Donne allo specchio - Circolo del cinema Bellinzona

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Donne allo specchio - Circolo del cinema Bellinzona
Donne allo specchio
Quest’anno l’Occhio delle Donne esplora la vita di donne fuori dal comune che hanno
vissuto coraggiosamente andando contro gli schemi della società del loro tempo: 9 ritratti
raccontati e filmati da registe alcune note e altre meno conosciute. Il primo film,
Rosenstrasse, della regista tedesca Margarethe Von Trotta, narra di un collettivo di donne
che lottano per la liberazione dei loro mariti ebrei durante il periodo nazista; in seguito
proponiamo 4 lungometraggi dedicati a figure femminili individuali, iniziando da Artemisia
Gentileschi, una delle poche pittrici italiane del ‘600 che ha avuto un inizio di carriera
travagliato e che comunque non le ha impedito di esprimere il proprio talento arrivando poi
a una notorietà; il film La settima stanza della regista ungherese Marta Meszaros è il
ritratto di Edith Stein, filosofa ebrea vissuta nel ‘900 poi convertita al cattolicesimo e morta
in un campo di concentramento. Un angelo alla mia tavola di Jane Campion ritrae la vita
della maggiore scrittrice neozelandese Janet Frame, che conobbe il calvario
dell’internamento psichiatrico. Monster della regista americana Patty Jenkins racconta la
storia vera di Aileen Pittman prima serial-killer condannata a morte per 6 omicidi e
giustiziata mediante iniezione letale nello stato della Florida nel 2002.
Per arricchire questo spaccato di vite femminili, abbiamo inserito nella programmazione 4
documentari, sempre realizzati da registe, su alcune donne che hanno segnato la storia
recente italiana: Elsa Morante di Francesca Comencini nota scrittrice contemporanea, la
cui opera di maggior successo è “La Storia” scritto nel 1974; morta nel 1985 dimenticata
dai molti e in completa povertà; Alzare il cielo, ritratto di Carla Lonzi della regista italiana
Gianna Mazzini, la prima femminista dell’autocoscienza e della differenza sessuale,
fondatrice delle edizioni di Rivolta femminile dai primi anni ’70; La rissa degli angeli
(Amelia Rosselli) della regista Manuela Vigorita, poetessa segnata da una grande tragedia
famigliare: l’assassinio nel 1937 del padre Carlo Rosselli e dello zio Nello durante la
resistenza anti-fascista, morta suicida nel 1996; L’arte di una vita (Goliarda Sapienza)
sempre di Manuela Vigorita, donna testarda creativa all’inverosimile, grande attrice
pirandelliana, appassionata scrittrice e incredibile triste signora.
Per la visione di questi ultimi 4 documentari ringraziamo calorosamente Francesca
Comencini e Luciana Luconi di RAI Educational.
Un grazie anche ai Circoli del Cinema di Bellinzona, Locarno, al Cinema Lux di Massagno
e Tiziana Filippi per la scheda del film La settima stanza.
La foto della locandina è un dettaglio di un dipinto di Maria Luisa Snozzi.
ROSENSTRASSE – Germania/Francia/Olanda – 2003
Regia: Margarethe von Trotta; Sceneggiatura: Margarethe von Trotta,
Pamela Katz; Fotografia: Franz Rath; Montaggio: Corinna Dietz Rolla;
Musica: Loek Dikker; Scenografia: Heike Bauernsfeld Ann; Interpreti: Katja
Rieman, Maria Schrader, Jurgen Vogel, Martin Feifel, Jutta Lampe;
Produzione: Markus Zimmer, Studio Hamburg Letterbox Filmproduktion
Gmbh, Get Reel Productions, Studio Hamburg Produktion für Film &
Fernsehen, Tele-München (DE)
Dvd colore v.o. st.t, 136 min.
Berlino 1943: un centinaio di donne tedesche “ariane” si raccolgono in
Rosenstrasse, vicino ad Alexanderplatz, per reclamare la liberazione dei loro
mariti ebrei arrestati e, dopo spossanti trattative con le autorità naziste, la
ottengono.
La regista venne a conoscenza di questo episodio nel 1993, quando durante
il cinquantesimo anniversario dell’olocausto la televisione tedesca trasmise il
documentario “ Resistenza in Rosenstrasse” di Daniela Schmidt prodotto da
Arte.
