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GIUSEPPE SCALERCIO
Genealogia del soggetto di desiderio:
un’incursione nella Storia della Sessualità
di Michel Foucault
1. La ricerca di Foucault
Muoversi agevolmente nella selva degli ismi rappresentata dalla costellazione teorica foucaultiana non è impresa facile. L’opera del filosofo francese presenta numerosi capovolgimenti, passaggi repentini, rotture radicali;
una ricerca unica nel suo genere e costantemente attraversata da crisi e
fratture, che nell’incedere forsennato del suo farsi mette in atto il reale allontanamento e oltrepassamento di quella tanto celebrata idea di continuità, da sempre caratteristica di una certa tradizione metafisica. Se il suo
metodo archeo-genealogico manifesta una predilezione e una familiarità
per alcuni periodi storici, apparentemente limitati, ebbene tutto ciò non è
in ragione di una qualche carenza metodologica o di rigore; al contrario,
ciò che interessa Foucault è la meticolosa ricostruzione delle dinamiche del
soggetto “preso” nel reciproco condizionarsi di sapere e potere nella storia.
L’archeologia non si compie nel senso di una riscoperta di fatti dimenticati,
come tessere di un mosaico che il tempo ha eroso, bensì nell’intenzione di
volere considerare i fatti storici nella loro singolarità di eventi, al di là di
una scansione ordinata, ma fittizia. Non si tratta di delineare una semplice
storia delle idee, ma di focalizzare l’attenzione sulle condizioni d’insorgenza, sulle regole di formazione di determinati discorsi. A quali condizioni alcuni discorsi divengono scientifici, e altri saperi affermano la loro
positività pur non essendo scientifici? Allo stesso modo, da un punto di vista genealogico, si cercherà di rinvenire le pratiche di potere che operano
nei discorsi: attraverso quali strategie l’uomo è stato indotto a considerarsi
come soggetto dotato di ragione, o a ritenersi come portatore di un desiderio naturale?
Come ricorda lo stesso Foucault, in uno degli ultimi corsi al Collège de
France, la sua intera ricerca era tesa verso: «una disamina di quelli che si
potrebbero chiamare focolai d’esperienza, nella quale si articolano gli uni
sugli altri: in primo luogo le forme di un sapere possibile; in secondo luogo
Bollettino Filosofico 26 (2010): 491-511
ISBN 978-88-548-4673-9
ISSN 1593-7178-00026
DOI 10.4399/978885484673934
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le matrici normative di comportamento per gli individui; e infine dei modi
di esistenza virtuali per dei soggetti possibili – sono le tre cose, o piuttosto
l’articolazione di quelle tre cose che si possono chiamare, credo, “focolai di
esperienza”»1. Questo nuovo modo di ‘interrogare’ la storia, di matrice
nietzscheana, è orientato dalla volontà di scorgere in essa non più il luogo
di una verità eterna ed ineffabile, che insegue il suo telos dispiegandosi nello
scorrere lineare del tempo, bensì un insieme aleatorio-stocastico dove l’evento e la discontinuità assumono un ruolo fondamentale. Il nominalismo
di Foucault non solo rifiuta ogni universale, ma mostra come non si danno
leggi o princìpi se non come “effetti di potere”, e che al fondo di ogni verità, in quanto storica, brulicano incessantemente violenze e irrazionalismi
esulanti da qualsiasi necessità: «poiché se interpretare è impadronirsi, attraverso violenza o surrezione, di un sistema di regole che non ha un significato essenziale in sé, ed imporgli una direzione, piegarlo ad una volontà
nuova, farlo entrare in un altro gioco e sottometterlo ad altre regole, allora
il divenire dell’umanità è una serie di interpretazioni»2. È a partire da tali
premesse che il professore di rue de Vaugirard ha cercato di tracciare le sue
cartografie, di risalire al grado zero di alcune esperienze limite – per dirla
con Bataille – come la follia o la sessualità; zone liminali e di passaggio, effetti di precise politiche della verità che sono la sedimentazione storica di
un’articolata organizzazione del sapere.
Dal groviglio dei ‘dispositivi’ e dalle sovrapposizioni ibride di sapere e
rapporti di potere emerge una soggettività che rompe con la tradizione e
con i contesti teorici in voga nella Francia del secolo scorso, come Esistenzialismo e Fenomenologia; il sujet – conservando l’ambiguità della lingua francese – diventa il soggetto come forma di un potere che soggioga e
crea il linguaggio di una conoscenza e di una coscienza di sé atte a cristallizzare l’individuo nella maglie attillate dell’identità. Il soggetto non è una
sostanza, un già dato aprioristico, ma si costituisce a partire dalla differenti
forme che assume e che emergono come residuo di un gioco potenzialmente infinito, sorretto dai dispositivi storici in grado di sedimentarsi di
volta in volta. Sapere, potere, soggettività, sono dunque le tre istanze fondamentali che caratterizzano il pensiero foucaultiano.
Dopo avere tracciato, seppur brevemente, una mappa generale del meM. FOUCAULT, Il governo di sé e degli altri. Corso al Collège de France (1982-1983), a cura di M. Galzigna, Feltrinelli, Milano 2009, pp. 12-13.
2 M. FOUCAULT, Nietzsche, la genealogia, la storia, in Microfisica del potere, a cura di A.
Fontana e P. Pasquino, tr. it. di G. Procacci e P. Pasquino, Einaudi, Torino 1977, p. 41.
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todo, per rimanere fedeli all’intento di questo lavoro ci limiteremo all’analisi di alcuni testi che definiscono l’ultimo periodo del percorso intellettuale foucaultiano. La posta in gioco è lo smascheramento dei rapporti
che intercorrono tra sapere, potere e piacere.
2. La volontà di sapere
Come ha giustamente osservato Maurice Blanchot3, il periodo che si
apre all’insegna di Sorvegliare e Punire marca il passaggio dall’interesse per le
sole pratiche discorsive a quello delle pratiche sociali che ne costituiscono
lo sfondo; dunque è l’analisi dei rapporti di potere ad emergere in primo
piano. La volontà di sapere, apparso nel 1976, costituisce il primo volume di
una più grande indagine dedicata alla storia della sessualità. Si trattava in
primo luogo d’indagare la sessualità come esperienza storicamente singolare, ovvero comprendere in che modo l’uomo si è riconosciuto come soggetto di desiderio in un determinato periodo storico: «Non ho voluto fare
una storia dei comportamenti sessuali nelle società occidentali, ma trattare
un problema molto più austero e circoscritto: in che modo questi comportamenti sono diventati oggetto di sapere? Come, cioè per quali vie e ragioni, si è organizzato questo campo di conoscenza che, con una parola recente, chiamiamo sessualità?»4. Il desiderio sessuale diventa il pretesto per indagare in che modo, nelle società occidentali moderne, la produzione di
discorsi sul sesso, a cui si è attribuito un valore di verità, sia intimamente
connessa ai vari meccanismi di potere.
Foucault ritiene che uno uno degli errori principali, nella decifrazione
dei rapporti tra potere e sessualità, si debba rintracciare nel tentativo di
fondare l’analisi sulla nozione di repressione senza inserirla in contesto più
articolato. Secondo i fautori dell’ipotesi repressiva, sarebbe solo a partire
dall’epoca vittoriana che una certa libertà sessuale, di cui si è goduto nei
secoli precedenti, viene a trovarsi incatenata e fustigata nel silenzio di un
clima coercitivo. Ogni anomalia è estromessa e punita: tutto ciò che deborda il limite dell’utile viene tacciato di sterilità. I divieti si dilatano in
ogni contesto, s’impone una decenza della parola e un’infanzia da salvaM. BLANCHOT, Michel Foucault come io l’immagino, tr. it. di V. Conti, Costa & Nolan,
Genova 1986, p. 28.
