L`uso consapevole del corpo
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L`uso consapevole del corpo
2/2015 Spedizione in Abb.Post. D.L. 353/2003 (N.46 2004) art.1 comma 2 E 3 • ANNO 2015 N. 2 II quadrimestre maggio/agosto 2015 NUTRIZIONE E ALIMENTAZIONE L’EXPO NE CELEBRA I VALORI ECCO TRE TEMI IMPORTANTI PER VIVERE IN SICUREZZA Nuove tecnologie per la cardiochirurgia: in campo occhiali speciali Il punto su trapianti e cuori artificiali Problemi cardiovascolari nel mirino degli specialisti: dalla pericardite alle pericolose insidie del nemico diabete La lunga marcia delle donne verso la professione medica Dal no di Aristotele ai successi di oggi pp. 10-13 pp. 14-16 e 27-29 pp. 33-37 N. 2 maggio/agosto 2015 Sommario ___________________________________ pag ___________________________________ pag IN OTTOBRE LE XXVII GIORNATE CARDIOLOGICHE DALLA TRADIZIONE POPOLARE AGLI STUDI SCIENTIFICI Torino capitale del cuore tra scienza e tecnologia_____________________ 3 EDITORIALE L’arte della prevenzione ___________ 4 UN TEMA DI DRAMMATICA ATTUALITÀ NEL CONVEGNO TORINESE Giovani atleti sotto esame__________ 5 LA SANITÀ MILITARE DAI ROMANI ALL’INDIPENDENZA D’ITALIA - Prima parte Medici sul campo di battaglia_______ 7 TECNOLOGIA AVANZATA IN SALA OPERATORIA Magici occhiali per chirurghi_______ 10 UN’ALTERNATIVA SEMPRE PIÙ VALIDA PER LA SOPRAVVIVENZA Ti metto un motore nel petto______ 11 SEMPRE PIÙ SPESSO È DIAGNOSTICATA NEI GIOVANI Infarto? No, è pericardite__________ 14 PRIMO PIANO - Nutrizione e alimentazione, la spinta dell’Expo___ 17 L’ITER TERAPEUTICO PREVEDE UN APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE Rene e cuore, bere fa bene________ 17 UNO DEI SEGRETI PER NUTRIRSI CON SAGGEZZA A tavola con gli sgombri__________ 20 Focus on L’esempio dei popoli mediterranei___ 20 Le spezie alleate preziose_________ 24 TRA I RICERCATORI SI FA STRADA UN’IDEA SUGGESTIVA Il diabete è una malattia vascolare?_ 27 COME MIGLIORARE CON SAGGEZZA L’EQUILIBRIO PSICOFISICO L’uso consapevole del corpo _______ 30 L’EPOPEA FEMMINILE PER ENTRARE IN MEDICINA Aristotele, il grande filosofo che non conosceva le donne______________ 33 AI NOSTRI GIORNI TRIONFA IL GENTIL SESSO Il tempo della rivincita____________ 36 STORIA. UN PROBLEMA NON NUOVO PER LA MEDICINA Quei falsi malati di ieri e oggi______ 38 IN CAMPO CON LA NOSTRA ONLUS Il presidente Danielis: un particolare grazie ai volontari_______________ Cardio Piemonte in giro per l’Europa portando il messaggio degli Amici del Cuore_____________ Prevenzione presso le Farmacie Comunali______________________ Bilancio consuntivo 2014__________ 41 41 42 42 CARDIO PIEMONTE ANNO XI - N. 30 (2015) Tribunale di Torino 4447 del 26-02-92 Direttore Responsabile: Michele Fenu Il Consiglio Direttivo Amici del Cuore onlus Presidente: Danilo Danielis Vice Presidenti:Sebastiano Marra, Fiorenzo Gaita Tesoriere: Michelangelo Chiale Segreteria: Carla Giacone Comitato Scientifico: prof. Fiorenzo Gaita, dr. Sebastiano Marra, dr. Marco Sicuro, dr. Tullio Usmiani, dr. Armando De Berardinis, dr. Maurizio D’Amico, dr. Roberto Grimaldi Consiglieri: Cesarina Arneodo, Fiorenzo Ardizzone, Enrico Boglione, Michelangelo Chiale, Luisella Chiara, Danilo Danielis, Fiorenzo Gaita, Carla Giacone, Renate Heissig, Sebastiano Marra, Paolo Monferino, Guglielmo Moretto, Ernesto Ovazza, Rita Porta, Enrico Zanchi Comitato di Redazione: Michelangelo Chiale, Carla Giacone Sindaci: Michele Falanga, Giuseppe Mamoli Fotografie: Fiorenzo Ardizzone 2 - Cardio Piemonte Coordinatrici volontari: Renate Heissig, Rita Porta Progetto grafico e impaginazione: Roberta Serasso Segreteria di redazione: Carla Giacone Webmaster: Candeloro Buttiglione, Antonio Cirillo ORGANO UFFICIALE DE AMICI DEL CUORE PIEMONTE Associazione Onlus Associazione di Volontariato, no-profit, per la prevenzione e la ricerca delle malattie cardiovascolari Sede A.O.Città della Salute e della Scienza di Torino Corso Bramante, 88 • 10126 Torino Tel. 011.633.55.64 Reparto di Cardiologia 2 dr. Sebastiano Marra Presidente: Danilo Danielis www. amicidelcuore.ideasolidale.org e-mail: [email protected] Coord. Volontari cell. 346.1314392 392.2716163 Segreteria cell. 392.221.4972 Tipografia: Grafart s.r.l. - Venaria R. (TO) Foto: Expo 2015 / Daniele Mascolo; p.19 Shutterstock/ kubais; p.23 Shutterstock/ Alexander Raths. N. 2 maggio/agosto 2015 IN OTTOBRE LE XXVII GIORNATE CARDIOLOGICHE Torino capitale del cuore tra scienza e tecnologia Un grande evento che raccoglie studiosi, ricercatori e medici di tutto il mondo nelle sezioni “Advances in Cardiac Arrhythmias” e “Great Innovations in Cardiology”. L’esempio di Bosio. Novità in tema di farmaci, interventistica strutturale e terapie. Il ruolo della prevenzione di Sebastiano Marra Ancora una volta Torino si appresta a raccogliere con le XXVII Giornate Cardiologiche il fior fiore degli studiosi, ricercatori e clinici di tutto il mondo. Capitale dello Sport ma anche Capitale del Cuore, dunque. Come sempre il programma è suddiviso in due sezioni, “Advances in Cardiac Arrhythmias” e “Great Innovations in Cardiology”, sotto la regia del Prof. Fiorenzo Gaita e del sottoscritto, con la collaborazione del Comitato Scientifico (gli americani Malcolm Bell e Amir Lerman per la prestigiosa Mayo Clinic, con cui siamo in stretti rapporti da molti anni, il tedesco Martin Borggrefe, il francese Jean Francois Leclercq e lo svizzero Dipen Shah) e il Comitato Organizzatore (Carlo Budano e Davide Castagno). Uno dei più rilevanti obiettivi del nostro meeting annuale, in programma il 23 e 24 ottobre presso il Centro Congressi dell’Unione Industriale di Torino, è il portare a conoscenza del più ampio numero possibile di colleghi le informazioni più attendibili che vengono dalla ricerca scientifica mediante oratori di grande capacità comunicativa e di grande valenza culturale. Ma non dobbiamo dimenticare anche alcuni eventi storici che hanno onorato la nostra città per il rilevante contributo alla ricerca scientifica e tecnologica nel campo cardiologico pionieristico. Pochi sanno, ad esempio, il ruolo innovatore nella costruzione di un cuore artificiale avuto dall’ing. Roberto Bosio che negli Anni 60-70 ha disegnato, costruito e sperimentato uno dei primi cuori artificiali al mondo. Come sempre l’applicazione nell’uomo è avvenuta a Zurigo con la collaborazione del famoso cardiochirurgo svizzero Prof. Marko Turina. In questi ultimi tempi il ruolo dei dispositivi creati dalla tecnologia è diventato sempre più attuale perché le donazioni di cuori si sono ridotte in modo rilevante (oltre il 50%) rispetto a pochi anni fa e perché la miniaturizzazione dei moderni VAD (Ventricular Assistance Device), cioè dei cuori artificiali, ha permesso una semplificazione nell’impianto e nella gestione tale da favorire moltissimo il loro utilizzo. Dedichiamo, quindi, una sezione alla storia dell’Ing. Roberto Bosio e al suo ruolo di pioniere e all’attuale stato dell’arte della terapia in pazienti che non hanno più alcuna opzione terapeutica sia medica sia interventistica sia chirurgica. Sempre in tema di novità faremo il punto sull’utilizzo dei nuovi antiaggreganti in tutti i subsets dei quadri clinici della sindrome coronarica acuta, sia alla associazione con i nuovi anticoagulanti orali. Proprio su questi ultimi abbiamo già 6 anni di follow-up e faremo dei focus nei luncheon panels che ci faranno capire come si stia confermando la sicurezza e la efficacia di questi nuovi, in verità non più nuovi, prodotti. In tema di interventistica strutturale daremo Dott. Sebastiano Marra, Direttore del nuovo Dipartimento Cardiovascolare e Toracico della Città della Salute e della Scienza Cardio Piemonte - 3 N. 2 maggio/agosto 2015 Editoriale L’ARTE DELLA PREVENZIONE di Michele Fenu A lezione di prevenzione. Insegnante il Vice Presidente Sebastiano Marra. Un argomento che è il leit motiv degli Amici del Cuore e che è di fondamentale importanza. Marra ne ha esplorato vari aspetti nel corso dell’assemblea di bilancio con un’ampia relazione di cui vogliamo qui ricordare in sintesi i temi più importanti per i soci della nostra Onlus e, in particolare, per i volontari. La prevenzione, che va esercitata in spirito di collaborazione con chi fa assistenza medica, è una bella parola che troppo spesso nasconde un vuoto di contenuti. Se ne riempiono la bocca i politici e chi sostiene (esistono, sì) che costa più prevenire che curare. Basta pensare ai disagi, ai drammi umani, al prezzo della sanità per capire l’ipocrisia di certe affermazioni. C’è una premessa basilare: la prevenzione non è una terapia, ma la segnalazione di un rischio che vale per tutti i settori della medicina, un avviso che per gli Amici del Cuore si focalizza sul problema delle malattie cardiovascolari. È un messaggio che riguarda chi ignora il suo stato di salute e che invita il cittadino a rivolgersi al medico di famiglia per gli opportuni approfondimenti. La raccolta dei dati va attuata con garbo e nel rispetto (vero) della privacy: si tratta di argomenti delicati e quando una persona risponde alle domande non è il caso che siano informati anche i vicini. Un punto delicato, come sottolinea Marra, riguarda la situazione psicologica dell’intervistato. C’è una parola che va bandita: depressione. È un termine sovente recepito come sgradevole, che può segnalare un rischio "indipendente" e che investe la sfera intellettiva del soggetto. Conviene allora aggirare l’ostacolo parlando di "tensione emotiva", "agitazione", "ansia", "stanchezza al mattino alzandosi" e così via. Quasi un’arte. Alla fine dell’intervista il messaggio va trasmesso in modo equilibrato, seminando nella mente dell’esaminato la presenza di un rischio cardiovascolare più o meno elevato. Toccherà poi ai medici valutare il caso. Il discorso vale che si operi sul camper degli Amici del Cuore, in un locale predisposto dalla Onlus o da chi ha richiesto il nostro intervento o in una farmacia. L’attività di prevenzione svolta dalla Onlus rappresenta una bandiera di cui essere orgogliosi. E anticipiamo il futuro con la scheda della salute, un nutrito gruppo di misurazioni (spiccano quelle della saturazione dell’ossigeno e della pressione arteriosa, l’ECG, in taluni casi la visita cardiologica), alle quali se ne aggiungeranno presto altre (colesterolo, glicemia, trigliceridi). Sottolineiamo che gli Amici del Cuore non indicano terapie né valutano quelle in atto, non si contrappongono al medico, non analizzano gli esami. E con la raccolta delle schede della salute, vicine alle 10 mila unità, hanno realizzato sul territorio un’indagine mai realizzata prima, fornendo al dottor Marra la base per uno studio che vedremo su prestigiose pubblicazioni scientifiche. Sì, siamo forti! 4 - Cardio Piemonte particolare rilievo nel cercare di rendere possibile la selezione di pazienti idonei, soprattutto a TAVI e a MITRACLIP, da parte della più larga popolazione medica della nostra Regione. Siamo convinti del ruolo chiave, nella selezione di questi pazienti, da parte dei cardiologi territoriali e dei cardiologi ospedalieri che non hanno a disposizione queste metodiche. Dare una opzione terapeutica al più ampio spettro di pazienti ci sembra una doverosa opportunità medica e culturale. Come gestire al meglio i pazienti con scompenso cardiaco è uno sforzo tecnico-culturale che rinnoviamo anche questo anno nel favorire informazioni diagnostiche e terapeutiche più rigorose possibili. Purtroppo, lo spettro di questi pazienti con scompenso cardiaco è estremamente vasto e si presta a interventi molto diversi ed embricati in quanto spesso sono soggetti anemici con insufficienza renale, insufficienza respiratoria, rischio cardioembolico assai elevato e rischio emorragico altrettanto pericoloso. In tema di prevenzione delle patologie cardiovascolari, si rivaluta il ruolo che l’aspirina ha in quella primaria, cioè nei pazienti a rischio ma senza alcuna manifestazione di malattia. La nostra ONLUS sarà sempre presente e attiva nel diffondere il messaggio di portare la prevenzioni alla portata di tutta la popolazione. Questa è la vera funzione, dare il messaggio al singolo cittadino aiutandolo a costruire il suo livello di rischio cardiovascolare in modo da renderlo consapevole e protagonista convinto della utilità di adottare uno stile di vita corretto e di tenere sotto controllo il cuore. N. 2 maggio/agosto 2015 UN TEMA DI DRAMMATICA ATTUALITÀ NEL CONVEGNO TORINESE Giovani atleti sotto esame Le testimonianze di studiosi e campioni sportivi per migliorare la prevenzione. Latenti cardiopatie strutturali o anomalie congenite aritmogene costituiscono un terzo dei casi di arresto cardiaco extra-ospedaliero. L’esemplare storia di Jimmi Fixx, il guru del fitness in Usa di Roberto Grimaldi Jimmi Fixx, noto giornalista sportivo e redattore della rivista Life, autore di uno dei maggiori best seller degli Anni 80, il famoso “The complete book of running”, libro considerato la bibbia per generazioni di runner di tutto il mondo, era un uomo giovane ma obeso, iperteso, gran fumatore dislipidemico. Ma perchè un uomo con una vita così sregolata è diventato non solo un "corridore", ma il guru di milioni di americani? Per una ossessione. Infatti il padre di Jimmi Fixx, anch’egli giornalista e redattore del Times, alla giovane età di 35 anni veniva colpito da un grave infarto che gli permise di vivere malamente altri otto anni, quando un secondo infarto lo uccise. Questo episodio segnò la vita del figlio. L’avvicinarsi del 35° compleanno era per lui come sentire prossima la propria data di morte. Questo pensiero ossessivo gli permise però di trovare la forza di smettere di fumare, di dimagrire, di seguire diete ipolipidiche e di incominciare una attività fisica regolare: la corsa. La sua convinzione e determinazione erano così forti che pensò di tramandarle scrivendo un libro, contribuendo al fitness boom in Usa e in tutto il mondo. La sua missione di sensibilizzazione portò molti americani a intraprendere la strada di una regolare attività fisica quale via per ottenere non solo un benessere del corpo ma anche psicologico. Fixx grazie al suo libro divenne un famoso personaggio televisivo, partecipò a innumerevoli talk show enfatizzando il benessere che lui stesso poteva dimostrare, benessere derivante da una regolare attività fisica e da un corretto stile di vita. Proprio sull’onda del successo, al picco della sua popolarità, lo scrittore morì improvvisamente per un attacco cardiaco all’età di 48 anni: fu trovato da un motociclista ai margini di una strada periferica durante la sua corsa quotidiana. La Dr.ssa Mc Quillen, che eseguì l’autopsia trovò nel cuore un’estesa malattia coronarica con almeno la presenza di due precedenti infarti cardiaci, ma aggiunse anche che non era stata la corsa a ucciderlo, ma i 35 anni di pessime abitudini e che l’amore per lo sport e il cambiamento dei comportamenti gli aveva regalato più anni di quanti non ne avesse vissuti il padre. Dott. Roberto Grimaldi Cardiologia Universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino Una regolare attività fisica e un corretto stile di vita sono noti a tutti come elementi positivi per la salute. La prevenzione e il trattamento dei fattori di rischio cardiovascolari restano a tutt’oggi il primo obiettivo da perseguire: la cardiopatia ischemica nella popolazione adulta rappresenta ancora la patologia cardiovascolare più frequente. Esistono però circostanze nelle quali la pratica di attività sportiva può rappresentare un pericolo per l’individuo fino a provocare quella che viene definita "morte improvvisa". Ma qual’è l’incidenza di questi casi durante l’attività fisica? Da 8 casi per milione per i non atleti a 36 casi per milione in atleti non sottoposti a controlli seriati fino a scendere a 4 in atleti controllati. Quali sono gli sportivi più colpiti? Quelli a più basso livello agonistico. Quando è più freCardio Piemonte - 5 N. 2 maggio/agosto 2015 quente avere un episodio di morte improvvisa? Durante le competizione sportive anche se è sicuramente maggiore il tempo passato negli allenamenti. Tale dato darebbe ragione a chi vede nella liberazione di adrenalina un importante trigger di concausa nella morte improvvisa. Ma non si muore perchè si fa sport, si muore perchè pensiamo di essere sani e non lo siamo. Nel prossimo congresso internazionale che si terrà a Torino in ottobre sarà riservato un ampio spazio proprio allo studio di quelle condizioni latenti che in corso di attività fisica rappresentano un pericolo per la vita dell’individuo sia esso atleta ad alto livello o sportivo dilettante. Personalità di spicco provenienti dai più prestigiosi atenei mondiali prenderanno parte all’evento e forniranno, con la loro testimonianza, spunti importanti su cui riflettere per la futura pianificazione di prevenzione sportiva per il nostro Paese. Arricchiranno il confronto grandi campioni dello sport che racconteranno le loro esperienze agonistiche. L’attività sportiva in persone con latente cardiopatia strutturale o anomalie congenite aritmogene può rappresentare un trigger aritmico e di conseguenza esordire con manifestazioni cliniche importanti proprio in corso di attività fisica. Queste circostanze vedono interessati in prevalenza soggetti di giovane età e formano quindi un fenomeno di importante rilevanza mediatica, anche se per fortuna di limitato numero. Molti studi mostrano come gli atleti, andati incontro a un arresto cardiaco extra ospedaliero, presentino spesso un substrato responsabile dell’evento aritmico, quali la cardiomiopatia ipertrofica[1], la cardiopatia aritmogena del ventricolo destro[2], le anomalie di origine delle coronarie[3], su cui spesso si aggiunge la scarica adrenergica legata alla gara. Però circa un terzo del totale dei casi di arresto cardiaco extra ospedaliero risulta sine causa all’esame macroscopico ed è proprio in questo contesto che si evidenziano le anomalie congenite aritmogene (quali la sindrome del QT lungo, la sindrome di Brugada, la tachicardia ventricolare polimorfa catecolaminergica, ecc…). È possibile prevenire questi eventi? L’attenzione si sposta agli esami che vengono richiesti 6 - Cardio Piemonte prima di iniziare un’attività sportiva di tipo anche agonistico. Attualmente vi sono due approcci allo screening pre-partecipazione in questione: quello americano, basato esclusivamente sull’anamnesi e l’esame obiettivo, e quello europeo basato sull’anamnesi, l’esame obiettivo e l’elettrocardiogramma a riposo. In Italia è in atto un programma di screening comprensivo dell’elettrocardiogramma a riposo anche per attività sportiva amatoriale che può esser considerato una strategia preventiva di comprovata efficacia. I risultati italiani indicano che lo screening elettrocardiografico ha un’adeguata sensibilità e specificità per l’identificazione di quegli atleti affetti da cardiomiopatie e/o malattie dei canali ionici potenzialmente letali, la cui esclusione dalle gare si è tradotta nella riduzione sostanziale (di circa il 90%) della mortalità durante la pratica sportiva[4]. L’utilità dell’elettrocardiogramma nella precoce identificazione di cardiopatie altrimenti misconosciute all’esame obiettivo viene confermata anche da studi internazionali sull’argomento[5]. Circa il 2% degli atleti che si sottopongono alle visite medico sportive obbligatorie per svolgere uno sport sono riconosciuti non idonei. [1] Recommendations and considerations related to preparticipation screening for cardiovascular abnormalities in competitive athletes: 2007 update: a scientific statement from the American Heart Association Council on Nutrition, Physical Activity, and Metabolism: endorsed by the American College of Cardiology Foundation. Maron BJ, Thompson PD, Ackerman MJ, Balady G, Berger S, Cohen D, Dimeff R, Douglas PS, Glover DW, Hutter AM Jr, Krauss MD, Maron MS, Mitten MJ, Roberts WO, Puffer JC; American Heart Association Council on Nutrition, Physical Activity, and Metabolism. Circulation. 2007 Mar 27;115(12):1643-455. [2] Screening for hypertrophic cardiomyopathy in young athletes. Corrado D, Basso C, Schiavon M, Thiene G. N Engl J Med. 1998 Aug 6;339(6):364-9. [3] Eckart RE, Scoville SL, Campbell CL, Shry EA, Stajduhar KC, Potter RN, Pearse LA, Virmani R. Sudden death in young adults: a 25-year review of autopsies in military recruits. Ann Intern Med. 2004 Dec 7;141(11):829-34. [4] Corrado D, Migliore F, Zorzi A, Siciliano M, Basso C, Schiavon M, Thiene G.[Preparticipation electrocardiographic screening for the prevention of sudden death in sports medicine]. G Ital Cardiol (Rome). 