ospedaletti non si dimentica - Automotoclub Storico Italiano

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STORIEDISPORT
OSPEDALETTI
NON SI DIMENTICA
“
C
ercate di anticipare un po’ le staccate. Insomma, per una volta cercate di non correre...”. Lo
speaker ripete gli inviti alla prudenza già detti e ridetti,
raccomanda di non esagerare, di evitare mischie un po’
troppo ravvicinate e pieghe un po’ troppo ardite. Parla
e quelli che ha davanti annuiscono: poco ci manca che si
impegnino a rispettare la consegna con un giuramento
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solenne. Pur se sono uomini, mica ragazzini pronti a sgomitare per farsi notare, per ritagliarsi un posto al sole. Fra
loro, persone che hanno consumato tempo e attrezzi per
riportare all’antico splendore veri gioielli del tempo che
fu, ma anche un plotone di campioni veri, assoluti, totali.
Gente che ha già dato, che ha regalato a moltitudini di appassionati emozioni indelebili. Che non deve dimostrare
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niente a nessuno. E poi, questa è una rievocazione, non
una gara.
Via, allora, a gruppetti. Con le splendide di un passato
anche remoto divise in batterie. Sette, una per le moto
costruite e cesellate sessanta e passa anni fa, una per gli
scooter, i cinquantini e le centoventicinque e via elencando no alle “tre e mezzo” e alle “mezzo litro” che correvano negli anni Cinquanta e inne quelle che le hanno
rimpiazzate nei due decenni successivi. Pezzi rari. Tirati
a lucido anche più di quando era normale sentire le loro
voci nelle corse.
“Questa è una scommessa”, dice Eraldo Crespi. È stato
lui, storico primo cittadino del borgo rivierasco, a rilanciare l’idea di far rivivere il Trofeo Internazionale Sanremo. “Pensavo che fosse più semplice”, confessa a Giacomo Agostini che l’ha riconosciuto. “Ma non è stato lei,
trentasei anni fa...”. Sì, era stato lui a premiarlo nel 1972.
Quando a dirigere la baracca c’era ancora Michele Allavena, il Comandante. “Allora - aggiunge Crespi - l’impegno dell’amministrazione si esauriva nel concedere l’autorizzazione a chiudere le strade per due giorni e a poco
altro”. Già, a organizzare la manifestazione ci pensava il
presidente del Moto Club Sanremo. Con un manipolo di
volenterosi a dare una mano. Adesso la mano l’ha data
soprattutto l’A.S.I., con la commissione manifestazioni
moto presieduta da Palmino Poli.
Non dev’essere stato facile selezionare le moto. Dire di no
a qualcuno, dev’essere stato decisamente difcile.
Il risultato comunque è buono, decisamente molto buono.
C’è da lustrarsi gli occhi. E riempirsi il cuore. Per i pezzi
rari, certo. Ma anche per quelli che no a ieri l’altro
Moto e scooter d’epoca divisi
in sette batterie hanno ripercorso
il tortuoso tracciato cittadino
Molti i ricordi di chi
ci ha corso davvero
Nella pagina a sinistra, Giacomo Agostini in staccata
con la sua MV Agusta pluridecorata.
In questa pagina, a destra, la parata con i campioni
Eugenio Lazzarini e Marco Lucchinelli.
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In alto, Roberto Gallina; in basso, Vittorio Zito.
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si vedevano a grappoli. Per gli scooter, ad esempio. “Questi
erano i mezzi della disperazione”, sentenzia Luigi Cassola,
aggirandosi fra le “ruote basse”. Chiarisce: “Nessuno, in
fondo, li acquistava per passione”. Lui li conosce bene.
Ha passato una vita all’Innocenti, sa di cosa parla. È stato
protagonista di una lontana Sei Giorni nel Ponente ligure e non ha dimenticato come si maneggiano. Lo dimostra lasciando il paddock in sella ad una Lambretta A del
1948 per girare con gli altri. A settantanove anni. Vespa
e Lambretta e pure un Formichino che a sentirlo sibilare
mette i brividi: non è frastuono, è musica. Ah, il suono del
monocilindro centoventicinque prodotto a Bergamo da
Donnino Rumi. Indimenticabile come i tanti campioni
che sul tracciato “fra mare, ori e ulivi” hanno corso e
vinto. Ago, appunto: undici successi, il primo da cadetto
nel ’62 con una Morini 175, l’ultimo dieci anni dopo con
la MV “mezzo litro”.