4 M. FOUCAULT, La volontà di sapere, tr. it. di P. Pasquino e G. Procacci, Feltrinelli,
Milano 1978, p. 7.
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guardare, e ogni anomalia del desiderio viene relegata ai margini della società, negata di ogni cittadinanza. Secondo Foucault, tale ipotesi è ben supportata da un criterio storico-politico che si rifà all’avvento del capitalismo;
la sua logica risponde al principio secondo il quale: è inamissibile che l’energia del corpo produttivo venga dissipata e sacrificata nei rituali del piacere, quando, al contrario, potrebbe essere orientata verso il corpo del capitale. Siamo dinanzi ad una concezione che vede nel potere nient’altro che
un’istanza di repressione, dominio e negazione, un elemento esterno che
da un fuori si accanisce imponendo la sua legge. All’incirca in questo senso
lo avevano concepito Marx e Freud, rispettivamente come potere della
borghesia e come repressione della sessualità; mentre un marxismo connotato da venature freudiane aveva contraddistinto l’indirizzo teorico di Marcuse. Da queste premesse, l’idea di una liberazione sessuale diventa il leitmotif di una pratica politica rivoluzionaria, una prospettiva, sostenuta dall’utopia di un mondo a venire libero dove ogni aspetto del desiderio sarà
riconsegnato alla sua dimensione originaria, che ha persuaso un’intera generazione ad accettare per buona l’ipotesi repressiva: «L’idea della repressione del sesso non è dunque solo una questione teorica. L’affermazione
che la sessualità non sarebbe mai stata assoggettata con maggiore rigore che
nell’età della ipocrita borghesia indaffarata e contabile, va insieme con
l’enfasi di un discorso destinato a dire la verità sul sesso, a modificarne
l’economia nella realtà, a sovvertire la legge che la governa, a cambiare
l’avvenire5». Tuttavia, Foucault sembra voler prendere le distanze da quel
contesto teorico e politico, che ha contrassegnato il Sessantotto, e lo fa dichiarando l’insufficienza esplicativa dell’ipotesi repressiva. Bisogna andare
oltre, comprendere che: il potere dissemina costantemente gli effetti dei
suoi caratteri ‘positivi’; il perché nelle società occidentali si è generato un
ambiguo fenomeno a causa del quale non facciamo altro che parlare del
sesso, affermandone al contempo la sua stessa negazione.
Ad uno sguardo più attento, ci si chiederà: questa presunta repressione
sessuale ha una reale evidenza storica che si appaleserebbe maggiormente
nel XVII secolo? L’essenza del potere risponde effettivamente ad una chimica reazionaria e repressiva? La critica che ne consegue emerge come una
reale rottura storica – e quindi prospetta la possibilità di una linea di fuga –
oppure è essa stessa interna a questo regime? L’intento foucaultiano non è
quello di squalificare tale lettura, né quello di dimostrare che all’epoca del
nascente capitalismo il potere fosse connotato da un’aureola di permissività;
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Ivi, p. 13.
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al contrario, si tratta di ricondurre tale problematica in un altro spazio di
osservazione. C’è bisogno di altre griglie interpretative per rendere conto
dei saperi, dei poteri e delle loro interazioni reciproche come causa di
un’esorbitante proliferazione dei discorsi sul sesso. La posta in gioco non è
quella di capire se «al sesso si dice si o no, se si formulano divieti o autorizzazioni, ma prendere in considerazione il fatto stesso che se ne parla»6.
Diventa essenziale risalire al modo in cui il potere perviene all’intimità del
desiderio, mostrando come le pratiche di rifiuto e di ostruzione, o quelle
d’intensificazione e d’incitamento ai discorsi, fanno parte di alcuni localismi compresi in un più generale meccanismo di trasposizione in discorso
del sesso, animato da una generale volontà di sapere che pone le basi di una
vera e propria scienza sessuale. Dunque, si assiste ad una smodata moltiplicazione della parola sessuale, ad una crescente incitazione istituzionale a
parlarne che percorre l’intero campo sociale; ma perché? L’elemento peculiare caratterizzante questa degenerata tensione al discorso risiede in una
coazione di verità e specificità che affonda le sue radici nell’età classica, e
precisamente con l’istituzione della “pastorale cristiana” successiva al Concilio di Trento. Il sacramento della confessione acquisisce un carattere imperativo diventando una sorta d’ingerenza nel privato. Ogni buon penitente è obbligato ad una meticolosa descrizione della sua sfera sessuale, poiché
la carne voluttuosa viene riconosciuta come origine del peccato e di ogni
deiezione; inoltre, tutti i fedeli sono chiamati a cimentarsi in «un’ermeneutica del desiderio», e mantenendo il più possibile una certa decenza linguistica devono dar voce alle loro pulsioni più segrete al fine di espiare le proprie mancanze. Le molteplici componenti del piacere, sensazioni, intenzioni, pensieri, vengono stanate e strappate dal silenzio in cui giacevano
per essere trasposte nel generale campo della parola.
Tra il XVIII e il XIX secolo si assiste ad un non trascurabile ribaltamento:
l’ambito della sessualità viene sottratto al dominio puramente morale per diventare l’oggetto privilegiato di una certa ricerca scientifica; il processo che
ha avuto inizio con la pastorale cristiana era destinato ad innescare stravolgimenti radicali. La tecnica della confessione estende i suoi limiti, si sposta
dal solo ambito religioso e si insedia negli apparati scientifici; d’ora in poi,
l’interesse per le «cose del sesso» non sarà più la sola conseguenza di alcuni
provvedimenti politico-amministrativi che guardano con attenzione ai processi demografici, alla vita e alle facoltà lavorative della popolazione, ma sarà
sostenuto anche da diversi apparati scientifici come la medicina, la psichiatria,
la pedagogia. La «scienza della confessione» si dissemina ovunque, e attra6
Ivi, p. 16.
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verso questionari, esami clinici, consulti medici si costituisce quel grande archivio sessuale che «parla del corpo e della vita con il discorso della scienza»7.
Il sesso è diventato la posta in gioco, un oggetto politico da gestire e controllare, solo da questa prospettiva si comprendono le continue pratiche di
sorveglianza sulle attitudini sessuali di ognuno, con la conseguente produzione di classificazioni mediche e di altra natura. L’emergere di svariate forme di sessualità minoritarie contribuisce a definire l’ambito della devianza in
contrapposizione all’eterosessualità come criterio universalmente riconosciuto. Da ciò, nel XIX secolo, si assiste ad un’abietta «naturalizzazione del
sesso» che ha come effetto più dirompente l’istituzione delle categorie di
normale e patologico; la struttura del desiderio giunge ad investire l’identità
degli individui qualificandoli in merito alle loro inclinazioni. Il sesso viene ricondotto ad una teoria degli istinti chiamata in causa dalla medicina e dalla
psichiatria per spiegare le forme minoritarie del piacere, e per supplire alla
mancanza apparente di una motivazione richiamandosi alla “natura” di una
ragione che si misura sul proprio grado di adattamento disciplinare8. Medicalizzare il sesso vuol dire isolarlo e ricondurlo ad una dimensione biologica e
psichica autonoma, assegnandogli un immenso potere causale sulla condotta
individuale. Non a caso, l’idea latente che sottende a questa ipotesi è una
eziologia che scorge nella lesione organica e nello squilbrio psichico i suoi assi principali. Da questo punto di vista, la pratica sodomita cessa di essere una
semplice trasgressione o una differente modalità di accedere al piacere:
«L’omosessuale del XIX è diventato un personaggio, un passato, una storia ed
un’infanzia, un carattere, una forma di vita; una morfologia anche con un’anatomia indiscreta e forse una fisiologia misteriosa [...] iscritta senza pudore sul
suo volto e sul suo corpo perché è un segreto che si tradisce sempre»9.