2011 Nov;12(11):697-706. [5] Harmon KG, Zigman M, Drezner JA. The effectiveness of screening history, physical exam, and ECG to detect potentially lethal cardiac disorders in athletes: A systematic review/meta-analysis. J Electrocardiol. 2015 May-Jun;48(3):329-38 N. 2 maggio/agosto 2015 LA SANITÀ MILITARE DAI ROMANI ALL’INDIPENDENZA D’ITALIA - Prima parte Medici sul campo di battaglia Con la guerra di Crimea e i sanguinosi scontri di Solferino e San Martino tra franco-piemontesi e austriaci è sorto il germe per la nascita della Croce Rossa Internazionale. Una drammatica avventura per organizzare i soccorsi e salvare i feriti. L'avvento dei chirurghi di Angelo Sante Bongo Quando il suono inquietante di una sirena ci costringe a interrompere i nostri movimenti per cedere il passo all’ambulanza un preoccupante pensiero si affaccia fugacemente nella nostra mente: chi sarà mai lo sfortunato passeggero? arriverà in tempo allo ospedale? quanto è grave la situazione? Accanto al frustrante pensiero della nostra precarietà si fa strada la certezza che la rapidità del soccorso e la velocità con cui è trasportato il malcapitato aumentano enormemente le sue possibilità di cavarsela. L’effimera riflessione svanisce presto sfumando nel prepotente ricomparire dei nostri affanni quotidiani. Quel suono stridente ci intimorisce e ci tranquillizza al tempo stesso. Qualcuno si preoccupa di noi all’occorrenza e ci offre una possibilità di guarigione. Non era così fino a circa 150 anni fa, la possibilità di raggiungere un posto dove curarsi e soprattutto il trasporto dei feriti erano basati sulla intraprendenza dei famigliari, degli amici e di persone di buona volontà. Certamente le cruente battaglie campali che hanno orribilmente segnato la nostra storia passata non lasciavano scampo, la buona volontà non bastava a soccorrere migliaia di vite spezzate nel fiore della gioventù da tremende ferite destinate in gran parte a portare a morte gli sventurati soldati. Alcune menti illuminate in quegli anni prendevano coscienza della necessità di una organizzazione per il trasporto e la cura di un numero così ingente di feriti di guerra. Le atroci scene a cui erano costrette impotenti ad assistere rendevano necessarie soluzioni innovative per dare una speranza a quei giovani martoriati dall’insensata potenza devastatrice della guerra. L’organizzazione del soccorso e delle prime cure nasce proprio nel difficile contesto delle sanguinose battaglie risorgimentali. Il prendere coscienza della importanza della vita di ragazzi strappati al duro lavoro della terra per combattere guerre spesso per loro incomprensibili si è fatta strada prepotentemente nella mente di alcuni uomini illuminati come il filantropo svizzero Jean-Henri Dunant che per un caso fortuito era presente alla battaglia di Solferino. Durante la II guerra di indipendenza nel 1859, dopo la sconfitta a Magenta, l’esercito austriaco si ritirava verso Est, inseguito dall’esercito franco-piemontese. Lo stesso Francesco Giuseppe venne personalmente in Italia per prendere il comando delle truppe, rimuovendo dall’incarico il generale Gyulai, considerato colpevole della sconfitta precedente. Il mattino del 23 giugno le armate austriache fecero dietro front per contrattaccare lungo il fiume Chiese. Allo stesso tempo Napoleone III ordinò l’avanzata delle sue truppe e così gli eserciti avversari vennero a scontrarsi in luoghi del tutto imprevisti. L’inaspettato e caotico svilupparsi dello scontro rende ragione del numero impressionante di morti e feriti causati dal cruento combattimento. La battaglia di Solferino e San Martino fu la più lunga (dalle 12 alle 14 ore di lotta) e la più sanguinosa disputata per l’indipendenza e l’unità d’Italia e superò per quoziente di perdite quella, pur terribile, di Waterloo. Non si conosce con precisione il numero complessivo dei caduti: c’è chi parla di 38.000 uomini chi di 70.000. Dunant rimase sconvolto dal numero impressionante dei feriti e dei morti, ma soprattutto dal fatto che essi venivano abbandonati a loro stessi per la totale disorganizzazione con cui furono portati i soccorsi. Il generoso filantropo si diede da fare per organizzare un minimo di assistenza, mediante il trasporto dei feriti presso il Duomo di Castiglione delle Stiviere e lì, con l’aiuto della popolazione, vennero prestati soccorsi a tutti, senza riguardo alla divisa indossata, avendo come riferimento il motto "Tutti Fratelli". In seguito scrisse e pubblicò a sue spese il libro Un souvenir de Solférino, dove si legge: «Qui si svolge una lotta corpo a corpo, orribile, spaventosa; Austriaci ed Alleati si calpestano, si scannano sui cadaveri sanguinanti, s’accoppano con il calcio dei fucili, si spaccano il cranio, si sventrano con le sciabole o con le baionette; è una lotta senza quartiere, un macello, un combattimento di belve, furiose ed ebbre di sangue; anche i feriti si difendono sino all’ultimo: chi non ha più un’arma afferra l’avversario alla gola, Dottor Angelo Sante Bongo, cardiologo, Direttore Cardiologia II Ospedale di Novara, I capitano medico della riserva di complemento Cardio Piemonte - 7 N. 2 maggio/agosto 2015 Carlo Bossoli, Battaglia di Solferino, 1859, litografia. Solferino, 24 giugno 1859 - ore 14 c.a. Conclusione della Battaglia di Solferino. Le truppe delle divisioni "Forey" e "De Ladmirault" prendono possesso del Castello e della Rocca di Solferino. Con licenza Pubblico dominio tramite Wikimedia Commons dilaniandogliela con i denti». Proprio da quella carneficina provocata dal mancato aiuto ai feriti ebbe l’idea di fondare nel 1863 la Croce Rossa Internazionale. Ottenne per questo il Premio Nobel per la pace nel 1901 che diede quasi totalmente in beneficenza. Morì povero in una stanza d’albergo nel 1910. Evoluzione della Medicina Lo svolgersi non lineare, irregolare e discontinuo della storia si conferma appieno quando si valuta la storia della medicina e soprattutto quella della medicina militare. Il progresso della medicina è caratterizzato da devianze e correzioni che non avvengono in modo lineare. Quando esse sono attuate in modo brusco o contradditorio producono fratture epistemiche, che dividono in segmenti il procedere della storia. Esempi di eventi che hanno determinato fratture sono l’invenzione della ruota, la nascita di Cristo, la scoperta dell’America, il pensiero di Galileo, la rivoluzione francese e la rivoluzione informatica. Michel Foucault chiama Epoche i segmenti di storia compresi tra due fratture epistemiche. Ogni epoca si autorappresenta con un tipo di episteme (episteme=conoscenza) insieme di cultura, modalità di concettualizzazione, valori intellettuali e risultati etici frutto dei sensi e dell’intelletto umano (Nicola Dioguardi). La battaglia di Solferino rappresenta una improvvisa svolta proprio perché rappresenta un cambiamento epocale della concezione di cura del ferito in guerra. La sanità militare prima di Solferino Per secoli l’assistenza medica e chirurgica in guerra è rimasta immodificata ed è stata caratterizzata da ini- 8 - Cardio Piemonte ziative spontanee, da improvvisazione con il prevalere di una minima assistenza possibile raggiungendo il ferito sul campo di battaglia. Si deve anche ricordare che la maggior parte delle morti si verificavano come conseguenza delle infezioni delle ferite e delle malattie da contagio che, nelle situazioni di affollamento con riduzione delle minime norme igienico sanitarie, assumevano un andamento epidemico. Le popolazioni locali erano pesantemente coinvolte per la carenza di alimentazione razziate dagli eserciti dei contrapposti schieramenti e dal dilagare delle malattie infettive indotte. Senza contare i ricorrenti episodi di violenza e rappresaglia. I romani, impegnati costantemente in guerre e conflitti vari per la difesa e il controllo dell’impero, erano provvisti di una organizzazione anche per la medicina militare. Il praefectus castrensis, aveva alle sue dirette dipendenze un medico capo (medicus castrensis) che coordinava gli altri sanitari militari. Ogni coorte, di circa 600 uomini, aveva un medico di supporto, e due se operava in prima linea. L’assistenza veniva prestata sul campo ma i feriti potevano essere trasportati presso il valetudinarium in castris che rappresentava un luogo di raccolta organizzato per la cura degli stessi, antesignano degli ospedali da campo. In queste strutture operava il "medicus castrensis", esentato da ogni altro servizio, assistito da capsarii (infermieri guardarobieri), frictores (massaggiatori), unguentari, curatores operis (addetti al servizio farmaceutico), optiones valetudinarii (addetti al vitto e all’amministrazione). Con lo sfaldarsi dell’impero romano si perdono le tracce del suddetto tipo di medicina militare "organizzata". Il buio del Medioevo rallenta il progresso N. 2 maggio/agosto 2015 della medicina, come è concepita attualmente, e lascia spazio solo alla medicina mistico-religiosa con assistenza fisico- spirituale da parte di monaci e persone volenterose. Questo spiega la mancanza di una organizzazione e di una precisa strutturazione del soccorso ai feriti in battaglia che veniva affidato a valletti, compagni d’arme, spose e popolani del posto. Le "infermerie" dipendevano dalle disponibilità locali: castelli, casolari, tende, alberi. Oltre alla mancanza di una struttura di accoglienza all’epoca si era privi di trattamenti specifici delle ferite con ampio spazio alla "vix medicatrix naturae" ovvero alla capacità dell’organismo di risolvere da solo i problemi di ferite e malattie. Talvolta i trattamenti effettuati invece di favorire la guarigione acceleravano l’exitus del paziente. Alcuni dei casi più sconvolgenti sono stati l’uso eccessivo dei salassi e la cauterizzazione delle ferite con olio bollente. Le prime concrete innovazioni si devono far risalire alla figura di Ambroise Parè. Ambroise Paré (BourgHersent, Laval, 1510 – Parigi, 20 dicembre 1590) è stato un medico e chirurgo francese, considerato come il padre della chirurgia moderna. Era il chirurgo regale del re di Francia Enrico II, della regina Caterina de’ Medici e dei loro quattro figli. Va a lui il merito di aver introdotto la legatura dei vasi in seguito alle amputazioni. Con Paré nasce la figura del chirurgo che prima era considerato un cerusico ovvero un abile manipolatore di rudimentali strumenti chirurgici con abilità derivate dalla pratica di barbiere. Suo grande merito, negli ultimi anni di vita, fu quello di aver messo per iscritto la maggior parte delle sue esperienze, accompagnate dagli eventi più importanti della sua esistenza. Gli scritti di Paré rappresentano dunque una straordinaria eredità sia per i chirurghi, che ne hanno utilizzato le tecniche per i successivi trecento anni, sia per gli storiografi, che hanno potuto ricorrere ai suoi libri come fonti per le stesure di biografie. Le principali innovazioni introdotte da Ambroise Parè sono state: • La possibilità di preparare un unguento che causasse molto meno dolore dell’olio bollente allora utilizzato per curare le ferite da arma da fuoco • L’applicazione della legatura dei vasi alle amputazioni «La notte non riuscii a dormire tranquillo, col timore, per la mancata cauterizzazione, di trovare morti avvelenati coloro con i quali non avevo usato l’olio bollente; pertanto mi alzai molto presto per visitarli, e, con mia grande sorpresa, scoprii che quelli ai quali avevo applicato la lozione medicinale non soffrivano molto, e le loro ferite non presentavano infiammazione e gonfiore, e la notte avevano riposato ragionevolmente bene; gli altri, su cui avevo usato il detto olio bollente, li trovai febbricitanti, in preda a forte dolore e con gonfiore intorno alle ferite. Allora decisi tra me che mai più avrei crudelmente bruciato dei poveretti feriti con armi da fuoco.» (Ambroise Paré, Journey in diverse places ). Un altro personaggio fondamentale per comprendere l’evoluzione della sanità militare e della organizzazione degli aiuti in caso di catastrofi è stato il barone Dominique-Jean Larrey (1766-1842), chirurgo di Napoleone e inventore del trasporto in ambulanza, utilizzata per la prima volta durante le guerre napoleoniche. Nel 1792 elaborò un progetto per la campagna di Napoleone in Italia, che prevedeva 3 gruppi di 15 chirurghi e 12 carrozze a cavallo, ognuna dedicato a spostare e trattare i feriti. Così poteva operare 24 ore su 24. Il modello era basato sul soccorso con i mezzi dell’ambulanza volante e del wurst carro trainato da 4 cavalli che doveva trasportare 8 chirurghi e 8 aiutanti con materiale sanitario. Ne risultò un tale successo che nel 1793 si trasferì a Parigi con il compito di organizzare un sistema di ambulanze volanti per l’intero esercito francese. Successivamente servì in Spagna ed in Egitto, perfezionando le competenze e, in particolare, le tecniche chirurgiche di amputazione. Un altro grande merito di questo illustre medico militare è stato quello di stabilire le regole per il triage delle vittime di guerra. Il triage, dal francese trier, scegliere, venne infatti usato per la prima volta durante le guerre napoleoniche. Per organizzare i soccorsi Larrey ritenne necessario stabilire dei criteri di priorità nel curare i feriti a seconda della gravità delle loro lesioni e l’urgenza della necessità di cure mediche, indipendentemente dal rango o nazionalità. Nell’ottica dell’epoca quando le possibilità di salvare i più gravi erano scarse scelse di soccorrere per primi quelli che avevano subito lesioni meno gravi ed erano, quindi, più rapidamente recuperabili per la battaglia. Il triage si è evoluto fino al giorno d’oggi e attualmente le priorità si sono invertite rispetto all’epoca napoleonica. Lo scopo attuale è quello di ridurre al minimo i ritardi dell’intervento sul “paziente urgente” attribuendo a tutti i pazienti un codice di priorità che regoli l’accesso agli interventi medici in relazione alla gravità della loro condizione, operando una ridistribuzione a favore di chi è più grave rispetto a chi non riceverà, comunque, un danno da un tempo di attesa maggiore. Durante la sua carriera, Larrey ha partecipato a 25 campagne e a più di 60 battaglie. È stato uno dei primi a descrivere le amputazioni a livello dell’anca (1812). La Chirugicale Clinique è stata la più importante delle sue pubblicazioni. Il nome Larrey è storicamente associato alla amputazione dell’articolazione della spalla, alla febbre gialla e alla legatura dell’arteria femorale al di sotto del legamento inguinale. Il modello organizzativo francese elaborato da Larrey ebbe importanti ripercussioni sulla mortalità e morbilità legata alle ferite di guerra. Durante la battaglia di Waterloo, su 2 milioni e mezzo di morti, solo 150.000 morirono sul campo di battaglia. Il sistema si diffuse rapidamente all’estero e l’esercito sabaudo fu uno dei primi ad adottarlo. (Continua sul prossimo numero) Cardio Piemonte - 9 N. 2 maggio/agosto 2015 TECNOLOGIA AVANZATA IN SALA OPERATORIA Magici occhiali per chirurghi I Google Glass rappresentano un grande aiuto anche negli interventi cardiovascolari. La caratteristica che li rende unici è la presenza di un display montato su una lente: proietta le immagini direttamente sull’occhio dell’utente, dove i contenuti verranno visualizzati come se ci si trovasse di fronte a uno schermo da 25 pollici, visto da una distanza di due metri di Mauro Rinaldi Prof. Mauro Rinaldi, Direttore SCDU Cardiochirurgia Professore Ordinario Chirurgia Cardiaca, Università di Torino La tecnologia entra in sala operatoria. Certo non è la prima volta, ma immaginate un device che lasci le mani dell’operatore libere e al contempo gli consenta la consultazione della documentazione del paziente che sta operando, senza distogliere lo sguardo da ciò che sta facendo. Aggiungete che tutti i collaboratori in sala siano in grado di osservare in presa diretta tutto ciò che il chirurgo sta vedendo e facendo e otterrete i Google Glass. I Google Glass, ovvero gli occhiali a realtà aumentata, sono costruiti con una montatura caratterizzata da un telaio resistente e da naselli regolabili. La caratteristica che li rende unici è la presenza di un display montato su una lente. Tale schermo ad alta definizione proietta le immagini direttamente sull’occhio dell’utente, dove i contenuti verranno visualizzati come se ci si trovasse di fronte a uno schermo da 25 pollici, visto da una distanza di due metri. Basati sul sistema operativo Android, i Google Glass sono compatibili con smartphone grazie alla tecnologia Bluetooth. Presente sul lato destro della montatura un touchpad utile a scorrere tra i menu e tra i contenuti; la dotazione comprende poi una fotocamera con sensore da 5 megapixel in grado di garantire una buona qualità delle fotografie e di catturare video a 720p, 16 GB di memoria, un comparto audio a conduzione ossea, connettività Wi-Fi e Bluetooth e una batteria che garantisce un’autonomia pari a circa un giorno di normale utilizzo. Secondo numerosi sviluppatori che hanno già avuto modo di testare gli occhiali, i Google Glass sono talmente innovativi che non se ne potrà più fare a meno perché dovrebbero cambiare la vita. Ciò è dovuto alle numerose funzionalità che possiedono. Innanzitutto, il dispositivo si comanda tramite i comandi vocali e/o il touchpad inserito sul lato destro: 10 - Cardio Piemonte semplicemente usando la propria voce. In ambito medico le applicazioni attuali sono prevalentemente didattiche, il chirurgo può gestire il dispositivo con i semplici comandi vocali al fine di divulgare e condividere le nuove tecniche in tempo reale, non solo con i collaboratori presenti nella propria sala operatoria ma anche con addetti ai lavori tramite "hangout" rispettando la privacy del paziente. È inoltre possibile consultare i dati clinici-strumentali del paziente nel contesto della procedura che si sta eseguendo. Sará, per esempio, estremamente semplice consultare la coronarografia nello stesso momento in cui si sta eseguendo un intervento di rivascolarizzazione miocardia o sovrapporre le ricostruzioni di una tomografia assiale alle immagini dal vivo. Nel futuro diverse applicazioni potranno essere ampliate e perfezionate al fine di rendere più agevole il gesto del cardiochirurgo (es. sistemi di misurazione senza bisogno di usare calibri o misuratori), con semplici algoritmi digitali. Nell’ambito di un progetto italiano di formazione i cardiochirurghi della Città della Salute e della Scienza hanno usato, per la prima volta in Italia, i Google Glass come ausilio in corso di un intervento di sostituzione della valvola aortica con approccio mininvasivo. Un uomo di 70 anni affetto da stenosi valvolare aortica con degenerazione calcifica, in buone condizioni generali è stato sottoposto alla sostituzione della valvola aortica con una protesi di nuova generazione, che non richiede la classica tecnica di sutura (sutereless), mediante un approccio mini-toracotomico (un’incisione di 5-6 cm) senza aprire lo sterno. In questo caso l’interfaccia digitale è stata integrata alle normali tecniche di visualizzazione (loop ottici per ingrandimento ed endoscopia) al fine di acquisire le immagini dell’intervento. In futuro sarebbe interessante riuscire a portare avanti un progetto per l’uso sistematico dei GG in sala operatoria con la collaborazione del servizio informatico dell’ospedale per poter concretamente sfruttare a pieno le caratteristiche tecniche di un dispositivo in evoluzione. N. 2 maggio/agosto 2015 UN’ALTERNATIVA SEMPRE PIÙ VALIDA PER LA SOPRAVVIVENZA Ti metto un motore nel petto Con l’attuale carenza di donazioni di cuori umani l’impianto artificiale acquista un ruolo fondamentale. Un’idea che fin dall’800 è stata sperimentata in tutto il mondo e che in Italia ebbe il suo alfiere in Roberto Bosio. L’apporto degli sviluppi tecnologici di Luca Checco Le malattie cardio-vascolari rappresentano la principale causa di morte nei Paesi sviluppati. Tra le varie manifestazioni della patologia, lo scompenso cardiaco, sindrome a multiple eziologie (ischemica, valvolare, ipertensiva, idiopatica), rappresenta la forma più comune e drammatica della malattia. I pazienti perdono progressivamente la capacità di “fare le cose”, aumenta il livello della fatica, della mancanza di fiato, fino ad arrivare ad avere sintomi a riposo, con la necessità di ricoveri in Ospedale, spesso plurimi ricoveri. Si riduce drasticamente la “capacità di vivere”, la qualità della vita è fortemente alterata e quindi per questi milioni di cardiopatici di tutto il mondo il trapianto cardiaco o l’impianto di un “cuore artificiale” rappresenta la principale speranza di sopravvivenza. Con