gennaio 2013 - Corte Costituzionale

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gennaio 2013 - Corte Costituzionale
BOLLETTINO DI INFORMAZIONE
SULL’ATTUALITÀ GIURISPRUDENZIALE STRANIERA
gennaio 2013
a cura di C. Bontemps di Sturco, C. Guerrero Picó, S. Pasetto, M. T. Rörig
con il coordinamento di Paolo Passaglia
FRANCIA
1. Decisione n. 2012-286 QPC del 7 dicembre 2012, Società Pyrénées services ed altri
Impresa – Procedura di liquidazione – Iniziativa officiosa del giudice – Asserita violazione
del principio di imparzialità delle giurisdizioni – Questione prioritaria di costituzionalità –
Difetto di sufficienti garanzie di imparzialità al momento della decisione di merito –
Dichiarazione di illegittimità costituzionale.
2. Decisione n. 2012-258 DC del 13 dicembre 2012, Legge organica relativa alla
programmazione e alla governance finanziaria
Legge organica relativa alla programmazione e alla governance finanziaria – Attuazione del
Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e
monetaria, firmato a Bruxelles il 2 marzo 2012 – Controllo di costituzionalità obbligatorio –
Conformità alla Costituzione – Dichiarazioni di incostituzionalità limitatamente a previsioni
sull’Alto Consiglio delle finanze pubbliche e sulla funzione consultiva del Consiglio di Stato.
3. Decisione n. 2012-661 DC del 29 dicembre 2012, Legge finanziaria correttiva per il 2012
Infrazioni fiscali – Indagini giudiziarie – Avvio in caso di “qualunque manovra destinata a
confondere l’amministrazione” – Asserita violazione dei molteplici parametri costituzionali
– Ricorso di costituzionalità in via preventiva – Mancata modifica delle procedure e delle
garanzie che presiedono alle indagini in materia fiscale – Conformità alla Costituzione.
4. Decisione n. 2012-662 DC del 29 dicembre 2012, Legge finanziaria per il 2013
Legge finanziaria – Aumento delle aliquote fiscali – Eccessività – Asserita violazione del
principio di eguaglianza di fronte alla spesa pubblica – Ricorso di costituzionalità in via
preventiva – Incostituzionalità parziali.
GERMANIA
1. Ordinanza del 4 dicembre 2012 (1 BvL 4/12)
Stranieri extracomunitari – Titolari di un permesso di soggiorno previsto per un periodo
transitorio ai sensi dell’art. 104a AufenthG – Indennità per il congedo parentale – Spettanza
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– Esclusione – Asserita violazione del principio di eguaglianza – Questione di
costituzionalità in via incidentale – Motivazione insufficiente – Inammissibilità.
REGNO UNITO
1. X (Appellant) v Mid Sussex Citizens Advice Bureau and another (Respondent) [2012]
UKSC 59, del 12 dicembre 2012
Volontariato – Interruzione del rapporto da parte dell’ente – Asserita discriminazione
fondata sulla disabilità – Corte suprema – Applicabilità della normativa nazionale e della
direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di lavoro – Esclusione.
2. In the matter of A (A Child) [2012] UKSC 60, del 12 dicembre 2012
Abuso sessuale – Vittima asserita – Comunicazione dell’identità in un procedimento civile
coinvolgente il presunto autore del reato – Asserita violazione del diritto alla privacy con
conseguente lesione della salute mentale e fisica della vittima – Corte suprema –
Bilanciamento di interessi contrapposti – Prevalenza dell’interesse alla comunicazione.
3. Imperial Tobacco Limited (Appellant) v The Lord Advocate (Respondent) (Scotland)
[2012] UKSC 61, del 12 dicembre 2012
Devolution – Parlamento scozzese – Leggi sulla vendita di prodotti del tabacco – Asserita
violazione delle materie c.d. riservate – Corte suprema – Rigetto del ricorso.
4. Kinloch (Appellant) v Her Majesty’s Advocate (Respondent) (Scotland) [2012] UKSC 62,
del 19 dicembre 2012
Attività di indagine – Pedinamento – Asserita illiceità in difetto di autorizzazione – Corte
suprema – Pedinamento concernente spostamenti in luoghi pubblici – Rigetto del ricorso.
SPAGNA
1. SSTC 205/2012 e 206/2012, del 12 novembre, e 232/2012, del 10 dicembre
Estradizione passiva – Consegna dei propri cittadini – Audiencia nacional – Sussistenza di
una doppia cittadinanza “di fatto” – Asserita violazione del diritto alla tutela
giurisdizionale – Ricorsi di amparo – Erronea motivazione dell’Audiencia nacional –
Accoglimento.
