macchina tessille
industriale e da lì è iniziata
l’industrializzazione del territorio.
Tra alti e bassi
Q
uesta è una storia
con un nome, un
cognome e una data. Il nome è quello
di don Corrado Catani, prete sui generis e con una doppia vocazione:
quella ecclesiale e quella imprenditoriale. La data è il '56
con la guerra alle spalle e in pieno piano Marshall.
Don Corrado, laureato alla
"Scuola Cantorum" del Vaticano, tornò a Urbania da Roma
con l'incarico di
occuparsi dell'amministrazione dei beni
ecclesiastici. Diventò esperto in
materia fiscale e
amministrativa
e per queste sue
competenze
venne inviato a
Modena dove
c'era un convento di suore in
difficoltà. Erano gli anni '50, la
guerra era finita da poco e in
Italia si parlava del segretario
di stato americano George
Marshall. Il governo statunitense infatti aveva studiato un
piano per aiutare i paesi europei appena usciti dal conflitto
mondiale. Anche in Italia quindi si imparò presto cosa significasse il suo nome: finanziamenti economici per la ripresa
economica del Paese.
Proprio grazie a questi soldi il
convento femminile modenese aveva comprato delle macchine elettriche per cucire abiti per gli orfani. Il sistema che
reggeva il convento venne però
messo in crisi da un funzionario statale che contestò delle irregolarità fiscali. Il Vaticano
mandò don Corrado che durante la sua visita notò le macchine industriali, così diverse
da quelle che proprio lui aveva
messo a disposizione delle
donne urbanesi per conto dell'Opera Diocesana Assistenza.
Erano vedove di guerra o con
difficoltà di sussistenza a cui
don Corrado aveva fornito
macchine per cucire a manovella o a pedale.
Perché quelle macchine non
potevano essere usate anche a
Urbania? Così la prima macchina 'moderna' arrivò nell'antica Casteldurante. Era il
1956 e, sempre grazie a don
Corrado, arrivarono le commesse e si cominciò a lavorare.
Renzo de Angeli ha attraversato la storia di del distretto industriale di Urbania, non solo
metaforicamente. Ha lavorato
presso diverse aziende, ha girato in macchina l'Italia per partecipare alle contrattazioni nazionali con l'associazione delle
piccole e medie imprese del
tessile e per questo si definisce
"il sindacalista delle aziende".
Oggi, dal suo studio di consulente del lavoro, torna indietro
con la mente per raccontare
degli anni passati, quando era
collaboratore del
maggiore protagonista di questa
vicenda, don
Corrado appunto. "Questo è un
territorio che vive di mode. Se
uno fa una cosa
poi molti lo seguono. Era avvenuto già precedentemente con
l'allevamento
delle
galline
ovaiole. Poi venne la fase dell'industria". Così i
capannoni che fino a quel momento erano stati pieni di galline ruspanti, ora vengono occupati da macchine per cucire.
Nulla sarebbe iniziato, però,
senza don Corrado. Chi lo ha
conosciuto dice di lui che era
unprete sui generis. "Era un
manager - racconta Igino Silvestri che ha lavorato per molti
anni con lui - e quando diceva
messa non faceva la predica.
Ma quando eravamo in giro si
fermava spesso per pregare.
Col fatto che era
delegato per la
contrattazione
sindacale della
Uniontessile
viaggiavamo
molto insieme.
Guidava sempre
lui e non si sapeva mai quando si
tornava a casa.
La madre i primi
tempi si preoccupava, ma poi
ha smesso. Anzi
gli sembrava
strano quando quelle poche
volte che è accaduto, ha visto il
figlio tornare alle 19.00", racconta Igino. Negli anni è apparso un articolo su di lui pure sul
settimanale inglese "Time".
Per un periodo Don Corrado,
morto poi nel 1991, produsse i
jeans anche per il marchio "Jesus", così spesso si sentiva dire
che era "il prete che faceva i
pantaloni a Gesù".