l’attuale carenza di donazioni di cuori, quello artificiale si presenta sempre più come la soluzione del problema. CENNI STORICI L’idea di sostituire il cuore umano con un dispositivo meccanico è sempre stata la chimera della maggior parte dei chirurghi anche e soprattutto in epoche passate. Sembra paradossale, ma già nel 1812 Julien-Jean-Char La Gallois osservò che «se si fosse potuto sostituire il cuore con una specie d’iniezione di sangue arterioso, sarebbe stato possibile mantenere in vita per un tempo indefinito qualsiasi parte dell’organismo». Nel 1880, grazie ai progressi della tecnologia e delle conoscenze mediche di allora, Henry Martin presentò un suo sistema di perfusione di cuore e polmoni isolati, i cui principi vengono ancora oggi utilizzati con la cosidetta CEC o “macchina cuorepolmone”. Da allora numerose proposte vennero avanzate e molti prototipi costruiti. Nel 1928 H.H. Dale e E.H.J. Schuster in Inghilterra progettarono quella che probabilmente è la prima pompa a diaframma. Era stata studiata allo scopo di sostituire la funzione sia della cavità destra che di quella sinistra del cuore umano e di fornire una circolazione completa in un animale da esperimento. Nel 1927, Charles Lindbergh, poco tempo dopo il suo primo volo solitario transatlantico, stimolato dalla grave malattia di sua cognata, che era affetta da una valvulopatia cardiaca, cominciò a studiare i possibili sistemi di supporto cardiaco. Insieme con Alexis Carrel sviluppò un ossigenatore a pompa e nel 1935 dimostrò la possibilità di effettuare una perfusione estesa a tutto l’organismo. La pompa per perfusione attirò l’attenzione dei giornalisti che la denominarono "cuore robot" e "cuore di vetro". Michael De Bakey nel 1934 inventò una pompa rotante o “roller” ancora impiegata in tutti i dispositivi cuore-polmoni. Abbiamo già accennato a Carrel. Fu poi (1937) la volta di John Gibbon, che iniziò a lavorare su una sua macchina, introdotta nella pratica clinica nel 1953. Nel 1957 Tetsuzo Akutsu e Willern Kolff, mentre erano impegnati in Usa presso la Cleveland Clinic, proposero per la prima volta un progetto di cuore totalmente artificiale inserendo due pompe compatte nel torace di un cane al posto dell’organo naturale. Nei primi esperimenti i cuori artificiali erano costituiti da cloruro di polivinile ed erano azionati da una fonte extracorporea di aria cornpressa. Un cane riuscì a sopravvivere per circa 90 minuti. Nel 1967 Kolff lasciò Cleveland per Salt Lake City, fondando la Divisione degli Organi Artificiali presso I’Università dello Utah, dove ebbe la possibilità di associare la ricerca medica alle discipline ingegneristiche. Nel corso di questo periodo Clifford Kwan-Gett progettò diversi cuori azionati da un sistema pneumatico, uno dei quali mantenne in vita un cane per 50 ore. Nel frattempo si svilupparono anche altri metodi Dott. Luca Checco, Struttura Complessa di Cardiologia 2, Città della Salute e della Scienza di Torino Cardio Piemonte - 11 N. 2 maggio/agosto 2015 Registrazione del brevetto per il cuore artificiale. di supporto meccanico parziale comprendenti un dispositivo per il supporto del ventricolo sinistro e la pompa a pallone intraortica, impiegata in clinica per la prima volta nel 1967 da A. Kantrowitz. Nel 1969 Denton Cooley trovandosi di fronte a un paziente che non si riusciva a svezzare dalla circolazione extracorporea al termine di un intervento cardiochirurgico si vide costretto ad asportare il cuore del soggetto e a impiantare una protesi completa del ventricolo destro e sinistro azionata da un sistema pneumatico. Tale protesi, disegnata e realizzata da Domingo Liotta, fu inserita in modo ortotopico e mantenne in vita il paziente per 64 ore, dopo le quali venne sottoposto a trapianto cardiaco. Nel 1978 Robert Jarvik e Donald Olsen, collaborando con Kolff alla Utah University, impiantarono un cuore azionato da un motore in un vitello che sopravvisse per 35 giorni. Tuttavia, il cuore era voluminoso e i difetti meccanici frequenti. Venne sempre più perfezionato un cuore azionato da un dispositivo pneumatico e nel 1981 un vitello, di nome Tennyson, visse 268 giorni con questo organo totalmente artificiale, un record del tempo di sopravvivenza. Tennyson morì perché la sua crescita fu eccessiva in rapporto alla capacità di portata idraulica dell’apparecchio, un problema frequente negli esperimenti condotti su bovini. Nello stesso anno Denton Cooley impiantò un cuore artificiale azionato da un sistema pneumatico, sviluppato da Akutsu, in un giovane olandese, ricoverato nell’unità di terapia intensiva, che aveva-avuto un arresto cardiaco diverse ore dopo un intervento per triplo by-pass coronarico. Il cuore artificiale venne utilizzato per 27 ore come procedimento temporaneo, finchè fu possibile trapiantare quello di un donatore. IL PROGETTO ITALIANO In un contesto scientifico internazionale di estre- 12 - Cardio Piemonte mo fermento anche in Italia si studiavano sistemi non solo per riparare il muscolo cardiaco ma pure per sostituirlo. Negli Anni 50 e 60 del ‘900 la cardiochirurgia ha rappresentato la frontiera più avanzata cui l’uomo poteva avvicinarsi: fermare il cuore, aprirlo e curarlo era considerato allora ancora più di oggi un miracolo! Quindi parallelamente alle ricerche sul trapianto che pochi anni più tardi verrà eseguito per la prima volta da Christian Barnard in Sud Africa, il tentativo di sostituire il cuore con una pompa meccanica venne affrontato anche in Italia. A Torino il Cav. Guido Bosio, industriale meccanico, aveva due figli entrambi ingegneri che collaboravano nella industria di famiglia: Felice e Roberto. Quest’ultimo rimase affascinato dall’argomento e dalle sfide proposte dalla cardiochirurgia, divenendo per l’epoca uno dei primi esperti di biomeccanica e bioingegneria cardiovascolare. Una passione che lo accompagnerà per tutta la vita portandolo anche all’insegnamento nel Politecnico di Torino della nascente disciplina della bio-ingegneria. All’inizio degli Anni 60 l’ing. Bosio si concentrò sulla realizzazione di apparecchiature per la cura delle patologie cardiovascolari. A quel periodo (1965) risale il primo cuore artificiale da lui realizzato, in polimetilmetacrilato con membrana di elastomero e valvole di Hufnagel. L’apparecchio suscitò l’interesse del prof. Ake Senning, direttore della Clinica Chirurgica A dell’Ospedale Cantonale di Zurigo, portando l’inventore all’attenzione del mondo scientifico. In quegli anni si aprì una stretta collaborazione tra Bosio e il prof. Angelo Actis Dato, allora cardiochirurgo di fama, e finalmente nel 1967, dopo anni di studi e progettazione, arrivarono alla registrazione del primo brevetto italiano di un cuore artificiale. Quasi per scherzo, l’incontro tra un cardiochirurgo che aveva ben chiari i concetti di fisiopatologia circolatoria e un ingegnere che per contro aveva esperienza e competenze in fluidica e idraulica meccanica consentì di cominciare un affascinante percorso di progettazione e sperimentazione, anche con l’impiego di soluzioni tecniche assolutamente innovative e originali come le valvole fluidiche per ridurre le turbolenze e l’emolisi durante il funzionamento dei ventricoli pneumatici. Nel 1967 venne presentata la registrazione del primo brevetto italiano per pompa a comando fluidico per circolazione sanguigna artificiale – cuore artificiale. Si trattava di un sistema composto da due ventricoli artificiali ognuno comprendente un corpo cavo con valvole unidirezionali di aspirazione e mandata la cui cavità interna era suddivisa N. 2 maggio/agosto 2015 in due comparti da una membrana elasticamente deformabile. Peso e ingombro risultavano estremamente ridotti. Purtroppo, per motivi di autorizzazione e di validazione da parte del Ministero della Sanità, questo dispositivo non fu mai impiegato in Italia. Il primo impianto avvenne invece a Zurigo ad opera del prof. Marko Turina assistito dal dott. Chris Scherf su un cane, un pastore tedesco femmina di 8 anni e del peso di 30 kg di nome Bless. Dai giornali dell’epoca: «… dopo un intervento durato circa quattro ore alle ore 11.13, sotto il personale controllo dell’ingegner Bosio, il cuore artificiale ha iniziato finalmente a battere. I parametri sono perfetti …». Dopo due giorni l’animale fu soppresso perchè l’esperimento era programmato per durare un determinato numero di ore. Le dichiarazione rilasciate successivamente dal prof. Turina erano strabilianti: «Il cuore artificiale di Roberto Bosio può essere considerato perfetto. Possiamo tenere in vita un animale quanto vogliamo e sappiamo che 24 ore di un cane corrispondono a 5 giorni di un uomo. Oggi possiamo dunque mettere un cuore artificiale a un paziente colpito da infarto e siamo in grado di tenerlo in vita almeno dieci giorni in attesa di un trapianto. Stiamo percorrendo una strada meravigliosa». E a dimostrazione della veridicità di queste parole nel 1976, sempre a Zurigo, Marko Turina utilizzò il cuore di Actis Dato-Bosio come ”bridge to recovery” in 6 pazienti non svezzabili dalla circolazione extra-corporea dopo interventi cardiochirurgici. L’attività di ricerca e collaborazione tra Bosio e Actis Dato continuò ancora per molti anni portando alla registrazione di numerosi altri brevetti internazionali anche nel campo della ossigenazione del sangue. Purtroppo in Italia ci volle un ventennio per avere le autorizzazioni da parte del Ministero della Sanità all’impianto di assistenza ventricolari e solo allora fu finalmente possibile impiantare il primo cuore artificiale. Questo avvenne quasi contemporaneamente a Pavia, a Bergamo e a Milano alla fine del 1987 e nei primi mesi del 1988. Nella notte del 24 dicembre 1987 il prof. Mario Viganò a Pavia impiantò infatti la prima "Assistenza ventricolare meccanica" (VAD) in un paziente al quale una settimana dopo venne trapiantato il cuore di un donatore francese di Lione. Quasi contemporaneamente, il 4 gennaio 1988 a Bergamo il prof Lucio Parenzan e la sua equipe (Paolo Ferrazzi e Giuseppe Fiocchi) mettevano in assistenza ventricolare un giovane di 17 anni sofferente per una cardiomiopatia dilatativa. In questo caso il ventricolo artificiale era stato fornito dal centro svizzero di Sion diretto da Charles Hahn. Il paziente venne sottoposto a trapianto cardiaco dopo quasi un mese e mezzo con un donatore di Torino. Il 13 marzo 1988 al Niguarda di Milano il prof. Alessandro Pellegrini sottopose un uomo di 41 anni a impianto di device di assistenza bi-ventricolare paracorporeo Pierce-Donachy come "ponte" al trapianto. Il paziente ricevette un cuore naturale 31 giorni dopo. Infine bisogna ricordare la sperimentazione partita nel 1980 con a capo il prof. Luigi Donato del CNR di Pisa: il Progetto ICAROS in collaborazione con Fiat e Tecnobiomedica portò dopo un lungo lavoro all’impianto in Germania nel marzo 2007 del BestBeat, un cuore artificiale di produzione italiana su un paziente tedesco. ESPERIENZA DI TORINO A 48 anni dal cuore torinese di Actis Dato-Bosio e a 28 dal primo cuore artificiale italiano, il Dipartimento Cardiovascolare e Toracico della Città della Salute e della Scienza di Torino, continua a essere in primo piano nella progettazione e nell’impianto di sistemi cardiaci e cardiochirurgici per la riparazione e l’assistenza del cuore in toto o in alcune parti di esso. Patologie valvolari prima non trattabili per la complessità e le co-morbilità dei pazienti, ora vengono risolte con sistemi di riparazione percutanei o minimamente invasivi (TAVI percutanee o trans-apicali aortiche, Mitraclip percutanee mitraliche, sistemi cardiochirurgici minimamente invasivi Heart Port): possiamo dire che il Centro di Torino è all’avanguardia in Italia. Sistemi di assistenza ventricolare sono stati utilizzati e perfezionati negli ultimi 15 anni dal Dipartimento, parallelamente al programma trapianto di cuore e di polmone, permettendo di creare una Rete regionale delle assistenze cardiache (Piemont MCS), che coinvolge tutte le cardiochirurgie piemontesi e tutte le cardiologie dotate di emodinamica per il trattamento di pazienti con cardiopatie complesse. Inoltre, quello di Torino è riconosciuto come Centro di riferimento Nazionale per l’utilizzo di assistenze ventricolari cardiache a breve termine chiamate Ecmo, utilizzate in caso di scompensi cardiaci o polmonari acuti, in pazienti altrimenti non trattabili. Queste eccellenze hanno portato e portano sempre più persone da tutta Italia a rivolgersi al nostro Centro e ci spinge a continuare la strada della ricerca iniziata dall’ingegner Bosio tanti tanti anni fa. Ventricoli artificiali in funzione al banco di prova (Articolo realizzato con la collaborazione della dottoressa Francesca Ivaldi, SC Cardiochirurgia, Dipartimento Cardio Vascolare e Toracico – AO Città della Salute e della Scienza di Torino) Cardio Piemonte - 13 N. 2 maggio/agosto 2015 SEMPRE PIÙ SPESSO È DIAGNOSTICATA NEI GIOVANI Infarto? No, è pericardite Si tratta di una malattia infiammatoria che colpisce la doppia membrana che avvolge lo strato più esterno del cuore. Può presentare alterazioni elettrocardiografiche. La causa più comune sono le infezioni virali di Massimo Imazio Dottor Massimo Imazio, Struttura Complessa di Cardiologia presso l’Ospedale Maria Vittoria di Torino La pericardite è una malattia infiammatoria che può simulare l’infarto miocardico e che colpisce sempre più frequentemente i giovani. Nella maggior parte dei casi è provocata da forme infettive e la prognosi è benigna. Si cura con farmaci anti-infiammatori e si raccomanda il riposo. Scendiamo nei particolari. Il pericardio è una doppia membrana fibrosierosa (Figura 1) che avvolge lo strato più esterno del muscolo cardiaco con funzioni di protezione e lubrificazione del cuore consentendone i movimenti senza attrito nella cavità toracica. La membrana è costituita da due foglietti, il pericardio parietale all’esterno e quello viscerale a diretto contatto con il muscolo cardiaco. Tra i due foglietti, in condizioni fisiologiche, è presente una modesta quantità di liquido pericardico che funge da lubrificante. La pericardite acuta, come accennato, è una malattia infiammatoria del pericardio che può avere cause infettive o non infettive (vedi Tabella 1). In Italia e nei Paesi a bassa prevalenza di tubercolosi la causa più comune è rappresentata dalle infezioni virali; tipicamente è la complicazione di una patologia infettiva delle alte vie aeree, di una polmonite o di una gastroenterite. La diagnosi di pericardite è clinica e si basa su semplici criteri diagnostici (Tabella 2). La valutazione iniziale richiede l’esame fisico, il dosaggio di marcatori infiammatori (proteina C reattiva) e di lesione miocardica (troponina), esami di routine (emocromo con formula, creatinina, transaminasi, CK), l’elettrocardiogramma e l’ecocardiogramma. Fino al 60% dei pazienti possono presentare alterazioni elettrocardiografiche con sopraslivellamento diffuso del tratto ST (Figura 2). Un’analoga percentuale dei pazienti può pre- Figura 1. Il pericardio è la membrana più esterna che avvolge il muscolo cardiaco Figura 2. Alterazioni elettrocardiografiche “classiche” di pericardite acuta: sopraslivellamento diffuso del tratto ST. 14 - Cardio Piemonte N. 2 maggio/agosto 2015 sentare l’aumentata produzione di liquido pericardico espressione d’infiammazione pericardica e versamento pericardico rilevabile all’ecocardiogramma (Figura 3). I pazienti sono comunemente valutati in Pronto Soccorso. La principale diagnosi differenziale è con l’infarto miocardico acuto. Alcune caratteristiche cliniche alla presentazione identificano i pazienti a maggior rischio di eziologie più complesse (non virali), che possono richiedere un trattamento mirato o complicarsi. Tali caratteristiche (Tabella 3) orientano verso il ricovero ospedaliero. In assenza di queste caratteristiche i pazienti possono essere dimessi dal Pronto Soccorso e trattati con terapie antinfiammatorie domiciliari e seguiti ambulatorialmente (Figura 4). Fig. 4 Triage della pericardite: come decidere se ricoverare o meno un paziente Come si cura? La pericardite è solitamente trattata con aspirina ad alte dosi o farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS, comunemente ibuprofene) per 1-2 settimane e successiva riduzione graduale della posologia (Tabella 4). I farmaci Figura 3. Un versamento pericardico (VP) di notevoli dimensioni in una proiezione ecocardiografica del cuore con 4 camere (è visibile il ventricolo sinistro-VS e destroVD). È evidente un effetto d’iniziale compressione delle camere cardiache da parte del versamento (freccia rossa). anti-infiammatori corticosteroidei andrebbero limitati e usati solo in specifiche condizioni (allergia ad aspirina, FANS, mancata risposta all’uso di aspirina/FANS, gravidanza, specifiche indicazioni reumatologiche per malattie infiammatorie sistemiche). Nel caso i corti- Tabella 1. Cause della pericardite Cause infettive: 1. Virali (Coxsackie virus, Parvovirus, Ebstein Barr Virus (EBV), Citomegalovirus (CMV), Virus Influenza, Varicella, Rosolia, Virus Epatite B e C, Virus HIV) 2. Batteriche (soprattutto Micobatterio della tubercolosi) 3. Fungine (molto rare) Cause non infettive: 1. Malattie infiammatorie sistemiche (Lupus, Artrite Reumatoide, Sindrome di Sjogren, Sclerodermia, Vasculiti, Malattie autoinfiammatorie come Febbre Familiare Mediterranea, Sarcoidosi). 2. Neoplasie (localizzazioni secondarie di carcinomi del polmone, mammella, linfomi e leucemie soprattutto, melanomi, neoplasie contigue: es. esofago; più raramente tumori primitivi soprattutto il mesotelioma). 3. Sindromi post-traumatiche cardiache (sindrome post-pericardiotomica dopo interventi al cuore o torace, pericardite post-infartuale, pericardite post-traumatica). 4. Cause metaboliche (insufficienza renale, ipotiroidismo). 5. Farmaci (es. procainamide, isoniazide, idralazina) Tabella 2. Criteri diagnostici per la pericardite: 1. Dolore toracico in genere retrosternale con accentuazione con l’inspirazione, il decubito supino e la deglutizione. 2. Presenza di sfregamenti pericardici (rumori percepibili con lo stetoscopio e paragonabili al calpestio di neve fresca). 3. Presenza di alterazioni elettrocardiografiche (soprattutto sopraslivellamento diffuso del tratto ST e sottoslivellamento del tratto PR). 