2. STC 231/2012, del 10 dicembre
Processo del lavoro – Atto introduttivo – Utilizzo di espressioni colloquiali, superflue e
improprie per uno scritto processuale – Dichiarata inammissibilità – Asserito arbitrio da
parte del giudice – Ricorso di amparo – Accoglimento.
3. STC 238/2012, del 13 dicembre
Potere giudiziario – Riforma della legge orgánica – Previsione di una maggioranza
qualificata per l’approvazione di taluni acuerdos da parte del Consiglio generale del Potere
giudiziario – Asserita violazione del procedimento legislativo – Asserita violazione di taluni
principi costituzionali e della garanzia dell’indipendenza del Potere giudiziario – Ricorso in
via principale – Rigetto.
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STATI UNITI
1. 568 U.S. ___ (2012), No. 11-597, Arkansas Game and Fish Commission v. United States,
del 4 dicembre 2012
Proprietà privata – Terreni – Inondazioni temporanee ad opera dei pubblici poteri –
Mancato indennizzo – Asserita violazione della c.d. Takings Clause – Corte suprema –
Accoglimento del ricorso.
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FRANCIA
a cura di Charlotte Bontemps di Sturco
1. Decisione n. 2012-286 QPC del 7 dicembre 2012, Società Pyrénées services ed
altri
Impresa – Procedura di liquidazione – Iniziativa officiosa del giudice –
Asserita violazione del principio di imparzialità delle giurisdizioni –
Questione prioritaria di costituzionalità – Difetto di sufficienti garanzie di
imparzialità al momento della decisione di merito – Dichiarazione di
illegittimità costituzionale.
La Corte di cassazione ha sollevato varie questioni prioritarie di costituzionalità, su iniziativa
di diverse società, aventi ad oggetto l’articolo L 631-5 del Codice di commercio.
La disposizione contestata permette, tra l’altro, al tribunale di commercio di avviare d’ufficio
una procedura di liquidazione giudiziaria, quando un’impresa non può fronteggiare il suo
passivo con l’attivo disponibile 1.
Nel diritto processuale francese, la regola ne procedat judex ex officio si applica all’insieme
del contenzioso ed è stata riconosciuta come principio generale del diritto 2. Questo divieto non
ha però un carattere assoluto, essendo previste diverse eccezioni, che vanno via via
riducendosi3.
Le società ricorrenti lamentavano la violazione dell’articolo 16 della Dichiarazione dei d iritti
dell’uomo e del cittadino del 1789, e più precisamente il principio di imparzialità delle
giurisdizioni.
Il Conseil constitutionnel ha circoscritto le questioni di costituzionalità alle sole previsioni
del potere officioso del giudice.
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Di solito è l’impresa stessa che è all’origine di detta procedura quando non può pagare i suoi debiti. Tuttavia, il
Codice di commercio ha previsto che altri soggetti possano avviarla: un creditore dell’impresa, il pubblico ministero o il
tribunale.
L’avvio di questa procedura fissa la data a partire dalla quale il debitore si è trovato nell’impossibilità di
fronteggiare i suoi debiti; prevede un periodo di osservazione massimo di sei mesi, nel quale l’impresa in difficoltà
prosegue la sua attività, in condizioni particolari (sono, ad es., sospese o vietate le procedure individuali di recupero
crediti, nonché il corso degli interessi).
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CONSEIL D’ETAT, Rapport “De la sécurité juridique”, E. D.C. E., 1991, n. 43, 63 cit. in CONSEIL
Commentaire - Décision n° 2012-286 QPC du 7 décembre 2012, Société Pyrénées services et autres
(Saisine d’office du tribunal pour l’ouverture de la procédure de redressement judiciaire), in http://www.conseilconstitutionnel.fr/conseil-constitutionnel/root/bank/download/2012286QPCccc_286qpc.pdf, 4.
CONSTITUTIONNEL,
3
Nel diritto privato, sono previste ipotesi di iniziativa officiosa del giudice civile in materia di tutela dei minori,
mentre in ambito penale l’iniziativa officiosa è prevista per specifici delitti e contravvenzioni commessi in udienza.