La medicalizzazione ha reso il sesso un elemento d’interesse scientifico
dimostrabile tramite l’interpretazione di segni e sintomi. Le sue dinamiche
sono latenti e necessitano di tutto ciò che possa far affiorare il suo funzionamento in modo da porre rimedio ad ogni anomalia. Il vecchio confessore
svolge ora un duplice ruolo: non solo quello del buon pastore che ascolta e
redime, ma anche quello dello specialista ermeneuta capace di decifrare i
mali dell’anima e del corpo. Lo psichiatra di turno traccia la sottile linea di
demarcazione tra i normali e gli “appestati”, un margine effimero e virtuale
ch’è possibile sempre oltrepassare grazie a tecniche riabilitative o fenomeni
Ivi, p. 59.
S. CATUCCI, Introduzione a Foucault, Laterza, Roma-Bari 2008, p. 109.
9 M. FOUCAULT, La volontà di sapere, cit., p. 42.
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di degenerazione. È in questo senso che la sessualità, come esperienza storicamente singolare, si rivela essere una costruzione della modernità e un
sagace dispositivo in grado di assoggettare i corpi, ma anche di saldare inevitabilmente l’identità nelle trame del desiderio. Questo gioco perverso di
sapere-potere ci consegna ad un’ambigua logica del desiderio, che struttura
ogni dimensione dell’umano, e al regime di un pansessualismo imperante
e indaffarato sempre più ad edificare il suo dominio.
È lo stesso potere a creare una superficie di dispiegamento per le diverse sessualità che diventano oggetti politici, economici e scientifici su cui
intervenire; queste vengono estratte dai corpi attraverso meccanismi accurati e sottili che esulano da una logica repressiva e appartengono piuttosto a strategie d’incitamento. Si potrebbe affermare che il campo d’azione del potere è direttamente proporzionale alla proliferazione dei piaceri
che riesce a suscitare e scovare. Ancora una volta, Foucault è costretto a
ribadire l’insufficienza esplicativa dell’ipotesi repressiva, la moltiplicazione
dei saperi negli ultimi tre secoli collide con quanto sostiene tale prospettiva,
e cioè che il sesso sarebbe escluso dal discorso. Il potere non agisce solo attraverso divieti e limitazioni, esso ha la capacità di produrre, di sollecitare
e di gratificare, pertanto tutto ciò è sintomatico del fatto che nel campo
della sessualità la produzione di discorsi è un fenomeno molto più complesso della semplice interdizione. Il sesso è diventato una questione di verità capace di sprigionare i suoi effetti benefici o deleteri, a tal punto che
l’Occidente moderno ha dato vita ad una Scientia Sexualis – a differenza delle civiltà orientali, caratterizzate da sempre dalla loro Ars erotica. Entrambe
sono differenti modalità di produzione di verità sul sesso; ma mentre
l’Oriente ha inteso tutto ciò come esperienza e pratica di vita, come un sapere da reinvestire nel piacere stesso al fine di ampliarlo e migliorarne la
qualità, l’Occidente ha originato uno strano fenomeno, una nuova forma di
godimento: il piacere derivante dalla verità sul sesso.
A questo punto, bisognerà dire che la sessualità si rivela essere una costruzione relativamente recente originatasi a partire dal XVIII secolo, più
precisamente un dispositivo10, ovvero: l’insieme eterogeneo delle tecnologie e dei meccanismi di produzione di verità attraverso cui si è esercitato
il potere sul sesso, ma anche dei discorsi che rappresentano il punto di ancoraggio e di esercizio di questo stesso potere. Cartografare le molteplici
strategie del potere, rinvenire i meccanismi immanenti a questa volontà di
10 Su quest’argomento si veda anche G. DELEUZE, Che cos’è un dispositivo?, tr. it. di A.
Moscati, Cronopio, Napoli 2007.
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sapere o, come direbbe Foucault, costituire la sua economia politica a partire dal caso specifico della sessualità, significa in primo luogo oltrepassare
la concezione teorica che vede nel desiderio una forza dirompente a cui si
contrappone dall’esterno un potere repressivo. Neanche la prospettiva psicoanalitica sembra rappresentare una risposta soddisfacente al problema
foucaultiano. Per quest’ultima, il desiderio sarebbe in un rapporto di cooriginarietà con la legge ch’è costituiva dello stesso e della mancanza che lo
instaura; tale ipotesi recita: «o la morte o la morte, del tuo desiderio o la
tua morte». Queste due visioni sembrano prospettare l’illusione della liberazione o lo scacco e la frustrazione perenne del desiderio, nel senso che
non si sfugge al potere: esso è già da sempre presente, costituendo proprio
ciò che si tenta di opporgli. Tuttavia, ciò che accomuna queste teorie è il
riferimento ad una concezione giuridico-discorsiva del potere, il rapporto
di quest’ultimo con la sessualità sarebbe sempre marcato da una logica negativa. Il potere non farebbe altro che nascondere, bandire, far calare il silenzio sul sesso anestetizzandone gli effetti. Laddove si introduce qualcosa,
si tratta sempre di lacune e interdetti in un regime duale di lecito-illecito.
Per Foucault, questa visione del potere come diritto è estremamente limitativa, nel senso che lo riduce ad una forma di anti-energia e lo rappresenta:
«povero nelle sue risorse, economo nei suoi procedimenti, monotono nelle tattiche che usa, incapace d’invenzione ed in un certo senso condannato
a ripetersi sempre [...] è un potere che non avrebbe praticamente altro che
la potenza di dire “no”»11. Questa con-cezione giuridica è stata comunemente accettata grazie alla stessa capacità dissimulatrice del potere, il quale
è efficace in modo direttamente proporzionale alla parte di sé che riesce a
criptare e a tenere al riparo dai soggetti sui quali esercita il proprio dominio. Il retaggio del diritto, che definisce l’istituzione monarchica, si tramanda nella concezione del potere repressivo, inteso come puro limite
tracciato alla libertà del singolo e come generale condizione di accettabilità.
Abbiamo già accennato al fatto che, in realtà, il potere nei confronti della
sessualità non ha operato in termini di legge e di sovranità; per districarsi
nelle maglie multiformi del dispositivo sessuale, Foucault elabora una nuova
griglia interpretativa, precisamente un’analitica del potere: «si deve pensare
contemporaneamente al sesso senza legge e al potere senza re». Non più
un’istanza che ottiene obbedienza dai corpi tramite minacce e torture, bensì
un potere che produce discorsi di verità, che orienta verso una normalizzazione, istituisce e controlla. Da questa ricognizione emerge senza dubbio
11
M. FOUCAULT, La volontà di sapere, cit., p. 76.
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un dato essenziale: ci troviamo al cospetto di un cambiamento di notevole
importanza, incarnato dal passaggio dalla vecchia sovranità alla moderne società disciplinari. A questo punto diventa essenziale comprendere la definizione che lo stesso Foucault dà del potere: «Con il termine potere mi sembra che si debba intendere innanzitutto la molteplicità dei rapporti di forza
immanenti al campo in cui si esercitano e costitutivi della loro organizzazione [...] è la base mobile dei rapporti di forza che inducono senza posa,
per la disparità, situazioni di potere, ma sempre locali ed instabili»12. Quindi
il potere si definisce essenzialmente come rapporto di forze, a patto che si
sleghi, come ha mirabilmente osservato Deleuze, il termine forza da ogni
rapporto di sinonimia con la categoria di violenza, ch’è concomitante o conseguente ad essa ma non la costitutisce13. Se il diagramma – ovvero la cartografia come esposizione dei rapporti di forze – antico era caratterizzato dalla
modalità del «prelievo», dal diritto sovrano di dare la morte e di decidere
sulla vita degli individui, La volontà di sapere mostra come il potere, quindi il
rapporto tra forze, assuma una diversa funzione che si manifesta in termini di
bio-potere, ossia gestione e controllo della vita di una popolazione. Ritorneremo in seguito su questa tematica, per il momento era necessario guadagnare questa nuova concezione per comprendere gli effetti dovuti all’immersione di una certa produzione discorsiva sul sesso nelle relazioni polimorfe di
potere. Il problema diventa ora: data la loro eterogeneità, come si relazionano sapere e potere all’interno di un dispositivo che rappresenta al contempo la loro fusione più riuscita?
