Untitled - Simone Gianolio

Transcript

Untitled - Simone Gianolio
archeologia virtuale: la metodologia prima del software
Comitato Scientifico: Simone Gianolio, Sofia Pescarin, Davide Borra,
Andrea D’Andrea, Fabio Remondino
Redazione: Simone Gianolio
Realizzazione grafica della sovracoperta: Alfredo Corrao
L’edizione cartacea del volume è pubblicata da:
© 2012 – Espera s.r.l.
Editoria e Servizi per Archeologi
Via Fulvio Palmieri, 4
00151 Roma
[email protected]
www.archeologica.com
Contattare la Libreria Archeologica di Roma per l’acquisto del volume al prezzo di €26
1° edizione
ISBN 9788890644313
Il volume viene distribuito in versione cartacea ed elettronica secondo la licenza Creative Commons, Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 3.0 Unported. Il
lettore è libero di: riprodurre, distribuire, comunicare ed esporre in pubblico quest’opera, a condizione che il suo contenuto non venga alterato o trasformato, che venga attribuita la paternità dell’opera al curatore del volume e ai singoli autori dei contributi, e
che l’opera non venga utilizzata per fini commerciali.
2
ARCHEOLOGIA VIRTUALE
LA METODOLOGIA PRIMA DEL SOFTWARE
Atti del II Seminario
Palazzo Massimo alle Terme
(Roma, 5-6 aprile 2011)
a cura di
SIMONE GIANOLIO
3
4
INDICE
Indice .............................................................................................................. 5
Introduzione ................................................................................................... 7
D. FERDANI-F. OLARI-F. MALARAGGIA: Laus Pompeia tra spazio reale
e spazio virtuale ....................................................................................... 13
V. FIASCONARO-S. GUIDUCCI: Il progetto ARAS ......................................... 23
R. MANGANELLI DEL FÀ-P. PALLECCHI-C. RIMINESI: Il metodo microfotogrammetrico per la catalogazione di reperti archeologici ................. 40
A. ARRIGHETTI-P. GILENTO: Dallo scavo all’edificio: esperienze di
registrazione tridimensionale a confronto ............................................... 49
C. DEL VAIS-V. PINNA-I. SANNA: Tridimensionalizzazione dei rilievi
cartacei e virtualizzazione di un contesto archeologico subacqueo
di età fenicio-punica: il caso della laguna di Santa Giusta (OR) ............. 68
M. MANFRÉ: Misurazioni GNSS e modelli digitali del terreno applicati
allo studio di alcuni centri fortificati d’altura di età preromana .............. 86
D. DEGRASSI-D. GHERDEVICH-S. GONIZZI BARSANTI- G. MONTAGNER:
Itinerari storico-archeologici per la conoscenza del Friuli longobardo ... 95
L. BORDONI-S. PIERATTINI: Esperienze di fruizione virtuale del
patrimonio archeologico ........................................................................ 116
G. SCARDOZZI: Ricerche per la carta archeologica di Hierapolis di
Frigia (Turchia): indagini multidisciplinari integrate per la
ricostruzione di una città antica ............................................................. 131
E. DEMETRESCU: Modellazione 3D, visualizzazione scientifica e
realtà virtuale ......................................................................................... 147
5
A. CORRAO: La documentazione fotografica dei Beni Culturali:
comunicazione e scientificità ai tempi di Google.................................. 154
S. GIANOLIO: Modellazione tridimensionale e modelli digitali 3D in
archeologia ............................................................................................ 178
F. REMONDINO: Introduzione alla fotogrammetria digitale ........................ 190
S. GONIZZI BARSANTI-M. BRAINI: La carta archeologica su supporto
digitale. I casi di Trieste e Cividale del Friuli ....................................... 200
S.G. MALATESTA: @rcheoNet: una proposta di real time-multitasking
archeologico .......................................................................................... 219
G. LAGIONIS: Archeologia Virtuale: il contributo del Conservatore,
Due casi di studio: Villa dei Pisoni – Golfo di Baia (NA) .................... 222
Glossario fondamentale .............................................................................. 227
Tavole ......................................................................................................... 232
6
INTRODUZIONE
L’Archeologia Virtuale è un ambito di studio di interesse relativamente recente, ma ancora non una disciplina di studio. In passato però,
l’Archeologia è stata materia fertile per molte innovazioni in campo tecnologico: si pensi alla fotografia, le prime applicazioni “scientifiche” si
ebbero quasi subito proprio nel settore archeologico, quando verso la metà dell’800 si sentiva il bisogno di documentare i monumenti in modo finalmente oggettivo 1, senza l’intermediazione interpretativa del disegnatore. Durante le due guerre mondiali lo sviluppo della ricerca scientifica
con approcci quantitativi e matematici fu prodromico affinché l’utilizzo
dei computer liberasse i ricercatori dalla computazione manuale a favore
di quella elettronica; l’Univac 1 (UNIVersal Automatic Computer I) della
Eckert-Mauchly Computer Corporation è stato il primo computer commerciale e risale al 14 giugno 1951 (giorno della sua messa in funzione);
l’IBM 701 risale al 1952; tre anni dopo segue l’IBM 704, primo computer “scientifico” della storia; nel 1956 J. McCarthy conia il termine Artificial Intelligence. A partire dal 1960 i computer venivano installati nelle università per favorire le ricerche accademiche: si doveva programmare in Fortran e altri linguaggi “arcaici” i propri algoritmi; intorno alla metà di questo decennio si ebbe l’esplosione della cosiddetta “rivoluzione
quantitativa in archeologia”; gli anni seguenti (1965-1985) sono considerati l’età d’oro per i computer in archeologia2. Nel 1971 l’italiano Federico Fagini per conto di Intel progetta il primo microprocessore (Intel
4004), una invenzione senza la quale il mondo di oggi sarebbe molto diverso. Software come AutoCAD e riviste come Archeologia e Calcolatori
nascono rispettivamente nel 1982 e nel 1989, ben prima della rivoluzione
promossa da Bill Gates con le sue “finestre”. È del 1991 l’espressione
1
2
SALZMANN A., Jérusalem étude reproduction photographiques des Monuments de la
Ville Sainte, Parigi 1856. Ma pubblicazioni archeologiche con il supporto della fotografia risalgono già al 1853-1854.
DJINDJIAN F., “The golden years for mathematics and computers in archaeology” in
Archeologia e Calcolatori 20 (2009), pp. 61-74.
7
Virtual Archaeology3 e del 2000 il termine “Archeoinformatico”4. I tempi
di start-up dunque non sono molto differenti rispetto allo scavo di Nino
Lamboglia presso Albintimilium (anno delle campagne di scavo 19381940, anno di pubblicazione del primo volume 1950), considerato la pietra d’angolo per la cronologia della ceramica romana ed il suo utilizzo
nelle ricerche archeologiche. Dopo oltre 60 anni di ricerche sulla ceramica in archeologia nessuno mette in dubbio l’utilità di questi studi per la
cronologia ed il commercio delle popolazioni antiche, mentre dopo 50
anni di ricerche computazionali in archeologia non è facile trovare corsi
strutturati all’interno delle università, per lo meno italiane. Questa perdurante situazione di assenza di standard metodologici (intendendo per
“standard” lo scavo stratigrafico, ad esempio, una sorta cioè di pipeline o
workflow accettato da tutti nelle sue linee fondamentali), nel florilegio di
applicazioni informatiche legate al patrimonio archeologico che troppo
raramente nascono per impulso di singoli archeologi o istituzioni5, produce, inutile dirlo, un rallentamento negli stessi studi archeologici: per
fare un esempio, solo con l’ausilio di un computer è oggi possibile studiare realmente la statica degli edifici romani6, e solo studiando la statica
si possono acquisire conoscenze avanzate sulla tecnica edilizia. Tuttavia
ancora oggi, al di là di GIS e database più o meno vasti e complessi pensati non di rado per scopi meramente amministrativi, il computer è considerato solo come uno strumento, un restitutore grafico che supporti chi
vuole risparmiare tempo nel preparare adeguate tavole tecniche da allegare al testo. Sono trascorsi un paio di decenni da quando F. Giuliani scrisse che il “modello intellettuale italiano” è afflitto dalla “tara” per cui si è
3
4
5
6
REILLY P., “Towards a virtual archaeology”, in K. Lockyear, S. Rahtz (edited by),
Computer Applications and Quantitative Methods in Archaeology 90, Oxford 1991.
VANNINI G., “Informatica per l'archeologia o archeologia per l'informatica?”, in Archeologia e Calcolatori 11 (2000), pp. 311-315.
O che, quando ciò avviene, rimangono chiuse negli hard disk dei ricercatori in attesa
di, una volta “validate” e pubblicate, essere diventate obsolete e financo incompatibili
con i nuovi sistemi.
SAMUELLI FERRETTI A.,”Proposte per lo studio teorico-sperimentale della statica dei
monumenti in opus caementicium”, in Materiali e Strutture. Problemi di conservazione 7, 2 (1997), pp. 63-84.
8
scelto che l’Archeologia fosse “cultura” nel senso crociano del termine,
realizzando così l’equazione “letterario = cultura di serie A, tecnico =
cultura di serie B (o non cultura)”7. All’interno della stessa informatica
applicata all’archeologia si è pensato che vi fossero programmi/soluzioni
di serie A (GIS, database, ecc.) e programmi/soluzioni di serie B (modellatori tridimensionali et similia). Questo perché sempre il modello intellettuale italiano di cui sopra preferisce parlare di “vicino” piuttosto che
quantificare una distanza: perché 5 metri sono e saranno sempre 5 metri,
mentre “vicino” concede la libertà di interpretazione, talmente libera e
personale che lo si potrà considerare uguale al suo contrario. Ma la trowel per un archeologo è solo un mero strumento da guardare con scetticismo e cautela? Oppure è parte integrante del suo essere archeologo ed estensione fisica del suo braccio nel momento stesso in cui interviene sul
terreno? Il computer al giorno d’oggi così dovrebbe essere considerato:
parte integrante del lavoro sul campo.
Noi archeologi, nel nostro quotidiano, utilizziamo i computer in
qualsiasi occasione, in un mondo oramai completamente digitalizzato,
completamente 2.0, perfino sulla strada del 3.0; quando invece vestiamo
il camice della nostra professione, quasi regrediamo nel lavoro a tempi
lontani da tali conquiste. Nel campo medico, per fare un esempio, gli
“antichi strumenti” sono stati sostituiti da sofisticati macchinari all’avanguardia, appositamente progettati per aiutare i chirurghi ad “entrare” nel
corpo umano sempre più in profondità ed in modo sempre meno invasivo, attraverso i bracci iperprecisi di un robot controllato in remoto tramite il joystick di una console dal nome italiano (DaVinci System, della
Intuitive Surgical e dal modico costo di 1,42 milioni di dollari). Nel nostro campo invece, solo i vestiti ed il colore delle fotografie permettono
di distinguere molti scavi moderni da quelli di fine ottocento8. Così, mentre ai medici viene insegnato ad usare strumentazione ad alta specializzazione ed i migliori sono anche in grado di progettarla (di concerto con
gli ingegneri, s’intende), gli archeologi a fatica nei loro percorsi di studi
universitari riescono a trovare moduli che insegnino la differenza tra GPS
7
8
GIULIANI C.F., L’edilizia nell’antichità, Roma 1998, p. 15.
Esempio portato da A. D’Andrea a conclusione del suo intervento durante il seminario.
9
e GNSS (il lettore provi a rispondere prima di giungere al glossario di base in fondo al libro), per non parlare di sistemi a doppia frequenza e rover
RTK (come prima). Le Università hanno vissuto e stanno vivendo un
processo di licealizzazione sulla scorta di una errata interpretazione del
concetto di accesso libero al sapere (sempre più nozionistico e sempre
meno scientifico), con l’informatica nelle facoltà umanistiche ridotta al
rango di idoneità, di “addestramento all’uso”, quando non equiparata alla
ECDL, con chiara mortificazione del suo ruolo innovatore 9 che tanto ha
migliorato la nostra vita in qualsiasi altro settore del quotidiano. Naturalmente non che si debbano progettare robot da scavo, sia ben chiaro: ma
la difficoltà che trova l’archeologia a passare ad un flusso digitale nel
trattamento delle informazioni generate è in alcuni casi disarmante.
Nell’aprire i lavori del seminario, svoltosi nella prestigiosa sede di
Palazzo Massimo alle Terme in Roma, il prof. Eugenio La Rocca ha ricordato come il considerevole numero dei progetti sottoposti all’attenzione del Comitato Scientifico evidenzi l’attualità di questo argomento nell’ambito delle ricerche archeologiche, e come il loro spaziare in quasi tutti i campi di applicazione dell’informatica applicata all’archeologia fornisca un taglio veramente molto ampio in grado di collegare fra di loro varie discipline archeologiche, come si conviene ad una scienza ancora giovane. Non posso che unirmi personalmente ai suoi saluti rivolti agli amici
e colleghi del VHLab dell’ITABC-CNR, di FBK, di MIMOS, per il loro
supporto tecnico-scientifico, oltreché a relatori e presenti in sala grazie ai
quali è stato possibile un perfetto svolgimento di questo evento sulla metodologia nell’uso delle nuove tecnologie applicate all’archeologia, coniugato in senso scientifico per confrontarsi come ricercatori su queste
tematiche ed in senso didattico per avvicinare ed aprire agli studenti questa “giovane” disciplina affinché si preparino al lavoro sul campo con un
bagaglio tecnico-scientifico completo.
9
DE FELICE G., “Archeologia e informatica: una nuova prospettiva open”, in G. De Felice, M.G. Sibilano (a cura di), ArcheoFOSS, Open Source, Free Software e Open
Format nei processi di ricerca archeologica, Atti del V Workshop (Foggia, 5-6 maggio 2010), Bari 2011, p. 7.
10
L’espressione di Totò che, di fronte la “scala etrusca”, chiese al
“generale austriaco «Per andare dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare?»”, ha fornito allo scrivente un input per l’apertura del Seminario: questa volta si voleva andare oltre le splendide caratteristiche di un
sistema elettronico, le eccezionali performance di un software, gli algoritmi iperveloci o il framework che consente di ricostruire un vaso tridimensionale a partire dai pochi frammenti a nostra disposizione; si è partiti
dall’inizio, cioè dal metodo che tutto può unificare, che può far dialogare
una disciplina umanistica con una disciplina scientifica, quel metodo che
rende valida una ricerca, perché non esistono risultati senza metodo. La
scienza è metodo, dove non c’è metodo, non c’è scienza. Sarebbe come
avere un risultato in matematica ma essere all’oscuro di come quel risultato è stato ottenuto, quali operazioni sono state fatte, quali algoritmi
sono stati utilizzati. Anche per questo motivo e per la trasmissione in
streaming sul web con la possibilità di partecipare via chatlive, il Seminario, benché fosse nella sua prima versione in duplice giornata e si sia
avvalso quasi esclusivamente del social sharing per propagandare la sua
esistenza, ha raccolto in pochissimo tempo oltre 200 richieste di partecipazione in sala e molti contributi sottomessi all’attenzione del Comitato
Scientifico anche per la sessione poster. Sono state più di 300 (per un totale di oltre 700 contatti) le persone che partecipando dal vivo e collegandosi in diretta streaming hanno seguito i lavori.
L’approdo finale di questo percorso sono sia l’integrale registrazione del Seminario visibile online sul web, sia questo volume, ideato
con uno spirito scientifico e diffusivo: non la semplice pubblicazione di
atti, ma un volume che coniughi rigore (tutti gli articoli sono passati attraverso una review gestita dal comitato scientifico) e diffusività; un volume che vuole essere una sede rilevante per i relatori, una fonte di spunti, di interesse, di lettura per pianificare future ricerche da parte di chi comincia oggi ad avvicinare quella che sarà sicuramente una disciplina fondamentale del futuro (starà a noi scegliere se rimanere provinciali nel nostro rifiuto10 o se cogliere la sfida e prepararci ai tempi che verranno).
10
D’ANDREA A., Documentazione archeologica, standard e trattamento informatico,
Budapest 2006.
11
Aver puntato sul metodo prima che sui risultati non voleva essere
un modo per definire degli standard (che, risottolineo, non sono da intendere come processo matematico sempre uguale a se stesso o come “certificazione ISO” ma nel senso umanistico del metodo che rende valido
scientificamente uno studio), compito a cui sono deputati gruppi di ricerca internazionali, ma una sorta di antologia della conoscenza di base, delle forme e delle formule che tanti gruppi italiani (tra i quali rilevanti istituti come l’ENEA ed il CNR) hanno utilizzato con successo e dalle quali
dunque partire come fossero il casello di una lunga autostrada. Da qui la
scelta di rendere questo volume fruibile gratuitamente in download, con
la possibilità di acquistare una copia cartacea presso Espera Libreria Archeologica di Roma che ne cura la stampa tipografica e la diffusione a
scaffale. È in previsione una seconda edizione del testo che tenga in conto alcuni elementi aggiuntivi alla presente pubblicazione ma che sarà rilasciata soltanto in modalità elettronica, contestualmente alla disponibilità
di una versione ePUB, fruibile cioè anche con lettori elettronici di ebook
e mobile device.
Con l’auspicio che questa decisione contribuisca a quella “fertilizzazione incrociata (del virtuale)” di cui grande lezione ha dato Davide
Borra presidente di MIMOS nell’intervento di apertura della seconda
giornata, “quella scelta libera di farsi influenzare positivamente dall’esperienza accumulata (e validata) in altre discipline”, per elevare a più alta qualità la gestione ma soprattutto lo studio dei Beni Culturali.
SIMONE GIANOLIO
12
LAUS POMPEIA TRA SPAZIO REALE E SPAZIO VIRTUALE
Fig. 1 Interfaccia utente dell’applicazione.
IL PROGETTO
Il progetto “Laus Pompeia tra spazio reale e spazio virtuale” è nato
dall’esigenza di rendere fruibile l’importante e sconosciuto patrimonio
archeologico della città romana di Laus Pompeia, localizzata dove ora
sorge il centro urbano di Lodi Vecchio (Lodi).
Tale patrimonio, sebbene ricco di dati e reperti provenienti da indagini archeologiche, ancora oggi non è disponibile al pubblico.
La maggior parte delle evidenze, infatti, sono state rinvenute in occasione di scavi di emergenza o sorveglianze archeologiche, come avviene nel caso di contesti urbani; in mancanza di possibilità di recupero la
maggior parte delle evidenze stesse sono state ricoperte, oppure rimosse
dopo essere state documentate; molti dei reperti rinvenuti sono conservati
in magazzini, in attesa di essere musealizzati.
Date queste premesse, in accordo con la Soprintendenza per i Beni
Archeologici, è nata l’idea di recuperare l’imponente patrimonio di dati
relativi all’antico sito Laudense e renderlo pubblicamente fruibile attraverso uno strumento in grado di raccontare ciò che non è più visibile,
seppur noto e documentato.
L’uso dell’archeologia virtuale come strumento di comunicazione è
sembrato essere il più efficace per tali finalità. Tale disciplina, infatti, permette di unire assieme qualità scientifica del dato archeologico con capacità di trasmissione del sapere: apprendimento, comunicazione e intrattenimento con impatto emotivo e cognitivo.
Essa ci mette in grado di rendere accessibili e comprensibili al
grande pubblico il contenuto culturale riducendo, grazie agli espedienti
grafici e visivi, offerti dalle nuove tecnologie, quella differenza percettiva, di fronte ad un contesto antico, che esiste fra studioso e non addetto
ai lavori.
Infatti, il livello di distruzione apportato alla città romana di Laus
Pompeia nelle epoche successive, che in taluni casi ci ha lasciato solo le
fondazioni se non le sottofondazioni degli edifici1 come è chiaramente
visibile nelle fotografie di scavo, era sicuramente un limite per la comprensione di ogni utente non specializzato in materia. Questa ulteriore difficoltà è stata grandemente superata grazie al confronto immediato tra le
fotografie di scavo e le ricostruzioni tridimensionali che ha dato la possibilità a chiunque di visionare ciò che da solo non era neanche in grado di
immaginare.
“Laus Pompeia”, nasce quindi come alternativa alla visita di siti
che presentano difficoltà o impossibilità d’accesso 2, “… spazio reale e
spazio virtuale” vuole sottolineare proprio la differenza tra quello spazio
reale che non esiste più, che non è accessibile ma soprattutto che non è
1
Su Laus Pompeia vd: JORIO 1993; AA. VV. 2004-2005; CADARIO 2008, pp. 15-28; Notiziario 1988-2006.
2
Sulle problematiche delle visite virtuali come alternativa all’accesso in contesti che presentano impossibilità o problematiche d’accesso si vedano le pubblicazioni del Virtual
Heritage LAB dell’ITABC-CNR e in particolare le pubblicazioni relative all’esperienza nella Cappella degli Scrovegni (cfr. BORRA et alii 2002).
14
Fig. 2 Le fondazioni e le sottofondazioni dell’anfiteatro di Laus Pompeia.
Fig. 3 Ricostruzione tridimensionale dell’anfiteatro di Laus Pompeia.
15
comprensibile, ed uno virtuale che invece ne conserva e ne riproduce tutto il potenziale informativo, anzi lo rafforza grazie al forte impiego dell’immagine, che è il valore aggiunto del “virtuale” il quale ne fa strumento diretto di comprensione.
IL SUPPORTO DIGITALE
Il progetto di Laus Pompeia, nato a scopo divulgativo e didattico,
necessitava di un linguaggio comunicativo adatto ad un vasto pubblico e
di un supporto digitale intuitivo che rendesse assimilabili i contenuti a
chiunque, eliminando qualsiasi possibile differenza culturale, anagrafica
e tecnologica dell’utenza.
In questo caso la scelta è ricaduta sull’impiego di una piattaforma
interattiva scritta in ambiente Flash® e basata su tecnologia touchscreen,
dunque non particolarmente innovativa ma scelta proprio per la familiarità che il pubblico mostra verso questo tipo di applicazioni e per la sua intuitività che rende facile l’individuazione e l’accesso ai contenuti e piacevole la loro consultazione.
La capacità, inoltre, di interagire con i contenuti, la possibilità di
scegliere e di personalizzare la propria visita, offre un ruolo “attivo”, di
partecipazione, dove il contenuto viene scelto in base ai propri interessi e
al proprio background culturale riducendo al minimo il ruolo “passivo”
dell’utente.
Infine per quanto riguarda la presentazione dei contenuti la scelta è
ricaduta su un linguaggio narrativo, basato su racconti, immagini, filmati,
con diversi gradi di approfondimento. Ovviamente sebbene la previsione
del “mezzo” di comunicazione vada prevista a monte del lavoro, l’immagine non è altro che il punto di arrivo del lavoro di ricerca dal quale
essa dipende e basa la sua affidabilità scientifica.
IL FLUSSO DI LAVORO
Il lavoro di realizzazione della mappa è stato affrontato sviluppando alcuni punti chiave.
16
- Analisi dello stato dell’arte e contatti con la Soprintendenza
- Raccolta ed elaborazione dei dati archeologici con la supervisione
dell’ispettore di riferimento della Soprintendenza
- Traduzione dei dati in linguaggio digitale
- Scelta degli strumenti di comunicazione dei contenuti (immagini,
filmati, 3D, ecc.)
- Trasmissione dei contenuti basata su un approccio visuale e narrativo
Dopo l’organizzazione della mostra “Dalla rimozione della memoria alla riscoperta. Indagini archeologiche a Laus Pompeia - Lodi Vecchio” e della relativa pubblicazione, si sentiva il bisogno da parte degli
ambiti culturali locali di uno strumento che offrisse l’opportunità di raccogliere e rendere disponibile il patrimonio archeologico di Laus Pompeia. Inoltre, l’assenza di un museo archeologico e la frammentarietà delle pubblicazioni non consentiva di capire l’importanza della città antica
nella sua totalità.
Per raggiungere lo scopo desiderato, di fondamentale importanza è
stato l’aiuto del funzionario di riferimento della Soprintendenza ai Beni
Archeologici della Lombardia Stefania Jorio; sono stati messi a disposizione, infatti, dati difficilmente reperibili e contributi inediti provenienti
dagli archivi e dalla biblioteca della Soprintendenza.
È stata dapprima raccolta e poi vagliata tutta la documentazione relativa al territorio dell’antica Laus a partire dalle segnalazioni presenti tra
Settecento e Ottocento fino a prendere in esame la carta archeologica
contenente le acquisizioni e i dati scientifici derivanti dalle indagini più
recenti.
In accordo con il funzionario incaricato della Soprintendenza si è
scelto di includere tra i contenuti da sviluppare le informazioni che si potessero localizzare puntualmente sulla mappa, consentendo di creare un’ipotesi dell’intero tessuto urbano dell’antica Laus Pompeia. Questi dati,
inoltre, dovevano essere corredati da un sufficiente livello di documentazione grafica, scientifica e fotografica. Sono stati perciò esclusi diversi
tipi di segnalazioni: notizie o fonti non confutabili e non utilizzabili per
17
la ricostruzione dell’impianto urbano, siti legati a ricerche antiquarie o tradizioni orali oppure ritrovamenti di scarso interesse per il pubblico o di
difficile comprensione.
L’estremo grado di distruzione subito dalla città romana ha reso
molto difficoltoso trovare dati di prima mano (foto, rilievi da scavo) in
grado di essere compresi dal grande pubblico, motivo per cui è stato svolto un lavoro di ricostruzione e ipotesi di resa dei dati tale da poter restituire un aspetto a contesti che, durante le indagini archeologiche, si
presentavano come unità stratigrafiche in negativo, di distruzione o di asporto.
Delle aree selezionate per comporre la mappa interattiva e rimaste
in elenco è stato raccolto tutto il materiale disponibile edito ed inedito. Il
testo è stato rivisitato e riscritto più volte in modo tale da portare il livello
dell’informazione da un piano prettamente tecnico-scientifico ad uno divulgativo ed esplicativo, eliminando inutili tecnicismi per il fine del progetto ma mantenendo sempre il dato scientifico di base per ogni scheda
realizzata. Questo passaggio è stato necessario per poter fornire uno
strumento accessibile anche ai giovani se non addirittura ai bambini. Il
risultato di tutto il lavoro si è tradotto nelle diverse schede dei rinvenimenti archeologici della città che hanno tratto informazioni, come già
detto, da articoli, pubblicazioni e relazioni di scavo accuratamente vagliate.
La stesura dei testi ha seguito un principio basilare, ovvero mostrare spazio e realtà dell’antica Laus solo dove era possibile tradurre il
dato testuale in dato visivo attraverso un’attenzione ai criteri propri della
disciplina archeologica e cercando di avere dati a sufficienza per favorire
la comprensione del pubblico.
La decisione di integrare le schede descrittive con accurate ricostruzioni tridimensionali nasce dall’esigenza, ormai diventata prassi comune, di utilizzare nuovi mezzi comunicativi per poter mostrare e raccontare il passato cercando di contestualizzarlo e ricollegarlo il più possibile con il presente.
Le strutture degli edifici ricostruiti sono basate sulle planimetrie ricavate durante le numerose indagini svolte nel territorio in questione. So18
no state escluse quelle ricostruzioni e i dati che non avevano un grado di
dettaglio sufficiente per consentirne il posizionamento e una sufficiente
affidabilità scientifica. Per quanto riguarda l’integrazione è stato svolto
uno studio di comparazione con esempi coevi di architetture superstiti.
Facendo un esame sullo stato dell’arte delle città romane del nord Italia,
sono state confrontate planimetrie, assetti urbani, posizione e aspetto degli edifici pubblici ed in particolare quelle dei teatri ed anfiteatri. Le città
che si sono rivelate di maggior interesse e che sono state impiegate nello
studio comparativo, al fine di ridurre al minimo il grado di approssimazione nelle ricostruzioni 3D, sono state quelle di Augusta Bagiennorum,
Libarna, Hasta ed Alba Pompeia, quest’ultima fondata anch’essa, come
Laus, da Pompeo Strabone secondo la critica3. Per la ricostruzione degli
elevati ci si è affidati alle consulenze degli esperti della Soprintendenza
ed ai principali testi di architettura romana4. Infine, le superfici ed i materiali costruttivi sono stati caratterizzati, nelle ricostruzioni, da uno stile
neutro. Questa decisione, presa in accordo con i committenti, è stata scelta per poter rappresentare i volumi, rendendo chiara e diretta la lettura da
parte del grande pubblico senza entrare troppo nel dettaglio dei materiali.
Va infatti considerato che la pressoché assenza di alzati e paramenti ha
impedito di raccogliere in modo adeguato immagini e informazioni sui
materiali edilizi e decorativi che avrebbero altrimenti consentito una ricostruzione filologica più approfondita anche sull’aspetto esteriore di molti
monumenti ed uno stile grafico più realistico.
CONCLUSIONI
Tutti i contenuti della mappa multimediale e interattiva sono stati
ideati per fornire un quadro completo sulla città romana di Laus Pompeia.
Le immagini di scavo e la scheda testuale consentono all’utente di
entrare nella città romana attraverso la disciplina che l’ha riportata in lu3
4
PREACCO 2007.
GROS 1996, TOSI 2003.
19
Fig. 4 Esempio di scheda con all’interno tutti i contenuti interrogabili.
ce: l’archeologia; i testi e le foto dei ritrovamenti costituiscono il bene
primario e unico sul quale è stato possibile realizzare ricostruzioni e ipotesi ricostruttive in tre dimensioni.
L’apparato tridimensionale della scheda e gli short movie rappresentano un livello di coinvolgimento altamente divulgativo e didattico
per lo spettatore; il filmato consente in poco più di due minuti di entrare
nel contesto rappresentato dalla scheda in questione. Filmati e immagini
3D ricostruiscono e svelano l’aspetto originario del monumento o della
zona presa in esame.
L’approccio scelto fin dall’origine per la mappa di Laus Pompeia si
è basato sulla risorsa economica che ha portato a scegliere una tecnologia
low cost con una resa semplice e accessibile a chiunque ma nello stesso
tempo si è scelto di mantenere integri i dati di alto livello scientifico acquisiti dalla Soprintendenza mettendo a disposizione dell’utente l’intero
patrimonio scientifico di una città romana scomparsa.
Il progetto “Laus Pompeia tra spazio reale e spazio virtuale” ha ottenuto ottimi riscontri sia da parte di un vasto pubblico che della comunità scientifica.
Dalla data della sua prima presentazione nel 2010 ha ricevuto critiche, richieste e suggerimenti che, se da un lato hanno mostrato quali po20
trebbero essere le sue possibili evoluzioni ed implementazioni, dall’altro
si sono concretizzate in progetti similari che ci hanno confermato che un
nuovo approccio per una corretta valorizzazione e diretta comunicazione
del patrimonio storico-archeologico è quello che passa attraverso le nuove tecnologie.
ACKNOWLEDGMENTS
Si ringrazia Stefania Jorio della Soprintendenza per i Beni Archeologici della
Lombardia, il Bibliotecario della Soprintendenza ai Beni Archeologici della Lombardia
Maurizio Giacomin, la Fondazione della Banca Popolare di Lodi, Matteo Zampini.
D. FERDANI, F. OLARI, F. MALARAGGIA
[email protected]
ABSTRACT
Laus Pompeia tra spazio reale e spazio virtuale, è un progetto di archeologia virtuale finalizzato alla realizzazione di un’applicazione interattiva, uno strumento didattico e turistico per la valorizzazione e promozione del patrimonio archeologico del comune di Lodi Vecchio (LO), ovvero l’antica città romana di Laus Pompeia.
L’applicazione prevede una mappa virtuale della città romana in cui sono stati ricollocati tutti i più significativi rinvenimenti archeologici documentati dall’inizio del secolo ad oggi ed attualmente non più accessibili al visitatore. Ad ogni sito sono stati associati contenuti che comprendono schede analitiche, ricostruzioni 3D, gallerie fotografiche e short movie. Ogni contenuto è frutto di un attento lavoro di raccolta, studio e analisi dei dati archeologici editi ed inediti svolto in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia.
BIBLIOGRAFIA
BORRA et alii 2002: D. Borra, M. Forte, E. Pietroni, C. Rufa, “Virtual reality and
virtual heritage: the Scrovegni Chapel’s project”, in The International Archives
of the Photogrammetry, Remote Sensing and Spatial Information Sciences, Vol.
XXXIV, Part 5/W12, 2002.
CADARIO 2008: M. Cadario, “La Lombardia romana”, Lombardia romana. Arte e
architettura, Milano 2008, pp. 15-28.
21
AA.VV. 2004-2005: Dalla rimozione della memoria alla riscoperta. Indagini archeologiche a Laus Pompeia-Lodi Vecchio, Ministero per i Beni e le Attività culturali, Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia, Nuove ricerche in
Lombardia, catalogo della mostra 2004-2005.
http://css.comune.lodivecchio.lo.it/Repository/files/20090210_1030.pdf
FOSSO-JORIO 1993: M. Fosso, S. Jorio, Studio di compatibilità tra identità storicoambientali del territorio di Lodi Vecchio e nuovi insediamenti, Politecnico di
Milano e Comune di Lodi Vecchio 1993.
GALLI-PISANI SARTORIO 2009: M. Galli, G. Pisani Sartorio (a cura di) Machina.
Tecnologia dell’antica Roma, Roma 2009.
GROS 1996: P. Gros, L’architettura romana. Dagli inizi del III sec. a.C. alla fine
dell’alto impero. I monumenti pubblici, Bari 1996.
JORIO 1993: S. Jorio. “Le mura di Laus Pompeia; analisi alla luce dei nuovi dati”, in
Mura delle città romane in Lombardia, Atti del Convegno (Como 23-24 marzo
1990), Como 1993, pp. 99-106.
NOTIZIARIO 1988-2006: Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici
della Lombardia, 1988-2006.
PREACCO 2002: M. Cr. Preacco, “Le città romane nel Piemonte a Sud del Po: spunti
e riflessioni”, in L. Quilici, S. Quilici Gigli (a cura di), Architettura pubblica e
privata nell’Italia antica, Roma 2003.
TOSI 2003: G. Tosi, Gli edifici per spettacoli nell’Italia Romana, Roma 2003.
Un tesoro nascosto per paura dei Barbari. Monete e gioielli romani da campo San
Michele a Lodi Vecchio, catalogo della mostra, Lodi Vecchio 2008, Milano 2008.
22
IL PROGETTO ARAS
(AUGMENTED REPRESENTATION OF
ARCHAEOLOGICAL SITES)
REALTÀ VIRTUALE E REALTÀ AUMENTATA
In letteratura i termini Augmented Reality (AR) e Mixed Reality
(MR) compaiono in associazione al termine Virtual Reality (VR). Sebbene i sistemi AR impieghino alcune delle tecnologie usate nei sistemi di
Virtual Reality è preferibile utilizzare il termine Augmented Reality nel
caso in cui non sia necessario l’utilizzo di un ambiente totalmente virtuale, ma si richieda comunque una integrazione della realtà mediante strutture di tipo virtuale.
Infatti mentre la VR tende a sostituire in toto la visione del mondo
reale, la AR mira ad arricchirne la rappresentazione mantenendo però una
connessione con la “realtà”.
MR è il termine comunemente usato per riferirsi ad ambienti che
combinano oggetti reali e virtuali con rappresentazioni visive dello spazio reale e virtuale (Fig. 1).
Fig. 1 Mixed Reality ed Augmented Reality (SIGGRAPH 2000).
Lo scopo principale di un sistema AR è quello di arricchire la visione dell’utente con informazioni addizionali, mediante la fusione di immagini tridimensionali di sintesi prodotte dal computer con immagini della
realtà.
Dato che l’utente di un sistema AR vede sia la realtà sia l’ambientazione virtuale, un sistema di questo tipo ha bisogno, per funzionare cor-
rettamente, di una serie di “aggiustamenti” in più rispetto a quelli richiesti da un tradizionale sistema immersivo VR. In quest’ultimo infatti il solo requisito necessario è quello di presentare all’utente un’ambientazione di tipo virtuale, diversamente da un sistema AR in cui l’ambientazione virtuale deve essere combinata e correttamente allineata alla realtà, alla visione del mondo fisico.
La mappatura (tracking) della posizione dell’utente e della prospettiva relativa al suo punto di vista, necessaria per sovrimporre informazioni all’immagine del mondo reale, è affidata a diverse tipologie di sistemi di tracking. Tra questi troviamo dispositivi ad ultrasuoni, meccanici, ottici, elettromagnetici e inerziali, tutti caratterizzati da sei gradi di
libertà1. Tutti i processi relativi al conseguimento di un perfetto allineamento tra reale e virtuale vanno sotto il nome di “calibrazione di un sistema AR”.
Un’altra importante tassonomia è quella riportata in figura 2 in cui
sono descritti vari tipi di display: retinici, HMD, hand-held (smartphone,
PDA, tablet), spatial see-through, Shader Lamps.
Fig. 2 Tassonomia di BIMBER-RASKAR 2005.
1
KLINKER-WAGNER 2004.
24
In figura 3 è riportato un esempio di “spatial see-through” display
realizzato da Dimensional Media Associates in uso presso il Laboratorio
di Olografia dove viene visualizzata in aria la testa di Costantino scansionata mediante un laser scanner dal Laboratorio di Visione Artificiale.
Entrambi i laboratori sono nel Centro Ricerche ENEA di Frascati.
Fig. 3 Visualizzazione in aria della testa di Costantino.
LA LIBRERIA ARTOOLKIT
Brevemente si illustra la libreria Open Source ARToolKit per la
Augmented Reality.
Il tracking 3D ottico in generale, ed in particolare quello operato da
ARToolKit, può essere suddiviso in due fasi principali:
1. Elaborazione dell’immagine per estrarre informazioni
2. Camera Pose Estimation
Il “Camera Pose Estimation” determina la posizione e l’orientamento di una videocamera calibrata in un sistema di riferimento tridi25
mensionale noto ed è essenziale per il cosiddetto problema della registrazione nella AR.
Gli oggetti virtuali e quelli del mondo reale devono essere correttamente allineati tra loro e questo richiede la conoscenza della posizione
della camera. Una stima accurata dei dati 3D della posizione influisce pesantemente sull’accuratezza e le prestazioni di visualizzazione degli oggetti virtuali nello spazio AR.
Il calcolo della posizione della camera è basato sull’estrazione di
primitive geometriche che consentono di far coincidere i punti 2D estratti
dall’immagine con i punti 3D noti dell’oggetto.
L’aggiunta di marker nella scena aiuta fortemente in entrambi i
passi: i marker costituiscono caratteristiche della scena facili da estrarre e
forniscono misure affidabili e semplici da utilizzare per la fase di Pose
Estimation.
Per fare ciò, esistono due tipi di marker: il primo è quello dei c.d.
“point fiducial” perché ogni marker di questo tipo fornisce un punto di
corrispondenza tra l’immagine e la scena. Per ottenere più informazioni
da ogni marker è possibile utilizzare quelli del secondo tipo, i cosiddetti
“planar fiducial”: uno solo di questi marker fornisce tutti i sei vincoli
spaziali necessari a definire un sistema di coordinate.
ARToolKit è una collezione di librerie C/C++ che può essere usata
per calcolare in tempo reale la posizione e l’orientamento della camera
relativamente ad un marker fisico. Questo consente il facile sviluppo di
svariate applicazioni di AR.
ARToolKit è stato sviluppato da H. Kato and M. Billinghurst presso l’università di Washington e viene distribuito gratuitamente per usi
non commerciali e applicazioni di ricerca. Può essere utilizzato sui sistemi operativi SGI IRIX, Linux, Mac OS X e Windows (95 / 98 / NT /
2000 / XP) e proprio tale caratteristica ha dettato la scelta di questa libreria contro altre librerie di tracking come MXR Toolkit.
La versione attuale di ARToolKit supporta sia la “Video See-Through” sia la “Optical See-Through” AR. Nella “Video See-Through” AR
un’immagine virtuale viene sovrapposta ad una ripresa video live del
mondo reale.
26
L’alternativa è la “Optical See-Through” AR, in cui l’immagine
virtuale viene sovrapposta direttamente ad una vista del mondo reale. In
questo caso si hanno procedure più complicate per la calibrazione della
camera.
I marker utilizzati da ARToolKit sono formati da un quadrato con
un bordo nero, contenente un’immagine ben definita. Oltre ad alcuni
marker standard è possibile registrare, tramite un’apposita procedura,
nuovi marker che verranno poi riconosciuti dalla libreria.
ARToolKit usa OpenGL per la parte di rendering, GLUT per l’aspetto di gestione degli eventi e delle finestre, librerie video dipendenti
dall’hardware e API standard su ciascuna piattaforma.
La figura 4 riassume le relazioni tra l’applicazione, ARToolKit e le
librerie dipendenti.
Fig. 4 Architettura di ARToolKit.
Si illustrano di seguito i passi che compongono il tracking con ARToolKit:
1. La camera cattura un video del mondo reale e lo invia al computer
2. Ogni frame del video viene trasformato in un’immagine a due soli
colori (bianco e nero) in base ad un valore di threshold della luminosità
27
3. Il software cerca in questa immagine tutte le forme quadrate: in
questa fase ARToolKit trova tutti i quadrati presenti nell’immagine,
molti dei quali non sono marker
4. Per ogni quadrato si analizza il pattern in esso contenuto confrontandolo con le immagini di tutti i marker validi
5. Se c’è una corrispondenza, ARToolKit usa la dimensione e l’orientamento del pattern per calcolare la posizione della camera relativamente a quella del marker: viene creata una matrice 3x4 contenente le coordinate della camera espresse nel sistema di coordinate
del marker
6. Si utilizza la matrice precedentemente creata per determinare la posizione del sistema di coordinate della camera
7. Una volta determinata la posizione della camera, vengono usate le
API OpenGL per determinare il sistema di coordinate della camera
e disegnare il modello 3D in quella posizione
8. Il modello viene disegnato sopra il video del mondo reale, quindi
appare “incollato” al marker
9. L’output finale viene mostrato sul display e l’utente vede il modello 3D sovrapposto al mondo reale
In figura 5 viene riportata una rappresentazione grafica che illustra
il flusso di tracking appena descritto.
Fig. 5 Schema del flusso di tracking di ARToolKit.
28
La libreria ARToolkit gestisce il linguaggio VRML e lo utilizza per
la visualizzazione di animazioni.
Entrando nello specifico di questa libreria, tra i vantaggi si possono
notare anche la semplicità d’uso, la gratuità del software e l’utilizzo di
hardware poco costoso (è necessaria una semplice webcam) mentre tra
gli svantaggi si ha il calo delle prestazioni al crescere del numero dei
marker presenti nella scena.
IL SISTEMA ARCHEOGUIDE
Esistono molti sistemi per l’osservazione dei resti nei siti archeologici con una sovrapposizione della ricostruzione degli stessi.
Si consideri il Progetto ARCHEOGUIDE (Augmented Reality based Cultural Heritage On-site GUIDE). Il sistema viene usato come una
guida personalizzata in grado di fornire informazioni multimediali ai visitatori adattandosi alle loro caratteristiche e adeguando la visione alla loro
posizione rispetto ai ruderi (Fig. 6).
Tale sistema si avvale della fusione di tecniche sperimentate in diversi campi, utilizzando un sistema ibrido di orientamento e di posizionamento per generare rappresentazioni virtuali sovrapposte alla realtà, con
sistemi avanzati di rendering su modelli 3D tramite VRML, mentre il
collegamento della periferica, indossata dall’utente (Fig. 7) è stato realizzato tramite tecniche avanzate di wireless Lan.
Il progetto è stato frutto della sinergia di un consorzio di organizzazioni e aziende Europee, tra cui la Intracom S.A. (Grecia), il Fraunhofer Institute of Computer Graphics (IGD) (Germania), il Computer Graphics Center (ZGDV) (Germania), il Centro de Computação Gráfica (CCG)
(Portogallo), l’A&C 2000 (Italia), la Post Reality (Grecia) e il Ministero
della Cultura (Grecia) ed ha usufruito di un finanziamento nel programma quadro EU IST (IST-1999-11306).
L’antica Olimpia, in Grecia, è stato il primo sito archeologico dove
si è sperimentato il sistema in occasione delle Olimpiadi di Atene nel
2004.
29
IL SISTEMA ARAS
La filosofia adottata per il nostro prototipo è completamente differente dal sistema ARCHEOGUIDE.
L’attenzione è focalizzata sull’individuo-visitatore, che diventa protagonista dell’azione: possiamo parlare di “camminata aumentata” intesa
come camminata nella scena per punti discreti.
All’interno del sito archeologico, lungo un percorso prestabilito,
verranno posizionati alcuni supporti rimovibili e “mimetizzati” con l’ambiente (ad esempio, piccole colonne), su cui saranno montate postazioni
di AR (Fig. 8).
Il visitatore potrà camminare nel sito senza dover trasportare zaini
o indossare occhiali e, arrivato alla postazione per la realtà aumentata,
potrà decidere se guardare attraverso questa “finestra del tempo” per tornare indietro di millenni.
In questo modo si determina una “camminata virtuale” in cui l’attore è colui che visita il sito archeologico e la tecnologia necessaria a realizzare il “viaggio nel tempo” non è prepotentemente visibile come nel
caso dei sistemi HMD.
I sistemi basati sulla tecnologia HMD costringono il visitatore a indossare una serie di strumenti che consentono di vedere la ricostruzione
dell’ambiente che lo circonda. Nella realizzazione del nostro progetto
siamo partiti da alcune considerazioni: la strumentazione utilizzata è ingombrante e non è di facile utilizzo per alcune categorie di visitatori quali anziani e portatori di handicap; non è detto che il visitatore voglia immergersi continuamente nella ricostruzione virtuale tramite HMD.
Per rilevare una prima approssimazione della posizione del visitatore viene utilizzato un segnale GNSS che, in alcuni momenti, potrebbe
non essere ricevuto dando luogo ad una perdita della visualizzazione.
Da questi punti di partenza ha preso le mosse l’idea di realizzare un
sistema facilmente fruibile a chiunque decida di visitare il sito archeologico e soprattutto “mimetizzato” nell’ambiente circostante.
L’intento è non costringere il visitatore a distaccarsi completamente dal mondo reale del “qui e ora”, ma consentirgli di avvicinarsi al mon30
Fig. 6 Architettura del sistema ARCHEOGUIDE.
do virtuale del “qui ma tanti anni fa” con dolcezza e assaporando il gusto
del viaggio nel passato solo per il tempo che desidera.
I vantaggi per i visitatori sono evidenti.
L’utente può crearsi un suo percorso nel sito archeologico e il sistema gli fornisce informazioni aggiuntive utili a risvegliare interesse, curiosità e piacere della scoperta. Utilizzando questa tecnica tutti i visitatori
beneficeranno del materiale supplementare e saranno portati ad approfondire l’argomento grazie a questa combinazione di istruzione e di intrattenimento (edutaiment).
La possibilità di interazione con il sistema consente al visitatore di
svolgere una parte attiva in questo viaggio attraverso la storia e, come
molti studi hanno dimostrato, le cose in cui si ha una partecipazione attiva sono più facili da ricordare.
31
In molti siti archeologici inoltre ci sono edifici chiusi al pubblico
per evitare la loro totale distruzione. L’uso di modelli 3D rende possibile
riaprire virtualmente questi luoghi, dando al visitatore una “vista a raggi
X” e contribuendo a mantenere l’edificio nel proprio stato originale.
L’integrazione delle testimonianze archeologiche e la loro ricostruzione virtuale permettono al visitatore di percepire l’antico spazio architettonico, non solo in modo suggestivo, ma anche in modo critico.
Fig. 7 Utente – Sistema “ARCHEOGUIDE”.
Fig. 8 Postazione – Sistema “ARAS”.
Il progetto ARAS integra componenti virtuali e reali e prevede il
posizionamento all’interno del sito archeologico di alcune postazioni per
la Augmented Reality costituite, come detto, da piccole colonne ispirate
all’ambiente circostante, su cui saranno montati i telescopi AR per la visualizzazione.
Tali telescopi AR non saranno fissi, ma potranno muoversi su un
perno e saranno muniti di giroscopi in grado di rilevarne il movimento.
Per mostrare le potenzialità di applicazione del progetto ARAS è
stato realizzato un plastico di un sito archeologico munito di appositi supporti per posizionare le videocamere che simulano i telescopi AR sul
quale abbiamo sovrapposto i modelli virtuali della ricostruzione 3D del
tempio di Giove e di un particolare della ricostruzione 3D della Casa del
Fauno (Figg. 9, 10, 11).
Tali modelli sono stati forniti dalla società Virtualand s.a.s., che ha
realizzato “Virtual Pompei”.
32
Fig. 9 Plastico realizzato per esemplificare i risultati ottenibili con ARAS.
Uno degli aspetti principali nello sviluppo di questo progetto è stato
quello di garantire il minimo impatto visivo delle strutture necessarie al
funzionamento del sistema nell’ambiente circostante.
Per limitare l’invasività delle strutture da inserire nel sito archeologico, siamo arrivati alla soluzione proposta in questo progetto, la quale
è costituita essenzialmente da due elementi:
 Le postazioni di AR formate da colonne rimovibili (che si integrano perfettamente con l’ambiente circostante, senza infastidire
l’utente con strutture sgradevoli alla vista) e telescopi AR montati su
un perno e muniti di giroscopi, che possono essere orientati per
consentire al visitatore di cambiare l’inquadratura degli oggetti
 “Assenza di marker” da posizionare nella scena
In particolare è bene soffermarsi proprio “sull’assenza di marker”
da posizionare esplicitamente nella scena. Come già discusso, la libreria
ARToolKit utilizza i marker per stabilire l’esatta posizione delle ricostruzioni da visualizzare.
33
Naturalmente la stima della posizione dei marker rispetto alla videocamera deve essere effettuata ad ogni frame. Inoltre, l’utilizzo di una tale
tecnologia in un ambiente esterno in cui sono presenti contemporaneamente più visitatori porta a fenomeni di cambiamento di luminosità e occlusione dei marker che impediscono la corretta visualizzazione dell’ambiente aumentato.
L’idea che viene introdotta con il progetto ARAS è quella di aggirare parzialmente la fase di riconoscimento del marker introducendo un
passo preliminare: la memorizzazione di una posizione iniziale della videocamera rispetto al marker.
Inoltre il marker utilizzato non sarà una figura estranea al paesaggio, ma una parte integrante di esso: si possono usare a tale scopo proprio
i cartelli recanti i dati storici che di solito affiancano i monumenti, modificandoli in modo da renderli adatti ad essere riconosciuti come marker.