Margarethe von Trotta cercò la documentarista iniziando così un’amicizia non
solo tra le due registe ma anche tra loro e le testimoni intervistate nel
documentario. La fascinazione di quelle donne ha subito presa sulla regista
che iniziò ad appassionarsi alla storia cercando documentazione di ogni tipo
fino a stendere la prima sceneggiatura.
È un film con una accurata e attendibile ricostruzione ambientale; una
compagnia di attori che credono in quello che fanno; e momenti di alta
intensità emotiva in cui i sentimenti privati si caricano e si rifrangono in
significati di memoria storica.
Con fantasia e coraggio la regista offre una riconciliazione, possibile oggi tra
generazioni, sofferenze e ricordi, tra il passato e il presente come ponte sul
futuro.
ARTEMISIA – PASSIONE ESTREMA Francia/ Italia/Germania – 1998
Regia: Agnès Merlet; Sceneggiatura: Patrick Amos, Agnès Merlot, Christine
Miller; Fotografia: Benoit Delhomme; Montaggio: Guy Lecorne, Daniele
Sordoni; Musica: Krishna Levy; Scenografia: Emita Frigato; Interpreti: Michel
Serrault, Valentina Cervi, Miki Manojlovic, Emmanuelle Devos, Frédéric
Pierrot, Luca Zingaretti; Produzione: Patrice Haddad, Première Heure, Urania
Film
35 mm, colore, v.o. 115’
Italia 1610. Artemisia Gentileschi ha 17 anni, suo padre Orazio è un pittore
molto ricercato che le trasmette la passione per la pittura. Secondo la
mentalità dell’epoca, però, alle donne non è concesso il diritto di studiare
all’Accademia, né di ritrarre nudi maschili, tuttavia Artemisia non ha
intenzione di piegarsi a queste regole e si ostina nel voler proseguire la sua
attività di pittrice. Osservando il suo corpo e, di nascosto, quello di un suo
giovane innamorato, cerca di dipingere i corpi e durante gli studi anatomici
affiorano pian piano i suoi primi turbamenti sessuali. L’incontro con Agostino
Tassi, artista sostenitore delle più moderne tecniche pittoresche, cambierà
radicalmente la vita della giovane che con il suo maestro scoprirà non solo la
passione, ma anche il dolore e l’umiliazione.
Storia di una fanciulla che, in un periodo in cui alle donne era concesso solo
di sposarsi e far figli, trova nell’arte pittorica, la sua indipendenza. Bisogna
dunque considerare Artemisia l’antesignana della rivendicazione femminile?
(www.revisioncinema.com)
Gentileschi Artemisia (Roma 8.7.1953-Napoli 1652)
Pittrice italiana, figlia e allieva di Orazio Gentileschi, che le trasmetterà il
profondo interesse per il Caravaggio, il cui stile influenza i lavori del pittore
romano. Come il padre amò la preziosità dei colori e la raffinata resa delle
stoffe. La vita di Artemisia Gentileschi è segnata nel 1611, dallo stupro subito
dal pittore Agostino Tassi, fidato amico di famiglia, e dal processo che ne
seguì. In seguito a questo scandalo andrà per un certo periodo a Firenze,
dove si sposerà con Pierantonio Stiattesi. A Firenze Artemisia continua a
dipingere, ispirandosi sempre al Caravaggio e al padre, ma elaborando un
propria tecnica: predilige tinte più violente con le quali crea i suoi magistrali
giochi di luce e ombra, tendenti a far risaltare qualsiasi particolare. I suoi
personaggi inoltre sono caratterizzati da un maggiore realismo dovuto alla
forte tensione che attraversa le figure. Il resto della sua vita è segnato da
continui spostamenti, dovuti in parte alle vicissitudini famigliari, in parte al
successo che riscontra: nel 1621 torna a Roma poi si sposterà a Venezia
verso il 1627. Nel 1630 si trasferì a Napoli, dove lavorò assiduamente,
accogliendo anche suggestioni dei maggiori pittori napoletani del primo
Seicento, soprattutto dello Stanzione e del Cavallino. Raggiungerà il padre a
Londra nel 1638 nella corte di Carlo I. Tornerà definitivamente a Napoli nel
1640, dove vi concluderà la sua vita.