Il portato teorico de L’Archeologia del sapere si potrebbe riassumere – non
senza essere riduttivi – nella conclusione che ogni epoca storica definisce una
particolare strutturazione del visibile (non discorsivo) e dell’enunciabile (discorsivo), in poche parole il Sapere. L’archivio, secondo Foucault, non è mai
una semplice giustapposizione di dati e riferimenti, ma risponde sempre a
logiche ben precise e a criteri in grado di definire ciò ch’è pertinente o meno.
Per essere più precisi, in merito a tale dinamiche si potrebbe far riferimento
ad un altro testo foucaultiano, ossia La vita degli uomini infami14. Cosa accade
quando «uomini della folla» vengono strappati alla loro insignificanza e alIvi, p. 82.
G. DELEUZE, Foucault, tr. it. di P.A. Rovatti e F. Sossi, Cronopio, Napoli 2002, pp.
97-98. Scrive Deleuze: «Foucault è molto vicino a Nietzsche (e anche a Marx) per il quale
il rapporto di forze eccede in modo singolare la violenza e non può essere definito da quest’ultima. La violenza, infatti, verte sui corpi, su oggetti o esseri determinati distruggendone o cambiandone la forma, mentre l’unico oggetto della forza è costituito dalle altre
forze, e il suo unico essere è il rapporto: è «un’azione sull’azione, su azioni eventuali o attuali, future o presenti, è un insieme di azioni su azioni possibili».
14 M. FOUCAULT, La vita degli uomini infami, tr. it. di G. Zattoni Nesi, il Mulino, Bologna 2009.
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l’ordinareità di tutti i giorni? Si crea una strana commistione che permette al
potere di stanare, di vedere ciò che altrimenti sarebbe rimasto invisibile, ovvero la dimensione più recondita di ognuno, realizzando quell’eccesso di visibilità che ha come diretta conseguenza l’eccesso di controllo. Ogni gesto,
comportamento, stile di vita, viene strappato all’impercettibilità del fluire
quotidiano, come sua dimensione d’appartenenza, per diventare materiale
privilegiato dell’archivio. Il punto essenziale è comprendere che non vi è
nulla al di sotto del visibile e dell’enunciabile; se l’uomo infame è colui che
rinviene il suo momento di maggiore intensità nello scontrarsi con il potere,
ebbene non è perché fosse in se stesso una figura di rilievo, ma perché ogni
formazione storica crea le proprie condizioni di visibilità e di enunciazione, i
criteri affinché qualcosa o qualcuno sia irradiato dalla luce del potere e degno
di essere narrato e “archiviato”.
Il potere, lo avevamo già accennato, definisce l’altra dimensione di un
dispositivo e, al contrario del sapere, marcato dalle forme fisse e stabili
della visibilità e dell’enunciato, è precisamente l’elemento mobile, frammentato e instabile. Come ricorda Deleuze, nell’omonimo testo dedicato a
Foucault, il potere come rapporto tra forze mette sempre in relazione materie e funzioni non stratificate. Ciò risulta più comprensibile se si tiene
conto delle caratteristiche delle forza, della sua spontaneità e ricettività,
della sua attitudine a creare (funzioni) o a subire (materia) affezioni nel
rapporto con altre forze. Prima ancora di pensare a queste particolarità
della forza inserite in un contesto reale e orientato a scopi particolari, bisogna immaginarle astrattamente, in una dimensione antecedente ad ogni
riferimento storico. Inoltre, le relazioni tra forze sono qualcosa di non
preventivabile, irriducibile a qualsiasi forma definita del sapere. Non si
può pensare al potere alla stregua di una sovrastruttura che agisce su elementi sociali dall’esterno; le relazioni di potere sono, al contrario, coesistenti ed immanenti ad altri tipi di rapporti di diversa natura: sessuale,
economica, gnoseologica. Il potere ne rappresenta la trama articolata, il
tessuto e il loro imput produttivo. L’onnipresenza delle relazioni di potere
esclude l’esistenza di un centro sovrano che dall’alto irradierebbe le sue
disposizioni; esse sono all’interno di un campo sociale e non al di là, sempre nel mezzo, nel locale e da “ogni dove”, coinvolgendo apparati di riproduzione come la famiglia, l’economia, le istituzioni, e trapassando indefinitamente da un rapporto sociale a un altro.
Data la differenza specifica di potere e sapere, come si annoderanno tra
loro in modo da definire il cosiddetto dispositivo di sessualità? È lo stesso
Foucault che ci viene in aiuto quando asserisce che: «fra tecniche di sapere
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e strategie di potere non c’è nessuna esteriorità, anche se hanno ciascuno il
loro ruolo specifico e si articolano l’un nell’altro a partire dalla loro differenza»15. Potere e sapere si fondono nell’ordine discorsivo; all’interno di
un dispositivo coesistono pratiche e discorsi, ancora una volta: potere e sapere. Attraverso le diverse categorie «astratte» del potere, o della forza,
quali ad esempio: incitare, indurre, ripartire nello spazio, comporre nello
spazio-tempo, si «attualizzano», vengono veicolate le forme di un sapere
come creazione e mantenimento di discorsi validi, a cui si attribuisce un
valore di verità; le quali a loro volta, in quanto formazioni stratificate, offrono la stabilità necessaria all’elemento instabile e caotico del potere. «Attualizzazione dell’archivio e cristallizzazione del diagramma». Così, ad
esempio, le quattro linee programmatiche che definiscono il dispositivo
sessuale – l’isterizzazione del corpo femminile, la pedagogizzazione del
sesso del bambino, la socializzazione delle condotte procreatrici, la psichiatriz-zazione del piacere perverso – rappresentano la linea strategicogenerale d’insieme attraverso la quale si integrano sapere e potere. C’è
sempre un progetto d’insieme che si serve di localismi per far passare le
sue trame articolate; il potere-sapere si ‘esercita’ dal basso verso l’alto, cosicché gli individui, siano essi dominanti o dominati, non svolgono la semplice funzione di ricettori immobili, ma al contrario costituiscono gli elementi di raccordo. Così, ad esempio, un certo sapere strategico che fa riferimento al significante maestro, e produttore assoluto di senso, del sesso
diffonde i suoi effetti a partire dai rapporti di forza che si innescano tra genitori e figli, paziente e medico, analista e analizzato. Il nostro sesso, come
esperienza storicamente singolare, è l’effetto e lo scarto che si produce dalla sua stessa trasposizione in discorso; bisogna ammettere che se un soggetto di desi-derio esiste, esso lo diventa solo a partire da un certo potere performativo in grado di creare i referenti del proprio discorso nell’atto stesso di nomi-narli. Poiché: «la verità della soggettività è da ricercarsi nel potere. È stato il potere a mettere in opera gli effetti individualizzanti e soggettivizzanti dell’ermeneutica del desiderio, per rendere disponibili agli
uomini le loro finalità strategiche e per ottenere, al tempo stesso, un sapere di grande utilità su se stessi. Soggetto significa “sujet”: assoggettato al potere»16. È il caso specifico dell’omosessualità: il suo sorgere come figura
particolare è indissolubilmente legato alla nascita di una scienza che si occupa delle aber-razioni sessuali.