“È un circuito meraviglioso”, sentenzia il pluridecorato
di Lovere. Spiega: “Ci sono curve da quarta e da prima, si
sale e si scende. Vincere qui non era come farlo da un’altra parte, qui si provava un piacere intenso, il piacere del
trionfo”. Roberto Gallina concorda: “Pur se i miei ricordi
non sono tutti belli”, sospira ripensando alla caduta alla
curva del cimitero e quella dopo il pontino. Ma soprattutto al suo ritiro del ’69 con la Benelli: “Ad Ospedaletti mi
sono giocato la carriera: avevo una moto ufciale eccezionale. Unico problema, la frizione che era dannatamente
dura e, con un cambio a sette velocità, solo per affrontare la curva del Piccadilly dovevo tirare la leva sette volte.
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Un tormento che avevo provato ad alleviare facendomi
fasciare polso e avambraccio da un massaggiatore che seguiva qualche pugile: mi era parsa una buona idea e invece
dopo appena due giri dovetti arrendermi perché la fascia
mi aveva bloccato la circolazione...”.
Colori e rumori. Profumi. Ricordi. Quelli di Angelo Tenconi: “Ero soprattutto un pilota da salite, ma ad Ospedaletti ci ho corso un paio di volte. Una con un’Aermacchi
che, davanti al traguardo, ballava così tanto che il direttore di gara era convinto che avessi rotto qualcosa, un ammortizzatore o qualche raggio. Voleva fermarmi con la
bandiera nera, non lo fece solo perché un meccanico lo
fermò: “Per l’Angelo - gli disse - è normale”. Apprezzamenti. Quelli di Remo Venturi: “Era il circuito più bello.
Anche il più pericoloso, forse, ma pareva disegnato apposta per dare vita a sde corpo a corpo! Quelli di Renzo
Rossi: “Il circuito era adatto alla mia Gilera Saturno. E soprattutto era fatto apposta per far divertire i piloti”. Anche
rimpianti. Quelli di Gianfranco Bonera: “Non ho avuto
la fortuna di correrci, ma appena ho sentito parlare della
rievocazione mi sono prenotato: in fondo, vederlo così, da
turista, è sempre meglio di niente”. Quelli di Marco Lucchinelli: “Neppure io ci ho mai corso, però ne ho sentito
parlare talmente tanto che appena arrivato, prima ancora
di andare in albergo, ho fatto un paio di giri in auto. Ebbene, tutto ciò che avevo sentito dire era vero: è un bel
Sul circuito di Ospedaletti Amilcare Ballestrieri ha ritrovato
la sua Motobi.
tracciato, è davvero un piccolo Tourist Trophy”. Non è da
molto che “Cavallo Pazzo” frequenta il giro delle storiche,
non è neppure previsto che giri. “Comunque io ho messo
la tuta in valigia e se salta fuori una moto, sono pronto...”,
avverte. Salta fuori: è una Suzuki 500 stradale, neppure
troppo datata. Non è che assomigli molto a quella con la
quale vinse il mondiale, ma chi si accontenta, si sa, gode.
E “Lucky” gode. Si inla nella “Parata dei Campioni”,
smanetta insieme a Gallina e Agostini, a Eugenio Lazzarini e Amilcare Ballestrieri. Diverte e si diverte: “Bello,
proprio bello. Mi piacerebbe fare qualche tornata con una
vera moto da corsa, anche una attuale”, fa a cose fatte.
“Anche se - aggiunge - la sicurezza è quella che è...”. Ago
sottoscrive. “Ma noi, da giovani, non ci badavamo”.
g.ran.
NON SI VEDONO MA CI SONO
Roberto Patrignani: presente. Il poeta delle due
ruote non si vede, ma c’è. È nel cuore di tutti, indimenticato e indimenticabile. “Sono un po’ glia
di Ospedaletti”, dice Marzia prima di consegnare a
Marcello Salighini il premio alla memoria del babbo. Eh già: i suoi s’erano conosciuti proprio nella
cittadina dal clima più mite della Riviera.
Anche Guido Mandracci c’è, c’è sempre stato. Come
Angelo Bergamonti e Paolo Isnardi, come i tanti,
troppi che dormono, dormono sulla collina. Per vederli, basta socchiudere un istante gli occhi.
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IL DECENNIO
GIACOMASSO
Inizia nel 1926 l’avventura su due ruote dell’officina di Moncalieri
Motociclette da 125 a 500 cm3 con motori Della Ferrera, Guizzardi e CO.M
di Matteo Comoglio
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erso l’inizio degli anni Venti l’economia
in Europa è in generale ripresa e lo stesso
avviene anche in Italia e a Torino, città già nota per
la casa costruttrice di automobili Fiat.
Le nuove scoperte in ambito meccanico fanno compiere passi da gigante all’evoluzione tecnologica nel
campo delle due e delle quattro ruote.