Per maggiori dettagli su queste diverse procedure, v. CONSEIL CONSTITUTIONNEL, Commentaire - Décision n° 2012286 QPC du 7 décembre 2012, Société Pyrénées services et autres (Saisine d’office du tribunal pour l’ouverture de la
procédure de redressement judiciaire), cit. 4-7, con le relative posizioni della Corte di cassazione e del Consiglio di
Stato al riguardo (anche alla luce dell’articolo 6 della Conv. EDU).
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La declaratoria di incostituzionalità è stata motivata in tre passaggi: “(1) risulta, in via di
principio, che una giurisdizione non può disporre della facoltà di introdurre autonomamente un
giudizio nell’ambito del quale pronuncia una decisione dotata dell’autorità del giudicato; (2) la
Costituzione non attribuisce a questo divieto un carattere generale e assoluto, tuttavia (3) il
ricorso ex officio può essere giustificato, qualora la procedura non abbia ad oggetto la pronuncia
di sanzioni afflittive, alla sola condizione che sussista un motivo di interesse generale e che
siano istituite dalla legge garanzie idonee ad assicurare il rispetto del principio di imparzialità”
(Considérant 4).
Applicando detto principio alle disposizioni denunciate, il Conseil ha ammesso che esse
perseguivano un motivo di interesse generale, permettendo l’avvio di una procedura di
liquidazione giudiziaria volta a non aggravare la situazione dell’impresa in caso di inerzia del
debitore. Tuttavia, né le disposizioni contestate né alcuna altra norma legislativa prevedevano
garanzie legali atte ad assicurare l’imparzialità del tribunale nel momento in cui doveva
pronunciarsi nel merito, donde l’incostituzionalità della disciplina oggetto del giudizio di
costituzionalità.
2. Decisione n. 2012-258 DC del 13 dicembre 2012, Legge organica relativa alla
programmazione e alla governance finanziaria
Legge organica relativa alla programmazione e alla governance finanziaria
– Attuazione del Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla
governance nell’Unione economica e monetaria, firmato a Bruxelles il 2
marzo 2012 – Controllo di costituzionalità obbligatorio – Conformità alla
Costituzione – Dichiarazioni di incostituzionalità limitatamente a previsioni
sull’Alto Consiglio delle finanze pubbliche e sulla funzione consultiva del
Consiglio di Stato.
Il Conseil constitutionnel si è pronunciato, in virtù degli articoli 46 e 61 della Costituzione,
sulla legge organica relativa alla programmazione ed alla governance finanziaria.
Questa legge organica è stata adottata in seguito alla ratifica da parte della Francia (con la
legge n. 2012-1171 del 22 ottobre 2012) del Trattato sulla stabilità, sull coordinamento e sulla
governance nell’Unione economica e monetaria, firmato a Bruxelles il 2 marzo 2012, tenendo
conto di alcune osservazioni emerse nella decisione n. 2012-653 DC, del 9 agosto 2012 4,
relativa al medesimo Trattato.
Questa legge organica corrisponde ad una delle possibilità che il Conseil ha indicato per
attuare “il pieno rispetto e la stretta osservanza”, nell’ambito della procedura finanziaria, delle
regole contenute negli articoli da 1 a 3 del Trattato (l’alternativa è stata individuata in una
riforma costituzionale).
Il Conseil ha controllato partitamente (1) le disposizioni inerenti alle leggi di
programmazione finanziaria, (2) quelle relative alle leggi finanziarie ed alle leggi di
finanziamento della previdenza sociale ed alle loro leggi correttive, (3) quelle concernenti
l’Alto Consiglio delle finanze pubbliche, per poi enucleare quelle disposizioni che non rientrano
nell’ambito della legge organica.
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V. la relativa segnalazione della decisione nel numero di settembre 2012 di questo Bollettino.
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(1) Le disposizioni della legge organica relative alle leggi di programmazione finanziaria
determinano quali sono i loro ambiti esclusivi (obbligo di definire a medio termine il saldo
strutturale delle pubbliche amministrazioni e di evidenziare quali sono gli orientamenti
pluriennali finanziari) e facoltativi (alcuni sono condivisi con le leggi finanziarie e le leggi di
finanziamento della previdenza sociale – articolo 4 –, altri sono esclusivi delle leggi di
programmazione – articolo 2, ultimo comma –). Le disposizioni chiariscono poi il contenuto del
rapporto che è posto in allegato alle leggi (e che reca elementi che completano gli orientamenti
pluriennali contenuti nella legge stessa ed elementi di informazione e di illustrazione degli
orientamenti adottati ed il loro contesto), nonché la durata di programmazione contenute in
questi testi (3 anni per la legge di programmazione, con l’obbligo di determinare la durata degli
orientamenti pluriennali finanziari). Il Conseil constitutionnel ha ritenuto l’insieme di queste
norme conforme alla Costituzione.