15
16
M. FOUCAULT, La volontà di sapere, cit., p. 87.
H.F. EITEL, Foucault, tr. it. di B. Agnese, Carocci, Roma 2002, p. 77.
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L’intera concertazione che opera intorno al vivente, e che fa della vita il
centro attrattivo-gravitazionale del potere, muove le mosse iniziali tra il
XVII e il XVIII, e precisamente grazie a due istanze teoriche particolari. Le
discipline anatomo-politiche, sorrette dalla concezione del corpo macchina,
creano una serie di tecniche atte ad incitare e amplificare le potenzialità
corporee al fine di reinvestirle nel circolo dei sistemi economico-produttivi. Successivamente l’interesse si sposta sul corpo-specie, inteso come
espressione della meccanica del vivente e come veicolo delle dinamiche
biologiche (nascita, riproduzione, durata della vita). Le linee direttive operanti in queste due realtà strategiche trovano, nel XIX secolo, un punto
d’intersezione nel dispositivo di sessualità, che diventa anche la loro
espressione più riuscita. Gli elementi di anatomo-bio-politica, come tecniche di potere immanenti ad ogni stato sociale, hanno reso possibile l’adattamento dei fenomeni biologici ai processi dell’economia e della produzione, favorendo lo sviluppo e il radicamento del capitalismo. Il saperepotere derivante da questi fenomeni viene iniettato negli ingranaggi produttivi diventandone funzionale; iper-sensibilizzare i corpi, stimolare le
sessualità, prolungare e garantire la vita, vuol dire: creare un immenso
contesto di forze sacrificabili al regime produttivo costantemente patrocinato dalle istituzioni statali. Si tratterà di: «gestire e controllare la vita di
una molteplicità qualunque, a condizione che si tratti di una molteplicità
numerosa (popolazione) e che lo spazio sia esteso o aperto. […] In breve,
nelle società moderne, le due funzioni pure saranno l’anatomo-politica e la
bio-politica, mentre le due materie brute saranno un corpo qualsiasi e una
popolazione qualsiasi»17. Le tecnologie politiche proliferano alla stessa velocità con la quale il loro sapere-potere riesce ad insediarsi in ogni espressione del vivente, e la crescente enfatizzazione della “norma”, a spese del
potere inteso come diritto, è la conseguenza del fatto che l’avvento del
biopotere scardina e spodesta il vecchio diagramma della sovranità. Porre
la vita come oggetto d’interesse vuol dire sfregiarla nel cuore della sua pienezza e ricondurla nell’arida ottica della funzione. Un tale potere non opera per negazione o soppressione; al contrario, si assiste, in misura sempre
spropositata, a pratiche di regolazione, normalizzazione, e di ripristino, tese a colpire ogni essere inquieto e anomalo.
Pensare alla sessualità nel modo in cui lo ha fatto Foucault, cioè come
un insieme complesso di relazioni strategiche, non vuol dire amputare il
corpo di un suo aspetto biologico e anatomico, ma significa piuttosto pen17
G. DELEUZE, Foucault, cit., p. 100.
Genealogia del soggetto di desiderio
503
sarlo alla stregua di una dimensione dell’umano da sempre soggetta alle inscrizioni del potere. Quando parliamo del sesso abbiamo sempre in mente
il concetto di repressione, che introduce l’unica forma possibile di dialogo
tra il nostro desiderio e la legge; inoltre, non smettiamo mai di sognare
l’altro aspetto essenziale di questa concezione, ch’è la liberazione. Foucault,
dinanzi ad una simile prospettiva, ha sempre dichiarato la sua perplessità,
poiché c’è sempre il rischio di farsi persuadere dall’idea: «che esiste una
natura o un fondo umano che, in seguito ad alcuni processi storici, economici e sociali, si è trovato mascherato, alienato o imprigionato in e da
certi meccanismi di repressione. In base a quest’ipotesi, basterebbe far saltare i chiavistelli repressivi perché l’uomo si riconcili con se stesso, ritrovi
la sua natura o riprenda contatto con la sua origine, restauri un rapporto
pieno e positivo con se stesso»18. Si cade sempre nell’errore di credere ad
una dimensione pura ed originaria in un rapporto di esteriorità con il potere, il quale solo successivamente marchia il desiderio con le sue procedure
assoggettanti e individualizzanti. Questo “altro” che richiamiamo in continuazione è l’elemento illusorio del sesso. Un potere sottile, incisivo e penetrante ci persuade del potenziale liberatorio insito nella verità del sesso,
e di un silenzio come effetto di un clima repressivo che impone divieti e interdetti. È proprio questo assunto – che vuole la libertà e la verità legate in
un rapporto di causalità – che dobbiamo problematizzare e superare. La
sessualità e la sua verità altro non sono che nozioni ed effetti del potere che
vi sottende, strumenti del suo funzionamento. Alla stesso modo, la vita
non è riducibile ed interpretabile alla stregua di un mero paradigma biologico; le dinamiche bio-fisiologiche non sono l’elemento archetipo della vita,
ma fanno parte della molteplicità di aspetti caratterizzanti l’esistenza umana, sempre storicamente determinata e attraversata da relazioni politiche,
sociali, economiche e di altra natura. Biologizzare la vita è una strategia
messa in atto dai bio-poteri per ottimizzare un certo regime di governamentalità: «di assoggettamento e di sfruttamento, di captazione e di regolazione, di controllo e di messa in ordine, di messa al lavoro e di valorizzazione della vita in generale – vale a dire dell’esistenza in senso lato»19.
La volontà di sapere ci ha restituito la visione di una società normalizzatrice, dove anche le stessa possibilità di ribaltamento e di resistenza si sono rivelate una tragica disfatta; ci sono solo rapporti di forza in un mo18 M. FOUCAULT, L’etica della cura di sé come pratica della libertà, in Archivio Foucault 3.
1978-1985. Estetica dell’esistenza, etica, politica, a cura di A. Pandolfi, Feltrinelli, Milano
1998, p. 274.
19 J. REVEL, Identità, natura, vita: tre decostruzioni bioplitiche, in Foucault, oggi, a cura di
M. Galzigna, Feltrinelli, Milano 2008, pp. 141-143.
504
Giuseppe Scalercio
nismo del potere. Ma, se anche l’idea di un mondo anarchico del desiderio
si presenta come il geniale artificio di una strategia complessa, ognuno si
chiederà: come scorgere – ammesso che sia possibile – una linea di fuga alternativa a questo stato di cose? Foucault, nelle ultime pagine del suo lavoro, sembra accennare una timida risposta: «Bisogna liberarsi dall’istanza del
sesso se si vuole far valere contro gli appigli del potere, con un rovesciamento tattico dei vari meccanismi della sessualità, i corpi, i piaceri, i
saperi, nella loro molteplicità e nella loro possibilità di resistenza. Contro
il dispositivo di sessualità, il punto d’appoggio del contrattacco non deve
essere il sesso-desiderio, ma il corpo ed i piaceri»20.