In particolare si andavano sempre più sviluppando le
motociclette, che, se all’inizio del secolo sono semplici biciclette con rudimentali motori poco afdabili, intorno a quegli anni cominciano a raggiungere
un grado di complessità tecnica notevole e molti piccoli costruttori assemblano telai e motori in piccole
ofcine. Questo è il caso della Giacomasso, una piccola casa costruttrice torinese oggi scomparsa.
L’avventura di questo costruttore inizia nel 1926,
anno in cui Felice Giacomasso fonda la “Fabbrica
Cicli Motore” con sede in via Nizza 15 a Moncalieri,
alle porte della città. Giacomasso produce dei telai
da bicicletta in tubi, che assembla poi con motori
Nella foto grande, una delle prime motociclette costruite dall’artigiano
piemontese nel 1926, la 125 a due tempi con motore della Ferrera,
qui nella versione da competizione con doppio carburatore. A destra,
la stessa moto nel 1949, aggiornata con impianto elettrico e fanali.
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In alto, il modello 175.
In basso, la 250 che poco si differenzia esteticamente
dalla “sorella” minore a parte i due scarichi laterali.
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prodotti da Della Ferrera o Guizzardi. Un esempio è
la Giacomasso 125, con motore Della Ferrera a due
tempi con cilindro sdoppiato.
Questa piccola motocicletta ha un semplice telaio
“sottocanna”, tipico della produzione precedente
agli anni Trenta. Ha una sella monoposto molleggiata per ovviare al telaio rigido.
All’anteriore presenta una forcella a parallelogramma in tubi, con unica molla centrale davanti al cannotto di sterzo.
Il freno è a nastro sulla ruota posteriore, ma alcuni esemplari allestiti per le gare lo montano anche
all’anteriore. Il motore come già detto è un 125 cm³
a due tempi con la particolarità di avere il cilindro
sdoppiato e cambio a due marce. Alcuni esemplari
per le competizioni sono stati modicati con doppio
carburatore e doppia luce di scarico.
Negli anni 1927 e 1928 produce parallelamente alle
125 una motoleggera con motore CO.M. 175 a valvole in testa, di cui allestisce anche una versione da
competizione. Nel 1930 Giacomasso rileva la fabbri-
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ca di motori CO.M. 175 e 250 sia a valvole in testa,
sia laterali ed inizia la produzione della 175 S.S., una
bella motoleggera dalla linea moderna.
Viene abbandonato il telaio sottocanna per un più
innovativo telaio a culla; il serbatoio è a sella con
bocchettone di rifornimento a chiusura rapida.
Il motore è un monocilindrico a 4 tempi con doppia
uscita dei gas di scarico, il cambio è a tre velocità
con comando a mano di anco al serbatoio e frizione a secco. L’impianto elettrico e l’accensione sono a
magnete con batteria.
Nel 1933, Giacomasso presenta una nuova 175 denominata “Monviso”; il motore è sempre un monocilindrico a 4 tempi con valvole ed albero a cammes
in testa, e tutti gli organi meccanici racchiusi nel
basamento del motore, una soluzione estremamente
moderna.
Anche in questo caso l’impianto di scarico è sdoppiato con un’uscita a destra e una a sinistra.
I carter motore vengono utilizzati come serbatoio
olio: una soluzione innovativa che verrà ripresa mol-
Il lato sinistro delle due motociclette: nella 175 Monviso (in alto)
si può notare la trasmissione a cardano e il doppio scarico.
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ti anni dopo nella produzione di grande serie.
La trasmissione è a 4 marce con ingranaggi elicoidali e con comando a leva sempre a lato del serbatoio.
Il telaio è rigido con forcella anteriore a parallelogramma, con molla agente in compressione. Il serbatoio è a sella con una capacità di 9 litri ed è in
parte verniciato e in parte cromato.
La velocità massima è 95 km/h. Parallelamente viene prodotta un’altra 175 denominata “Turismo LusNella pagina a sinistra, dall’alto, il modello 250, da notare il cambio
a mano sulla destra del serbatoio; in basso, una vista del monocilindrico,
in evidenza il carburatore con aspirazione diretta.
In questa pagina, il basamento “rmato” Giacomasso.
so” con un monocilindrico a valvole laterali, niture
più economiche e prestazioni leggermente inferiori.
Per quel che riguarda le cilindrate superiori, sempre
nel 1933 viene prodotta anche una 250 cm³, un monocilindrico a 4 tempi con valvole in testa, cambio
a tre velocità, telaio a doppia culla rigida e velocità
massima di 115 km/h.
Negli anni 1934 e 1935 Giacomasso presenta altre due
versioni, rispettivamente di cilindrate 500 e 600 bicilindriche, di serie e da competizione, al Salone del
motociclo di Milano. Ma il 1935 sarà l’ultimo anno di
produzione per questa piccola azienda di Moncalieri,
che poco dopo chiuderà i battenti.
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