4. Presenza di un nuovo versamento pericardico o peggioramento di uno pre-esistente Elementi a supporto/conferma della diagnosi: - aumento degli indici infiammatori (es- proteina C reattiva) e leucocitosi; - captazione pericardica del mezzo di contrasto alle indagini TAC o di Risonanza Magnetica Cardio Piemonte - 15 N. 2 maggio/agosto 2015 Tabella 3. Caratteristiche di alto rischio di complicazioni ed eziologia non virale della pericardite Caratteristiche più importanti: - Febbre elevata >38°C - Decorso subacuto (con sintomi persistenti per più giorni) - Versamento pericardico grave - Tamponamento cardiaco Caratteristiche da tenere in considerazione per il ricovero per monitoraggio: - Presenza di coinvolgimento miocardico (elevazione della troponina, disfunzione ventricolare) - Concomitante terapia anticoagulante - Stato d’immunodepressione (da farmaci o patologie es. infezione da HIV) - Recente trauma Figura 4. Triage della pericardite: come decidere se ricoverare o meno un paziente costeroidi siano necessari, vanno usate dosi medio-basse (es. prednisone 0.2-0.5 mg/kg al giorno per 2- 4 settimane) con successiva riduzione graduale della posologia (es. riduzione di 2.5 mg ogni 2 settimane) solo dopo regressione dei sintomi e normalizzazione degli indici infiammatori (es. proteina C reattiva). La colchicina, un antico farmaco antigottoso, è in grado di ridurre il rischio di recidiva della pericardite quando è associata a basse dosi al trattamento anti-infiammatorio. Solitamente è prescritta alla dose di 0.5 mg ogni 12 ore (o solo 0.5 mg al giorno se il paziente pesa meno di 70 kg) per 3 mesi nella pericardite e per 6-12 mesi se si tratta di un paziente con recidiva. Come provvedimento non farmacologico di cura va ricordato che in corso di pericardite è indicato il riposo fino a regressione dei sintomi e normalizzazione degli indici infiammatori. Per gli atleti la raccomandazione è di astenersi da attività fisiche e competizioni per 3 mesi e comunque sono richieste la normalizzazione di tutti i parametri di laboratorio e strumentali (inclusi ECG ed ecocardiogramma). Qual è la prognosi dei pazienti? Tabella 4. Comuni terapie anti-infiammatorie per la pericardite Farmaco Dose iniziale Durata terapia Aspirina Ibuprofene Indometacina 750-1000mg ogni 8 ore 600mg ogni 8 ore 25-50mg ogni 8 ore 1-2 settimane con riduzione graduale successiva della dose Colchicina 0.5mg ogni 12 ore 3- 6 mesi a secon(0.5 mg al giorno da dell’indicazione se peso<70Kg) Prednisone o corticosteroide equivalente 0.2-0.5 mg/kg 16 - Cardio Piemonte 2-4 settimane con graduale riduzione della dose La prognosi della pericardite è essenzialmente legata alla sua causa. Nella maggior parte dei casi si tratta di forme virali o in cui la diagnosi eziologica finale non è raggiunta (pericardite “idiopatica”), ma si sono escluse le cause più importanti (batteriche, neoplastiche, malattie infiammatorie sistemiche). Per questi casi (8085% di tutte le pericarditi in Italia) la prognosi è benigna. La malattia può recidivare in circa un terzo dei casi ma può essere efficacemente trattata con un nuovo ciclo di terapia antiinfiammatoria. Altre complicanze come il tamponamento cardiaco (dovuto all’incremento delle dimensioni del versamento pericardico sino alla compressione delle camere cardiache con compromissione della loro funzione) o l’evoluzione in forma cronica con possibile ispessimento e calcificazione e compromissione del normale riempimento delle camere cardiache (pericardite costrittiva) sono molto rare in assenza d’infezioni batteriche, patologie sistemiche o cause neoplastiche. In primo piano N. 2 maggio/agosto 2015 Nutrizione e alimentazione, la spinta dell’Expo In questi mesi l’Expo di Milano ha posto all’attenzione del mondo i temi della nutrizione e dell’alimentazione. C’è chi mangia e beve troppo, c’è chi soffre la fame e la sete. E, naturalmente, nel primo gruppo c’è anche chi non conosce le poche indispensabili regole per rimanere in salute, a maggior ragione se soffre di una malattia importante, spesso correlata ad altre patologie. I mass media stanno dedicando al cibo un’attenzione che appare persino esagerata. Paginate sui giornali, programmi televisivi in cui decine di concorrenti si sfidano, trasmissioni dove si presentano piatti più o meno appetitosi. Ci sembra che un uso consapevole del "carburante" che ci fa vivere non sia in realtà molto diffuso e che le risorse della terra, tra disastri climatici, guerre, approcci legati al business, sprechi di ogni tipo, siano dilapidate dall’uomo, mentre la popolazione mondiale è in continuo aumento. L’Expo ha il merito di focalizzare il problema e di spingere l’attenzione su temi di valore globale. Che ci stia riuscendo in modo più o meno efficace è un altro discorso. Gli Amici del Cuore propongono qui, in chiave clinica, tre argomenti (l’intreccio tra patologie renali e cardiovascolari, l’Omega 3, la dieta mediterranea), che meritano un rilievo particolare. L’ITER TERAPEUTICO PREVEDE UN APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE Rene e cuore, bere fa bene La disfunzione acuta o cronica di uno dei due organi induce alterazioni a carico dell’altro. È un rilevante problema di salute pubblica. Una corretta idratazione del paziente è indispensabile. Attenti al consumo di sale di Luigi Biancone Per introdurre il discorso, diamone prima una dimensione. La malattia renale cronica (Chronic Kidney Disease, CKD) è oggi considerata un rilevante problema di salute pubblica, soprattutto nel mondo occidentale. Negli Stati Uniti d’America circa il 13% della popolazione generale adulta presenta CKD, in uno dei 5 stadi della CKD identificati secondo la classificazione K/DOQI. La prevalenza di CKD aumenta sino al 15-30% negli anziani e supera il 50% nei soggetti affetti da malattie cardiovascolari e metaboliche. Si stima che in Italia circa 5 milioni di persone siano affette da CKD; la mortalità delle forme più avanzate di CKD è legata al maggior rischio di sviluppare complicanze cardiovascolari. Al momento dell’ingresso in dialisi l’80% dei pazienti nefropatici presenta già un quadro di ipertrofia ventricolare sinistra e il 40% è affetto da coronaropatia. Dall’altra parte nell’am- bito della malattia cardiovascolare è frequente riscontrare una contrazione della funzionalità renale. Oltre il 60% dei pazienti con scompenso cardiaco presenta un grado almeno lieve di CKD e nel 20% dei coronaropatici il danno renale è di grado moderato o severo. Almeno un terzo dei ricoveri per scompenso cardiaco acuto è complicato da insufficienza renale acuta e la compromissione della funzionalità renale rappresenta uno dei fattori di rischio più rilevanti sia nei pazienti con scompenso cardiaco che in quelli con coronaropatia. Sono numeri importanti che testimoniano come cuore e rene sono pertanto strettamente legati nella storia di molti pazienti e nella Prof. Luigi Biancone Direttore S.C. Nefrologia Dialisi Trapianto U AOU Città della Salute e della Scienza di Torino Cardio Piemonte - 17 In primo piano Bibliografia Coresh J, Selvin E, Stevens LA, et al. Prevalence of chronic kidney disease in the United States. JAMA 2007; 298: 2038-47. National Kidney Foundation. K/ DOQI clinical practice guidelines for chronic kidney disease: evaluation, classification, and stratification. Am J Kidney Dis 2002; 39 (2 Suppl. 1): S1-266. El Nahas AM, Bello AK. Chronic kidney disease: the global challenge. Lancet 2005; 365: 331-40. Epidemiology of chronic kidney disease in Italy: the CARHES study – G Ital Cardiol (Rome). 2010 May; 11 (5 Suppl 3):106S – 108S Garibotto G, Pontremoli R, Manuale di Nefrologia – Edizioni Minerva Medica Eaton D, Pooler J “VANDER – Fisiologia renale” – Lange physiology series Brauwald E. – Atlas of Hypertension – Hollenberg editor Di Lullo et al “Fisiopatologia e diagnosi della sindrome cardiorenale: stato dell’arte e prospettive future” – Giornale italiano di Nefrologia Borrelli et al “Ipertensione resistente nella malattia renale cronica non dialitica” – Giornale italiano di Nefrologia Bakris et al “RENAAL study Group. Effects of blood pressure level on progression of diabetic nephropathy: results from the RENAAL study” – Arch Intern Med 2003 Sarnak MJ et al “American Heart association councils on kidney in cardiovascular Continua a pag 19 N. 2 maggio/agosto 2015 pratica quotidiana degli specialisti dei due settori. È per questo che si è categorizzato questo discorso sotto il termine di sindrome cardiorenale (SCR) che è stato coniato per definire una situazione clinica nella quale la disfunzione acuta o cronica di uno dei due organi induce alterazioni a carico dell’altro. La classificazione piu recente permette di individuare cinque tipologie di sindrome cardio-renale, delle quali le SCR di Tipo I e di Tipo II riconoscono come primum movens lo scompenso cardiaco (acuto o cronico), mentre la SCR di Tipo III e la SCR di Tipo IV riconoscono come causa iniziale un danno di tipo renale. La SCR di Tipo V è invece correlata ad una serie di patologie secondarie (quali collagenopatie, diabete mellito, amiloidosi). La SCR Tipo I (cardiorenale acuta) interessa il 25% dei pazienti ricoverati per scompenso cardiaco acuto e nel 60% di questi è presente un danno renale di gravità variabile preesistente. Un ruolo fisiopatologico fondamentale nello sviluppo di una SCR di Tipo 1, conseguenza di uno scompenso cardiaco acuto, è giocato da meccanismi di tipo emodinamico con un progressivo decremento del flusso plasmatico renale e della frazione di filtrazione glomerulare (eGFR) che è potenzialmente reversibile. Dal momento in cui i tassi di mortalità e morbidità della SCR di Tipo 1 risultano essere tuttora elevati, si impone la necessità di porre una diagnosi il più precoce possibile ed in questo ambito si sta facendo strada il ruolo dei biomarcatori, quali espressione di danno d’organo ed elementi predittivi dello sviluppo di danno renale acuto secondario. La SCR di tipo 2 è una condizione in cui, in presenza di anomalie croniche della funzione cardiaca, si sviluppa un deficit anche della funzione renale, con tempistiche variabili da soggetto a soggetto. Alla base di questo fenomeno possono sussistere diversi meccanismi: dall’attivazione neuro-ormonale, dall’ipoperfusione del parenchima renale e relativa congestione venosa, dallo stato infiammatorio, dall’aterosclerosi e dallo stress ossidativo. Nei pazienti affetti da scompenso cardiaco con segni di sovraccarico idrico spesso si riconosce un’anomala iperattivazione del sistema 18 - Cardio Piemonte renina-angiotensina-aldosterone, non determinata da un calo del volume circolante. È stato postulato che l’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone e del sistema nervoso simpatico contribuiscano alla progressione della malattia renale cronica nei pazienti affetti da SCR di tipo 2. La sintesi di angiotensina II e di aldosterone determinano un aumento del riassorbimento di sodio con conseguente sovraccarico di volume e di pressione. La SCR di tipo 3, o sindrome reno-cardiaca acuta, si manifesta quando la presenza di un quadro di insufficienza renale acuta si complica con l’esordio di un danno cardiaco acuto o ne determina un peggioramento. Sono diverse le condizioni fisiopatologiche che possono predisporre all’insorgenza di un quadro di SCR di tipo 3. Le interazioni fisiopatologiche intercorrenti tra rene e cuore in corso di insufficienza renale acuta sono state imputate alla presenza di un gruppo di cosiddetti “connettori cardiorenali”, rappresentati per lo più da vie immunitarie e/o metaboliche in grado di attivarsi in corso di danno renale acuto. A questo proposito gli indiziati principali sono il sistema immunitario (con il rilascio di linfochine e citochine ad azione pro-infiammatoria), il sistema nervoso simpatico, l’iperattività del sistema reninaangiotensina-aldosterone e l’attivazione della cascata della coagulazione. La SCR di tipo 4 o sindrome reno-cardiaca cronica si caratterizza per la presenza di interessamento cardiovascolare in pazienti affetti da malattia renale cronica. Non sono ancora completamente chiarite le cause per cui i pazienti affetti da malattia renale cronica presentano un aumentato rischio di patologia cardiovascolare. Da un lato la diminuzione del filtrato glomerulare induce l’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone e del sistema nervoso simpatico e, dall’altro, stimola la secrezione di ormone paratiroideo (PTH) il quale contribuisce ulteriormente al danno cardiovascolare (favorendo le calcificazioni vascolari). Le dinamiche fisiopatologiche che sottendono allo sviluppo di una SCR di tipo 4 sono correlate a diversi aspetti che spaziano dal danno aterosclerotico allo svi- In primo piano N. 2 maggio/agosto 2015 luppo di calcificazioni vascolari e cardiache fino a giungere all’ipertrofia ventricolare sinistra ed al rimodellamento miocardico. La SCR di tipo 5 è caratterizzata dall’interessamento contemporaneo dell’apparato cardiovascolare e del rene secondario a varie patologie sistemiche soprattutto collagenopatie (LES, Wegener, sarcoidosi) o di patologie ad evoluzione acuta (come la sepsi o le intossicazioni da farmaci) o cronica (come la sindrome epato-renale). Ulteriori studi sono necessari per approfondire le conoscenze relative ai meccanismi fisiopatologici sottostanti le varie tipologie di sindrome cardio-renale, nell’ottica di prevenirne l’insorgenza, o comunque favorire la tempestività diagnostica e il più corretto iter terapeutico, che prevede senza dubbio un approccio multidisciplinare. In sintesi, cardiologi e nefrologi saranno sempre più frequentemente legati a doppio filo nella gestione di un numero significativo di situazioni con risvolti diagnostico-terapeutici che devono tener conto del loro impatto multi organo. Da ultimo qualche considerazione in merito al bilancio idrosalino. Il rene pur avendo una grande capacità di adattarsi alle diverse condizioni di idratazione, può tuttavia risentire di uno stato di disidratazione, soprattutto in condizioni di preesistente insufficienza renale. L’insufficienza renale acuta cosiddetta prerenale è proprio una conseguenza della scarsa perfusione renale. Le cause più comuni sono: perdita eccessiva di liquidi (sudorazione profusa, ipertermia, ustioni, sanguinamento massivo), ridistribuzione interna dei liquidi (sequestro nel terzo spazio legato ad ipoproteinemia), riduzione della gittata cardiaca (scompenso cardiaco acuto o cronico), ridotto introito idrico (frequente in soggetti anziani o bambini o in particolari condizioni patologiche), ad alcuni farmaci (diuretici, inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina, FANS), soprattutto se somministrati in associazione. I farmaci inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone sono farmaci largamente utilizzati in campo cardiologico, di cui sono state riconosciute le proprietà sia cardio che reno-protettive. Non va però sottovalutata la possibile interferenza con la perfusione renale (maggiore effetto vasodilatante sull'arteriola efferente del glomerulo rispetto all'arteriola afferente, con riduzione della pressione intraglomerulare), che può ridursi in particolari condizioni (situazioni di disidratazione, assunzione concomitante di altri farmaci quali diuretici e FANS). Da qui l'importanza di controllare periodicamente la funzione renale (soprattutto dopo l'avvio del farmaco) in pazienti in terapia con inibitori del sistema renina-angiotensinaaldosterone e di insistere con una corretta idratazione da parte del paziente, a maggior ragione nei periodi più caldi dell'anno. Nel mantenimento della corretta omeostasi corporea oltre ad un'adeguato apporto idrico (che va valutato in base alle caratteristiche di ciascun soggetto ed alle condizioni climatiche, ma si stima in media intorno a 1.5-2 l/ die nei soggetti sani) è fondamentale un consumo accorto di sale con la dieta. L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda di non introdurre più di 2 grammi di sodio con la dieta giornaliera. Il consumo eccessivo di sale può favorire l'instaurarsi dell'ipertensione arteriosa, rappresentando dunque un fattore di rischio cardiovascolare e non solo, poiché esistono studi che suggeriscono un ruolo dell'eccessivo introito di sodio anche nella progressione del danno renale, attraverso un'iperattivazione del sistema reninaangiotensina-aldosterone ed un'iperfiltrazione glomerulare che può favorire la proteinuria. Come si può vedere, anche in questi ultimi punti si realizza il beneficio della sinergia tra cardiologo e nefrologo nel definire un assetto di equilibrio fisiologico nel paziente cardiopatico con insufficienza renale che favorisca la funzione cardiaca senza penalizzare quella renale. disease, high blood pressure research clinical cardiology and Epidemiology an Prevention. Kidney disease as a risk factor for development of cardiovascular disease: a statement from the American Heart Association Councils on Kidney in Cardiovascular Disease, High Blood Pressure Research, Clinical Cardiology, and Epidemiology and Prevention”. Circulation 2003 Cardio Piemonte - 19 In primo piano N. 2 maggio/agosto 2015 UNO DEI SEGRETI PER NUTRIRSI CON ACCORTEZZA A tavola con gli sgombri Come tutti i pesci azzurri sono ricchi di acidi grassi omega 3, particolarmente benefici per l’organismo. È utile mangiarne due volte alla settimana. E si diminuisce anche il pericolo di morte improvvisa. L’insidia del mercurio di Anna Laura Fanelli Circa 30 anni fa, partendo dall’osservazione che gli Eschimesi, noti per la loro dieta ricca di pesce e povera di carne rossa, hanno bassa incidenza di morte cardiovascolare, la comunità scientifica ha iniziato a indagare sul possibile ruolo degli acidi grassi omega 3, di cui l’olio di pesce è molto ricco, sulla salute. Gli acidi grassi sono molecole caratterizzate da catene di atomi di carbonio, che terminano da un lato con gruppi funzionali carbossilici –COOH (l’”alfa” Focus on IL MIGLIOR MODELLO PER LA PREVENZIONE CARDIOVASCOLARE L’esempio dei popoli mediterranei Più che di dieta conviene parlare di stile alimentare. Ne confermano la validità studi e dimostrazioni scientifiche. Olio, frutta secca, pesce e legumi: così a tavola si aiuta la salute. E non solo di chi ha problemi di cuore di Andrea Bosusco Da anni l'OMS sostiene e promuove corrette abitudini alimentari in quanto la nutrizione costituisce un importante modulatore dello stato di salute della popolazione (East. Med. Health Journ, 2002). In Italia, come nella maggior parte dei paesi industrializzati, le patologie cardiovascolari sono la principale causa di morbilità e di mortalità ed è consolidata l' associazione tra dieta e prevenzione cardiovascolare. Il termine “dieta” indica una limitazione, più o meno rilevante rispetto alle comuni abitudini alimentari, nell’assunzione di alcuni cibi. Lo scopo è quello di correggere carenze metaboliche, digestive o di altra natura, limitando l’assunzione di calorie o consumando alcuni cibi in quantità ridotta, dunque modificando 20 - Cardio Piemonte l’introito di macro e/o micronutrienti. Tale approccio è fondamentale in presenza di determinate patologie (es. celiachia) per le quali un determinato nutriente, vantaggioso per la maggior parte delle persone, può risultare svantaggioso per altre, provocando segni e sintomi anche clinicamente importanti. L’obbiettivo di migliorare la salute, soprattutto in considerazione del frequente eccesso di peso e degli stili di vita odierni legati alla sedentarietà, ha generato mode alimentari che nelle ultime decine di anni si sono susseguite a ritmi sempre più serrati. Sono pertanto state introdotte “diete”, più o meno creative e bilanciate sul piano nutrizionale, per incentivare principalmente la perdita di peso, ma con dubbia attenzione ai fattori di rischio Fig. 1. Alla base di questa piramide la silhouette emblema del rapporto cibo-convivialità. In primo piano N. 2 maggio/agosto 2015 della catena) e dall’altro lato con un metile CH3 (l’”omega”); il nome dell’acido grasso dipende dalla posizione del doppio legame tra due atomi di carbonio rispetto all’omega. Gli omega 3 hanno infatti il doppio legame al terzo posto dalla fine della catena di carbonio. Studi clinici hanno dimostrato come gli acidi grassi omega 3 posseggano proprietà antinfiammatorie, antiaritmiche e antitrombotiche, al contrario di quelli omega 6, che possiedono caratteristiche protrombitiche e proinfiammatorie. Gli acidi grassi omega 3 sono importanti per il nostro metabolismo, ma i mammiferi non sono in grado di sintetizzarli se non partendo da acidi grassi a breve catena introdotti con la dieta. La dieta americana classica prevede un introito di omega 6 dieci volte maggiore degli omega 3, delle patologie più comuni quali le patologie cardiovascolari. Tali “diete” hanno un alto impatto mediatico in quanto promettono diminuzioni di peso rapide, evitando (es. cereali) o promuovendo (es. cibo proteico) il consumo di determinati alimenti. Migliorare la salute attraverso una corretta alimentazione ha quale presupposto la conoscenza delle caratteristiche dei cibi e delle esigenze individuali al loro consumo. Analizzando le indicazioni alimentari proposte ai fini della prevenzione cardiovascolare negli USA, e applicate in diversi paesi industrializzati, l'American Heart Association propone di frazionare le calorie giornaliere nel 30% di grassi (dei quali i 2/3 dovrebbero essere insaturi e con un limite di 300 mg/die per l'introito di colesterolo), il 55% di carboidrati ed il 15% di proteine. Le raccomandazioni appena citate riassumono i concetti definiti di dieta di primo livello o “STEP 1”, comuni alle conclusioni del National Cholesterol Education Program (NCEP) nel suo Adult Treatment Panel III edito nel 2002. Le linee guida più recenti includono raccomandazioni simili ma con più atten- con conseguenti possibili danni. È evidente dunque come l’introduzione di tali molecole nelle giuste proporzioni sia fondamentale per l’equilibrio del nostro organismo. In particolare, gli acidi grassi omega 3 sembrano avere numerose proprietà benefiche sul nostro organismo. Le evidenze scientifiche mostrano che gli omega 3 hanno proprietà antinfiammatorie, riducendo i livelli di PCR, interleuchine e TNF alfa, con possibili benefici nelle malattie da infiammazione cronica e sulle placche aterosclerotiche. zione verso il consumo di frutta, verdura, estendendo l’indicazione alla pratica regolare di un’attività fisica adeguata e personalizzata e al mantenimento di un peso corporeo salutare (“Making Healthy Food and Lifestyle Choices: Our Guide for American Adults” AHA 2015). “The previous recommendations stressed a healthy dietary pattern; the new ones broaden that concept to include the importance of a healthy lifestyle pattern. The two go together — they should be inseparable”. (Alice Lichtenstein, D.Sc., direttrice dell' American Heart