"All'inizio la produzione riguardava abiti e non jeans. La
lavorazione del denim arrivò in
Di lui si dice
che aveva
una doppia
vocazione:
religiosa
e da
imprenditore
4
A sinistra, in
piccolo, una
foto di don
Corrado Catani
con alcune
donne
impegnate
nella cucitura
con macchine
elettriche; al
centro, un
grande
macchinario
per il lavaggio
dei jeans.
Le dimensioni
maggiori di
queste
macchine
furono
introdotte
nelle
aziende
urbanesi
un secondo momento, intorno
alla metà degli anni '70", ricorda De Angeli. Le prime industrie che nacquero erano faconiste, vivevano cioè delle commissioni che i grandi marchi
facevano. Molti dei jeans Carrera che poi andavano a finire
nei negozi di tutta Italia partivano da Urbania. E con l'arrivo
delle grandi commissioni, intorno alle produzioni del pantalone fiorì l'indotto. Stirerie
soprattutto, ma anche lavanderie e ditte di trasporto. Generazioni di urbanesi hanno portato a casa il doppio stipendio,
moglie e marito, grazie al lavoro sul jeans o intorno ad esso.
Da qui sono partite molte innovazione sui processi di lavorazione. Il denim è
un tessuto 'duro'
e prima di trasformarsi
in
pantalone ha bisogno di essere
lavato e ammorbidito. E a Urbania hanno cominciato a farlo e
l'hanno fatto
meglio di altri.
Per queste operazioni venivano
usate grandi lavatrici, asciugatrici ed essicatoi dove venivano messi i pantaloni ancora piegati. Per
quanto fossero grandi questi
macchinari, i jeans rimanevano compressi e non si ammorbidivano di molto. Da qui l'idea
di fare tutto più ampio in modo
che i pantaloni quasi 'volassero' dentro. I primi cesti delle lavatrici vennero commissionati
in Germania, perché nessuno
in Italia era in grado di farli.
"L'assemblatura dei pezzi in-
Stone wash e
sabbiatura
sono alcune
lavorazioni
ideate
in questa
valle
vece fu fatta da un meccanico
di una ditta di Urbania, la
Leontex, così come la rivestitura esterna fatta da un fabbro
con delle lamiere tagliate e unite con delle viti, in maniera
molto artigianale. Infatti dopo
quattro mesi di lavoro da fuori
lo stabilimento si sentiva il rumore, non per il motore o per il
cesto dentro, ma perché si stavano allentando le viti", racconta De Angeli.
Con questa nuova lavorazione
le commesse aumentarono.
"Nessuno - spiega De Angeli faceva i jeans morbidi come
noi e senza le strisce che rimanevano prima perché restavano appiccicati".
Intorno agli anni '90 le lavanderie urbanesi
erano in grado
di eseguire 50
diversi tipi di lavorazione, alcuni inventandoli di sana
pianta. Lo stone
wash e la sabb i a t u ra s o n o
state messe appunto in questa
valle. "Si mettevano a lavare
con delle vere e
proprie pietre, spesso di pomice, che sfregando sul tessuto
creavano delle striature; la sabbiatura invece consiste nello
"sparare" la sabbia con delle
pistole ad aria compressa sul
pantalone per creare delle sfumature marroncine", racconta
De Angeli.
Tra il 1984 e il 1985 da Urbania
partivano 40.000 pezzi al giorno, tutti di marchi importanti:
Pop 84, El Charro, Trussardi e
soprattutto Carrera. Proprio
l'importanza di questi committenti, paradossalmente,
negli anni si trasformò nella
debolezza del distretto. "Molte
ditte erano in balia delle commesse, soprattutto di Carrera
che aveva sempre il termometro della situazione grazie a
persone di fiducia che riusciva
ad inserire nei consigli d'amministrazione delle aziende locali", ricorda De Angeli.