In questo modo gli unici dati di cui si ha bisogno sono la posizione
iniziale e gli spostamenti della videocamera registrati tramite i giroscopi
ed è possibile evitare di stimare la posizione della videocamera ad ogni
frame.
Chiaramente questo approccio mette al sicuro dalla mancata visualizzazione dipendente sia da fenomeni di occlusione sia dai cambiamenti
di luminosità.
Un altro importante elemento da considerare è l’utilizzo dei file
VRML: grazie a questo linguaggio è possibile generare una vera e propria vita virtuale utilizzando le animazioni, in modo da creare un maggior
coinvolgimento emotivo dell’utente che visita il sito archeologico.
Il visitatore infatti si potrà trovare di fronte alla ricostruzione di
scene di vita all’interno dei luoghi che sta osservando e questo consentirà
una maggiore partecipazione: non si tratterà più di osservare un luogo, ma
ma si forniranno elementi per renderlo vivo e inserirlo in un contesto più
ampio.
Nelle figure 9, 10 e 11 i modelli sovrapposti al plastico non sono in
scala, ma la registrazione precisa tra spazio reale e spazio virtuale permette di posizionare i modelli virtuali aventi la posizione, l’orientamento
34
Fig. 10a Part. Casa del Fauno (vista A).
Fig. 10b Part. Casa del Fauno (vista B).
Fig. 10c Part. Casa del Fauno (vista C).
Fig. 10d Part. Casa del Fauno (vista D).
Figura 11a Tempio di Giove (vista A)
Figura 11b Tempio di Giove (vista B)
Figura 11c Tempio di Giove (vista C)
Figura 11d Tempio di Giove (vista D)
35
e la dimensione esatta rispetto alle varie postazioni di Augmented Reality
del sito archeologico reale.
CONCLUSIONI E SVILUPPI
Il nostro principale obiettivo è stato quello di sviluppare un’applicazione in grado di sostituirsi ai sistemi di guida indossabili e portatili
anche tecnologicamente più avanzati di quelli descritti nel progetto ARCHEOGUIDE e di fornire ai visitatori una ricostruzione dei monumenti
che stanno osservando.
Il nostro lavoro mira a restituire centralità all’utente-visitatore, consentendogli di visitare liberamente il sito senza dover trasportare apparecchiature ingombranti e decidendo se e quando soffermarsi a guardare
le ricostruzioni dei monumenti.
Per fare ciò sono stati inizialmente esplorati i risultati già raggiunti
dalla comunità di ricerca nei campi della VR e della AR e successivamente sono state selezionate le tecniche e gli strumenti che, secondo noi,
meglio si adattano allo scopo della nostra ricerca. Al contrario di quanto
accade nei principali sistemi di guida del tipo ARCHEOGUIDE anche se
tecnologicamente più avanzati, più performanti e più leggeri, si è focalizzata l’attenzione sul visitatore, realizzando di conseguenza un sistema
fruibile da ogni categoria di utente. Durante questo viaggio teorico e pratico nel mondo della AR non sono mancate le idee che aprono le porte
agli sviluppi futuri che brevemente esponiamo:
 Si può arricchire l’applicazione integrando la visualizzazione delle
ricostruzioni dei monumenti con una descrizione vocale che consenta al visitatore di cogliere i particolari della scena che sta osservando e fornisca dati storici o elementi di interesse
 Si può implementare il software per PDA, tablet e smartphone
 Si può sviluppare un’applicazione analoga per strutture museali. I
reperti del Museo possono essere presentati, oltre che con la tecnologia della VR, anche con quella della AR in modo che l’utente
36
possa “tenere in mano” un oggetto artistico ed osservarlo da varie
angolazioni
ACKNOWLEDGEMENTS
Si ringrazia la Virtualand s.a.s., che ha realizzato “Virtual Pompei”, per aver
fornito i modelli delle ricostruzioni 3D del Tempio di Giove, del tempio di Minerva e di
un particolare della Casa del Fauno.
VINCENZO FIASCONARO(1); SIMONA GUIDUCCI(2)
(1) ENEA UTICT-HPC; (2) Ospite ENEA
ABSTRACT
The system ARAS (Augmented Reality of Archaeological Sites) requires that, inside an archaeological site, along a pre-arranged path, a new kind of telescopes where
the real sight is superposed by virtual objects (AR telescopes) will be positioned and
“camouflaged” with the environment (for instance, small columns). Easy to use like a
common telescopes, they allow the projection of contextual information on the viewer’s
field of vision. The result is an amalgamation of reality and virtuality.
Il sistema ARAS (Augmented Reality of Archaeological Sites) richiede che, in un
sito archeologico, entro dei cammini prefissati, siano posizionati dei telescopi di nuovo
tipo (telescopi AR) mimetizzati nell’ ambiente (per esempio, colonnine) in cui alla vista
reale vengono soprapposti oggetti virtuali. Facili da usare come dei comuni telescopi,
essi permettono la proiezione di informazione contestuale nel campo di vista dell’osservatore. Il risultato è un’amalgama di realtà e virtualità.
BIBLIOGRAFIA
ARToolKit Developer Homepage, http://sourceforge.net/projects/artoolkit/
BIMBER-RASKAR 2005: O. Bimber, R. Raskar, Spatial Augmented Reality Merging
Real and Virtual Worlds, A K Peters LTD publisher, Natick 2005.
http://140.78.90.140/medien/ar/SpatialAR/download.php
CAPUCCI 1993: P.L. Capucci, Realtà del Virtuale. Rappresentazioni tecnologiche,
comunicazione, arte, Clueb, Bologna 1993.
CONTI 2002: G. Conti, AVR System for the Early Stages of the Design Process in
Architecture, Tesi di Dottorato, Glasgow 2002.
37
CRUZ-NEIRA 1993: C. Cruz-Neira, “Virtual Reality Overview”, in SIGGRAPH ’93,
pp. 1.1-1.18.
DEMENTHON-DAVIS 1992: D.F. DeMenthon, L.S. Davis, “Exact and approximate
solutions of the perspective three-point problem”, in IEEE Transactions on Pattern Analysis and Machine Intelligence, 14(11):1100-1105, November 1992.
DUBOIS et alii 1999: E. Dubois, L. Nigay, J. Troccaz, O. Chavanon, L. Carrat, “Classification Space for augmented Surgery, an Augmented Reality Case Study”, in
Proceedings of Interact’99, IOS Press, Edinburgh (UK) 1999, pp. 353-359.
http://citeseerx.ist.psu.edu/viewdoc/summary?doi=10.1.1.26.4325
FEINER 1996: S.K. Feiner, “Adding Insight Through Animation In Augmented Reality”, in Computer Animation 1996.
http://csdl.computer.org/comp/proceedings/ca/1996/7588/00/75880014abs.htm
FIASCONARO et alii 2004: V. Fiasconaro, E. Tarducci, R. Cozzi, M. Pettisano, Ardigò E., “Un aero-display interattivo”, in Workshop "Interazione e Comunicazione Visuale nei Beni Culturali”, Atti del 9° Convegno dell’Associazione Italiana Intelligenza Artificiale (Perugia, 15 settembre 2004).
GENNERY 1992: D. Gennery, “Visual tracking of known three-dimensional objects”,
in International Journal of Computer Vision, vol. 7 (1992), no. 1, pp. 243-270.
GIGANTE 1993: M. Gigante, “Virtual Reality: Definitions, History and Applications”, in R.A. Earnshaw, M. Gigante, H. Jones (edited by), Virtual Reality Systems, Academic-Press, Waltham 1993.
GRUEN-HUANG 2001: A. Gruen, T. Huang (edited by), Calibration and Orientation
of Cameras in Computer Vision, Springer Series in Information Sciences, Springer-Verlag, Berlin-Heidelberg-New York 2001.
JARGON, Jargon Dictionary. http://www.fwi.uva.nl/ mes/jargon/
HARALICK et alii 1991: R.M. Haralick, C. Lee, K. Ottenberg, M. Nolle, “Analysis
and solutions of the three point perspective pose estimation problem”, in Proceedings of IEEE International Conference on Computer Vision and Pattern
Recognition, Maui, Hawaii, 1991, pp. 592-598.
HORAUD et alii 1997: R. Horaud, F. Dornaika, B. Lamiroy, S. Christy, “Object pose:
The link between weak perspective, paraperspective, and full perspective”, in International Journal of Computer Vision 22, 2 (1997), pp. 173-189.
HUNG ET ALII 1985: Y. Hung, P. Yeh, D. Harwood, “Passive ranging to known planar point sets”, in Proceedings of IEEE International Conference on Robotics
and Automation 1 (1985), pp 80-85.
MARX 2002: Z. Marx, Interaction Elements in Studierstube, Tesi di Laurea, 2002,
http://www.studierstube.org/media/documents/MarxThesis.pdf
MCGLONE et alii 2004: C. McGlone, E. Mikhail, J. Bethel, R. Mullen (edited by),
Manual of Photogrammetry, American Society for Photogrammetry and Remote
Sensing 2004.
38
NEGROPONTE 1993: N. Negroponte, “Virtual Reality: Oxymoron or Pleonasm?”, in
Wired 6 (1993).
http://www.wired.com/wired/archive/1.06/negroponte.html?pg=1/
2nd Joint Advanced Summer School 2004, Course 3: Ubiquitous Tracking for Augmented Reality, Prof. Gudrun Klinker, Ph.D. Martin Wagner, June 2004
SCAGLIARINI et alii 2001: D. Scagliarini, A. Coralini, E. Vecchietti, T.S. Cinotti, L.
Roffia, S. Galasso, M. Malavasi, M. Pigozzi, E. Romagnoli, F. Sforza, “Exciting
understanding in pompeii through on-site parallel interaction with dual time virtual models”, in VAST ‘01: Proceedings of the 2001 conference on Virtual reality, archeology, and cultural heritage, ACM Press, New York 2011, pp. 83-90.
SCHWEBER 1995: L. & E. von Schweber, “Virtually Here”, in PC Magazine March
14 1995, pp. 168-198.
http://www.infomaniacs.com/Pubs/PCMag_VR_intro.htm
SYLAIOU et alii 2004: S. Sylaiou, A. Almosawi, K. Mania, M. White, “Preliminary
Evaluation of the Augmented Representation of Cultural Objects System”, in
Proceedings of the 10th International Conference on Virtual Systems and Multimedia, Hybrid Realities-Digital Partners, Explorations in Art, Heritage, Science and the Human Factor, 17-19 November 2004, Softopia Japan, Ogaki City,
Japan, pp. 426-431.
SONNATI 2002: F. Sonnati, “I vantaggi della Augmented Reality”, in Lithium 9
(2002).
http://www.lithium.it/dream0013p1.asp
SPLECHTNA 2003: R. Splechtna, Comprehensive Calibration Procedures for Augmented Reality 2003
http://www.ims.tuwien.ac.at/media/documents/publications/splechtna_calibration.pdf
SUTHERLAND 1968: I. Sutherland, “A Head-Mounted Three Dimensional Display”,
in Fall Joint Computer Conference, AFIPS Conference Proceedings, No. 33
(1968), pp. 757-764.
STRICKER 2001: D. Stricker, “Tracking with Reference Images: A Real-Time and
Markerless Tracking Solution for Out-Door Augmented Reality Applications”,
in VAST ‘01: Proceedings of the 2001 conference on Virtual reality, archeology,
and cultural heritage, ACM Press, New York 2011, pp. 77-81.
http://archeoguide.intranet.gr/papers/publications/ARCHEOGUIDE-VAST012.pdf
STURM-MAYBANK 1999: P. Sturm, S. Maybank, “On plane-based camera calibration: A general algorithm, singularities, applications”, in Conference on Computer Vision and Pattern Recognition, pp. 432-437, June 1999.
www.insonniateam.it/duccillo.rar
ZHANG 2000: Z. Zhang, “A flexible new technique for camera calibration”, in IEEE
Transactions on Pattern Analysis and Machine Intelligence 22 (2000), pp. 13301334.
39
IL METODO MICRO-FOTOGRAMMETRICO PER LA
CATALOGAZIONE DI REPERTI ARCHEOLOGICI
INTRODUZIONE
La fotogrammetria digitale è basata sulla acquisizione di immagini
fotografiche digitali al fine di ottenere informazioni metriche dell’oggetto
della ripresa, come ad esempio di un edificio, o di un’area geografica più
o meno estesa, in particolare per la produzione di mappe topografiche
(fotogrammetria aerea).
La fotogrammetria è, ad oggi, frequentemente utilizzata nel campo
dei Beni Culturali per la documentazione di manufatti artistici e superfici
architettoniche di particolare interesse.
La documentazione ottenuta non solo fornisce modelli facilmente
misurabili, ma consente di evidenziare le trasformazioni dimensionali subite nel corso del tempo dall’oggetto a causa di fenomeni esogeni e processi fisico-chimici più o meno spontanei.
La fotogrammetria, “scalata” a dimensioni dell’ordine del mm, è
stata precedentemente applicata per il controllo di stress meccanici e termici nell’ambito dell’industria meccanica ed elettronica1; il medesimo approccio è stato seguito nell’ambito dei Beni Culturali per la ripresa di
particolari di superfici, oppure di oggetti di dimensioni limitate fino a poche decine di centimetri. La metodologia, che prende il nome di “microfotogrammetria”, è stata messa a punto dall’ICVBC di Firenze in collaborazione con la ditta Menci Software di Arezzo2 e in analogia alla fo-
Fig. 1 La tripletta di immagini che darà origine alla nuvola di punti RGB.
1
2
TUTSCH et alii 2001; HEMMLEB et alii 1996.
P. TIANO et alii 2008; P. TIANO et alii 2009.
togrammetria classica permette di ottenere una nuvola di punti RGB acquisendo tre immagini digitali definite “tripletta” (Fig. 1), riprese da angolazioni diverse, della stessa porzione di superficie utilizzando una comune macchina digitale reflex precedentemente calibrata.
Le dimensioni delle superfici acquisite possono variare da un minimo di 2 cm2 ad un massimo di 20 cm2, in funzione della distanza di ripresa.
Il sistema è costituito da una barra motorizzata lunga 260 mm, lungo la quale, opportunamente agganciata ad una slitta mobile, scorre la
macchina fotografica digitale reflex Canon EOS 400D (sensore CMOS
da 10 MegaPixel) equipaggiata con obiettivo macro Canon EF-S 60mm
(Fig. 2). Il sistema è gestito in remoto da un software dedicato. Per ovviare alla riduzione della profondità di campo – con l’obiettivo specifico si
può lavorare in un intervallo di profondità di circa +/- 2 cm – si imposta
la macchina con un’apertura del diaframma superiore a f/13.
Durante l’acquisizione, la messa a fuoco viene valutata in automatico sulla posizione centrale della strisciata e successivamente è posta in
modalità manuale per non incorrere in differenze tra il primo
scatto e quelli successivi.
Individuata l’area di indagine, è possibile effettuare una
valutazione automatica della distanza tra il sensore della camera
e l’area di acquisizione, il softFig. 2 Il metodo micro-fotogrammetrico.
ware indica la distanza ideale tra
gli scatti; tale valore risulta essere 1/20 della distanza di ripresa. Il programma suggerisce di default un rapporto Baseline/Distanza di 1/10.
Impostate le caratteristiche di ripresa, il sistema produce tre scatti
dell’area interessata, da sinistra a destra e simmetrici rispetto allo scatto
centrale; la camera scorre lungo la barra e le riprese risultano tra loro pa41
rallele: questa caratteristica, intrinseca del sistema, non permette quindi
di acquisire immagini convergenti.
Le immagini vengono successivamente esportate per poter essere
elaborate, tale processo di elaborazione si basa su quattro diverse operazioni:
1. Eliminazione delle distorsioni geometriche ed ottiche attraverso i
dati contenuti nel certificato di calibrazione della camera
2. Selezione dell’area di interesse, ad esempio un particolare della superficie ripresa
3. Definizione del valore di risoluzione (impostando un valore di risoluzione pari a 5, un punto dello spazio vettoriale è ricostruito ogni 5
pixel della immagine)
4. Generazione del modello tridimensionale a nuvola di punti, attraverso uno specifico algoritmo
Il modello viene ricostruito in scala 1:1 con la stessa unità di misura impostata durante la fase di acquisizione, questo è possibile avvalendosi della conoscenza esatta del punto di ripresa e degli angoli di ciascuna presa. L’uso della barra motorizzata – motore passo-passo – garantisce
l’affidabilità delle grandezze predette; punti di controllo, opportunamente
scelti, acquisiti con altre metodologie di rilievo, possono essere sfruttati
durante la ricostruzione.
Al modello generato può essere associata una texture che permette
una chiara lettura delle informazioni relative al colore e alle caratteristiche di rugosità superficiale dell’area indagata (stato di conservazione).
Al fine di valutare il grado di precisione del sistema micro-fotogrammetrico sono stati eseguiti test di laboratorio su provini di riferimento certificati e confrontando la ricostruzione di profili di superfici reali
con altre tecniche consolidate (profilometro meccanico). I risultati portano a dedurre che i modelli generati hanno una precisione di circa ±20 μm
sul piano della superficie e di ±50 μm nella direzione normale.
La scelta di utilizzare dispositivi commerciali, permette l’utilizzo di
obiettivi di lunghezza focale diversa; l’impiego di un obiettivo 28mm, ad
42
esempio, permette la ricostruzione di aree più grandi, che possono essere
a loro volta mosaicate all’interno di un unico modello.
Sul modello prodotto, individuato un piano di riferimento (UCS,
User Coordinate System) attraverso una semina di punti sulla superficie,
viene generato il DEM (Digital Elevation Model) ovvero la rappresentazione cromo-altimetrica raster della distribuzione delle quote di una
superficie, relativamente all’UCS corrente (Fig. 3 in fondo al testo). Le
quote massime e minime del pattern superficiale, vengono rappresentate
in una scala cromatica che va, rispettivamente, dal rosso al blu.
Le singole acquisizioni, anche se effettuate con obiettivi diversi,
possono essere tra loro sovrapposte: ad esempio è possibile inserire un’area indagata con l’obiettivo macro da 60mm su un’area più ampia acquisita con il 28mm, oppure sovrapporre la stessa zona acquisita in tempi diversi – prima o dopo un trattamento di pulitura – per effettuare un’analisi
comparativa.
L’estrazione di profili della superficie è possibile identificando sul
DEM la retta di generazione. I dati acquisiti possono essere poi esportati
in formato testo.
Il sistema descritto viene attualmente impiegato per il monitoraggio
di superfici di interesse storico-artistico al fine di evidenziarne alterazioni
geometriche e colorimetriche indotte sia da fenomeni naturali e variazioni climatiche dell’ambiente, sia da trattamenti conservativi e/o interventi
di restauro.
Proprio dall’esigenza di valutare fenomeni di alterazione superficiale, nasce la nostra prima esperienza in campo archeologico su la “Tomba della Scimmia”, ipogeo artificiale etrusco (VI sec. a.C.) compreso nella necropoli di Poggio Renzo a Chiusi (SI). In questo contesto il monitoraggio era mirato al controllo del degrado superficiale delle pitture parietali della tomba soggette a varie forme di degrado (biologico, chimicofisico).
43
MATERIALI E METODI
Il metodo micro-fotogrammetrico è qui proposto per il rilievo delle
caratteristiche morfologiche di tre reperti archeologici:
- Un frammento di crogiolo utilizzato per la raffinazione del rame
databile all’Eneolitico iniziale e proveniente dagli scavi di Neto,
Sesto Fiorentino (Fig. 4)
- Una lesina in rame recuperata durante gli scavi dell’insediamento
Campaniforme di Querciola a Sesto Fiorentino
- Un’ascia in rame proveniente dall’insediamento eneolitico di San
Lorenzo a Greve, Firenze 3
Fig. 4 Da sinistra a destra, rispettivamente, frammento di crogiolo, lesina il rame e ascia in rame.
La ricostruzione dei modelli per gli oggetti sopra descritti è avvenuta utilizzando uno speciale piatto rotante.
Ad un cavalletto fotografico viene applicata una testa panoramica
(Manfrotto 300N) sulla quale è possibile direttamente leggere ed impostare l’angolo di rotazione tra uno scatto ed il successivo.
Sulla testa è avvitato un piatto metallico con un diametro pari a 30
cm, sul quale viene appoggiato l’oggetto che si desidera acquisire; posizionata la camera e scelto il grado di rotazione, si comincia a scattare le
immagini dell’oggetto ruotando il piatto a 360° (Fig. 5).
Questo permette di rilevare oggetti complessi senza dover riposizio3
ARANGUREN et alii 2007.
44
nare la camera e l’oggetto ad
ogni scatto.
Acquisite le immagini
necessarie alla ricostruzione
(il progetto di presa varia a
seconda delle dimensioni
dell’oggetto), si procede alla
creazione del modello (Fig.
6). Se da una parte il programma fornisce la possibilità di allineare automaticaFig. 5 Acquisizione con il piatto rotante.
mente le singole acquisizioni in maniera veloce e precisa, la fase successiva di trimming delle singole acquisizioni risulta estremamente difficoltosa. Questo problema può
essere ovviato ricorrendo all’utilizzo di altri programmi, completamente
gratuiti, come ad esempio MeshLab.
La necessità di dover utilizzare programmi diversi apre la problematica della compatibilità tra i vari formati: il software Zscan per la generazione dei modelli, impiega un formato proprietario (.vtp) non riconosciuto da altri software di gestione e visualizzatori più comuni. Per ovviare a questo problema i singoli modelli devono essere esportati in più
comuni formati tridimensionali per la rappresentazione di mesh (.ply),
operazione questa che comporta un notevole dispendio di tempo.
CONCLUSIONI
Il metodo micro-fotogrammetrico presenta delle peculiarità – facilità di acquisizione delle immagini, velocità di restituzione del modello,
portabilità del sistema, basso costo – che lo rendono una interessante alternativa ai consolidati sistemi a laser scanner anche se con prestazioni ridotte. In ambito archeologico può essere impiegato sia come strumento per
la documentazione (anche in situ), sia per la valutazione dello stato di
conservazione, che per il monitoraggio di superfici soggette ad interventi
di restauro.
45
La possibilità di indagare metricamente la superficie, può costituire
un utile strumento per l’identificazione delle tracce di lavorazione, permettendone l’analisi morfologica (Fig. 7).
Fig. 7 A sinistra il particolare di una superficie marmorea con tracce di lavorazione,
a destra il profilo morfologico della lavorazione.
Al fine di minimizzare i problemi riscontrati sia in fase di acquisizione che in fase di generazione dei modelli, è in corso la messa a punto
di un protocollo per ridurre al minimo tali problematiche ed ottimizzare
le procedure di acquisizione e di restituzione.
Il metodo proposto, per la possibilità di fornire informazioni metriche delle superfici investigate, può integrare l’insieme degli strumenti per
la diagnostica, unendo allo stesso tempo l’utilità legata alla documentazione fotografica. Questo è lo spunto per proporre un database ad accesso diversificato in ambito archeologico: uno “comune” per un’utenza interessata ad avere informazioni storico artistiche sull’oggetto, ed uno
“professionale” per un’utenza “consapevole” per gli addetti ai lavori (archeologi, restauratori e scienziati).
Sperimentazioni su oggetti diversi da quelli trattati in questa sede,
hanno messo in luce la difficoltà di acquisizione di alcuni materiali particolarmente riflettenti, come ad esempio l’oro e il marmo, e oggetti con
46
caratteristiche morfologiche complesse, dovute alla presenza di manici o
colli. Particolare attenzione, quando questo sia possibile, va posta nell’allestimento del set di ripresa (esposizione, posizionamento dell’oggetto sul piatto rotante).
RINGRAZIAMENTI
Il lavoro è stato parzialmente finanziato dal Progetto TeCon@BC (cod. 57476),
della Regione Toscana, bandi POR-FESR 2007-2013, Attività 1.1 – Linea di intervento
D. Si ringraziano Lucia Sarti dell’Università di Siena, Biancamaria Aranguren e Paola
Perazzi della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana per aver messo a disposizione i reperti archeologici, e Piero Tiano dell’Istituto per la Conservazione e Valorizzazione dei Beni Culturali per i suoi preziosi suggerimenti.
R. MANGANELLI DEL FÀ (*), P. PALLECCHI (°), C. RIMINESI (*)
(*) CNR-ICVBC – Istituto per la Conservazione e la Valorizzazione dei Beni
Culturali, Via Madonna del Piano, 10 – 50019 Sesto Fiorentino (FI);
e-mail: (manganelli, c.riminesi)@icvbc.cnr.it
(°) Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana,
Largo del Boschetto, 3 – 50143 Firenze
e-mail: [email protected]
ABSTRACT
Il metodo micro-fotogrammetrico, basato sui principi della fotogrammetria classica, permette di generare un modello 3D misurabile, di piccole porzioni di superficie, o
manufatti di dimensioni limitate, mediante la sovrapposizione di immagini digitali acquisite da un sistema fotografico. La tecnica, totalmente non invasiva, è attualmente impiegata per la valutazione dello stato di conservazione e il monitoraggio degli interventi
di restauro nell’ambito dei Beni Culturali. La peculiarità di ottenere un modello digitale
vettoriale è quella di ottenere dei modelli misurabili degli oggetti ripresi. La generazione di nuvole di punti RGB con tempi, oneri computazionali e costi ridotti, candida
questa metodologia di rilevazione 3D alla realizzazione di cataloghi per la documentazione di manufatti storico-artistici – in particolare di oggetti archeologici – come un’alternativa a sistemi che impiegano laser scanner a triangolazione.
47
BIBLIOGRAFIA
APOLLONIA et alii 2007: L. Apollonia, L. Monteldo, R. Picco, P. Salonia, “Innovative systems for assisted analysis and diagnosis,” in Proceedings of the XXI
CIPA International Symposium “AntiCIPAting the future of the cultural past”,
Athens, Greece, 1-6 Oct. 2007 (International Archives of the Photogrammetry,
Remote Sensing and Spatial Information Sciences, Vol. XXXVI, Part 5/C53,
2007.
http://cipa.icomos.org/text%20files/ATHENS/FP017.pdf
ARANGUREN et alii 2007: B. Aranguren, P. Perazzi, G. Giachi, M. Mariotti Lippi, C.
Minniti,M. Mori Secci, E. Pacciani, P. Pallecchi, “Firenze. S. Lorenzo a Greve:
l’insediamento eneolitico”, in Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana 3 (2007), pp. 76-99.
HEMMLEB-ALBERTZ 1996: M. Hemmleb, J. Albertz, “Digital microphotogrammetry with the scanning electron microscope”, in International Archives of
Photogrammetry and Remote Sensing. Vol. XXXI, part. B5, Vienna 1996.
SALONIA et alii 2008: P. Salonia, T. Leti Messina, A. Marcolongo, A. Pozzi, S.
Scolastico, “A multimedia application for exploitation and virtual fruition of ancient archeological artifacts: the experience of the 2nd century roman Balteus of
Aosta,” in Proceedings from The 14th International Conference on Virtual Systems and MultiMedia, VSMM 2008, Cipro 2008.
http://vsmm2008.euromed2010.eu/vsmm2008/e_Proceedings/papers/projectpape
rs.pdf#page=163
SALONIA et alii 2009: P. Salonia, A. Scolastico, A. Marcolongo, T. Leti Messina, A.
Pozzi, “Three focal photogrammetry application for multi-scale and multi-level
cultural heritage survey, documentation and 3D reconstruction,” in Proceedings
from 22nd CIPA Symposium Digital Documentation, Interpretation & Presentation of Cultural Heritage, Kyoto, Japan 2009.
http://cipa.icomos.org/text%20files/KYOTO/88.pdf
TIANO et alii 2008: P.Tiano, D. Tapete, M. Matteini, F. Ceccaroni, “The Microphotogrammetry: a new diagnostic tool for on site monitoring of monumental surfaces”, in Proceedings of the International Workshop SMW08, Florence, Italy,
27-29 October 2008, In situ monitoring of monumental surfaces, edited by Piero
Tiano and Carla Pardini, ICVBC-CNR Florence, pp. 97-106.
TIANO et alii 2009: P. Tiano, P. Salvo, F. Ceccaroni, “The Microphotogrammetry as
a Portable Diagnostic Tool for Monumental Surface Monitoring,” in The Proceedings of the DGaO/SIOF Joint Meeting, Brescia 2-5 June 2009 Published by
the Deutsche Gesellschaft für angewandte Optik e.V.
TUTSCH et alii 2001: R. Tutsch, R. Ritter, D. Ispas, M. Petz, L. Casarotto,
“Microphotogrammetry for 3D strain measurement and microassembly control”,
in C. Gorecki, W.P.O. Werner (edited by) Microsystems Engineering: Metrology
and Inspection, Malgorzata Kujawinska 2001, pp.27-35.
48
DALLO SCAVO ALL’EDIFICIO: ESPERIENZE DI
REGISTRAZIONE TRIDIMENSIONALE A CONFRONTO
INTRODUZIONE
Lo stato attuale di un edificio storico viene definito dagli archeologi struttura materiale; essa riveste un’importanza fondamentale in
quanto fonte principale di “lettura” da cui scaturiscono tutte le informazioni registrate sull’edificio. La registrazione delle sue caratteristiche, sia
esso un Complesso Architettonico oppure un Sito Archeologico, richiede
strumenti che siano in grado di fornire la maggior quantità possibile di
dati, a prescindere dalle finalità disciplinari. La registrazione deve cioè
essere effettuata in modo tale da fornire elementi utili ad analisi che possano avere finalità differenti: analisi strutturali, studio delle tecniche costruttive, restauro, evoluzione edilizia, ecc.
La tecnologia oggi ci offre alcune strade percorribili; la scelta di
questi percorsi dipende da molti fattori: economici, tecnico-pratici, sociali o semplicemente mentali.
Con questo contributo vengono presentate, attraverso una serie di
esperienze effettuate negli ultimi anni dal Laboratorio di Archeologia
dell’Architettura e Restauro1 dell’Università di Siena, in collaborazione
con la Menci Software2, alcune delle possibili vie che possono essere
percorse, sottolineando i risultati raggiunti, i problemi incontrati e, ove
possibile, risolti. Naturalmente, non si vuole promuovere una tecnologia
piuttosto che un’altra (laser scanning o fotogrammetria), anche perché
quasi sempre l’integrazione3 delle medesime è la strada più produttiva;
l’intento è piuttosto mostrare, attraverso esempi concreti, una metodologia di registrazione del patrimonio storico costruito rappresentata da un
software, basato sulle leggi della fotogrammetria, in grado di elaborare
immagini digitali che generano nuvole di punti RGB e modelli 3D a restituzione fotografica.
1
http://www.laarch.unisi.it
Per maggiori informazioni sulla tecnologia sperimentata vd http://www.menci.com
3
REMONDINO et alii 2009.
2
LA REGISTRAZIONE DELLA STRUTTURA MATERIALE
Le dinamiche di lavoro delle discipline archeologiche sono in continua evoluzione. L’Archeologia dell’Architettura, ad esempio, in questi
anni si è sempre più legata ad interventi di monitoraggio e restauro dei
beni architettonici, ponendosi come strumento essenziale in cantieri di restauro, progetti di ricerca (archeologica, storico-costruttiva, ecc.) ed attività di tutela (come ad esempio la prevenzione del rischio sismico o il
monitoraggio dello stato di conservazione di interi siti archeologici, vedi
il caso di Pompei).
Dotarsi di metodologie adattabili a contesti eterogenei è quindi, ad
oggi, una prerogativa imprescindibile per chi si occupa di rilievo archeologico. Il mercato offre la possibilità di poter scegliere molti strumenti di rilievo rapidi, più o meno economici e precisi.
Risulta poi importante sottolineare che questo “rinnovamento tecnologico” tende a modificare anche l’approccio e la prassi operativa nella
documentazione archeologica ed architettonica. Nel nostro caso, ad esempio, l’operatore, dopo aver registrato sul campo tutti i dati dell’edificio (pareti, solai e tetti, aperture, elementi decorativi, ecc.), è in grado
di lavorare e fare le sue osservazioni in laboratorio su di una superficie
tridimensionale a diversi livelli di definizione. Inoltre, vi è la possibilità
di un’efficace e realistica esplorazione del modello 3D della struttura.
Modello che si può considerare il prodotto di una serie di operazioni di
registrazione, elaborazione e catalogazione dei dati che devono essere resi fruibili al più ampio numero possibile di gruppi di ricerca (archeologi,
architetti, storici dell’arte, restauratori, ingegneri) anche con finalità molto differenti, sia oggi che in futuro. Per questo motivo viene anche affrontato il problema della quantità e qualità delle informazioni, nonché
della loro conservazione ed utilizzazione nel tempo.
RAPPRESENTAZIONE
DELL’EVOLUZIONE STORICO/COSTRUTTIVA DI UN
EDIFICIO
Ricostruire l’evoluzione di un’architettura nel tempo è spesso
un’operazione molto complessa. In genere, un edificio è l’insieme di a50
zioni costruttive, di ripensamenti e cambiamenti nel progetto iniziale,
nonché di crolli e ricostruzioni dovute a fattori antropici (demolizioni) o
naturali (ad esempio i terremoti). Tutte queste informazioni si registrano
nella struttura stessa dell’edificio e devono essere attentamente individuate e decodificate.
Il problema della rappresentazione del passare del tempo è molto
sentita in campo archeologico, proprio perché si occupa della interpretazione stessa dei segni lasciati sulle superfici orizzontali e verticali
dell’edificio. Si tratta di riconoscere non solo l’evoluzione costruttiva di
una fabbrica, ma anche la sua dinamica strutturale e funzionale. Dalla
storia costruttiva si può infatti risalire a molti dati utili ad un eventuale
progetto di conservazione.
Nell’indagine delle strutture murarie, ad esempio, un accurato rilievo è necessario, non solo a documentare le caratteristiche formali di una
struttura, ma a comprenderne la logica costruttiva che ha presieduto alla
sua realizzazione4. Avere pertanto la possibilità di registrare il dato materiale attraverso i dati metrici tridimensionali assieme a quelli cromatici,
fornisce uno strumento ideale per arrivare ad un grado di approfondimento sufficiente delle vicende costruttive della fabbrica antica.
Naturalmente, la quantità di informazioni che possono essere ricavate dalla documentazione a nostra disposizione dipende dal grado di approfondimento a cui vogliamo arrivare nella lettura dell’edificio, dalla
preparazione e dagli interessi dell’operatore. Sarà proprio l’interpretazione dell’operatore che guiderà la redazione dei modi di utilizzo dei dati
(rilievi grafici, osservazioni sulle superfici, cinematismo del degrado, verifiche dimensionali, ecc.). La possibilità, infatti, di un utilizzo diacronico del modello da parte anche di operatori con bagagli culturali e preparazioni differenti, risulta uno dei vantaggi delle nuove tecnologie, attraverso cui ad esempio può essere mappato e controllato l’avanzamento
o la buona riuscita di un intervento di consolidamento a distanza di anni.
Si pensi a Pompei, un grande sito archeologico che potrebbe essere moni-
4
MANNONI 1991.
51
torato in modo molto rapido e con costi relativamente bassi, rispetto alle
necessità degli interventi di messa in sicurezza o di restauro.
METODOLOGIA DI RILIEVO
Il lavoro sul campo. La metodologia utilizzata per la registrazione
della struttura materiale riguarda in primo luogo l’acquisizione dei dati
attraverso una campagna fotografica delle superfici e delle strutture architettoniche che compongono l’edificio. I fattori che incidono fortemente sul progetto di presa fotografica possono essere suddivisi in fattori
oggettivi, ossia le dimensioni dell’edificio da rilevare, le condizioni di illuminazione, le condizioni generali dove il sito è collocato (ambiente urbano, area isolata, presenza della vegetazione), le modalità di presa (sensore complanare o fortemente incidente alla superficie dell’edificio), e
fattori soggettivi, legati alla scala di risoluzione richiesta dalle specifiche
del rilievo. Se la risoluzione del modello deve essere elevata, la camera
fotografica sarà più vicina all’edificio; una maggiore vicinanza alle superfici richiede una distanza dall’oggetto, dai 50 cm ai 3/4 m (a seconda
dell’obiettivo impiegato), che incide fortemente sulla quantità di fotogrammi necessari per ottenere il modello completo. Il sopralluogo risulta
lo strumento migliore per conoscere l’edificio e quindi pianificare il progetto di presa fotografica.
La campagna fotografica si appoggia ad un rilievo topografico, con
cui vengono determinate le coordinate delle marche fiduciali (targets)
posizionate precedentemente sulle superfici da rilevare. La realizzazione
di un rilievo topografico (anche se non obbligatoria) aiuta in modo determinante tutto il lavoro di elaborazione e restituzione ed è lo strumento di
controllo esterno al programma. Naturalmente il rilievo fotografico può
essere effettuato anche senza marche fiduciali, in questo secondo caso
però il lavoro di laboratorio comporta un ulteriore passaggio (vedi oltre)
per l’elaborazione dei dati. Sul campo vengono realizzate triplette fotografiche con una camera digitale posizionata su una barra metrica. Le ottiche calibrate utilizzate (20mm, 28mm e 60mm) variano in base alla de52
finizione richiesta e alle condizioni oggettive di ripresa. Devono essere
pertanto studiate le migliori soluzioni per evitare forti distorsioni, zone
d’ombra ed elevata disomogeneità cromatica. Le fotografie sono accompagnate da una scheda cartacea in cui vengono segnate le caratteristiche
di presa (distanza sulla slide-bar e tipo di obiettivo) e la porzione di edificio fotografata; questo lavoro addizionale, ma molto rapido sul campo,
facilita e velocizza la fase di riorganizzazione delle informazioni in laboratorio.
Non si tratta infatti di realizzare delle fotografie per la generazione
di ortofotopiani o per un più classico progetto di fotogrammetria monoscopica, ma si tratta di fotogrammetria stereoscopica per cui risulta basilare la posizione dell’operatore, e quindi della camera, nel cogliere tutte
le parti della struttura necessarie alla costruzione del modello.
Bisogna pertanto saper cogliere la tridimensionalità dell’oggetto e
fotografare tutte le parti necessarie. È impossibile comunque fissare regole generali e bisogna trattare la registrazione sul campo caso per caso.
Il lavoro di laboratorio. La restituzione in laboratorio può essere
suddivisa in due fasi. Una prima riguarda l’elaborazione dei dati attraverso l’utilizzo del programma (in questo caso ZScan di Menci Software)
per la generazione di nuvole di punti. Dopo una prima rettifica automatica delle tre foto, l’operatore utilizza le coordinate geometriche (punti di
controllo) per orientare le singole triplette. Successivamente, viene individuata sulla foto l’area da generare e viene impostato il passo di ricostruzione della nuvola di punti in funzione del valore del GSD (Ground
Sample Distance)5.
Nel nostro caso i modelli tridimensionali sono stati generati con un
GSD medio pari a 0,005 (5 mm) che corrisponde, nelle specifiche dell’English Heritage, ad una scala 1:50. Naturalmente l’impostazione del
5
Nel telerilevamento il GSD è la dimensione nel mondo reale di quella parte del soggetto rappresentato da un pixel di un'immagine digitale. Nelle specifiche dello English
Heritage si raccomandano dei valori puntuali per la fotogrammetria su scale architettoniche tipiche (1:50, 1:20, 1:10). Cfr. Metric Survey Specifications for Cultural Heritage 2009.
53
GSD dipende dal tipo di elaborato finale richiesto dalla committenza. Un
GSD impostato a 0,001, significherebbe avere la possibilità di generare
piante o prospetti in scala 1:10, il problema è la gestione di nuvole di
punti che in questo caso verrebbero generate dall’elaborazione di tutti i
pixel dell’immagine, comportando un’eccessiva pesantezza del file.
Nel caso in cui il lavoro venga realizzato senza marche fiduciali,
una volta generati i modelli tridimensionali, c’è un ulteriore passaggio
che consente di orientare manualmente ogni singolo modello rispetto al
precedente in relazione ad un piano stabilito dall’operatore. L’operazione
avviene scegliendo sul modello tridimensionale da orientare un minimo
di tre punti naturali presenti anche sul modello già orientato e registrato.
Questa seconda opzione rende il lavoro di laboratorio più lungo e meno
preciso metricamente; il programma consente comunque di calcolare e
registrare la media dell’errore di ogni singolo modello orientato. Oltre
una determinata soglia (ca. 4-5 cm) di errore il sistema automaticamente
non consente l’elaborazione dei dati. Sono state effettuate varie esperienze di registrazione senza punti topografici che hanno comunque portato a risultati soddisfacenti nel caso in cui i modelli da unire non siano in
numero eccessivo (più modelli vengono collegati manualmente e più l’errore medio si propaga sul modello generale) e le superfici da rilevare risultino complanari al sensore della camera (vd Figg. 5, 6 e 7).
Le nuvole di punti vengono salvate in formato *.vtp. È inoltre possibile salvare i singoli modelli in formato *Ascii XYZ ed *Ascii XYZ
RGB; in questo caso l’estensione permette la portabilità dei file in altri
programmi per la gestione di nuvole di punti o in semplici visualizzatori.
Le esperienze finora realizzate hanno dato ottimi risultati per la gestione
della nuvola di punti RGB con texture associata (le nuvole di punti sono
state infatti esportate su un altro programma proprietario, Geomagic, e su
un visualizzatore web, Cortona6).
6
A Tal proposito vorremmo ringraziare per il supporto tecnico e per i suggerimenti il
dott. Álvaro Rodríguez Miranda, UPV/EHU.
54
Risoluzione
texture
39.60°
Risoluzione
geometrica
60
mm
4 metri
Area
copeeta
75.42°
Larghezza
28
mm
4,67 m
6,62 m
30,96
m²
1,65
mm
0,20
mm
5,06 m
3,370 m
15,72
m²
1,19
mm
0,14
mm
1,61 m
2,015 m
3,24 m²
0,57
mm
0,07
mm
Altezza
Angolo di
campo
94.53°
Distanza
camera /
manufatto
Ottiche
Sensore
Full Frame
Camera
Nikon 23,9x36,0
mm
D700
12,1 MP
20
mm
Tab. I Caratteristiche del progetto di presa con il rapporto tra Base e Altezza rispetto
alle ottiche utilizzate. I dati riportati si riferiscono ad una situazione ideale in cui il
sensore della macchina risulta perfettamente complanare alla superficie da rilevare
(PARENTI-VECCHI-GILENTO 2008, p. 19).
Una volta generati i modelli, la loro gestione avviene attraverso il
software ZMap. L’interfaccia di questo programma si avvicina molto a
quelle dei software CAD ed infatti una delle funzioni principali è proprio
quella di creare disegni vettoriali direttamente sulla texture 3D (Figg. 1 e
2). Il vantaggio di uno strumento di questo genere è quello di sfruttare
non solo la tridimensionalità, ma anche la cromìa di un oggetto per registrarne e mapparne le caratteristiche.
Completezza e qualità della registrazione. La completezza della
registrazione è il risultato di vari fattori che intervengono sull’elaborato,
sia prima che dopo la generazione dello stesso. La ricchezza della registrazione incide molto sul tipo di lavoro da realizzare. Nel caso dei rilievi
di edifici storici le Linee Guida (MiBAC 2007), indicano lo standard da
seguire. Le specifiche del MiBAC per il miglioramento sismico degli edifici storici prevedono, infatti, la realizzazione, dopo un primo rilievo speditivo, di un rilievo analitico molto approfondito con particolare attenzione alle tecniche di realizzazione e ai dettagli costruttivi.
Gli elementi dell’edificio da registrare possono essere così suddivisi:
- Corpi di fabbrica
55
Figg. 1 / 2 Particolari del modello 3D con texture di una porta archi voltata
(Sesto Fiorentino – Firenze).
- Fasi costruttive
- Elementi strutturali
- Lesioni e deformazioni
Le deformazioni della geometria architettonica e le lesioni sono una parte integrante del rilievo perché rappresentano uno dei degradi strutturali più importanti della fabbrica. È il metodo stesso della fotogrammetria che consente di rilevare questo tipo di danni senza astrazioni e,
pertanto, risulta uno degli strumenti più adatti per il monitoraggio statico
di un edificio storico7.
La gestione dei dati. La quantità di informazioni generate ed immagazzinate durante il processo di registrazione è enorme. Per questo
motivo risulta fondamentale organizzare con criteri molto precisi, già
quando si incomincia il lavoro, la gestione dei dati. Le fotografie infatti,
7
CUNDARI 1982.
56
portano con sé una serie di informazioni (metadati) che deve essere conservata8. Oltre alle foto, esistono poi i punti topografici, i disegni realizzati durante la campagna e tutti i dati digitali generati dalle differenti elaborazioni.
CASI STUDIO
Negli ultimi anni, attraverso i progetti di ricerca portati avanti dal
LAArch, è stato possibile sperimentare il sistema di rilievo ZScan/ZMap
su diversi contesti di studio. In particolare, i contesti analizzati possono
essere ricondotti alle seguenti categorie:
Unità Topografiche: il rilievo effettuato in Giordania è stato realizzato nell’ambito della missione archeologica dell’Università di Siena
“Building Archaeology in Jordan” nel sito di Umm as-Surab, Giordania
Settentrionale. Il lavoro svolto si è concentrato sulla realizzazione di un
modello tridimensionale del complesso architettonico, identificato attraverso un’unità topografica (la UT 28), costituito dalla chiesa dei Santi
Sergio e Bacco e da ulteriori corpi di fabbrica come il campanile/minareto, il cortile della chiesa ed i probabili ambienti monastici (Fig. 3). Il fine
è stato quello di avere a disposizione un rilievo della situazione attuale
del complesso, attraverso cui ricostruire le vicende evolutive del sito. Il
rilievo fotografico delle superfici è stato accompagnato dal classico rilievo topografico, con cui sono stati anche ridefiniti volumi e superfici poco chiare nelle piante realizzate in precedenza. È stato così possibile integrare e confrontare rilievi pregressi con rilievi aggiornati metodologicamente.
Le difficoltà operative principali hanno riguardato la necessità di
operare con luce diretta molto forte e superfici composte da un materiale
da costruzione di colore scuro, il basalto. Si è lavorato pertanto con tempi
di esposizione bassi e diaframma chiuso.
Sono state rilevate le superfici murarie esterne del complesso nella
8
RODRÍGUEZ MIRANDA et alii 2008.
57
Fig. 3 Rilievo wireframe 3D con caratterizzazione delle aperture. (Umm as-Surab –
Giordania).
loro interezza, le aperture, gli orizzontamenti e gli elementi decorativi ad
una distanza variabile tra 1,50 e 3 metri. La scelta di effettuare foto ad una distanza così ravvicinata dalle superfici da rilevare è stata voluta con
lo scopo di distinguere e caratterizzare in modo molto analitico le tecniche costruttive. Dal modello tridimensionale a restituzione fotografica è
stato elaborato un rilievo wireframe delle superfici, a cui si è aggiunta la
creazione di ortofotopiani ad alta risoluzione dei prospetti, sia interni che
esterni (Fig. 4). La possibilità di operare direttamente sul modello 3D ha
fornito vantaggi nel complesso lavoro di caratterizzazione delle tecniche
edilizie, in un caso, come quello giordano, dove i modi di costruire si sono mantenuti quasi immutati per secoli e distinguere piccoli particolari,
come l’impiego delle zeppe, diventa determinante. In questo caso lo
strumento utilizzato si è dimostrato molto versatile, ha garantito infatti
una buona riuscita anche in condizioni di luce particolari.
58
Fig. 4 Ortofotopiano e lettura stratigrafica dell’interno della chiesa (elaborazione Pietro
Caciagli). (Umm as-Surab – Giordania).
Complessi Architettonici e Corpi di Fabbrica: sono questi i casi
studio nei quali la metodologia è stata sfruttata in modo quantitativamente più rilevante, con sperimentazioni che non si sono concentrate solo su
progetti di ricerca, ma anche su tesi di laurea, laboratori per studenti, ecc.
La maggior parte dei contesti di studio può essere geograficamente compresa fra Toscana (in particolare Siena e provincia di Firenze) e Abruzzo.
Nel caso toscano, le strutture analizzate hanno offerto la possibilità
di produrre modelli 3D di contesti molto eterogenei; si è passati infatti da
rilievi di interi volumi (sia esterni che interni), proponendo analisi generali di contesto (es. analisi stratigrafiche tridimensionali di intere strutture), ad analisi specifiche (es. caratterizzazione delle tecniche costruttive),
nelle quali l’elemento tridimensionale è stato aggiunto al consueto rilievo
di dettaglio (Figg. 5, 6 e 7). Nel secondo caso, quello abruzzese, i rilievi
si sono unicamente concentrati su due edifici colpiti dal sisma del 6 Apri59
le 2009. La sperimentazione della tecnologia ZScan/ZMap in questi contesti, avvenuta pochi giorni dopo il sisma, è stata fortemente innovativa
dal punto di vista della metodologia di lavoro e da quello dei risultati
prodotti. Nel caso della chiesa di San Pietro a Coppito, danneggiata dal
sisma ma non crollata, era richiesto un sistema di rilievo che permettesse
di lavorare in sicurezza a debita distanza dalla struttura e che producesse
elaborati utili ad analisi quantitative e qualitative della struttura.
Mediante la tecnologia ZScan è stato possibile effettuare prese fotografiche sufficientemente lontane dall’oggetto, che hanno restituito i
seguenti prodotti: ortofotopiani dei prospetti esterni (sui quali sono state
effettuate analisi stratigrafiche e mappatura delle lesioni), DEM e sezioni
(fondamentali per individuare spanciamenti e fuori piombo, difficilmente
rilevabili in altro modo). Nel caso della chiesa di Castelnuovo, in gran
parte crollata dopo il sisma, è stato invece possibile costruire un modello
3D dell’edificio prima e dopo la rimozione delle macerie, individuando i
volumi relativi al crollo e proponendo un’analisi stratigrafica delle principali fasi costruttive della struttura venute in luce a causa del crollo di
murature ed intonaci dalle superfici sia interne che esterne.
Fig. 5 Modello 3D della chiesa di San Bartolomeo a Carmignanello realizzato senza
l’ausilio di punti topografici. (Sesto Fiorentino – Firenze).
60
Figg. 6 / 7 Modello 3D e prospetto wireframe della chiesa di Santa Maria a Fabbrica
realizzati senza l’ausilio di punti topografici. (Vicchio – Firenze).
I due rilievi della chiesa di Castelnuovo, ovviamente effettuati in
momenti diversi, sono stati poi integrati, proponendo un unico modello
tridimensionale delle situazioni pre- e post-rimozione delle macerie, offrendo così la possibilità di effettuare analisi incrociate dei due prodotti.