(2) Le disposizioni relative alle leggi finanziarie ed alle leggi di finanziamento della
previdenza sociale precisano le informazioni che devono essere presenti nei rapporti allegati ai
relativi progetti di legge (valutazione previsionale dello sforzo strutturale a seconda dei vari
settori della pubblica amministrazione, a seconda dei prelievi obbligatori della previdenza
sociale; informazioni da dare in caso di differenze sostanziali riguardo agli orientamenti
pluriennali del saldo strutturale dell’insieme della pubblica amministrazione, ecc.). È stato
previsto che queste leggi dovranno ormai essere precedute da un articolo preliminare che
presenti lo stato delle previsioni del saldo dell’insieme della pubblica amministrazione. Il
Conseil ha dichiarato la legittimità costituzionale di queste disposizioni adottando una riserva di
interpretazione al fine di precisare che il carattere non completo della presenta zione
dell’articolo preliminare non può impedire l’iscrizione del testo all’ordine del giorno
dell’assemblea parlamentare.
(3) Per quanto riguarda le disposizioni relative all’Haut Conseil des finances publiques,
organismo indipendente presso la Corte dei conti, il Conseil constitutionnel ha censurato due
aspetti. La prima prevedeva audizioni parlamentari dei membri dell’Alto Consiglio nominati dal
Presidente della Corte dei conti e dal Presidente del Consiglio economico, sociale e ambientale;
il Conseil ha considerato che l’assenza di base costituzionale per un tale potere implicava una
lesione del principio di separazione dei poteri. Ha poi censurato le disposizioni relative al
parere del Consiglio di Stato sulle leggi finanziarie correttive e sulle leggi di finanziamento
della previdenza sociale correttive, per il fatto di essere stato previsto nel corso del loro esame
davanti all’Assemblea nazionale, e non, come richiesto dall’articolo 39 della Costituzione,
prima della delibera in Consiglio dei ministri delle disposizioni del progetto di legge.
(4) Infine, il Conseil ha precisato che varie disposizioni della legge organica non avevano
natura organica, ma ordinaria, degradandone conseguentemente il rango. Tra queste, ad
esempio, quelle relative ai dibattiti organizzati in Parlamento su documenti del Governo e
dell’Unione europea nell’ambito delle procedure relative ai debiti eccessivi, quelle concernenti
l’esigenza di parità dell’Alto Consiglio, ecc.
3. Decisione n. 2012-661 DC del 29 dicembre 2012, Legge finanziaria correttiva
per il 2012
Infrazioni fiscali – Indagini giudiziarie – Avvio in caso di “qualunque
manovra destinata a confondere l’amministrazione” – Asserita violazione
dei molteplici parametri costituzionali – Ricorso di costituzionalità in via
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preventiva – Mancata modifica delle procedure e delle garanzie che
presiedono alle indagini in materia fiscale – Conformità alla Costituzione.
Nell’ambito del controllo di costituzionalità della legge finanziaria correttiva per il 2012, su
iniziativa parlamentare, il Conseil constitutionnel ha rigettato la questione relativa alle
modifiche apportate alla procedura di indagine giudiziaria condotta dagli agenti
dell’amministrazione fiscale disciplinata all’articolo 28-2 del Codice di procedura penale.
Questa procedura permette di avviare le indagini al sussistere di situazioni che facciano scattare
una presunzione di infrazione fiscale con rischio di deperimento delle prove in ragione di “una
domiciliazione fiscale fittizia o artificiale all’estero” o di “qualunque manovra destinata a
confondere l’amministrazione”.
I ricorrenti contestavano queste previsioni (contenute nell’articolo 11 VII, comma 2) in
quanto inintelligibili e lesive della libertà individuale, della protezione della vita privata e
dell’inviolabilità del domicilio.
Il Conseil ha rigettato la questione, precisando che, con il permettere che alcuni agenti dei
servizi fiscali, su richiesta dell’autorità giudiziaria e sotto il controllo di quest’ultima, svolgano
indagini giudiziarie e ricevano rogatorie in casi di presunzioni di infrazioni fiscali derivanti da
una “manovra destinata a confondere l’amministrazione”, il legislatore ha semplicemente
completato la lista delle circostanze in presenza delle quali le indagini si attivano e non ha
modificato le procedure e le garanzie delle indagini in materia fiscale, rispettando così la
normativa costituzionale (Considérant 9).