Così molte ditte fecero uno
sforzo in più. Fornivano ai
clienti il prodotto finito e inscatolato. Questo già accedeva
precedentemente in realtà, ma
senza l'accuratezza che si cercava ora. Si era passati dal caricare i tir di jeans imbustati, a
inscatolarli per
modello, taglia e
con l’etichetta sul
pacco che indicava la destinazione
finale.
Nonostante l'impegno, il sistema
entrò in crisi: la
committenza
spesso era una
monocommittenza e non era
più redditizia. Solo pochi imprenditori sono riusciti a realizzare un
marchio proprio, come Jeckerson, ideato da Franco Stocchi.
Il resto è storia di oggi con il trasferimento delle produzioni
all'estero, in Romania soprattutto. E il sogno mancato della
realizzazione di un consorzio
cheriunisse le aziende e che
avrebbe consentito di reagire
meglio ai periodi di crisi, come
l'ultimo. "Anche don Corrado
provò a farlo - ricorda Igino Silvestri - e se non c'è riuscito
lui…"
Da Urbania
partivano
40.000 pezzi
al giorno per
marchi
nazionali e
internazionali
I Jeckerson e la pubblicità dello scandalo
Storie made in Urbania
ALCUNI MARCHI
PRODOTTI A URBANIA
CARRERA
Nasce a metà degli anni ‘60
in provincia di Verona
TRUSSARDI
Nasce a Bergamo nel 1911
come azienda di guanti
JECKERSON
Nasce a Urbania nel 1995
dal binomio Stocchi-Chionna
L
'idea di un golfista, sponsor
un dj, il coraggio, e i soldi, di un
imprenditore. Così è nato il marchio Jeckerson. L'intuizione venne ad Alessandro Chionna sui
campi da golf. I golfisti infatti
hanno bisogno di asciugare le
mani per avere maggiore sensibilità. Da qui l'idea di mettere una
toppa in alcantara sulla coscia
senza perdere tempo nel cercare
l'asciugamano nella borsa. Carlo,
fratello di Alessandro e nel giro
del tessile, arrivò ad Urbania per
commissionare il modello alle
ditte produttrici. Senza ricevere
risposte entusiastiche. Carlo infatti era un tipo stravagante, coi
capelli lunghi, che faceva anche il
dj e soprattutto senza una società
alle spalle che garantisse il pagamento della commessa. Molti imprenditori quindi rifiutarono la
proposta. Inizialmente anche
Franco Stocchi, proprietario della Blue Line, che però ci ripensò.
E così i due costituirono la Fashion Time. I jeans piacevano e i
soldi entrarono. E arrivarono pure i litigi. Il binomio StocchiChionna si ruppe. Per liquidare il
socio, Stocchi valutò la metà del
valore del marchio 9,2 milioni di
lire. Chionna accettò e fece un altro marchio che chiamò proprio
9.2. Una beffa se si pensa che nel
2007 il marchio ha fatturato 48 milioni di euro. Nel maggio 2008
Stocchi ha ceduto il brand a un
fondo inglese, Stirling Square Capital e Sirius Equity, per circa 140
milioni di euro.
P
er un periodo ad Urbania, e
non solo, circolò una voce:
don Corrado faceva la pubblicità ai jeans Jesus. Lui li produceva, certo, ma quella della promozione era tutto un equivoco. "Un
giorno don Corrado - racconta
Renzo de Angeli, che è statosuo
collaboratore - partecipò a una
trasmissione televisiva su un'emittente francese. Il conduttore
"A
d Urbania
gli amministratori
d a n n o
l'esemp i o " .
Queste parole sul sito internet
dell'amministrazione annunciano l'iniziativa del Comune
per aiutare i lavoratori in difficoltà.
Gli stipendi, o meglio i gettoni
di presenza, degli assessori e
del presidente del consiglio sono finiti dritti in un fondo per
aiutare le persone disagiate.