3. L’estetica dell’esistenza
La volontà di sapere conduce ad una condizione aporetica e prospetta un
clima inquietante. L’analisi foucaultiana intuisce e mostra lucidamente come il sujet sia interamente dissolto nell’anonimato delle relazioni di potere,
al punto di costituirne addirittura il prodotto. I corpi, straziati da un imponente apparato di controllo, si riducono al ruolo di meri strumenti tramite e (su)i quali esercitare i progetti più arbitrari. Anche ciò che noi riteniamo essere la nostra soggettività, altro non è se non l’effetto di una trasposizione in discorso, la strumentalizzazione di un’ermeneutica del desiderio. Ogni speranza rivoluzionaria è disillusa, non c’è nessun archetipo o
grado zero da ripristinare e che possa servire da tacito presupposto ad una
pratica di libertà. Il sesso non è la dimensione umana repressa dal potere,
ma è la superficie creata dal potere stesso per intervenire sugli individui. In
tal caso, non esisterebbe nessuna via d’uscita da questo stato di estrema
pervasività di un potere normalizzante e disciplinare. Il pensiero di Foucault sembra essersi arenato in una situazione paralizzante e senza margini
di possibilità. A questo proposito, Deleuze scrive: «Non aveva altra scelta:
assecondare questa nuova scoperta o smettere di scrivere»21. Passarono otto anni prima che Foucault pubblicasse gli altri due volumi – L’uso dei piaceri e La cura di sé – che compongono la Storia della sessualità; questo ritardo è
indicativo di una crisi, di una rielaborazione rispetto alle sue posizioni precedenti, ma anche del fatto che lavorasse a questa nuova ricerca di cui parla
Deleuze. La Storia della sessualità affronta un gioco di verità, ovvero si interroga sulla reale possibilità di delineare la genealogia del soggetto di de20
21
M. FOUCAULT, La volontà di sapere, cit., p. 140.
G. DELEUZE, Pourparler, tr. it. di S. Verdicchio, Quodlibet, Macerata 2000, p. 147.
Genealogia del soggetto di desiderio
505
siderio, che necessita di: «un’analisi delle pratiche attraverso le quali gli individui sono stati spinti a fermare l’attenzione su se stessi, a decifrarsi, riconoscersi e dichiararsi soggetti di desiderio, mettendo in gioco gli uni con
gli altri un certo rapporto che permetta loro di scoprire nel desiderio la verità del loro essere, sia esso naturale o viziato»22.
Per far ciò bisogna innanzitutto sgombrare il campo teorico da tutta una
serie di discorsi che concepiscono, e relegano, la sessualità ed il soggetto in
una dimensione omeostatica, invariabile, antistorica; in poche parole affrancarsi da un pensiero che fa del sesso e del soggetto qualcosa di invariabile e
sempre identico a se stesso. In origine, Foucault ha cercato di aggirare e decostruire l’ipotesi repressiva mostrando che il potere è sempre localizzato e
disseminato ovunque, che c’è sempre un rapporto di forze in atto all’interno
del quale il soggetto è intrappolato, e non un’istanza che dall’alto impone i
suoi dettami. L’uso dei piaceri e La cura di sé evidenziano un cambiamento di
rotta significativo nella concezione dei rapporti che intercorrono tra potere e
sessualità. In Foucault è indubbiamente presente la necessità e l’urgenza di
ridare all’individuo un’autonomia ormai perduta. È come se fosse costantemente sedotto e richiamato dall’interrogativo che più di ogni altro ha cercato
di eludere: esiste qualcos’altro al di là del potere?23 E se la risposta foucaultiana è che: il destino dell’uomo consiste nella sua costante collisione col potere che continuamente ci fa vedere e parlare, egli stesso non la ritiene soddisfacente, e per questo ha bisogno della schiusura di un possibile. Ma da dove può originarsi, se esiste, questa alternativa?
La svolta etica dell’ultimo Foucault lascia aperto uno spiraglio; forse
sopravvive ancora qualcosa che non sia interamante riducibile al potere. Lo
sguardo è ora rivolto alle forme tramite le quali gli individui, come soggetti di una sessualità, possono e devono riconoscersi come tali. Questo è
propriamente il campo etico, inteso come prassi concreta di vita; al posto
del soggetto, preso nei discorsi del potere, subentra un rapporto con la
propria costituzione esistenziale, una pratica di vita fondata sulla cura di se
stessi. È una ricerca consacrata al tentativo di scorgere nell’etica antica forme di morale che possano superare la strada senza uscita in cui è sfociata
la razionalità moderna: «vorrei indicare come, nell’Antichità, l’attività e i
piaceri siano stati problematizzati attraverso le pratiche di sé che mettono
in gioco i criteri di una “estetica dell’esistenza”»24. Si tratta: non solo di ricercare attraverso quali giochi di verità i greci ed i latini si sono riconosciuti come soggetti di desiderio, ma, in particolar modo, di far emerM. FOUCAULT, L’uso dei piaceri, tr. it. di L. Guarino, Feltrinelli, Milano 2002, p. 11.
G. DELEUZE, Pourparler, cit., p. 146.
24 M. FOUCAULT, L’uso dei piaceri, cit., p. 17.
22
23
506
Giuseppe Scalercio
gere che questi hanno problematizzato, fatto oggetto di riflessione la sessualità, evidenziando una certa attenzione morale verso di essa. L’idea di
moralità non deve essere semplicemente pensata in relazione alla presunta
trasgressione dei divieti; la sua valenza nell’Antichità deriva essenzialmente
dal fatto che i greci ed i latini pensano alla sessualità in relazione alla loro
condotta di vita, alla loro dimensione etica di uomini liberi e autonomi;
condotta che definisce un’estetica dell’esistenza. A prima vista, emerge
una certa libertà del soggetto in rapporto alla propria costituzione e rispetto ai rapporti di potere. Ciò non vuol dire che, in epoca antica, il soggetto
si rende scevro da ogni forma di austerità o sottomissione, ma solo che in
questo periodo storico emerge con più visibilità una certa capacità originaria di libertà, che consente di relazionarsi al potere in modo non esclusivo,
ma in questo o in quel modo: «L’idea fondamentale di Foucault è una dimensione della soggettività che deriva dal potere, ma non ne dipende»25.
Bisognerà subito riconoscere, al contario di una critica sciocca e qualunquista, che quello di Foucault non è un ritorno al “soggetto”, né tantomeno
una rottura radicale con le problematiche che da sempre hanno ossessionato
il suo pensiero. Anzitutto perché il problema della soggettività, forse sarebbe
più corretto parlare di “soggettivazione”, è fin dal principio il problema par
excellence, e definisce al contempo la terza dimensione dell’indagine foucaultiana. Quando abbiamo definito il potere come rapporto tra forze, non si è
evidenziato abbastanza il carattere di “resistenza” intrinseco alla forza stessa;
il fatto che una forza si manifesti in termini di spontaneità (produrre affezioni), o come materia che subisce affezioni (ricettività), non allude alla possibilità di una relazione definita in maniera immutabile. Al contrario, non si tratta di un incontro che si manifesta secondo la modalità inerte ed omeostatica
di attivo-passivo, bensì di un relazionarsi ch’è costantemente attraversato
dall’imprevedibilità di un divenire capace di scomporre e riorganizzare le
configurazioni precedenti. È come se ogni dispositivo contenesse al suo interno linee di deterritorializzazione, per dirla con il linguaggio di Deleuze e
Guattari; il richiamo del “fuori” fa emergere in tutta la sua luce una modalità
della forza che frantuma, scardina e si congeda dalle maglie diagrammatiche.