Fra le sue opere si ricordano Giuditta con la fantesca (Roma, Galleria
nazionale), Maddalena (Firenze, Palazzo Pitti), Giuditta uccide Oloferne
(Firenze, Uffizi) rimarchevole per il suo naturalismo crudele, La strage degli
innocenti (Messina, Museo) e Nascita del Battista (Madrid, Prado)
Enciclopedia Universale Rizzoli Larousse, 1969
Grand Dictionnaire de la peinture, Royal Smeets Offset, Weert : 1992
http://www.cronologia.it/storia/biografie/artemisi.htm
http://www.wikipedia.org/wiki/Artemisia_Gentileschi
LA SETTIMA STANZA – Italia/Francia/Polonia/Ungheria – 1995
Regia: Marta Mészáros; Sceneggiatura: Roberta Mazzoni, Marta Mészáros,
Eva Pataki; Fotografia: Piotr Sobocinski Shore; Montaggio: Ugo de Rossi
Rolla; Musica: Moni Ovadia; Scenografia: Halina Dobrowolska; Interpreti:
Adriana Asti, Iwona Budner, Ileana Carusio, Elide Melli, Maia Morgenstern,
Jan Nowicki; Produzione: Ryszard Chutkowski, Morgan, Eurofilm,
Budapestfilm,…
dvd colore v.o. st.t. 110 min.
Il titolo La settima stanza, che fa riferimento al percorso di ricerca interiore
praticato e descritto da Teresa d’Avila, indica contemporaneamente il luogo
del martirio di Edith Stein (la camera a gas del lager ) e lo stato di
beatitudine e di conoscenza suprema quale punto di approdo dell’esperienza
mistica.
Con intensità e senza retorica Marta Mészáros tratteggia alcuni degli aspetti
essenziali della vita di Edith Stein, evidenziandone la complessa e
appassionata umanità: il rapporto profondo e sofferto con l’amatissima
madre, il suo difficile percorso di ricerca della verità nella fede, la volontà di
assumere la croce condividendo le sorti del popolo ebraico.
Ultima di sette fratelli, Edith Stein nasce nel 1891 a Breslavia, in Germania,
in una famiglia di ebrei ortodossi. Studia filosofia a Gottinga con Husserl,
padre della fenomenologia, del quale diventa assistente a soli 25 anni.
Intanto partecipa attivamente alla vita sociale del suo paese, schierandosi
con gli scioperanti e appoggiando le lotte femministe. Si avvicina al
cristianesimo attraverso il pensiero di Max Scheler. Ma è grazie alla lettura
del Libro della mia vita di Teresa d’Avila che si converte definitivamente.
Riceve il battesimo nel 1922. La sua scelta incontra l’incomprensione dei
famigliari e in particolare la disapprovazione materna .
Insegna alcuni anni dapprima presso l’istituto delle Domenicane di Spira e
poi presso l’accademia pedagogica di Munster. Le leggi di discriminazione
razziale promulgate con l’ascesa al potere di Hitler la costringono a lasciare
l’insegnamento. Edith Stein sceglie di restare comunque in Germania e nel
1934 si fa suora di clausura con il nome di Suor Teresa Benedetta della
Croce, entrando nel monastero delle Carmelitane di Colonia, ma senza
rinunciare al suo impegno filosofico .
Nel 1938 si rifugia nel Carmelo di Echt, in Olanda. Qui viene arrestata e
deportata nel campo di concentramento di Auschwitz. Si suppone che sia
morta, insieme alla sorella Rosa, il 9 agosto 1942.
Edith Stein è stata beatificata nel maggio 1987, e proclamata Santa
nell’ottobre del 1998.