4. Decisione n. 2012-662 DC del 29 dicembre 2012, Legge finanziaria per il 2013
Legge finanziaria – Aumento delle aliquote fiscali – Eccessività – Asserita
violazione del principio di eguaglianza di fronte alla spesa pubblica –
Ricorso di costituzionalità in via preventiva – Incostituzionalità parziali.
Il Conseil constitutionnel, adito da oltre 60 deputati e da oltre 60 senatori, si è pronunciato
sulla legge finanziaria per il 2013, dichiarando la conformità alla Costituzione delle tre
principali scelte politiche in essa contenute, vale a dire:
(1) l’aumento significativo (di trenta miliardi di euro) dei prelievi obbligatori;
(2) la modifica del regime fiscale delle rendite finanziarie al fine di applicare ad esse, nella
maggioranza dei casi, il regime fiscale del reddito da lavoro; di conseguenza, le rendite
finanziarie sono ormai soggette ad un prelievo obbligatorio più elevato rispett o a quello cui
sono soggetti i redditi da lavoro;
(3) l’aumento del numero delle soglie contributive ed un aumento delle aliquote delle
imposte sui grandi patrimoni (con fissazione di un tasso marginale massimo del 1,5% al fine di
tener conto delle capacità contributive e patrimoniali delle persone cui si applicano tali
imposte).
Il Conseil ha però contestualmente dichiarato l’illegittimità costituzionale di vari articoli o di
combinati disposti, in quanto lesivi della capacità contributiva delle persone e/ o del principio di
eguaglianza di fronte alla spesa pubblica.
La maggior parte delle declaratorie di incostituzionalità sono state relative ad una tassazione
superiore al 72-75%, considerata tale da imporre un carico eccessivo in termini di contribuzione
delle persone, donde la violazione del principio di eguaglianza di fronte alla spesa pubblica.
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Così, ad esempio, l’aumento della soglia delle imposte sul reddito, in combinazione con
l’articolo L 137-11-1 del Codice della previdenza sociale, aveva come conseguenza di portare la
tassazione delle pensioni integrative più alte ad una tassazione del 75,04% per il 2012 e al
75,34% dal 2013. Il Conseil ha quindi dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’ultima
aliquota delle pensioni integrative, riportando la tassazione massima al 68,34%.
Alla stessa stregua, ha censurato l’articolo 9 della legge finanziaria, che implicava una
tassazione di certi titoli dal 75,5% al 90,5%.
È stato sanzionato anche l’articolo 11, che modificava le imposte sui guadagni dalle stockoptions e dai titoli azionari; l’applicazione del regime delle imposte sul reddito implicava una
loro tassazione al 72% o al 77%, ritenuta non conforme alla Costituzione.
Il Conseil ha parimenti dichiarato l’incostituzionalità dell’aumento delle aliquote per i redditi
superiori a 150.000 euro che risultavano, con le nuove aliquote (articolo L 137 -14 del codice
della previdenza sociale) tassati fino al 73,2%; ritenendo eccessiva la tassazione per questi
redditi, la declaratoria di incostituzionalità delle ultime aliquote ha fatto sì che si riportasse la
tassazione massima di questi guadagni al 64,5%.
L’articolo 15 modificava la tassazione della plusvalenza sulla vendita dei terreni edificabili,
applicando ad essa il regime delle imposte sul reddito, con la conseguenza di tassare queste
operazioni fino all’82%; questa percentuale è stata ritenuta eccessiva dal Conseil, che ha quindi
pronunciato una dichiarazione di incostituzionalità.
Un’altra dichiarazione di illegittimità costituzionale è stata relativa all’articolo 12 della legge
finanziaria, che istituiva un contributo eccezionale di solidarietà del 18% sui redditi di una
persona fisica con redditi da lavoro superiori a un milione di euro. Il Conseil constitutionnel ha
motivato la sua dichiarazione con il principio di eguaglianza, in quanto la soglia era calcolata
per le singole persone fisiche e non per i nuclei familiari, presi invece in considerazione per le
imposte sul reddito e per i contributi eccezionali del 4% previsti per i redditi elevati. Ne
risultava che due nuclei familiari, pur avendo lo stesso reddito complessivo, potevano essere
assoggettati al – o al contrario esonerati dal – contributo eccezionale di solidarietà, a seconda
della ripartizione dei redditi tra i contribuenti del nucleo, donde la violazione del principio di
eguaglianza di fronte alla spesa pubblica.