Abbandoniamo per un momento tale problematica e chiediamoci: che cosa
coglie Foucault da questo retour all’Antichità? Ancora una volta il potere, ma
non più quello relativo alle strategie, bensì una forma particolare che aderisce al dominio di sé e alla formazione di uno stile di vita, alla costituzione di
una soggettività come personalità etica compiuta. La sessualità rientra in un
ambito che definisce la categoria di quelle «arti dell’esistenza»: «intendendo
25
G. DELEUZE, Foucault, cit., p. 135.
Genealogia del soggetto di desiderio
507
con questo delle pratiche ragionate e volontarie attraverso le quali gli uomini
non solo si fissano dei canoni di comportamento, ma cercano essi stessi di
trasformarsi, di modificarsi nella loro essenza singola, di fare della loro vita
un’opera che esprima certi valori estetici e risponda a determinati criteri di
stile»26. La civiltà greca e quella tardo-antica rappresentano l’ambito di ricerca più idoneo, e sotto certi aspetti unico, per una tale ricerca, poiché sono
culture interamente incentrate sull’individualità etica e sulla sua formazione.
È noto come la tematica della “carne” abbia dato vita, in epoca cristiana, a
numerose ingiunzioni universali in merito alle pratiche dei piaceri; in questo
periodo nascono precisi obblighi morali da rispettare, separazioni nette tra
lecito e illecito atte ad escludere le propaggini di quel desiderio ch’era il segno tangibile della caduta e del peccato umano.
Nel periodo storico analizzato da Foucault, la moralità delle azioni non
è in nessun modo regolata da imperativi collettivi, l’unico criterio che valuta il comportamento umano sono le riverberazioni positive ed originali
che produce sullo stesso individuo. Le ragioni di una certa intransigenza e
severità, nei confronti dei piaceri sessuali, erano comuni tanto all’Antichità
quanto al Cristianesimo, ma se i codici morali prescrivevano agli individui
il modo in base al quale vivere, questi potevano relazionarsi alle leggi da
diverse prospettive. Il soggetto si costituisce rispettivamente tramite pratiche di sottomissione o, in modo decisamente più autonomo, tramite pratiche di libertà. Si può parlare di due diversi tipi di morale: una orientata
sui codici, dove il soggetto opta per un atteggiamento remissivo verso il divieto; l’altra è una morale orientata verso l’etica, dove gli individui sperimentano pratiche di sé, nuove possibilità di rapportarsi ai precetti morali,
conferendo in questo modo una tonalità artistica e creativa alla propria vita. La prima tipologia di morale è quella propriamente cristiana, che valuta
e giudica l’agire umano in merito ad un’assiologia trascendente; la seconda
inerisce alla condotta antica, dove è fondamentale la componente etica, ossia l’insieme di regole facoltative che definiscono la singolarità di ognuno in
relazione allo stile di vita che realizza: «un’azione per essere detta morale
non deve limitarsi a un atto o a una serie di atti con il codice cui si riferisce,
è vero altresì che essa implica un certo rapporto con se stessi, e questo rapporto non è semplicemente coscienza di sé, bensì costituzione di sé come
soggetto morale, in cui l’individuo circoscrive la parte di sé che costituisce
l’oggetto di questa pratica morale […] si prefigge un certo modo di essere
che varrà come compimento morale di sé»27. Proprio questa dimensione
26
27
M. FOUCAULT, L’uso dei piaceri, cit., pp. 15-16.
Ivi, p. 33.
508
Giuseppe Scalercio
etica interessa a Foucault, in quanto mette in gioco le pratiche di soggettivazione, espressione della capacità di nuovi modi d’esistenza, ma anche
perché risalta l’irriducibilità del soggetto al codice morale e il suo carattere
di resistenza.
Questa cura di sé rimanda anzitutto ad un certo isomorfismo tra il governo di sé e degli altri, infatti l’aspirazione alle cariche pubbliche era legittimata da un’esemplare sovranità personale, poiché l’uomo di governo deve rappresentare la temperanza incarnata (enkrateia), colui ch’è capace di
scindere l’esercizio del potere dal godimento che può derivarne. L’idea di
virilità è sinonimo di padronanza anche verso i propri desideri, e non si definisce in rapporto ad una qualche preferenza sessuale. I termini di attività
e di passività assumono un senso rispetto ad un maggiore o minore assoggettamento nei confronti delle passioni, e l’unico atteggiamento moralmente esecrabile è la totale dipendenza dalle voluttà del desiderio. Quindi,
la Dietetica, come arte che si proccupa del corpo; l’Economica, che ha come
oggetto d’interesse il piacere nella vita coniugale; l’Erotica, che inerisce all’amore per i ragazzi; e la Filosofia, come arte del pensiero che teorizza la
verità del desiderio, rappresentano quel contesto delle arti esistenziali attraverso le quali l’individuo deve prendersi cura di sé per realizzare la propria padronanza e un rapporto attivo con se stesso: «Questa cultura di sé
può essere sommariamente caratterizzata dal fatto che l’arte dell’esistenza
[...] vi si trova dominata dal principio in base al quale bisogna “aver cura di
se stessi”; ed è tale principio della cura di sé che ne stabilisce la necessità,
ne dirige lo sviluppo e ne organizza la pratica»28. Quello di Foucault non è
un semplice ritorno all’Antichità, un comune esercizio filologico, ma si rivela essere il tentativo di capire in quale misura, nell’atteggiamento antico,
sia presente una modalità capace di rappresentare l’alternativa possibile per
la nostra attualità o, meglio: in che modo l’etica antica offre concrete forme di resistenza al potere? L’etica, come forma riflessa della libertà29, non
rimanda semplicemente alla regola o al comandamento da ottemperare,
ma è più che mai la dimensione estetica dell’esistenza, la sperimentazione
di nuovi stili di vita; è la creazione e il libero rapporto con se stessi, l’ambito di un’individualità che: «separa e che nella sua parte interiore non dipende più dal codice»30.
Possiamo ancora scorgere un ulteriore margine d’intellegibilità, nell’economia del discorso, se pensiamo alla filosofia foucaultiana come ad
«un’ontologia del presente» e di «noi stessi», ovvero: l’analisi dei dispositiM. FOUCAULT, La cura di sé, tr. it. di L. Guarino, Feltrinelli, Milano 2001, p. 47.
M. FOUCAULT, L’etica della cura di sé come pratica della libertà, cit., p. 276.
30 G. DELEUZE, Foucault, cit., p. 134.
28
29
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509
vi che inducono a ritenerci come portatori di un’identità definita, ma anche possibilità di affrancarsi da questo stato di assoggettamento. Un reale
esercizio filosofico, se per filosofia si intende: «il lavoro critico del pensiero su se stessi. Se non consiste, invece di legittimare ciò che si sa già, nel
cominciare a sapere come e fino a qual punto sarebbe possibile pensare in
modo diverso? […] la posta consisteva nel sapere in quale misura il lavoro
di pensare la propria storia può liberare il pensiero da ciò che esso pensa silenziosamente e permettergli di pensare in modo diverso»31. È come se
nelle parole di Foucault risuonasse l’eco di una possibile risposta alla domanda che assilla il nostro presente: come frantumare questi rapporti di
forza individualizzanti e assoggettanti; queste relazioni strategiche, in grado
di persuaderci di un’illusoria soggettività per meglio «oggettivarci», che
definiscono il campo di esercizio dei bio-poteri? Benché la forza sia sempre
«presa» in un diagramma che definisce le relazioni con altre forze, essa è
nondimeno capace di un immenso potere di «resistenza», poiché reca con
sé la possibilità di emanciparsi da questo confronto momentaneo per compiere una torsione che la riporti su se stessa; è ciò che potremmo definire
come «l’autoreferenzialità della forza». È questo il processo che mette in
atto una soggettivazione, che non implica certamente il ritorno ad una una
soggettività – in Foucault si può parlare a buon diritto di un «soggetto assente»32 – ma rimanda propriamente alla sua stessa contestazione; passo
indietro della forza, che si ritrae da un rapporto, ma al contempo passo al
di là, tensione verso l’altrove. Il «fuori» è apertura al divenire33, questo insopprimibile rapporto della forza con altre forze che scava un vuoto e innesca un tempo sospeso, disegna una «piega» nel diagramma, facendo sovvenire questa relazione della forza con se stessa, rendendola allo stesso tempo
irriducibile ad ogni codificazione. Se la storia è questo insieme frammentario fatto di «giochi di verità», i criteri che di volta in volta hanno determiM. FOUCAULT, L’uso dei piaceri, cit., p. 14.