Elsa Morante – Roma 1912-1985 – Francia – 1997
Regia: Francesca Comencini
Dvd 50 min. v.o. f
Nata – come i suoi tre fratelli minori – da una relazione extraconiugale della
madre, Irma Poggibonsi, con Francesco Lo Monaco, trascorre l’infanzia in
casa di Augusto Morante, suo padre soltanto nominalmente. Terminato il
liceo, Elsa va via da casa: per mantenersi, dà lezioni private e inizia a
collaborare con diverse testate giornalistiche. Con il suo primo romanzo,
Menzogna e sortilegio (1948), ella si impone all’attenzione generale. Nel
narrare la storia di una benestante famiglia meridionale tramite lo sguardo
febbrile e tormentato di una giovane donna, la Morante si allontana in
maniera assai netta dall’imperante modello neorealistico, dimostrando la sua
predilezione per il magico e la fantasticheria, in una chiave tuttavia caricata
d’angoscia dal confronto con la realtà. Dopo L’isola di Arturo scritta nel 1957
segue un decennio tormentato, provata da dispiaceri privati (la chiusura del
rapporto con Moravia, che aveva sposato nel 1941) e coinvolta dalle
inquietudini del periodo, pubblica Il mondo salvato dai ragazzini (1968). Con
La Storia (1974), la sua opera più conosciuta, parteggia apertamente per gli
umiliati e gli offesi, utilizzando un linguaggio piano e semplice e una trama
coinvolgente. Nel 1982 esce il suo ultimo romanzo, Aracoeli in cui traspare
pessimismo e disperazione. Costretta per parecchi anni ad una dolorosa
immobilità, si spegne nel 1985.
I tre documentari riguardanti le figure di Carla Lonzi, Amelia Rosselli e
Goliarda Sapienza, fanno parte di una serie ideata da Rai Educational
intitolata “Vuoti di memoria”, che si è occupata di raccontare le esistenze di
donne e uomini che la cultura italiana ha più o meno ignorato.
Alzare il cielo. Ritratto di Carla Lonzi – Italia – 2003
Regia: Gianna Mazzini
Dvd, v.o. i 20 min.
“La differenza femminile sono millenni di esclusione dalla storia. Approfittiamo
della differenza”.
Carla Lonzi (1931-1982) era una critica d’arte molto raffinata quando lascia la
professione nel 1970 per dedicarsi al lavoro di coscienza del femminismo:
una scelta di contestazione della cultura maschile e di rifiuto dell’integrazione.
In quell’anno pubblica il Manifesto di Rivolta Femminile, nel quale dichiara le
proprie scelte radicali e propone un pensiero e una pratica
“dell’autocoscienza” che destano scalpore e non poche ostilità. Nello stesso
anno pubblica – con la Casa Editrice Scritti di Rivolta Femminile da lei
fondata con le sue compagne – Sputiamo su Hegel, una critica
all’impostazione patriarcale della politica e della rivoluzione propugnata dalla
sinistra e, nel 1971, La donna clitoridea e la donna vaginale, che pone
riflessioni radicali sulla sessualità femminile e maschile e sulla storia della
cultura. Seguono altri scritti, l’ultimo dei quali Taci, anzi parla. Diario di una
femminista (1978) rivela il lavoro infaticabile della Lonzi sui rapporti e le forme
della relazione, nel quale la sua splendida intelligenza e il suo bisogno di
autenticità si mostrano nel dettaglio della messa in gioco.
Amelia Rosselli La rissa degli angeli – Italia – 2003
Regia: Manuela Vigorita
Dvd v.o. i. 20 min.
Amelia Rosselli (1930-1996) nasce a Parigi da Marion Cave e Carlo Rosselli,
emigrati politici durante il fascismo. Dopo l’assassinio del padre e dello zio,
vive in Ighilterra e negli USA, per poi tornare in Italia, nella città di Firenze,
dove studia composizione musicale. Nel 1949, dopo la morte della madre, si
trasferisce a Roma dove lavora come traduttrice (traduce anche Sylvia Plath,
con la quale condividerà la scelta del suicidio) e prosegue gli studi di
composizione di etnomusicologia, frequentando nel contempo l’ambiente
artistico. A 29 anni decide di dedicarsi professionalmente alla scrittura,
pubblicando varie opere poetiche tra le quali Variazioni belliche (1964), una
raccolta in cui si legge il ritmo faticoso della sofferenza, la fatica del vivere
un’infanzia dolorosa che aveva marcato la sua vita di donna. Una poesia
furiosa fatta di solitudine, di silenzio, di morte è anche quella di Documento
(1966-1973). La sua poesia suggestiva e potente, letta da lei stessa,
suscitava una forte commozione, in quanto comunicava il suo essere
antiintellettuale, solitario e fragile.
Goliarda Sapienza L’arte di una vita – Italia – 2003
Regia: Manuela Vigorita
Dvd v.o. i. 20 min.