Association’s Nutrition Committee). Cioè: “Le precedenti raccomandazioni enfatizzavano (sottolineavano) uno schema dietetico sano; le nuove raccomandazioni ampliano questo concetto includendo l'importanza di uno stile di vita sano. Le due cose devono procedere insieme, debbono essere inseparabili”. Recente l’utilizzo del termine “dieta mediterranea”, per indicare un “modello” alimentare, piuttosto che una “dieta” vera e propria secondo quanto prima precisato. La dieta mediterranea indica le abitudini che nel tempo hanno caratterizzato lo stile alimentare dei popoli prospicenti il Dott.ssa Anna Laura Fanelli, dirigente medico cardiologia, Ospedale Maria Vittoria di Torino Dott. Andrea Bosusco, Biologo Nutrizionista, Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche, Università di Torino Mare Mediterraneo. Quest’ultimo era, ed è, principalmente basato su alimenti di cui tali etnie disponevano: cereali, verdura e frutta fresca, frutta secca e semi oleosi, olio di oliva, legumi oltre a modeste quantità di prodotti della pesca e carne. Tale stile alimentare promuove la scelta di cibi minimamente processati e di stagione, l'uso dell'olio di oliva come fonte principale di lipidi (sostituendo altri grassi ed oli), la somministrazione di almeno Cardio Piemonte - 21 In primo piano N. 2 maggio/agosto 2015 Sembrerebbe che gli omega 3 siano dotati anche di proprietà antitrombotiche e antivasocostrittive, con effetti di vasodilatazione endoteliale. Inoltre gli omega 3 avrebbero un importante effetto sul metabolismo lipidico, con effetti di riduzione di trigliceridi e LDL quando ingeriti in quantità adeguate. Dati non concludenti riguardano inoltre i possibili benefici degli omega 3 nei disturbi autistici, nella demenza, nei disturbi depressivi e nell’atopia. Per quanto concerne il rischio cardiovascolare, numerosissimi studi hanno indagato negli anni i possibili benefici degli omega 3 nella prevenzione primaria e secondaria, tra cui indagini cliniche randomizzate coinvolgenti migliaia di pazienti, come gli studi JELIS, GISSI-P, DART, SOFA e OMEGA, con risultati contrastanti. Tre recenti metaanalisi (Rizos et al, Delgado-Lista et al, Kwak et al) hanno poi riassunto i dati relativi alle maggiori pubblicazioni sull’argomento. La conclusione è che tali studi nel loro insieme provano che un adeguato introito di omega 3 comporta una riduzione del rischio cardiovascolare, del rischio di morte improvvisa e di mortalità per tutte le cause, ma secondo Rizos e Kwak non con significatività statistica, secondo Delgado sì. I risultati nella loro globalità sono indicativi per un trend di riduzione del rischio di eventi cardiovascolari e di morte per cause cardiovascolari, sia in prevenzione primaria sia secondaria. E in molti studi i benefici degli omega 3 potrebbero essere stati mascherati dal concomitante uso di altri farmaci per Focus on due pasti a base di pesce nella settimana, un limitato consumo di carne bianca (due volte a settimana e di quella rossa a poche volte al mese), la valorizzazione di un moderato consumo di vino rosso (durante i pasti e non più di due bicchieri al giorno per gli uomini e uno per le donne). Associare inoltre alla Corretta alimentazione la pratica di una regolare attività fisica che promuova un controllo del peso corporeo, il tono muscolare ed il benessere è fondamentale. A questo punto è utile osservare i risultati di un importante studio spagnolo, il PrediMed (“Effects of a MediterraneanStyle Diet on Cardiovascular Risk Factors. A Randomized Trial” Ann. Intern. Med. 2006) che per cinque anni ha valutato in 7500 persone l'efficacia della dieta mediterranea nella prevenzione primaria delle malattie cardiovascolari. Nei tre gruppi di studio esaminati (-dieta med. arricchita con olio extravergine di oliva, -dieta med. arricchita in frutta secca, -dieta ipolipidica di controllo) i risultati sono stati a dir poco interessanti. Nei gruppi di intervento (consumo di 15 g/ die di olio extravergine di oliva -la quanti- 22 - Cardio Piemonte tà contenuta in un cucchiaio e mezzo- e 20 g/die di frutta secca) si è osservata una riduzione del 30% dell'incidenza di infarti miocardici e ictus. Si tratta di un effetto preventivo di enorme rilevanza pratica: riuscire a ridurre gli eventi cardiovascolari di un terzo significa incidere positivamente sulla salute della popolazione e sui costi sociali ed economici del sistema sanitario. I risultati supportano il suggerimento di affiancare al consumo di olio extravergine di oliva anche oli ad alto tenore di polinsaturi della serie omega 3 e omega 6. Le conclusioni dello studio PrediMed confermerebbero che una dieta arricchita di mono o polinsaturi (da olio o da frutta secca), di pesce e legumi abbia un effetto positivo maggiore delle diete ipolipidiche nella prevenzione di eventi cardiovascolari. Per quanto riguarda i meccanismi coinvolti non si ha ancora un quadro chiaro, ma, noto che l'aterosclerosi (condizione degenerativa alla base della patologia cardiovascolare) siano considerate malattie infiammatorie, è stato investigato l'effetto antinfiammatorio della dieta mediterranea sui marcatori biologici cellu- lari e sierici relativi a tale patologia: due sotto studi derivanti da PrediMed (“Virgin olive oil and nuts as key foods of the Mediterranean diet effects on inflammatory biomarkers related to atherosclerosis”. Pharmacological Research. 2012 Cioè “L'olio d'oliva vergine e le noci come cibi essenziali per determinare gli effetti della dieta mediterranea sui biomarcatori dell'infiammazione relativi all'aterosclerosi”) hanno evidenziato che dopo soli tre mesi di “abitudini mediterranee” si possono osservare significative riduzioni dei marcatori interleuchina-6 e dei recettori del TNF 60 ed 80. Tali evidenze dimostrano un effetto antinfiammatorio sul sistema cardiovascolare e la diminuzione dei fattori di infiammazione circolanti e cellulari. In conclusione la "dieta mediterranea" costituisce ad oggi il migliore modello di alimentazione da perseguire ai fini della prevenzione cardiovascolare, e non solo. Si tratta di un' informazione preziosa, che si avvale di dimostrazioni scientifiche, utile ad orientare i consumi alimentari sia della popolazione a rischio cardiovascolare che di quella generale a scopo preventivo. In primo piano N. 2 maggio/agosto 2015 il trattamento della cardiopatia ischemica, in particolare statine, o dalla maggiore attenzione alla dieta dei pazienti coinvolti. I dati sono dunque non definitivamente concludenti e in parte discordanti, ma supportano comunque la raccomandazione da parte di American Heart Association di mantenere l’introito giornaliero di acidi omega 3, possibilmente con la dieta, tra i 600 e i 900 mg per prevenzione primaria, e tra i 900 e i 1200 mg per prevenzione secondaria, riservando dosi più alte al trattamento delle ipertrigliceridemie. La raccomandazione è dunque dal punto di vista pratico quella di mangiare pesce almeno due volte alla settimana, e in particolare quello ricco di acidi grassi omega 3. I pesci che ne hanno in quantità maggiore sono quelli azzurri provenienti da mari freddi (salmone, caviale, tonno), le sardine, le trote di lago, gli sgombri e le trote. Recentemente i dati legati alla presenza di mercurio e altri contaminanti come diossina e bifenili policlorinati nel pesce hanno posto dei dubbi sul fatto che i potenziali danni di tali sostanze potessero superare i benefici nell’assunzione. Il mercurio, naturalmente presente in piccole quantità nell’ambiente, a causa dell’inquinamento si accumula nelle acque e pertanto nei pesci che mangiamo: pesci di grosse dimensioni e più longevi, in particolare se predatori più in alto nella catena alimentare (squalo, tonno, pesce spada), tendono a contenere quantità maggiori di mercurio rispetto ai pesci di dimensioni inferiori, come salmone, nasello, sardine, merluzzo, triglie, sogliole, pesci gatto. Se si ingerisce troppo mercurio, tale sostanza può accumularsi nel corpo, anche perché la capacità di eliminazione della tossina dall’uomo è molto lenta, con effetti dannosi, in particolare a livello cerebrale durante l’infanzia e nello sviluppo fetale. Per tali ragioni negli adulti mangiare due volte alla settimana pesce ricco in acidi grassi omega 3 è raccomandato, con l’attenzione di scegliere pesci a basso contenuto di mercurio; per i bambini e le donne incinte meglio contenere le quantità, per il rischio di danni secondari alle tossine del pesce. Per concludere, i benefici degli acidi grassi omega 3 sono molteplici, e la loro introduzione con l’alimentazione, e in particolare con il pesce, è più salutare che ingerire supplementi in altre forme. Pertanto, mangiare pesce due volte alla setti- mana rimane un buon consiglio, da seguire con le sole accortezze di saper scegliere quando lo si compra, prediligendo quello povero di mercurio e ricco di omega 3, e di cucinarlo senza troppi grassi. Come sempre il futuro sta nella ricerca. Solo nuovi studi saranno in grado di chiarire maggiormente il ruolo degli omega 3 nella prevenzione cardiovascolare, e magari un domani sarà possibile misurare i livelli di omega 3 nel sangue, e usare tale dato per modificarne gli introiti con dieta e farmaci. Nel frattempo, per cena gustiamoci spesso due filetti di sgombro al forno! Ricetta della Dott.ssa Virginia Bicchiega Nutrizionista Tortino di albicocche con ribes e zenzero Preparazione: Prendere le albicocche, lavatele e asciugatele, poi tagliate a metà e togliere il nocciolo. Lavare il ribes e sgranarlo, lasciando da parte qualche chicco per la decorazione. Prendere una casseruola, mettere il ribes con un cucchiaino di zucchero di canna e lo zenzero sbucciato e tagliato a fettine, cuocere per 10-12 minuti fino quando la consistenza della frutta comincia a diventare morbida e cedevole. Filtrare il tutto con un colino dalle maglie fini. Prendere uno stampo del diametro di 18 centimetri, versare sul fondo il succo ottenuto, sistemare in mezzo le albicocche con la pelle rivolta verso l’alto, poi coprire con la sfoglia. Piegare i bordi verso l’interno e cuocere in forno caldo a 220° per circa 20 minuti. Lasciare riposare per 5 minuti, poi rovescire nel piatto. Servire il tortino di albicocche con ribes e zenzero tiepido o freddo secondo il gusto, decorare con il ribes lavato e tenuto da parte. Cardio Piemonte - 23 N. 2 maggio/agosto 2015 DALLA TRADIZIONE POPOLARE AGLI STUDI SCIENTIFICI Le spezie alleate preziose Conosciute con le erbe aromatiche sin dall’antichità, sono gustose e prive di calorie. Incrementando il dispendio di calore dell’organismo aumentano il metabolismo e fanno accumulare meno grasso. E c’è ancora molto da scoprire di Virginia Bicchiega Dott.ssa Virginia Bicchiega Nutrizionista Posta: v.bicchiega@ auxologico.it Le spezie sono alleate preziose della nostra salute. Sin dall’antichità erano conosciute e utilizzate in cucina, ma entravano anche nei preparati della medicina tradizionale. Ogni volta che insaporiamo i nostri cibi con erbe aromatiche o spezie stiamo letteralmente “migliorando” il valore dei cibi, senza l’aggiunta di una singola caloria. I benefici delle spezie sono innumerevoli: consentono di migliorare il gusto delle pietanze, massimizzano le proprietà nutrienti dei cibi e sono ricche di antiossidanti, minerali e complessi multivitaminici fondamentali per la nostra alimentazione. Le spezie e le erbe aromatiche inoltre, sono termogeniche ovvero aumentando il dispendio di calore dell’organismo dato dall’assunzione degli alimenti aumentano il metabolismo, fanno bruciare più calorie e fanno accumulare meno grasso. Alcune spezie ed erbe fanno aumentare la sensazione di pienezza e di sazietà, così inducono a mangiare di meno. Possono essere usate al posto del sale da cucina ottenendo un miglioramento dello stato di salute. Le spezie sono quindi un’arma gustosa che la natura ci offre per rendere più palatabili i cibi, sono relativamente poco costose e sono disponibili Rosmarino e basilico in una grande varietà di sapori, quindi è impossibile non trovare una spezia che possa essere di gradimento per ognuno. Piante e principi attivi L’OMS stima che l’80% della popolazione mondiale utilizza le erbe medicinali, tra cui le spezie come uniche medicine disponibili. Il 25% delle medicine prescritte dal medico contiene principi attivi derivati dalle piante. Le spezie rientrano negli Alimenti Funzionali (Functional Food). Secondo l’Academy of Nutrition and Dietetics (AND) e l’International Food Information Council (IFIC) gli alimenti funzionali sono tutti gli alimenti che hanno potenzialmente effetti benefici sulla salute quando sono assunti come parte di una dieta varia in modo regolare e a livelli efficaci secondo evidenze scientifiche. Partendo da ciò che ci ha lasciato in eredità la tradizione popolare negli anni sono stati fatti numerosi studi che hanno messo in evidenza le proprietà medicinali di diverse spezie. Erbe aromatiche La famiglia botanica della menta di origine mediterranea, è una delle più utili a scopo gastronomico e medicinale per il prezioso olio prodotto sulle foglie e sugli steli. A questa famiglia appartengono il basilico, la melissa, la maggiorana, la salvia, l’origano, il rosmarino, il timo, la menta piperita (ibrido tra ➜ potere anti-infiammatorio ➜ migliorano la concentrazione, riducono la stanchezza mentale e gli stati di confusione (possibile ruolo nelle demenze) Pepe di cayenna e cannella ➜ regolano il metabolismo degli zuccheri e dei grassi (possibile ruolo come regolatori nell'obesità) Coriandolo e cannella ➜ regolatori dello zucchero Curcuma ➜ in corso studi sul suo ruolo nella cura di diverse neoplasie Noce moscata e zenzero ➜ effetti calmanti Origano ➜ potere antifungo Basilico e timo ➜ capacità di proteggere la pelle Curcuma, basilico, cannella e zenzero ➜ potere immunostimolante Coriandolo, rosmarino, pepe di Caienna, peperoncino e pepe nero ➜ Cumino e salvia 24 - Cardio Piemonte regolatori del tono dell'umore N. 2 maggio/agosto 2015 m.viridis e m.acquatica) e la menta verde. Queste erbe hanno proprietà carminative ovvero riducono la produzione di aria intestinale (utili contro il meteorismo e l’aerofagia), riducono la dispepsia per azione riflessa sulle terminazioni nervose della parete gastrica, hanno un’azione antisettica ed antimicotica (in particolare l’origano). Agiscono come analgesici in particolare in caso di cefalea ed aumentano la concentrazione. Gli estratti del basilico sono ricchi di acido rosmarinico e catechine. Si ipotizza un ruolo del basilico nel controllo della Sindrome Metabolica. Diversi studi hanno dimostrato che gli estratti del basilico riducono i livelli di colesterolo LDL, rallentano la produzione di placche aterosclerotiche e hanno un ruolo nel controllo dell’iperglicemia nei soggetti diabetici tramite l’inibizione di diverse vie enzimatiche. Studi in vitro hanno dimostrato il ruolo anti-infiammatorio del basilico tramite la riduzione della produzione di citochine pro-infiammatorie e la produzione di sostanze antiossidanti. Infine sembra che abbia anche un ruolo nel controllo della pressione arteriosa. La salvia officinalis originaria della costa Settentrionale del Mediterraneo è considerata da moltissimo tempo un importante erba medicinale (diversa dalla Artemisia utilizzata per decorare i giardini): ha azione antisettica, cicatrizzante, ha un ruolo nel controllo del livelli degli zuccheri nel sangue (ipoglicemizzante) ed infine ha effetto anidrotico (riduce la traspirazione). Cumino Tra i principali componenti del curry, il cumino si ricava dai semi del Cuminum cyminum, pianta diffusa nel bacino del Mediterraneo ed in America. Ottima in cucina per aromatizzare piatti e salse, era già utilizzata ai tempi degli antichi romani. I semi di cumino contengono ferro, numerose vitamine (B1, B2, B6, PP, C e K) e sali minerali. Il cumino contribuisce ad aiutare l’organismo nell’assorbimento degli elementi nutritivi, migliora la digestione, riduce il gonfiore addominale e stimola le difese immunitarie. Al cumino vengono attribuire proprietà anti infiammatorie ed è stato attribuito un elevato contenuto di antiossidanti, la cui presenza si manterrebbe più a lungo nei semi interi, piuttosto che nel cumino pestato o macinato. Si ritiene che masticare semi di cumino possa migliorare l’alitosi. Da diversi studi in vitro e su animali è emerso che questa spezia ha un ruolo nel controllo del metabolismo glico-lipidico: gli estratti di cumino o gli stessi semi aiutano a ridurre i livelli di glucosio, colesterolo e trigliceridi nel sangue. Dosi singole o ripetute di estratti di cumino migliorano la tolleranza glicidica e proteggono la salute degli occhi in ratti diabetici. Da questo si può concludere che il cumino può proteggere sia dagli effetti diretti che dalle conseguenze secondarie del diabete. frutto lavorato della pianta Piper nigrum. Ne esistono diverse varietà, a seconda delle modalità di lavorazione dei frutti: il Pepe Nero è ricavato dai frutti acerbi essiccati, mentre il Pepe Bianco conserva soltanto il seme. Il Pepe Rosa, invece, proviene dalla pianta di Schinus molle, originaria degli altipiani delle Ande. La piperina è il principio attivo più potente ed è l’elemento che dà a questa spezia proprietà stimolanti, stomachiche e toniche favorenti la digestione, ma anche antisettiche. Aumenta l’assorbimento dei nutrienti favorendo la secrezione gastrica ed aumentando la capacità emulsionante dei succhi gastrici. Inoltre stimola la termogenesi migliorando l’assorbimento dei nutrienti essenziali, accelerando la termogenesi lipidica e attivando il metabolismo, tutte caratteristiche che rendono il pepe alleato prezioso di diete dimagranti. Il pepe è ricco di sostanze antiossidanti, vitamina A e K, calcio, magnesio, selenio. Agisce come antinfiammatorio, regolatore del metabolismo osseo, nel controllo della pressione arteriosa e stimola la concentrazione. L’assunzione di pepe è sconsigliata a chi soffre di problemi gastrici (gastrite, ulcera peptica), ipertensione od emorroidi. Peperoncino Il peperoncino stimola il metabolismo e la digestione, ha proprietà vasodilatanti. Un pizzico di peperoncino contribuisce a favorire la circolazione sanguigna ed a tenere sotto controllo i livelli degli zuccheri nel sangue. Ottimo antibatterico, il peperoncino è ricco di vitamina C, stimola la digestione ed ha proprietà antiossidanti, ha anche un’efficace azione sul metabolismo, innalzando la temperatura corporea ed aumentando così il senso di sazietà. Una varietà particolare di peperoncino, il Pepe di Cayenna, è rinomata per la sua capacità di tenere sotto controllo il colesterolo e per il suo effetto antidolorifico e antinfiammatorio. Per le proprietà antiaggreganti è chiamato anche aspirina naturale. Bisogna assumere il peperoncino in modiche quantità in corso di terapie farmacologiche in quanto può aumentarne l’assorbimento (es. teofillina) o gli effetti collaterali (es.tosse da ACE-inibitore). Peperoncino piccante al mercato di Orgicia (SR). Foto di Giovanni Dall'Orto, 2014. Pubblico dominio tramite Wikimedia Commons. Pepe (il re delle spezie) Tra le spezie più diffuse sulle nostre tavole, il pepe è il Cardio Piemonte - 25 N. 2 maggio/agosto 2015 Cannella La cannella ricavata dalla corteccia interna della Cinnamomum Zeylanicun è una spezia dal gusto dolce e pungente proveniente dal sud-est asiatico che, oltre a dare quel tocco in più a dolci e bevande, offre molteplici benefici per la nostra salute in particolare grazie alla cinnamaldeide (principale componente di questa spezia). Diversi studi hanno dimostrato che l’uso costante di cannella aiuta a ridurre la glicemia, i trigliceridi e il colesterolo LDL, riduce il dolore in corso di artrite e di ciclo mestruale, migliora la memoria, è un antibatterico ed antimicotico utilizzato per combattere il raffreddore, il mal di gola, la nausea e le virosi intestinali. Questa spezia è una buona fonte di fibre, manganese, ferro e calcio. Bibliografia. Sikand G1, KrisEtherton P, Boulos NM; Impact of functional foods on prevention of cardiovascular disease and diabetes. Curr Cardiol Rep. 2015 Jun;17(6):593 Bower A, Marquez S, De Mejia EG The Health Benefits of Selected Culinary Herbs and Spices Found in the Traditional Mediterranean Diet. Crit Rev Food Sci Nutr. 2015 Mar 6:0. [Epub ahead of print] Balasubramanian S, Roselin P, Singh KK, Zachariah J, Saxena SN Post Harvest Processing and Benefits of Black Pepper, Coriander, Cinnamon, Fenugreek and Turmeric Spices. Crit Rev Food Sci Nutr. 2015 Mar 6:0. [Epub ahead of print] Ciro Vestita, Le spezie della salute. Aromi e sapori per una cucina