Fronti Stradali: la sperimentazione di rilievo di fronti stradali ha
riguardato Palazzo Campatelli, edificio di San Gimignano (SI) proprietà
del FAI, costituito da diversi Corpi di Fabbrica prodotti in un arco cronologico compreso fra il Medioevo ed il Settecento. Il rilievo, richiesto per
il successivo restauro del complesso, è stato effettuato su una superficie
con un altezza massima di circa 27 metri ed una lunghezza complessiva
di 33 metri. In un primo momento le prese fotografiche sono state realizzate da terra; ciò ha portato alla produzione di fotografie complanari per
la parte bassa della struttura e molto scorciate per la parte alta. In questo
caso però, data l’imponenza della struttura, in particolar modo della torre
centrale, e del poco spazio a disposizione (le strade di San Gimignano
hanno un’ampiezza di circa sei metri), nonostante l’appoggio topografico, le foto scorciate hanno creato un’elevata distorsione, producendo pertanto in fase di restituzione modelli poco affidabili metricamente. La
61
scelta è stata perciò dirottata, in un secondo momento, sull’utilizzo di un
cestello elevatore di 19 metri per le fotografie della parte alta dell’edificio, producendo in questo modo un modello metricamente e morfologicamente corretto in ogni sua parte. Da questo elaborato sono poi stati
prodotti: un ortofotopiano dell’intero prospetto esterno, un modello wireframe 3D del prospetto rilevato (al quale sono state agganciate sezioni e
piante prodotte dagli architetti dell’Ufficio Tecnico del FAI, al fine di
creare un volumetrico interno dell’intero palazzo), sezioni verticali delle
superfici esterne a precisione millimetrica (fondamentali per ricavare
spanciamenti o fuori piombo).
Scavi Archeologici: in questo caso, la sperimentazione si è concentrata su due scavi (Aiano-Torraccia di Chiusi e Baratti-Populonia) con
l’intento di rilevare le superfici verticali portate alla luce e la stratigrafia
visibile sulle sezioni. Nel caso di Baratti9 i risultati sono sorprendenti: i
modelli riescono a riprodurre con grande accuratezza la cromìa degli
strati visibili in sezione, arrivando ad apprezzare la più piccola distorsione della sezione stessa, producendo in tal modo un modello 3D geometricamente fedele alla zona rilevata (Figg. 8 e 9). Per quanto riguarda
il caso studio di Aiano-Torraccia di Chiusi10, villa romana con frequentazioni artigianali altomedievali, il rilievo si è concentrato su un ambiente
triabsidato interno alla villa. Il risultato prodotto è un modello tridimensionale dell’intera struttura triabsidata (prospetti esterni, interni e creste
dei muri) (Figg. 10 e 11), che offre la possibilità, disegnando sulla texture
del modello, di creare una pianta 3D wireframe dell’ambiente. Passo successivo sarà la produzione del modello tridimensionale in fasi e la caratterizzazione delle tecniche costruttive individuate.
9
10
Lo scavo è diretto dal Prof. Franco Cambi, che ringraziamo per la collaborazione.
Missione italo-belga guidata dal 2005 dall’Université catholique de Louvain, nell’ambito del progetto internazionale “VII Regio. The Elsa Valley during Roman Age and
Late Antiquity”, sotto la direzione scientifica del Prof. Marco Cavalieri, che ringraziamo per la collaborazione.
62
Figg. 8 / 9 Modelli 3D con texture di particolari dello scavo di Baratti-Populonia
(Populonia - Livorno).
Fig. 10 Modello 3D con texture del prospetto interno di un abside del sito di Aiano –
Torraccia di Chiusi. (San Gimignano - Siena).
Ambienti di cava: un’ulteriore sperimentazione della tecnologia
ZScan è avvenuta presso le cave della Necropoli etrusca di Populonia11.
Il rilievo di un ambiente di cava risulta molto complicato, soprattutto a livello rappresentativo, in quanto composto da numerose superfici che fra di
loro instaurano complessi rapporti stratigrafici; inoltre vi è l’esigenza da
parte dell’operatore di rappresentare non solo i piani individuati, ma anche le tracce degli strumenti utilizzati per la cavatura. A Populonia, la possibilità di disporre di modelli tridimensionali ad alta risoluzione (Fig. 12)
ha permesso da un lato di poter visualizzare il contesto in modo reale da
diversi punti di vista (con la possibilità di mettere in evidenza in modo
dettagliato le tracce lasciate dagli strumenti di lavoro sulle superfici) e
11
A tal proposito si veda la tesi di laurea di Elena Vattimo “Sperimentazione di tecniche
di rilievo per l’integrazione di dati differenziati. Il caso delle cave di calcarenite di
Populonia” discussa il 13 aprile 2011 presso l’Università degli Studi di Siena. Si ringraziano Elena Vattimo e Cynthia Mascione per la collaborazione e la disponibilità.
63
dall’altro, mediante il disegno wireframe effettuato sul modello 3D, di
porre in risalto con layer diversi la stratigrafia individuata.
Fig. 12 Visualizzazione del modello 3D per punti RGB del fronte 1 delle cave di calcarenite di Populonia; il modello è stato realizzato processando 13 triplette di immagini
(4256x2832 pixel; formato TIFF; peso 35.329 KB) e 80 punti d’appoggio.
Elaborazione Elena Vattimo - Università degli Studi di Siena, Laboratorio di
Archeologia dell’Architettura (R. Parenti), Laboratorio di Disegno (C. Mascione).
Inoltre, la possibilità di produrre DEM e sezioni di superficie del
contesto ha facilitato molto la possibilità rappresentativa del sito e la possibilità di analisi della morfologia delle superfici e dei segni lasciati dagli
strumenti da lavoro.
Concludendo, l’applicazione della tecnologia ZScan/ZMap nelle
diverse situazioni incontrate, ha permesso di conoscere nel dettaglio limiti e caratteristiche di questo strumento. La metodologia è risultata estremamente versatile e ha prodotto risultati soddisfacenti sia nei “tipici”
contesti archeologici, che nei casi di studio “atipici” (che richiedono cioè
particolari accorgimenti a livello di sicurezza, velocità di esecuzione,
ecc.).
I rilievi archeologici “classici” (analisi stratigrafica, caratterizzazione delle tecniche costruttive, ecc.) e le analisi di dettaglio (spanciamenti,
fuori piombo, distacco di intonaci, dislocazione di conci, ecc.) prodotti su
modelli cromaticamente corretti e metricamente affidabili, hanno avuto
64
una ricaduta positiva non solo a livello archeologico, ma anche a fini restaurativi, architettonici, ecc. In alcuni contesti, si sono potuti osservare
alcuni limiti della tecnologia, ovvero la difficoltà nel creare modelli da
foto non complanari (che generano molto rumore nel modello creato) e
da superfici troppo chiare ed omogenee (come quelle completamente intonacate).
CONCLUSIONI
La possibilità di integrare le tecnologie oggi a nostra disposizione,
assieme alla necessità di utilizzare nel migliore dei modi i prodotti digitali creati da queste stesse tecnologie, risulta il passo fondamentale per
arrivare ad un obiettivo comune: conoscere ciò che stiamo registrando
per conservarlo e promuoverlo, seguendo l’idea che oggi un monumento
non è più solo un oggetto da conoscere in se stesso, ma diventa parte attiva della società, trasformandosi in un generatore, non solo di risorse culturali, ma anche economiche e sociali. La sfida del prossimo futuro sarà
quindi quella di creare un sistema sicuro per la circolazione e la fruibilità
di questi dati. Un altro punto da affrontare è poi quello della codifica di
metodologie standardizzate di lavoro sull’ampia gamma di modelli digitali a nostra disposizione, che consentano di produrre una documentazione omogenea del Patrimonio Culturale. Altra nota importante, oltre alla
gestione e l’organizzazione dei dati, è la conservazione degli stessi. Bisogna essere perfettamente consapevoli che il materiale oggi prodotto è
ancora utilizzato in percentuale molto bassa rispetto alle potenzialità che
intrinsecamente contiene. Il rapido sviluppo della tecnologia consentirà
nel giro di poco tempo un loro migliore utilizzo e, fino a quel momento,
tutti questi dati devono essere debitamente conservati. Problematica risulta ancora la gestione di nuvole con milioni di punti. I visualizzatori disponibili sul web, e gratuitamente scaricabili, costituiscono una risorsa
ancora da sondare in tutte le sue possibilità.
ANDREA ARRIGHETTI – PIERO GILENTO
Università degli Studi di Siena
Laboratorio di Archeologia dell’Architettura e Restauro - www.laarch.unisi.it
65
ABSTRACT
La “descrizione” della struttura materiale richiede un alto grado di oggettività in
funzione degli interessi scientifici di alcune discipline (documentazione archeologica,
conservazione e restauro, tutela dei Beni Culturali). Il dato geometrico e la documentazione fotografica delle superfici risultano gli strumenti migliori per una registrazione
efficace, chiara ed oggettiva di un manufatto architettonico e di altre manifestazioni antropiche. In particolare, la completezza e la diacronia della documentazione fotografica
si sono sempre dimostrate essenziali nella registrazione della struttura materiale di edifici storici. L’avanzamento tecnologico ha messo inoltre a disposizione della comunità
scientifica alcuni prodotti da cui si ottengono modelli che, non solo hanno la grande
proprietà di rappresentare fotograficamente, con una definizione elevata, le superfici,
ma sono anche corretti geometricamente nelle tre dimensioni. In questo modo, la documentazione della struttura materiale risulta molto più completa e risponde alle esigenze
di una documentazione rapida, ma al contempo ricca di tutte le informazioni necessarie
per un’analisi approfondita dell’oggetto.
BIBLIOGRAFIA
ANDREWS 2009: D. Andrews (edited by), Metric Survey Specifications for Cultural
Heritage, Swindon 2009.
http://www.english-heritage.org.uk/publications/metric-survey-specification/
CUNDARI 1982: C. Cundari (1982), Fotogrammetria architettonica, Edizioni Kappa,
Roma 1982.
GHEZZI-SANTARSIERO 2009: M. Ghezzi, D. Santarsiero, “ZScan: Scansione tridimensionale digitale”, in Archeomatica 0 (2009), pp.38-40.
MANNONI et alii 1991: T. Mannoni, A. Cagnana, S. Falsini, P. Ghislanzoni, D. Pittaluga, “Archeologia ed archeometria dei muri in pietra. Superfici e strutture in Liguria”, in G. Biscontin, D. Mietto (a cura di), Le pietre nell’Architettura: strutture e superfici, Atti del Convegno di Studi, Bressanone 25-28 giugno 1991), Volume 7 di Scienza e Beni Culturali, Padova 1991, pp. 151-162.
MIBAC 2006: Linee Guida per la valutazione e riduzione del rischio sismico del
patrimonio culturale, Gangemi, Roma 2006.
PARENTI-VECCHI-GILENTO 2008: R. Parenti, A. Vecchi, P. Gilento, “Archeologia
dell’architettura e rischio sismico”, in Archeologia dell’Architettura XIII, All’insegna del Giglio, Firenze 2008, pp. 15-28.
REMONDINO et alii 2009: F. Remondino, S. El-Hakim, S. Girardi, A. Rizzi, S.
Benedetti, L. Gonzo, “3D Virtual reconstruction and visualization of complex architectures”, in The 3D-ARCH project. Proceedings of the 3rd ISPRS International Workshop 3D-ARCH 2009, Trento.
66
RODRIGUEZ MIRANDA et alii 2008: A. Rodríguez Miranda, J.M. Valle Melón, A.
Lopetegi Galarraga, “Time transcendence, metadata and future utilization in 3D
models of point clouds for heritage elements”, in R. Verghieux, C. Delevoie (edited by), Archéovision 3. Actes du Colloque Virtual Retrospect 2007, Bordeaux
2008, pp.115-123.
http://archeovision.cnrs.fr/pdf/vr07_pdf/07_galarraga.pdf
67
TRIDIMENSIONALIZZAZIONE DEI RILIEVI CARTACEI E
VIRTUALIZZAZIONE DI UN CONTESTO ARCHEOLOGICO
SUBACQUEO DI ETÀ FENICIO-PUNICA: IL CASO DELLA
LAGUNA DI SANTA GIUSTA (OR)
1. INTRODUZIONE (V.P.)
Negli ultimi anni in ambito archeologico si assiste ad un notevole
incremento dell’uso di strumenti informatici, in particolare nel settore
della gestione informatizzata dei dati provenienti dalle indagini stratigrafiche. Proprio in questo specifico ambito si è imposto il ricorso a quell’insieme di prodotti informatici riconducibili alla sigla GIS (Geographic Information System)1, i quali si configurano come una suite di strumenti particolarmente adatta all’amministrazione del complesso di informazioni e di documenti di natura composita che la ricerca archeologica
produce2. Il repentino aumento del numero di indagini gestite digitalmente – o interessate da un passaggio da metodologie tradizionali di registrazione dei dati a metodologie e strumentazioni digitali – fa sì che siano
molteplici i casi in cui le stesse vedono convivere due diversi sistemi di
documentazione tra loro complementari: da un lato i dati cartacei prodotti con il rilievo diretto e dall’altro i dati di recente acquisizione, spesso registrati digitalmente3.
Tale differenza non comporta soltanto una difformità dei supporti
di registrazione, ma anche la diversa natura dei dati stessi: la prima e più
immediata differenza consiste nella tridimensionalità dei dati digitali a
fronte della bidimensionalità dei rilievi tradizionali, per lo più corredati
da sporadiche e discontinue annotazioni inerenti alla terza dimensione.
Nel presente contributo verrà presentata una procedura operativa
volta al recupero e all’elaborazione dei rilievi cartacei attraverso l’integrale tridimensionalizzazione in ambiente CAD degli stessi, anche in
1
WHEATLEY-GILLINGS 2002.
LOOK 2003; KATSIANIS et alii 2008.
3
D’ANDREA 2003, p. 332.
2
funzione dell’esportazione verso il software GIS dei dati tridimensionali
così ottenuti.
Verrà di seguito esposto, quale caso esemplare, il contesto archeologico sommerso di età fenicio-punica, localizzato nella laguna di Santa
Giusta (OR), nella Sardegna centro-occidentale4: l’indagine subacquea
ivi condotta si configura come un valido esempio di ricerca improntata ad
un approccio multimetodico concernente anche la documentazione archeologica; tale sito è stato infatti oggetto di prospezioni e di diverse
campagne di scavo in occasione delle quali la registrazione puntuale dei
dati è stata realizzata, in un primo tempo, ricorrendo esclusivamente alle
metodiche tradizionali del rilievo archeologico adattate all’ambiente subacqueo e, successivamente, a partire dalla campagna di scavo 2009-2010,
integrando tali metodi con l’utilizzo di strumenti digitali per la registrazione dei dati spaziali.
2. IL SITO E I MATERIALI (C.D.V. – I.S.)
Il contesto subacqueo in esame è riconducibile alla città di Othoca,
colonia fenicia fondata forse alla fine dell’VIII sec. a.C. a controllo del
settore centrale del Golfo di Oristano5. Noto alla popolazione locale per i
numerosi rinvenimenti in prevalenza di materiale anforario e sottoposto a
due interventi di recupero da parte della Soprintendenza Archeologica di
Cagliari negli anni 1973 e 19856, il giacimento archeologico è oggetto,
dal 2005, di indagini sistematiche da parte della stessa Soprintendenza, in
collaborazione con l’Università di Cagliari. Una lunga campagna di prospezioni sistematiche, con l’utilizzo di sondaggi con asta metrica, e di limitati saggi di scavo manuali, condotta nell’inverno 2005-2006 nel tratto nord-orientale della laguna, in settori predeterminati con posa di capisaldi georeferenziati, ha consentito di individuare due principali aree di
giacitura di materiale archeologico: l’Area A, di ca. 3.600 mq, distante
4
DEL VAIS-SANNA 2009.
DEL VAIS 2010.
6
DEL VAIS-SANNA 2009.
5
69
ca. 800 m dalla riva est della laguna, e l’Area B, estesa per oltre 120.000
mq, situata tra l’Area A e la riva nord-orientale. I risultati delle indagini
consentono di identificare le sequenze stratigrafiche dell’azione sedimentaria e i caratteri distributivi dei materiali giacenti, che risultano riferibili
in prevalenza al VI sec. e III-II sec. a.C. I manufatti della prima fase, tra
cui si distinguono le anfore a sacco fenicie, compaiono in entrambe le aree e dagli ultimi sondaggi e scavi risultano proseguire oltre il limite sud
dell’Area A, mentre i materiali più recenti, rappresentati principalmente
dalle anfore puniche a siluro, si trovano concentrati nell’Area A, in parte
in sovrapposizione al deposito più antico.
Dal 2006 tale area è oggetto di un’indagine più ampia, condotta attraverso metodi non invasivi e sondaggi di scavo archeologico subacqueo. Preliminarmente l’area è stata inscritta in un quadrato di 60 m di
lato, suddiviso da un reticolo con moduli di 3 m. Data la sufficiente regolarità planimetrica del fondale lagunare, l’intero impianto topografico7, orientato in direzione sud-nord, è stato realizzato adottando il metodo degli allineamenti e squadri8, senza l’ausilio di strumentazione ottica per il
rilievo. Le varie operazioni di rilievo sono state ripetutamente verificate
con misurazioni dirette lineari e angolari di controllo, per ridurre al minimo i margini d’errore accidentale o dovuto alle attrezzature utilizzate. Tutti i capisaldi principali, così come già in precedenza per i punti notevoli
relativi alle prospezioni, sono stati rilevati con strumento GNSS, successivamente ribattuti con la stazione totale.
Dopo la predisposizione del reticolo, all’interno dell’Area A sono
state effettuate diverse serie di verifiche procedendo per sondaggi manuali ravvicinati9, eseguiti con asta metrica in senso ovest-est lungo le ascis7
La maglia topografica è stata realizzata con tubi in acciaio infissi per 2 m sul fondale
nei capisaldi principali, picchetti in acciaio, cime tesate e cartellinatura indicativa.
8
Il procedimento speditivo, da noi utilizzato in numerosi lavori subacquei, si basa fondamentalmente su allineamenti di paline, misure dirette con longimetri e verifiche delle ortogonalità tramite apposite dime realizzate a terra secondo il metodo del triangolo
rettangolo, con i lati di 3-4-5 metri e multipli di essi.
9
Gli intervalli tra i sondaggi sono stati previsti al metro, ma nei tratti dove i segnali acustici rivelavano maggiore densità di materiali, si sono effettuate le misurazioni a distanze più contenute, fino a poche decine di centimetri.
70
se della maglia topografica. Con tale sistema non invasivo, si sono ottenute sette sezioni trasversali, comprendenti quote e informazioni relative
alla presenza, all’estensione e alla consistenza del giacimento archeologico giacente sotto i limi lagunari.
Sulla base dei risultati dei sondaggi e di alcuni saggi di scavo, si è
deciso di intraprendere lo scavo archeologico in una limitata porzione
dell’Area A, comprendente nove quadrati, solo tre dei quali sono stati finora indagati in profondità (qq. R8, R9, R10). L’intervento è stato eseguito con una motopompa, munita di filtro all’imboccatura del tubo d’aspirazione e di filtri a maglia fine in corrispondenza dello scarico, per il
recupero anche dei materiali più minuti (Fig. 1). Per ovviare al problema
della torbidità dell’acqua, condizione tipica degli ambienti lagunari, sono
stati realizzati sistemi di contenimento dei limi attorno all’area di scavo
consistenti in paratie metalliche sommerse, inserite gradualmente su apposite guide. All’interno del ring metallico così ottenuto è stato impiantato un reticolo più fitto, suddividendo ciascun quadrato da 3 x 3 metri in nove quadrati da 1 m di lato. Oltre alla predisposizione del ring protettivo, per limitare al massimo ogni operazione che comportasse movimenti di operatori e grovigli di fettucce metriche durante le frequenti
misurazioni, è stata realizzata una specifica strumentazione per il rilievo,
una sorta di tecnigrafo subacqueo metallico, costituito da un profilato
quadrato di 3 x 3 metri, dotato di barra orizzontale scorrevole per le misurazioni delle ascisse e delle ordinate, e astina scorrevole regolabile in
altezza per la rilevazione delle quote verticali.
Ulteriori accorgimenti tecnici sono stati adottati durante il procedere dei lavori di scavo, onde ridurre al minimo i movimenti degli operatori subacquei ed evitare l’intorbidimento delle acque. Sono state inserite,
all’interno dei settori di scavo, pedane sospese ed altri supporti con lo
scopo di impedire il contatto, anche casuale ed involontario, con i materiali archeologici sottostanti. Lo scavo nei quadrati R8-R10, condotto con
metodo stratigrafico10, ha evidenziato, al di sotto di un sottile deposito la-
10
La potenza e le caratteristiche dei substrati sono state indagate anche attraverso alcuni
carotaggi manuali realizzati all’interno dell’area di scavo.
71
gunare moderno (US 1), di ca. 15-20 cm di spessore, un più potente strato di limo fine e scuro (US 2), spesso ca. 50-60 cm, inglobante un deposito archeologico costituito in gran parte da contenitori anforari del tipo a
siluro, databili al III-II sec. a.C.11, in buona parte integri o con i frammenti ancora in connessione. All’interno della maggior parte delle anfore
o attorno ad esse sono stati recuperati numerosi resti ossei, prevalentemente di ovicaprini, ma anche di bovini e di altri piccoli animali, in corso
di studio da parte di M. Zedda dell’Università di Sassari. Tale dato trova
ampio riscontro in ambito isolano e va interpretato in relazione ad una attività di allevamento e industria conserviera specializzata, tipica della
Sardegna fenicia e punica, nota principalmente grazie ai recuperi subacquei testimoni di un’esportazione via mare dei prodotti. In associazione
con le ossa, sono stati rinvenuti in numero consistente resti carpologici di
diverse essenze, in larga parte vinaccioli, ma anche semi d’oliva, mandorle, pinoli, pigne. Oltre ai contenitori anforari sono stati individuati altri vasi in ceramica comune e da cucina, di tradizione fenicia e punica. I
risultati preliminari delle analisi archeometriche condotte da M.L. Amadori (Università di Urbino) suggeriscono una preminente provenienza locale dei manufatti.
Il materiale tardo-punico in alcuni casi si trova quasi alla medesima
quota di quello fenicio, che poggia e in parte sprofonda in un sottile letto
conchigliare (US 3), a sua volta sovrapposto ad uno strato limoso assai
fine e più potente (US 4), solo in minima parte rimosso. A partire dalla
base dell’US 2 e soprattutto nei livelli sottostanti, sono comparsi numerosi legni, alcuni semicarbonizzati, sia semplici rami che elementi accuratamente lavorati, con sagomature, fori e scasse per l’appoggio o l’alloggiamento di altri consimili manufatti, alcuni ancora in connessione.
Tra i legni, risulta di particolare rilevanza un elemento zoomorfo perfettamente lavorato, riproducente in scala 1:1 la parte terminale di un arto di
ungulato (caprone, cervo o altro), munito all’altezza del ginocchio di un
incastro e di un cavicchio di fissaggio. A 1,10 m dalla zampa lignea, adagiata alla medesima quota, è stata rinvenuta una protome fittile maschile
11
DEL VAIS-SANNA 2009.
72
di fattura raffinata, rappresentante un giovane con lineamenti negroidi,
presumibilmente un satiro12 (Fig. 1).
Fig. 1 Fasi finali dello scavo subacqueo della protome fittile giacente in posizione rovesciata sull’interfaccia superiore della US 3. Si notino le buone condizioni di visibilità
ottenute con le tecniche operative e le paratie metalliche sommerse
(foto R. Arcaini).
Nella conduzione dell’indagine si è favorito un approccio interdisciplinare, concernente sia lo studio dell’evoluzione geomorfologica dell’area, sia l’analisi dei materiali ceramici e organici, considerati sotto diversi aspetti, tra cui, non secondario, quello delle alterazioni subite a partire dall’abbandono. La ricostruzione degli eventi che hanno determinato
la formazione e l’evoluzione del giacimento, che trova significativamente formidabili riscontri nella laguna di S. Gilla 13, il bacino su cui si affacciava la città fenicio-punica di Karalis, ha come presupposto impre12
13
MINOJA C.S.
VIVANET 1893.
73
scindibile la registrazione puntuale e la restituzione del contesto antico,
pur in situazioni contingenti non agevoli, che in questo caso si è cercato
di realizzare sia con metodi tradizionali che applicando nuovi strumenti
di rilevamento e di elaborazione informatica.
3. LA TRIDIMENSIONALIZZAZIONE DEI RILIEVI CARTACEI (V.P.)
Come esposto, a partire dalla campagna di scavo del 2009-2010 si è
proceduto all’introduzione di strumentazioni digitali, nella fattispecie
della stazione totale (Leica TPS400), da affiancare, laddove possibile, alle metodiche tradizionali di rilievo e di registrazione dei dati 14, che in determinate circostanze si sono dimostrate le uniche utilizzabili in ambiente sommerso. Il ricorso a strumentazioni digitali è seguito alla decisione
di intraprendere un processo di gestione informatizzata dei dati relativi
alle indagini degli anni precedenti, prevedendo la creazione di una piattaforma GIS dello scavo, volta a costituire per lo studio in corso un ulteriore strumento di analisi. Si è dunque presentata la necessità di avviare
un percorso di acquisizione e di conversione di tutta la documentazione
precedentemente prodotta, in prevalenza cartacea, così da renderla utilizzabile all’interno dell’ambiente GIS.
3.1. Acquisizione
Il corpus di documenti grafici prodotti mediante rilievo diretto è
costituito principalmente da planimetrie generali, piante di strato, sezioni
e sezioni-prospetto, prodotte in un range di scala grafica compreso tra
1:10 e 1:20. A questo primo insieme si affianca, se pure indirettamente,
un secondo complesso di dati, sempre di natura spaziale, acquisito attraverso altre strumentazioni in dotazione, quali un GNSS portatile a 12 canali ed un computer subacqueo dotato di profondimetro decimetrico; tali
informazioni, come si vedrà oltre, durante le fasi di modellazione 3D
14
FACENNA-FELICI 1998.
74
hanno spesso fornito un prezioso apporto informativo per la corretta collocazione degli oggetti creati all’interno della piattaforma tridimensionale.
Per quanto concerne le scelte prettamente procedurali relative alle
fasi di digitalizzazione dei rilievi cartacei, si è operato acquisendo, per
mezzo di uno scanner, le immagini digitali degli stessi da referenziare
spazialmente nelle due dimensioni secondo il sistema di coordinate locali
rappresentato dalla quadrettatura di scavo: tale operazione è stata condotta in ambiente CAD, in quanto ambiente prescelto per le successive fasi
di elaborazione grafica dei rilievi.
La vettorializzazione dei vari file così referenziati è stata eseguita
operando on-screen15, in considerazione del maggiore grado di accuratezza e della possibilità di ispezione del dato vettoriale direttamente durante le operazioni di trasformazione. Proprio l’attenzione alla precisione dei dati vettorializzati ha suggerito di integrare le planimetrie con i rilievi dei reperti in scala 1:1; anch’essi sono stati digitalizzati e referenziati sulla planimetria, mettendo in relazione i punti di corrispondenza
individuati nelle due serie di immagini. In tal modo è stato possibile far
confluire queste due diverse espressioni documentarie in un unico prodotto finale rappresentato dalle linee vettoriali 2D che sono state poi alla
base della modellazione dei solidi.
A questo stadio del processo di trasformazione dei dati cartacei corrisponde un elaborato CAD comprendente diverse piante e planimetrie in
formato vettoriale sufficientemente accurate, ma ancora vincolate alla bidimensionalità dei dati cartacei da cui hanno origine.
3.2. Tridimensionalizzazione
La natura stessa del deposito archeologico investigato ha indirizzato le scelte successive del processo di conversione: gli strati archeologici riprodotti contengono, a livello macroscopico, esclusivamente manufatti ceramici e organici (legni, ossa, resti carpologici), in un ambiente
privo di strutture costruite in materiale lapideo o laterizio.
15
D’ANDREA 2001, p. 340.
75
Fig. 2 Solido 3D e originale archeologico a confronto: brocca con orlo a
fungo A229 (elaborazione grafica V. Pinna).
Ciascun elemento rappresentato nelle planimetrie è stato quindi
trattato come reperto e come tale è stato oggetto di un posizionamento
puntuale, registrato in apposite schede contenenti anche altre indicazioni
di diversa natura. Questi dati spaziali (coordinate x e y, profondità, orientamento dell’asse principale), hanno rappresentato un’ulteriore fonte di
informazione da integrare nel processo di tridimensionalizzazione della
planimetria vettoriale.
All’inserimento nell’elaborato digitale della gran parte dei dati spaziali disponibili, è seguita la modellazione dei solidi 16 a partire dalle primitive vettoriali realizzate: tale processo è stato compiuto optando per
l’ambiente CAD 3D, il quale, pur offrendo un numero ridotto di strumenti per la modellazione di solidi rispetto alla gran parte dei software di
modellazione free-form, compensa tale limite garantendo un maggiore
grado di precisione e la possibilità di governare e misurare millimetricamente ciascun passaggio della modellazione.
Attraverso l’impiego, ora separato ora combinato, dei diversi strumenti, è stato possibile modellare dei solidi che riproducono la gran parte
16
RUA-ALVITO 2011, RUSSO 2005.
76
dei reperti del deposito archeologico investigato: mediante i tool estrusione, rivoluzione e loft17, sono state riprodotte copie digitali tridimensionali morfometricamente corrette di ciascuno dei reperti (Fig. 2). Le
copie digitali 3D così realizzate, oltre ad essere conformi alle dimensioni
degli originali, riproducono fedelmente anche le caratteristiche formali
intrinseche dei manufatti, sia che siano riferibili ad interventi umani, sia
che siano invece da ricondurre alle condizioni di giacitura. Il primo caso
è rappresentato, in maniera esemplare, da quegli elementi strutturali dei
reperti lignei, quali incastri, tacche e scasse per l’appoggio o l’alloggiamento di altri legni: tutti questi elementi sono stati riprodotti ricorrendo
ai tool di addizione e sottrazione di materia dai solidi, attraverso operazioni c.d. “booleane”.
Gli stessi tool hanno consentito, inoltre, di realizzare sui solidi precedentemente creati copie delle fratture e filature presenti negli originali
ceramici: in tal modo sono stati riprodotti quegli elementi morfologici caratterizzanti, imputabili in alcuni casi alla giacitura dei reperti e in altri ad
eventi accidentali verificatisi al momento del loro abbandono (Fig. 3).
Fig. 3 Modellazione e caratterizzazione delle fratture negli elementi ceramici
riprodotti: anfora R-125 (elaborazione grafica V. Pinna).
17
BIANCHINI 2008.
77
Un ulteriore passo nella ricostruzione digitale dell’ambiente tridimensionale è stata la realizzazione di una superficie 3D irregolare che riproducesse la porzione di fondale lagunare indagato sul quale insisteva il
deposito archeologico.
In questa macrocomponente della ricostruzione digitale sono confluiti tutti i dati inerenti la terza dimensione, provenienti sia dalla registrazione diretta della profondità (è il caso dei valori altimetrici annotati
nelle planimetrie cartacee delle sezioni), sia da rilevazioni indirette contenute nelle schede dei reperti, nelle foto e nei filmati.
Ciascun dato così recuperato è stato convertito in coordinata puntuale tridimensionale che ha concorso alla realizzazione di una mesh 3D
contrassegnata da diversi gradi di definizione della griglia a seconda delle aree riprodotte (Fig. 4), in modo da determinare un elaborato finale
ben caratterizzato e ricco di informazioni morfologiche, ma comunque
leggero e facilmente gestibile, ad esempio, in una navigazione in tempo
reale.
Fig. 4 Visualizzazione wireframe delle diverse densità dei reticoli costituenti le
mesh 3D (elaborazione grafica V. Pinna).
78
La stessa ricerca di leggerezza computazionale ha indirizzato anche le
scelte riguardanti il texturing e l’illuminazione: nel caso delle texture si è
privilegiato il ricorso al metodo dell’interpolazione lineare, applicando
agli oggetti mappe procedurali basilari, per lo più monocromatiche, mentre, per gli aspetti concernenti l’illuminazione della scena tridimensionale, si è adottato il metodo d’interpolazione Gourand shading18. Quest’ultimo rappresenta un valido compromesso tra l’aspetto eccessivamente
“sfaccettato” dato agli oggetti dal metodo Flat shading e l’elevata richiesta di computazione necessaria al metodo Phong shading per ottenere dei
risultati realistici.
Il punto d’arrivo delle procedure operative descritte è una piattaforma tridimensionale che riproduce puntualmente l’insieme dei reperti
del deposito archeologico, correttamente localizzati entro la porzione di
ambiente lagunare interessato dall’indagine.
4. LA
(V.P.)
PIATTAFORMA TRIDIMENSIONALE DELLO SCAVO ARCHEOLOGICO
L’oggetto delle ricostruzioni virtuali di ambito archeologico che
prendono le mosse dalla documentazione architettonica cartacea è rappresentato solitamente da singole emergenze monumentali, da edifici e,
più raramente, da interi siti o da spaccati di aree fortemente antropizzate
(strade, quartieri, villaggi): l’obiettivo principale di questi interventi di
virtualizzazione consiste nel riproporre digitalmente queste evidenze nel
loro aspetto originario, riproducendole per come esse dovevano presumibilmente apparire19 e al contempo veicolando l’insieme delle informazioni elaborate dall’indagine archeologica. Il modello digitale tridimensionale realizzato si configura, infatti, come una sintesi delle conoscenze
derivate dalla ricerca, trasmettendo su ampia scala le informazioni che
hanno contribuito alla sua stessa realizzazione: si tratta, pertanto, di una
18
19
GOURAND 1971.
SCAGLIARINI CORLÀITA et alii 2003; LOMBARDO 2009.
79
partecipazione dei mezzi informatici a quelle che sono le fasi conclusive
– di output – del percorso di conoscenza archeologico.
Il modello digitale presentato in questo lavoro descrive invece un
utilizzo delle ricostruzioni digitali che si discosta da questa destinazione.
A mutare è, in primo luogo, l’oggetto stesso della ricostruzione virtuale; ciò che viene ricostruito non è infatti un contesto archeologico già
indagato ed interpretato, ma piuttosto una sequenza di dati derivati a mano a mano dalla ricerca: è il deposito archeologico stesso, nelle condizioni in cui viene documentato nel corso delle operazioni di scavo, ad essere riproposto in un ambiente virtuale tridimensionale20 (Tav. VI).
Questa differenza fa sì che i due diversi approcci alla virtualizzazione del dato archeologico siano sufficientemente distanti da dare luogo
a due differenti prodotti digitali: da un lato una ricostruzione digitale per
così dire “conclusiva”, comprensiva delle conoscenze acquisite al termine di un percorso analitico; dall’altro invece – è questo il caso in esame –
la ricostruzione tridimensionale si configura come vero e proprio strumento complementare del processo analitico, costantemente in progress.
Le potenzialità funzionali del modello digitale prodotto dipendono
strettamente dall’ambiente software nel quale si sceglie di operare: ai diversi ambienti corrispondono differenti sviluppi del modello stesso, sia
che si scelga di risaltarne la predisposizione alla “visualizzazione tridimensionale” della documentazione di scavo, sia che il modello venga
concepito come nuovo punto di partenza per la realizzazione di un ulteriore strumento di analisi, come un geodatabase tridimensionale. L’ambiente CAD 3D, nel quale il prodotto è stato realizzato, oltre a consentire
di incrementare ulteriormente i contenuti del modello con il proseguire
della ricerca archeologica, permette la visualizzazione tridimensionale attraverso un buon numero di strumenti per la navigazione in tempo reale.
Inoltre, basandosi sull’organizzazione per layer tematici di tutti gli oggetti presenti nel modello 3D, è possibile compiere elementari operazioni di
interrogazione, per ottenere visualizzazioni per categorie di manufatti e
piante particolareggiate (Tav. VII).
20
Alcuni esempi in tal senso in DRAP et alii 2001, 2002; DEMESTICA 2011.
80
Attraverso l’esportazione del modello 3D verso ambienti differenti
è invece possibile superare la semplice visualizzazione di dati e mettere
in rilievo le potenzialità strumentali. Opportunamente convertito nei formati propri delle geometrie 3D (ad esempio STL, OBJ, WRL), il modello
digitale può essere gestito con uno dei software di post-processamento
dati, solitamente utilizzati nell’elaborazione delle nuvole di punti acquisite con laser scanner 3D: in questo ambiente è possibile ricavare dal modello 3D importato nuove piante, sezioni e prospetti bidimensionali, andando così a produrre un insieme di documenti topografici prima non esistenti.
L’ultimo esempio di conversione dell’ambiente di lavoro e del conseguente accrescimento degli strumenti informatici applicabili riguarda
l’esportabilità del modello 3D verso l’ambiente GIS, ossia la realizzazione dell’obiettivo che stava alla base della procedura di virtualizzazione e di tridimensionalizzazione della documentazione cartacea. La trattazione delle metodiche di gestione dei dati archeologici in ambiente GIS
esula dal tema del presente contributo; in questa sede, a titolo indicativo,
verrà presentata unicamente la procedura seguita per l’importazione dei
dati tridimensionali all’interno della piattaforma GIS, funzionale alla loro
visualizzazione congiuntamente ai dati provenienti da altre fonti d’acquisizione digitale e alla interrogazione delle informazioni tabellari ad essi
associati.
L’importazione in ambiente GIS degli oggetti 3D è avvenuta attraverso il ricorso a due differenti percorsi: per prima cosa alcuni elementi
del modello 3D – per i quali non era prevista l’integrazione di ulteriori
informazioni – sono stati importati all’interno di una Feature dataset specificatamente realizzata all’interno di un file geodatabase della ESRI, in
modo da visualizzare tridimensionalmente il modello 3D acquisito, ma
non interrogarlo. Successivamente si sono utilizzati, in un secondo percorso di acquisizione, singoli elementi del modello 3D come vestizione
di altrettanti simboli 3D marker puntuali: in tal modo è stato possibile,
oltre che visualizzare, interrogare gli shapefile “vestiti tridimensionalmente”, usufruendo dei tool analitici offerti dall’ambiente GIS. Attraverso questo accorgimento metodologico, che si configura come una for81
zatura del normale funzionamento del sistema GIS, è quindi possibile aggirare alcuni dei limiti propri del GIS 3D21 ed aggiungere alla navigazione 3D in tempo reale la possibilità di interrogare ciascun elemento al
fine di visualizzare le specifiche informazioni archeologiche ad esso associate e registrate nel geodatabase.
5. CONCLUSIONI (C.D.V. – V.P. – I.S.)
L’approccio alla tridimensionalizzazione delle informazioni archeologiche sopra descritto ha consentito di creare un modello virtuale di
carattere archeologico che, come più volte affermato, si configura principalmente come strumento ausiliario della ricerca. La riproposizione tridimensionale del deposito archeologico risponde all’esigenza di uno
strumento di facile consultazione ed accessibilità, in grado di registrare e
rendere disponibile il maggior numero possibile di informazioni, non solo spaziali, funzionali allo studio e all’interpretazione delle evidenze materiali. Tale esigenza risulta ancora più accentuata nel caso di un contesto
d’indagine subacqueo, nel quale l’osservazione diretta del deposito è fortemente limitata dalla scarsa visibilità del mezzo lagunare ed è riservata,
sotto l’aspetto della fruizione, ai pochi tecnici che vi operano.
L’uso principalmente analitico della ricostruzione virtuale non esclude, quindi, finalità differenti, quali ad esempio la divulgazione su ampia scala, attraverso la realizzazione di viste fotografiche e di filmati opportunamente progettati. Anche in questo caso la scelta di un contesto
subacqueo accentua il potenziale comunicativo e informativo, rendendo
visibile ai più un ambiente che in quanto sommerso sarebbe altrimenti di
più difficile accesso.
CARLA DEL VAIS (1) - VALERIO PINNA (2) - IGNAZIO SANNA (3)
(1) Università degli Studi di Cagliari - (2) collaboratore Soprintendenza per i
Beni Archeologici per le province di Cagliari e Oristano
(3) Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Cagliari e Oristano
21
KVAMME et alii 2002.
82
ABSTRACT
Nel generale processo di informatizzazione della ricerca archeologica, una certa
rilevanza assume la gestione informatizzata dei cantieri archeologici ed in particolare la
restituzione virtuale dei contesti indagati stratigraficamente. Un aspetto importante di
questo processo è rappresentato dai metodi di gestione della documentazione di scavo
prodotta con metodi tradizionali.
In questo lavoro viene presentata, attraverso l’esposizione del caso concreto di
un contesto archeologico subacqueo di età fenicio-punica individuato nella laguna di
Santa Giusta (OR), un metodo finalizzato alla virtualizzazione tridimensionale dello
scavo e della stratigrafia indagata, mediante la vettorializzazione e la tridimensionalizzazione in ambiente CAD dei rilievi cartacei prodotti con i metodi tradizionali del rilievo archeologico subacqueo. Tale metodo, sebbene finalizzato principalmente alla creazione di una piattaforma tridimensionale per un uso scientifico-analitico, specificatamente per lo studio della stratigrafia e delle dinamiche di deposizione dei materiali, non
esclude un utilizzo degli elaborati per fini divulgativi.
BIBLIOGRAFIA
BIANCHINI 2008: M. Bianchini, Manuale di rilievo e di documentazione digitale in
archeologia, Aracne, Roma 2008.
D’ANDREA 2001: A. D’Andrea, “Discretizzazione e modello-dati nei sistemi GIS”,
in Archeologia e Calcolatori 12 (2001), pp. 337-342.
D’ANDREA 2003: A. D’Andrea, “Analisi spaziali intra-site. Soluzioni GIS per lo
scavo archeologico”, in Archeologia e Calcolatori 14 (2003), pp. 329-335.
DEL VAIS 2010: C. Del Vais, “L’abitato fenicio-punico e romano”, in R. Coroneo (a
cura di), La Cattedrale di Santa Giusta. Architettura e arredi dall’XI al XIX secolo, Scuola Sarda Editrice, Cagliari 2010, pp. 35-46.
DEL VAIS-SANNA 2009: C. Del Vais, I. Sanna, “Ricerche su contesti sommersi di
età fenicio-punica nello Stagno di Santa Giusta (OR) (campagne 2005-2007)”, in
Studi Sardi 34 (2009), pp. 91-120.
DEMESTICA 2011: S. Demestica, “The 4th-Century-BC Mazotos Shipwreck, Cyprus: a preliminary report”, in International Journal of Nautical Archaeology 40,
1 (2011), pp. 39-59.
DRAP et alii 2001: P. Drap, L. Long, A. Durand, P. Grussenmeyer, “From underwater photogrammetry to a web integrated documentation system: The case of
the “Grand Ribaud F” estruscan wreck”, in International. Archives of Photogrammetry, Remote Sensing and Spatial Information Sciences, XXXIV, 5/C7,
XVIII CIPA International Symposium, Potsdam, Germany 18-21 September
2001, pp. 691-698.
83
DRAP et alii 2002: P. Drap, E. Bruno, L. Long, A. Durand, P. Grussenmeyer, “Underwater photogrammetry and XML based documentation system: The case of
the “Grand Ribaud F” Etruscan wreck”, in International Archives of Photogrammetry, Remote Sensing and Spatial Information Sciences, XXXIV, 5,
ISPRS COMMISSION V SYMPOSIUM Close-Range Imaging, Long-Range
Vision, Corfu, Greece 2-6 September 2002, pp. 342-347.
FACENNA-FELICI 1998: F. Facenna, E. Felici, “Documentare sott’acqua”, in G.
Volpe (a cura di), Archeologia Subacquea. Come opera l’archeologo sott’acqua,
Storia delle Acque. VIII ciclo di lezioni sulla ricerca applicata in archeologia,
Certosa di Pontignano-Siena, 9-15 Dicembre 1996, All’Insegna del Giglio, Firenze 1998, pp. 63-139.
GOURAND 1971: H. Gouraud, “Continuous shading of curved surfaces”, in IEEE
Transactions on Computers 20, 6 (1971), pp. 623-629.
KATSIANIS et alii 2008: M. Katsianis, S. Tsipidis, K. Kotsakis, A. Kousoulakou, “A
3D digital workflow for archaeological intra-site research using GIS”, in Journal
of Archaeological Science 35 (2008), pp. 655-667.
KVAMME et alii 2002: K.K. Kvamme, J.D. Nigro, F.W. Limp, D.J. De Ruiter, L.R.
Berger, “The creation and potential Application of a 3-Dimensional GIS for the
Early Hominin Site of Swartkrans, South Africa”, in Burenhult G., Arvidsson J.
(edited by), Archaeological Informatics: Pushing the Envelope CAA 2001, Proceedings of the 29th Conference, (Gotland, Sweden, April 2001), British Archaeological Reports International Series 1016, Archaeopress, Oxford 2002, pp.
113-124.
LOMBARDO 2009: N. Lombardo, “Baia: le terme sommerse a Punta dell’Epitaffio.
Ipotesi di ricostruzione volumetrica e creazione di un modello digitale”, in Archeologia e Calcolatori 20 (2009), pp. 373-396.
LOOK 2003: G. Look, Using Computers in Archaeology: Towards Virtual Pasts,
Routledge, London 2003.
MINOJA C.S.: M. Minoja, “Terre dall’acqua: una ripresa degli studi sulla coroplastica di tipo classico in contesti punici”, in Aa.Vv., Ricerca e confronti. Giornate di studio di archeologia e storia dell’arte a 20 anni dalla istituzione del Dipartimento di Scienze Archeologiche e Storico-artistiche (Cagliari, 1-5 marzo
2010), c.s.
RUA-ALVITO 2011: H. Rua, P. Alvito, “Living the past: 3D models, virtual reality
and game engines as tools for supporting archaeology and the reconstruction of
cultural heritage – the case-study of the Roman villa of Casal de Freiria”, in
Journal of Archaeological Science 38, 12 (2011), pp. 3296-3308.
RUSSO 2005: M. Russo, Polygonal Modeling: Basic and Advanced Technique,
Wordware Publishing, Inc., Plano 2005.
SCAGLIARINI CORLÀITA et alii 2003: D. Scagliarini Corlàita, A. Coralini, A. Guidazzoli, T. Salmon Cinotti, G. Raffa, L. Roffia, C. Taboni, M. Malavasi, F. Sfor84
za, E. Vecchietti, “Archeologia virtuale e supporti informatici nella ricostruzione di una domus di Pompei”, in Archeologia e Calcolatori 14 (2003), pp.
237-274.
VIVANET 1893: F. Vivanet, “Cagliari – Nuove terrecotte votive ripescate nella laguna di Santa Gilla presso la città”, in Notizie degli Scavi di Antichità 18 (1893),
pp. 255-258.
WHEATLEY-GILLINGS 2002: D. Wheatley, M. Gillings, Spatial Technology and Archaeology: The Archaeological Applications of GIS, Taylor and Francis, London and New York 2002.
85
MISURAZIONI GNSS E MODELLI DIGITALI DEL TERRENO
APPLICATI ALLO STUDIO DI ALCUNI CENTRI FORTIFICATI
D’ALTURA DI ETÀ PREROMANA
Lo studio delle fortificazioni d’altura in opera poligonale di calcare
è uno dei contesti dell’indagine archeologica a cui rimane affidata la determinazione dell’assetto territoriale e delle dinamiche insediative nella
Italia appenninica in epoca italica.
Anche nella ricerca umanistica il risultato finale è il prodotto dell’interazione di differenti ambiti disciplinari e differenti strumenti d’indagine che arricchiscono la documentazione archeologica offrendo ulteriori nuovi spunti di riflessione. Pertanto lo studio si è avvalso di rilevamenti GNSS e software di elaborazione dati che insieme ai tradizionali
metodi della topografia antica puntano alla ricostruzione storica dell’assetto territoriale.
Gli insediamenti fortificati d’altura indagati ricadono in due comprensori piuttosto ampi e orograficamente differenti tra loro: l’alta valle
del Liri, nota come Valle Roveto, nella Marsica, con alture che toccano i
1700 m, ed alcuni significativi confronti nel Lazio meridionale, ai limiti
del territorio sannita, con rilievi attestati mediamente sui 500 m. Complessivamente sono stati considerati 36 insediamenti.
Questi siti sono stati censiti secondo i metodi tradizionali dell’indagine topografica, collazionando la necessaria documentazione relativa
alle fonti letterarie, primarie e secondarie, alla cartografia regionale disponibile ad alta scala, alle fotografie aeree o satellitari ove disponibili. A
questa fase è seguita una campagna di ricognizioni autoptiche nei siti
considerati per verificarne lo stato di conservazione e di visibilità.
Per le fortificazioni che conservano mura poligonali di altezza superiore ai 2 m, non disponendo di una stazione totale, si è deciso di realizzare dei rilievi prospettici con la tecnica del fotoraddrizzamento con
mire ottiche misurate1, correggendo le distorsioni dell’obiettivo e del pia1
Sono state posizionate 6 mire su una porzione muraria di circa 2 m di lunghezza. Le
distanze in cm tra le mire sono state riportate nel software ENVI 4.3 per il raddriz-
Fig. 1 Comparazione dei rilievi prospettici di quattro circuiti murari (rilievi eseguiti da
M. Manfrè).
no di posa (ad esempio a causa del profilo inclinato a scarpa delle mura).
In simili contesti la tecnica muraria non può essere datante, in quanto non
cambia in funzione del contesto cronologico, ma al massimo subisce modificazioni in relazione all’incidenza di svariati fattori contingenti, pertanto il rilievo così effettuato non porta ad un’analisi di dettaglio della
tecnica costruttiva. La finalità è piuttosto una comparazione a pari scala
dei rilievi prospettici di una porzione di muratura che porta a notare una
zamento della foto. La foto così trasformata è stata esportata in ambiente CAD facendola combaciare con le coordinate delle mire, accettando un errore di circa 1 cm, tollerabile per la finalità del rilievo effettuato.
87
forte corrispondenza nelle modalità costruttive di insediamenti presenti in
comprensori geograficamente distanti ed etnograficamente distinti (Fig. 1).
Ogni sito è stato segnalato sulla cartografia regionale georeferenziata, disponibile in formato vettoriale 1:5.000 per la Marsica e raster
1:10.000 per la Piana di Cassino, da cui, con appositi software, è stato
possibile ricavare una cartografia finalizzata in formato vettoriale.