Goliarda Sapienza nasce nel 1924 a Catania da una famiglia socialista
anarchica (la madre fu la prima donna a dirigere la Camera del lavoro di
Torino, il padre un avvocato sindacalista nella Sicilia prefascista). Muore a
Gaeta dove amava stare a lungo sulla spiaggia a guardare il mare. La sua è
stata una vita movimentata: dal successo come attrice negli anni 40
all’abbandono della carriera per un’intensa attività di scrittura, dalle vicende
giudiziarie che l’avevano portata in carcere a Rebibbia – dove è nato il libro
L’università di Rebibbia – e verso la fine della sua vita all’insegnamento al
Centro Sperimentale di Cinematografia.
Il suo libro più importante L’arte della gioia, frutto del lavoro di un decennio
(1967/76), ha avuto una storia editoriale di rifiuti a causa del suo contenuto
considerato immorale e scandaloso per la mentalità di quei tempi, fino a
trovare ascolto e accoglienza nei circuiti editoriali alternativi e nella coscienza
risvegliata di un gruppo di donne del nostro tempo che sono state in grado di
andare oltre il livello letterale e di coglierne il messaggio. Nessuna meraviglia,
poiché la storia, il personaggio, l’uso stesso della lingua agiscono come
un’onda d’urto contro stereotipi e ipocrisia.
UN ANGELO ALLA MIA TAVOLA – Nuova Zelanda/Australia/Gran
Bretagna – 1990
Regia: Jane Campion; Sceneggiatura: Laura Jones, Janet Fram; Fotografia:
Stuart Dryburgh; Montaggio: Veronika Jene; Musica: Don McGlashan;
Scenografia: Grant Major; Interpreti: Kerry Fox, Alexia Keogh, Karen
Fergusson, Iris Chum, Kevin J. Wilson, Melina Bernecker; Produzione:
Bridget Ikin, Grant Major, Australian Broadcasting Corporation, Channel Four
Films, Hibiscus Films.
35 mm, colore v.o. st. t. 158 min.
Janet Frame la maggiore scrittrice neozelandese, che, per una diagnosi
sbagliata di schizofrenia, patì 7 anni di manicomio e 200 elettroshock e si
salvò dalla lobotomia grazie a un premio letterario ottenuto la vigilia
dell’intervento. Basato sull’autobiografia (1983-85) in 3 parti (Nella tua terra,
Un angelo alla mia tavola, L’inviato di Mirror City), della stessa Janet Frame,
con l’adattamento di Laura Jones, è un’opera che, dopo Sweetie (1988) e
prima dell’acclamato Lezioni di Piano (1993), fa di J. Campion una delle
cineaste emergenti degli anni 90.
“Film sulla letteratura, ma non letterario, notevole per la forte fisicità della
scrittura, l’acume psicologico senza concessioni allo psicologismo, l’arte del
suggerire soltanto i passaggi esplicativi, la capacità di mostrare i grandi spazi,
il rifiuto del binomio romantico di genio e follia. Leone d’argento a Venezia nel
1990.”
Il Morandini. Dizionario dei film 2006, Laura, Luisa e Morando Morandini,
Zanichelli Editore, Bologna, 2005
Terza di 5 figli, Janet Peterson Frame (Dunedin 1924 – Dunedin 2004),
malata di solitudine e timidezza, condannata all’incomprensione e
all’isolamento perché troppo differente, si esilia in un suo mondo interiore. Nel
1951, una raccolta di sue novelle, La laguna e altre storie, pubblicate da un
amico le valgono un premio che la salverà da una lobotomia programmata
per il giorno successivo.
Il suo primo romanzo, Gridano i gufi, esce nel 1957. Nel frattempo Janet
Frame si trasferisce a Londra. Il suo secondo romanzo, Dentro il muro,
(1961) narra con un linguaggio poetico la follia e il mondo ospedaliero.
Seguono nel 1963, Giardini profumati per i ciechi, e la sua autobiografia in 3
volumi Un angelo alla mia tavola. Nello stesso anno, alla morte del padre, si
trasferisce in Nuova Zelanda e soggiornerà per qualche tempo negli Stati
Uniti. Nei suoi romanzi Janet Frame passa dall’esplorazione del mondo
interiore a quella del mondo esteriore.. In tutto pubblica 11 romanzi, 5
raccolte di novelle e una raccolta di poesie. Nel 2003 è candidata al premio
Nobel e l’anno seguente muore a 80 anni di leucemia.