all'insegna del benessere, Sperling & Kupfer M. A. Webb, Spezie. Guida all'uso delle spezie per la salute e il benessere, IdeaLibri Ha collaborato alla stesura di questo articolo la Dott.ssa Paola Belci Coriandolo Il Coriandun Sativum originario dell’India e della Cina era già utilizzato da Ippocrate come medicamento. Le parti utilizzate sono le foglie (prezzemolo Cinese) e i frutti maturi seccati (semi di Coriandolo). Questa spezia è ricca di sali minerali e vitamine quali calcio, fosforo, ferro, sodio, potassio, magnesio, vitamina B1, vitamina B2, vitamina PP, vitamina C. Il coriandolo può essere usato in caso di indigestione, dispepsia, coliche addominali, flatulenza e meteorismo, diarrea. Ha un ruolo nel controllo del metabolismo lipo-glicidico riducendo i livelli ematici di colesterolo e glucosio. Inoltre ha azione diuretica, analgesica ed antibatterica. Noce Moscata La noce moscata è il seme del frutto della Mjristica Fragrans un albero sempre verde dell’isola delle Spezie in Indonesia Il frutto assomiglia all’albicocca viene essiccato, e aprendosi in due parti emette il seme. Ha azione carminativa, digestiva, colagoga, disinfettante, antibatterica ed antinfiammatoria. È anche un blando calmante del sistema nervoso. Assunta in dose superiore ad un cucchiaino può essere tossica, provocando nausea, vomito, stordimento ed allucinazioni. Curcuma La curcuma appartiene alla pianta perenne delle zinziberacee. Originaria dell’India e Indonesia, coltivata in Africa e America Centrale. Si utilizza il rizoma polverizzato dal quale sono stati isolati i curcuminoidi (curcumina) responsabili delle proprietà terapeutiche e del particolare colore giallo. Studi recenti ne hanno messo in luce l’utilità per la prevenzione del diabete di tipo 2, rafforza il sistema immunitario e protegge l’organismo dalle infezioni. Presenta inoltre proprietà antinfiammatorie, antidolorifiche contro i dolori articolari e antiossidanti in grado di rallentare l’invecchiamento cellulare. Ha effetto carminativo (aiuta a ridurre la produzione di gas intestinali) e agisce positivamente sull’omeostasi delle funzioni digestive. Tra le più importanti proprietà farmacologiche van- 26 - Cardio Piemonte no menzionate quelle coleretiche-colagoghe, che favoriscono la produzione della bile e il suo naturale deflusso nell’intestino. Migliora i quadri di dispepsia, meteorismo e flatulenza, inoltre riduce i livelli di colesterolo nel sangue favorendo l’eliminazione dei grassi in eccesso. Questa spezia ha inoltre proprietà antibatteriche ed antimicotiche ed è molto utile nelle infezioni cutanee. La curcuma è controindicata nelle persone che soffrono di colelitiasi (calcoli biliari) perchè questa spezia potrebbe peggiorare il decorso della malattia. Un uso eccessivo può determinare irritazione gastrointestinale. Negli ultimi anni per il riscontro di una diversa incidenza di malattie tumorali nei paesi con maggior consumo di curcuma si è iniziato a studiare il legame tra questa spezia e lo sviluppo tumorale: la curcumina potrebbe avere un qualche effetto positivo dato lo stretto legame del cancro con lo stato infiammatorio alterato e lo stress ossidativo e date le proprietà antiossidanti e antinfiammatorie di questa spezia. Si pensa anche che possa influire rallentando lo sviluppo tumorale. Quel che di certo per ora si può dire è che le premesse sono interessanti e spingono ad approfondire le ricerche su questo legame. Zenzero Della stessa famiglia della curcuma (Zinziber Officinalis) è originario dell’Asia meridionale. Usato in Cina da millenni per molte malattie. Il rizoma dello Zinziber officinale, è un vero concentrato di principi attivi. Utilizzato come spezia in cucina, ha proprietà (da essiccato) stomachiche, antiossidanti ed antinfiammatorie. Fresco, invece, è un ottimo antipiretico, antinausea ed antinfiammatorio. Favorisce la digestione migliorando la motilità gastrointestinale sia a digiuno che a stomaco pieno riducendo la pirosi, le eruttazioni e la flatulenza. Ha azione antiemetica sia nella chinetosi (mal d’auto) sia nell’iperemesi gravidica. Diversi studi ne hanno dimostrato l’efficacia come antidolorifico in caso di artrite, inoltre è utile nella cura e nella prevenzione di mal di gola, raffreddore, influenza. Ha azione diaforetica favorendo la sudorazione e la dispersione di calore (molto utile in corso di influenza). Le proprietà antinfiammatorie sono dovute ai gingeroli che inibiscono la produzione di prostaglandine, inoltre inibendo anche la produzione di trombossani rendono lo zenzero un antiaggregante piastrinico. È importante usarlo con moderazione in corso di terapia con aspirina o warfarin. Conclusione Da centinaia di anni erbe aromatiche e spezie sono usate a scopo culinario e medicinale. In questo articolo abbiamo voluto fare una carrellata delle principali spezie focalizzandoci sulle loro proprietà benefiche. Ad oggi molti dei meccanismi alla base del loro ruolo terapeutico non sono ancora chiari e molti studi sono ancora in corso ma questo non toglie l’importanza dell’utilizzo delle stesse in una dieta sana ed equilibrata. N. 2 maggio/agosto 2015 TRA I RICERCATORI SI FA STRADA UN’IDEA SUGGESTIVA Il diabete è una malattia vascolare? La glicemia alta, dovuta a una carenza assoluta (tipo 1) o relativa (tipo 2) di azione insulinica, danneggia i vasi sanguigni grossi, in particolare di cuore, cervello e arti inferiori, e piccoli (i capillari di retina, rene e nervi periferici). L’ipotesi è plausibile nel caso della seconda forma, che colpisce il 90% dei diabetici in età matura o avanzata, a maggior rischio per le patologie cardiovascolari di Massimo Porta Il diabete mellito è una patologia metabolica in crescente aumento, tanto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità parla di “pandemia”, con una prevalenza mondiale destinata a raddoppiare in 30 anni, da 171 milioni di persone affette nel 2000 a 366 milioni nel 2030 (1). Le cause del diabete non sono conosciute ma sicuramente a questo impressionante incremento contribuiscono in misura determinante l’aumento della sedentarietà e di apporto calorico alimentare, almeno per quanto riguarda il diabete tipo 2. Questa forma infatti colpisce le persone in età matura e gli anziani ed è legato all’obesità e a stili di vita non corretti. In realtà è in aumento anche il diabete tipo 1, che è una malattia autoimmune dove le cellule che producono insulina vengono distrutte da anticorpi che non ne riconoscono più l’appartenenza a un organismo comune, come un organo rigettato dopo un trapianto, ma le cause sono molto meno ovvie. Caratteristica del diabete è l’aumento dei livelli circolanti di glucosio, dovuti ad una carenza assoluta (diabete tipo 1) o relativa (diabete tipo 2) di azione insulinica. L’insulina è un ormone, prodotto dalle cellule “beta” situate in microscopiche strutture del pancreas denominate “isole di Langerhans”, che ha il compito di permettere al glucosio di entrare nelle cellule del nostro organismo. Infatti, le cellule utilizzano il glucosio come carburante per poter svolgere le proprie funzioni vitali e l’insulina agisce un po’ come il carburatore, o l’iniettore, del motore della nostra automobile. Se il carburatore è guasto o anche solo sporco, la benzina non arriva ai cilindri, il motore gira male e la ben- zina si accumula all’esterno. Nel nostro corpo, se l’insulina non viene più prodotta perché le cellule beta sono state distrutte (diabete tipo 1) oppure è ancora prodotta ma non può venire utilizzata bene (diabete tipo 2), il glucosio non penetra più nelle cellule e rimane nel sangue, la glicemia sale e tutto l’organismo funziona male. Il problema, come accennato all’inizio, è che le cause della perdita dell’insulina e anche quelle della ridotta capacità di utilizzarla, la cosiddetta “resistenza all’insulina” o insulinoresistenza, ci sfuggono quasi del tutto. Se non raggiunge livelli elevatissimi, la glicemia alta non produce sintomi o malessere specifici ma, a lungo andare, danneggia i vasi sanguigni grossi (in particolare di cuore, cervello e arti inferiori) e piccoli (i capillari della retina, del rene, dei nervi periferici). Ne risulta che, almeno nei paesi industrializzati, il diabete è la prima causa di cecità in età lavorativa, di dialisi e/o trapianto renale e di amputazioni non dovute a traumi a carico degli arti inferiori, nonché di infarti e ictus con prevalenza più che raddoppiata rispetto a chi diabetico non è. Prof. Massimo Porta, direttore della SC di Medicina Interna 1 presso l'Ospedale Molinette di Torino Come si controlla il diabete? Poichè la glicemia alta causa danni gravi ad arterie e capillari, è necessario ricondurla il più possibile vicina ai valori normali (70-100 mg/ dl a digiuno e meno di 140 dopo i pasti). Ma Cardio Piemonte - 27 N. 2 maggio/agosto 2015 uno dei problemi più importanti, per i pazienti diabetici e per i loro curanti, è che non è affatto semplice mantenere valori ottimali di glicemia durante tutta la giornata, a digiuno come dopo i pasti o durante la notte, nonostante gli sforzi di aderire ad un’alimentazione bilanciata, la pratica di un’attività fisica continua anche se non strenua e l’uso dei numerosi farmaci disponibili. Benché indispensabili ai fini del mantenimento della buona salute, sia per chi ha il diabete sia per chi non ce l’ha, queste buone pratiche spesso non sono sufficienti. Come si è accennato sopra, la non conoscenza delle cause ultime del diabete ci porta a utilizzare terapie che controllano, in parte, il sintomo principale, l’iperglicemia, ma non ci consentono di arrivare ad una cura radicale della malattia. Gli stessi farmaci, dall’insulina a tutti gli altri preparati somministrabili per via orale, non arrivano a normalizzare la situazione, proprio perché la regolazione della glicemia è un fenomeno assai complesso e ancora oggi non del tutto chiarito nei suoi meccanismi. A questo punto va introdotto un concetto molto importante: la misurazione di uno o anche più valori di glicemia nell’arco della giornata non è in grado di fornirci una valutazione precisa del grado di compenso del diabete. La glicemia infatti varia moltissimo nel corso delle ore e quindi misurarla anche più volte al giorno non ci può dare indicazioni assolute. A questo problema ha in parte provveduto Madre Natura, che ci ha fornito l’emoglobina, permettendoci di misurare la emoglobina glicata. Come tutti sappiamo dai tempi della scuola, l’emoglobina è una sostanza, più precisamente una proteina, contenuta all’interno dei globuli rossi che ha il compito di trasportare l’ossigeno dai polmoni ai tessuti e l’anidride carbonica in senso inverso, per essere eliminata. L’emoglobina si lega al glucosio e, poiché vive praticamente a bagno nel sangue, ne legherà tanta quanta ne trova in circolo, momento per momento, di più quando la glicemia è maggiore, di meno quando è minore. Siccome i globuli rossi che la contengono hanno una vita media di circa 100 giorni, misurare quanto glucosio è legato all’emoglobina ci darà una misura di quale sia stata mediamente la glicemia degli ultimi 3 mesi. L’emoglobina, appunto, glicata è indicata 28 - Cardio Piemonte negli esami di laboratorio con una sigla un po’ esoterica: HbA1c. Perché il diabete si possa considerare ben compensato, l’emoglobina glicata non dovrebbe essere superiore a 7,0%, massimo 7,5% o, secondo le nuove unità di misura internazionali, 53-58 mmol/mol. Però, come si è detto sopra, spesso non è possibile rispettare questi limiti anche se le prescrizioni del medico vengono seguite con la dovuta attenzione, non parliamo invece di quando le regole non vengono seguite e i farmaci non vengono assunti. Ma perchè è importante evitare che la glicemia, e con lei l’emoglobina glicata, salgano troppo? Qui entra in gioco il lavorìo di danneggiamento compiuto dal glucosio troppo alto sulla parete dei vasi sanguigni. A livelli di emoglobina glicata che negli anni si mantengono troppo alti corrisponde un netto aumento di problemi circolatori, soprattutto a carico delle arterie coronarie e cerebrali. Il diabete e i danni alla circolazione Una caratteristica, molto negativa, del diabete è che vengono colpite non soltanto le arterie di diametro maggiore ma anche le loro diramazioni più sottili nel cuore, nel cervello e negli arti inferiori. In questo modo, a danno si aggiunge danno. Se il sangue fatica a procedere lungo le arterie principali, come nell’arteriosclerosi del non diabetico, nel diabete la circolazione viene ulteriormente rallentata a valle, quando il poco sangue che ha superato l’ostacolo sta per giungere ai tessuti. Quindi ancor meno ossigeno e nutrienti, maggior rischio di lesioni e minori possibilità di guarigione. Quando poi si arriva all’evento più grave, l’occlusione di un’arteria a causa di un coagulo, le conseguenze saranno ancor più pesanti, oltre che più frequenti, se i vasi grandi e piccoli saranno già stati danneggiati dal diabete. Le alterazioni dei piccoli e grossi vasi sono strettamente associate fra loro. La presenza di retinopatia diabetica indica un importante aumento del rischio di infarto e di ictus ed anche della loro potenziale gravità. Secondo alcuni Autori, la retinopatia, rappresenta addirittura una discriminante per la scelta del tipo di intervento, angioplastica o by-pass, da attuare nelle N. 2 maggio/agosto 2015 singole persone affette da coronaropatia critica. Anche la presenza di danni renali lievi, definiti dalla perdita di minime quantità di albumina nell’urina, la cosiddetta microalbuminuria, è un forte predittore di rischio di malattie di cuore, anche per chi non è diabetico. Il diabete è una malattia cardiovascolare? Ma se il diabete è causa di problemi più frequenti e più gravi per il cuore e gli altri organi, un’altra ipotesi si sta facendo strada fra i ricercatori, e cioè che il diabete stesso possa essere una malattia vascolare oltre che, o addirittura invece che, metabolica. È noto che le probabilità di avere un infarto miocardico sono molto più alte quando si sia già subito un primo attacco di cuore. Ebbene, nel 1998 fu pubblicato sul New England Journal of Medicine un lavoro che dimostrava come per i pazienti diabetici il rischio di avere un primo infarto sia simile a quello delle persone non diabetiche che già ne avevano subito uno. Purtroppo anche il rischio di un secondo evento aumentava in proporzione (2). In altri termini, dal punto di vista del cardiologo, avere il diabete equivale ad avere subito un infarto, con grande aumento delle probabilità di subirne uno vero, cardiaco e non soltanto “metabolico” o statistico. E quando l’evento si verifica, lo stato delle arterie coronarie è in genere più compromesso, con irregolarità di diametro e restringimenti multipli, come appunto nel caso di chi va incontro alla recidiva di un primo infarto, anzi con un coinvolgimento più importante dei vasi più sottili a valle. Che senso può avere parlare di diabete come malattia vascolare? È indubbiamente difficile ravvisare un nesso nel caso del diabete tipo 1 che, come si è detto, è una malattia autoimmune. Tuttavia l’ipotesi potrebbe essere più plausibile nel diabete tipo 2, che colpisce il 90% dei diabetici in età matura o decisamente avanzata, a maggiore rischio anche per le malattie cardiovascolari. In quest’ultimo caso, l’incapacità dell’insulina di svolgere il proprio compito, ovvero far penetrare il glucosio all’interno delle cellule, potrebbe essere conseguenza del fatto che, per ciò fare, l’insulina deve prima attraversare la parete dei capillari e che questi potrebbero non agevolarne il passaggio. In altri termini, una disfunzione della parete dei vasi, capillari ma anche arteriosi, potrebbe essere alla base della resistenza all’insulina, quindi del diabete tipo 2, ed anche della maggiore suscettibilità alle malattie vascolari. L’insorgenza del diabete, conseguente alla prima situazione, non farebbe che alimentare un infernale circolo vizioso, peggiorando la seconda. Esiste una serie di evidenze indirette, alcune piuttosto suggestive, che permettono di sostenere una simile ipotesi che peraltro rimane tale, in attesa di prove definitive. Cosa può fare una persona con il diabete? Se il quadro tratteggiato sopra può apparire a tinte troppo fosche, è bene chiudere con un messaggio più ottimistico. Oggi sappiamo che, per controllare bene il diabete e ridurne le conseguenze più gravi, non è necessario ricorrere a rinunce estreme, alimentari o di altro ordine. È invece sufficiente seguire uno stile di vita sano, un’alimentazione variata, ricca di vegetali e anche frutta, con quantità equilibrate di carboidrati complessi (pane, pasta, riso, patate, legumi), proteine (carne, pesce, uova) e grassi. La cosiddetta “dieta per diabetici” è ormai un retaggio del passato e l’alimentazione dovrebbe essere dettata dal buon senso, per chi ha il diabete come per chi non ce l’ha. Un’attività fisica moderata ma regolare (si raccomanda di camminare di buon passo almeno mezz’ora tutti i giorni) sarà di grande aiuto per controllare la glicemia, perché mantenere attiva la muscolatura è il modo migliore per combattere l’insulinoresistenza. Con queste semplici pratiche è possibile ridurre di molto il rischio cardiovascolare, oltre naturalmente a sottoporsi regolarmente alle terapie e agli esami di controllo che ci prescrive il medico. Bibliografia 1. Wild S, Roglic G, Green A, Sicree R, King H. Global Prevalence of Diabetes. Estimates for the year 2000 and projections for 2030. Diabetes Care 2004;27:1047-53. 2. Haffner SM, Lehto S, Rönnemaa T, Pyörälä K, Laakso M. Mortality from coronary heart disease in subjects with type 2 diabetes and in non diabetic subjects with and without prior myocardial infarction. N Engl J Med. 1998;339:229-34. Cardio Piemonte - 29 N. 2 maggio/agosto 2015 COME MIGLIORARE CON SAGGEZZA L’EQUILIBRIO PSICOFISICO L’uso consapevole del corpo Numerosi fattori influenzano il nostro stato di salute e l’efficienza cardiovascolare. Impariamo una serie di esercizi che ci possono aiutare di Paolo Piazza Dott. Paolo Piazza Dottore in Scienze motorie, Osteopata, Wellness coach www. allenatiastarebene.it Com’è vero il concetto “Mens sana in corpore sano”, vale anche il contrario, cioè un corpo sano richiede una mente sana. Nell’articolo precedente abbiamo parlato delle attività più specifiche per l’efficienza cardiovascolare, in questo affronteremo altri argomenti ugualmente importanti per l’equilibrio psicofisico generale. Cominceremo parlando di energia – fattore indispensabile per la sopravvivenza, prima ancora che per la salute – per continuare con respirazione, postura e rilassamento, tutti elementi che influenzano la nostra qualità di vita molto più di quanto immaginiamo. Salute e vitalità richiedono energia Come tutti gli organismi viventi, abbiamo un costante bisogno di energia per vivere. Le nostre cellule, infatti, sono come fabbriche sempre attive, e possono rimanere efficienti solo se ricevono ossigeno e sostanze nutrienti in quantità adeguata. Il sistema cardiovascolare, grazie all’ininterrotto flusso sanguigno, consente a tessuti e organi corporei di mantenere la loro vitalità proprio perché fornisce energia e, allo stesso tempo, allontana le scorie prodotte dal metabolismo cellulare. Respirazione e alimentazione ci forniscono le sostanze necessarie che costituiscono, per così dire, le entrate del bilancio energetico. Le uscite, invece, dipendono dal livello di attivazione: durante il sonno sono minime e servono a mantenere le funzioni vitali di base, crescono al risveglio e aumentano con l’intensità del movimento o degli impegni; ma l’organismo spende energia anche per svolgere attività 30 - Cardio Piemonte interne come digerire, pensare, produrre calore o combattere un’infezione. Per avere maggiori probabilità di stare bene, dobbiamo fare in modo che gli scambi energetici avvengano senza intoppi e che il bilancio tenda al pareggio: se per lungo tempo si trova in perdita o in eccesso, dimagriamo o ingrassiamo troppo finendo per ammalarci. Insomma, imparando a usare meglio la nostra energia possiamo condurre una vita non solo più sana, ma anche più appagante. Impariamo a risparmiare energia Il movimento aerobico, di cui abbiamo parlato nell’articolo precedente, è fondamentale per migliorare l’efficienza cardiovascolare, responsabile della distribuzione di energia a tutto l’organismo. Però, ai fini del bilancio energetico e della salute in generale, vanno tenuti in considerazioni anche altri aspetti. Poiché corpo e mente sono interconnessi, una respirazione disfunzionale non solo ci fa inalare meno ossigeno, ma ci rende più