P.A. ROVATTI, Il soggetto che non c’è, in Foucault, oggi, cit., pp. 216-225.
33 Su quest’argomento si veda in particolare lo straordinario saggio di Foucault dedicato a Maurice Blanchot, dove afferma: «L’attrazione è per Blanchot quello che probabilmente per Sade è il desiderio, per Nietzsche la forza, per Artaud la materialità del pensiero,
per Bataille la trasgressione: vale a dire l’esperienza più pura e scarna del di fuori. [...] Ben
lontano dal chiamare l’interiorità a ravvicinarsi ad un’altra, l’attrazione manifesta imperiosamente che il di fuori è là, aperto senza intimità, senza protezione né ritegno, [...] Meravigliosa semplicità dell’apertura, l’attrazione non ha niente da offrire se non il vuoto che si
apre indefinitamente sotto i passi di colui che è attratto» (M. FOUCAULT, Il pensiero del di
fuori, in Scritti letterari, a cura di C. Milanese, Feltrinelli, Milano 1984, p. 119.).
31
32
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Giuseppe Scalercio
nato ciò che va ritenuto come vero o falso e che hanno indotto gli uomini a
stabilire un certo rapporto con se stessi34, allora le soggettivazioni equivarranno a sprigionare dei divenire contro la stessa storia, per sfaldare e frantumare le sue stratificazioni dalle quali emergono i dispositivi identitari.
Soggettivazione è il nome di un processo che allude ad un atto di creazione, un distaccamento – se déprense de soi – e superamento del sé come
forma imposta e storicamente variabile; un soggetto che si costituisce da sé
in contrapposizione al sujet creato dal potere, poichè: «non c’è soggetto,
ma produzione di soggettività: la soggettività deve essere prodotta al momento opportuno appunto perchè non c’è soggetto. Il momento opportuno è quando abbiamo superato le tappe del sapere e del potere. Sono queste tappe che ci costringono a porre la nuova questione»35. Questa libertà
del soggetto non è una liberazione dal potere, ma si orienta innanzitutto
verso una sperimentazione del pensiero e verso nuove costituzioni esistenziali; è la potenza della differenza costitutiva della vita che sfugge e trasuda
dalle maglie identitarie del potere. Il dato più importante che emerge dall’ampia ricognizione storica compiuta da Foucault è rapprasentato dal fatto
che, nell’Antichità, il sé era qualcosa da costruire, non un già dato e precostituito, bensì un processo da mettere in atto attraverso pratiche spirituali36, intendendo con queste non una certa dimensione che rinvia alla religiosità, ma l’esercizio che eticamente impegna il soggetto nella sua stessa
costituzione. Benché l’esistenza umana sia «condannata» nelle ragnatele
storiche di sapere e potere, da questo groviglio indistricabile emerge, tuttavia, un soggetto inebriato di un’immensa creatività; le soggettivazioni,
come possibilità di nuovi stili di vita, esprimono l’eccedenza della vita rispetto ai dispositivi che si accaniscono su di essa per realizzarne l’entropia.
Questa «de-prensione», questo staccarsi da se stessi, allude ad una lacerazione identitaria; dissolvere le determinazioni che ci caratterizzano per formularne delle altre, per produrre ontologicamente un surplus, una creazione di essere nuovo. Desoggettivarsi e risoggettivarsi: «laddove il potere assoggetta la vita, essa costruisce una strategia di resistenza ch’è allo stesso
tempo ontologica e politica: una creazione, un aumento dell’essere»37. È la
possibilità di nuovi modi di essere che passano innanzitutto per il rischio e
l’esposizione ad esso, come nel caso della parrhesia. Il coraggio di parlar
34 Cf. D. TROMBADORI, Colloqui con Foucault, Castelvecchi, Roma 2005, pp. 83 e sgg. Il
testo è una lunga intervista, che costituisce una biografia intellettuale, rilasciata da Foucault
a Trombadori nel 1980.
35 G. DELEUZE, Pourparler, cit., p. 153.
36 Cf. M. FOUCAULT, L’etica della cura di sé come pratica della libertà, cit., pp. 273-279.
37 J. REVEL, Identità, natura, vita: tre decostruzioni bioplitiche, cit., p. 146.
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franco definisce l’ambito di una «drammatica della verità», è il caso di
Dione che, quando decide di proferire la sua verità al tiranno Dionisio, si
impegna ontologicamente, crea un patto con se stesso attraverso questo
stesso dire, abbracciando fermamente e con convinzione il pericolo al quale espone la parola di verità38.
Solo ora le parole conclusive de La volontà di sapere assumono tutta la loro straordinaria pienezza. «Ripartire dalla vita – al di là di ogni equivoco
biologico – dalla sua straordinaria capacità di resistenza, dal corpo e dai
piaceri», vuol dire: incamminarsi su sentieri che porteranno al preludio ad
un nuovo pensiero. Se la soggettività è sempre presa nelle strategie del potere, che fissano e imprimono su ogni individuo un’identità sessuale definita, la solo lotta possibile nei confronti di un pensiero omologante si manifesterà: «come diritto alla differenza, e come diritto alla variazione e alla
metamorfosi»39. Le soggettivazioni si configureranno come produzione di
nuovi stili di vita, che sconvolgono il rapporto con il corpo, ripensandolo e
sperimentando nuovi piaceri «desessualizzati», molecolari e «minoritari»
per far fronte ai dettami di un significante dispotico. Quello foucaultiano è
un soggetto che, nonostante sia irrimediabilmente costretto nei giochi del
potere, è nondimeno posseduto dal demone della creazione e dell’immaginazione, di comprendere il suo essere come esperienza storica ogni volta
singolare, come «essere che può e deve essere pensato»40. Forse ancora oggi una simile prospettiva rappresenta il nostro limite, il nostro impossibile
da realizzare, ma anche il punto di partenza dal quale ricominciare a pensare e l’alba di un cambiamento, perché: «il nuovo è l’attuale. L’attuale non
è ciò che siamo, ma piuttosto ciò che diveniamo, ciò che stiamo divenendo,
cioé l’Altro, il nostro divenir-altro. [...] La storia è l’archivio, il disegno di
ciò che siamo e cessiamo di essere, mentre l’attuale è lo schizzo di ciò che
diveniamo»41.
38 La nozione di parrhesia è al centro del corso al Collège de France tenuto da Foucault
nel 1982-1983 (cf. Il governo di sé e degli altri, cit.).
39 G. DELEUZE, Foucault, cit., p. 140.
40 M. FOUCAULT, L’uso dei piaceri, cit., p. 12.
41 G. DELEUZE, Che cos’è un dispositivo?, cit., pp. 27-28.