La realtà e la coscienza

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La realtà e la coscienza
La realtà e la coscienza
Gustave Courbet, Les demoiselles des bords de la Seinne (Etè),
(1857), Olio su tela, Parigi, Museè Petite Palais
Lettura dell'opera di Guido Carlo Argan
G. C. Argan, L'arte moderna 1770/1970, Sansoni, XIII ristampa. 1985, da
pag. 107 a pag .111
"Le poetiche romantiche attribuivano la massima importanza al significato
drammatico o patetico del soggetto; Courbet è persuaso che la forza della pittura sta
nella pittura e non nel soggetto. Nel rappresenta due ragazze di città che fanno la siesta
sotto gli alberi sulla riva del fiume, molti pittori le avrebbero presentate come ninfe
delle acque o dei boschi, Delacroix come le eroine di una avventura d'altri tempi.
Courbet non idealizza né le figure né il paesaggio. Le ragazze, nel loro abbigliamento
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vistoso, sono più piacenti che belle; non sono in posa, hanno le vesti in disordine; non
hanno nulla di spirituale, sono pigre, pesanti, insonnolite. Ed il paesaggio non è che un
breve tratto di sponda, un prato con qualche albero. Tutto ciò che si riteneva a priori
poetico è ripudiato: il bello, il grazioso, il sentimento della natura. Courbet vuole vedere
la realtà com'è, né bella né brutta: per arrivarci, non avendo altra strada, butta via tutti
gli schemi, i pregiudizi, le convenzioni, le inclinazioni del gusto.
Per toccar con mano la verità elimina la menzogna, l'illusione, la fantasia. Tale è il suo
realismo, principio morale prima che estetico: non culto ed amore, e devota imitazione,
ma pura e semplice constatazione del vero.
Benché sembri riprendere la realtà com'è, il quadro ha una costruzione
complessa e nuovissima. L'orizzonte è alto, quasi non c'è cielo; oltre il ciglio erboso c'è lo
smalto celeste dell' acqua sotto il sole; quello che avrebbe dovuto essere lo sfondo e
dare spazio ed aria alla composizione, è soffocato dalla massa folta degli alberi. Le foglie
che emergono sono individuate una ad una: non per gusto del particolare, ma per dare
il senso dell'aria immota. Più che rappresentare un paesaggio con figure, Courbet ha
voluto rendere l'atmosfera pesante, il torpore tra sensuale e opprimente, del meriggio
estivo, la vita puramente fisica delle persone e delle cose: nel prato fiorito le due donne,
con le vesti scomposte, sono due fiori enormi, carnosi, troppo sbocciati. Sono vedute
dall'alto, i corpi quasi premuti sull' erba, belle (semmai) d'una bellezza animale; e come
le loro forme non si modellano in uno spazio avvolgente, così i colori delle carni e delle
vesti non risultano su uno sfondo arioso ma sul vicino tappeto verde del prato. Manca,
volutamente, un centro, un asse ordinatore della visione. L'occhio è portato a spostarsi
da un punto all'altro, cedendo al richiamo delle note di colore squillante, disseminate
nel pur legatissimo contesto del quadro. Cerca l'orizzonte in quel piccolo tratto di cielo
ed è intrecciato dal ramo che si staglia verde sull'azzurro; tenta di indovinare le forme o
la posa delle figure e divaga nell'ammasso confuso e luminoso delle stoffe; si appunta
sui volti ed è rimandato più in là ai rossi vivi della borsa. Tutto ha la medesima
importanza, o non ne ha alcuna: non v'è motivo di attribuire alle figure umane un
significato diverso da quello degli alberi, dell'erba, dei fiori, della barca ormeggiata.
Benché ogni cosa sia veduta e si dia a vedere con la medesima intensità, la descrizione
non è particolareggiata: la pittura è larga e di denso impasto, la scala coloristica limitata
a pochi toni dominati (bianchi, rossi, verdi, bruni). L'unità del piano di posa (prato-fiume)
e la mancanza di un'architettura compositiva hanno due scopi: bloccare la fuga dello
sguardo verso l'orizzonte; far si che tutte le note coloristiche, ciascuna col proprio
timbro, emergano simultaneamente all'attenzione . Il quadro non restituisce un
episodio o un aneddoto, ma un frammento di realtà; il paesaggio non vuole
rappresentare la natura, ma un luogo qualsiasi; le figure sono vedute come mere
presenze fisiche, senza la presenza di interpretarne i sentimenti. C'è il piacere del riposo
ma anche l'oppressione dell'afa meridiana; sensualità e noia, bellezza e volgarità,
provocazione e pigrizia. La realtà è complessa, qualche volta confusa: bisogna prenderla
com'è. Non c'è nessun bisogno che il pittore ami le cose che dipinge né che lo spettatore
s'innamori del quadro. E il quadro medesimo non è la proiezione del reale, ma un pezzo
di realtà: gli impasti di Courbet sono spessi e pesanti la materia pittorica non è affatto
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dissimulata, è come la creta in cui l'artista plasma quella cosa reale che è il quadro.
In politica Curbet è stato un rivoluzionario, o piuttosto un ribelle: ha rifiutato la
Legiond'Onore , è stato ardente fautore della Comune (1871) e , come tale,
imprigionato, costretto a rifugiarsi in Svizzera, spogliato di tutti i suoi averi. Ma non ha
trasposto nell'arte la sua passione politica, come pure aveva fatto nel '30 un artista assai
meno impegnato, come Delacroix. Un realismo ideologicamente orientato non sarebbe
più un realismo , perché non rifletterebbe la realtà com'è, ma come si vorrebbe che
fosse. Il realismo di Courbet , tuttavia, risponde alla necessità di prendere coscienza
della realtà nelle sue lacerazioni e contraddizioni , di immedesimarsi con essa di viverla:
di formarsi cioè quella coscienza della situazione senza la quale l'ideologia non è spinta
rivoluzionaria, ma pura utopia, idea che non si realizzerà mai."
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