Disporre di una cartografia georeferenziata ed in formato numerico
significa avere a disposizione una piattaforma sulla quale poter riversare
vari livelli d’indagine, come ad esempio il rilevamento dei resti archeologici tramite sistema di posizionamento satellitare GNSS.
Lo studio di fortificazioni d’altura, caratterizzate da avanzi di strutture di estensione variabile da <1 ha a circa 30 ha, spesso localizzate in
luoghi isolati o lontano da centri abitati, ha suggerito di corredare la ricognizione topografica con riposizionamenti di precisione delle singole
emergenze archeologiche, sfruttando, nell’ambito della tradizionale metodologia degli studi topografici, le potenzialità di strumenti tecnologici
come il sistema di rilevamento satellitare (Fig. 2). In questo modo non ci
si è limitati a segnalare la generica localizzazione dei siti individuati, ma
al contrario si è garantita l’esatta posizione delle strutture in un sistema di
coordinate assolute. È doveroso precisare che si tratta di un rilievo di
“posizionamento” e non comunque di un rilievo di dettaglio, poiché in
condizioni di fitta vegetazione boschiva il segnale GNSS non arriva all’antenna, e non si è potuto procedere a misurazioni complete del perimetro. Dove però l’andamento delle mura era rettilineo si sono registrati
alcuni punti sui segmenti visibili che poi sono stati collegati graficamente
con una linea tratteggiata.
Lo strumento per rilievi GNSS utilizzato è un Leica SR20, dotato di
un’antenna a singola frequenza, in grado cioè di registrare solo una delle
due onde portanti della frequenza emessa dagli orologi atomici dei satelliti in orbita. Il tipo di rilievo effettuato è un rilevamento cinematico.
La misurazione ha origine in una base di stazionamento determinata con
una inizializzazione di 20 minuti: si crea così una catena cinematica le
cui “maglie” saranno i singoli punti che vengono misurati stazionando
solo pochi secondi (fino all’acquisizione di almeno 5 posizioni), garan88
tendo una correzione tra il punto di inizializzazione e quelli successivamente registrati.
Fig. 2 Antenna GNSS posizionata su palina: rilievo puntuale del muro longitudinale di
Pietrelunghe-Casalucense (FR).
Una volta scaricati, i dati grezzi sono stati elaborati con il software
Leica geo-office e le coordinate sono state corrette in base al caposaldo di
riferimento (Italpos)2. Con questa procedura è possibile risolvere le ambiguità dovute agli errori di trasmissione del segnale e procedere così alla
conversione delle coordinate da WGS84, coordinate universali proprie di
ogni strumento GNSS, a quelle locali del sistema geografico di riferimento della cartografia di base utilizzata. Attraverso questa serie di procedimenti si ottiene una documentazione omogenea riferita allo stesso sistema di coordinate che consente di sperimentare visualizzazioni utili ad
una migliore interpretazione delle strutture in questione. Nell’ambito di
questa ricerca si è deciso di sovrapporre alla base cartografica il perimetro della fortificazione misurato con il GNSS, al fine di leggerne l’an2
Essendo un’antenna monofrequenza è necessaria la correzione con una seconda antenna di riferimento (della rete geodetica nazionale ETRF2000 o del sistema Italpos)
per ridurre l’errore da 30 cm (errore strumentale) a pochi millimetri.
89
damento in relazione al dato altimetrico del contesto orografico che evidentemente ne condizionò la costruzione in età antica.3
Di seguito (Fig. 3) si riporta un confronto tra il rilievo planimetrico
realizzato dalla cooperativa ArcheoProject di una struttura fortificata in
località Pietrelunghe-Casalucense, a N di Cassino (FR), confrontato con
quello appositamente prodotto secondo i procedimenti ed i criteri sopra
descritti.
Fig. 3 Planimetria realizzata da ArcheoProject Roma (a sinistra) e planimetria del
circuito murario realizzata con il GNSS e base cartografica
(a destra, elaborazione di M. Manfrè).
Nel primo caso si nota chiaramente come il perimetro del circuito
murario non corrisponda al reale andamento delle mura, che risulta sostanzialmente circolare. Non è stato possibile sapere con quali strumenti
e secondo quali metodologie sia stato effettuato il rilevamento di sinistra,
ma l’andamento delle mura, riportate per altro solo sul versante SO, non
corrisponde ai resti archeologici visibili e al loro posizionamento sul pia3
Tale procedimento consente di dare una migliore interpretazione di quegli elementi
attributivi che caratterizzano la costruzione di alcune cinte murarie, ad esempio mura
longitudinali, porte a corridoio interno obliquo, raddoppiamenti del circuito murario
ecc.
90
noro, a S di una piccola sella ricavata proprio da attività di cavatura dei
blocchi per la costruzione delle mura. Inoltre non si tiene conto di elementi costruttivi fondamentali per la definizione strategica dell’oppidum
come la presenza a NE di un muro longitudinale che protegge presumibilmente un ingresso a S da una viabilità di valico immediatamente a N,
attraverso la suddetta sella4.
I singoli livelli d’indagine sono stati a loro volta esportati in un
programma GIS che consente di creare delle superfici tridimensionali attraverso la generazione automatica di poligoni a partire dalle isoipse della
cartografia numerica (Fig. 4). Si è proceduto così alla sperimentazione di
elaborazioni grafiche che potessero essere utili nell’analisi storico-topografica dei siti e dei loro contesti d’indagine.
Dalla digitalizzazione delle curve di livello desunte dalla CTR, è
stato possibile realizzare un Digital Elevation Model (DEM) che fornisse
un’immediata visualizzazione della morfologia del sito potendo scegliere
il più opportuno angolo di vista dell’immagine. Sovrapponendo al DEM
anche il rilevamento delle mura registrato con il GNSS è possibile leggere chiaramente l’andamento del circuito murario in relazione alle caratteristiche orografiche dell’insediamento (Fig. 5 e Tav. VIII) ricavando così
ulteriori informazioni sulla funzione strategica del sito.
Una simile visualizzazione “evocativa” permette anche di ragionare
sul fattore visibilità/intervisibilità tra centri distribuiti nella stessa area e
tra i singoli centri e la vallata sottostante, fattore che evidentemente determina proprio da quel carattere “d’altura” che è dato dall’intervallo di
quota tra la valle sottostante ed il luogo di insediamento a monte.
Nell’ambito di uno studio topografico a carattere territoriale come
quello proposto, fermo restando il fondamentale supporto dei tradizionali
metodi di rilevamento, che si confermano utili strumenti per la lettura
approfondita dei vari elementi di un territorio, all’innovazione tecnologica strumentale si affianca la possibilità di generare dei modelli tridimen4
Cfr. SACCO 2009. Contra M. Manfrè, Siti d’altura fortificati di età preromana nella
Valle Roveto ed in alcune località del Lazio meridionale, Tesi di Dottorato, 2010.
91
Fig. 4 Schermata in ArcView-GIS del DEM di Colle Marena Falascosa.
Fig. 5 Modello tridimensionale di Colle Marena-Falascosa (S. Vittore del Lazio, FR).
Elaborazione di M. Manfrè.
sionali del terreno. Essi costituiscono sicuramente un valore aggiunto all’indagine territoriale, rappresentando uno strumento di ricostruzione di
immediata lettura e di forte valore scientifico, su cui è possibile sovrap92
porre vari livelli d’indagine (isoipse, viabilità, ricognizioni, foto aeree
ecc.) (Tav. IX).
Considerando dunque che gran parte delle riflessioni storiche su un
sito archeologico e sul suo contesto territoriale di riferimento si formano
al momento della documentazione e vengono influenzate dalla tipologia e
dalla qualità della documentazione stessa, viene da sé l’importanza quasi
strutturale che riveste questo stadio dell’indagine.
È dunque fondamentale che in questa fase siano gli archeologi stessi ad usare e gestire gli strumenti tecnologici ed i vari software di elaborazione dati a disposizione, poiché in questo modo non solo è possibile
stabilire autonomamente il margine di errore accettabile, ma anche determinare i fattori necessari ad una ricostruzione storico-topografica ad esempio delle modalità di occupazione e distribuzione insediative in epoca italica.
Allo stesso modo anche l’elaborazione dei modelli tridimensionali
digitali deve essere gestita da professionisti archeologi affinché prevalga
l’intenzione di documentare lo stato delle emergenze archeologiche in
funzione di una ricostruzione storica dell’assetto occupazionale e non
semplicemente di mostrare rappresentazioni esteticamente suggestive ma
fini a se stesse.
ACKNOWLEDGEMENTS
Un particolare ringraziamento va a Gert-Jan Burgers e a tutto il Reale Istituto
Neerlandese a Roma, per l’interesse e l’incoraggiamento che hanno dimostrato nei confronti dei miei studi di topografia storica.
MANUELA MANFRÉ
Reale Istituto Neerlandese - Roma
ABSTRACT
The study of pre-Roman fortifications in polygonal limestone masonry walls is a
way for a historic reconstruction of the ancient Italic settlements in the Roveto Valley
and Piana di Cassino. The research starts collecting primary sources, aerial photos,
93
and cartographies and goes on with a survey fields and a comparison of masonry techniques referred to different ethno-geographical contexts. A GNSS survey of the enclosure walls was also made, and referred to a numeric cartography created by
the Regional Technical Cartography. A number of digital terrain models were created
using the contour lines of the CTR maps, superimposing the available data about the
enclosures and viability. The 3D model allows a better understandable view of the geomorphological characteristics that determined the strategic position of the settlements.
BIBLIOGRAFIA
CERAUDO 2004: G. Ceraudo (a cura di), Ager Aquinas. Aerotopografia archeologica lungo la valle dell’antico Liris, Marina di Minturno 2004.
CERAUDO 2006: G. Ceraudo (a cura di), Le collezioni dell’Aerofototeca Nazionale
per la conoscenza del territorio: la Provincia di Frosinone, Frosinone 2006.
ALVARO et alii 2009: C. Alvaro, G. De Persiis, M. Manfré, F. Vallelonga, “Progetto
“Leopoli-Cencelle”: strumenti e metodologie di analisi territoriale”, in Archeologia Aerea. Studi di Aerotopografia Archeologica, IV (2009), pp. 129-136,
c.d.s.
ALVARO et alii 2010: C. Alvaro, G. De Persiis, M. Manfré, “Il rilievo georeferenziato”, in Il Colle Sant’Elia e il futuro della Rocca a Spoleto. Atti del convegno,
Spoleto 12-13 marzo 2010, c.d.s.
NICOSIA-BETTINI 2009: A. Nicosia, M.C. Bettini (a cura di), Le mura megalitiche.
Il Lazio meridionale tra storia e mito, catalogo della mostra, Roma 2009.
SACCO 2009: D. Sacco, “Sant’Elia Fiumerapido”, in A. Nicosia, M.C. Bettini (a cura di), Le mura megalitiche. Il Lazio meridionale tra storia e mito, catalogo della
mostra, Roma 2009, pp. 211-212.
Il sistema GPS, applicazioni e sviluppi nel rilievo del territorio, Leica Geosystems
(a cura di), 2006.
94
ITINERARI STORICO-ARCHEOLOGICI PER LA
CONOSCENZA DEL FRIULI LONGOBARDO
INTRODUZIONE
Il progetto, finanziato dalla Regione Friuli Venezia Giulia, ha come
obiettivo la ricostruzione del territorio, dell’antica viabilità e dello sviluppo antropico della parte settentrionale dell’antico ducato Longobardo del
Friuli, che aveva come capitale la città di Cividale, l’antica Forum Iulii.
Il territorio preso in esame si estende da Gemona del Friuli fino a Romans d’Isonzo (Fig.1).
Fig. 1 L’area della regione Friuli Venezia Giulia interessata dal progetto.
Grazie alla documentazione storica, ed in particolare all’Historia
Longobardorum1 di Paolo Diacono, si è a conoscenza di almeno sette ca1
P. DIACONO, Historia Longobardorum, IV, 37.
stra2 posizionati proprio in questa fascia di territorio; dagli scavi archeologici, inoltre, sono venute alla luce diverse necropoli, alcune di grande
estensione come, per esempio, quelle di Romans d’Isonzo e di San Salvatore di Majano.
Il progetto è stato diviso in diverse fasi: la prima si è incentrata sulla ricerca bibliografica e sull’analisi della cartografia storica, integrate
con lo studio della fotografia aerea, con l’utilizzo dei dati telerilevati con
sensore iperspettrale MIVIS e con diversi voli effettuati con ultraleggero
per realizzare foto aeree oblique; è stato inoltre testato l’utilizzo di un
quadricottero UAV per fotografie zenitali a bassa quota dei siti archeologici e successiva rielaborazione tridimensionale degli stessi. La seconda parte del progetto è consistita nella creazione di un GIS in cui sono
stati inseriti tutti i dati provenienti dalla ricerca bibliografica e le anomalie riscontrate dalla fotografia aerea3. Questi dati sono stati uniti ad un
modello digitale del terreno su cui è stato possibile effettuare diverse analisi spaziali. La parte finale del progetto sarà invece focalizzata sulla ricostruzione del paesaggio di epoca tardo antica e alto medievale mediante l’utilizzo della cartografia storica, dei documenti d’archivio e delle
analisi polliniche. Questi dati, insieme alle analisi effettuate nella fase
precedente, verranno inseriti in un software specifico che permetterà di
realizzare delle ricostruzioni 3D del territorio mantenendo il dato geografico del GIS. È in fase di completamento un WebGIS in cui saranno inserite le foto aeree georiferite e i risultati delle analisi e delle ricostruzioni, da cui sarà possibile scaricare gli itinerari turistici realizzati per la valorizzazione dei territori presi in esame.
LE FOTO AEREE VERTICALI
Il ricorso alla foto aerea, in funzione dell’analisi storico – archeologica del paesaggio, ha ormai alle spalle una consistente e documentata
2
3
I sette castra citati da Paolo Diacono sono: Cormones, Artenia, Reunia, Glemona, Nemas, Osopo, Ibligine.
FORTE 2002, pp. 99-102; BEVAN-CONNOLLY 2004; VERHAGEN 2007; WHITLEYBURNS 2007.
96
tradizione4. In questo progetto la foto interpretazione è stata integrata con
lo studio della documentazione d’archivio e delle carte storiche in modo
da avere un quadro definito e il più completo possibile delle informazioni relative alla porzione di territorio regionale presa in esame.
Per questo lavoro sono state utilizzate in primis le fotografie aeree
conservate nell’archivio dell’Ufficio Cartografico della Regione Friuli
Venezia Giulia: sono stati presi in considerazione i voli del GAI (Gruppo
Aerofotogrammetrico Italiano) degli anni cinquanta, della RAF (Royal
Air Force) del 1976 e i voli dell’IGM dal 1938 al 2006 e successivamente i fotogrammi dei voli di ricognizione conservati presso l’Aerofototeca
Nazionale nel Laboratorio per la fotointerpretazione e l’aerofotogrammetria, effettuati tra il 1943 e il 1945 dalla RAF su una porzione consistente della regione, relativa soprattutto alle città, ai ponti, alle reti viarie e ferroviarie.
Tutte le immagini scelte sono state successivamente georiferite in
ArcGIS® usando come base le ortofoto del 2007. La georeferenziazione
di tutti i fotogrammi ha permesso non solo la creazione di un archivio digitale relativo alla documentazione presente nella zona, ma anche una visualizzazione multilivello dalla quale è possibile leggere in chiave diacronica il susseguirsi dei segni lasciati sul paesaggio pluristratificato. La
creazione del GIS sottostà fondamentalmente a questa seconda funzione:
le anomalie individuate nei singoli fotogrammi sono state ricercate anche
in quelli di anni successivi o precedenti, in modo da poter osservare una
continuità o discontinuità del dato.
La seconda parte del lavoro è consistita nell’analisi e nella suddivisione per tipologie delle varie anomalie visibili ed individuabili. Per
riportare alcuni esempi, nei dintorni di Osoppo sono state riscontrate alcune tracce di forma rettangolare che potrebbero far pensare ad alcune
4
Come riferimento per la fotografia aerea si possono consultare le fondamentali pubblicazioni di CLARK 1997; PICARRETA-CERAUDO 2000; WILSON 2000; MUSSON-PALMERCAMPANA 2005. Come sussidio e integrazione si può vedere PALMER-COWLEY 2010 e
altri articoli presenti nel sito internet:
http://www.univie.ac.at/aarg/php/cms/books/aerial-archaeology-beginners-list
97
strutture (Fig. 2) e nei pressi del colle di Buia è stata osservata una traccia
di forma lineare, relativa a una possibile rete viaria (Fig. 3).
Fig. 2 Tracce di anomalie presso Osoppo.
Fig. 3 Traccia rettilinea nei pressi di Buja.
Sulle foto RAF è stato possibile individuare evidenti tracce rettilinee di colore chiaro tra le zone di Cormons e Mariano del Friuli. Da un
primo raffronto con la Carta Tecnica Regionale numerica (CTRn) in scala 1:5.0005, utilizzata per escludere tutte le infrastrutture interrate che ad
una prima analisi possono essere scambiate per anomalie relative a strade, non risultano esserci tubature interrate in quelle zona. Le anomalie
riscontrate potrebbero quindi riferirsi a possibili anomalie viarie. Tutte le
5
La Carta tecnica è scaricabile gratuitamente dal sito internet della Regione Friuli Venezia Giulia.
98
tracce ed anomalie individuate sono state inserite nel Sistema Informativo e sono state corredate di tutte le informazioni relative in modo da avere una tabella comprensiva che permetta in seguito di interrogare i dati
raccolti.
In futuro si intende controllare sul terreno tramite ricognizioni, dove possibile, le anomalie individuate e nel caso di riscontro positivo rilevarle tramite posizionamento GNSS. Successivamente, i dati raccolti
saranno confrontati con i documenti d’archivio in modo da controllare se
il dato archeologico fosse già stato documentato o se invece si tratti di
una notizia inedita e soprattutto se si possa stabilire che l’anomalia può
essere ricondotta ad un’evidenza di tipo archeologico.
Come sussidio alla lettura e interpretazione delle foto aeree, si è
deciso di effettuare alcuni voli con ultraleggero per confermare la presenza di tracce di anomalia6. Per una collocazione più precisa delle singole
foto è stato utilizzato un GPS Trimble GeoXH modello 2005. Durante i
voli è stata compilata una scheda di ricognizione archeologica aerea in
cui vengono segnati, oltre alle condizioni meteo e al tipo di attrezzatura
utilizzata, il numero di foto effettuate e soprattutto il numero di fotogramma con abbinato il relativo numero di file GPS. Per la georeferenziazione delle fotografie oblique è stato utilizzato il programma Air
Photo, progettato e sviluppato da Irwin Scollar7, tramite il quale la fotografia obliqua viene elaborata facendo corrispondere gli elementi ben visibili e identificabili ai corrispettivi punti sulla base cartografica, nel nostro caso sia la CTRn che le ortofoto del 2007. Da questi voli abbiamo
ricavato alcuni scatti riferiti a diverse anomalie; interessante risulta essere
soprattutto una traccia da umidità (damp-marks) nei pressi della località
“La Mainizza”, in provincia di Gorizia, presso la quale erano già state individuate anomalie attraverso l’analisi delle foto dei voli RAF e una trac-
6
I voli sono stati effettuati grazie alla collaborazione dell’Aeroklub Gorica, situato presso il paese di Ajdovščina in Slovenia, non molto distante dalla città di Nova Gorica e a
soli cinque minuti di volo da Cividale. L’aereo utilizzato per queste campagne fotografiche è un ultraleggero biposto modello Virus della ditta slovena Pipistrel.
7
SCOLLAR 1998; SCOLLAR 2001; SCOLLAR 2005.
99
cia rettilinea che potrebbe riferirsi ad una traccia di viabilità nei pressi di
Artegna (Figg. 4 e 5).
Fig. 4 Tracce circolari nei pressi della Mainizza.
Fig. 5 Traccia rettilinea, possibile viabilità, vicino a Cormòns.
Come integrazione a questa metodologia d’indagine si è voluto
provare l’utilizzo dei cosiddetti UAV8 e in particolare dei micro-UAV
(<2 kg), velivoli senza presenza umana a bordo, pilotati da remoto con un
telecomando, nati da tecnologia militare, ma come spesso accade prestati
all’uso civile con ottimi risultati9.
8
Il termine UAV è comunemente usato in Informatica, nella robotica e negli studi sull’intelligenza artificiale così come in fotogrammetria e remote sensing. Vd Glossario.
EISENBEISS 2009, p. 2.
9
Uno dei grandi vantaggi nell’utilizzo degli UAV è la possibilità di operare anche in situazioni di rischio, in zone impervie, quando non è stato dato il permesso di sorvolo e
100
In ambito archeologico, l’utilizzo degli UAV permette di elaborare
documentazione fotografica zenitale di uno scavo 10, fotogrammetria aerea11 e di integrare lo studio delle fotografie aeree zenitali e oblique programmando i vari voli e i vari scatti di ogni singolo sito o anomalia individuata sul terreno, reiterando anche i passaggi in diversi periodi12.
Al momento della scelta dell’UAV, sono stati presi in considerazione vari tipi di modelli e di velivoli: la preferenza è ricaduta sui quadricotteri, leggermente più semplici da manovrare rispetto agli aerei e agli
elicotteri e che possono essere tenuti fermi e stabili al di sopra dell’oggetto da fotografare, permettendo di replicare lo scatto sia nella stessa
modalità che con modalità diversa (differente tempo di scatto, diversa
angolazione ecc.). Per questo progetto è stato acquistato il quadricottero
330X-S prodotto dalla GAUI (Fig. 6) che ha una capacità di carico di 700
grammi, incluse le batterie e a breve sarà possibile aggiungervi un sistema di controllo GNSS che permetterà di stabilire e stabilizzare ulteriormente la rotta e di fissare i punti prestabiliti in cui si vorranno fare le fotografie.
La sperimentazione di questo strumento è stata per ora effettuata in
due scavi condotti per conto della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Friuli Venezia Giulia a Dolegnano e ad Aquileia per testare la
qualità dell’elaborazione 3D ricavata dalle foto.
Sono state compiute numerose fotografie verticali degli scavi, successivamente rielaborate con il software open source Python Photogrammetry Toolbox13 che permette di unire in un unico modello le foto ed estrapolare la nuvola di punti tridimensionale. Per la creazione della mesh
3D è stato utilizzato il programma open source MeshLab14.
quando le condizioni meteo non permettono l’utilizzo dell’aereo, in quanto gli UAV
possono volare al di sotto delle nuvole.
10
EISENBEISS-SAUERBIER 2010.
11
BENDEA et alii 2007.
12
Questa possibilità rende gli UAV uno strumento molto interessante come supporto ed
integrazione nella ricerca e nell’interpretazione archeologica, a maggior ragione nello
studio e nell’analisi delle anomalie da foto interpretazione aerea.
13
Creato da A. Bezzi della ArchTeam di Trento.
14
Sviluppato dall’Università di Pisa.
101
Fig. 6 Il quadricottero GAUI.
Lo sviluppo del lavoro sarà quello di provare a vedere se i modelli
3D così creati potranno essere scalati sulla base dei punti topografici battuti durante il rilievo dello scavo tramite stazione totale (Figg. 7-8).
LE IMMAGINI TELERILEVATE CON IL SENSORE AVIOTRASPORTATO MIVIS
Il sensore iperspettrale utilizzato nel presente lavoro è il MIVIS
(Multispectral Infrared and Visible Imaging Spectrometer) di proprietà
del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), montato su aereo CASA
C21215. Il MIVIS è uno strumento modulare costituito da quattro spettrometri, per complessivi 102 canali che riprendono simultaneamente la
radiazione proveniente dalla superficie terrestre nel visibile, nell’infrarosso vicino e nell’infrarosso medio (o “termico”). Lo spettrometro suddivide l’energia all’interno dei quattro spettrometri singoli e la risoluzione
geometrica delle immagini MIVIS è di circa 5x5 m. Le immagini MIVIS
a disposizione, fornite dall’Ufficio Cartografico della Regione Friuli Venezia Giulia, sono state innanzitutto georiferite in ArcGIS® utilizzando
come base cartografica le ortofoto del 2007. Dopo aver verificato quali di
queste contenessero le anomalie individuate dalle foto aeree verticali, ne
15
TRAVIGLIA 2005; CAVALLI-PIGNATTI 2009.
102
Fig. 7 La nuvola dei punti estrapolata dalle foto nel sito di Aquileia.
Fig. 8 La mesh del sito archeologico di Dolegnano.
sono state studiate e analizzate cinque in particolare: i criteri di scelta sono stati sia l’overlaying tra le immagini selezionate e i fotogrammi contenenti le anomalie più significative, sia il tentativo di avere un’area di
indagine che fosse la più ampia possibile.
Le immagini sono fortemente distorte, in particolare a causa della
geometria di scansione e degli effetti introdotti dalle perturbazioni di posizione e assetto della piattaforma aerea16. Dopo queste operazioni di pre16
Il software utilizzato per implementare le analisi è stato ENVI 4.7 ©, della ITT Visual
Information Solutions. Per migliorare l’accuratezza dei risultati e ridurre il rumore
contenuto nelle immagini è stata applicata, in fase di pre-processing, la MNF (Mi103
trattamento, sono state visualizzate singolarmente tutte le 102 bande
MIVIS, come immagini pancromatiche; da ciascun intervallo spettrale
sono state scelte e sottoposte ad analisi visiva le più significative: le bande blu sono le meno utili in termini di identificazione di tracce, essendo
maggiormente affette da fenomeni di attenuazione atmosferica mentre le
bande del verde offrono immagini di qualità migliore, essendo meno degradate delle blu nella loro definizione. Buoni risultati sono stati inoltre
raggiunti con le bande del rosso e dell’infrarosso vicino (NIR), sensibili
al livello di crescita della vegetazione e capaci di enfatizzare anomalie sia
sul suolo nudo che su coperture vegetative. I risultati migliori sono stati
ottenuti tuttavia attraverso le bande termiche (TIR), dove in qualche caso
è stato possibile identificare tracce invisibili o appena visibili in altre
bande. Combinazioni matematiche delle bande del rosso e del vicino infrarosso trovano larga applicazione nello studio del monitoraggio della
vegetazione e per rilevare discontinuità nella crescita della vegetazione 17.
Gli indici di vegetazione hanno una correlazione diretta con la densità fogliare (biomassa), l’umidità dei suoli, gli stadi fenologici e le variazioni
temporali, ma sono anche sensibili ad altri fattori esterni quali la geometria dovuta agli angoli di vista e alla posizione del Sole, e gli effetti atmosferici. In questo lavoro sono stati utilizzati indici basati solo sulla riflettanza misurata, senza modifica del dato radiometrico originale: DVI (Difference Vegetation Index) e NDVI (Normalized Difference Vegetation
Index)18. I risultati ottenuti hanno evidenziato come aree ricche di vegetazione avessero alti valori dell’indice (tendenti a 1) a causa della riflettanza relativamente maggiore del NIR; questi valori decrescono fino allo
0 nel caso di rocce e suoli nudi: l’immagine risultante è caratterizzata da
colori più chiari per le aree vegetate, più scure per gli elementi restanti. I
nimum Noise Fraction) che consiste principalmente in due trasformazioni delle componenti principali: il software ENVI permette di selezionare le bande in base al valore
assunto dagli eigenvalues (letteralmente autovalori). Componenti con grandi autovalori contengono dati e quelle con autovalori minori contengono principalmente rumore: le eigenimages (componenti MNF) sono state quindi spettralmente selezionate
per includere nella trasformazione inversa solo quelle con autovalori maggiori.
17
CAMPANA 2004; LASAPONARA-MASINI 2005.
18
LASAPONARA-MASINI 2006.
104
punti forti dell’NDVI sono la riduzione di alcuni tipi di rumore (differenze di illuminazione, ombre delle nuvole, variazioni topografiche) presenti in più bande e l’ottima sensibilità ai cambi nella copertura vegetativa (Tav. X).
Le immagini hanno inoltre una forte correlazione: bande adiacenti
risultano essere molto simili tra loro, con una ridondanza del dato molto
elevata. Sono state quindi scelte, analizzate e visualizzate sia bande adiacenti della stessa area spettrale, sia singole bande provenienti da aree
spettrali differenti19. Analizzando le immagini è stata verificata la presenza di anomalie rilevate nelle foto aeree e ne sono state individuate di nuove, non visibili ad occhio nudo.
Tra tutte, le bande TIR (92-102) hanno dato i risultati migliori,
spesso rilevando la presenza di anomalie non visibili altrimenti. Le immagini a colori (RGB) hanno spesso rappresentato il punto di riferimento
per tutte le successive analisi, dando la visualizzazione della scena che
più si avvicina alla realtà20. L’integrazione delle analisi delle foto aeree
verticali, foto aeree oblique e MIVIS ha fornito dati e informazioni relative a possibili tracce sul terreno. È stato interessante notare come molte
anomalie ricadano in zone indicate da ricognizioni sul terreno come aree
di dispersione di materiale archeologico.
19
LASAPONARA-MASINI-SCARDOZZI 2007, p. 209. La PCA (Principal Component Analysis) è un processo che riduce la ridondanza dei dati trasformando una serie di variabili correlate (le bande) in un nuovo set di variabili non correlate. In termini archeologici, la PCA permette una miglior discriminazione delle diverse superfici che
diviene più evidente nell’analisi visiva: variazioni nella tessitura del suolo nudo o di
aree vegetative possono condurre all’identificazione di siti archeologici sepolti. L’obiettivo del processo è ridurre l’informazione precedentemente contenuta nel set di
bande originali in un numero minore di bande da utilizzare al posto delle originali.
20
L’utilizzo degli indici di vegetazione e dell’analisi P.C.A., ha fornito la conferma dei
risultati ottenuti in precedenza. Gli indici DVI, NDVI e le singole bande P.C. hanno
evidenziato in maniera più marcata le anomalie riscontrate, togliendo così ogni dubbio
sulla loro effettiva presenza. In un caso l’utilizzo di P.C. composte ha permesso di rilevare una traccia non visibile in nessun altro tipo di elaborazione.
105
IL SISTEMA INFORMATIVO GEOGRAFICO E LE ANALISI SPAZIALI
Durante la seconda parte del progetto è stato creato un Sistema Informativo Geografico, nel quale sono stati inseriti tutti i dati a disposizione, che permettessero di effettuare diversi tipi di analisi spaziali. All’interno del GIS (Fig. 1) sono stati inseriti tutti i dati ritenuti utili per lo
studio della zona presa in esame; sono state georiferite tutte le foto aeree
utilizzate e le tracce di anomalie riscontrate, sono state posizionate gran
parte delle necropoli che sono state oggetto di indagini archeologiche o di
cui vi fosse una attestazione documentata, sono stati inseriti numerosi
luoghi d’interesse (come i sette castra citati da Paolo Diacono) e inoltre è
stato georiferito un notevole numero di carte storiche, sia catastali che
topografiche, a diversa scala (dalla cartografia della fine del 1700 21 fino
all’ultima CTRn in scala al 1:5.000 del 2007). Sono stati inoltre utilizzati svariati layer tematici: la rete fluviale (è stato comparato l’andamento dei fiumi confrontando la rete idrologica nel periodo compreso tra
il 1950 e il 2007), la carta di uso del suolo, la cartografia geologica in
scala al 25.000 e al 5.000 e la rete stradale moderna. Relativamente alla
zona intorno a Cividale, grazie all’importante lavoro realizzato da Sandro
Colussa per la sua tesi di dottorato22, sono stati anche inseriti i dati
sull’uso del suolo delle singole particelle catastali; in alcuni casi Colussa
è riuscito a risalire, con i documenti d’archivio, fino al 1300. Tutti questi
dati all’interno del GIS hanno permesso di effettuare alcune particolari
tipologie di analisi spaziali che rappresentano un elemento fondamentale
dei sistemi informativi territoriali essendo tecniche di simulazione che
permettono di classificare, rappresentare e interpretare il paesaggio archeologico in micro o macro scala basandosi su relazioni spaziali e diacroniche che intercorrono fra elementi antropici, naturali, ambientali e, in
21
Cartografia topografica Giuseppina Josephinische Landesaufnahme 1763-1797 e il
cosiddetto “Catasto Napoleonico” (in realtà per la zona del cividalese è stato redatto
dall’Austria) del 1811.
22
La tesi di dottorato in Geomatica e Sistemi Informativi Territoriali intitolata “Un modello di studio del paesaggio antico. Il caso dell’agro del municipio romano di Forum
Iulii” è stata discussa presso l’Università degli Studi di Trieste nell’aprile del 2010.
106
parte, secondo fattori socio politici23.
L’analisi spaziale va intesa come un metodo trasversale caratterizzato da diversi approcci metodologici di tipo statistico che cercano di aiutare nella comprensione e nello studio della distribuzione dei fenomeni
nello spazio. Essa si occupa di qualsiasi forma di distribuzione e quindi è
applicata ed applicabile non solo al campo della geografia ma anche a
quello di altre discipline: inoltre, l’analisi spaziale non è riferibile solo alla creazione di una carta di distribuzione degli insediamenti ma anche alla ricostruzione dei percorsi viari o reti di comunicazione. L’analisi spaziale è il processo e lo strumento che fa evolvere i dati in informazioni; il
passaggio successivo, dalle informazioni alle valutazioni, è affidato alle
capacità interpretative del ricercatore.
Nell’ambito del progetto sono state utilizzate le analisi spaziali24
(Tav. XI) per cercare di dare una risposta a due quesiti specifici: il primo
relativo alla ricostruzione della viabilità di epoca tardo antica e medievale, il secondo volto ad individuare le possibili zone d’insediamento dei
Longobardi, di cui si sa poco o nulla. Per rispondere alla prima domanda
è stato creato un modello dei costi di superficie25 (cost surface analysis),
il quale rappresenta uno strumento che permette di ragionare, discutere,
23
FORTE 2002.
MACCHI 2001, LAKE-CONOLLY 2006, ROBERTSON et alii 2006. L’utilizzo dell’analisi
spaziale in archeologia è riferibile all’indirizzo della ricerca avvenuto nei paesi anglosassoni che prende il nome di New Archaeology. Il primo libro dedicato a questo
argomento in archeologia è stato Spatial Analysis in Archaeology di Hodder e Orton,
Cambridge 1976, mai tradotto in italiano. Negli anni ’60 e ’70 le analisi erano molto
semplici e si riferivano soprattutto all’utilizzo dei “poligoni di Thiessen”, utilizzati largamente in geografia, per l’individuazione di un centro di influenza sul territorio circostante e rispetto a centri confinanti. Per vedere le prime analisi complesse in archeologia bisogna aspettare gli anni ’80, periodo in cui i computer diventano sempre
più potenti e veloci; negli anni ’90, infine, l’utilizzo dei software GIS diventa più capillare e si assiste alle prime analisi territoriali.
25
PECERE 2006, CIANCIARULO-GHERDEVICH 2007. La cost surface analysis è l’analisi
della superficie di costo, che determina il consumo di energia di un individuo che si
sposta da un punto ad un altro: questo tipo di analisi permette di ricostruire la viabilità
e i percorsi in base a diverse variabili come le quote, le pendenze, la presenza dei fiumi. Il software calcola quale possa essere il tragitto ideale, più comodo e più certo uti107
24
confutare e fare predizioni. La scienza si basa sui modelli, poiché sono
rappresentazioni pratiche di una realtà semplificata che per natura tende
ad evolvere. Sono state dunque inserite le variabili che hanno permesso
di ricreare il paesaggio e simulare le condizioni ambientali. Su questa
porzione di territorio sono state dunque inserite le variabili che hanno
permesso di ottenere il modello di costo. Tra le variabili più importanti a
cui è stato dato un peso piuttosto rilevante si ricordano: la quota sul livello del mare, la pendenza, i fiumi e l’analisi di visibilità (viewshed analysis), effettuata sui castra citati da Paolo Diacono. È stato così ottenuto
un modello con i costi di percorrenza da Cividale verso Gemona, luogo
di cui si conosce l’esistenza già in epoca longobarda e medievale, punto
di snodo principale prima dell’attraversamento delle montagne della Carnia. Il calcolatore ha quindi elaborato la strada con i minori costi di percorrenza; la ricostruzione è molto interessante perché corre non molto
lontano da diverse necropoli e passa non distante dal castra di Artegna,
utilizzato anche in epoca romana come controllo sulla cosiddetta via Iulia
Augusta.
Per cercare di individuare le zone più adatte agli insediamenti Longobardi, è stato realizzato un modello predittivo26. Per creare questo modello sono stati intrecciati i dati ricavati dalle foto aeree e dalle ricerche
storico archeologiche con i dati delle diverse analisi spaziali e paesaggistiche tra le quali: la distanza delle necropoli dai fiumi e dalle vie di comunicazione conosciute o ricostruite dal calcolatore, l’analisi di visibilità dei castra, il modello digitale del terreno (da cui sono state escluse le
zone con pendenze superiori al 30%). È stata inoltre creata una buffer zone di 2 km di raggio, intorno alle necropoli dato che i possibili insediamenti dovevano trovarsi nei pressi delle aree di sepoltura che circoscrivevano e disegnavano il paesaggio urbano ed un’analisi sulla irradiazione
solare lungo tutto l’arco dell’anno, per escludere le zone poco battute dal
lizzando tutti i dati inseriti relativi alle diverse variabili e crea un percorso teorico che
può essere utilizzato come ulteriore dato nello studio della viabilità antica.
26
TONDI 2007.
108
sole dove difficilmente potevano sorgere degli insediamenti27.
LA RICOSTRUZIONE DEL TERRITORIO
Tutti gli elementi acquisiti ed analizzati nelle fasi precedentemente
esposte saranno utilizzati per la ricostruzione virtuale del territorio di due
aree campione, scelte sulla base della quantità e qualità dei dati archeologici e d’archivio a disposizione. Le due aree scelte sono quella relativa
alla necropoli di Romans d’Isonzo, in provincia di Gorizia, in quanto sono ripartite quest’anno le indagini archeologiche, e la necropoli presso
San Martino di Remanzacco, in provincia di Cividale del Friuli, scavata
fino al 2009 e i cui dati sono abbinati ad uno studio approfondito sulla
cartografia antica che ha permesso una ricostruzione precisa della copertura vegetativa della zona fino al 1200 circa.
I dati archeologici e d’archivio verranno affiancati da analisi polliniche effettuate in entrambi i siti: i prelievi dei campioni di terra verranno
eseguiti direttamente dalle tombe scavate per quanto riguarda la necropoli di Romans, in cui sarà possibile analizzare sia il terreno al di sotto
degli scheletri che quello visibile in sezione con prelievi fatti ad hoc,
mentre a San Martino saranno eseguiti carotaggi con carotatore a mano
fino a raggiungere la quota archeologica conosciuta in base ai dati di scavo.
I dati pollinici sono importanti in quanto permettono una conoscenza sicura della copertura vegetativa della zona in esame e, per la zona di
Remanzacco, saranno affiancati allo studio della cartografia e dei catastali antichi per fornire un’informazione il più possibile corretta ed esauriente.
Il software che verrà utilizzato per la ricostruzione virtuale sarà Visual Nature Studio che permette di caricare i dati geografici provenienti
dal GIS, in modo che mantengano il loro sistema di coordinate.
27
La creazione di questo modello è stata appena portata a termine e quindi non sono disponibili ancora sufficienti dati per esporre dettagliatamente i risultati della ricerca.
109
Nel GIS sono stati creati, per la zona di San Martino di Remanzacco, alcuni file shape contenenti le informazioni delle aree con diversa copertura vegetativa ricavati dallo studio della cartografia antica; questi dati
saranno caricati nel programma Visual Nature insieme al DEM della zona in esame e costituiranno, unitamente alle analisi polliniche effettuate,
la base per la ricostruzione virtuale del territorio: il software infatti permette di collegare alle singole aree indicate nel file shape i diversi tipi di
copertura grazie ad un catalogo delle specie vegetali molto ampio e fornito.
Per la zona relativa alla necropoli di Romans, invece, saranno utilizzati i soli dati provenienti dai risultati delle analisi polliniche, che permettono di avere una certezza maggiore rispetto al solo studio della cartografia antica per quanto riguarda la copertura vegetativa del terreno. Questi dati saranno caricati nel software Visual Nature insieme al DEM della
zona e verranno trattati allo stesso modo dei dati relativi a Remanzacco:
alle singole aree verranno collegate le diverse specie vegetali recuperate
dal catalogo del programma.
Le ricostruzioni virtuali del territorio avranno una duplice funzione:
saranno innanzitutto di utilità per gli addetti ai lavori in quanto permettono una visione tridimensionale accurata del territorio antico creata su
base scientifica e saranno rivolte ai turisti che vorranno conoscere come
dovevano presentarsi le due zone prese in esame nel periodo compreso
tra il VI e l’VIII secolo d.C.
Questa parte del lavoro, ancora non effettuata in quanto i risultati
delle analisi polliniche non sono ancora arrivati, sarà fondamentale come
completamento del lavoro del GIS e risponderà alla specifica richiesta
del Bando Regionale, grazie al quale sono stati ricevuti i finanziamenti,
relativa alla creazione di una parte divulgativa del lavoro eseguito.
CONCLUSIONI
Il progetto ha come fine ultimo l’utilizzo delle diverse metodologie
per lo studio e l’evoluzione del paesaggio; anche se le analisi sono state
110
concentrate sul periodo longobardo, lo studio è stato comunque diacronico, soprattutto per quanto riguarda le tracce riscontrate nelle foto aeree,
che per essere datate richiedono dettagliate ricognizioni sul campo. L’utilizzo delle foto aeree e la collaborazione con istituzioni come l’Aerofototeca Nazionale dell’ICCD hanno permesso di trovare un consistente numero di anomalie, molte delle quali sono in attesa di essere verificate sul
campo.
I primi dati delle analisi spaziali hanno permesso di fornire interessanti spunti di indagine. L’intrecciarsi di foto interpretazione aerea e analisi spaziale ha permesso di ricavare alcuni dati che, confrontati con le evidenze archeologiche, si spera siano in grado di produrre delle nuove informazioni ed ipotesi relative alla viabilità e agli insediamenti presenti
sul territorio. Il lavoro ha portato anche alla creazione di diverse banche
dati, come quella delle foto aeree, utilizzabili anche in futuro per ulteriori
indagini. Questo progetto ha inoltre permesso di sperimentare nuovi sistemi di rilievo a basso costo, e cioè l’UAV della GAUI e i software open
source per le elaborazioni delle immagini e dei dati. Lo studio e l’analisi
delle immagini telerilevate dal sensore iperspettrale MIVIS, oltre ad aver
fornito ulteriori riscontri per alcune tracce di anomalie, sono stati anche
oggetto di una tesi di laurea specialistica in ingegneria civile 28.
La parte conclusiva del progetto si concentrerà in particolare sulla
fruizione dei dati raccolti da parte di un ampio pubblico tramite il WebGIS ed alcuni itinerari per far conoscere meglio il territorio, che saranno
liberamente scaricabili nei più comuni formati per navigatori satellitari,
oramai in dotazione su gran parte dei cellulari e delle autovetture.
RINGRAZIAMENTI
Gli autori vogliono ringraziare Serena Vitri della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Friuli Venezia Giulia per l’appoggio fornito e la direttrice dell’Aerofoto-
28
Studio integrato di foto aeree e immagini MIVIS per l’individuazione di anomalie a
scopi archeologici tesi di laurea specialistica in Ingegneria Civile e Ambientale presso
l’Università degli Studi di Trieste, laureando G. Montagner, relatore prof. R. Cefalo.
111
teca Nazionale nel Laboratorio per la fotointerpretazione e l’aerofotogrammetria, Elizabeth Jane Shepherd, per la gentilezza e la grande collaborazione.
D. DEGRASSI1, D. GHERDEVICH1, S. GONIZZI BARSANTI1, G. MONTAGNER2
1
DISCAM - Dipartimento di Storia e Culture dall’Antichità al Mondo
contemporaneo - Università degli Studi di Trieste
2
DICA - Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale
Università degli Studi di Trieste
[email protected] [email protected] [email protected]
ABSTRACT
This project has as its ultimate goal the reconstruction of the dynamics of settlement, the ancient roads and the territory of a portion of the Region Friuli Venezia
Giulia in the Lombard period starting from the collecting of the archival documentation
about excavations, surveys and past studies integrating them with the analysis of historical maps and modern technology available, as aerial photography combined with
oblique aerial photography and the UAV technology to study and analyze anomalies.
All the data collected were put into a GIS, so that it was possible to make some spatial
analysis as the cost surface analysis to try to reconstruct the ancient road and distributional analysis to suggest the development of settlements in the Lombard period and
above all, to try to link the settlements with the cemetery located on the territory. The
last part of the project will focus on the 3D reconstruction of the territory with a specific software using the archival data, the pollen analysis and the ancient cartography
and the creation of a WebGIS that will include all the data derived from the previous
analysis, from which is possible to download the tourist paths designed to improve the
areas examined.
Il progetto mira a ricostruire lo sviluppo antropico, l’antica viabilità e il territorio
di una parte della Regione Friuli Venezia Giulia nel periodo longobardo partendo dalla
documentazione d’archivio relativa a scavi, a ricognizioni e a vecchi studi, integrati con
le analisi di carte antiche, la fotografia aerea sia obliqua che verticale e gli Unmanned
Aerial Vehicle (UAV) per l’analisi e lo studio delle tracce di anomalia. Tutti i dati raccolti sono stati inseriti in un GIS per effettuare alcune analisi spaziali, come la cost surface analysis per la ricostruzione dell’antica viabilità e analisi distributive per ipotizzare
lo sviluppo insediativo in epoca longobarda e cercare di collegare gli insedia-menti con
le necropoli posizionate sul territorio. L’ultima parte del progetto si concen-trerà sulla
ricostruzione tridimensionale del territorio con un software specifico utiliz-zando i dati
d’archivio, le analisi polliniche e la cartografia antica e sulla creazione di un WebGIS
che includerà tutti i dati ricavati dalle precedenti analisi, da cui sarà possibile scaricare i
percorsi turistici realizzati per valorizzare i territori presi in esame.
112
BIBLIOGRAFIA
BENDEA et alii 2007: H. Bendea, F. Chiabrando, F.G. Tonolo, D. Marenchino,
“Mapping of archaeological areas using a low-cost UAV. The Augusta Bagiennorum test site”, in International Archives of the Photogrammetry, Remote Sensing and Spatial Information Sciences, XXI International CIPA Symposium, Athens, Greece 01-06 October 2007, pp. 117-122.
http://www.isprs.org/proceedings/XXXVI/5-C53/papers/FP025.pdf
BEVAN-CONNOLLY 2004: A.H. Bevan, J.W. Conolly, “GIS, Archaeological Survey
and Landscape Archaeology on the Island of Kythera, Greece”, in Journal of
Field Archaeology 29 (2004), pp. 123–138.
CAMPANA 2004: S. Campana, “ Le immagini da satellite nell’indagine archeologica:
stato dell’arte, casi di studio, prospettive”, in Archeologia Aerea. Studi di Aerotopografia Archeologica, 1, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 2004,
pp. 279-299.
CAVALLI-PIGNATTI 1999: R. M. Cavalli, S. Pignatti, “Il Telerilevamento iperspettrale da aereo per lo studio dei Beni Archeologici: applicazione dei dati iperspettrali MIVIS”, in XI Ciclo di Lezioni sulla Ricerca applicata in Archeologia,
Certosa di Pontignano 1999.
CIANCIARULO-GHERDEVICH 2007: D. Cianciarulo, D. Gherdevich, “L’apporto dell’analisi spaziale alla ricostruzione della viabilità antica”, in C. Citter, A. Arnoldus-Huyzendveld (a cura di) Archeologia urbana a Grosseto. Origine e sviluppo
di una città medievale nella Toscana delle città deboli. Le ricerche 1997-2005:
la città di Grosseto nel contesto geografico della bassa valle dell’Ombrone, Firenze 2007, pp. 221-229.
EISENBEISS 2009: H. Eisenbeiss, UAV Photogrammetry, Zurich 2009.
EISENBEISS-SAUERBIER 2010: H. Eisenbeiss, M. Sauerbier, “UAVs for the documentation of archaeological excavations”, in International Archives of Photogrammetry, Remote Sensing and Spatial Information Sciences, Vol. XXXVIII,
Part 5 Commission V Symposium, Newcastle upon Tyne 2010, pp. 526–531.
FORTE 2002: M. Forte, I Sistemi Informativi Geografici in archeologia, MondoGIS,
Roma 2002.
HODDER-ORTON 1976: I. Hodder, C. Orton, Spatial analysis in archaeology, Cambridge University Press, Cambridge 1976.
LAKE-CONNOLY 2006: M. Lake, J. Connoly, Geographical Information Systems in
Archaeology, Cambridge, Cambridge University Press 2006.
LASAPONARA-MASINI 2005: R. Lasaponara, N. Masini, “Evaluation of potentialities of satellite Quickbird imagery for archaeological prospection: preliminary
results”, in S. Piro (a cura di), Proceedings of 6 th International Conference on
Archaeological Prospection, Roma, CNR, September 14–17, 2005, Roma 2005,
pp. 392–399.
113
LASAPONARA-MASINI 2006: R. Lasaponara, N. Masini, “Satellite-based identifycation of archaeological features”, in Proceedings of the 2nd Workshop of the EARSeL SIG on Land Use and Land Cover, Center for Remote Sensing of Land Surfaces, Bonn, 28–30 September 2006, pp. 276–281.
LASAPONARA-MASINI-SCARDOZZI 2007: R. Lasaponara, N. Masini, G. Scardozzi,
“Immagini satellitari ad alta risoluzione e ricerca archeologica: applicazioni e casi di studio con riprese pancromatiche e multi spettrali di QuickBird”, in Archeologia e Calcolatori 18 (2007), pp. 187–229.
MACCHI 2001: G. Macchi, “Modelli matematici per la ricostruzione dei paesaggi
storici”, in Archeologia e Calcolatori 18 (2001), pp. 143–165.
MUSSON-PALMER-CAMPANA 2005: C. Musson, R. Palmer, S. Campana, In volo nel
passato. Aereofotografia e cartografia archeologica, Siena 2005.
P. DIACONO, Historia Longobardorum , IV, 37.
PALMER-COWLEY 2010: R. Palmer, D. Cowley, “Interpreting Aerial Imagery - developing best practice”, in S. Campana, M. Forte and C. Liuzza (edited by),
2010. Space, Time, Place. Third International Conference on Remote Sensing in
Archaeology, Tiruchirappalli, Tamil Nadu, India 17-21 August 2009, pp. 129135.