MONSTER – USA – 2003
Regia: Patty Jenkins; Sceneggiatura: Patty Jenkins; Fotografia: Steven
Bernstein; Montaggio: Jane Kurson; Musica: Brian Transeau; Scenografia:
Edward T. McAvoy; Interpreti: Charlize Theron, Christina Ricci, Bruce Dern,
Pruitt Taylor Vince, Scott Wilson, Lee Tergesen, Annie Corley; Produzione:
Mark Damon, Charlize Theron, Newmarket Film Group
35 mm, colore, v.o. st. f/t 106 min.
Da molto tempo, Aileen vaga senza scopo e sopravvive prostituendosi. Una
sera, molto depressa, incontra in un bar la giovane Selby, è il colpo di
fulmine. Aileen per proteggere il loro amore e per mantenersi continua a
prostituirsi, finché una notte aggredita da un suo cliente lo uccide. Questo
primo crimine scatena una spirale di violenza. Il film è basato sulla storia vera
di Aileen Pittman, poi Wuornos (1956/2002) condannata 6 volte a morte e
giustiziata il 9.10.2002.
“Il film girato in ventinove giorni e a basso costo, nasce dal sodalizio di
Patty Jenkins e Charlize Theron. Oltre alle fonti giornalistiche e alla lettura
delle lettere scritte da Aileen a un’amica d’infanzia, si sono servite di due
documentari su di lei di Nick Bromfield. Istrionica la metamorfosi fisica
dell’interprete principale. Pure da ammirare quella di Christina Ricci, nella
parte di Selby. Notevole la scansione drammatica per il difficile equilibrio che
la regia mantiene tra compassione e lucidità verso Aileen, cercando di
spiegarne il retroterra e le ragioni, senza giustificarne gli atti. È forse il primo
serial killer dello schermo che suscita anche pietà. Non a caso è una donna,
raccontata da due donne.”
Il Morandini. Dizionario dei film 2006, Laura, Luisa e Morando Morandini,
Zanichelli Editore, Bologna, 2005
Eileen Wuornos nasce il 29 febbraio del 1956 da genitori giovanissimi. Il
padre Leo viene trasferito in istituti mentali del Kansas e Michigan per
scontare la pena di molestie su minori, la madre Diane abbandona Eileen e il
fratello Keith dai nonni, che nel 1960 li adottano legalmente. All’età di 6 anni,
Eileen resta ustionata al volto mentre cerca di appiccare il fuoco con una
bomboletta, insieme al fratello. A 14 anni resta incinta ma non si sente pronta
per tenere il bambino, che decide di lasciare, nel 1971 in un isitituto di Detroit.
Quello stesso anno la nonna muore e Eileen abbandona definitivamente la
scuola viaggiando per il paese. Dal 1974 al 1987 viene ripetutamente
arrestata per disturbo alla quiete, e altri reati. In quel periodo incontra la
ventiseienne Tyria Moore, il grande amore della sua vita. Nonostante la loro
passione duri solo poco tempo le due restano legate e viaggiano insieme per
il paese tra alti e bassi fino al 1989 anno del primo omicidio di Eileen.
Nell’arco di 3 anni muoiono altre 5 persone. Per la giustizia la chiave di volta
è fornita proprio da Tayra che durante una conversazione telefonica con
Eileen, pilotata dalla polizia, fa riferimento agli omicidi e Eileen, che ha capito
tutto, confessa, principalmente per chiarire l’estraneità di Tyria ai fatti.
Riconosce 6 omicidi, tutti attribuibili – dichiara – alla legittima difesa. Il
processo si svolge nel 1992 e la giuria la ritiene colpevole chiedendone la
pena capitale. Eileen viene condannata a morte. Le sue ultime parole
suonano sinistre come nella scena di un classico dell’orrore: “Tornerò”
(…) Estratto di un articolo di I.H.Magazine del 23 dicembre 2003, sulla vita di
Eileen Wuornos
Nonostante tutte le ricerche, per alcuni film
non si sono trovati i detentori dei diritti. Le
organizzatrici sono comunque pronte a
soddisfare le esigenze di associazioni o
persone che dovessero reclamarli.