Anche i consiglieri hanno contribuito, ma solo quelli di maggioranza. "A Natale avevamo
raccolto 6.000 euro e abbiamo
indetto il bando a cui hanno risposto 36 famiglie con l’Isee,
l’indicatore della situazione
economica equivalente, pari o
inferiore a 9.000 euro. Siamo riusciti a soddisfare tutte le richieste consegnando buoni
spesa con valori variabili tra i
100 e i 200 euro". Loretta Carnevali, assessore alle Politiche
sociali, racconta questa proposta: "E' una di quelle iniziative
concrete che avevamo promesso in campagna elettorale per
combattere la crisi e l'abbiamo
mantenuta. Ad oggi il fondo è
esaurito, ma rimane attivo. Ap-
pena avremmo accumulato 34.000 euro faremo iniziative diverse, come borse lavoro per
cassaintegrati o disoccupati".
Per questa volta hanno partecipato solo la giunta e gli assessori, ma nel futuro anche aziende
o singoli cittadini potrebbero
contribuire a formare un buon
gruzzolo: "Manderemo delle
lettere agli istituti di credito,
agli esercizi commerciali, alle
imprese per fare in modo che
questa iniziativa sia presa sempre più sul serio".
A chiedere un aiuto al Comune
sono state spesso famiglie monoreddito, o in cui entrambi i
coniugi si sono trovati senza lavoro oppure famiglie numerose. "Molte persone che in questi
anni hanno perso il lavoro e si
sono trovate in difficoltà sono
operai che lavoravano nel tessile".
Proprio da questo settore provengono molte richieste: "La
crisi non è ancora finita. La Provincia e la Regione aiutano e
agevolano la creazione d'imprese, però si fa fatica soprattutto in una piccola realtà, dove
è ancora più faticoso". Il settore
tessile non è più quello di una
volta ed è difficle individuarne
uno nuovo per rilanciare l’economia urbanese. Per ora ci pensano gli assessori.
LA STORIA IN TAPPE
Origini
Forse nati a Genova
dove veniva esportato
un tipo di fustagno blu
che serviva per le vele
delle navi. Il termine
inglese blue-jeans
infatti si pensa derivi
dalla frase bleu de
Gêne (blu di Genova)
1850
In America la comunità mineraria richiede un paio di
pantaloni da lavoro resistenti e durevoli.
Anni ’50
Arriva in Europa indossato
dalle armate americane
vincitrici del conflitto
mondiale appena concluso.
Il boom arriva con il cinema e il rock'n'roll che li
fanno entrare nelle case
Anni ’60
Diventa l'indumento della ribellione giovanile. Il '68 e
le rivolte scelgono il blue jeans come uniforme
gli chiese cosa pensasse del manifesto che pubblicizzava il modello Jesus corto indossato da
una ragazza a cui avevano fotografato solo il di dietro. Lui rispose che era un bel vedere. Alcuni capirono che era un bel sedere. E su questa battuta e sul
fraintendimento si è creata la
voce che facesse la pubblicità".
Oggi si direbbe pubblicità occulta , ma don Corrado non vide un
Anni '80
La tendenza yuppie impone il jeans firmato. Nascono i marchi che segneranno
le mode successive
Anni '90
I modelli di jeans sono sempre più
numerosi: “finto trasandato”, con applicazioni colorate di altri materiali, e di
modelli con inserti di pizzo e strass
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DOSSIER
A destra,
strati di
tessuto
denim
accatastati
Si parte da un magazzino a Fermignano, si torna a Urbania dopo due mesi
“Vi dico come divento un jeans”
Un metro di denim da cinque euro diventa un pantalone da 200 in sei operazioni
S
Si parte da un rotolone di denim;
un metro di stoffa costa 5 euro
Il disegno del pantalone puà essere
fatto in azienda o può essere proposto
direttamente dal cliente committente
Il taglio è un’operazione semplice;
alcune aziende lo fanno all’estero per
risparmiare sul costo della manodopera
6
alve, sono un pantalone. O meglio, so già
che 'da grande' lo sarò. Precisamente diventerò uno di quei
pantaloni azzurr i
con delle striature. So che mi
chiameranno jeans. Per ora sono lungo solo un metro e faccio
parte di un rotolone di denim
stipato dentro un grande magazzino della zona industriale
di Fermignano. Insieme a me ci
sono altri 6-700 mila metri di
tessuto. Per ora il mio costo è limitato. Si aggira
intorno ai 5-6
euro. Per crescere non impiego
t a n t o t e m p o.