PECERE 2006: B. Pecere, “Viewshed e Cost Surface Analyses per uno studio dei sistemi insediativi antichi: il caso della Daunia tra X e VI sec. a.C.”, in Archeologia e Calcolatori 17 (2006), pp. 177-221.
PICCARRETA 1987: F. Piccarreta, Manuale di fotografia aerea: uso archeologico,
Roma 1987.
PICCARRETA-CERAUDO 2000: F. Piccarreta, G. Ceraudo, Manuale di aereofotografia archeologica. Metodologia, tecniche, applicazioni, Bari 2000.
ROBERTSON et alii 2006: E.C. Robertson, J.D.Seibert, D.C. Fernandez, M.U. Zender, Space and Spatial Analysis in Archaeology, University of Calgary Press,
2006.
SCOLLAR 1998: I. Scollar, “AirPhoto - A WinNT/Win95 program for the geometric
processing of archaelogical air photos”, in Aerial Archaeology Research Group
News 16 (1998), pp. 36-38.
http://aarg.univie.ac.at/aargnews/pdf/AARGnews16.pdf
SCOLLAR 2001: I. Scollar, “Making things look vertical”, in R.H. Bewley, W.
Raczkoski (edited by), Nato Workshop, Leszno, Poland, 15/17 November 2000
Aerial Archaeology - Developing Future Practice, IOS Press, Amsterdam, 2001,
pp. 166-172.
SCOLLAR 2005: I. Scollar, “Radial distortion correction”, in Aerial Archaeology Research Group News 30 (2005), pp. 26-27.
http://aarg.univie.ac.at/aargnews/pdf/AARGnews30.pdf
TRAVIGLIA 2005: A. Traviglia, Using Remotely Sensed MIVIS images for recognizing archaeological sites in the Aquileia area and the managing G.I.S. Tesi del
114
XVI ciclo del Dottorato di Ricerca in Geomatica e Sistemi Informativi Territoriali, Università degli Studi di Trieste.
TONDI 2007: E. Tondi, Archeologia predittiva e geographic information systems,
Aracne, Roma 2007.
VERHAGEN 2007: P. Verhagen, “Testing Archaeological Predictive Models: A
Rough Guide”, in A. Posluschny, K. Lambers, I. Herzog (edited by), Layers of
Perception. Proceedings of the 35th International Conference on Computer
Applications and Quantitative Methods in Archaeology (CAA), Berlin, Germany
2-6 April 2007.
WHITLEY-BURNS 2007: T. G. Whitley, G. Burns, “Conditional GIS Surfaces and
their Potential for Archaeological Predictive Modelling”, in A. Posluschny, K.
Lambers, I. Herzog (edited by), Layers of Perception. Proceedings of the 35th
International Conference on Computer Applications and Quantitative Methods
in Archaeology (CAA), Berlin, Germany 2-6 April 2007.
WILSON 2000: D.R. Wilson, Air Photo Interpretation for Archaeologists, Tempus
Publishing Ltd, Brimscombe Port Stroud 2000.
115
ESPERIENZE DI FRUIZIONE VIRTUALE DEL PATRIMONIO
ARCHEOLOGICO
INTRODUZIONE
Uno degli obiettivi principali, per chi opera nell’Information and
Communication Technology (ICT) e applica tali tecnologie ai Beni Culturali, è di favorire la conoscenza integrata del bene e del suo contesto affinché diventi un fattore di crescita culturale, sociale ed economica del
sistema territoriale in cui si colloca. Da oltre venti anni l’ENEA1 è impegnato in attività volte alla conoscenza, conservazione, fruizione e valorizzazione del patrimonio artistico e culturale del Paese. In particolare,
l’Unità Tecnica “Sviluppo Sistemi per l’Informatica e l’ICT” (ENEAUTICT), con le sue competenze e sistemi innovativi, consente agli esperti del patrimonio culturale di approfondire la conoscenza e la conservazione di un bene, aprendo nuove possibilità di indagine. La creazione di
reti di archivi complementari, attraverso GRID computazionale, permette
l’accesso diretto su web a basi di dati distribuite, che raccolgono informazioni sui materiali costitutivi dei Beni Culturali e rendono possibili,
con l’ausilio della modellazione, della simulazione e di ricostruzioni virtuali 3D, la previsione dei fenomeni di degrado e la classificazione di danneggiamenti non visibili ad occhio nudo. Anche la sperimentazione di
tecnologie per una fruizione “intelligente” dell’informazione culturale
costituisce un ambito di ricerca da tempo ampliamente indagato con significativi risultati. Il patrimonio archeologico è stato oggetto di indagine
e studio presso l’ENEA-UTICT in numerose attività progettuali riguardanti sia la ricostruzione virtuale del suo aspetto originale, che la fruizione virtuale e remota. Alcuni sistemi WebGIS sono stati realizzati per la
fruizione virtuale di beni dislocati sul territorio anche attraverso la generazione di percorsi culturali. L’utilizzo di tecnologia avanzata quale quella mobile orientata alla comunicazione e le nuove ricerche nel campo del1
http://patrimonioculturale.enea.it/
l’intelligenza artificiale per la modellazione utente e la rappresentazione
della realtà forniscono un enorme contributo anche alla modalità di fruizione dei servizi turistici. Alla tipologia di servizi fruibili solo in loco o
in alcuni casi dalla propria abitazione (musei virtuali visitabili da Web,
chioschi interattivi, ricostruzioni 3D, ecc.), se ne affianca un’altra che ha
come scopo l’assistenza di un utente durante un percorso di visita. Nel
paragrafo 2 saranno illustrate tre esperienze frutto della realizzazione di
applicativi WebGIS; nel paragrafo 3 verranno presentate alcune attività
svolte nell’ambito dell’infrastruttura ICT di ENEA-GRID che consentono la fruizione remota di ricostruzioni virtuali ad alta definizione.
SISTEMI WEBGIS
“Parole di pietra” un itinerario fra le epigrafi della via Appia
“Parole di Pietra” è un itinerario virtuale, nato dalla collaborazione
tra la Soprintendenza Archeologica di Roma e l’ENEA, con l’intento di
avvicinare il pubblico alla conoscenza del mondo antico2. Costituisce un
tentativo di descrizione di un percorso di scambio e assimilazione culturale attraverso l’esame di documenti archeologici, l’approfondimento dei
temi storici e sociali in cui essi si inseriscono e la ricostruzione della loro
interazione con il territorio. In questo viaggio si percorre la via Appia,
analizzando una selezione di epigrafi provenienti dal suo tratto urbano,
compreso tra Porta Capena ed il Grande Raccordo Anulare. Il sistema informatico rende possibile la comprensione dei molteplici significati di cui
sono investiti i documenti epigrafici e, allo stesso tempo, illustra ancora
una volta l’importanza della via Appia, simbolo e testimonianza eccellente
del mondo romano. La realizzazione del sistema Web fruibile da Internet
ha previsto inizialmente le attività di acquisizione, strutturazione ed archiviazione del materiale documentale relativo alle epigrafi (documenti
tecnici, storici, fotografie ed immagini) messo a disposizione dalla Soprintendenza Archeologica di Roma. I materiali raccolti sono stati orga2
BERTINETTI-BORDONI 2008.
117
nizzati e classificati con un’omogeneità di esposizione fra i diversi argomenti e soggetti, fornendo anche la possibilità di consultarli attraverso un
percorso non solo lineare ma anche modulabile in base alle esigenze dei
visitatori. Di ogni reperto si è ritenuto opportuno raccogliere le seguenti
informazioni:
 La foto
 Il titolo
 Il materiale con il quale è stato realizzato
 La tecnica di realizzazione
 La datazione
 Le misure
 Il luogo di ritrovamento con la relativa data
 Lo stato e luogo di conservazione (o collocazione), spesso diversa
dalla sede di ritrovamento
 Il numero di inventario
 Il numero di catalogo
 La posizione giuridica
 Il testo (in lingua latina)
 La traduzione in lingua italiana
 Il commento storico-archeologico
 La bibliografia principale
Le funzionalità del sistema realizzato consentono all’utente di eseguire le seguenti operazioni:
 L’esplorazione dell’archivio epigrafico
 La visualizzazione dei dati riguardanti ogni reperto epigrafico in differenti gradi di dettaglio
 La ricerca di un reperto epigrafico partendo dal dato di collocazione attuale e/o il suo numero di inventario
 La possibilità di intraprendere un percorso virtuale
La scelta degli strumenti di sviluppo si è basata principalmente sui
requisiti di stabilità, portabilità e velocità richiesti per il sistema.
118
L’applicazione lato server è stata implementata mediante l’utilizzo
del webserver Apache, del linguaggio di scripting server side PHP e del
server MySQL come data base administrator. Il lato client è stato rappresentato da un qualunque http user agent (browser) in grado di interpretare il codice HTML.
La produzione della carta delle dislocazioni delle epigrafi ha consentito di:
 Ricostruire attraverso l’elaborazione di una carta tematica gli spostamenti che hanno interessato i reperti
 Fornire informazioni riguardo l’attuale assetto e disposizione dei
reperti epigrafici
 Studiarne le correlazioni basandosi su caratteristiche specifiche come il secolo di appartenenza, la professione dei relativi defunti e la
loro condizione sociale
 Creare un database di reperti archeologici georeferenziati
La realizzazione di un applicativo WebGIS, ottenuto tramite l’integrazione dei dati cartografici con le schede epigrafiche presenti nella
base di dati, offre pertanto la possibilità di effettuare tutte le ricerche possibili nell’ambito delle principali caratteristiche di un reperto epigrafico e
di visualizzarne i risultati ottenuti sulla cartografia.
Per migliorare la visibilità e la determinazione geografica dei risultati delle interrogazioni, il sistema WebGis è stato dotato dei seguenti layer:
 Cartografia IGM 25.000
 Vettoriale lineare della rete stradale
 Ortofoto metri 1 di risoluzione
 Vettoriale puntuale delle epigrafi
Una volta individuata l’epigrafe il sistema consente di accedere alla
relativa scheda sia tramite il collegamento presente nel box di ricerca,
che direttamente dalla cartografia. Inoltre sono disponibili di base gli
strumenti ”classici” di interazione con un sistema cartografico: lo Zoom
in, lo Zoom out, il Pan, il Calcolatore di distanze, il Dettaglio informa119
zioni. Nella figura 1 viene mostrato un esempio di ricerca di tipo cartografico. Il sistema presenta una selezione di circa cinquanta reperti epigrafici, tutti di destinazione sepolcrale, provenienti dal tratto urbano della
Via Appia, compreso tra Porta Capena ed il Grande Raccordo Anulare.
Ad integrazione dei commenti ai testi epigrafici, è prevista la possibilità
di accesso ad approfondimenti di carattere storico-archeologico, sociale e
tecnico, che facilitano la comprensione delle tematiche presenti nelle iscrizioni e la conoscenza del mondo romano. Anche gli approfondimenti
sono corredati da immagini che ne rendono più vivido il contenuto.
Fig. 1 Un esempio di ricerca di epigrafe sulla cartografia. Cfr. Tav. XII.
Gli acquedotti di epoca romana
È universalmente riconosciuto che gli acquedotti di epoca romana
costituiscono opere monumentali di eccezionale bellezza ed interesse per
la tecnica architettonica ed idraulica, comparabili ai più grandi e cono120
sciuti resti archeologici, ad esempio, del Colosseo, delle Terme di Caracalla, dei Fori Imperiali. Essi costituiscono anche una millenaria ed ancora viva testimonianza della eccezionale tradizione di Roma quale città di
acque e fontane. A dispetto della loro importanza storica, monumentale,
architettonica ed ingegneristica, gli acquedotti di epoca romana risultano
essere stati poco studiati. I lavori di Frontino3, Fabretti4, Cassio5, e Fea6
costituiscono ormai studi secolari, che giungono fino al XIX secolo. Successivamente, gli studi di Lanciani 7, di Ashby8, di Reina, Corbellini e
Ducci9 che, sui tracciati di Ashby hanno eseguito le livellazioni ancora
oggi valide, di Van Deman10 e di Di Fenizio11, compiuti entro la prima
metà del XX secolo, e negli anni più recenti gli interessanti studi compiuti da Bruun12-13, Evans14 e Hodge15, hanno consolidato, di fatto, tutte
le conoscenze di cui si dispone attualmente. L’incuria e la sistematica carenza di mezzi sono alla base del mancato avanzamento degli studi sugli
acquedotti di epoca romana e del loro progressivo disfacimento. Infine, la
fruizione del bene culturale costituito dagli acquedotti romani, intesa come l’insieme dei mezzi e delle iniziative teso ad ottenere una più diffusa
ed agevole loro conoscenza, risulta allo stato attuale ancora fortemente
carente per via, soprattutto, della loro distribuzione sul territorio. Il non
essere concentrati in una sede o in una ben definita località sembra costituire un serio ostacolo alla fruizione di opere così importanti. A tale fine
sono state considerate le tecnologie informatiche GIS e WebGIS che me3
FRONTINUS, De Aqueductu.
FABRETTI 1680.
5
CASSIO 1757.
6
FEA 1832.
7
LANCIANI 1881.
8
ASHBY 1991.
9
REINA-DUCCI-CORBELLINI 1917.
10
VAN DEMAN 1934.
11
DI FENIZIO 1916.
12
BRUUN 2001.
13
BRUUN 2003.
14
EVANS 1997.
15
HODGE 1992.
4
121
glio sembrano rispondere all’esigenza di rendere fruibili opere importanti distribuite sul territorio. L’ENEA in collaborazione con l’ISPRA e
la Sovraintendenza Comunale ai Beni Culturali di Roma, ha sviluppato
un sistema WebGIS sugli acquedotti di epoca romana costruiti tra il III
secolo a.C. ed il III secolo d.C.16. Gli acquedotti non costituiscono un bene culturale agevolmente fruibile: la loro divulgazione è pressoché unicamente affidata a testi e documentazioni attraverso immagini (fotografie
e rappresentazioni figurative). Peraltro, i resti visibili nel tessuto urbano e
nelle campagne romane costituiscono soltanto una piccola porzione dell’intero sistema acquedottistico romano. In altre parole, essi possono essere “visti” solo in parte attraverso visite parziali a frazioni di essi. La loro “visione” non è mai complessiva ma limitata ad immagini (fotografie,
rappresentazioni pittoriche) slegate dal proprio contesto territoriale. Inoltre, alcune caratteristiche costruttive (ingegneria delle costruzioni, idraulica) di questi acquedotti suscitano interessi scientifici e tecnologici. Per
questi motivi le tecniche impiegate per “vedere” gli acquedotti di epoca
romana non possono essere le stesse adottate per altre categorie di Beni
Culturali, quali ad esempio opere figurative, sculture, ville, siti archeologici anche vasti ma ben localizzati. Anche in questo caso, così come
per il sistema presentato sopra, inizialmente si è proceduto ad acquisire,
strutturare ed archiviare il materiale documentale relativo agli acquedotti.
La Carta storico-archeologico-monumentale-paesistica dell’Agro Romano, prodotta e resa disponibile in formato cartaceo dalla Sovrintendenza
Comunale ai Beni Culturali di Roma è stata vettorializzata inserendo tutti
i tracciati degli undici acquedotti di epoca romana ivi rappresentati: Aqua
Alexandrina (226 d.C.), Anio Novus (38 d.C.), Anio Vetus (272 a.C.), Aqua Alsietina (2 a.C.), Aqua Appia (312 a.C.), Aqua Claudia (38 d.C.),
Aqua Iulia (33 a.C.), Aqua Marcia (144 a.C.), Aqua Tepula (125 a.C.),
Aqua Traiana (109 d.C.), Aqua Virgo (19 a.C.). Di ciascun acquedotto
sono stati riportati i tipi di tracciato, distinguendoli in sotterraneo, emergente ed ipotetico (Aqua Alsietina). Sono poi stati riportati gli altri elementi di rilevanza storico-artistica, quali monumenti e chiese. Infine, sono stati aggiunti i limiti amministrativi di quartieri, la rete viaria e la rela16
BORDONI et alii 2008.
122
tiva toponomastica, per favorire un più agevole riconoscimento ed individuazione della localizzazione dei tratti di acquedotto. La cartografia
vettoriale così realizzata è stata poi utilizzata per lo sviluppo di una applicazione WebGIS (Fig. 2) per consentirne la fruizione con la massima
diffusione attraverso la rete Internet.
Il Lazio latino
Con il termine “Lazio latino” viene indicata quella parte di Lazio,
posta a Sud del Tevere, dove nacque e si sviluppò la civiltà latina. In questo sacro scenario si sono svolte le vicende degli ultimi sei libri dell’Eneide di Virgilio in cui con lo sbarco di Enea nell’antica Lavinium (l’attuale Pratica di Mare a Pomezia), vengono cantate le origini di Roma e
dei popoli Latini. Tale territorio, ancora poco conosciuto e visitato, ed in
parte incluso in parchi e riserve naturali, possiede un esteso patrimonio
archeologico, artistico, etnografico, naturale, storico e scientifico. Per il
Lazio latino si é inteso proporre un’infrastuttura tecnologica17 che valorizzi al meglio i valori culturali da esso posseduti.
La conoscenza posseduta dal territorio del Lazio latino risiede in
differenti fonti di informazione (enciclopedie, libri, pubblicazioni, siti
web, ecc.) alla quale si può accedere in maniera frammentata e con poche interconnessioni. L’infrastruttura che si propone consente di:
1) Valorizzare il territorio del Lazio latino, ponendolo sotto una luce
di singolarità e di alto merito
2) Agevolare la visita fornendo all’utente tutti i servizi utili e necessari
3) Consentire l’arricchimento culturale attraverso il facile apprendimento e la piena comprensione delle tematiche storiche, artistiche e
culturali del luogo
A tale scopo si utilizzano le tecnologie del web semantico per l’applicazione a fonti informative diversificate riconducibili alle due grandi
aree di interesse del turismo culturale: quella dei servizi (trasporti, ospita17
BORDONI 2011.
123
Fig. 2 Un esempio di ricerca di tracciato di acquedotto sulla cartografia.
lità, ecc.) e quella della cultura (storia, arte, tradizioni, ecc.).
Anche in questo caso è stata utilizzata la tecnologia WebGIS; il
materiale in formato digitale relativo al territorio del Lazio latino potrà
essere ricercato sia in modalità testuale che cartografica, saranno inoltre
sviluppate delle applicazioni con funzioni specifiche per il turista quali
ad esempio la costruzione di “percorsi culturali” riguardanti uno specifico argomento (autore famoso, periodo, opera, ecc.) e la produzione di informazione culturale aggiuntiva ai punti percorso GPS. È stato così realizzato il sistema WebGIS ENEATOUR18 che si prevede possa essere
usufruito anche con dispositivi mobili quali palmari e cellulari 3G. Il portale web sarà predisposto per la connessione con sistemi esterni che possano fornire informazioni aggiornate sui servizi turistici quali trasporti,
pernottamenti, orari di apertura dei siti archeologici e museali e ogni altra
informazione utile alla pianificazione e organizzazione di un percorso turistico. Su piattaforma mobile è prevista l’ottimizzazione delle pagine
web al fine di renderne la navigazione facile e intuitiva oltre che l’inte18
http://www.eneatour.it
124
grazione con il GPS per l’accesso alle informazioni basato sulla posizione dell’utente.
L’infrastruttura ICT di ENEA-GRID per l’archeologia
La tecnologia del GRID computing integra in un’unica infrastruttura tutte le risorse ICT hardware e software presenti in ENEA-UTICT19
e le rende accessibili a distanza, indipendentemente dalla loro localizzazione fisica. In questo modo si è in grado di mettere a disposizione dell’utenza – scientifica e non – questo strumento innovativo capace di affrontare le sfide più attuali, di ottimizzare i tempi e di contenere i costi
necessari per lo sviluppo di prodotti e per la loro applicazione. La possibilità di accedere interattivamente ai modelli di oggetti culturali scannerizzati, all’interno di un vero e proprio ambiente di visualizzazione tridimensionale ad alta risoluzione, rientra nelle funzionalità offerte dalla
GRID. Questa infrastruttura permette di attuare la piena condivisione della conoscenza delle opere prese in esame e dei risultati delle analisi
scientifiche operate su di esse. Lo sviluppo della tecnologia per la grafica
remota “Remote Rendering” sperimentata e resa disponibile grazie al
progetto CRESCO20, ha consentito la realizzazione di un sistema, denominato ARK3D21, in grado di rendere fruibile a distanza modelli tridimensionali navigabili dall’utente ad alta e altissima definizione, tramite
l’accesso da Web. Lo studio condotto nell’ambito del progetto CRESCO
si basa sull’implementazione di un’architettura hardware e software che
permette l’accesso remoto a modelli tridimensionali, ad alta risoluzione,
multi disciplinari, e visualizzabili da WEB, installando una piccola applet
dedicata sui computer client. La tecnologia sviluppata per la visualizzazione, consente all’utente finale di fare a meno di risorse hardware e software specifiche, nonché di proteggere i diritti d’autore relativi al modello 3D, di cui non verrà effettuato alcun download in locale. L’utente interagisce con l’applicazione utilizzando le risorse hardware e software
remote (Remote 3D). L’infrastruttura è in grado di bilanciare il carico su
19
http://www.utict.enea.it
http://www.cresco.enea.it
21
https://www.ark3d.enea.it
20
125
cluster di macchine grafiche ed ottimizzare l’utilizzo di risorse (hardware e di rete) in base all’applicazione richiesta. Inoltre, le applicazioni
disponibili potranno essere eseguite anche su notebook, netbook e su iPad, il solo requisito necessario è un collegamento affidabile a Internet.
ARK3D ha consentito di poter realizzare una prima versione test del progetto “3DWS – 3D Web Service Project”22. Esso consiste in un database
relazionale “popolato” dagli utenti, in grado di contenere modelli 3D virtuali associati a contenuti descrittivi fruibili da web in alta risoluzione,
con l’intento di proteggerne il dato digitale originale. All’utente finale
che accede al modello non è richiesto alcun download di file di grosse
dimensioni, né di installare applicazioni dedicate alla visualizzazione, né
di possedere alcun hardware particolarmente performante. Le operazioni
di elaborazione e di rendering vengono eseguite remotamente sulle stazioni di lavoro dedicate dell’infrastruttura di ENEA-GRID e l’immagine
generata in real-time viene inviata al dispositivo dell’utente finale, che
oltre alla visualizzazione in alta definizione della scena generata, è in
grado di interagire con essa. Altre attività significative riguardano l’utilizzo di Laser Scanner 3D (Fig. 3) per un’acquisizione sia a grande dstanza, sia in alta risoluzione che quella del colore reale (RGB) sul punto.
Con tali tipologie di strumenti sono state effettuate diverse indagini. Nello scavo archeologico di Juvanum, nel comune di Montenerodomo (CH),
è stato prodotto il rilievo digitale dell’intera area facente parte lo scavo, è
stato elaborato il materiale prodotto ed i risultati sono stati condivisi con
gli archeologi dell’Università di Chieti e Pescara, che operano in loco per
scopi sia didattici che di ricerca. Con la stessa tecnologia di laser, presso
la Basilica di San Paolo Maggiore in Bologna, con l’apporto conoscitivo
di esperti del settore, si è documentato geometricamente l’intero edificio
storico, allo scopo di poter effettuare degli interventi di consolidamento
statico, conservativo e di restauro. Le altre tipologie di laser scanner, in
particolare quello con tecnologia a triangolazione utile per manufatti o
statue di piccole dimensioni, sono state utilizzate in alcuni pregevoli contesti quali l’Acquasantiera esposta nel museo medievale di Bologna, ed il
22
ABATE et alii 2011A. https://www.ark3d.enea.it/tredws.php
126
Tabernacolo di Isaia da Pisa, oggi smembrato e conservato presso diversi
luoghi della città di Viterbo e di cui si è realizzata una ricomposizione
virtuale23. Necessita comunque ricordare che tutto ciò è stato possibile
grazie ad una strettissima interazione tra contenuto e tecnologie; ancora
una volta si ritiene utile evidenziare l’importanza di una sinergia fra ambiti di competenze diverse.
Fig. 3 Esempi di acquisizione dati con laser scanner 3D, post-elaborazioni e ricostruzioni virtuali. Cfr. Tav. XIII.
CONCLUSIONI
Intento del presente contributo, oltre a presentare esperienze ed attività che utilizzano gli strumenti dell’ICT, è di fornire un proficuo contri23
ABATE et alii 2011B.
127
buto all’archeologia. I risultati ottenuti indicano un percorso di ricerca
che merita di essere approfondito con l’integrazione di ulteriori processi
digitali, quali ad esempio le tecnologie dell’intelligenza artificiale. Juan
A. Barceló, archeologo ed esperto di tecniche di intelligenza artificiale,
investiga da lungo tempo su come risolvere “automaticamente” le problematiche che sorgono nel settore dell’archeologia e definisce nel suo
libro Computational Intelligence in Archaeology24 la figura dell’archeologo “automatico”. Tale definizione scaturisce dalla considerazione che
l’archeologia è come una disciplina “problem solving”, il cui obiettivo
consiste nello spiegare dei fenomeni che sono percepiti nel presente come conseguenza di azioni umane compiute nel passato, un’interazione con
i processi naturali attraverso il tempo. Il nostro prossimo obiettivo sarà
quello di offrire all’utente, nelle sue diversificate tipologie, degli strumenti avanzati di interrogazione per una fruizione virtuale più significativa
della conoscenza del bene archeologico.
L. BORDONI, S. PIERATTINI
ENEA-UTICT, Roma
ABSTRACT
Le tecnologie avanzate dell’Information and Communication Technology (ICT)
consentono agli esperti di settore di svolgere indagini approfondite sulla conoscenza del
bene culturale, in special modo per quanto riguarda il bene archeologico. Con il presente contributo vengono presentate alcune esperienze riguardanti la realizzazione di sistemi per la fruizione virtuale del patrimonio archeologico. In particolare, saranno illustrati
alcuni esempi di sistemi WebGIS il cui intento è la fruizione virtuale di beni archeologici dislocati sul territorio. Verrà inoltre presentata l’infrastruttura ICT di ENEAGRID
che consente l’elaborazione di tecniche per il rilievo tridimensionale e la fruizione remota di ricostruzioni virtuali ad alta definizione.
24
BARCELÓ 2008.
128
BIBLIOGRAFIA
ABATE et alii 2011A: D. Abate, R. Ciavarella, G. Guarnieri, G. Furini, S. Migliori,
S. Pierattini, “3DWS - 3D Web Service Project”, in EVAFLORENCE2011 - Electronic Imaging & Visual Arts, Florence, Italy, May 4-6, 2011.
ABATE et alii 2011B: D. Abate, G. Furini, S. Migliori, S. Pierattini, “Virtual Reconstruction as a Tool for Art Historical Studies: The Tabernacle made by Isaia from
Pisa for the Church of the SS. Trinità in Viterbo”, in 39th Annual Conference of
Computer Applications and Quantitative Methods in Archeology, Beijing, China
12-16 April 2011.
ASHBY 1991: T. Ashby, Gli acquedotti dell’antica Roma, Edizioni Quasar, Roma
1991 (traduzione italiana di The Acqueducts of Ancient Rome, Oxford 1935).
BARCELÓ 2008: J.A. Barceló, Computational Intelligence in Archaeology, IGI Global, Henshey 2008.
BERTINETTI-BORDONI 2008: M. Bertinetti, L. Bordoni, “Parole di pietra: La Roma
antica nelle epigrafi della Via Appia”, in Rivista ENEA “Energia, Ambiente e
Innovazione”, Anno 54, settembre-ottobre 2008.
BORDONI et alii 2008: L. Bordoni, A. Colagrossi, L. Felli, Gis and WebGis Technologies for Enhanced Seeing in Archaeology. The Case of the Roman Aqueducts, Chart Twenty-Fourth Annual Conference, University of London, 6-7 November 2008.
BORDONI 2011: L. Bordoni, “Technologies to support cultural tourism for Latin Latium”, in Journal of Hospitality and Tourism Technology, Vol. 2-2 (2011), pp.
96-104.
BRUUN 2001: C. Bruun, “Frontinus, Pope Paul V and the Aqua Alsietina/Traiana
confusion”, in Papers of the British School in Rome 56 (2001), pp. 299-315.
BRUUN 2003: C. Bruun, A. Saastamoinen (edited by), Technology, Ideology, Water:
From Frontinus to the Renaissance and Beyond, ACTA Institituti Romani Finlandiae 31, 2003.
CASSIO 1757: A. Cassio, Corso dell’Acque antiche, II volume, Puccinelli, Roma
1757.
DI FENIZIO 1916: C. Di Fenizio. Sulla portata degli acquedotti romani e determinazione della quinaria, Tip. del Genio Civile, Roma 1916 (lo studio fu ripubblicato ed esteso tra il 1931 ed il 1948).
EVANS 1997: H.B. Evans, Water Distribution in Ancient Rome: the Evidence of
Frontinus, Ann Arbor 1997.
FABRETTI 1680: R. Fabretti, De aquis et aquaeductibus veteris Romae, Roma 1680.
FEA 1832: C. Fea, Storia: delle acque antiche sorgenti in Roma, perdute e modo di
ristabilirle, dei contorni antico-moderni della acque, Vergine, Felice, Paola e loro autori, Roma 1832.
HODGE 1992: A.T. Hodge, Roman aqueducts and water supply, London 1992.
129
LANCIANI 1881: R. Lanciani, Topografia di Roma Antica. I comentarii di Frontino
intorno le acque e gli acquedotti, Roma 1881.
REINA-DUCCI-CORBELLINI 1917: Reina V., Ducci G., Corbellini G. Livellazione
degli antichi acquedotti romani, Roma 1917.
SEXI JULII FRONTINI, De aquaeductu urbis Romae: editio phototypicaex cod. Casin. 361, saec. 12. adiciuntur Varronis de lingua latina fragmentum Petri Diaconi operum catalogus ex eodem codice.
VAN DEMAN 1934: E. Van Deman, The Building of Roman Aqueduct, Washington
DC 1934.
130
RICERCHE PER LA CARTA ARCHEOLOGICA DI HIERAPOLIS
DI FRIGIA (TURCHIA): INDAGINI MULTIDISCIPLINARI
INTEGRATE PER LA RICOSTRUZIONE DI UNA CITTÀ ANTICA
INTRODUZIONE
Negli ultimi decenni, molti settori della ricerca archeologica sono
stati interessati da un ampio utilizzo di tecnologie e metodologie d’indagine provenienti dal mondo scientifico, da cui è scaturito anche un acceso
dibattito sulla figura dell’archeologo nel XXI sec.1. A quest’ultimo, oltre
che la tradizionale preparazione umanistica, si richiede oggi una conoscenza informatica sempre più ampia, ma anche nozioni giuridiche ed
economiche, oppure capacità manageriali, in progetti di ricerca che possono abbracciare tutta la filiera che dalla conoscenza arriva alla conservazione ed alla valorizzazione del patrimonio archeologico e monumentale.
Più che in passato, oggi l’archeologo deve saper dialogare con gli specialisti delle altre discipline, di quelle che si occupano dei Beni Culturali,
ma anche di quelle che interessano il contesto urbano e territoriale in cui
essi sono inseriti. In quest’ottica, varie Università italiane hanno sviluppato laboratori all’avanguardia ed anche alcuni Istituti del Consiglio Nazionale delle Ricerche offrono competenze di eccellenza.
Molti progetti di ricerca si basano oggi sull’integrazione di differenti metodologie e tecnologie applicate in particolare allo studio dei
contesti archeologici, alla loro documentazione ed alla presentazione dei
dati acquisiti; quando il tecnicismo non finisce per prendere il sopravvento sul fine ultimo della ricerca, che resta sempre quello della ricostruzione storica, questi progetti di studio costituiscono un effettivo progresso rispetto al passato, poiché sviluppano al massimo i metodi e le tecniche oggi disponibili per acquisire la maggior quantità di dati possibile
(dallo scavo stratigrafico alle ricognizioni di superficie, dalle tecniche di
rilievo diretto ed indiretto a quelle in generale di remote sensing ad alta
1
Vd per esempio D’AGATA-ALAURA 2009.
risoluzione da terra o piattaforma aerea e satellitare), per gestirli ed integrarli rapidamente (mediante Sistemi Informativi Territoriali) con altri
dati di natura eterogenea (geomorfologici, cartografici, ambientali, urbanistici, giuridici, ecc.) e per condividerli (per esempio con piattaforme
GIS orientate al web) e presentarli nel modo più efficace, anche attraverso le ricostruzioni e le animazioni tridimensionali ed il restauro virtuale.
In quest’ottica può essere esemplificativo il progetto che l’Istituto
per i Beni Archeologici e Monumentali del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IBAM-CNR) ha avviato nel 2003 per la realizzazione della carta
archeologica di Hierapolis di Frigia, nella Turchia sud-occidentale (Pamukkale, Regione di Denizli); tale progetto, che nel corso degli anni ha
potuto fare affidamento su vari finanziamenti del Ministero dell’Università e della Ricerca (fondi FIRB e PRIN), è svolto nell’ambito delle attività della Missione Archeologica Italiana, diretta dal prof. Francesco
D’Andria, e scaturisce dalla collaborazione con il Laboratorio di Topografia Antica e Fotogrammetria del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento, diretto dal prof. Marcello Guaitoli.
La carta archeologica di Hierapolis e la ricostruzione del suo impianto urbano
L’antica città di Hierapolis di Frigia sorge su un terrazzo di travertino proteso sulla fertile valle del fiume Çürüksu, l’antico Lykos, affluente del Meandro2. L’area urbana occupa una superficie di circa 70 ettari ed è circondata da estese necropoli; l’intero settore occidentale della
città ed il ripido pendio che scende verso la valle del Lykos sono coperti
da bianche formazioni calcaree prodotte dalle sorgenti termali poste al
centro dell’area urbana, le cui acque, dopo il declino e l’abbandono di
Hierapolis, non furono più regolamentate ed ebbero modo di scorrere incontrollate formando un deposito che in alcuni punti raggiunge anche 3-4
metri di spessore.
La storia di Hierapolis, fondata dai Seleucidi nel III sec. a.C., è stata segnata da alcuni devastanti terremoti che ne hanno anche condiziona2
D’ANDRIA 2003; D’ANDRIA-CAGGIA 2007; D’ANDRIA-SCARDOZZI-SPANÒ 2008.
132
to le principali fasi di trasformazione urbana; essa sorge infatti al di sopra
di una faglia sismica ancora attiva, che è all’origine dei vari fenomeni naturali che caratterizzano il sito. Dopo un rovinoso terremoto avvenuto nel
60 d.C., tra i decenni finali del I e la prima metà del III sec. d.C. vi fu un
periodo di intensa monumentalizzazione, in cui la città si estese verso
nord e sud. Un’altra importante fase urbanistica si verificò successivamente ad un altro terremoto che colpì Hierapolis poco dopo la metà del
IV sec. d.C.: gli interventi che ne seguirono coincisero con la sua trasformazione da città pagana, il cui luogo di culto principale era costituito dal
Santuario di Apollo, posto al centro del tessuto urbano e smantellato proprio in questo periodo, in una metropolis cristiana molto importante, meta di pellegrinaggi per la presenza del Martyrion di S. Filippo, situato all’interno di un’area monumentalizzata in epoca proto-bizantina, su una
collina subito a nord-est dell’area urbana, che in questo momento fu circondata da una cinta muraria che ne ridusse l’estensione. Un ulteriore devastante terremoto, alla metà del VII sec. d.C., segnò l’inizio del declino
di Hierapolis: la cinta muraria e molti edifici crollarono ed il tessuto urbano regolare andò destrutturandosi. Infatti, nei secoli successivi i tracciati di molte strade furono deviati e molti assi viari furono invasi dalla
costruzione di abitazioni realizzate con materiali di spoglio; Hierapolis
continuò comunque a vivere fino al XIII-XIV sec., con una popolazione
fortemente ridotta e concentrata in alcuni nuclei.
La Missione Archeologica Italiana opera a Hierapolis dal 1957, con
attività di scavo e di restauro concentrate su vari complessi monumentali,
come il Martyrion di S. Filippo, il Teatro al centro della città, il Santuario
d’Apollo, il tratto settentrionale della Via di Frontino, l’Agorà Nord, l’Insula 104, le Terme Grandi, il c.d. Grande Edificio e la Necropoli Nord. Nel
2003, l’IBAM-CNR ha avviato uno studio sistematico della topografia
antica del sito, finalizzato alla ricostruzione dell’impianto urbano di Hierapolis e delle trasformazioni che lo hanno interessato dall’età ellenistica
a quella medio-bizantina e selgiuchide, in cui fossero esaminate in un quadro unitario sia le aree di scavo che tutti i monumenti ed i settori della
133
città e delle necropoli ancora non indagate 3. In precedenza, tra il 1969 ed
il 1971, l’impianto urbano era stato indagato in modo non sistematico, ma
venne comunque individuato lo schema generale del tessuto ortogonale
di Hierapolis, che risultava impostato su un’ampia plateia orientata nordovest/sud-est e con stenopoi minori che delimitavano isolati rettangolari
di circa m 29,60 x 754.
Nelle planimetrie archeologiche pubblicate fino al 20035 l’elemento architettonico prevaleva su quello archeologico, mentre le basi cartografiche utilizzate non rappresentavano in modo sufficientemente dettagliato e completo la morfologia del terreno, soprattutto sul lato occidentale, in corrispondenza del ripido pendio che dal terrazzo su cui sorge la
città scende verso la sottostante pianura del Lykos. Pertanto, è risultato
necessario procedere sia alla realizzazione di una base cartografica a
grande scala, di cui si sono occupati gli esperti di geomatica della Facoltà
di Architettura del Politecnico di Torino6, sia avviare il rilievo e lo studio
sistematico di tutte le evidenze archeologiche visibili in superficie, integrato all’utilizzo di metodologie e tecnologie che consentissero di acquisire dati anche sui resti antichi ancora sepolti, mediante applicazioni di
telerilevamento da piattaforma satellitare ed aerea ed attraverso prospezioni geofisiche7.
Un primo risultato di questo progetto di ricerca è stata la pubblicazione nel 2008 dell’Atlante di Hierapolis8, che costituisce una sintesi delle conoscenze sulla città acquisite nei primi 50 anni di attività della Missione Archeologica Italiana; l’Atlante, di cui sono state realizzate anche
una versione su DVD ed una online, documenta tutti i monumenti della
città e delle necropoli, posizionati sulla cartografia numerica della città a
grande scala (1:1.000) elaborata dalla Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino.
3
SCARDOZZI 2007A; 2007B.
VERZONE 1977; VERZONE 1978, pp. 392-396.
5
VERZONE 1978; SPANÒ 2002, tav. f.t.; D’ANDRIA 2003, p. 44.
6
SPANÒ 2007; D’ANDRIA-SCARDOZZI-SPANÒ 2008, pp. 1-9 e 14-16.
7
SCARDOZZI 2008.
8
D’ANDRIA-SCARDOZZI-SPANÒ 2008.
4
134
Già con la campagna del 2008 sono state poi avviate le ricerche per
l’aggiornamento e l’integrazione dell’Atlante di Hierapolis, al fine di trasformarlo in una vera carta archeologica. Si è intervenuti sia sulla base
cartografica, aggiornata e completata nelle aree periferiche, che soprattutto sull’eterogeneo livello archeologico (Fig. 1), che è stato notevolmente arricchito di dati, grazie ad una maggiore integrazione ed applicazione
di tecnologie di remote sensing satellitare, aereo e terrestre ad alta risoluzione e grazie allo studio ed al rilievo sistematico di tutte le strutture murarie conservate in superficie e dei complessi monumentali rimasti ai margini della ricerca9: per esempio la cinta muraria10, il c.d. Santuario delle
Sorgenti11, il Macellum12, il Teatro Nord13 e le strutture situate sulla terrazza dell’Aghiasma, subito al di sotto del Martyrion di S. Filippo, dove è
stato individuato un grande edificio religioso connesso con la tomba attribuita al martire, ora in corso di scavo14. Le ricerche di superficie sono
state anche integrate da saggi di scavo mirati, al fine di comprendere
l’articolazione planimetrica di alcuni edifici; nel 2010 essi hanno permesso, tra l’altro, l’individuazione di una stoà lunga oltre 50 m, posta nell’area subito a sud del Santuario delle Sorgenti15.
Le ricerche per la carta archeologica hanno preso in considerazione
anche i fenomeni idro-geologici e sismici che caratterizzano Hierapolis,
scarsamente rappresentati nell’Atlante. In particolare, sono state documentate ed inserite nella carta tutte le evidenze legate alla faglia sismica,
ancora attiva, che corre in senso nord-ovest/sud-est, all’incirca in corrispondenza della plateia. Lungo tutta la fascia centrale della città sono visibili fratture della superficie del terreno, larghe da 50 cm a più di 1 m,
anche con scorrimento laterale e verticale; tali fratture tagliano le strutture antiche ed in corrispondenza di esse sgorgano varie sorgenti termali
9
SCARDOZZI c.s. A.
CASTRIANNI et alii 2010.
11
D’ANDRIA 2010, pp. 218-219; D’ANDRIA c.s.
12
D’ANDRIA 2010, p. 215.
13
SCARDOZZI c.s. B.
14
D’ANDRIA c.s.
15
CAMPAGNA-SCARDOZZI c.s.
135
10
Fig. 1 Hierapolis di Frigia, la carta archeologica georeferenziata su un’immagine satellitare QuickBird-2 del 2009: in azzurro ed in giallo sono campite le aree oggetto di prospezioni geo-magnetiche e GPR nel 2007-2008 e 2010; in blu sono i canali di calcare,
mentre in verde le evidenze connesse alla faglia sismica (elab. G. Di Giacomo).
136
e si emanano forti concentrazioni di anidride carbonica, legate alle pratiche rituali che si svolgevano nelle aree sacre al centro della città in epoca
ellenistica ed imperiale, ricordate anche dalle fonti classiche. Pertanto,
nella carta archeologica di Hierapolis sono state posizionate sia le fratture
che le sorgenti, prodotte dalla risalita di acqua calda dal sottosuolo grazie
alle fessurazioni della superficie causate dai terremoti. Nella carta è stata
anche inserita tutta la rete di canali in calcare (circa 25 km) che da queste
sorgenti hanno origine16; essi sono formati da spallette in muratura e dal
deposito di carbonato di calcio delle stesse acque. In epoca ellenistica e
romano-imperiale, dal pianoro su cui sorge Hierapolis scendevano nei
campi della sottostante valle del Lykos, dove erano utilizzati per l’irrigazione; successivamente, dopo il terremoto della metà del VII sec. d.C., si
verificò un’incontrollata fuoriuscita delle acque ed un proliferare di questi canali, che furono condotti in tutta la parte occidentale della città con
percorsi irregolari, tra le strade e le rovine degli edifici, per portare acqua
nei vari punti dell’antica area urbana che continuarono ad essere abitati.
La carta archeologica digitale di Hierapolis (sistema di proiezione
UTM, datum WGS84) è stata integrata in un GIS in corso di implementazione e costituisce il livello superiore di raccordo e di sintesi dei vari
GIS per la gestione dei dati di scavo sviluppati per alcuni complessi monumentali della città, come il Santuario di Apollo, il Ninfeo dei Tritoni,
l’area della collina di S. Filippo ed il Santuario delle Sorgenti.
Metodologia della ricerca
Le ricerche sulla topografia antica di Hierapolis, ancora in corso,
sono state svolte nelle campagne 2003-2004 e 2008-2010 dal Laboratorio
di Topografia Antica, Archeologia e Telerilevamento della sede di Lecce
dell’IBAM-CNR; le campagne del 2005-2007 sono state invece essenzialmente indirizzate allo studio del territorio che anticamente era amministrato dalla città. Le ricerche sono state basate anzitutto sulla ricognizione sistematica dell’area urbana – condotta seguendo la suddivisione in
16
CAMPAGNA-SCARDOZZI c.s.
137
regiones ed insulae (riferita allo schema dell’impianto ortogonale) – e
delle necropoli circostanti, distinte a seconda della loro posizione geografica in rapporto alla città. Le ricognizioni, che hanno anche previsto il
rilievo topografico (con stazione totale e dal 2008 anche con GNSS differenziale) di tutte le strutture murarie esterne alle aree di scavo e dei monumenti ancora non indagati, sono state integrate da altri sistemi d’indagine di superficie, in particolare l’utilizzo delle immagini satellitari e la
realizzazione di prospezioni geofisiche.
Fin dal 2003, le riprese ottiche ad alta risoluzione del satellite QuickBird-217, che sino al 2007 era la piattaforma che forniva immagini con
la maggiore risoluzione geometrica per uso civile (60 cm nel pancromatico e 2,40 m nel multispettrale), hanno integrato l’apporto delle fotografie aeree, scarsamente disponibili e per lo più limitate a riprese oblique
dell’area urbana, effettuate dall’elicottero o dal pallone frenato18. Nel
corso degli anni è stata acquisita una ricca documentazione multitemporale (riprese del 2002, 2005, 2006, 2007 e 2009), efficacemente utilizzata in tutte le fasi della ricerca, dalle attività sul campo, all’elaborazione e
gestione dei dati, fino alla presentazione dei risultati. Le immagini, grazie
alla loro risoluzione spaziale, sono state impiegate per individuare tracce
ed anomalie riferibili ad elementi archeologici sepolti o semi-affioranti,
costantemente verificate a terra al fine di precisarne l’interpretazione e
determinarne, ove possibile, la cronologia; l’analisi di questi dati telerilevati ha anche evidenziato vari elementi paleo-ambientali, contribuendo
alla ricostruzione del paesaggio antico. Nel caso di complessi archeologici visibili in superficie, le riprese sono state inoltre utilizzate per la loro
documentazione, caratterizzazione spaziale e contestualizzazione. Per
meglio evidenziare tracce ed anomalie riferibili ad elementi archeologici
e paleo-ambientali, si sono sfruttate anche le caratteristiche spettrali delle
immagini, che coprono una porzione dello spettro elettromagnetico comprendente il visibile ed il vicino infrarosso: sono state pertanto applicate
diverse tecniche di enhancement ed elaborazioni multispettrali, mentre
vari algoritmi di data fusion hanno permesso di ottenere immagini pan17
18
www.digitalglobe.com
D’ANDRIA-SCARDOZZI-SPANÒ 2008, pp. 25-30; SCARDOZZI 2010-2011.
138
sharpened a colori reali o a falso colore infrarosso con alta risoluzione
geometrica.
Oltre alle immagini satellitari QuickBird-2, nel corso delle ricerche
sono state utilizzate anche una stereocoppia ripresa nel 2004 dal satellite
Ikonos-219 (risoluzione spaziale di 1 m nel pancromatico e 4 m nel multispettrale), una stereocoppia acquisita nel vicino infrarosso (risoluzione
spaziale 15 m) sempre nel 2004 dal sensore ASTER (Advanced Spaceborne Thermal Emission and Reflection Radiometer) del satellite Terra20 ed i
dati della Shuttle Radar Topography Mission21, tutti impiegati per realizzare modelli digitali del terreno con risoluzione alta e media; altri modelli sono stati elaborati sulla base delle isoipse della cartografia e di rilievi GNSS. Su questi DEM sono state georeferenziate sia le immagini
pancromatiche che le pan-sharpened, al fine di associare le tracce archeologiche alla morfologia del terreno (Tav. XIV); i modelli sono stati
anche utilizzati per una più efficace presentazione dei risultati delle ricerche, georeferenziando su di essi le evidenze antiche individuate, per
una loro migliore contestualizzazione spaziale. Dalla stereocoppia Ikonos-2 è stato inoltre possibile realizzare un anaglifo delle immagini epipolari che ha offerto una visione stereoscopica in cui risulta fortemente
esaltato il microrilievo (spesso causato da resti antichi interrati) ed è possibile misurare differenze di elevazione.
Accanto alle immagini satellitari recenti, sono state recuperate anche riprese effettuate prima delle trasformazioni che hanno interessato
Hierapolis negli ultimi decenni, in particolare la costruzione, dalla fine
degli anni Sessanta del secolo scorso, di cinque alberghi (oggi demoliti)
all’interno dell’area archeologica (con la conseguente distruzione di numerose evidenze antiche), la realizzazione di due nuovi accessi monumentali da nord e da sud (inseriti all’interno delle necropoli), l’artificiale ampliamento a fini turistici delle aree coperte dalle formazioni calcaree (a
discapito dei resti della viabilità antica extraurbana) e l’impianto di aree
boschive nei territori subito a nord-est della città, interessati dalla pre19
www.geoeye.com
http://asterweb.jpl.nasa.gov
21
www2.jpl.nasa.gov/srtm
20
139
senza di estese cave antiche di travertino, dai tracciati degli acquedotti
che raggiungevano Hierapolis e da varie fattorie di epoca romano-imperiale e proto-bizantina. Si è pertanto rivelato di particolare interesse il recupero, presso gli archivi dell’USGS (United States Geological Survey),
di una stereocoppia acquisita dal satellite Corona KH-4A nel 1968 (risoluzione spaziale 2,70 m), che, come tutte le immagini acquisite dai satelliti spia USA negli anni ‘60 e ‘70 sono oggi disponibili per uso civile.
Con lo stesso scopo di acquisire una documentazione diacronica del sito,
dati molto interessanti per la ricostruzione della topografia antica di Hierapolis sono stati poi recuperati grazie all’esame della cartografia storica
disponibile, risalente al XIX sec.22.
Molto importanti si sono rivelati il confronto e l’integrazione delle
immagini satellitari con le riprese aeree oblique, particolarmente efficaci
per documentare le evidenze archeologiche, rendendo meglio comprensibile l’articolazione topografica dei complessi monumentali; a tale scopo,
sono state realizzate coperture sistematiche di tutta l’area urbana, effettuate a bassa quota con un sistema di ripresa da pallone aerostatico frenato, che hanno anche permesso l’individuazione di molte tracce dovute alla stentata crescita della vegetazione in corrispondenza di strutture sepolte o semi-affioranti.
