Brexit aggiornamenti e conseguenze finanziarie

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Brexit aggiornamenti e conseguenze finanziarie
BREXIT: aggiornamenti e conseguenze finanziarie
A breve prenderanno il via i lavori preliminari del comitato di negoziatori del Regno
Unito che dialogherà con l’UE, che ha già fatto capire dal canto suo, che, di fatto, non
ci sarà nessun negoziato fino a quando non sarà attivato l’Articolo 50 del Trattato di
Lisbona, per cui fino a quel momento le attività saranno perlopiù svolte dietro le
quinte.
Purtroppo non ci sono precedenti che possano avvalorare un processo di uscita,
poiché nessun Paese membro ha mai deciso di uscire dall’UE, e di conseguenza
nessun Paese ha mai deciso l’attivazione dell’Articolo 50. Quest’attivazione è l’unica
“via di fuga” ufficiale dall’UE, procedura che richiede una comunicazione ufficiale
da parte del Primo Ministro o del Parlamento del Regno Unito: solo da allora prende
forma l’Articolo 50 e iniziano i due anni di negoziati al termine dei quali il Regno
Unito sarà ufficialmente fuori dall’UE.
A oggi, a seguito delle dimissioni del Primo Ministro Cameron, il Regno Unito si
trova a essere senza la guida per procedere, pertanto occorre attendere l’elezione di
un nuovo Primo Ministro. La rosa dei candidati conservatori è già stata decisa e il
possibile futuro Primo Ministro dovrebbe essere eletto fra: Theresa May (fortemente
favorita nei sondaggi) attuale Segretario di Stato per gli Affari interni; Andrea
Leadsom, attuale Ministro dell’Energia; Michael Gove, Lord Cancelliere e
segretario di Stato alla Giustizia; Stephen Crabb e Liam Fox.
Per eleggere il leader conservatore e Primo Ministro, si terranno due turni di
votazioni: nel primo turno, sono i membri Tory del Parlamento a votare a più riprese,
eliminando di volta in volta il candidato più debole.
Quando alla fine rimangono in lizza solamente due candidati, la votazione viene
estesa agli iscritti al partito da almeno tre mesi , che attualmente sono 125’000,
tramite voto postale. A questo punto, sarà compito del nuovo leader conservatore
nonché Primo Ministro decidere quando comunicare ufficialmente all’UE la propia
intenzione di uscire dall’Unione Europea attivando quindi la procedura di uscita.
Tecnicamente ritardarne l’attivazione ha, per il Regno Unito, vantaggi e svantaggi:
indubbio vantaggio è di avere il tempo per prepararsi all’uscita, svantaggi perché più
lungo è il ritardo e minore sarà la volontà dell’UE di negoziare, come poi non
valutare gli ovvi svantaggi dovuti a potenziali minori investimenti finché non sarà
stata fatta maggiore chiarezza sulle partnership commerciali e finanziarie britanniche
del dopo UE.
Il nuovo leader dei Conservatori sarà annunciato verso la prima decade del mese di
Settembre. Le date seguenti del 16 Settembre, riunione del Consiglio Europeo, e
del 2/5 Ottobre congresso annuale del Partito Conservatore, fanno supporre che
l’Articolo 50 non sia o non possa essere attivato prima del 2017. Dal suo canto
l’UE ha annunciato un periodo di riflessione di 9 mesi che si finirà nel marzo 2017
giusto quando si terranno i festeggiamenti per il 60mo anniversario della firma del
trattato di Roma.
Ci sono remote possibilità che l’Articolo 50 non sia mai attivato, il rischio esiste,
tuttavia il processo di uscita del Regno Unito dall’UE ancorché non ufficialmente
lanciato è ormai di fatto avviato. Molti paesi richiederebbero delle maggioranze
qualificate per decisioni così importanti, ovvio che un referendum consultivo che
si basa su di un risultato, dove solamente il 36% degli aventi diritto ha votato per
l’uscita apra la porta a molte contestazioni, tuttavia l’unica scappatoia potrebbe
essere una votazione parlamentare contraria oppure una nuova elezione generale.
Uno dei fattori chiave sul quale I fautori della Brexit hanno spinto molto per il
referendum è stato il tema della migrazione, l’UE ha fatto capire che ogni tipo di
accordo commerciale che preveda l’accesso al mercato unico europeo deve essere
conseguente all’accettazione delle libertà europee, incluso il libero movimento delle
persone.