ansiosi, così come posture scorrette ed emozioni negative si rinforzano reciprocamente sottraendoci energia; questi vari fattori ci rendono più vulnerabili nei confronti di stress e malattie, esercitando la loro influenza anche sulle funzioni cardiovascolari. Così, per mantenere la salute e gestire lo stress, il respiro e il rilassamento non sono meno importanti del movimento; lo stesso vale per la postura che, più di quanto immaginiamo, esercita un peso notevole sulle emozioni e sull’equilibrio psicofisico. Quindi, oltre a praticare un’attività fisica adeguata – che accresca il nostro patrimonio energetico – ci conviene anche imparare come non disperderlo. Entrambi gli obiettivi sono determinati da un uso più consapevole del corpo. N. 2 maggio/agosto 2015 Respiro, dunque sono La nostra prima fonte di energia, l’ossigeno, deriva dalla respirazione. Respiro e attività cardiovascolare sono correlati tra loro e influenzati, in modo immediato ed evidente, dal livello d’impegno fisico e dagli stati mentali; sappiamo bene come sforzi muscolari e ansia accelerino respiro e battiti del cuore. Nella nostra vita quotidiana una somma di fattori diversi – stress, posture scorrette, mancanza di esercizio fisico – comporta una sempre più diffusa abitudine a sviluppare un ritmo di respirazione veloce e superficiale; a sua volta, la modificazione del respiro influenza la condizione mentale. Insomma, così come l’ansia comporta un respiro corto, veloce e superficiale, questo modo di respirare, quando diventa uno schema abituale, facilita il perdurare di stati d’ansia, anche senza che intervengano cause esterne. La buona notizia è che grazie al respiro, che è in parte sotto il controllo volontario, possiamo tranquillizzare la mente e ridurre il livello di attivazione psicofisica. Per verificare l’effetto calmante della respirazione, potete seguire queste semplici istruzioni. Scegliete un posto tranquillo, sedetevi con la schiena eretta, ma non rigida, e chiudete gli occhi. Concentratevi sul passaggio dell’aria attraverso le narici e rallentate il flusso del respiro. Quando si respira in modo corretto e con calma, l’addome è la parte che si muove di più, il torace si dilata poco e le spalle sono del tutto ferme. Quindi, appoggiate delicatamente le mani sull’addome e sentitene il movimento: dovrebbe sporgere con l’inspirazione e a retrarsi con l’espirazione. Cercate di mantenere l’attenzione centrata sulle sensazioni legate al respiro e, se vi capita di distrarvi, riportatela lì, con tranquillità. Il respiro addominale o, più correttamente, diaframmatico, oltre a generare un’azione calmante, ha effetti positivi sull’intero organismo. L’ampio movimento del diaframma, infatti, massaggia in modo dolce e regolare gli organi interni (cuore, fegato, stomaco, intestino, ecc.) migliorandone la funzionalità e riducendo gonfiori, stasi circolatorie e di liquidi. Poiché influenza condizione mentale, organi interni e livello di energia, la respirazione lenta e profonda praticata con costanza per almeno dieci minuti al giorno, vi aiuterà a migliorare non solo la sensazione di benessere, ma lo stato effettivo di salute. Le posture: il corpo parla L’azione continua della forza di gravità favorisce le posture scorrette, e queste causano tensioni muscolari e rigidità articolare. Più siamo squilibrati rispetto alla verticale e più aumentano costi energetici e disturbi, perché i muscoli sono costretti a un maggior lavoro per mantenerci eretti e gli organi interni risultano compressi. La comune posizione seduta, ad esempio, comporta vari problemi. Infatti, facilita un atteggiamento in “chiusura” – spalle e testa anteposte, dorso curvo – che, oltre a problemi muscolo-articolari, aumenta la compressione viscerale generando disfunzioni respiratorie, circolatorie e digestive. Queste condizioni fisiologiche, sono spesso motivo di dolore, e, come avviene per le alterazioni del respiro, non solo effetto ma anche causa di dispendio energetico e stress. Per intervenire sugli ‘errori’ posturali – stringere i denti, tenere le spalle sollevate, accentuare l’atteggiamento in chiusura – è indispensabile, oltre a praticare una ginnastica adeguata, sviluppare una maggiore consapevolezza corporea; solo grazie a una migliore sensibilità possiamo correggere gli atteggiamenti disfunzionali prima che si manifestino dolore e problemi vari. Le forze squilibranti agiscono quotidianamente, dunque, se volete bilanciare la loro azione, seguite questi due consigli: praticate almeno un paio di volte Cardio Piemonte - 31 N. 2 maggio/agosto 2015 a settimana esercizi di allungamento per distendere i muscoli che accentuano la chiusura (in particolare pettorali, flessori del collo, dell’anca e delle ginocchia); ogni volta che vi percepite “compressi”, sia in piedi sia da seduti, recuperate la verticalità immaginando di essere tirati verso l’alto da un elastico fissato alla sommità del capo. Il rilassamento: un mezzo per cambiare in meglio Prima di parlare di rilassamento, è utile avere una minima idea di come agisca lo stress. La vita quotidiana ci sommerge con un eccesso di stimoli, spesso senza che ce ne rendiamo conto; una somma di eventi fisici e psichici – oltre alle vicende personali vanno considerati fattori esterni come cambi di clima e cattive notizie trasmesse dai media – genera in noi una condizione di allerta che ci porta a spendere grandi quantità di energia rendendoci più vulnerabili. Ormoni come adrenalina e cortisolo sono messi in circolo in quantità influenzando varie attività fisiologiche: respiro e battito del cuore accelerano; pressione del sangue e tono muscolare aumentano; digestione, attività immunitaria e qualità del sonno peggiorano. Col tempo la condizione si cronicizza e abbiamo difficoltà a tornare a uno stato di attivazione normale. Come emerge dalla ricerca scientifica, il rilassamento agisce in modo speculare allo stress riducendo frequenza cardiaca, pressione arteriosa, tono muscolare, reattività nervosa; influenza in modo positivo corpo e mente creando distanza emotiva rispetto agli eventi e aiutando il riequilibrio psicofisico. In modo non diverso dall’allenamento fisico, anche il rilassamento richiede apprendimento ed esercizio; 32 - Cardio Piemonte condotto in modo adeguato, ci aiuta a modificare la percezione degli eventi, agendo come prevenzione e non solo come rimedio quando stress e stati d’ansia si sono già manifestati. Se volete rilassarvi un po’, potete fare così. Come per la respirazione scegliete un posto tranquillo, mettendovi seduti o distesi supini, con gli occhi chiusi. Rallentate il respiro e portate la vostra attenzione al corpo sentendo i punti di appoggio con la sedia o il pavimento/ letto, secondo la posizione. Quindi, provate a percepire le varie parti del corpo; cominciate dai piedi e risalite lentamente: polpacci, ginocchia, cosce, anche, glutei, bacino, addome/ lombi, torace/dorso, spalle, braccia, mani, collo, testa, occhi, labbra. Potete ripetere più volte questo ciclo, per almeno una decina di minuti, senza preoccuparvi se le percezioni non sono nette o se avete tendenza a distrarvi, è assolutamente normale. Ogni volta che ve ne accorgete, limitatevi a riportare, con molta tranquillità, la consapevolezza al corpo e a proseguire. Un po’ alla volta le sensazioni diventeranno più precise, l’attenzione più stabile e comincerete a sentirvi meno tesi. Scegliete il momento della giornata che preferite e ricordatevi che, per risultati migliori e più stabili, è importante esercitarsi quotidianamente. A meno che non utilizziate il rilassamento la sera, come mezzo per facilitare il sonno, se temete di addormentarvi potete usare una sveglia, ma che il suono sia dolce, mi raccomando! Gli argomenti sono stati esposti in modo molto stringato, ma, spero, comprensibile. Lo stesso vale per gli esercizi proposti che potete eseguire da soli – non hanno controindicazioni – anche se, ovviamente, la guida di un esperto risulta sempre utile. Curiosità N. 2 maggio/agosto 2015 L’EPOPEA FEMMINILE PER ENTRARE IN MEDICINA Aristotele, il grande filosofo che non conosceva le donne Le considerava esseri inferiori e il suo pensiero influì sulla cultura occidentale. L’esercizio della professione fu negato per secoli. Alti e bassi dall’Egitto alla Grecia all’Impero Romano e al Medioevo. Pur di praticare l’attività ci furono studentesse che si travestirono da uomo. E solo a metà ‘800 vennero legalizzate di Franco Orlandi Gli ostacoli che non hanno permesso nei secoli, non dico una corretta o importante, ma almeno accettabile affermazione del ruolo della donna nella medicina, sono stati vari e gravosi, confermando alterne fortune o possibilità. Oppure scaltrezze di vario genere come nel caso di tre donne di cui ho trovato notizie. Gaio Giulio Igino, scrittore dell’Impero romano, racconta che nel IV sec. ad Atene era vietata alle donne lo studio e la pratica della medicina, per cui molte donne per pudore morivano di malattie agli organi di riproduzione o di parto. Una ragazza di nome Agnodice riuscì, travestendosi da uomo, a seguire gli studi di ostetricia con il famoso medico Erofilo. Nella sua pratica, che esercitò brillantemente, fu scoperta e condannata sia perché donna, sia perché esercitò sotto falso nome e solo l’intervento delle matrone aristocratiche contro i giudici le permisero di scampare alla pena e di riprendere ad esercitare la professione medica, solo però verso le donne. James Stuart Barry agli inizi dell’800 divenne un famoso chirurgo militare, arguto e capace, fino ad essere nominato ispettore generale degli ospedali canadesi. Fu però criticato per la sua bassa statura, la voce dai toni acuti e un modo di fare femmineo. Solo dopo la sua morte si scoprì che in realtà non era che Miranda Barry, una signora che per diventare medico si era travestita da uomo; nella società dell’epoca in Gran Bretagna era negata alla donna l’esercizio della medicina, figuriamoci nel settore militare! Il suo dossier sparì misteriosamente. Gastone Lambertini (1902-1994), prestigioso medico, narrerà nei suoi scritti di una ragazza di nome Giuliana di San Giovanni in Persiceto che, travestita da uomo, assisteva alle lezioni di Raimondo dei Liuzzi noto con il nome di Mondino dei Liuzzi figlio di uno speziale nato a Bologna nel 1270 e morto a Bologna nel 1326. Il pensiero filosofico, nel periodo greco, in particolare con Aristotele e la sua scuola, distingueva l’elemento femminile, che comunque si riconosceva facente parte del genere umano, come una componente successiva a quella maschile e degradata, imperfetta e manchevole. Dal cervello al numero delle suture craniche, passando per le caratteristiche della voce e alla massa muscolare, tutto denotava uno stato di debolezza tipico di una creatura inferiore. La donna era considerata dotata come il fanciullo di “un’anima senza autorità”, di cui ne è munita, a differenza del bambino, per tutta la vita. Quindi la donna è incapace di raggiungere la perfezione. Nella generazione della specie umana il corpo femminile è una anomalia che reca con sé il sigillo dell’impotenza perché materia sorda e senza forma e nascere donna è considerato un prodigio mostruoso. Nell’immaginario degli antichi la donna si presentava come una creatura che riassume- Franco Orlandi Cardio Piemonte - 33 Curiosità La Scuola Medica Salernitana così come appare in una miniatura del Canone di Avicenna. L’immagine rappresenta la storia leggendaria di Roberto, duca di Normandia. Ferito mortalmente da una freccia, fu salvato eroicamente dalla moglie che ne succhiò il veleno come era stato prescritto dai medici di Salerno. N. 2 maggio/agosto 2015 va in sé i caratteri della passività e dell’incompiutezza, rappresentando un’anomalia che rientrava nei piani della natura, per rendere durevole la distinzione tra maschi e femmine funzionale alla trasmissione della specie. Sappiamo dell’influenza che ha avuto Aristotele nel pensiero occidentale e nonostante i lunghi secoli di avversione nei riguardi delle donne, queste ultime hanno fatto scienza, come continuano a fare in modo sempre più numeroso (la presenza femminile nel mondo del lavoro medico stenta a crescere dallo 2,5% del 1900 al 4,4% del 1930 per passare allo 6,8% del 1960 e per concludere con il 20,7% del 1995). Ne abbiamo testimonianza, nelle figure mitologiche, agli inizi del pensiero occidentale con l’opera di Omero. Agamede, figlia del re degli Epei, nell’Iliade, assisteva i feriti sul campo di battaglia nella piana di Troia e viene presentata come un vero medico che conosceva numerosissimi rimedi. Anche la famosa Elena, causa della guerra di Troia, era una guaritrice che studiò medicina in Egitto con Polidamna ed in questa terra anche le donne praticavano la professione medica avendo frequentato le scuole di medicina a Sais ed Eliopoli. Omero spiega nell’Odissea che in terra d’Egitto tutti erano medici perché discendevano da Pèone, il medico degli dèi. Alcuni papiri egizi riportano questioni mediche inerenti la ginecologia, specialità più praticata dalle donne, le quali effettuavano parti cesarei, operavano tumori e curavano fratture. Nell’antica Grecia anche se le donne erano discriminate nell’attività dell’arte medica (ammesse agli studi solo a 34 - Cardio Piemonte Cnido sulla costa dell’Asia Minore), il famoso Ippocrate conosceva bene i rimedi fitoterapici scoperti da antiche guaritrici. Tra tutte emerge Artemisia di Caria, potente regina e condottiera del IV-V sec. a.C. dell’antica Grecia che conosceva le proprietà terapeutiche di moltissime piante officinali. Nell’Impero romano la scienza medica era aperta anche alle donne seppur non raggiunsero una condizione professionale pari a quella degli uomini. Plinio il Vecchio ricorda Salpe di Lemno, esperta in oftalmologia e Olimpia di Tebe, ginecologa. Con Galeno collaborava Antiochis, specializzata nelle artriti e nelle malattie della milza. A Roma nel 162 a.C. vi erano circa un milione di abitanti; si potevano trovare duemila tra medici e guaritori, centocinquanta levatrici che aiutavano nel parto e fungevano da medici per le donne. Erano le donne a praticare la medicina per le donne ma fu un uomo, Sorano di Efeso, a scrivere il primo trattato, “sulle malattie delle donne” ove si affrontava con metodo formale l’ostetricia. Dopo l’avvento del cristianesimo e la caduta dell’Impero romano la medicina e la chirurgia si fossilizzarono nell’ortodossia galenica e sempre più divennero appannaggio della struttura clericale e monastica. Qui le donne potevano trovare il loro spazio. Ne è esempio la storia di Ildegarda di Bingen (1098-1170), monaca benedettina che scrisse a cavallo tra il 1150-60 il “Liber subtilitatem diversa rum creatorum”. Nell’alto medioevo l’esercizio della medicina fu libero, i più dotti erano semplicemente apprendisti od inservienti di medici; in questo mondo confuso di praticoni e guaritori si potevano rintracciare delle figure femminili quali le “medichesse”. Nelle congreghe mediche e chirurgiche di “norcini”, “precini”, “ciarlatani” o “ceretani” non si trova traccia di nomi femminili. Nell’XI sec. nasceva la Scuola Medica Salernitana, la prima e la più importante istituzione medica d’Europa. In essa trovarono rifugio la medicina ebraica e araba che stavano giungendo in occidente, ove rifulgerà una figura di donna medico, Trotula de Ruggero. Secondo alcuni fu uno pseudonimo sotto cui si nascondevano sette donne medico, la cui esperienza è raccolta nel “De mulierum passionibus ante, in e pospartum”, ove è illu- Curiosità N. 2 maggio/agosto 2015 strata la sutura del perineo che dimostra competenze di carattere chirurgico. Secondo altri, era invece esistita realmente una persona chiamata Trotula, della famiglia De Ruggero. Si narra che nel 1059 Rodolfo Maladorna andando a Salerno incontrò Trotula “sapientem matronam”. Le è attribuito il “De morbis mulierum et de loro cura”, il cui contenuto è molto razionale per l’epoca e influenzerà l’ostetricia per alcuni secoli. Nel 1213 il decreto di Federico II di Hohenstaufen stabiliva che nessuno poteva chiamarsi medico o chirurgo senza avere gli studi necessari: “statuimus ut nullus in medicina vel chirurgia nec magisteri nomen assumano si nullus studeat in medicinale scientia”, ma per affrontare gli studi medici era necessario conseguire il titolo di chierico, prerogativa ecclesiale e maschile. Stupisce trovarsi in presenza di figure femminili in un periodo in cui per legge l’esercizio della medicina era vietato alle minoranze, donne ed ebrei, ma le regole erano a volte infrante e in Francia accanto ad un Astrugus Surgicus, capo di una dinastia di chirurghi, troviamo la moglie Fava Surgica, anch’essa chirurga. I secoli XVII e XVIII videro ancora generalmente gli uomini prendere di mira con sottile ironia o dichiarato dileggio coloro che tra le donne si interessavano di guarigione e salute. Qua e là emersero però figure femminili di tutto rilievo come quella di Mary Wortley Montagu, elegante e coraggiosa signora inglese che nella prima metà del Settecento condusse importanti esperimenti sul vaiolo e tenaci battaglie in nome dell’emancipazione femminile. Nel 1800 era presente in Europa un movimento di pensiero che voleva dimostrare sulla base di supposte leggi scientifiche, come le donne fossero biologicamente e intellettualmente inadatte all’attività scientifica. Dobbiamo attendere sino al 1847 perché una donna, Elisabeth Blackwell, poté sedersi su un banco di una scuola di medicina, il Geneva Medical Institute di New York. Da quel momento iniziò l’avventura delle donne negli studi della medicina che vide realtà differenti fra i diversi stati europei e negli Stati Uniti. Qui, nel 1864, Rebecca Lee, la prima donna medico di colore ricevette il suo diploma dalla New England Female Medical college di Bo- ston. Proprio quando moriva Miranda Barry nel 1865 (quel dottor James Stuart di cui ho scritto sopra), Elizabeth Garret Anderson, già infermiera al Middlesex Teching Hospital, completava i suoi studi di anatomia e chirurgia. Ebbene, ogni qual volta superava con successo i suoi esami, le veniva consigliato di non comunicare a nessuno i brillanti risultati ottenuti. Quando, nel giugno del 1861, un illustre docente pose agli studenti delle domande cui solo Elizabeth seppe rispondere, gli uomini presenti le chiesero di abbandonare l’aula. Fu quindi bandita dalle altre lezioni ed espulsa dall’Ospedale di Londra. Riuscì ugualmente ad intraprendere la carriera di chirurgo e lavorò a fianco di Sophia Jex-Blake (dottoressa inglese e principale sostenitrice per l’educazione medica delle donne), nella “battaglia di Edimburgo”: un gruppo di donne tentò l’ammissione alla Scuola di medicina di Edimburgo organizzandosi in un percorso formativo appositamente studiato per loro. Sfortunatamente furono più brave degli uomini e così i loro colleghi, considerandole una minaccia, le denunciarono per frode. In tribunale, e poi in appello, le donne persero. La maggior parte del gruppo si trasferì in Svizzera per laurearsi a Berna e tornò qualche anno dopo in Irlanda, dove fondò una propria Università, la «London School of Medicine for Women». Finalmente l’ordine dei medici irlandesi si arrese e decise di ammetterle all’esame di abilitazione. L’obiettivo fu raggiunto e costituì solo una battaglia di una guerra molto lunga e combattuta a prezzo di notevoli sacrifici. Queste lotte continuano ancora oggi? Questo articolo mi è stato possibile scriverlo grazie alle relazioni di due conferenze: una tenuta da Dalila Patrizia Greco, responsabile di chirurgia dell’Ospedale Niguarda di Milano; l’altra da Corrado Petrocelli, Magn. Rettore dell’Università di Bari. Ringrazio entrambi. Elizabeth Blackwell" di Fotografo sconosciuto - National Library of Medicine. Con licenza Pubblico dominio tramite Wikimedia Commons Cardio Piemonte - 35 N. 2 maggio/agosto 2015 AI NOSTRI GIORNI TRIONFA IL GENTIL SESSO Il tempo della rivincita Nell’ultimo decennio sovrastati i maschi tra gli iscritti e i laureati. Alla base del successo motivi economici e sociali più il fattore "grinta". Il dottor Comandone (Accademia di Medicina): «L’area medica è il loro regno. E i quiz premiano l’intelligenza femminile» di Michele Fenu Dopo aver letto il piacevole e documentato articolo di Orlandi sulle donne e la medicina nella storia ho trovato l’ennesima conferma di quanto sia stato difficile per il genere femminile affermarsi e conquistare un posto di parità nella società e nelle professioni. Salvo qualche eccezione luminosa, è accaduto in ogni settore della nostra civiltà, come sapete, e spesso le donne hanno dovuto rimanere nell’ombra, limitandosi