Nel corso delle ricerche, le immagini satellitari recenti sono state utilizzate non solo in sostituzione ed integrazione delle fotografie aeree,
ma, opportunamente corrette nelle loro deformazioni geometriche (ortorettificate mediante DEM e Ground Control Points), anche come base
per il lavoro sul campo23, in particolare prima del completamento della
cartografia a grande scala di Hierapolis. Le immagini sono state inoltre
inserite come layer raster nel GIS di Hierapolis e nel webGIS della città e
delle necropoli24, oltre che utilizzate per l’aggiornamento della topografia moderna e per la restituzione delle tracce dell’impianto urbano nella
stessa cartografia.
22
1838; TRÉMOUX 1858; HUMANN et alii 1898.
SCARDOZZI 2009.
24
D’ANDRIA-SCARDOZZI-SPANÒ 2008, pp. 149-152.
140
23
DE LABORDE
Le ricognizioni di superficie e le applicazioni di telerilevamento da
piattaforma aerea e satellitare sono state poi integrate (nel 2007-2008 e
2010) con prospezioni geofisiche (geomagnetiche, Ground Penetrating
Radar, tomografia elettrica); queste sono state realizzate in varie aree
della città (per una superficie complessiva di oltre 6 ettari), caratterizzate
da un forte interro di sedimenti alluvionali e colluviali (come l’Agorà
Nord e la zona della scena del vicino Teatro) o da depositi di calcare e
terra spessi fino a 3-4 m (come i settori della città subito a nord ed ovest
dell’Agorà Civile, a sud del Santuario di Apollo, a nord del Ginnasio e
del Macellum, lungo il tratto meridionale della plateia), generati dalle acque che fuoriescono dalle sorgenti situate al centro della città, lungo la faglia sismica25.
Dal 2010, infine, le ricerche archeologiche sono anche integrate allo studio geologico di dettaglio del sito, i cui risultati sono visualizzati in
uno specifico livello della carta archeologica.
IL PROGETTO “HIERAPOLIS VIRTUALE”
Dal 2007, nell’ambito della Missione Archeologica Italiana è stato
avviato un progetto denominato “Hierapolis Virtuale”, condotto dal Laboratorio di Informatica Applicata dell’IBAM-CNR e finalizzato al restauro virtuale ed alla ricostruzione tridimensionale di alcuni complessi
monumentali della città, attraverso la foto-modellazione, la fotogrammetria digitale ed il laser scanning26. Si è intervenuti su quei contesti per cui
le indagini di scavo, le ricerche di superficie e gli studi architettonici degli alzati hanno permesso di raggiungere una quantità di dati tale da poter
supportare una ricostruzione che fosse filologicamente corretta: la StoàBasilica (Tav. XV), la Porta di Frontino ed il vicino tratto della plateia,
fiancheggiato da botteghe e da una latrina, il Ninfeo dei Tritoni, il Teatro
al centro della città, il Martyrion di S. Filippo, le Terme Ottagonali, la
25
26
D’ANDRIA-SCARDOZZI-SPANÒ 2008, pp. 29-30; SCARDOZZI 2010.
ISMAELLI-CAGGIA 2009; LIMONCELLI 2009 e c.s.; GABELLONE et alii 2010; GABELLONE-SCARDOZZI 2010.
141
Stoà di Marmo, le abitazioni dell’Insula 104. Tra i lavori più recenti, si
ricordano poi quelli sul Santuario delle Sorgenti27 e sul Teatro Nord28;
quest’ultimo, in particolare, è basato sull’integrazione di dati da ricognizione di superficie, rilievo topografico e prospezioni geofisiche.
Alla base di queste attività è la consapevolezza che uno dei compiti
dell’archeologia moderna sia quello di ricostruire monumenti, contesti
antichi e paesaggi storici con la più elevata attendibilità scientifica e con
la massima verosimiglianza possibile29; il livello raggiunto dalle moderne tecnologie informatiche e dai sistemi avanzati per la visualizzazione
consente infatti di raggiungere risultati inimmaginabili fino a pochi anni
fa, sia per lo studio e la comprensione di manufatti e strutture che per la
comunicazione attraverso immagini ad un pubblico vasto ed eterogeneo,
con mezzi idonei ed a qualsiasi livello di interesse e comprensione. In
questo modo, l’immagine o l’animazione tridimensionale costituiscono
strumenti di sintesi che permettono di comunicare in forma grafica ed
immediata gran parte dei dati scientifici acquisiti nel corso delle ricerche;
la ricostruzione virtuale diviene quindi un momento importante di riflessione (e di studio) sull’oggetto della ricerca, ma costituisce anche un modo molto efficace per rappresentare siti archeologici complessi.
RINGRAZIAMENTI
Si ringrazia Francesco D’Andria, direttore della Missione Archeologica Italiana a
Hierapolis, per il costante sostegno, i preziosi consigli e l’interesse con cui segue le ricerche. Al progetto per la carta archeologica di Hierapolis collaborano Laura Castrianni,
Giacomo Di Giacomo, Imma Ditaranto, Ilaria Miccoli e Veronica Randino. Le prospezioni geofisiche a Hierapolis sono state realizzate nel 2007-2008 da Stefan Giese e Christian Hübner della GGH di Freiburg, e nel 2010 da Gianni Leucci, Nicola Masini e Raffaele Persico dell’IBAM-CNR. Alle ricostruzioni tridimensionali dei monumenti di Hierapolis hanno lavorato Francesco Gabellone, Francesco Giuri, Ivan Ferrari e Massimo
27
ISMAELLI-LIMONCELLI 2011.
LIMONCELLI-SCARDOZZI 2011.
29
GABELLONE 2010A e 2010B.
28
142
Limoncelli dell’IBAM-CNR. Le ricerche geologiche sono condotte da Stefano Marabini, in collaborazione con l’Università della Calabria.
GIUSEPPE SCARDOZZI
CNR-IBAM - Consiglio Nazionale delle Ricerche
Istituto per i Beni Archeologici e Monumentali - [email protected]
ABSTRACT
The paper concerns the integration of different methodologies and technologies
applied to the reconstructive study of the urban layout of Hierapolis in Phrygia (southwestern Turkey). During the research project, the data regarding the ancient city and
its necropolises were collected by means archaeological excavations and surveys, processing of multi-temporal high resolution satellite images and aerial photos, topographical surveys using differential GNSS, Total Station and Laser Scanner, and geophysical prospecting (GPR, Magnetometry, Electrical Tomography) conducted in the areas
covered by thick colluvial deposits and calcareous formations that have incorporated
ancient remains. The result was a digital archaeological map integrated in a GIS, in
which all ancient monuments and remains are placed on a large-scale cartography and
on DEMs with different geometric resolution. These map and DEMs constitute the base
for the 3D reconstruction and the virtual restoration of some monuments, through integration of the 3D photo-modelling and laser scanning techniques.
BIBLIOGRAFIA
CAGGIA-ISMAELLI 2009: M.P. Caggia, T. Ismaelli (a cura di), Virtual Hierapolis,
Missione Archeologica Italiana a Hierapolis 2009.
CAMPAGNA-SCARDOZZI C.S.: L. Campagna, G. Scardozzi, “Archeologia delle acque a Hierapolis di Frigia: tematiche principali e metodologie integrate di ricerca”, in L’Anatolie des peuples, cités et cultures (IIe millénaire av. J.-C. - Ve siècle
ap. J.-C.), Colloque International, Besançon, Francia 26-27 novembre 2010), c.s.
CASTRIANNI et alii 2010: L. Castrianni, G. Di Giacomo, I. Ditaranto, G. Scardozzi,
“La cinta muraria di Hierapolis di Frigia: il geodatabase dei materiali di reimpiego come strumento di ricerca e conoscenza del monumento e della città”, in Archeologia e Calcolatori 21 (2010), pp. 93-126.
D’AGATA-ALAURA 2009: A.N. D’Agata, S. Alaura, Quale futuro per l’archeologia?, Roma 2009.
D’ANDRIA 2003: F. D’Andria, Hierapolis di Frigia (Pamukkale). Guida archeologica, Istanbul 2003.
143
D’ANDRIA 2010: F. D’Andria, “Phrygia Hierapolis’i 2008 yılı çalışmaları”, in 31.
Kazı Sonuçları Toplantısı, 2. Cilt, Ankara 2010, pp. 213-234.
D’ANDRIA C.S.: F. D’Andria, “Phrygia Hierapolis’i (Pamukkale). 2009 yılı kazı ve
onarım çalışmaları”, in 32. Kazı Sonuçları Toplantısı, 2. Cilt, Ankara, c.s.
D’ANDRIA-CAGGIA 2007: F. D’Andria, M.P. Caggia (a cura di), Hierapolis di Frigia, I. Le attività della Missione Archeologica Italiana in Turchia. Campagne
2000-2003, Istanbul 2007.
D’ANDRIA-SCARDOZZI-SPANÒ 2008: F. D’Andria, G. Scardozzi, A. Spanò (a cura
di), Atlante di Hierapolis di Frigia - Hierapolis di Frigia, II, Istanbul 2008.
DE LABORDE 1838: L. de Laborde, Voyage de l’Asie Mineure, Paris 1838.
GABELLONE-SCARDOZZI 2010: F. Gabellone, G. Scardozzi, “Reconstruction of the urban landscape of an ancient metropolis in Asia Minor: integration of 2D and 3D
technologies and methodologies in Hierapolis of Phrygia (Turkey)”, in Proceedings
of the 15th International Conference on Cultural Heritage and New Technologies,
Vienna, Austria 15-17 November 2010, pp. 311-329.
http://www.stadtarchaeologie.at/wp-content/uploads/eBook_WS15_Part3_Sessions1.pdf
GABELLONE 2010A: F. Gabellone, “Metodologie integrate per la conoscenza dello
stato attuale e lo studio ricostruttivo dei Beni Culturali”, in Il dialogo dei Saperi.
Metodologie integrate per i Beni Culturali, Napoli 2010, pp. 495-516.
GABELLONE 2010B: F. Gabellone, “Contesti antichi e realtà virtuale: dallo studio ricostruttivo alla costruzione di modelli di conoscenza”, in F. D’Andria, D. Malfitana, N. Masini, G. Scardozzi (a cura di), Il dialogo dei Saperi. Metodologie integrate per i Beni Culturali, Napoli 2010, pp. 517-528.
GABELLONE et alii 2010: F. Gabellone, I. Ferrari, F. Giuri, M. Limoncelli, “Virtual
Hierapolis: tra tecnicismo e realismo”, in II Congreso International de Arqueologia e Informàtica Gràfica, Patrimonio e Innovaciòn, Sevilla, Spagna 16-19 de
Junio de 2010, pp. 279-284.
HUMANN et alii 1898: C. Humann, C. Cichorius, W. Judeich, F. Winter, Altertümer
von Hierapolis (Jahrb. Deut. Arch. Inst., Ergänzungsh. IV), Berlin 1898.
ISMAELLI-LIMONCELLI 2011: T. Ismaelli, M. Limoncelli, Constructing Hierapolis:
the contribution of virtual restoration to the understanding of ancient architecture, in 15th Symposium on Mediterranean Archaeology, Catania, 3-5 March
2011, c.s.
LIMONCELLI 2009: M. Limoncelli, “Virtual archaeology a Hierapolis di Frigia: restauro virtuale e restituzione 3D degli edifici di ordine dorico”, in T. Ismaelli,
Architettura dorica a Hierapolis - Hierapolis di Frigia, III, Istanbul 2009, p.
493, tavv. I-IX.
LIMONCELLI C.S.: M. Limoncelli, “Il progetto “Hierapolis Virtuale”. Esperienze di
Restauro Virtuale e Restituzione in 3D”, in 30 anni della Scuola, gli allievi raccontano le loro ricerca, Atti del Convegno di Studi presso la Scuola di Specia144
lizzazione in Archeologia, Università degli Studi di Lecce, Cavallino, 30 gennaio 2010, c.s.
LIMONCELLI-SCARDOZZI 2011: M. Limoncelli, G. Scardozzi, “The North Theatre
of Hierapolis in Phrygia (Turkey): from the multidisciplinary field works to the
virtual reconstruction”, in 15th Symposium on Mediterranean Archaeology, Catania, 3-5 March 2011, c.s.
SCARDOZZI 2007A: G. Scardozzi, “Ricerche topografiche e telerilevamento”, in
D’ANDRIA-CAGGIA 2007, pp. 67-86.
SCARDOZZI 2007B: G. Scardozzi, “L’urbanistica di Hierapolis di Frigia: ricerche topografiche, immagini satellitari e fotografie aeree”, in Archeologia Aerea 3
(2007), pp. 83-134.
SCARDOZZI 2008: G. Scardozzi, “Hierapolis of Phrygia Project: integration of archaeological survey and remote sensing data”, in Remote sensing for Archaeology and Cultural Heritage Management. Proceedings of the 1st International
Workshop, Rome, 30 September - 4 October 2008, Rome 2008, pp. 425-428.
SCARDOZZI 2009: G. Scardozzi, “The contribution of high resolution satellite images to the production of base-maps and cartographies for archaeological research in Turkey and Iraq”, in Remote Sensing for Environmental Monitoring, GIS
Applications, and Geology IX. Proceedings of SPIE Europe Remote Sensing,
Berlin, Germania 31 August - 3 September 2009, vol. 7478, 74780B1-12.
SCARDOZZI 2010: G. Scardozzi, “Integrated Geophysical Methods for the Knowledge of the Urban Layout of Hierapolis in Phrygia (Turkey)”, in Proceedings of
XIII International Conference on Ground Penetrating Radar, Lecce, 21-25 June
2010, pp. 112-117.
SCARDOZZI 2010-2011: G. Scardozzi, “Il contributo delle immagini satellitari “storiche” e recenti alle ricerche di topografia antica”, in 100 anni di Archeologia
Aerea in Italia. Atti del Convegno (Roma, 15-17 aprile 2009), Archeologia Aerea 4-5 (2010-2011), pp. 281-288.
SCARDOZZI C.S. A: G. Scardozzi, “Indagini multidisciplinari per la ricostruzione del
paesaggio urbano: ricerche sulla topografia antica di Hierapolis di Frigia”, in The
contribution of urban lanscape survey in Italy and the Mediterranean, c.s.
SCARDOZZI C.S. B: G. Scardozzi, “New data on the North Theatre of Hierapolis in
Phrygia: archaeological, topographical and geophysical surveys”, in Methodologies of restoration and enhancement of ancient theatres in Turkey. Proceedings
of the International Symposium, Karahayıt, Turkey 7-8 settembre 2007, c.s.
SPANÒ 2002: A. Spanò, “Le ragioni dell’intervento di natura topografica a Hierapolis”, in D. De Bernardi Ferrero (a cura di), Saggi in onore di Paolo Verzone, Hierapolis. Scavi e ricerche, IV, Roma 2002, pp. 233-261.
SPANÒ 2007: A. Spanò, “Rilievo metrico, cartografia numerica e GIS”, in D’ANDRIA-CAGGIA 2007, pp. 87-120.
145
TRÉMAUX 1858: P. Trémaux, Exploration archéologique en Asie Mineure, Paris
1858.
VERZONE 1977: P. Verzone, “L’urbanistica di Hierapolis di Frigia. Tracciato viario
e monumenti rimessi alla luce dal 1957 al 1972”, in Atti del XVI Congresso di
Storia dell’Architettura (Atene 1969), Roma 1977, pp. 401-413.
VERZONE 1978: P. Verzone, “Hierapolis di Frigia nei lavori della Missione archeologica italiana”, in Un decennio di ricerche archeologiche, Roma 1878, pp. 391475.
146
MODELLAZIONE 3D, VISUALIZZAZIONE SCIENTIFICA E
REALTÀ VIRTUALE
Il presente intervento vuole sottolineare alcuni aspetti del rapporto
fra la modellazione 3D, la visualizzazione scientifica e la realtà virtuale
in archeologia nell’accezione più ampia di ricostruzione naturalistica e
sensoriale dell’ambiente antico. Senza la pretesa di esaurire delle tematiche di così ampio respiro, si vuole partire dal punto di vista dell’archeologo che si avvicina alla rappresentazione tridimensionale di contesti, reperti e monumenti cercando una sintesi fra restituzione tecnica del dato ed
una resa naturalistica ed evocativa del contesto archeologico. In questo
senso si cercherà di evidenziare alcune problematiche di carattere metodologico e tecnico che spesso non ne favoriscono il buon esito.
La modellazione 3D, intesa come reintegrazione della forma originaria di un oggetto, ha certamente degli aspetti di continuità con il rilievo
archeologico “tradizionale” anche se non si è in presenza di quel filo diretto fra bidimensionale e tridimensionale che, ad esempio, si trova nel-la
progettazione architettonica: ciò che è in pianta ed in alzato verrà modellato secondo le specifiche progettuali pronto per essere giudicato prima della effettiva realizzazione dell’edificio (dall’idea alla realizzazione). Il resto archeologico è una forma pensata dall’uomo e, tranne rari casi fortunati, mutilata dalla natura, deformata dal tempo. Per questo motivo la modellazione comporta la messa a fuoco della forma originaria tramite i dati forniti dal rilievo archeologico 1 (sia diretto che indiretto) e la
formalizzazione di ipotesi da avvalorare ed integrare tramite confronti
con altri contesti archeologici. Il rapporto fra rilievo archeologico e modellazione 3D è quindi mediato da un atto di comprensione di ciò che non
esiste più e che va quindi, di fatto, ricostruito. Una prima difficoltà di approccio al 3D da parte dell’archeologo sta proprio nell’atto della model1
Nel caso del rilievo archeologico tridimensionale si passa oramai, nella pratica quotidiana, attraverso strumenti ad alta definizione capaci di rendere conto di dettagli altrimenti
impossibili da acquisire.
lazione, che dalle consuetudini formali del disegno passa all’impostazione tipica della scultura, quella di abbozzare e definire un oggetto in più
passaggi e soprattutto in più livelli di risoluzione. Vedremo più avanti
l’importanza di scegliere il livello di dettaglio (e di accuratezza) di una
ricostruzione.
La visualizzazione scientifica e la realtà virtuale sono invece due aspetti (a volte sovrapponibili, altre volte distinti) del prodotto finito della
modellazione tridimensionale. La visualizzazione scientifica si distingue
nettamente dal resto della computer grafica perché parte da dati discreti
ed è finalizzata a comunicare nel modo più trasparente possibile il dato
senza alcuna specifica intenzione di resa naturalistica (si pensi ad una sezione stratigrafica o alla restituzione in falsi colori di un’analisi di resistività del terreno). In ambito archeologico le tecniche di visualizzazione
scientifica, oltre che nella specifica documentazione grafica standard degli scavi, vengono comunemente impiegate nella restituzione delle indagini geognostiche, nella ricostruzione dei paesaggi antichi tramite modelli geomorfologici e persino nella simulazione di macrofenomeni di insediamento e popolazione del territorio. Come accade per molti altri metodi
quantitativi, le tecniche di visualizzazione sono riprese da ambiti disciplinari diversi dall’archeologia: utilizzata in molti campi diversi come la
medicina, l’industria, la simulazione, ecc., la visualizzazione scientifica
poggia su un insieme di software ed algoritmi matematici sviluppati ad
hoc e risulta tra le miniere più fertili in cui rinvenire metodologie utili a
rappresentare i piani concettuali della disciplina archeologica. Gli envois
ottocenteschi dell’Accademia di Francia, che fanno convivere insieme il
dato ragionato2 su elementi concreti con un piano di rappresentazione naturalistica, sono invece una sorta di ibrido felice tra visualizzazione
scientifica e comunicazione, anche emozionale. A raccogliere questo tipo
di sfida è oggi quella parte di computer grafica che, dai filmati agli ambienti virtuali in realtime, si distingue dalla visualizzazione scientifica per
2
La correttezza filologica degli Envois è stata da più parti messa in discussione, ma risulta comunque un punto di riferimento nella storia delle ricostruzioni grafiche dei
monumenti antichi.
148
la finalità di rendere credibile l’esperienza dell’utente, secondo diversi
gradi di realismo. La resa dell’ambientazione virtuale, non è un problema
di tecnologia impiegata, ma di composizione dell’immagine, perché è
questa a rendere chiaro il messaggio che si vuole dare, l’informazione archeologica che si vuole veicolare. Per fare un esempio, dai primi film della Pixar (una delle più blasonate società nel campo della CGI3) alle ultime pellicole, non sono cambiati soltanto i computer ed i software, è soprattutto cambiato strutturalmente il modo di fare cinema. La raffinatezza e la credibilità delle loro “pellicole” è frutto dell’esperienza nel campo
espressivo e nella maturazione nell’uso dei programmi: evolvono gli strumenti, ma evolve soprattutto la grammatica dell’immagine. È quindi importante sottolineare che la qualità della computer graphic non è affatto
direttamente proporzionale alla tecnologia impiegata ma all’abilità con
cui l’artista lega i contenuti alle scelte stilistiche. Il problema della rappresentazione al computer passa principalmente per il rendering (in tempo reale e non), quel processo non automatico che riporta su due dimensioni ciò che è in tre dimensioni. Il processo non è automatico perché
è necessario avere tutta una serie di accorgimenti per suggerire e rendere
credibile la terza dimensione e il rapporto dimensionale e spaziale fra gli
oggetti. Tutti questi aspetti, che richiedono delle specifiche competenze
dal campo della fotografia, concorrono al “messaggio”. Un buon rendering deve evidenziare un dato, un contenuto, ma perché questo processo
si possa considerare riuscito deve dare un effetto complessivo di naturalezza, di credibilità. A parte scelte stilistiche deliberate come l’effetto
“toon” (cartone animato), tra gli artisti del 3D è luogo comune l’assunto
che “una buona computer grafica non deve sembrare computer grafica”.
Questa affermazione sembrerebbe costringere qualsiasi ricostruzione alla
resa fotorealistica. In realtà la frase non va intesa in senso massimalista:
ci si riferisce sempre alla naturalezza di un immagine tenendo conto di
ciò che si aspetta di vedere l’occhio umano per ritenere credibile e distinguere una forma da un’altra. Ci si riferisce al pericolo di ottenere
un’immagine “sintetica”, ideale, priva di vita, perciò, tra le altre cose, pri3
Computer Generated Imagery.
149
va di imperfezioni. A questo scopo, oltre alla luce, all’ambientazione in
generale in cui viene calata una ricostruzione, grande importanza hanno
tutti quei segni del tempo che caratterizzano normalmente qualsiasi oggetto e lo rendono “vivo”: le imperfezioni, le lesioni (crepe, opacità),
ecc., secondo l’aforisma “The world’s imperfection is the digital perfection”, ben noto nella CGI. È necessario tuttavia mettere in guardia da un
eccessivo utilizzo di questi elementi per non parlare di tutte quelle “sporcature” che esistono oggi ma non potevano esistere nel passato, come ad
esempio il nero dello smog sul travertino o alcune alterazioni legate ai
cambiamenti della composizione chimica delle piogge.
ELEMENTI DI COMPOSIZIONE DELL’IMMAGINE
La competenza per ottenere un buon rendering deriva dai principi
di composizione dell’immagine elaborati nelle arti visuali tradizionali,
dalle tecniche cinematografiche ma anche e soprattutto dalla pratica del
lavoro professionale, quella che un tempo si chiamava “pratica di bottega”. I quadri di Tiziano e di Canaletto con le loro ambientazioni di paesaggi e città sono frutto, oltre che dell’applicazione delle regole generali
della pittura, anche di accorgimenti tecnici speditivi che permettevano un
lavoro organico nonostante la moltitudine di mani di aiutanti che affollavano la bottega: il lavoro seguiva dei passaggi ben precisi, che oggi
chiameremo all’anglosassone, pipeline di lavoro4. Gli elementi essenziali
dell’immagine5 sono la luce e l’ombra che “disegnano” gli oggetti nella
scena. La luce permette ai colori di accendersi o digradarsi mentre l’ombra colloca nello spazio gli oggetti, aggiunge contrasto o addirittura mostra cose che non sono visibili nell’immagine (come ad esempio ombre di
4
Un'immagine creata dall'uomo, trattandosi, in ultima istanza, di un opera di “artigianato”, è un tema che può avere diversi svolgimenti, tutti adeguati eppure diversi nelle
scelte compositive. Si tratta quindi di un opera di sintesi e scelta fra soluzioni formali
diverse in cui, necessariamente e senza che questo sia un limite, resterà traccia della
sensibilità e del background culturale delle persone che vi hanno lavorato al di là
dell’aderenza a questa o a quella regola teorica.
5
Il testo di riferimento più importante è il magistrale lavoro di BIRN 2006.
150
alberi o architetture). Lo studio del colore permette di dare caratteristiche di drammaticità o sensazioni piacevoli a seconda delle gamme impiegate o a seconda della durezza delle ombre (ombre nette rendono tutto
più “spigoloso” mentre un’ombra diffusa ammorbidisce le forme). Scarti
dimensionali molto grandi tra oggetti e relativi dettagli, così come la quantità assoluta di dettaglio sulle superfici aumenta o riduce la percezione
degli oggetti nella scena: un palazzo con molte finestre verrà ritenuto molto più grande di un edificio con poche finestre (Fig.1).
Figura 1 Provando a visualizzare metà immagine alla volta, coprendo l’altra metà, si
noterà come in assenza di riferimenti spaziali la metà destra apparirà di grandi dimensioni, la metà sinistra un semplice villino. Eppure, a figura intera, all’interno del
software di modellazione il “parallelepipedo” ha le medesime dimensioni.
Il riferimento spaziale è fondamentale: è sempre necessario inserire
in una scena almeno un elemento di cui si comprenda la dimensione (come la classica silhouette di uomo).
151
IL PROBLEMA DELLA RISOLUZIONE
Una seconda difficoltà di approccio alla modellazione 3D risiede
nella scelta della risoluzione. Nel disegno archeologico non è infrequente
adottare scale di rilievo molto elevate che possono arrivare anche fino al
1:1, senza considerare la possibilità di fare rilievi indiretti di altissimo
dettaglio. In altri casi il buon senso e le possibilità pratiche fanno sì che
gli elaborati archeologici abbiano gradi di accuratezza diversi come nel
caso di un modello di elevazione del suolo. Vi sono poi dei casi in cui il
dato archeologico è semplicemente di carattere documentario, non è
quindi possibile entrare in contatto con il contesto che può essere scomparso o non più accessibile. Tutti questi dati comportano gradi diversi di
accuratezza e risoluzione facendo sì che in fase di modellazione l’unico
accorgimento concreto è quello di rimanere all’interno dell’intervallo di
accuratezza senza pretendere di utilizzare i dati a disposizione come fossero stati prodotti in scala 1:1. La ricostruzione virtuale passa attra-verso
il riconoscimento e la scelta dei livelli di dettaglio che serviranno per riorganizzare il materiale. Nella buona pratica della computer grafica si fa
grande attenzione al livello di dettaglio a cui si lavora: questo a-spetto
può moltiplicare i tempi (e quindi i costi) di rendering di una scena in
modo impensabile. Se si considera la ricostruzione virtuale dal punto di
vista dell’output, improvvisamente la maggior parte delle problema-tiche
trovano la loro soluzione. Quali elementi verranno fatti vedere? Da che
distanza, per quanto tempo? Sono sul piano principale dell’imma-gine?
Ogni ricostruzione andrebbe iniziata solo dopo aver risposto a que-ste
domande. Soprattutto nel caso di grandi complessi architettonici o ricostruzione di paesaggi.
IL PROBLEMA DELLA RAPPRESENTAZIONE
Qualche considerazione finale: il problema principale dell’archeologia è la rappresentazione. Come ha già scritto Stefano Costa nel suo
152
blog6, oggi troppo spesso l’archeologia è composta da tanto testo e poche immagini, per lo più di decoro. Considerando l’archeologia come un
modello esperto in cui confluiscono i vari documenti, la sintesi sarà per
l’appunto la rappresentazione visiva di tale modello. Partendo da questo
presupposto, l’urgenza di rappresentare il contesto archeologico, anche
attraverso ricostruzioni virtuali, assume non solo un aspetto divulgativo
ma, ancora prima, conoscitivo.
EMANUEL DEMETRESCU
ABSTRACT
3D modelling in archaeology have two kinds of output: scientific visualization
and virtual reconstruction techniques. The differences and the similarities beetwen both
of them are relevant to underline some good practice in archaeological comunication.
The image composition is a big challenge in joining scientific visualization and naturalistic renderings and has very useful examples in the history of arts. For an archaeological site, a primary issue is resolution and accuracy of the model with some common mistakes in managing 3D virtual reconstructions.
BIBLIOGRAFIA
BIRN 2006: J. Birn, Digital Lighting & Rendering, New Riders, Berkeley 2006.
SCATENI et alii 2005: R. Scateni, P. Cignoni, C. Montani, R. Scopigno, Fondamenti
di Grafica Tridimensionale Interattiva, McGraw-Hill, Milano 2005.
6
www.iosa.it/content/archaeology-text-and-archaeology-image
153
LA DOCUMENTAZIONE FOTOGRAFICA DEI BENI CULTURALI:
COMUNICAZIONE E SCIENTIFICITÀ AI TEMPI DI GOOGLE
Le possibilità aperte dalla nuova fotografia, quella digitale, si sono
rapidamente estese al mondo dei Beni Culturali investendolo di nuove
opportunità comunicative. Grazie alla relativa facilità con cui è oggi possibile ottenere buone immagini, il numero degli operatori del settore in
grado di produrre in proprio quelle necessarie è rapidamente aumentato
ma, altrettanto rapidamente, è aumentata – in maniera esponenziale – la richiesta di fotografie da utilizzare per la documentazione e la comunicazione del Patrimonio culturale.
Questa richiesta di imaging, che dovrebbe da un lato offrire opportunità lavorative e dall’altro consentire una maggior diffusione del Patrimonio stesso, se non soddisfatta da un prodotto di qualità rischia di diventare un “boomerang” per chi utilizza la fotografia, creando un danno
al lavoro in cui questa viene impiegata e/o all’immagine stessa dei Beni
Culturali. È il caso, ad esempio, della virtualizzazione 3D, dove spesso il
notevole lavoro che c’è dietro un progetto di questo tipo rischia di essere
in parte vanificato, non del tutto compreso nella sua scientificità, nel caso
in cui venga usata una texture ricavata da immagini di scarsa qualità che
danno, all’utente, l’impressione di essere di fronte ad un videogame piuttosto che ad un progetto specialistico (non a caso, oggi, molti sforzi sono
indirizzati a far sì che nella grafica computerizzata e nelle scansioni laser
sia possibile usare foto di alta qualità come texture di partenza).
Questa necessità di realizzare una documentazione fotografica di
alto livello per nuove applicazioni cresce di giorno in giorno e va ad unirsi alla consueta richiesta di immagini che servono a documentare o a promuovere un Bene Culturale.
Ed è su tale distinzione, documentare o promuovere, che questo
contributo si basa.
Il cuore della “rivoluzione digitale” a cui prima si accennava, è la
computational photography. Questa è una forma di fotografia basata sull’utilizzo di una serie di scatti fotografici i quali, prima uniti e poi “mi-
Figg. 1 / 2 Laser scanner della Leica e base dello stesso laser con una fotocamera Canon montata su di una testa per riprese pannografiche.
scelati” attraverso innovative tecnologie digitali, producono nuove, ragguardevoli informazioni altrimenti non rilevabili nelle originali, singole
fotografie. La combinazione data dalla grande capacità di calcolo degli odierni processori, dai nuovi sensori digitali abbinati ad ottiche moderne e
dall’adozione di sistemi di illuminazione “fuori dagli schemi”, permette
di superare i limiti delle tradizionali fotocamere a pellicola (e della prima
fotografia digitale) e consente nuove applicazioni di imaging.
Lo stitching ha permesso di ottenere immagini immersive, immagini in 2D o in 3D ad informazione variabile, immagini in Large ed in Really High Definition1.
La Panografia, o fotografia immersiva, è la ricostruzione virtuale – su
base fotografica – di un ambiente [nell’immagine a fianco (Fig. 3) una proiezione in piano di tipo “little planet”] in
cui l’utente è libero di guardarsi intorno,
Fig. 3 Proiezione in piano di tipo “little planet”
della Villa di Livia a Roma: stanza con le pareti
affrescate dalle pitture di giardino.
1
Le c.d. Gigapixel, foto ad altissima risoluzione, il cui limite – al momento – è un panorama di Londra da 80 GB il cui uso sul web è possibile attraverso il Tiling delle
stesse.
155
senza soluzione di continuità e senza vincoli visivi o funzionali. Questo
ambiente può essere collegato ad altri in un percorso in grado di rispecchiarne uno fisico (l’itinerario di un museo, di una mostra), o per crearne
uno puramente concettuale unendo luoghi, tempi e stili tra loro distanti.
Come si evince dalla figura 4, ogni ambiente, o nodo, può essere
arricchito di hotspot di natura diversa, testuale e/o multimediale.
Fig. 4 Screenshot di un "ambiente virtuale" con hotspot di tipo testuale e multimediale.
© Alfredo Corrao
Lo stitching consente, come accennato, anche montaggi di centinaia e centinaia di foto in un’unica immagine, piana o sferica che sia.
Attraverso particolari tecniche di ripresa ed appositi software, si fa
in modo che queste combacino perfettamente al fine di creare un file che
nessuna fotocamera al mondo sarebbe in grado di registrare. Per consentire la rapida condivisione, anche via web, di questi assemblaggi dal peso
e dalla risoluzione altrimenti impossibili da gestire, si sono sviluppati
programmi di Tiling (il più conosciuto è Zoomify, un software nella sua
versione essenziale gratuito) che consentono di frammentare in migliaia
di piccole immagini un’unica grande foto.
Questo permette di visualizzare il soggetto dal suo insieme al suo
156
più minuto particolare; singolarmente o – come nell’esempio mostrato
nelle figure 5 e 6 – a confronto con un soggetto simile.
Figg. 5 / 6 Esempio di tiling fotografico con due immagini a confronto.
Foto © Alfredo Corrao
Ma la facilità con cui si ottiene e condivide una fotografia di un
Bene ha portato ad una diffusione digitale dell’immagine del Bene stesso
tale da necessitare di un distinguo fra i diversi livelli qualitativi offerti
ed i messaggi in essi impliciti. Messaggi, e target di conseguenza raggiungibili, che verranno approfonditi in seguito.
Questa diffusione ha riguardato, in particolar modo negli ultimi
tempi, anche l’interattività fotografica cambiando radicalmente il modo
di comunicare il Bene Culturale. Ci troviamo così, oggi, di fronte a tre
tipi di fotografia e di fotografia interattiva:
- Quella che possiamo definire di “massa”, in quanto rivolta a chi è
privo di nozioni e/o interesse verso il mondo dei Beni Culturali e si
limita ad una sua superficiale conoscenza
- La fotografia e fotografia interattiva, di “divulgazione”, indirizzata
a coloro che da appassionati o cultori dell’arte frequentano mostre,
visitano musei, acquistano cataloghi. Questa fotografia serve ad invogliare gli “utenti/clienti” a visitare i luoghi della cultura, a fruire
del frutto del lavoro svolto dagli operatori dei Beni Culturali
- La fotografia e l’interattività, di “documentazione”, dove il pezzo
deve essere rigorosamente rappresentato nella sua forma e cromia,
anche a rischio di ottenere un risultato apparentemente piatto e privo di fascino.
157
In alcuni casi, purtroppo ancora rari, queste tre tipologie si fondono
in una documentazione di ampio respiro, facilmente reperibile e comprensibile e rivolta a tutti, curiosi e studiosi. Esemplare, in questo senso,
è il bellissimo lavoro svolto da Halta Definizione, una società privata tutta italiana, presso la
“Cappella degli Scrovegni” (Figg. 7 e 8).
Oltre a poter navigare in fotografia immersiva la Cappella, è
possibile accedere alle
immagini in altissima
definizione di ogni affresco del ciclo pittorico.
Gli screenshot –
relativi al “Giudizio Universale” – mostrano
l’affresco nel suo intero
ed un particolare, ancora non al massimo livello di ingrandimento rag- Fig. 7 Giotto di Bondone, Cappella Scrovegni, “Il giugiungibile, con la sovrap- dizio universale” nel lavoro effettuato da Halta Definiposizione di un riferi- zione.
mento metrico, utile, come noto, a chi usa queste immagini per studio.
La digitalizzazione in LHR (Large High Resolution) della Venere
di Botticelli, da poco presentata nell’ambito del Google Art Project e
sempre realizzata da Halta Definizione, è un altro di questi esempi. Il
MiBAC e Google hanno intrapreso, grazie alla DG per la Valorizzazione,
una collaborazione atta a far conoscere il Patrimonio artistico e culturale
italiano attraverso Google Art Project e Google Street View. Le figure 9 e
10 mostrano, partendo dall’insieme per arrivare al massimo dettaglio, il
livello di ingrandimento raggiungibile del capolavoro realizzato dal pittore fiorentino.
158
Fig. 8 Particolare del volto del Cristo nello stesso lavoro di figura 7.
Questa definizione, unita alla qualità della ripresa ed alla correttezza cromatica e prospettica, rende l’esperienza di “navigazione” del dipinto valida sia ai fini conoscitivi che di studio approfondito della stessa
potendo distinguere ductus della pennellata, trama della craquelure, ed
altri minuti particolari.
Fig. 9 La
Venere di
Botticelli
riprodotta
da Halta
Definizione
e “navigabile” su
Google Art
Project.
159
Fig. 10 Il massimo livello di ingrandimento raggiungibile in figura 9.
È proprio l’interattività del progetto Google Art Project, che si avvale in molti luoghi della Cultura del già citato Google Street View, a
mettere, però, in risalto il fatto che i tre diversi modi di comunicare attraverso la fotografia siano perlopiù nettamente diversi: all’elevata qualità
di poche opere è contrapposta, infatti, la visione di sale museali, siti archeologici e antichi centri storici patrimonio dell’umanità la cui qualità è
ben rappresentata dalla schermata (Fig. 11) in cui la stessa Venere è vista
attraverso il c.d. percorso virtuale degli Uffizi.
Fig. 11 La Venere del Botticelli nella schermata del percorso virtuale degli Uffizi offerto da Google Street View.
160
A titolo d’esempio ecco la sala in cui è esposto il “Trittico Portinari” (Fig. 12). Sono visibili in sovraimpressione le direzioni in cui l’utente può muoversi e i punti in cui può posizionarsi. Ci avviciniamo al dipinto cercando di coglierlo nella sua integrità ma ciò non è possibile se
non con un’evidente deformazione prospettica ed una netta perdita di nitidezza dei pannelli laterali (Fig. 13).
Di seguito (Fig. 14), la miglior visione frontale dell’opera di van
der Goes.
Figg. 12 / 13 / 14 Il “Trittico Portinari” di van de Goes in Google Street View.
Fortunatamente questo è uno dei quadri che è possibile vedere meglio passando da Street View ad Art Project. Ecco nella figura 15 (cfr.
Tavv. XVI-XVII) l’intero dipinto…
161
… ed ecco nella figura 16 il massimo particolare raggiungibile.
Con disappunto si deve prendere atto che la qualità e leggibilità del
particolare possibile nel caso della “Venere” resta appannaggio della “Venere” stessa e di pochissime, davvero pochissime, altre opere.
Lo stesso problema qualitativo visto nei luoghi chiusi, quali appunto gli Uffizi, si presenta anche negli spazi aperti dei luoghi della cultura.
162
Fig. 17 Google. Galleria di Street View con evidenziati i luoghi MiBAC e
quelli Patrimonio dell’Umanità.
Figg. 18 / 19 /
20 I luoghi
della cultura:
schermate del
percorso virtuale offerto da
MiBAC e Google relative al
Colosseo. Sono chiaramente
visibili i difetti
qualitativi delle panografie.
163
Da immagini come quelle qui mostrate è chiaro che da fonti di questo tipo non si può ricavare nessun aiuto allo studio, o alla conoscenza,
del bene. A “supporto” di questa scarsa qualità c’è però l’infinita “documentazione” fotografica che Google mette a disposizione degli utenti
semplicemente cliccando sul pulsante in alto a destra della nostra schermata. Ciò arricchisce di contenuti il sito che si sta visitando, col rischio,
tuttavia, di trovarsi di fronte a risultati come quello non proprio apprezzabile della figura 21.
Fig. 21 I luoghi della cultura. Il “patrimonio” iconografico a corredo del percorso virtuale offerto da MiBAC e Google.
I limiti della tecnologia usata da Google nello Street View fanno sì
che la fruizione del luogo di cultura sia una visita virtuale “mordi e fuggi” di livello assai basso, destinata pertanto ad una comunicazione esclusivamente di massa. Spostandoci in altri luoghi “Patrimonio della Umanità” o comunque “della Cultura”, la situazione non migliora.
Nello screenshot seguente (Fig. 22) realizzato a Pompei è visibile
l’evidente imperfezione, di fuoco, di prospettiva e di giunzione, del nadir
della panografia. Le fotocamere montate sui pubblicizzati “tricicli” di
Google, infatti, hanno una resa ottica appena sufficiente solo sull’asse orizzontale mentre su quello verticale (zenit e nadir) la nitidezza è pra164
ticamente inesistente. Ciò produce effetti in alcuni casi “devastanti”: la
figura 23 mostra come sia lo zenit a rendere impossibile la lettura delle
targhe marmoree poste sul fronte del palazzo che ospita il Municipio di
Urbino. Sempre ad Urbino, nella figura 24, il Duomo: oltre che presentare un evidente difetto cromatico dovuto allo zenit, vi è l’impossibilità di
ottenere una giusta prospettiva ed addirittura una mancata corrispondenza
della giunzione delle foto.
Fig. 22 Pompei.
Fig. 23 Urbino, il Municipio.
165
Fig. 24 Urbino, il Duomo. Cfr. Tav. XVIII.
Ancora, nella figura 25, Palazzo Ducale dopo un – per fortuna virtuale – accentuato “fenomeno di bradisismo”.
Fig. 25 Urbino, Palazzo Ducale.
È quindi chiaro perché parte della comunicazione, e documentazione, del nostro Patrimonio fatta attraverso un disinvolto uso del mezzo
fotografico si riveli solo un ulteriore modo di mortificare la Cultura, trat166
tata, nei luoghi più rappresentativi, alla stregua di una qualunque strada
di periferia. Storia, Arte, Archeologia, sono massificate e così assimilate, nei metodi di rappresentazione, ad uno qualsiasi dei “non luoghi”
della contemporaneità.
LA FOTOGRAFIA DI DIVULGAZIONE
La splendida immagine di Zeno Colantoni emblema della bella mostra “Ritratti. Le tante facce del potere”, rimasta ai Capitolini fino a settembre 2011, mostra il busto raffigurante Caracalla.
Fig. 26 Caracalla. Foto © Zeno Colantoni.
Il soggetto è qui ripreso con uno schema di illuminazione, ed un
trattamento cromatico, normalmente in uso nel ritratto. L’imperatore è
raffigurato come persona, ad essere esaltato è il messaggio che il busto
doveva trasmettere: autorità, potenza, assimilazione alla divinità. È chiaro che una foto del genere non può avere uno scopo di documentazione
scientifica: qui siamo davanti ad una persona, non ad un busto di marmo.
167
Illuminazione e post produzione aiutano a trasmettere questo messaggio. Il Bene Culturale acquista vitalità, fascino: venite a trovarci, “acquistateci”. Il pregio di questo genere di fotografia è che aiuta il mondo
dei Beni Culturali ad esistere: dietro l’immediato scopo commerciale c’è
un intento di sensibilizzazione al bello, l’educazione al pensare al contenuto del Museo, della Galleria come ad un qualcosa di affascinante e misterioso, che merita di essere visto.
Figg. 27 / 28 Ares, Villa Adriana. Foto © Alfredo Corrao.
Figg. 29 / 30 Paolina Borghese. Le due immagini sono un altro esempio di come una
fotografia di divulgazione possa cambiare aspetto e messaggio veicolato con il
variare degli schemi di illuminazione.
LA FOTOGRAFIA SCIENTIFICA O DI DOCUMENTAZIONE
Questa, compresa quella interattiva, è tutt’altro. I soggetti possono
sembrare, a prima vista, meno affascinanti, meno preziosi.
Ma dal punto di vista di un archeologo o storico dell’arte antica sicuramente non meno interessanti e degni di attenzione. La fotografia di
168
documentazione, nella sua apparente semplicità, è tuttavia la più complicata da ottenere. Spesso il confine che divide fotografia scientifica e fotografia divulgativa è estremamente sottile, ma la prima necessita
di particolari attenzioni perlopiù trascurate, o addirittura ignorate, dagli stessi addetti ai lavori.
I pilastri su cui questa forma di comunicazione si fonda sono due: la corretta
restituzione cromatica e la totale assenza di
Fig. 31 Busto in marmo. Grottadeformazioni ed aberrazioni ottiche e proferrata (RM).
spettiche. Mentre il primo si ottiene attraverso una gestione del colore in ogni fase del flusso lavorativo, il secondo è frutto di un’accurata scelta delle giuste ottiche e del punto di ripresa in fase di scatto, oltre che della conoscenza delle cause dei disturbi e delle aberrazioni implicite negli obiettivi e nel sensore di una fotocamera.
Comunicare un Bene Culturale attraverso un’immagine significa
fornire all’interlocutore, soprattutto se ciò avviene per motivi di lavoro o
di studio, un documento che rispecchi pienamente la realtà del Bene stesso. Ciò non avviene, purtroppo, quasi mai in fotografia.
Complice di questa realtà è per primo l’archeologo il quale pone –
giustamente – un’attenzione estrema alla restituzione grafica tramite il
disegno tecnico per poi disinteressarsi, o non accorgersi, di essere in possesso di una foto dello stesso reperto che lo mostra in maniera assai diversa, distorta.
La corretta restituzione cromatica di un Bene, fondamentale per la
sua lettura ed interpretazione, passa – come detto – attraverso la gestione
del colore, la quale può essere divisa in più fasi. La prima, basilare, è il
bilanciamento del bianco. La luce, al variare dell’illuminante, ci restituisce dello stesso oggetto gradazioni di colore differenti a seconda della
temperatura della stessa.
169
Figg. 32 / 33 / 34 A sinistra e a destra la giusta rappresentazione, grafica e fotografica,
di un reperto. Al centro, un esempio di come non andrebbe documentato.
Foto © Alfredo Corrao.
Basta pensare ad un luogo visto in pieno pomeriggio piuttosto che
al tramonto per comprendere con quanta facilità il colore cambi.
Figg. 35 /36 / 37 Un volume da restaurare ripreso sotto delle
luci ad incandescenza. In fotografia appare (a sinistra) fortemente affetto da una dominante “calda”, rossastra. A fianco,
lo stesso volume fotografato dopo aver bilanciato il bianco. A
destra uno degli strumenti – il Color Checker Passport della
X-Rite – che rende possibile il bilanciamento del bianco. Foto
© Alfredo Corrao. Cfr. Tav. XIX.
Il bilanciamento del bianco può essere fatto al momento dello scatto (on camera) o in post produzione (off camera) tramite degli accessori
ad hoc. Questi, che possono essere di diverso tipo, hanno in comune la
peculiarità di essere esenti al metamerismo consentendo così di linearizzare l’asse del grigio e restituire il colore scevro di ogni dominante.
Condizione ideale sarebbe il porre in essere entrambi, in maniera da ottenere un risultato ottimale.
170
Strumenti come il Passport della X-Rite sono molto pratici, non
hanno un costo elevato e dovrebbero far parte, alla stregua dei riferimenti
metrici, del profilometro e di altri attrezzi professionali, del normale bagaglio di ogni archeologo od operatore dei Beni Culturali che documenta fotograficamente il suo lavoro.
I passi successivi della gestione del colore prevedono poi la profilazione del sensore della fotocamera2, la calibrazione del monitor e, in
caso si decida di stampare da sé, la profilazione della stampante per ogni
coppia di carta/inchiostri usata.
Il secondo pilastro, come è stato qui definito, della fotografia scientifica è il rendere il documento/immagine privo di deformazioni e aberrazioni. Le deformazioni prospettiche hanno una duplice natura: ottica,
sono cioè implicite nell’obiettivo, e di assialità: in questo caso non si è in
asse con il soggetto.
Le prime possono essere risolte in fase di scatto usando la giusta
focale per il soggetto ripreso ed in post produzione con l’ausilio di software appositamente progettati e che spesso si trovano già all’interno dei
programmi dati in dotazione con la fotocamera. Le seconde necessitano o
di particolari fotocamere, dette a corpi mobili, o di ottiche Tilt & Shift, in
grado cioè di decentrare o basculare.
Trattandosi di attrezzature molto costose, è possibile generalmente
porre rimedio alle deformazioni in post produzione, avendo però l’accortezza di mantenere il giusto rapporto proporzionale nella fase di raddrizzamento delle linee.
Ciò che più viene trascurato, invece, e che maggiormente inficia –
assieme ad una sbagliata restituzione del colore – la validità e la comprensibilità di un’immagine avente valore scientifico è l’insieme di problematiche, date dalle aberrazioni, che gli obiettivi hanno in sé, e dal cosiddetto rumore che il sensore digitale genera nella fase di conversione
analogico/digitale. Le aberrazioni ottiche inducono diversi effetti che
concorrono a rendere l’immagine poco leggibile: quelle cromatiche
2
Tramite la creazione di un profilo, a doppio o singolo illuminante, da usarsi in software quali Adobe Camera Raw nella fase di demosaicizzazione del file RAW.
171
comportano, ad esempio, delle frange colorate sui particolari della immagine.
Figg. 38 / 39 / 40 Esempio di correzione prospettica in post produzione. Foto © Alfredo Corrao.
Fig. 41 Aberrazioni cromatiche laterali. Coppie di linee colorate, rosse e verdi o gialle e
blu circondano i particolari fini dell’immagine inficiando la nitidezza.
A causa degli indici di rifrazione dei materiali impiegati per le lenti
i diversi colori vanno a fuoco su piani differenti causando una marcata perdita di nitidezza. Il problema aumenta con l’utilizzo dei teleobiettivi.
Si vengono così a creare coppie di linee colorate (rosse e verdi o
gialle e blu) che “circondano” i dettagli di quanto ripreso falsandone la
172
veridicità cromatica (Fig. 41). Un controllo dell’immagine almeno al
100% ne permette l’individuazione e la successiva correzione.
Un altro fastidioso effetto delle aberrazioni cromatiche è il cosiddetto “purple fringing”, un’evidente bordo viola che si presenta in prossimità delle alte luci tanto più in maniera evidente quanto più i dettagli
sono fini. Un ulteriore difetto che spesso passa inosservato è la caduta di
luce ai bordi, detta vignettatura. Presente più sulle corte focali che sulle
lunghe, in genere si risolve in ripresa chiudendo il diaframma o, in seguito, con un intervento in post produzione.