Due mesi circa e
sarò un bel pantalone e il mio
valore sarà circa
30 volte maggiore. E in questo
periodo avrò anche la possibilità
di viaggiare. Ma
andiamo in ordine.
Per ora me ne sto in uno stabilimento a Fermignano insieme
a tanti altri metri di denim. Magari proprio in questo momento, mentre parlo con voi, un
cliente è nella sede centrale
dell'azienda che mi possiede
per commissionare uno stock
di pantaloni di cui farò parte.
Non so se il cliente è arrivato
qui in provincia di Pesaro-Urbino già con un'idea precisa
del taglio e del modello oppure
chiederà all'azienda di studiarne uno per conto suo. Io intanto devo superare dei test di
routine e aspettare cosa vorranno fare di me.
Se il cliente mi vuole in tempi
rapidi andrò in Romania; se invece è disposto a spendere un
po' di più e avere un prodotto di
maggiore qualità resterò qui in
Italia. Come faccio a crescere
più rapidamente pur dovendo
andare a 1850 km chilometri di
distanza, vi starete chiedendo.
Il tempo che impiego per andare e tornare viene recuperato
grazie alla maggiore flessibilità
che il mondo del lavoro rumeno garantisce. Che io vada in
Romania ci sono il 50% delle
possibilità. Infatti, mediamente, la metà delle operazioni di
taglio avviene in Romania, l’altra in Italia. Se dovessi andare
nella Terra di Dracula, quindi
verrò solo tagliato. Per tutti noi
piccoli metri, la cucitura invece avviene ancora a Fermignano. Nel frattempo il mio valore
sarà aumentato: le operazioni
di taglio e cucito incidono per il
20% su quello che sarà il mio
prezzo finale.
Poi per me ci sarà una delle
operazione più
importanti e che
deciderà gran
parte del mio valore: il lavaggio.
E' qui che si stabilirà se sarò un
pantalone di
qualità media,
da indossare tutti i giorni o se sarò uno da mettere in occasioni in
cui far fare una
bella figura a che
mi indossa.Probabilmente andrò in una lavanderia del centro Italia, quasi sicuramente in
Campania. Qui ad Urbania infatti la società cui appartengo
lavora solo con una lavanderia.
Poi sarò stirato e questo avverrà sicuramente qui ad Urbania.
Un'operazione semplice che
inciderà per un altro 10% sul
prezzo finale.
Ed eccomi qui. Sono diventato
un bel pantalone. Se il mio è un
cliente importante e mi metterà un cartellino molto conosciuto potrei arrivare a costare
anche 200 euro o di più. Se sarò
nella media arriverò a 120-150
euro. Fino a 4 anni fa, quando
non c'era la crisi di cui tutti parlano, sarei potuto arrivare a costare anche 400.
In tutto ciò, c'è anche il margine di guadagno della società
che materialmente mi ha prodotto. Ma questo non ve lo dico
quant'è.
Per ora sono qui e aspetto il mio
turno. Prima poi arriverà e magari arriverò in uno dei vostri
armadi. Arrivederci a presto,
quindi.
“Sono un
pezzo
di stoffa
e forse
entrerò in
uno dei vostri
armadi”
In lavanderia è il passaggio che incide
di più sul valore finale. Il lavaggio
influisce sul 50% del prezzo
Dopo le rifiniture il jeans è pronto.
Le ditte urbanesi si sono specializzate
nel fornire un prodotto già inscatolato
Arrivato in negozio il prezzo del
pantolone è lievitato. I modelli più
lavorati costano anche 200 euro