a pilotare sapientemente maschi assai inferiori sul piano intellettuale. Ma non è il caso adesso di inoltrarsi sui perché o di abbandonarsi ad analisi che sono già state illustrate in libri e articoli. Preferiamo domandarci come appare la situazione oggi. Bene, in questo Terzo Millennio essa è profondamente mutata. Basta avere qualche malanno più o meno serio e dover ricorrere alle cure della medicina per rendersene ampiamente conto. Troviamo le donne in prima linea e, con maggiore o minore presenza, in ogni area del sapere clinico. Ne vedrete di meno in ortopedia per la fisicità che occorre in tale settore ma, ad esempio, in pediatria o cardiologia oppure in oncologia sono in numero impressionante. Il grande filosofo greco Aristotele (vedi quanto Iscritti alla Facoltà di Medicina 36 - Cardio Piemonte scrive Orlandi) sarebbe sconvolto. La notizia più eclatante è che questa scalata femminile non è soltanto frutto di impressioni, ma poggia su dati precisi. Che rivelano, secondo quanto l’Università di Torino ha gentilmente comunicato a Cardio Piemonte, come il numero degli iscritti e dei laureati veda nell’ultimo decennio e nei primi mesi di aprile una netta predominanza delle donne sugli uomini. Potete dare un’occhiata alle tabelle che vi proponiamo, qui, per non imbottirvi di cifre, ci limitiamo a segnalarvi che nel 2005/2006, su tremila iscritti, 1.750 erano donne e nel 2013/2014, su 3.973, si era a quota 2.223; nel 2005 le laureate furono 168 su 303 e nel 2014 la bellezza di 228 su 385. Un fatto di passione, di capacità, di maggiore applicazione allo studio? Anche, naturalmente, ma alla base esistono una serie di motivazioni precise, che rivestono fattori di varia natura, come emerge dalle conversazioni che abbiamo avuto con alcuni operatori del mondo maschile e femminile della medicina. Più o meno sono tutti d’accordo, a partire dal nostro vice presidente Sebastiano Marra, a porre soprattutto in risalto gli aspetti sociali ed economici. N. 2 maggio/agosto 2015 Laureati in Medicina e Chirurgia Sempre sottolineando che parliamo in termini generali, le donne, e lo notiamo in ogni campo, vogliono emergere, hanno più grinta, si impegnano con particolare determinazione. I secoli bui hanno lasciato il segno. Si tratta soprattutto di una sfida di carattere personale, di una competizione che non mira fondamentalmente ad assumere posizioni di particolare prestigio, pur se, grazie al proprio talento e alla propria professionalità, si possono raggiungere importanti riconoscimenti. Ma bisogna anche dire che ai nostri giorni la professione medica, come altre (penso al giornalismo), non ha più il carisma di una volta e che rischia di porne i protagonisti davanti a seri e complicati rischi di natura legale. Si veda la diffusione delle assicurazioni. C’è poi il fattore economico. Un giovane che punta a una posizione in grado di assicurargli un certo benessere e a formarsi una famiglia ha il timore (o la ragionevole certezza) di avere davanti a sé una navigazione lunga e difficile prima di arrivare in porto. Salvo casi abbastanza rari, un medico, mi spiegano, conquista un posto di peso nella sua carriera intorno ai 45-48 anni. Una ragazza si pone in minor misura questo problema. Entrare nella professione è di per sé un riconoscimento di valore. Il dottor Alessandro Comandone, presidente dell’Accademia di Medicina, aggiunge un elemento di discussione interessante. L’Accademia, istituzione fondata nel 1819, è un punto di riferimento per chi lavora nel settore e svolge una serie di iniziative volte a promuovere la cultura medica. Afferma: «Consideriamo il numero dei candidati che superano i test di ammissione a medicina. Si nota che le studentesse riescono meglio dei colleghi maschi. Perché? Al termine di un ampio dibattito si è convenuto che probabilmente la spiegazione va ricercata nel tipo stesso delle prove, articolate come quiz con più risposte. Preparazione dei candidati a parte, tali quiz sembrano più adatti all’intelligenza femminile, che sa cogliere con maggiore efficacia le sfumature e intuire la soluzione corretta alle domande. L’uomo, senza voler banalmente generalizzare, è più portato per sua natura a rispondere o bianco o nero». A questo punto ci pare pertinente domandarsi dove si registra una più consistente presenza femminile. Le tre grandi aree di attività sono, per sommi capi, i servizi, come laboratorio, anatomia patologica, direzioni sanitarie; la medicina in senso lato, e cioè medicina interna, cardiologia, oncologia, più pediatria e anestesiologia; infine, la chirurgia, che riguarda un vasto spettro di interventi, alcuni delicatissimi come i trapianti o le operazioni sul cuore, e che comprende branche come l’oculistica o l’ortopedia. «Il regno femminile – spiega Comandone – è quello dell’area medica, con una presenza importante nella pediatria per evidenti motivi e nella anestesiologia, nella quale per la struttura stessa del lavoro una professionista ha più facilità nell’organizzare una vita familiare. Anche la biologia molecolare e la ricerca di base sono un campo validissimo per le laureate, che possono far valere doti tipiche come la precisione e l’ordine». Detto ciò, quello che conta veramente in ogni settore è la capacità dell’individuo, senza alcun riferimento al sesso. Sono finiti i tempi in cui una donna doveva travestirsi da uomo per accedere al mondo della medicina ed esercitare la professione. Dottor Alessandro Comandone, presidente dell’Accademia di Medicina Cardio Piemonte - 37 Medicina & Storia N. 2 maggio/agosto 2015 STORIA. UN PROBLEMA NON NUOVO PER LA MEDICINA Quei falsi malati di ieri e oggi Molte persone si preoccupano per la presenza di alcuni sintomi ritenuti di origine cardiaca. Già negli Anni ’30, come si nota in articolo de "La Stampa", la situazione veniva chiarita da un’attenta valutazione clinica. Ora con l’aiuto della tecnologia la diagnosi è rapida e sicura di Erennio Rosettani Prof. Erennio Rosettani Nella quasi totalità dei pazienti che si presentano al proprio medico curante o spesso al Pronto Soccorso con il timore di avere qualche problema a carico dell’apparato cardiovascolare, è di solito la comparsa recente di sintomi che attrae la loro attenzione e provoca nello stesso tempo uno stato di continua apprensione. Un dolore al petto, un’improvvisa palpitazione, un senso di affanno o di fatica a respirare, sono i sintomi ormai comunemente ritenuti di possibile origine cardiaca. Il medico o il cardiologo moderno, con lo studio clinico e grazie alla ricca disponibilità di metodi d’indagine strumentale possono in breve escludere la presenza di una cardiopatia. Tuttavia in molti soggetti con particolare quadro ansioso, la ricorrenza della sintomatologia genera una “inguaribile preoccupazione di essere malati di cuore”. Dovrei ora descrivere come si presenta il quadro clinico di questo tipo di pazienti, ma preferisco offrire ai lettori la copia di un articolo, scritto da un anonimo “Dott. V.”, comparso su “La Stampa” di Torino, giovedì 7 Marzo 1935, scoperto nel mio continuo curiosare sulla Cardiologia Piemontese del passato. Un titolo eloquente e la testimonianza di come una buona conoscenza della fisiopatologia cardiovascolare ed una attenta valutazione clinica avessero già individuato queste pseudo cardiopatie, senza l’attuale supporto diagnostico-strumentale, purtroppo di frequente “impiegato a scopo terapeutico”. LA MEDICINA I Falsi Malati di Cuore LaStampa 07/03/1935 numero 57 pagina 6 Sovente negli ambulatori si presentano persone, le quali intendono consultare il medico per supposte malattie di cuore e seguono con evidente apprensione tutte le indagini che il professionista esegue per rintracciare i possibili segni obbiettivi di tali sospettate lesioni car- 38 - Cardio Piemonte diache. Tali soggetti, quando il responso riferisce le loro sofferenze ad altre cause estranee al cuore, non sembrano lì per lì persuasi e, mentre un certo senso di naturale soddisfazione dovrebbe pervaderli, cercano di riscontrare nell'espressione del viso del medico qualche reticenza, qualche pietosa simulazione. Si tratta di «falsi cardiaci», la cui sintomatologia soggettiva a carico dell'organo della circolazione può dipendere da cause svariate. Tra queste sono, senza dubbio, predominanti quante traggono origine dall'apparato dige- Medicina & Storia N. 2 maggio/agosto 2015 rente. Certamente il loro rilievo come provocatrici esclusive dei disturbi funzionali cardio-vascolari non è sempre di assoluta facilità; talora anzi la diagnosi si presenta delicata e soltanto attraverso ad accurata valutazione di ogni circostanza e magari ad un breve periodo d'osservazione essa può essere posta con sicurezza. E' perciò che senz'altro bisogna premettere che l'apprensione dei soggetti in parola, sino ad un certo punto almeno, è giustificata e peggio sarebbe se accadesse che taluni attribuendo a banali fenomeni gastrici i loro disturbi cardiaci trascurassero vere alterazioni dell'apparato circolatorio. Del resto... anche le sindromi gastro-intestinali meritano un'opportuna cura! Vi sono, cosi, individui i quali di tanto in tanto sono sorpresi da un affanno di respiro, che si accentua un po' sotto gli sforzi, ma che maggiormente si evidenzia in seguito ai pasti; si tratta per lo più di forti mangiatori o di bambini che divorano con enorme rapidità i pasti. Questa dispnea di cui si lamentano sovente si attenua o scompare dopo qualche eruttazione; ma non di rado è quasi permanente, con esacerbazioni accessuali, specie durante la notte. L'individuo colpito accusa una vera sete d'aria, gli pare addirittura di asfissiare, mentre il suo polso si fa piccolo, un senso di freddo invade le sue estremità. Più impressionante è la sintomatologia che colpisce altri individui e che ricorda assai da vicino quella dell'angina di petto. Domina allora il quadro un forte dolore costrittivo al cuore, con irradiazioni verso la parte alta del torace ed il braccio sinistro; esso è, però, alquanto meno intenso di quello chi suole presentarsi nell'angina pectoris e d'altronde tende ad assumere il carattere di peso sottomammario e permette ogni movimento. Senza dubbio l'insorgere di un tale dolore provoca una terribile apprensione specialmente in coloro che per lettura di opere di volgarizzazione medica o per sentito dire hanno un Cardio Piemonte - 39 Medicina & Storia N. 2 maggio/agosto 2015 vago concetto del modo di estrinsecarsi e della gravità della vera angina di petto. In altri «falsi cardiaci» è l'aritmia accessuale del polso che talvolta richiama la loro attenzione, oppure è un acceleramento insolito od un anormalo rallentamento dei battiti del cuore. Sono da ricordarsi ancora certe forme di palpitazione, che insorgono per lo più per crisi, o dopo i pasti od anche mentre l'individuo sonnecchia, specie se sdraiato sul fianco sinistro, ed è allora svegliato di soprassalto. Talora le manifestazioni funzionali circolatorie si palesano sotto forma di reazioni vasomotorie: il soggetto, specialmente durante la digestione, è colto da vampe di calore o da leggeri svenimenti, con profuse sudorazioni; altre volte è al mattino al risveglio che l'individuo ha un senso di vertigine che si accentua appena si alza in piedi. Alla base di questi disturbi, quando naturalmente sta esclusa ogni causa organica direttamente riferibile all'apparato cardiovascolare, sta sovente una forte dilatazione dello stomaco, anormalmente disteso, come avviene nei cosidetti mangiatori d'aria, cioè in quegli individui che parlando o mangiando deglutiscono grandi quantità d'aria. Talora non è lo stomaco, bensì il colon che è abnormemente rigonfio di gas. Sia l'uno o l'altro viscere, certo la loro distensione può essere così voluminosa da solleva- 40 - Cardio Piemonte re la cupola del diaframma, di quel muscolo piano ed elastico che a guisa di volta separa la cavità addominale da quella toracica. A sua volta il diaframma sollevandosi spinge in alto anche il cuore. Ma se ci si domanda come mai non in tutti gli aerofagi (mangiatori d'aria) si presentano simili disturbi, che d'altronde possono restare muti anche in seguito ad insufflazioni d'aria nello stomaco a titolo sperimentale, viene da pensare che altri motivi siano da chiamarsi in causa. Si invoca così l'irritazione riflessa partita da eventuali lesioni della mucosa gastrica o lo stiramento del plesso nervoso dello stomaco fortemente abbassato. Anche gli alimenti hanno notevole importanza, tanti ve ne sono che, pur sembrando innocui, in certe persone sono capaci di scatenare vere crisi gastriche con ripercussioni più evidenti sul cuore. Nè va dimenticata l'eventuale concomitanza di altri fattori, repertabili soprattutto nella disfunzione di ghiandole a secrezione interna, come si rileva, ad esempio, in certi momenti della vita della donna. Come punto essenziale, ad ogni modo, starebbe la lesione dello stomaco, che attraverso un arco riflesso, mediante il sistema nervoso vegetativo agirebbe sull'apparato circolato- rio, dando ora acceleramento dei battiti, ora rallentamento a seconda della sezione, simpatica o vagale, di tale sistema nervoso che viene eccitata. Se non in tutti gli indivdui la reazione alla stessa causa è eguale, gli è che anche il cosidetto terreno neuropatico ha un'evidente importanza. II medico accorto non si stancherà mai, però, di scrutare se non coesista pure un terreno per così dire cardio-vascolare, in cui cioè cuore e vasi pur essendo sani hanno in germe una certa debolezza, tale da rispondere con reazioni esagerate a stimoli insignificanti per un individuo normale. Lo studio della cardiologia, che in Italia ha numerosi e valenti specialisti, ha assunto in questi ultimi anni una estensione vasta anche per l'introduzione in clinica dell'elettrocardiografo. Per riunire in un unico sforzo le ricerche scientifiche di tanti cultori di una branca sì importante della medicina, si è di questi giorni costituito il «Gruppo di cardiologia», che terrà prossimamente una riunione nazionale. Dott. V. © La Stampa - Tutti i diritti riservati N. 2 maggio/agosto 2015 In campo con la nostra Onlus ASSEMBLEA SOCIALE, LE NOVITÀ Il presidente Danielis: un particolare grazie ai volontari Ai primi di maggio, presso la Circoscrizione 8 di Torino, si è svolta l’Assemblea Sociale Ordinaria degli Amici del Cuore Piemonte Onlus, cui hanno preso parte 91 soci (48 le deleghe) con la partecipazione del vice Presidente Sebastiano Marra, che ha analizzato il lavoro dei volontari (se ne parla a parte nell’Editoriale) e la gradita presenza della dottoressa Gabriella Agnoletti. Il Presidente Danilo Danielis ha illustrato la situazione della nostra associazione, toccando i vari punti all’ordine del giorno, che sono stati approvati all’unanimità. In particolare, l’importo di € 25 della quota associativa con il termine del rinnovo al 31 agosto e i limiti per il rimborso spese dei volontari. Lo Statuto prevede che il loro lavoro sia completamente gratuito ma la convenzione che abbiamo con l’ospedale Molinette ci permetterà di rimborsare i costi degli spostamenti. Si porterà questo ordine del giorno in Consiglio Direttivo con la proposta di deliberare € 1.700/ anno per rimborsare le spese di viaggio e i buoni pasto ospedalieri. Il Presidente ha poi portato all’attenzione dei soci il bilancio 2014, il budget 2015 e la relazione allegata al bilancio, firmata dai Revisori dei Conti Michele Falanga e Giuseppe Mamoli, commentando le voci attive e passive dello Stato Patrimoniale 2014 chiuso con disavanzo è di € 49.000. Danielis ha analizzato le voci del budget 2015 sottolineando come le cifre di previsione siano molto “prudenti” ma stimolanti da realizzare. Ad esempio, questo numero di Cardio Piemonte cresce nel numero delle pagine e viene stampato in 7.500 copie. Infine, il tema dell’assicurazione che la Onlus stipula per i volontari: ci copre sino a 85 anni, compresi gli incidenti in itinere, cioè per il viaggio da casa al posto di volontariato. Da definire con l’URP ospedaliero quali sono i termini dell’assicurazione dell’ospedale nei confronti dei volontari. E qui val la pena di ricordare come le ore di attività siano salite dalle 4.378 del 2008 alle 6.918 dello scorso anno con presenza nel- la Cardiologia 2 del dottor Marra, nella 1 del prof. Gaita e nella Cardiochirurgia del dottor Rinaldi e il numero dei soci cresciuto nello stesso periodo da 179 a 405 (412 al 4 maggio 2015). A chiusura dei lavori il Presidente, rimarcando come la missione della nostra Associazione sia la prevenzione, ha invitato i soci a fidelizzare le persone che incontriamo perché ci sostengano con donazioni e manifestazioni atte a raccogliere fondi al fine di estendere la nostra principale funzione. Un grazie ai volontari per la loro preziosa attività, al responsabile di Cardio Piemonte, alle coordinatrici dei volontari Renate Heissig e Rita Porta che hanno sostituito Caterina Racca e ai coniugi Guglielmo Moretto e Luisella Chiara che gestiscono con passione il Banchetto della Salute. (C. G.) Cardio Piemonte in giro per l’Europa portando il messaggio degli Amici del Cuore La nostra nuova socia, l’ing. Elena Bosio, ha distribuito copie della rivista in Svizzera, Austria e in molti altri Paesi dove l’attività della sua azienda e il ricordo del padre, inventore del primo cuore artificiale, sono ben presenti. E’ anche un segno dell’apprezzamento della qualità di Cardio Piemonte e dei suoi collaboratori nel quadro delle attività di prevenzione della Onlus. Forza, è con i piccoli passi che si cresce e siamo cresciuti tantissimo. E.Z. Cardio Piemonte - 41 N. 2 maggio/agosto 2015 AMICI DEL CUORE PIEMONTE ONLUS Bilancio consuntivo dell'esercizio 2014 PREVENZIONE PRESSO LE FARMACIE COMUNALI Il prezioso collegamento tra gli Amici del Cuore e le farmacie si allarga per raggiungere una parte sempre più vasta della popolazione. Da alcuni mesi le nostre giornate di prevenzione si sono estese anche alle farmacie comunali di Torino. Sono già state visitate la n° 11, la n° 28 e la n° 45. Gli incontri hanno riscosso un buon numero di adesioni e a breve ne saranno programmati altri. Farmacia Comunale 11 Farmacia Comunale 28 Farmacia Comunale 45 42 - Cardio Piemonte PIEMONTE ONLUS Associazione di volontariato per la prevenzione delle malattie cardiovascolari Da spedire a: A.O.Città della Salute e della Scienza di Torino - CARDIOLOGIA 2 C.so Bramante, 88 - 10126 TORINO Tel. 011.633.55.64 - Cell. 346.1314392 SCHEDA ISCRIZIONE A SOCIO Il sottoscritto/a: Codice Fiscale: Nato a il Residente a Via/corso/piazza: CAP: Telefono: Cellulare: E-mail: Chiede di poter far parte come Socio/a della Onlus e provvede a versare l’importo di Euro……………………. Quale socio: (socio ordinario € 25 - socio sostenitore € 100+25 - socio benemerito, sopra i € 500+25) Verso la quota in: contanti con bonifico bancario Banca Prossima - IBAN IT44P0335901600100000115399 er conto corrente postale n. 19539105 p Intestato a : AMICI DEL CUORE PIEMONTE ONLUS - Cardiologia 2 - C.so Bramante, 88 - 10126 TORINO N.B. Il versamento della quota per donazione deve essere effettuato a mezzo bonifico bancario Firma Data CONSENSO AL TRATTAMENTO DEI DATI AI SENSI DEL CODICE SULLA PRIVACY D.L.196/03 Apponendo la firma in calce al presente modulo, manifesto il mio consenso al trattamento dei dati, nel solo ambito delle finalità e modalità dell’attività sociale dell’associazione. Autorizzo il Presidente a informatizzare il mio nome nell’elenco Soci, che non verrà comunicato a terzi, fuori dall’ambito della stessa associazione. Mi riservo di tutelare i miei diritti, in ogni momento, qualora tale disposizione non venga osservata. Firma CUORE: CONVEGNO MONDIALE A TORINO Da Capitale dello Sport a Capitale del Cuore. Torino si appresta a ricevere con le XXVII Giornate Cardiologiche studiosi, ricercatori e clinici di tutto il mondo. È un appuntamento ormai tradizionale, in programma il 23 e 24 ottobre presso il Centro Congressi dell’Unione Industriale. Diviso in due sezioni, sotto la regia del Prof. Fiorenzo Gaita e del Dott. Sebastiano Marra, Direttori delle Cardiologie Universitaria e Ospedaliera nella Città della Salute e della Scienza, il congresso è dedicato alle “Advances in Cardiac Arrhythmias” e “Great Innovations in Cardiology”. Il Comitato Scientifico si avvale della presenza degli americani Malcolm Bell e Amir Lerman, esponenti illustri della Mayo Clinic di Rochester, con cui Torino ha da tempo fruttuosi rapporti, il tedesco Martin Borggrefe, il francese J.-F. Leclercq e lo svizzero Dipen Shah. Numerosi i temi sul tappeto, toccando medicina, scienza, tecnologia e ricerca. In primo piano la prevenzione.