Reflex digitali di un certo livello riconoscono al momento dello
scatto – tramite l’identificazione dell’ottica – il livello di vignettatura e lo
compensano “on camera”. La caduta di luminosità ai bordi della immagine porta ad una perdita di dettaglio, di contrasto ed a un apparente aumento di saturazione, tutti elementi in grado di falsare la scientificità della riproduzione fotografica.
Infine, le problematiche legate al sensore. Innanzitutto il rumore.
Legato al fattore di amplificazione (il valore ISO impostato) del sensore,
alla sua qualità ed al tempo di esposizione impostato, è di due tipi: di luminanza e di crominanza. Mentre il primo si manifesta nelle aree chiare
ed uniformi di un’immagine ed è simile alla grana delle pellicole, il secondo lo si trova nelle aree scure della foto ed aumenta in maniera esponenziale se si tenta di schiarirle per riuscire, magari, a leggere me-glio un
particolare in ombra. Come dice il suo nome, si presenta come un insieme di punti colorati – rossi, verdi e blu – rendendo sostanzialmente vana
la pretesa di fedeltà cromatica che un documento scientifico deve avere.
Anche la comprensione del dettaglio fine è seriamente pregiudicata
da questo disturbo. Basta pensare alla riproduzione in macro di una moneta già di per sé abrasa per capire quanto questo difetto nella resa della
immagine possa comprometterne la lettura.
La rimozione del rumore, sia di crominanza che di luminanza passa
innanzitutto attraverso particolari accortezze da adottarsi in fase di ripresa. La post produzione, per quanto possa sembrare semplificata da apposite funzioni automatiche presenti in alcuni software di elaborazione fotografica, è invece materia di attento e a volte lungo lavoro in quanto o173
gni immagine va trattata nella giusta maniera pena una decisa perdita di
nitidezza che equivale, sostanzialmente, al sostituire un problema con un
altro. Ultimo, il moiré.
Causato da un modello fine nel soggetto (quale la trama di un tessuto o le linee vicine e parallele nell’architettura) che si abbina al modello del circuito integrato di formazione immagine, il moiré è di fatto la
creazione artificiale di un terzo, nuovo modello.
Tipico del digitale, questo difetto si presenta come un insieme di
bande dispari o colorate. Si attenua in ripresa, cambiando leggermente
l’angolo o la posizione della macchina fotografica o provando a focheggiare su di un piano diverso; in post produzione è necessario l’apporto di
software dedicati.
CONCLUSIONI
Come si è visto, la comunicazione di un Bene Culturale assume valenze diverse in relazione allo scopo per cui questa esigenza sorge.
Ciò che meraviglia è che pochi degli addetti ai lavori, che maggiormente hanno bisogno di studiare, confrontare, diffondere il Bene
stesso, abbiano la consapevolezza che l’intero loro lavoro viene sminuito
o falsato da una comunicazione che si regge su immagini non scientificamente valide e che di fatto impediscono un’analisi puntuale di quanto
ripreso. E, se da fruitori del proprio lavoro fotografico ci si può affidare
alla memoria visiva e all’esperienza del contatto diretto con il Bene fotografato per sopperire a tutto ciò, questo aiuto viene completamente a
mancare a chi è costretto ad esaminare lo stesso Bene solo attraverso la
riproduzione fotografica.
Un reperto, quindi, non deve soltanto essere “fotografato”: non serve un ricordo, serve una documentazione.
E, per un’ulteriore dimostrazione che si può diffondere la cultura
dandole il rispetto che merita, assegnando alle proprie immagini, interattive o meno che siano, una valenza assolutamente scientifica e divul174
gativa al contempo, chiudo invitando alla consultazione3 del bellissimo
lavoro realizzato da un privato presso la Strahov Library di Praga: una
panografia che raggiunge l’incredibile peso di 40 GB, realizzata mettendo insieme la bellezza di 3000 foto per un file finale di 280.000 x
140.000 pixels (più o meno una stampa, a 300 ppi4, di circa 23 metri in
lunghezza e più di 11 metri in altezza).
ALFREDO CORRAO
Fig. 42 Strahov Library. Foto © Jeffrey Martin.
3
4
http://www.360cities.net/gigapixel/strahov-library.html
ppi, Pixel per Inch. 300 ppi è la risoluzione standard per la stampa di fotografie dalle
dimensioni contenute. Forti ingrandimenti sono di solito stampati ad una risoluzione
inferiore, 180 o 120 ppi.
175
ABSTRACT
L’avvento del digitale, oltre che aver cambiato radicalmente il modo di fare e di
“pensare” la fotografia, ha apportato nel mondo dei Beni Culturali una vera e propria
“rivoluzione”. Oltre alle note agevolazioni date dal supporto elettronico (revisione immediata degli scatti, possibilità di variare “in corso d’opera” ISO, temperatura di colore,
ecc.), la fotografia ha assunto una sempre maggior interattività grazie all’uso di particolari tecniche di ripresa e post produzione.
Ma la fotografia, oltre ad essere essa stessa più multimediale – per forma e contenuti – di quanto comunemente si pensi, è anche la base di una corretta documentazione per molte altre forme di virtualizzazione dei Beni Culturali.
BIBLIOGRAFIA
AA. VV. 1968: Fotografia aerea. Cenni storici e applicazione allo studio degli interventi dell’uomo nel territorio, Centro Studi Storia Architettura, Roma 1968.
ANG 2006: T. Ang, Corso di fotografia digitale: Fotografia digitale, vol. 3, Il Sole
24 Ore, Milano 2006.
EISMANN-DUGGAN 2008: K. Eismann, S. Duggan, Fotoelaborazione. Creatività e
tecnica, Apogeo, Milano 2008.
EVENING 2009: M. Evening, The Adobe Photoshop Lightroom 2 Book, Ca. (USA),
Peachpit, Berkeley 2009.
FEININGER 1971: A. Feininger, Il libro della fotografia, Garzanti, Milano 1971.
FEININGER 1973: A. Feininger, Il libro della fotografia a colori, Garzanti, Milano
1973.
FERRERI 1982: W. Ferreri, Fotografia astronomica, Il Castello, Milano 1982.
FREEMAN 2005: M. Freeman, La luce, Logos, Modena 2005.
FREEMAN 2006: M. Freeman, Il colore, Logos, Modena 2006.
FREEMAN 2010: M. Freeman, L’esposizione fotografica, Logos, Modena 2010.
GABRIELLI 1994: F. Gabrielli, Le tecniche fotografiche in archeologia, Dipartimento di Scienze Archeologiche Università Degli Studi di Pisa, Pisa 1994.
GIORDAN 2005: D. Giordan, The Art of Photoshop for Digital Photographers: from
Image Capture to Art, In. (USA), Sams, Indianapolis 2005.
HAUSER 2007: K. Hauser, Shadow Sites. Photography, Archaeology, and the British
Landscape 1927–1955, Oxford University Press, Oxford 2007.
HEDGECOE 1980: J. Hedgecoe, La fotografia a colori, Istituto Geografico De Agostini, Novara 1980.
KEIMIG 2011: L. Keimig, Fotografia notturna, Il Castello, Milano 2011.
KELBY 2010: S. Kelby, The Adobe Photoshop Lightroom 3 Book for Digital Photographers, Ca. (USA), New Riders Peachpit, Berkeley 2010.
176
MACDONALD 2006: L. MacDonald (edited by), Digital Heritage: applying digital
imaging to Cultural Heritage, Elsevier, Oxford 2006.
NECCI 1992: M. Necci, La fotografia archeologica, La Nuova Italia Scientifica,
Roma 1992.
OLEARI 1998: C. Oleari (a cura di), Misurare il colore, Hoepli, Milano 1998.
ORNANO 1969: A. Ornano, Il libro della foto, Hoepli, Milano 1969.
PERELLO 2011: I. Perello, Chasing the Light: Improving Your Photography with Available Light, Ca. (USA), New Riders Peachpit, Berkeley 2011.
PICCARRETA-CERAUDO 2000: F. Piccarreta, G. Ceraudo, Manuale di Aerofotografia archeologica. Metodologia, tecniche e applicazioni, Edipuglia, Bari 2000.
177
MODELLAZIONE TRIDIMENSIONALE E
MODELLI DIGITALI 3D IN ARCHEOLOGIA
La conoscenza archeologica, sia essa di tipo scientifico o divulgativo, è il frutto di una piena e precisa comprensione del Bene oggetto di
indagine. La ricerca archeologica “tradizionale”, con l’analisi bibliografica, l’analisi iconografica, l’analisi ed il rilievo del manufatto, lo studio
del contesto storico prodotto da dati epigrafici, numismatici, documentali, storico-artistici, lo studio del contesto spaziale prodotto da dati antropici ed ambientali (paleobotanica, paleontologia, ecc.), è la base di partenza imprescindibile, incontestabile ed improrogabile per costruire le
fondamenta solide di un progetto di Archeologia Virtuale.
Lo studio del mondo antico non significa ricostuire la sua realtà talis et qualis, ma formulare una ipotesi la più aderente possibile ad essa,
basandosi su quanto la documentazione archeologica ha finora restituito,
avendo sempre presente che le testimonianze dell’antico sono soltanto una
piccola parte dell’espressione culturale di un popolo, dipendenti dalla geografia1, dal tempo trascorso, o più semplicemente dall’interesse finora
mostrato dagli archeologi per un particolare territorio.
Sotto questo assunto è deludente constatare che le numerose applicazioni digitali legate ai Beni Culturali siano state prodotte fin dal principio da agenti terzi spesso senza alcun contatto con i protagonisti dell’archeologia, ovvero gli archeologi ed i reperti, in un trend che lentamente e
con grandi difficoltà accenna ad essere invertito. “Roma non è stata costruita in un giorno” recita un antico adagio cantato anche dai Morcheeba, eppure il digitale ha fornito l’opportunità che questo potesse accadere, e che questo compito potesse essere portato a termine a prescindere
dall’archeologia, se non nella sua vulgata conosciuta da tutti.
1
Si intende con questo termine sia la posizione fisica di un manufatto (ad esempio è possibile ipotizzare che l’urbanizzazione moderna ad ogni latitudine abbia per sempre sepolto l’antico), sia il contesto territoriale nel quale giace (torbiere, terreni umidi, terreni secchi, sono tipologie di suolo che influenzano fortemente la conservazione di un
reperto, soprattutto se di natura organica).
DALLA CARTA ALLO SCHERMO
Il computer da qualche decennio ha “liberato” i ricercatori dalla
computazione manuale e dalla necessità di dover selezionare il dato da
registrare onde evitare ingestibili raccolte di informazioni; inoltre ha permesso una nuova consapevolezza nella formulazione del dato, costruita
sull’esigenza di riportare in modo fedele, oggettivo e puntuale ogni azione ed ogni processo portato a termine durante uno scavo o durante uno
studio. La disponibilità di supporti di registrazione sempre più efficienti e
ridotti nelle loro dimensioni e l’avanzamento tecnologico nella gestione
delle informazioni su server cloud hanno liberato i ricercatori dalla necessità di selezionare i dati, consentendo loro di annotare e catalogare lo
scibile: però, solo se questa operazione viene condotta con metodo sarà
poi possibile formulare nuove domande per ricevere nuove risposte in
grado di aprire ulteriori canali di conoscenza e comprensione del passato.
Così come ogni processo di conoscenza archeologica non può prescindere dalla ricerca archeologica “tradizionale”, se si vuole anche ampliata attraverso moderne tecnologie di indagine, allo stesso modo ogni
progetto di archeologia virtuale non può prescindere da questa ricerca.
Bisogna combattere il proliferare di applicazioni non scientifiche, invitando gli operatori terzi a lavorare nel campo dei Beni Culturali come expertises in tecnologie digitali, secondo l’accezione moderna del termine, sempre al fianco di expertises in archeologia, nella convinzione che la
cultura merita quel rispetto che non la squalifichi a mero dato economico.
È lo stesso pubblico che, riscoprendo il turismo culturale, chiede una informazione di qualità, ovvero una informazione scientificamente corretta
oltre che visivamente coinvolgente. Ancora, l’utilizzo scorretto e/o incoerente della strumentazione elettronica, lungi dal fornire maggiore
“scientificità” o maggiore “oggettività” ad un progetto di ricerca, rende
più demistificatorio il processo di ricostruzione per mezzo del virtuale, il
quale invece dovrebbe rappresentare la massima espressione nella divulgazione odierna della conoscenza scientifica, altrimenti confinata nelle
Accademie e nelle pubblicazioni specialistiche.
179
L’archeologo inoltre non dovrebbe limitarsi ad un uso esclusivamente scientifico del virtuale ma aprirlo fin dalla fase iniziale a progetti
di comunicazione. Per quanto tradurre l’archeologia scritta in archeologia
visuale sia un compito per lo più destinato ai comunicatori ed ai divulgatori che meglio di uno scienziato conoscono il linguaggio adatto per rapportarsi con il pubblico, bisogna essere consapevoli che anche nella formazione dell’archeologo è indispensabile una preparazione che gli consenta di comunicare in modo divulgativo liberandolo dalla necessità di
improvvisare. Di conseguenza, se si vuole progettare una applicazione virtuale, di tipo statico o interattivo, alcune linee guida sono imprescindibili
per rimanere nel campo della scientificità e della ricerca archeologica così come nel campo della qualità del prodotto finale da realizzare.
Altro aspetto da non sottovalutare è infatti la qualità digitale dell’informazione, troppo spesso squalificata da una sua traduzione scadente
in formato virtuale: se l’impegno delle software house è quello di fornire
prodotti commerciali sempre più ad alto impatto visivo, bisogna adeguarsi allo standard della qualità attuale. Quando la comunicazione archeologica è rivolta alle nuove generazioni è necessario ricordare che
quest’ultime sono abituate ad utilizzare PC, console e mobile device in
grado di far “girare” prodotti dall’impressionante riproduzione fotorealistica di una ambientazione (reale o di fantasia non importa, ciò che conta
è l’aspetto di realtà che imprime in chi la guarda), o dall’elevata qualità
artistica dello stile tipo cartoon adottato: se il prodotto digitale legato al
patrimonio non è in linea con questo livello qualitativo, terminato l’impatto emotivo dovuto alla novità e/o all’interattività, si rischia che il visitatore-fruitore si fermi al primo stadio della conoscenza. D’altra parte è
ancora forte l’impressione che un eccessivo fotorealismo porti il visitatorefruitore ad immaginare che quella rappresentazione sia in realtà la riproduzione del mondo antico, un errore quest’ultimo per certi aspetti perfino
più grave. È possibile tuttavia coniugare entrambe le esigenze grazie proprio agli strumenti interattivi che la tecnologia oggi fornisce attraverso
l’uso di layer ad attivazione automatica temporizzata o manuale in grado
di fornire all’utente la qualità necessaria nella ricostruzione proposta ma
al contempo la qualità necessaria nell’informazione scientifica fornita.
180
Infine una riflessione: l’esperienza di videogame e mondi virtuali
induce ad inserire nelle nostre ricostruzioni avatar volanti in grado di
viaggiare attraverso muri, telecamere a volo d’uccello et similia, ritenendo in tal modo di aggiungere qualità interattiva nelle nostre applicazioni.
In questo modo tuttavia si riproduce un’esperienza irreale per un uomo
“del passato”, e fornire una visione attualizzata del suo pensiero significa
alterare l’urbanistica di una città antica nei vari contesti culturali in cui si
è sviluppata la riflessione legata all’organizzazione dello spazio.
Entrando nel tema del contributo un ideale workflow per l’impostazione di un progetto virtuale teso alla ricostruzione archeologica si può
enunciare come segue, senza la pretesa che questo flusso di lavoro sia adattabile ad ogni contesto archeologico, cosa evidentemente impossibile.
Conoscenza del contesto: sono stati sopra menzionati i principali
campi di studio della ricerca archeologica, che vanno dall’epigrafia alla
numismatica, dalla ceramica ai reperti organici, dal microterritorio al macroterritorio con la sua fauna e la sua flora, le vie di comunicazione, l’orografia, i corsi d’acqua, le risorse naturali, l’iconografia e l’arte, ecc., a
partire dalle ricerche geofisiche ove possibili e praticabili. Studiare l’antico è come prevedere il tempo: come non si può conoscere l’andamento
metereologico su Roma senza studiare le celle atmosferiche che ricoprono centinaia di chilometri quadrati intorno alla capitale, così non si
può conoscere nella sua completezza un contesto antico se non viene messo in relazione con il suo mondo circostante, fatto di scambi culturali, commerciali, religiosi, ecc. che ne influenzavano la visione del mondo.
Organizzazione dei dati: la mole di dati generata dalla ricerca archeologica, immensa per ogni contesto antico (enciclopedica per l’insieme di tutti i contesti antichi), non può non avvalersi oggi di tecnologie di
gestione adeguate. I database, prodotti con qualsivoglia tecnologia, consentono di organizzare e studiare i dati sotto ottiche differenziate, ma soltanto se opportunamente organizzati: bisogna aver chiaro fin dall’inizio a
quali domande (query) si vuole che i database rispondano, “mappando”
tutti i campi con specifici metadati. Un errore comune infatti può essere
181
quello di creare tabelle che nel nostro intento vanno compilate con determinati criteri, però se nel metterle a disposizione di terzi (come dovuto)
mancano di specifiche indicazioni, potrebbero essere compilate con un
differente sistema, soprattutto se queste tabelle sono nominate in maniera
“esotica”. Le norme dell’ICCD, almeno in Italia, sono la base di partenza
fondamentale per la redazione di schede tecniche, utilizzando anche i vocabolari tematici standardizzati messi a disposizione.
Divulgazione del dato scientifico: i dati scientifici che l’archeologo produce non dovrebbero rimanere appannaggio, come proprietà esclusiva, del suo studio, ma essere con il tempo condivisi con la comunità.
Oggi questa operazione può essere fatta a partire dai dati grezzi (e non
soltanto dai dati elaborati e pubblicati): l’importanza di condividere i dati
grezzi è stratosferica nella convinzione che noi archeologi necessitiamo
che colleghi qualificati verifichino le nostre intuizioni, processo possibile
solo se tali colleghi hanno accesso alle informazioni di base, certamente
più oggettive di quelle filtrate nel nostro studio. Piattaforme Web con
MySQL, PHP ed AJAX consentono la creazione e la diffusione controllata di database scientifici in tutto il mondo e a costi irrisori. In futuro il
progetto SIGEC Web dell’ICCD, di prossima attivazione, diventerà il collettore nazionale per la tutela e l’amministrazione del nostro patrimonio
culturale, e cominciare a progettare con specifici formati XML dovrebbe
essere un imperativo per tutti (immaginate un Bene che viene immediatamente inserito nel database dove accedono le Soprintendenze, il Nucleo Tutela del Patrimonio dei Carabinieri, la Guardia di Finanza e tutte
le istituzioni deputate a conoscere quel Bene, e lo stesso Bene che viene
inserito in quella base dati a distanza di anni, perché i compilatori del
Ministero non sono robot). Ogni database può diventare la colonna portante di un sistema GIS, che necessita per ogni voce di campi di geolocalizzazione da prevedere già in fase di progettazione, indipendentemente
se saremmo noi in futuro a realizzare quel GIS (potrebbero farlo altri studiosi interessati a particolari contesti che non rivestono il nostro campo
d’indagine: pensare sempre dunque al futuro).
182
Il rilievo in archeologia: l’operazione di rilievo in archeologia non
dovrebbe essere propedeutica all’analisi ma susseguente alla stessa, come
ricorda un maestro del calibro di F. Giuliani. Se l’obiettivo è un asettico
rilievo strumentale indiretto, registrando in maniera oggettiva l’esistente
attraverso laser scanner, fotogrammetria, stazione totale, GNSS RTK, strumenti che devono preventivamente essere calibrati e posizionati prima di
ogni sessione di lavoro, si può parlare di semplice acquisizione di una
mole di dati grezzi da trattare; in caso contrario, poiché il rilievo manuale diretto è già una forma di interpretazione, come scritto non si può
interpretare qualcosa senza averla prima studiata e compresa. Il rilievo
strumentale va inoltre pianificato in quelli che sono i limiti tecnici degli
strumenti, da conoscere in modo completo per non procedere in lavori errati2. Nell’ottica di un progetto di ricerca archeologica la fase di acquisizione digitale non elimina assolutamente la fase di rilievo manuale, che
andrebbe nei limiti del possibile e del praticabile sempre prevista.
Comunque si intenda procedere, il modus operandi va pianificato a
monte ed ogni ricerca deve preventivamente stabilire il proprio standard
e scegliere i propri mezzi di rilievo, così da generare un dataset unico per
l’intero progetto uniformando l’errore insito in ogni sistema di misura.
Altrimenti al termine del lavoro verrebbero messe insieme situazioni che
non possono stare insieme, unificando in modo non strutturato dati generati con strumentazione dalla differente risoluzione. Inoltre se il nostro fine è generare cartografia 1:50.000, è un errore pensare che il rilievo 1:10
del basolato stradale abbia un senso. È auspicabile che ogni singolo passo
della ricerca archeologica si attenga ai massimi criteri della conoscenza,
ma è necessario calcolare tempi e fondi economici a disposizione. Altra
scelta iniziale è il sistema di capisaldi su cui realizzare le sessioni di ripresa, non solo per facilitare il lavoro di collazione dei dati dentro un sistema omogeneo ma anche per comprendere come studiare il Bene (sia
esso territorio o manufatto) evitando una inutile perdita di tempo. Il proprio standard andrebbe poi sempre dichiarato, magari attraverso una delle
2
Cfr. alcuni dei più diffusi problemi riscontrati sul campo in BENEDETTI-GAIANIREMONDINO 2010 e bibliografia ivi segnalata.
183
tante piattaforme wiki open source a disposizione, all’interno delle quali
inserire i dati tecnici delle attrezzature, le metodologie di rilievo utilizzate, ecc., così da rendere trasparente il nostro lavoro e consentire un miglior interscambio dei dati grezzi generati.
Sistemi geografici: propedeutico alla comprensione del territorio
per una sua fedele ricostruzione è la creazione di un GIS, che eleva il
semplice database alla potenza della creazione di cartografie tematiche
con query in grado di restituire il dato geolocalizzato oltre che informazioni alfanumeriche. Oggi è possibile gestire in modo unificato dati raster
per lo studio del suolo con dati vettoriali facilmente interrogabili3. Come
sopra, il progredire della tecnologia semplifica la creazione di piattaforme GIS per il web, opportunità questa da cogliere sempre, nei limiti del
possibile.
LA RICOSTRUZIONE 3D IN ARCHEOLOGIA
Terminata la fase di studio e di strutturazione dei dati, operazione
che può richiedere un tempo che non va lesinato per la qualità finale della
ricerca, si può passare alla traduzione digitale. La realtà virtuale apre vastissime opportunità per la ricerca, per la rappresentazione, per la didattica, per la valorizzazione, per la divulgazione, per la salvaguardia, per la
fruizione del Bene Culturale, ovvero per il “sistema della tutela”. Queste
differenti possibilità implicano finalità diverse, quindi strumenti diversi
ed output diversi: vi sono tuttavia dei dati di base indispensabili, come le
planimetrie e le sezioni, i prospetti ed i particolari, le fotografie scientifiche ed i confronti, che devono essere assolutamente realizzati.
Il modello 3D: anche in questa fase, prima di procedere alla modellazione vera e propria è importante determinare l’output finale. Generare
modelli per immagini statiche, per animazioni o per la realtà virtuale im3
Cfr. MEDRI 2003, p. 208, fig. 3.22.
184
plica differenti modalità di approccio che possono cambiare radicalmente la struttura di un progetto. Nel caso di immagini statiche è necessario
modellare soltanto ciò che sarà visibile dalla visuale delle telecamere le
cui posizioni vanno scelte preventivamente, renderizzando per canali da
montare in postproduzione; nel caso delle animazioni è necessario modellare soltanto ciò che sarà visibile dalla visuale della telecamera lungo
il suo percorso, che andrà scelto preventivamente, renderizzando in formato statico tipo PNG: la sequenza generata andrà montata in postproduzione; nel caso di realtà virtuale4 interattiva va invece modellata l’intera
scena secondo il criterio dei Levels of Detail da gestire tramite dei game
engine. Nel caso delle immagini statiche è poi possibile scegliere tra rendering biased, con simulazione approssimata della luce (ideale per sequenze video), e rendering unbiased con simulazione fisicamente corretta della luce (ideale per immagini ad alto impatto visivo): questa seconda
scelta implica tuttavia una grande padronanza nella creazione di texture,
shader, materiali e nella modellazione dei particolari, per non indurre il
software a simulare in modo fisico cose che nella fisica reale non esistono. La creazione di texture fotografiche prevede l’utilizzo corretto e
scientifico della fotografia e dell’elaborazione dell’immagine, avendo sempre ben presente che la texture deve avere assolutamente una dimensione
maggiore dell’output finale del rendering, onde evitare sgradevoli artefatti e sgranature.
Il workflow nel 3D: il flusso di lavoro di questa fase viene ripreso
dall’esperienza operativa maturata nella Computer Grafica, il campo di
applicazione che più di altri fa uso del 3D ed al quale è dunque necessario fare riferimento per non “arrangiarsi” applicandosi nella CGI. I passi sono semplici ma utili per avere un solido background di lavoro alle
spalle: in CAD si determinano misure e ingombri dei volumi, eventualmente gli alzati, evitando i dettagli; nel software 3D si importa il CAD e
si aggiungono dettagli, materiali, luci e camere per il rendering: nell’am4
Si usa qui il termine nel senso semplicistico di “ambiente digitale navigabile sia interattivamente sia attraverso la fruizione video”. Per la definizione scientifica del termine si rimanda alla bibliografia specialistica.
185
biente 3D si aggiungeranno anche tutti quegli elementi utili ad una migliore ricostruzione del contesto, come la vegetazione e gli ecosistemi, le
simulazioni fluidodinamiche, la cinematica dei personaggi ed il controllo
delle masse, ecc.
Si passa poi alla generazione dell’output: inizialmente si stabilisce
il tonemap della scena, ovvero l’esposizione con l’illuminazione diretta,
la global illumination con l’illuminazione indiretta e l’ambient occlusion,
operazioni da eseguire attraverso l’uso generalizzato del c.d. “materiale
neutro”. Solo in seguito si potrà procedere alla mappatura con texture,
materiali e shader; l’output sarà poi facilmente gestibile per mezzo di appositi programmi di image editing. Nel caso di sequenze video si passa a
lavorare sulle bitmap con l’aggiunta di effetti speciali, infine il montaggio per la generazione del filmato. Qualora invece l’obiettivo è il rendering statico, si può procedere ad una elaborazione artistica dell’immagine finale secondo modelli tipici di varie arti: dallo stile antiquario modello École des Beaux Arts di Parigi, a quello vignettistico tipico dei fumetti, allo stile realistico tipico della fotografia, oppure secondo un proprio
stile personale. Nel primo e nel secondo caso il risultato si può raggiungere con relativa facilità attraverso l’applicazione di appositi filtri sulle
immagini ed un ritocco manuale per mezzo delle tavolette grafiche; nel
secondo caso è necessaria una certa perizia nell’uso dei materiali, delle
texture, delle luci e nella modellazione.
Rimando alla presentazione proposta durante il Seminario per la
slide riassuntiva legata al “Vademecum del renderman”.
UN WORKFLOW IDEALE PER L’ARCHEOLOGIA DIGITALE
Giunti al termine del progetto, ritengo sia utile proporre un elenco
puntato di questo lungo processo.
 Approfondita analisi bibliografica e documentale del contesto
 Raccolta e analisi del materiale cartografico
 Ricerca e analisi del materiale iconografico
 Digitalizzazione e vettorializzazione del materiale cartaceo
186
 Compilazione di un database informatico e gestione di un sistema
GIS per l’indagine georeferenziata sui dati (consigliato)
 Impostazione in ambiente CAD della pianta ed eventualmente delle
volumetrie e degli ingombri, attraverso l’uso sapiente e ragionato
dei layer
 Importazione in ambiente 3D degli elementi generati in CAD, con
predefinito livello di approssimazione per ogni oggetto (ad esempio
le sfere per apparire tali richiedono più poligoni di un cubo)
 Decisione sulla tipologia di modello 3D da realizzare: posizionamento delle viste e dei percorsi delle camere, scelta della tipologia
di rendering, scelta dello stile artistico per la postproduzione
 Impostazione in ambiente 3D dell’output finale della scena (immagini statiche, animazione, realtà virtuale) e modellazione dei dettagli; generazione dei rendering
 Creazione delle tavole finali di presentazione, del video (che può
alternare sequenze animate ed immagini statiche), dell’applicazione
per la gestione interattiva dell’ambiente virtuale
Questo connubio tra processi di ricerca archeologica “tradizionali”
e flussi di lavoro tipici dell’informatica e della Computer Grafica, come
già detto, non va considerato come il migliore in assoluto o come l’unico
possibile, ma come un flusso metodologicamente corretto, ed una solida
metodologia è la base di ogni processo di ricerca scientifica.
Da questo percorso teorico-pratico emerge che l’archeologo è in
grado di andare oltre la definizione di archeoinformatico5 data da Vannini un decennio fa: sostantivo che rischia di apparire oltremodo tecnicistico e forse fuorviante. Acquisire competenze informatiche non rende l’archeologo necessariamente –informatico: si può rimanere ontologicamente archeologi anche conoscendo i processi tipici dell’informatica. Un archeologo potrà diventare autosufficiente nel gestire il processo di traduzione digitale delle informazioni archeologiche: questo non implica una
5
VANNINI G.: “Informatica per l'archeologia o archeologia per l'informatica?”, in Archeologia e Calcolatori 11 (2000), pp. 311-315.
187
contrarietà al concetto di “multi-disciplinarietà” (termine eccessivamente
abusato ed ideologizzato nella sua accezione “politica”), ma esprime la
convinzione che la figura dell’archeologo “tradizionale” rappresenta oggi
una figura professionale incompleta, mentre l’archeologo con competenze informatiche, lungi dal dover essere considerato un tecnico, rimane lo
specialista del suo campo in grado di facilitare il lavoro all’expertise informatico che lo affianca, riducendo durata e costi della ricerca, temi particolarmente caldi nel nostro tempo.
SIMONE GIANOLIO
Università di Roma “La Sapienza”
ABSTRACT
Lo studio e la comunicazione in digitale del bene culturale è una operazione che
non può prescindere da una solida ricerca archeologica di base di tipo tradizionale. Il
flusso di lavoro che unisce questa ricerca con i workflow tipici della computer grafica è
importante per determinare una metodologia scientifica di indagine: ogni singolo passaggio richiede cura e pianificazione, ogni dato va raccolto ed analizzato con perizia,
tradotto in linguaggio digitale con puntualità e precisione. L’archeologo deve riappropriarsi del suo ruolo fondamentale di “studioso/curatore dell’antico” senza lasciare che
l’informazione di qualità sia quella prodotta al di fuori della ricerca archeologica. Per
fare questo, la conoscenza di tutti i processi con i loro pro e contro è di vitale importanza, senza necessariamente voler trasformare la preparazione archeologica in una preparazione tecnico-informatica.
BIBLIOGRAFIA
AA.VV. 2009: Archaeology and Virtual Environments. From Excavations to Virtual
Museum and Web Communities, Firenze 2009.
BENEDETTI-GAIANI-REMONDINO 2010: B. Benedetti, M. Gaiani, F. Remondino,
Modelli digitali 3D in archeologia: il caso di Pompei, Edizioni della Normale,
Pisa 2010.
BERNARDINI-RUCHMEIER 2002: F. Bernardini, H. Rushmeier, “The 3D Model Acquisition Pipeline”, in Computer Graphic Forum 21, 2 (2002), pp. 149-172.
CAGGIANO 2007: S. Caggiano, “Bibliografia ragionata sull'Archeologia Virtuale”,
in A. Coralini, D. Scagliarini Corlàita, Ut Natura Ars: Virtual Reality e Archeologia. Atti della giornata di studi, Bologna 22 aprile 2002, pp. 135-143.
188
http://eprints.jiia.it:8080/94/1/Ut_Natura_Ars_Caggiano.pdf
CAMPANA-FRANCOVICH 2006: S. Campana, R. Francovich, Laser scanner e GPS.
Paesaggi archeologici e tecnologie digitali, vol. 1, All’Insegna del Giglio, Firenze 2006.
DOBIE-EVANS 2010: J. Dobie, C. Evans, A History of the Ancient Monuments Drawing Office, Archaeological Graphics Report, English Heritage 2010.
http://services.english-heritage.org.uk/ResearchReportsPdfs/033_2010WEB.pdf
FORTE 2002: M. Forte, I Sistemi Informativi Geografici in Archeologia, MondoGIS,
Roma 2002.
FORTE 2007: M. Forte (a cura di), La Villa di Livia, un percorso di ricerca di archeologia virtuale, «L’Erma» di Bretschneider, Roma 2007.
GABUCCI 2005: A. Gabucci, Informatica applicata all’archeologia, Roma 2005.
GUIDI-RUSSO-BERALDIN 2010: G. Guidi, M. Russo, J.A. Beraldin, Acquisizione 3D
e modellazione poligonale, McGraw-Hill, Milano 2010.
LOCK 2003: G. Lock, Using Computers in Archaeology: Towards Virtual Pasts, Routledge, London 2003.
MALDONADO 2005: T. Maldonado, Reale e Virtuale, Feltrinelli, Milano 2005.
MANACORDA 2010: D. Manacorda, “Informatica sì, ma con metodo”, in Archeo 309
(11-2010), pp. 82-85.
MEDRI 2003: M. Medri, Manuale di rilievo archeologico, Bari 2003.
MOGOROVICH-MUSSIO 1988: P. Mogorovich, P. Mussio, Automazione del Sistema
Informativo territoriale. Elaborazione Automatica dei Dati Geografici, Masson,
Milano 1988.
PESCARIN 2009: S. Pescarin, Reconstructing ancient landscape, Budapest 2009.
Più che singoli manuali tra i quali sono stati segnalati quelli che si ritengono fondamentali da conoscere, per rimanere aggiornati su metodologie, tecniche e tecnologie è importante seguire convegni e workshop internazionali: tra i principali
appuntamenti si segnalano il CAA, il VAST-VSMM, il CIPA, il DMARCH, il
CHNT, il VIA, 3D-Arch, ArcheoVirtual, ArcheoFOSS, oltre alla lettura di riviste
italiane come Archeologia e Calcolatori e ArcheoMedia.
In relazione ai principali software in uso nelle applicazioni di computer grafica, si
rimanda alla folta manualistica esistente in lingua inglese ed italiana.
189
INTRODUZIONE ALLA FOTOGRAMMETRIA DIGITALE
La fotogrammetria è una tecnica di rilievo bi- e tridimensionale di
oggetti e scene a partire da fotografie analogiche o immagini digitali. La
definizione più attuale cita la fotogrammetria come “l’arte di trasformare
immagini in modelli 3D metrici ed accurati”.
Le basi concettuali della fotogrammetria risalgono ad epoca rinascimentale, quando artisti del calibro di Brunelleschi, Piero della Francesca, Leon Battista Alberti e Leonardo da Vinci svilupparono la prospettiva. Ma è soltanto con la creazione di uno strumento idoneo che fu possibile applicare operativamente la tecnica derivata da queste basi. La fotogrammetria si sviluppa a metà del 1800 con il capitano del genio francese A. Laussedat che costruisce la prima camera fotogrammetrica, ponendosi così come il fondatore della fotogrammetria che chiama iconometria o metrografia. Qualche anno dopo A. Meydenbauer derivò informazioni dimensionali della cattedrale di Wetzlar, dando luogo così al
primo rilievo metrico architettonico. La fotogrammetria ha subito diversi
cambiamenti e innovazioni, dalla primordiale analogica, a quella analitica (anni ‘60) per diventare digitale alla fine degli anni ‘80 del XX secolo grazie allo sviluppo di sensori con tecnologia CCD o CMOS in formato matriciale o lineare.
Il rilievo fotogrammetrico prevede l’acquisizione di almeno due
immagini da due punti di vista diversi dell’oggetto o scena che si vuole
restituire in 3 dimensioni (3D). Collimando in entrambe le immagini almeno 5 punti omologhi, è possibile risalire alla geometria di presa (proiezione centrale) della coppia di immagini e calcolare, tramite il principio
della collinearità, le coordinate spaziali (3D) dei punti omologhi. La restituzione 3D a partire da immagini è sempre in grado di fornire coordinate spaziali ma è necessario conoscere una distanza nota o dei punti
oggetto di coordinate note per poter scalare la restituzione e renderla metricamente corretta.
Tipicamente, nei progetti di rilievo, due immagini (stereo-coppia)
non sono mai sufficienti per rilevare un oggetto nella sua complessità e
190
con un elevato dettaglio geometrico. Pertanto si utilizzano diverse immagini, acquisite da punti di vista diversi e in modo che ogni dettaglio che
deve essere restituito in 3D sia visibile in almeno due immagini.
a)
b)
c
Fig. 1 La fotografia come proiezione centrale (a). Il principio della collinearità (b). Alcune piattaforme e camere per acquisire immagini (c).
Per quanto riguarda la generazione di dati 3D si possono pertanto
distinguere tre categorie fondamentali:
i. Tecniche “reality-based”, ovvero il rilievo della realtà in modo puntuale e consistente
ii. Computer grafica, ovvero la creazione di modelli 3D utilizzando
software di animazione ma senza nessun rilievo metrico
iii. Modellazione procedurale, una modellazione automatica o semiautomatica basata su regole matematiche predefinite o definibili in
base alle necessità
La fotogrammetria, come tecnica reality-based per il rilievo 3D a
partire da immagini, è affiancata da altre tecniche di rilievo quali il laser
scanning (a triangolazione o a tempo di volo) e il rilievo topografico (stazioni totali o sistemi di posizionamento satellitare). Le diverse tecniche
191
non devono essere viste come concorrenti, ma anzi, molto spesso sono
complementari, in particolare per progetti che interessano grandi architetture complesse.
Tutte le tecniche di rilievo basate su dati immagine (image-based)
vengono dette “tecniche passive”, in quanto i sensori usati per acquisire
le immagini sono strumenti passivi, ovvero strumenti che registrano solo
la luce presente nell’ambiente e la trasformano in informazione digitale
all’interno dei pixel delle immagini. Il rilievo effettuato con strumentazione laser scanner è invece detto range-based poiché vengono acquisiti
dati di distanze con strumenti attivi, ovvero strumenti che emettono un
segnale luminoso e ne registrano la sua risposta. Un vantaggio dei sensori
attivi range-based rispetto alla fotogrammetria è che sono in grado di
fornire un dato 3D già scalato e metricamente corretto.
Tecniche di processamento di immagini simili alla fotogrammetria
sono:
i. Il telerilevamento (remote sensing): si occupa principalmente dell’interpretazione delle immagini (satellitari) per fini di classificazione ed estrazione di informazioni non metriche e non 3D
ii. La computer vision: pur essendo simile alla fotogrammetria, basa il
suo lavoro su geometria proiettiva e processi completamente automatici (Structure from Motion), che fanno venir meno principi fondamentali quali precisione ed accuratezza del dato 3D a favore dell’automazione. È per tanto una tecnica valida in campi d’applicazione che non richiedano la metricità ed accuratezza del dato restituito, quindi applicazioni di riconoscimento, sorveglianza, robotica,
visualizzazione, ecc.
iii. Lo shape-from-shading: è un approccio che impiega una sola immagine e, grazie ai cambiamenti radiometrici dell’immagine è in
grado di estrarne un dato 3D, non metrico e non scalato
Come detto, la fotogrammetria utilizza sensori passivi digitali (basati su tecnologia CCD o CMOS) che possono anche essere montati su piat-
192
a)
b)
c)
Fig. 2 Esempio di rilievo aereo di un centro medioevale (a) per la generazione di una
nuvola densa di punti 3D (b, c).
taforme satellitari, aeree, UAV 6 o in fotocamere terrestri (amatoriali o reflex) e subacquee. La fotogrammetria può essere applicata anche ad immagini storiche o d’archivio, nel caso ad esempio di monumenti non più
esistenti o per analizzare i cambiamenti del territorio, sempre con l’accortezza di avere almeno due immagini della scena acquisite da diversi punti
di vista.
La distanza sensore-oggetto ripreso definisce la risoluzione geometrica delle immagini, ovvero il più piccolo dettaglio descritto da un
singolo pixel dell’immagine: immagini satellitari, acquisite tra i 400 e
700 km di quota, hanno una risoluzione a terra fino a 40 cm; immagini da
aereo o UAV hanno risoluzioni tipicamente dell’ordine dei 5-25 cm,
mentre immagini terrestri possono arrivare sotto il mm di risoluzione geometrica. Se si effettuano riprese subacquee, bisogna considerare che la
6
Unmanned Autonomous Vehicle, piattaforme automatiche radiocomandate (come droni
o elicotteri) in grado di volare a bassa quota e a costi estremamente ridotti. Nel selezionare lo strumento è necessario fare riferimento al parametro del payload, ovvero il
carico che l’UAV è in grado di sollevare da terra (poche centinaia di grammi per droni
con motore elettrico fino a qualche decina di kg per elicotteri con motore a scoppio).
193
luce si propaga attraverso due mezzi diversi (aria ed acqua), quindi per il
rilievo fotogrammetrico è necessario applicare i due indici di rifrazione
dei materiali.
Nel campo strettamente archeologico, immagini satellitari ed aeree
sono ottime per lavori su scala regionale, UAV e palloni per lavori su
scala locale, mentre la fotogrammetria terrestre è la soluzione più adatta
per il rilievo della singola unità stratigrafica.
Si possono effettuare misurazioni e restituzioni 3D in maniera sia
automatica che manuale ed ottenere nuvole di punti rispettivamente dense o sparse, a seconda dell’oggetto e del dettaglio che si vuole ottenere. Il
tutto viene eseguito con strumentazione e software che oggi hanno raggiunto costi accessibili, soprattutto se paragonati agli ancora elevati costi
di uno strumento laser scanner o anche di una buona stazione totale.
I prodotti tipici della fotogrammetria (a qualunque scala di applicazione) sono i modelli digitali del terreno (DTM) o di superficie (DSM),
ortofoto, mappe, modelli 3D texturizzati e dati vettoriali per applicazioni
quali il rilievo, lo studio ed il monitoraggio del territorio, il 3D city modeling e la pianificazione territoriale, la documentazione del patrimonio
culturale, le analisi di deformazioni, il calcolo di volumi di scavo, ecc.
Dopo aver acquisto le immagini necessarie a ricoprire tutta la scena
che deve essere restituita in 3D, le immagini:
i. Vengono generalmente pre-processate attraverso opportuni algoritmi per correggerne la radiometria
ii. Opportunamente orientate (processo strettamente dipendente dalla
calibrazione di una fotocamera) per determinare le posizioni dove
sono state acquisite le immagini
iii. Alla fine vengono applicati algoritmi di image matching per derivare delle nuvole di punti (point cloud) della scena ripresa. Le nuvole
di punti, dense per i dettagli o sparse per l’architettura, vengono poi
interpolate al fine di creare delle superfici poligonali (DSM/DTM),
ovvero il miglior modo di rappresentare la realtà con la migliore
approssimazione possibile. Queste superfici possono poi essere texturizzate al fine di creare modelli 3D fotorealistici per applicazioni
visuali, scientifiche, ecc.
194
Fig. 3 La pipeline fotogrammetrica: dalle immagini al modello 3D.
a)
b)
c)
Fig. 4 Data set di immagini UAV per il rilievo di un tempio (a), il risultato della fase di
orientamento delle immagini (b) e il modello 3D della scena (c).
195
La prima fase della pipeline dovrebbe essere portata a termine da
esperti nel campo della fotogrammetria, mentre è consigliabile che l’archeologo o comunque lo user finale entri nel processo soltanto nella fase
finale, per la restituzione 3D e l’utilizzazione del modello 3D o della ortofoto per fini di rappresentazione, visualizzazione e studio scientifico.
In crescita costante è anche l’impiego di immagini panoramiche
(ottenute tramite stitching di immagini o con camere panoramiche). Queste immagini contengono una grande mole di informazioni (Giga-pixel) e
possono essere processate con metodi fotogrammetrici per derivarne modelli 3D.
Il rilievo 3D geometrico di un oggetto va distinto dalla modellazione 3D. Il rilievo prevede un’operazione manuale diretta al fine di ottenere una nuvola di punti (più o meno densa) sparsi nello spazio, ovvero
dei dati non strutturati.
La modellazione 3D a partire da dati rilevati invece trasforma il dato non strutturato in qualcosa di strutturato, ovvero una mesh, un TIN, dei
volumi o altre superfici di tipo poligonale.
Per concludere, i principali vantaggi della fotogrammetria si possono così riassumere: alto contenuto geometrico, metricità ed accuratezza dei risultati, fotorealismo, low-cost, portabilità, flessibilità di utilizzo.
FABIO REMONDINO
3DOM – FBK (Trento)
ABSTRACT
La fotogrammetria è una tecnica di rilievo di tipo reality-based che utilizza sensori passivi digitali per acquisire almeno due immagini da due punti di vista diversi dell’oggetto o scena che si vuole restituire in 3 dimensioni. La pipeline fotogrammetrica
può essere riassunta in pochi semplici passaggi che consentono di creare modelli 3D fotorealistici per applicazioni visuali, scientifiche, di pianificazione territoriale, di documentazione del patrimonio culturale, ecc. Integrata con altre tecniche di rilievo e processamento di immagini consente di portare a termine progetti che interessano grandi
architetture complesse.
196
a)
b)
c)
Fig. 5 Rilievo (a) e modellazione 3D (b, c) di una sepoltura medioevale (Pava, Siena).
Fig. 6 Rilievo UAV di scavo archeologico per derivarne un modello di superficie
(DSM) utile a generare l’ortofoto e le curve di livello.
197
Fig. 7 Rilievo del territorio (Trento) da immagini aeree e satellitari per la derivazione di
un modello di superficie rispettivamente a 50 cm e 2 m di risoluzione.
Fig. 8 Rilievo e modellazione 3D di una statua. La nuvola di punti è visualizzata in
modalità color-code e con texture.
BIBLIOGRAFIA
BENEDETTI-GAIANI-REMONDINO 2010: B. Benedetti, M. Gaiani, F. Remondino,
Mesurés, dessinés et décrits avec la plus grande exactitude - Una metodologia
per l’acquisizione e la restituzione di siti archeologici complessi ai fini della costruzione di sistemi informativi basati su modelli digitali 3D. Il caso dell’area
archeologica di Pompei, SNS press, Pisa 2010.
198
GUIDI et alii 2009: G. Guidi, F. Remondino, M. Russo, F. Menna, A. Rizzi, S. Ercoli, “A Multi-Resolution methodology for the 3D modeling of large and complex archaeological areas”, in International Journal of Architectural Computing
7, 1 (2009), pp. 39-55.
EL-HAKIM et alii 2007: S. El-Hakim, L. Gonzo, F. Voltolini, S. Girardi, A. Rizzi, F.
Remondino, E. Whiting, “Detailed 3D modelling of castles”, in International
Journal of Architectural Computing 5, 2 (2007), pp. 199-220.
http://people.csail.mit.edu/ewhiting/resources/pubs/IJAC-5-2-El-Hakim.pdf
LUHMANN-ROBSON-KYLE 2007: T. Luhmann, S. Robson, S. Kyle, Close Range
Photogrammetry: Principles, Techniques and Applications, Wiley, New York
2007.
REMONDINO-RIZZI 2010: “Reality-based 3D documentation of natural and cultural
heritage sites – Techniques, problems and examples”, in Applied Geomatics 2, 3
(2010), pp. 85-100.
REMONDINO 2011: “Heritage Recording and 3D Modelling with Photogrammetry and
3D Scanning”, in Remote Sensing 2011-3, pp. 1104-1138.
http://www.mdpi.com/2072-4292/3/6/1104/
199
LA CARTA ARCHEOLOGICA SU SUPPORTO DIGITALE
I CASI DI TRIESTE E CIVIDALE DEL FRIULI
1.
INTRODUZIONE
Questo lavoro è il risultato di due Dottorati di Ricerca in Geomatica e GIS svolti presso l’Università degli Studi di Trieste, relativi alla creazione di una carta archeologica delle città antiche di Trieste (Tergeste) e
di Cividale del Friuli (Forum Iulii) localizzate in Friuli Venezia Giulia,
tramite il posizionamento su cartografia digitale dei rilievi con stazione
totale effettuati durante gli scavi eseguiti dalla Soprintendenza e la digitalizzazione della documentazione grafica a disposizione ed infine la realizzazione di un GIS con il proprio database per la creazione della carta
di rischio (Fig. 1).
Fig. 1 Alcuni momenti dei rilievi topografici.
Le due città sono completamente diverse a causa del diverso tipo e
della diversa quantità della documentazione e degli scavi effettuati nel
corso degli ultimi due secoli.
Questo lavoro è stato svolto in collaborazione anche con il MiBAC,
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, e la stessa metodologia è stata
ed è eseguita in altre importanti aree archeologiche della regione come
Aquileia, Grado e Zuglio (Fig. 2).
Fig. 2 Inquadramento geografico.
2.
BREVE STUDIO DELLO SVILUPPO URBANO DEI DUE SITI
Dagli anni ‘90, la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Friuli
Venezia Giulia ha promosso la creazione di carte vettoriali su supporto
CAD per la registrazione e l’implementazione dei dati topografici derivanti da rilievi strumentali, che da allora fungono da supporto alla documentazione realizzata dagli operatori che lavorano nelle aree di scavo archeologico stratigrafico. All’interno di queste carte sono successivamente confluiti dati d’archivio derivanti da documentazione pregressa e
da bibliografia; in questo modo, con lo sviluppo degli studi e delle ricerche, tali carte sono diventate uno degli strumenti di archivio e ricerca più
completi a disposizione dello studio sullo sviluppo delle città qui prese in
considerazione.
Il primo tentativo organico di una ricostruzione topografica generale dell’antica Tergeste fu realizzato dallo studioso Pietro Kandler già
201
nel 18561 (Fig. 3): tale documento ripropone l’estensione della città romana secondo i dati allora conosciuti rispetto ai profili della città del diciannovesimo secolo; questa metodologia di rappresentazione risulterà particolarmente efficace tanto da costituire una linea giuda per i successivi
lavori di studio topografico. Altri studi da ricordare in questa sede sono
quelli della Scrinari2 (Fig. 4), della Maselli Scotti3, della Verzar Bass4 e
della Ventura5. Ciascuno di questi lavori qui citati ha riportato sul tessuto
urbano della città moderna gli aggiornamenti delle conoscenze archeologiche e topografiche sulla città del periodo romano.