Se l’avvio delle negoziazioni tramite l’Articolo 50 potrebbe essere l’arma negoziale
britannica, ogni futura concessione sugli accordi commerciali è sicuramente l’arma
negoziale dell’UE nei mesi e anni a venire. L’UE ha dimostrato, a parole per il
momento, che ha molto a cuore la gestione dei negoziati con il Regno Unito, al fine
di non trasmettere un messaggio di debolezza, e di conseguenza non ha, per il
momento, alcun incentivo a essere accomodante.
Probabilmente il modello britannico non seguirà le strade già esistenti con
alcuni importanti “vicini” dell’UE come Norvegia, Svizzera e Turchia. I primi due
casi è stato richiesto, e di fatto imposto, il libero movimento delle persone e
l’assoggettamento alle norme europee (senza peraltro essere parti attive nel
legiferare), e addirittura nel caso della Norvegia c’è un contributo annuo all’UE.
Sarebbe forse auspicabile la creazione nei confronti del Regno Unito di accordi
bilaterali sulla base di quanto concordato con il Canada che prevede solamente il
commercio senza dazi, molto più blando, e molto più semplice da mettere in opera,
rispetto a quelli con Norvegia e Svizzera.
Del resto, se il nuovo governo del Regno Unito decidesse di ignorare le domande di
maggiore sovranità e controllo della migrazione, ed entrare nello spazio economico
europeo (EEA, come la Norvegia) farebbe meglio a restare direttamente in UE perché
manterrebbe almeno la possibilità di influenzare scelte e leggi cui deve comunque
sottostare.
Uno dei punti più controversi del referendum è un punto chiave che riguarda l’assetto
federale del Regno Unito, all’interno del quale due stati come la Scozia e Irlanda del
Nord hanno dato un chiaro segnale di voler rimanere in UE.
Molto probabilmente la Scozia avrà un’altra possibilità di richiedere l’indipendenza,
ma questo avverrà soltanto dopo la definizione dei termini dell’uscita del Regno
Unito dall’UE. Potrebbero esserci diverse ragioni perché questo avvenga: per primo è
evidentemente prematuro richiedere l’indipendenza dal Regno Unito prima che sia
chiaro che tipo di relazione sia sviluppata con l’UE; secondo il petrolio, importante
fonte d’introiti per le casse nazionali, quota intorno ai 50 dollari al barile, prezzo
notevolmente inferiore rispetto a quando il primo referendum scozzese fu lanciato
anni fa; terzo lo Scottish National Party nel caso di un secondo referendum
sull’indipendenza vuole essere sicuro che vi sia un ampio consenso, onde evitare una
seconda sconfitta; quarto il governo di Londra, infine, non avrebbe le energie e le
capacità di tenere contemporaneamente due negoziati con Bruxelles per l’uscita
dall’UE e con Edimburgo per l’indipendenza della Scozia.
In tutto questo marasma politico, lasciando stare la valutazione sul processo di uscita
dall’UE da parte del Regno Unito, si è finalmente notata la presenza della Banche
centrali che hanno avuto la possibilità di reagire e agendo senza troppo preannunciare
gli interventi effettuati, lavorando dietro le quinte con un’efficacia che forse molti
operatori si erano scordati.
Si può intravedere, dopo I primi interventi, la possibilità, espressa nel discorso di
Mario Draghi su un nuovo coordinamento monetario globale, che a questo punto
diventa alquanto plausibile. Bank of England dovrebbe intervenire a luglio o molto
più probabilmente ad agosto, mentre si fanno sempre più insistente le voci di un
possibile miglioramento del programma QE della BCE.
Indubbiamente ha molto aiutato l’esito delle elezioni Spagnole, che hanno calmierato
i mercati obbligazionari, non essendoci stato il tanto paventato sorpasso di Unidos
Podemos nei confronti del partito socialista spagnolo. Inoltre il consolidamento del
mercato obbligazionario, e la continua ricerca di possibilità di rendimento più
remunerativi su alcuni titoli con dividendi interessanti, hanno contribuito a contenere
la volatilità dei mercati dopo le difficili giornate del 24 e 27 giugno.
Mosè Franco
consulente finanziario di Zest SA
5 luglio 2016