È a partire da questo periodo che viene sistematizzato l’uso del rilievo strumentale e viene implementata con una notevole mole di dati la
carta archeologica su supporto vettoriale, impostata dal geom. G. Meng 6
per conto soprattutto della Soprintendenza ai Beni Archeologici del Friuli
Venezia Giulia. Un altro settore di indagine approfondita sulla storia dello sviluppo è pertinente all’Università degli Studi di Trieste, che dal 2000
al 2002 ha condotto uno scavo archeologico in un settore molto importante del tessuto urbano della “Cittavecchia”, ricostruendo l’intera sequenza dello sviluppo di questo settore dal I sec. a.C. fino a tutto il XX secolo7.
Tutti i dati sopra elencati sono infine confluiti all’interno di una tesi
di laurea, successivamente sviluppati all’interno di una tesi di dottorato e
sono tutt’ora soggetti ad aggiornamenti periodici8 (Fig. 5).
Per quanto riguarda Cividale del Friuli, il percorso degli studi è simile: il primo ad occuparsi dell’analisi della struttura urbana antica della
città fu il canonico Michele della Torre che dal 1816 al 1827 ha ese-
1
ZORZON 1989.
SCRINARI 1951; SCRINARI-FURLAN-FAVETTA 1990.
3
MASELLI SCOTTI 2001.
4
VERZAR BASS 1999.
5
VENTURA 1996.
6
MENG 1999.
7
MORSELLI 2007.
8
BRAINI 2003, 2011.
202
2
Fig. 3 La carta archeologica di Kandler.
Fig. 4 La carta archeologica della Scrinari.
203
guito un gran numero di
scavi9, ha lasciato diari,
disegni ed una carta della
città con indicate le posizioni di tutti gli scavi effettuati, che consente di
capire in quale parte della
città lui abbia lavorato
(Fig. 6) e, cosa più importante, ha lasciato una
tabella con indicato il noFig. 5 La carta archeologica di Tergeste.
me dei padroni di casa la
cui proprietà era stata interessata nelle indagini ed
il numero catastale degli
immobili. Questa tabella
è stata veramente utile
per la successiva ricerca,
insieme alle altre carte
archeologiche redatte durante tutto il 1900 da
Brozzi10,
Tagliaferri11,
Bosio12 e Stucchi13 (Fig.
Fig. 6 La carta archeologica del Della Torre.
7) che raccolsero e analizzarono la documentazione del Della Torre e avanzarono alcune proposte sull’urbanistica romana di Forum Iulii: lo Stucchi fece un accurato lavoro di posizionamento dei vari scavi del Della Torre sul catasto moderno della città, il Brozzi
si focalizzò soprattutto sul suo sviluppo longobardo, mentre Bosio e Ta9
DELLA TORRE 1816 – 1827.
BROZZI 1971, 1975.
11
TAGLIAFERRI 1986, 1991.
12
BOSIO 1972, 1977.
13
STUCCHI 1951.
10
204
gliaferri proposero due diverse strutture urbanistiche del centro romano14.
Infine, dagli anni ‘80 la Soprintendenza ha promosso numerosi scavi che
hanno permesso di ampliare la conoscenza della topografia della città.
Anche in questo caso tutti questi dati sono stati raccolti e studiati in una
tesi di laurea e successivamente in una tesi di dottorato15.
Fig. 7 La carta archeologica dello Stucchi.
14
15
COLUSSA 2010.
GONIZZI BARSANTI 2003, 2008.
205
3.
LA CARTA ARCHEOLOGICA SU SUPPORTO DIGITALE
3.1 Trieste
Per la città di Trieste è stata usata come cartografia di base il c.d.
“Piano Müller”, una cartografia dedicata al centro città, la cui redazione
si data al 1868 e che è stata di volta in volta aggiornata; in tempi recenti è
stata computerizzata e resa idonea alle attuali esigenze di pianificazione
della città.
Attraverso la creazione e lo sviluppo di una poligonale di appoggio
(Fig. 8), sono state collegate tutte le aree di scavo archeologico indagate
dagli anni 90, soprattutto nell’area centro settentrionale del rione di “Cittavecchia” che ha nella via dei Capitelli la principale dorsale nord-sud.
La poligonale è stata agganciata al piano Müller mediante riferimenti di
facile agibilità, sullo stesso piano Müller quindi sono stati inseriti tutti i
dati cartografici rilevati direttamente sul terreno e ottenuti dalla ricerca
bibliografica d’archivio.
Fig. 8 La poligonale di Trieste.
Attraverso la vettorializzazione di questi ultimi la restituzione grafica è stata resa omogenea ed è stato creato un insieme limitato di layer
dedicati alla diversa attribuzione grafica degli oggetti rappresentati (Fig.
9). Poiché numerosi elaborati grafici, soprattutto quelli frutto di recenti
indagini archeologiche, avevano una rappresentazione in scala di detta206
glio molto alta (da 1:5 a 1:50), si è scelto di creare un doppio livello di
rappresentazione mediante da un lato la digitalizzazione della resa dettagliata, dall’altro attraverso la schematizzazione degli stessi elaborati in
modo tale da garantire una rappresentazione corretta dal punto di vista degli orientamenti e della posizione topografica degli elementi rappresentati
(in modo particolare strutture murarie, piani pavimentali ed altri elementi
utili alla ricostruzione planimetrica dei siti indagati). Per la rappresentazione di dettaglio sono stati utilizzati anche fotopiani laddove il contesto lo permetteva.
Fig. 9 La vettorializzazione dei disegni di scavo.
In un primo momento l’intero sistema cartografico si basava esclusivamente sul sistema di coordinate Cassini-Soldner; successivamente,
grazie alla registrazione di alcuni dei capisaldi di primo livello della poligonale di appoggio con strumentazione GNSS, è stata possibile anche una
rototraslazione sul sistema cartografico basato sulle coordinate WGS84 e
conseguentemente sulle coordinate Gauss-Boaga.
La griglia topografica in questo modo è stata riferita oltre che al piano Müller, anche alla Carta Tecnica Regionale 1:5.000 del Friuli Venezia Giulia e alla cartografia catastale del comune di Trieste. Questi molteplici riferimenti hanno permesso una maggiore possibilità di interrogazioni all’interno del sistema GIS successivamente creato su queste basi
cartografiche.
207
Va inoltre detto che nel corso dei rilievi topografici e con lo sviluppo della rete poligonale, sono stati rilevati anche numerosi profili degli
edifici moderni che costituivano spesso i limiti delle aree di cantiere archeologico: in questo modo oltre ad ottenere una restituzione cartografica precisa delle strutture archeologiche, si è stati in grado di creare,
per numerose zone, una rappresentazione grafica estremamente dettagliata anche del contesto urbano in cui si operava. Quest’ultima rappresentazione ha costituito in molti casi una utile correzione e precisazione delle cartografie di base (soprattutto Piano Müller) utilizzate come supporto.
Il risultato finale è una carta vettoriale su supporto CAD in formato
*.dwg/*.dxf all’interno della quale si possono facilmente estrapolare i livelli dedicati esclusivamente alla griglia topografica (vertici di aggancio,
di appoggio, di primo livello e di raffittimento, i rapporti di intervisibilità, i dati altimetrici e i singoli punti di rilievo), i livelli del tessuto urbano della città moderna, i livelli della restituzione grafica della città antica (con accorgimenti grafici per diverse piante tematiche-cronologiche)
ed infine i livelli delle restituzioni grafiche di dettaglio (piante a grande
scala di dettaglio) (Tav. XX).
3.2 Cividale del Friuli
Il centro storico di Cividale, a differenza del quartiere di “Cittavecchia” di Trieste, non ha avuto una serie di indagini archeologiche diffuse nella zona centrale concentrate in un arco temporale relativamente
breve. Alcuni dei principali interventi di scavo sono databili agli anni ‘60,
nei decenni successivi sono stati realizzati diversi interventi in alcune zone del centro storico e negli ultimi anni la Soprintendenza, in collaborazione con l’amministrazione comunale, ha realizzato alcuni importanti
scavi nelle zone di “Corte romana” e “Foro Giulio Cesare”. Proprio in
occasione di questi ultimi interventi, la stessa Soprintendenza ha promosso una mappatura sistematica degli interventi già portati a termine e
ha richiesto la creazione di una rete topografica di appoggio per la realizzazione di una carta archeologica su supporto digitale, sulla base di esperienze analoghe già promosse in altri siti della Regione. Nel 2006 quindi
208
è stata creata una rete topografica mediante la messa in opera di capisaldi che sono stati rilevati con strumentazione GNSS. Conseguentemente è stata realizzata una rete di raffittimento per raggiungere alcune
zone dell’area del centro storico (Figg. 10-11).
Fig. 10 Raffittimento della rete mediante
stazione totale.
Fig. 11 I capisaldi della rete GNSS.
All’interno della città sono stati identificati alcuni punti significativi nei quali sono stati posizionati i capisaldi per ciascuno dei quali è stata creata una monografia (Fig. 12). La griglia è attualmente considerata
come base topografica utile sia per il lavoro della Soprintendenza che
dell’Amministrazione comunale, diventando uno strumento per la tutela
dei beni archeologici conosciuti, utile soprattutto nel caso di interventi
successivi.
Da questo momento in poi tutti i risultati degli interventi di scavo
archeologico sono stati implementati all’interno di un sistema cartografico avente come base la Carta Tecnica Regionale 1:5.000 del Friuli Venezia Giulia, nonché la pianta catastale del Comune in scala 1:1.000, entrambe espresse in coordinate Gauss-Boaga.
All’interno di questo catalogo cartografico sono stati quindi inseriti
tutti i dati d’archivio derivanti da interventi sul territorio dal 1800 in poi.
209
Fig. 9 Una delle monografie dei singoli chiodi.
Anche in questo caso, il risultato finale è una carta archeologica su
supporto digitale in cui compaiono contemporaneamente il tessuto urbano attuale sovrapposto ai dati archeologici; la rappresentazione grafica di
questi ultimi è molto eterogenea: poiché non per tutte le aree indagate è
stato possibile realizzare un preciso inquadramento topografico od ottenere dei dati planimetrici completi, spesso sulla carta archeologica compaiono dei posizionamenti puntuali che si affiancano a delle rappresentazioni planimetriche topograficamente precise (Tav. XXI).
210
4.
IL DATABASE ED IL SISTEMA INFORMATIVO GEOGRAFICO
Per ciascuno dei due siti sono stati creati due GIS che per molti aspetti ripropongono la stessa struttura ma che tengono conto delle importanti differenze tra i due siti analizzati e soprattutto tra le due tipologie di banca dati a disposizione.
Al GIS è stato collegato un database contenente tutte le informazioni topografiche ed archeologiche accessibili attraverso specifiche
interrogazioni e una serie di campi descrittivi che raccolgono le informazioni relative agli scavi e tutta la documentazione d’archivio come fotografie d’epoca, piante di scavo e altri dati.
Per Trieste, il database è stato creato utilizzando Microsoft® Access
usando i campi dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione
(ICCD) (Fig. 13). Nella banca dati sono stati riuniti tutti i dati relativi alla
documentazione delle singole aree archeologiche studiate come fotografie, rielaborazioni grafiche o schede esplicative. Il database è stato strutturato in una serie di campi di informazione associati alla cartografia archeologica sovrapposta ad entrambe le cartografie di base, Piano Müller
e catasto.
Ogni particella catastale è stata associata ad una serie di dati archeologici relativi ad essa, proponendo i dati derivanti da indagini d’archivio fino a quelle più recenti.
In accordo con la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Friuli
Venezia Giulia, per i siti considerati in questo contributo e per gli altri
per i quali vengono effettuate regolari indagini archeologiche e viene fatto un sistematico rilievo topografico, viene fatta una continua e costante
acquisizione dei dati topografici, archeologici e d’archivio con l’obiettivo
di mantenere il più aggiornato possibile ognuno di questi archivi multimediali.
In questo contributo si è scelto di evidenziare in particolare i dati
relativi al periodo romano poiché questo periodo cronologico è stato approfondito durante i due dottorati di ricerca in Geomatica e GIS portati a
termine presso l’Univeristà degli Studi di Trieste.
211
Fig. 13 Una delle maschere del database sulla base dei campi ICCD.
Per i vari siti documentati, in particolare per la città di Trieste e la
sua zona centrale più antica, i dati relativi alle fasi successive sono stati
implementati al fine di rendere possibile un’analisi diacronica relativa ai
vari periodi storici che hanno segnato lo sviluppo urbanistico dei siti analizzati.
A differenza del caso di Trieste, in cui i siti documentati planimetricamente sono molto numerosi e quindi la ricostruzione dell’antico tessuto urbano nelle sue varie fasi è immediatamente visibile e comprensibile, a Cividale la maggior parte dei dati d’archivio è costituita da informazioni localizzate attraverso il numero di identificazione catastale: gli
scavi sono stati posizionati sulla cartografia in base a questi dati, ma sono
generalmente privi di documentazione planimetrica in grado di restituire i
profili delle strutture evidenziate.
212
Il database collegato al GIS comprende tutti i dati d’archivio relativi alle indagini archeologiche dalle più antiche alle più recenti. Per i siti
investigati di recente sono stati eseguiti dettagliati rilievi informatizzati,
inseriti in seguito nella carta archeologica, per i quali è possibile creare
mappe tematiche. All’interno del GIS, i dati contenuti nel database sono
stati utilizzati per ricerche di vario genere, come ad esempio alcune utili
per ottenere dati statistici relativi alle diverse profondità degli affioramenti archeologici, al fine di pervenire ad una possibile carta del rischio
archeologico (Fig. 14).
Fig. 14 Il GIS di Cividale del Friuli con indicata una delle interrogazioni possibili.
5.
LA TRASMISSIONE DEI DATI
A completamento del GIS relativo alla città di Cividale del Friuli, è
stata creata, in accordo con la Soprintendenza, una postazione multimediale basata su un CD che raccoglie le informazioni relative ai reperti
maggiormente significativi per la storia della città nelle varie fasi di vita.
L’organizzazione interna del sito è stata impostata sulla base delle planimetrie dei piani del Palazzo dei Provveditori, sede del Museo (Fig.15): in
213
questo modo il visitatore con propria scelta autonoma può navigare all’interno del museo e selezionare le parti di maggior interesse o curiosità
personale, ma soprattutto avrà le informazioni necessarie per ricollocare
il reperto nel punto esatto di ritrovamento, sia in rapporto all’attuale configurazione della città sia all’assetto urbanistico antico, grazie alla sovrapposizione tra cartografia moderna e carta archeologica. In questo modo,
le scoperte e gli studi relativi alla città antica possono essere messi a disposizione del pubblico per facilitare la comprensione della forma urbana
antica. Seconda funzione, collegata alla prima e anch’essa fondamentale,
è permettere la ricollocazione dei reperti nel luogo di rinvenimento, per
conoscere la destinazione originaria nel contesto di pertinenza. In questo
modo si evita che i materiali esposti rimangano solo bellissimi frammenti
d’arte, ma se ne possa comprendere, oltre ai dati cronologici e tipologici,
la relazione topografica e funzionale con le aree o le strutture che li contenevano in antico.
Fig. 15 Una delle schermate principali del cd multimediale.
6.
CONCLUSIONI
In conclusione, la creazione di una carta archeologica su supporto
digitale e la successive creazione del GIS non solo hanno permesso la
raccolta di dati eterogenei, favorendo lo studio e la ricerca, ma sono un
214
ottimo strumento per la realizzazione della carta di rischio archeologico
che può essere chiamata carta previsionale perché fornisce dati per la
protezione dei siti archeologici, uno strumento che è costantemente in
sviluppo, che riassume i dati noti, i dati ipotetici e i luoghi in cui è presente assenza di dato, individuando le aree a rischio per futuri interventi
archeologici.
L’uso di questi strumenti da parte delle autorità locali aiuta a preservare il patrimonio archeologico che è già stato indagato e studiato e
quello che è ancora nascosto sotto la città moderna.
ACKNOWLEDGMENTS
Gli autori vogliono ringraziare F. Maselli Scotti, P. Ventura e Vitri della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Friuli Venezia Giulia per la possibilità accordata di
consultazione dei dati d’archivio e G. Manzoni e C. Morselli dell’Università degli Studi
di Trieste per la loro collaborazione durante il Dottorato di ricerca.
SARA GONIZZI BARSANTI1, MASSIMO BRAINI1
1
DiSCAM – Dipartimento di Storia e Culture dall’Antichità al Mondo
Contemporaneo - Università di Trieste - [email protected] [email protected]
ABSTRACT
Con la creazione di una rete topografica per coprire l’intera area del centro storico e attraverso la georeferenziazione dei principali punti di riferimento tramite GNSS
sono state effettuate diverse misurazioni ed è stato documentato lo sviluppo urbano delle antiche città di Trieste e Cividale del Friuli (Friuli Venezia Giulia).
Sono state successivamente create mappe in coordinate assolute all’interno delle
quali sono confluiti dati d’archivio di varia natura ed è stata creata la carta archeologica
di entrambe le città. Quest’ultima è stata utilizzata come supporto per la creazione di un
GIS collegato ad una banca dati contenente tutte le informazioni relative agli scavi archeologici e ai dati d’archivio.
In questo modo, dalla sovrapposizione del tessuto urbano attuale e dei dati archeologici noti, è stato possibile creare una serie di carte tematiche che hanno come obiettivo l’individuazione delle zone di rischio archeologico, fornendo così un utile strumento per la progettazione di nuovo sviluppo urbano.
215
By creating a topographic network to cover the entire area of the old town and
through georeferencing of the main landmarks using GNSS, were made several measurements which has been documented the urban development of ancient cities of Trieste and Cividale del Friuli (Friuli Venezia Giulia).
Maps were then created in absolute coordinates within which were included extensive data archive of a different nature and it was created the archaeological map of
both cities. This map was used as a support for the creation of a GIS linked to a database containing all information relating to the data documented during archaeological
excavations and obtained from archival data.
In this way, by the overlap of the current urban terrain and the archaeological
data known and stored in archives, it was possible to create a series of thematic maps
having as goal the identification of archaeological risk zone, thus providing a useful
tool for design of new urban development.
BIBLIOGRAFIA
BOSIO 1972: L. Bosio, Raccolta di elementi e proposte per l’individuazione delle
strutture urbanistiche di Forum Iulii, Scritti storici in memoria di Paolo Lino
Zovatto, A. Giuffré, Milano 1972.
BOSIO 1977: L. Bosio, Forum Iulii tra il tardo antico e l’alto medioevo, convegno
del 1° maggio, Udine 1977.
BRAINI 2003: M. Braini, Trieste antica. Nuovi dati per la forma urbis, tesi di laurea
in Topografia dell’Italia antica, Università degli Studi di Trieste, 2003.
BRAINI 2010: M. Braini, Trieste Antica: Applicazioni e Sistemi Informativi per la
carta Archeologica, tesi di dottorato in Geomatica e Sistemi Informativi Territoriali, XXIII ciclo, Università degli Studi di Trieste, 2010.
BROZZI 1971: M. Brozzi, Ricerche sulla topografia di Cividale longobarda, Deputazione di Storia Patria per il Friuli, Udine 1971.
BROZZI 1975: M. Brozzi, “Cividale: note di topografia medievale (secoli XI –
XIII)”, in Memorie Storiche Forogiuliensi, LV, Udine 1975, pp. 11-28.
COLUSSA 2010: S. Colussa, Cividale del Friuli. L’impianto urbano di Forum Iulii in
epoca romana. Carta archeologica, Journal of Ancient Topography, Supplemento V , Mario Congedo Editore, Galatina 2010.
DELLA TORRE 1816: M. Della Torre, Prospetto I dei scavi attivati in Cividale del
Friuli per sovrana rissoluzione 15 Luglio 1816 sotto la direzione del canonico
M. Co. della Torre e Valsassina, 1816.
DELLA TORRE 1818A: M. Della Torre, Giornale delli scavi ripresi il 13 Aprile 1818
per il secondo anno assegnato per sovrana rissoluzione per l’anno 1818 in cartella XVII fasc. 3, 1818.
216
DELLA TORRE 1818B: M. Della Torre, Prospetto II delli scavi ripigliati in Cividale
per sovrana rissoluzione dal 1 ottobre 1817 alli 17 gennaio 1818 sotto la direzione del Canonico Co: Michele della Torre e Valsassina, 1818.
DELLA TORRE 1819A: M. Della Torre, Prospetto III delli scavi fatti in Cividale per
sovrana risoluzione sotto la direzione del Canonico Michele della Torre e Valsassina per il secondo anno dei lavori assegnati, incominciati il 13 Aprile 1818
fino li 3 Ottore e ripigliati in Novembre 1818 fino alli 31 Settembre 1819, 1819a
DELLA TORRE 1819B: M. Della Torre, Prospetto storico IV delli scavi fatti dal gennaio al luglio 1819, 1819.
DELLA TORRE 1821: M. Della Torre, Prospetto V storico delli scavi per sovrana risoluzione fatti in Cividale del Friuli nel 1821 anno primo del secondo triennio
de’ lavori in unione al libro parte III, 1821.
DELLA TORRE 1822: M. Della Torre, Prospetto VI storico delli scavi fatti in Cividale del Friuli nel 1822, 1822.
DELLA TORRE 1823A: M. Della Torre, Prospetto storico VII degli scavi fatti dal novembre 1822 ai luglio 1823, 1823.
DELLA TORRE 1823B: M. Della Torre, Protocolli delli scavi 1819-1820-1821-18221823 in cartella XXI, 1823.
DELLA TORRE 1826: M. Della Torre, Prospetto storico VIII degli scavi fatti dall’ottobre 1825 ai 30 maggio 1826, 1826.
DELLA TORRE 1827: M. Della Torre, Tabella I – II spiegante li scavi praticati nel
tipo della città di Cividale dal 1817 al 1826 di sovrana rissoluzione 1827 in cartella XIX, 1827.
GONIZZI BARSANTI 2003: S. Gonizzi Barsanti, L’urbanistica di Forum Iulii (Cividale del Friuli), tesi di laurea in Topografia dell’Italia Antica, Università di Roma “La Sapienza”, 2003.
GONIZZI BARSANTI 2008: S. Gonizzi Barsanti, Sistema informativo territoriale storico – urbanistico di Forum Iuliii (Cividale del Friuli), tesi di dottorato in Geomatica e Sistemi Informativi Territoriali, Università degli Studi di Trieste, 2008.
MASELLI SCOTTI 2001: F. Maselli Scotti, “Edilizia abitativa a Tergeste: esempi recenti”, in Verzar Bass M. (a cura di), Abitare in Cisalpina. L’Edilizia privata
nelle città e nel territorio in età preromana I, Antichità Altoadriatiche XLIX,
Editreg, Trieste 2001.
MENG 1999: G. Meng, “Dalla groma al satellite. Tecniche moderne di rilievo applicate all’urbanistica di una città sepolta”, in Zaccaria C. (a cura di), Archeologia
senza scavo. Nuovi metodi di indagine per la conoscenza del territorio antico,
Antichità Altoadriatiche XLV, Editreg, Trieste 1999.
MORSELLI 2007: C. Morselli, Trieste antica. Lo scavo di Crosada. Fonti e studi per
la storia della Venezia Giulia, Università degli Studi di Trieste, Deputazione di
Storia Patria per la Venezia Giulia, Editreg, Trieste 2007.
217
SCRINARI-FURLAN-FAVETTA 1990: V. Scrinari, G. Furlan, B.M. Favetta, Piazza
Unità d’Italia a Trieste, Edizioni B&MM Facchin, Trieste 1990.
SCRINARI 1951: V. Scrinari, Tergeste (Trieste). Regio X Venetia et Histria, Roma
1951.
STUCCHI 1951: S. Stucchi, Forum Iulii (Cividale del Friuli), Regio X Venetia et Histria, Italia Romana Municipi e Colonie, 1, XI, Roma 1951.
TAGLIAFERRI 1986: A. Tagliaferri, Coloni e legionari romani nel Friuli celtico.
Una ricerca archeologica per la storia, Grafiche editoriali artistiche pordenonesi, Pordenone 1986.
TAGLIAFERRI 1991: A. Tagliaferri, Cividale prima di Cesare, da castrum a forum,
Grafiche editoriali artistiche pordenonesi, Pordenone 1991.
VENTURA 1996: P. Ventura, “Tergeste romana, elementi per la Forma Urbis”, in Archeografo triestino s. 4, 56 (1996), pp. 11-123.
VERZAR BASS 1999: M. Verzar Bass, Il teatro romano di Trieste. Monumento, storia, funzione, Istituto Svizzero di Roma, Roma 1999.
ZORZON 1989: S. Zorzon, Pietro Kandler. Albo storico topografico della città e territorio di Trieste, Edizioni Italo Svevo, Trieste 1989.
218
@RCHEONET: UNA PROPOSTA DI REAL TIME-MULTITASKING
ARCHEOLOGICO
«Lo scavo è […] una procedura lunga e faticosa e solo la documentazione analitica delle unità stratigrafiche e la loro ricomposizione nella
ricostruzione ideale possono riparare il danno della distruzione che esso
inevitabilmente comporta. In tal modo lo scavo traduce forzatamente e irreversibilmente la pesantezza dei materiali e della terra nella leggerezza
delle parole, dei disegni e delle fotografie. D’altra parte senza questa trasformazione la stratificazione sarebbe solo silenzio e oscurità, non esistendo che in potenza per noi1». Con queste parole A. Carandini evidenzia uno dei problemi fondamentali della ricerca archeologica: la distruzione del dato reale, frammentario e tangibile, e la sua commutazione in
informazioni idealmente complete, in grado di raccontare una storia che
tenderà non alla verità – ontologicamente impossibile da raggiungere –
quanto al più alto grado possibile di verosimiglianza. Affinché ciò possa
avvenire è necessario che la raccolta dei dati iniziali sia effettuata nella
maniera più rigorosa, al fine di evitare errori e, soprattutto, di scongiurare
temibili, quanto spesso inevitabili, perdite documentative. A tale considerazione di carattere generale, se ne va ad affiancare un’altra dalla focale più ristretta, soggettiva: gli archeologi, infatti, orientano la ricerca sul
campo non solo selezionando materiali ed elementi vettori di dati ritenuti
importanti, ma sovrapponendovi costantemente la propria esperienza, che
agisce come un filtro: è su di essa che si basa la decisione di cosa debba
essere registrato e cosa no, ed è durante suddetta selezione – passaggio
delicatissimo sul quale raramente ci si sofferma a meditare – che può avvenire una scrematura concettuale davvero irreparabile. Se l’azione di
scavo è un atto di distruzione purtroppo inevitabile, la documentazione
deve, invece, costituire la base di un processo reversibile, presupposto
imprescindibile di analisi e sintesi da formulare e smontare più volte, se
dovesse risultare non verosimile o insoddisfacente dal punto di vista ermeneutico.
1
A. CARANDINI, Storie dalla terra, Einaudi, Torino 2000, pag. 18.
Con lo scopo di garantire l’acquisizione immediata delle informazioni, la loro gestione e la loro fruizione, è nata l’idea di @rcheoNet.
Programmato da un archeologo, deriva dall’esperienza quotidiana sul
campo: a tutt’oggi, infatti, sebbene informatica e tecnologia dilaghino in
misura sempre crescente all’interno della disciplina, uno dei processi più
delicati, la documentazione dello strato archeologico, viene ancora gestito manualmente, lì dove proprio l’ausilio del mezzo informatico apporterebbe notevole giovamento. La scheda US, infatti, veicolo informativo
principe nell’odierna metodologia, costituisce il momento di maggiore
perdita dei dati, che può avvenire durante la redazione, fase nella quale
può capitare di non scrivere tutte le informazioni, di annotare un errato
rapporto stratigrafico o di rimandare la compilazione di alcuni campi ad
un periodo variamente successivo; nell’archiviazione, quando la scheda
US può fisicamente essere danneggiata o andare persa; nella digitalizzazione, durante la quale può succedere di riscontrare una non coerenza
dei dati – rendendo quindi vano lo sforzo di standardizzazione insito nella scheda cartacea – con la conseguenza, avvenendo a distanza di tempo,
di richiedere la titanica impresa, una volta constatati gli eventuali errori
occorsi nei due precedenti passaggi, di ricordare ed integrare i dati mancanti e di correggere quelli palesemente errati. Risulta quasi superfluo indicare come l’utilizzo di un semplice database, con gli opportuni codici
di controllo, risolva molti dei suddetti problemi, mentre quasi incredibile
appare la constatazione di come, se la documentazione avvenisse all’istante, si risolverebbero tutte le questioni alle quali si è accennato all’inizio, consentendo nuove possibilità di gestione di essa.
Ecco pertanto @rcheoNet, una suite di programmi che, unitamente
all’utilizzo di hardware a basso costo, rende istantanea ed economica
l’immissione dei dati di scavo da parte di più operatori, la loro gestione
in tempo reale, il controllo di essi in ogni momento e da ogni luogo, garantendone tanto una fruizione immediata nell’ambito della comunità
scientifica, quanto la consultazione semplificata da parte di un pubblico
generico. Primo tassello è @.Client, che si occupa dell’inserimento di
dati – nel momento stesso dell’individuazione, e non successivamente,
come sinora è avvenuto – di appunti e memoranda da dispositivo porta220
tile (notebook, netbook e, in fase di sviluppo, versioni per palmare e iPad)
collegato via Wi-Fi ad un computer (notebook, netbook o PC desktop) sul
quale gira @.Server, fulcro del sistema: esso controlla non solo ogni
scheda compilata in locale da @.Client ed inviata istantaneamente a fine
redazione, ma si occupa anche di gestire le diverse utenze (sono possibili
diverse istanze contemporanee di @.Client), di controllare la documentazione accessoria (numero di foto, piante, chiodi) e di permettere l’accesso ai dati da web, tramite @.Browser, consentendo al direttore di scavo o ad altri referenti di seguire da remoto l’avanzamento dei lavori. Al
problema, più volte evidenziato, della difficoltà manifesta dell’archeologia di spiegare sé stessa in contesti urbani, auspicando anzi che i cantieri di scavo – da sempre avvertiti dalla cittadinanza come un ostacolo al
normale svolgimento della vita quotidiana – siano il più possibili intellegibili ai non specialisti, risponde @.Touring: tale programma consente,
con il minimo dispendio di tempo e di energia, di coinvolgere la cittadinanza o i visitatori illustrando loro quanto stia avvenendo e quali risultati
si stiano ottenendo all’interno del cantiere archeologico, essendo connesso ad @.Server. In tal modo si può cercare di ottemperare meglio a quel
fine ultimo e obiettivo supremo che sempre deve riproporsi l’attività archeologica, ossia la divulgazione.
@rcheoNet costituisce dunque una prima, sperimentale proposta
integrata e completa, testata ed in attesa di verifica sul campo, che intende rispondere appieno alle necessità di una scienza in continua evoluzione, un’archeologia che possa essere davvero “2.0”.
SAVERIO GIULIO MALATESTA
Università di Roma “La Sapienza”
[email protected]
221
ARCHEOLOGIA VIRTUALE: IL CONTRIBUTO DEL
CONSERVATORE. DUE CASI DI STUDIO: VILLA DEI PISONI –
GOLFO DI BAIA (NA)
Verranno di seguito presentati due esempi di modellazione tridimensionale applicata all’archeologia e la metodologia seguita per la creazione degli elaborati. Oggetto di studio sono i resti dell’area archeologica
subacquea del Golfo di Baia, nella provincia di Napoli, e la ricostruzione
virtuale di alcune sue parti, prodotta in collaborazione con C.S.R. Restauro Beni Culturali di R. Mancinelli.
In generale per la creazione di modelli tridimensionali è indispensabile disporre di elaborati grafici del bene o dei beni che verranno rappresentati con la computer grafica. Per la produzione degli elaborati si
possono utilizzare vari metodi di rilievo finalizzati allo scopo oppure usare i dati di rilievi già effettuati. Nel caso in cui ci si avvalga di elaborati
creati da terzi, se le condizioni lo consentono, è fondamentale un sopralluogo del disegnatore che consentirà la comprensione del bene o del sito
da restituire, nonché la verifica, ed eventualmente l’arricchimento, dei
dati e la raccolta di ulteriori informazioni.
In entrambi i casi qui presentati si è partiti da rilievi e da riprese fotografiche già effettuate in quanto le particolari condizioni del sito non
consentono un sopralluogo.
Come prima fase i grafici sono stati elaborati e confrontati con le
fotografie. Sono state recuperate le informazioni più importanti ai fini della modellazione (disegni con diverse finalità contengono diverse informazioni) e creati i nuovi supporti grafici digitali che hanno costituito la
base del lavoro. Sono stati identificati i materiali e le finiture superficiali
dei beni antichi dove era possibile; in questa fase è stata indispensabile la
consulenza diretta del personale che ha operato in situ e le relazioni dettagliate degli esperti, sia archeologi che restauratori.
Nella seconda fase, dopo un’accurata valutazione ed interpretazione di tutti i dati a disposizione, e usando i nuovi supporti bidimensionali,
compatibili con i programmi di modellazione, si è creato il modello volu222
metrico del bene da rappresentare. Questo modello è stato ulteriormente
elaborato per ottenere i modelli definitivi sia per lo studio che per la resa
fotorealistica.
L’impossibilità di effettuare un sopralluogo da parte del disegnatore ha richiesto non solo una familiarità con l’archeologia o le architetture storiche in genere ma delle conoscenze specifiche sull’argomento.
La restituzione in 3D di un bene antico richiede prima di tutto la comprensione dell’oggetto in sé o delle sue parti superstiti. L’integrazione
virtuale delle parti mancanti si basa sulle informazioni esistenti, e se queste sono limitate o frammentarie vanno valutate e interpretate con la dovuta cautela, ricorrendo anche a paragoni con strutture pertinenti per periodo, zona o stile. Nei casi specifici, per l’interpretazione di questi dati,
il contributo dell’esperto, il restauratore R. Mancinelli che ha operato sui
beni specifici, è stato fondamentale.
PRIMO CASO: RESTITUZIONE
TRIDIMENSIONALE DI PORZIONE DI
MURO NELLO STATO DI FATTO E RAPPRESENTAZIONE DELL’ASPETTO
PREVISTO DOPO IL RESTAURO. VILLA DEI PISONI – BAIA (NA)
In questo caso lo scopo del lavoro è duplice. In
primis è quello di
ricostruire in modo
virtuale lo stato di
fatto del bene per
rendere comprensiModello virtuale del bene antico.
bile la sua volumetria attuale sia a chi
non ha accessibilità al luogo sia a chi interverrà su di esso (è utile ricordare che la visibilità sott’acqua è molto ridotta). In secondo luogo deve rappresentare con chiarezza il lavoro di restauro (pulitura e integrazione) che si intende fare sui resti.
223
Elaborato finale
della porzione di
muro nello stato di
fatto. Cfr. Tav.
XXIV.
Rappresentazione
digitale del bene
antico dopo il restauro. Cfr. Tav.
XXIV.
SECONDO CASO: IPOTESI
DI
RICOSTRUZIONE DI PAVIMENTAZIONE
ANTICA.
VILLA
DEI
PISONI – BAIA
(NA)
In questo caso il compito del
disegnatore è stato quello di proporre
una ricostruzione attendibile dello
Elaborazione della pianta
ambiente e del pavimento originario
dell’ambiente antico
del quale sono rimaste solo alcune
tracce e pochissimi frammenti.
Si è partiti dal rilievo dei resti fornito come immagine in formato
PDF. Si tratta di una documentazione archeologica molto dettagliata che
224
riporta perfettamente le informazione necessarie anche ai fini della ricostruzione virtuale.
Dopo l’attenta lettura del rilievo e l’identificazione, attraverso le fotografie, del materiale marmoreo superstite si sono fatte alcune ipotesi per la ricostruzione della pavimentazione. Di queste ipotesi solo
Particolare della
una, con i confronti necessari con degli esempi perpianta con la
tinenti per periodo e area, ha trovato riscontro. Sucdisposizione delle
cessivamente si è creato il modello basato sui dati del
lastre originali.
rilievo e integrato secondo l’ipotesi già avanzata e, in
fine, al modello sono state applicate le finiture superficiali creando i rendering.
Ipotesi intermedie di ricostruzione della tessitura del pavimento antico.
Ipotesi finale della disposizione delle lastre rappresentata come
modello tridimensionale. Cfr. Tav. XXIV.
225
Ricostruzione delle altezze e dei
rivestimenti parietali dell’ambiente
basata unicamente
su confronti con
ambienti simili.
Modello finale.
Cfr. Tav. XXIV.
Ipotesi finale basata sui dati dello
scavo con disposizione e tipologia
dei marmi della
pavimentazione.
Cfr. Tav. XXIV.
RINGRAZIAMENTI
I lavori qui presentati sono stati prodotti in collaborazione con C.S.R. Restauro
Beni Culturali di R. Mancinelli. Le immagini fotografiche e i rilievi originali sono proprietà dell’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro e sono stati realizzati nell’ambito del Progetto “Restaurare sott’acqua”. Si ringrazia l’ISCR per aver consentito la divulgazione del materiale.
GEORGIOS LAGIONIS
226
GLOSSARIO FONDAMENTALE
Ambient Occlusion: metodo di shading usato nella computer grafica
3D in grado di calcolare l’attenuazione luminosa in prossimità di volumi
occlusi. Si tratta di un metodo globale nel quale l’illuminazione di ogni
punto è in funzione della geometria della scena.
CAD: nella realizzazione puramente geometrica del modello l’acronimo viene utilizzato per indicare due differenti concetti, il ComputerAided Drafting ovvero il “disegno tecnico assistito al computer” tipicamente 2D, ed il Computer-Aided Design ovvero la “progettazione assistita al computer” tipicamente 3D. Quando il modello tridimensionale
viene realizzato per analisi statiche, dinamiche e strutturali si entra nel
campo del Computer-Aided Engineering (CAE), disciplina più vasta di
cui il CAD costituisce un sottoinsieme. I programmi CAD possono integrare strumenti di Computer-Aided Manufacturing (CAM), ovvero “fabbricazione assistita al computer”, che attraverso specifiche istruzioni appositamente generate sono in grado di dialogare con una macchina utensile atta a produrre il manufatto progettato.
Computer Vision: l’insieme dei processi di acquisizione, processamento, analisi e comprensione di immagini e dati dal mondo reale ai fini
della produzione di informazioni numeriche e simboliche. L’inizio della
CV si può fissare al 1920, quando si vollero mandare immagini digitalizzate dei quotidiani dall’Inghilterra all’America attraverso un ponte
radio supportato da sottomarini.
DEM: acronimo di Digital Elevation Model, una rappresentazione 3D
della superficie terrestre ottenuta da dati di elevazione. Da non confondere con il DSM (Digital Surface Model), che nei dati di elevazione include anche gli oggetti presenti sulla superficie quali case, alberi, ecc. (in
altri termini un DEM non filtrato) e DTM (Digital Terrain Model), il
quale si avvale anche di dati quali pendenza ed esposizione. Un ultima
tecnica per la generazione di modelli 3D è il TIN (Triangulated Irregular
Network data model), che si basa sulla triangolazione di Delaunay per
227
rappresentare la superficie del terreno come una serie di triangoli adiacenti che possono essere distribuiti anche in modo irregolare.
ECDL: acronimo di European Computer Driving Licence, la “Patente
europea del computer”, attestato riconosciuto in molti Paesi UE che certifica le capacità dell’utente di operare con i programmi base legati alla
“tecnologia dell’informazione” (IT). Il livello avanzato (Specialised) prevede certificazioni anche per CAD, GIS e multimedia.
GIS: acronimo di Geographic Information System, ovvero un sistema
che consente la catalogazione, l’interrogazione e la visualizzazione di n
informazioni derivanti da dati geografici (ovvero georiferiti). Da non
confondere con il SIT, per il quale vd avanti.
Global Illumination: con questa espressione si indica quel gruppo di
algoritmi usati in computer grafica 3D per aggiungere una illuminazione
realistica alle scene. Comuni algoritmi di questo gruppo sono il raytracing, la radiosity, l’ambient occlusion ed il photon mapping: possono essere combinati insieme per aumentare il grado di fotorealismo della scena, a discapito delle risorse computazionali. Oltre all’illuminazione diretta generata dalle sorgenti di luce, molti di questi algoritmi sono in grado
di calcolare anche la luce riflessa, diffusa o rifratta dalle altre superfici
presenti all’interno della scena, da cui “illuminazione indiretta”, secondo
il comportamento fisico del mondo reale.
GNSS: acronimo di Global Navigation Satellite System, ovvero il “Sistema Satellitare di Navigazione Globale” che fa uso di una o più reti di
satelliti artificiali intorno alla Terra per radiolocalizzare un punto (longitudine, latitudine, altitudine) sulla superficie terrestre o in atmosfera. Al
suo interno sono compresi il sistema statunitense NAVSTAR GPS, il sistema europeo “Galileo”, il sistema russo GLONASS, il sistema regionale cinese “Beidou” (futuro “Compass”, che arriverà a coprire l’area Asia/Pacifico), il futuro sistema indiano IRNSS, il futuro sistema francese
di precisione DORIS ed il futuro sistema regionale giapponese QZSS. In
base alla precisione adottata dal sistema si parla di GNSS-1 e GNSS-2: la
prima generazione di sistemi a cui appartengono quelli attivi attualmente,
si combina con il Satellite Based Augmentation System (SBAS) o il
228
Ground Based Augmentation System (GBAS); la seconda generazione, di
cui farà parte ad es. “Galileo”, userà le frequenze L1 e L2 per usi civili,
mentre la frequenza L5 per l’integrità di sistema.
LOD: acronimo di Level of Detail, ovvero la quantità d’informazione
visibile all’interno di una rappresentazione grafica. Organizzando il modello a diverse scale di dettaglio, che vengono gestite dal motore di rendering in tempo reale, la visualizzazione 3D varia in base alla posizione
del soggetto all’interno del mondo virtuale: in tal modo, l’impegno hardware e software della macchina viene bilanciato in base alle effettive esigenze. Una buona programmazione dei LOD di ogni modello si rende
oggi sempre più necessaria in virtù dell’esplosione dei mobile devices
che pur consentendo un facile e rapido accesso all’informazione non sono ancora dotati della potenza di calcolo installata invece su PC e console
grafiche di ultima generazione.
Materiale neutro: in computer grafica è un tipico materiale generalmente RGB 210,210,210 che consente una corretta valutazione dei parametri di illuminazione impostati per il rendering della scena.
PNG: acronimo di Portable Network Graphics, è un formato per la
memorizzazione di immagini creato nel 1995 di tipo platformless e lossless, ovvero con un algoritmo di compressione che non inficia la qualità
del prodotto finale. Ideale per il web, supporta anche il canale alpha della
trasparenza, cosa che lo rende ideale per la generazione di sequenze video da gestire con appositi software senza appesantire la gestione della
memoria RAM del sistema.
RGB: acronimo di Red-Green-Blue, è un modello di colori le cui specifiche sono state descritte nel 1931 dalla CIE (Commission Internationale de l’Éclairage), basato appunto sui tre colori fondamentali rosso,
verde e blu. Soltanto le “porpore” non possono essere descritte dalla miscelazione di questi tre colori, in grado di rappresentare quasi tutto lo
spettro dei colori visibili. Dal RGB discendono gli spazi colore comunemente usati, su tutti “sRGB” (tipico del web) e “AdobeRGB” (tipico della fotografia per via della sua maggiore ampiezza di gamma rispetto al
precedente).
229
RTK: acronimo di Real Time Kinematic, o cinematica in tempo reale,
tecnica usata nelle survey territoriali basata sulla correzione appunto in
tempo reale del segnale del sistema GNSS assicurato da una o più stazioni di rilievo fisse verso un ricevitore mobile detto rover.
SfM: acronimo di Structure from Motion, nella Computer Vision (vd
sopra) quel campo costituito da processi per il rilevamento di strutture tridimensionali di oggetti a partire dall’analisi di segnali di movimento attraverso il tempo.
Shader: indica il codice che descrive come una superficie si supponga
debba apparire, ovvero gli attributi dei materiali della superficie e gli effetti che ne determinano l’aspetto al momento del rendering.
SIT: «Il complesso di uomini, strumenti e procedure (spesso informali) che permettono l’acquisizione e la distribuzione dei dati nell’ambito dell’organizzazione e che li rendono disponibili, validandoli, nel momento in cui sono richiesti a chi ne ha la necessità per svolgere una qualsivoglia attività», secondo MOGOROVICH-MUSSIO 1988. Da non confondere con il GIS, per il quale vd sopra.
UAV: acronimo di Unmanned Aerial Vehicle, ovvero “aeromobile a
pilotaggio remoto”, secondo la definizione della Legge 14 luglio 2004, n.
178 e successive modifiche e decreti. Oggi meglio conosciuto come
RPAS, acronimo di Remotely Piloted Air System, costituisce quella categoria di veicoli che volano senza l’ausilio di un pilota a bordo. Si possono trovare, come sinonimi dell’acronimo, anche RPV (Remotely Piloted Vehicle), ROA (Remotely Operated Aircraft), RPA (Remotely Piloted Aircraft) e UVS (Unmanned Vehicle Systems). A seconda della dimensione e delle caratteristiche possono portare strumentazione di peso
variabile ed essere dotati di dispositivi automatici come la navigazione
pre-programmata o essere videocomandati a distanza da terra. Il primo
vero drone impiegato dall’Esercito Italiano fu il CL-89 o AN USD 501 e
risale agli anni ‘60 del secolo scorso: sconfinata è la lista di modelli attualmente esistenti così come le loro applicazioni in campo civile e militare.
230
231
Tavole
TAVOLE
232
233
Tavola I Ricostruzione tridimensionale del teatro.
Tavola II Sovrapposizione degli edifici di Laus Pompeia con il tracciato viario attuale
del comune di Lodi Vecchio.
234
Tavola III Il DEM generato e la relativa scala di riferimento.
Tavola IV Alcuni esempi della nuvola di punti RGB.
235
a.
b.
c.
d.
f.
e.
Tavola V Esempi di elaborati. a e b: rispettivamente ortofoto e DEM delle absidi della
chiesa di San Pietro (AQ). c e d: modelli tridimensionali a restituzione fotografica di
due elementi architettonici della chiesa dei Santi Stefano e Silvestro, Castelnuovo (AQ).
e: texture 3D di una finestra decorata del Monastero de San Prudencio de Monte
Laturce, La Rioja, Spagna. f: digitalizzazione in tre dimensioni direttamente sulla
texture a risoluzione fotografica.
236
Tavola VI Navigazione 3D in tempo reale all’interno del deposito archeologico
(elaborazione grafica V. Pinna).
Tavola VII Due diverse visualizzazioni tridimensionali relative ad altrettante fasi
dello scavo (elaborazione grafica V. Pinna).
237
Tavola VIII Colle Marena Falascosa (San Vittore del Lazio, FR), modello tridimensionale del terreno con curve di livello, in blu l’idrografia ed in rosso il rilevamento GNSS
del circuito murario (M.Manfrè).
Tavola IX Pietrelunghe-Casalucense (Cassino, FR), DEM con sovrapposizione di una
foto aerea del 1990 georeferenziata. In rosso il tracciato GNSS del circuito murario;
in blu il Rio Secco (M.Manfrè).
238
Tavola X In alto da sinistra indice DVI e indice NDVI, in basso immagine RGB: si noti
come le due tracce appaiano più evidenti grazie agli indici di vegetazione.
Tavola XI Viewshed analysis e cost surface analysis.
239
Tavola XII “Parole di Pietra”: un esempio di ricerca di epigrafe sulla cartografia.
Tavola XIII Esempi di acquisizione dati con laser scanner 3D, post-elaborazioni
e ricostruzioni virtuali.
240
Tavola XIV DEM estratto da una stereo-coppia Ikonos-2 e vestito con un’immagine
pan-sharpened (colour composite RGB 4-3-2) dello stesso satellite (elab. M. Limoncelli): l’elaborazione evidenzia le tracce mediate da una stentata crescita della vegetazione dovuta alla presenza di strutture interrate, in particolare quelle relative alla
maglia ortogonale dell’impianto urbano. 1, Porta di Frontino; 2, Teatro Nord; 3, Agorà
Nord; 4, Ninfeo dei Tritoni: 5, Cattedrale; 6, Terme Ottagonali; 7, Martyrion di S. Filippo; 8, Castellum aquae; 9, Teatro; 10, Insula 104; 11, Santuario di Apollo; 12, Santuario delle Sorgenti; 13, Agorà Civile; 14, Chiesa a Pilastri; 15, Terme Grandi; 16, Castello Selgiuchide; 17, Ginnasio. Le frecce indicano la cinta muraria proto-bizantina.
Tavola XV Ricostruzione tridimensionale della Stoà-Basilica nell’Agorà Nord
(elab. F. Gabellone, I. Ferrari, F. Giuri): particolare della parte centrale della facciata.
241
Tavola XVI Il “Trittico Portinari” di van der Goes nella visuale di Google Street View.
Tavola XVII Il “Trittico Portinari” di van der Goes nella visuale di Google Art Project:
è evidente rispetto alla tavola precedente l’attenzione alla fedeltà del colore ed alla
correttezza nella ripresa frontale.
242
Tavola XVIII Urbino, il Duomo: difetto di prospettiva, difetto di zenit, errata giunzione
delle fotografie all’interno di Google Street View.
Tavola XIX Un volume da restaurare ripreso sotto delle luci ad incandescenza. In fotografia appare (a sinistra) fortemente affetto da una dominante “calda”, rossastra. A fianco, lo stesso volume fotografato dopo aver bilanciato il bianco in modo corretto.
243
Tavola XX La carta archeologica di Trieste.
Tavola XXI La carta archeologica di Cividale del Friuli.
244
Tavola XXII @archeoNet: poster presentato nel corso del 2° Seminario
di Archeologia Virtuale.
245
Tavola XXIII Epigrafi in palmo di mano: poster presentato nel corso del 2° Seminario
di Archeologia Virtuale.
246
Tavola XXIV Il contributo del conservatore: poster presentato nel corso del 2°
Seminario di Archeologia Virtuale.
247
248
Finito di stampare nel mese di
marzo 2012 per conto di Espera s.r.l.
da UniversItalia s.r.l.
Printed in Italy
249