Se il Conseil constitutionnel non ha sanzionato le scelte del Governo e del Parlamento che
consistono nell’aumento delle aliquote ed in una tassazione superiore dei redditi di capi tali, ha
invece sanzionato la disposizione dell’articolo 13 della legge finanziaria, che impediva di
integrare nel tetto delle imposte sui redditi elevati i benefici o redditi non realizzati o non a
disposizione delle persone, in quanto tale preclusione era da ritenersi contraria all’esigenza di
prendere in considerazione la capacità contributiva concreta del contribuente.
Ancora, per quanto riguarda i benefici fiscali, il cui tetto massimo era in passato fissato a
10.000 euro, e ora portato a 18.000 euro o al 4% del reddito imponibile in caso di investimenti
in oltremare o nel settore cinematografico, il Conseil constitutionnel ha ritenuto che la
maggiorazione prevista permetteva ad alcuni contribuenti di limitare il carattere progressivo
delle imposte e quindi costituiva una violazione del principio di eguaglianza dinanzi alla spesa
pubblica; ne è derivata l’incostituzionalità del riferimento al 4% del reddito imponibile (articolo
73 della legge oggetto del controllo).
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GERMANIA
a cura di Maria Theresia Rörig
1. Ordinanza del 4 dicembre 2012 (1 BvL 4/12)
Stranieri extracomunitari – Titolari di un permesso di soggiorno previsto
per un periodo transitorio ai sensi dell’art. 104a AufenthG – Indennità per
il congedo parentale – Spettanza – Esclusione – Asserita violazione del
principio di eguaglianza – Questione di costituzionalità in via incidentale –
Motivazione insufficiente – Inammissibilità.
Con ordinanza del 4 dicembre 2012, il Bundesverfassungsgericht ha dichiarato
l’inammissibilità di una questione di costituzionalità sollevata dalla Corte federale sociale
(Bundessozialgericht) in merito alla normativa sul congedo parentale (Bundeselterngeld- und
Elternzeitgesetz) che esclude i titolari di permessi di soggiorni ai sensi dell’art. 104a
dell’Aufenthaltsgesetz (AufenthG)1 dal godimento dell’indennità per il detto congedo. La Corte
federale sociale, che aveva denunciato una violazione dell’art. 3, comma 1, della Legge
fondamentale (principio di uguaglianza), non aveva, nel motivare la questione, sufficientemente
analizzato la situazione giuridica di base sulla quale aveva fondato la propria premessa e
pertanto non aveva osservato i requisiti necessari per rendere ammissibile un ricorso in via
incidentale.
Ai sensi dell’art. 104a AufenthG, gli stranieri c.d. “tollerati” (senza permesso) che potevano
dimostrare di avere, al 1° luglio 2007, un soggiorno pluriennale nel territorio federale avevano
titolo per ottenere, a determinate condizioni, un permesso di soggiorno, di durata limitata, fino
al 31 dicembre 2009. I titolari del permesso – tra cui l’attrice del processo a quo – non avevano
però, in base alla normativa scrutinata, il diritto all’indennità di congedo parentale.
La Corte federale sociale ha ritenuto che sia, in linea di principio, ammissibile che il diritto
all’indennità possa essere concesso limitatamente a quei soggetti per i quali sia prevedibile una
durevole permanenza in Germania. Tale orientamento sarebbe peraltro conform e alla
giurisprudenza costituzionale che ritiene che una prognosi positiva sulla permanenza possa
effettuarsi prendendo in considerazione sia lo status giuridico del soggiorno che tutte le
circostanze concrete dello stesso.
Secondo la Corte sociale, la norma sarebbe però incostituzionale poiché le disposizioni di cui
all’art. 104a AufenthG non permetterebbero di svolgere una prognosi in senso negativo sulla
permanenza nel territorio tedesco del soggetto interessato. La portata giuridica e la struttura
della disposizione di cui all’art. 104a AufenthG non escluderebbe, infatti, una valutazione in
senso positivo sulla durevole permanenza dei soggetti stranieri.
Il Tribunale di Karlsruhe ha ritenuto che la eccessiva sintesi che affliggeva la motivazione
della questione fosse d’ostacolo ad una pronuncia di merito, giacché non è compito del
Bundesverfassungsgericht chiarire le premesse giuridiche di una valutazione in termini di
costituzionalità di una norma oggetto di ricorso incidentale. Ciò, quantomeno, allorché la
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Legge sul soggiorno, sull’attività lavorativa e sull’integrazione nel territorio federale dei cittadini extracomunitari
del 5 agosto 2004 con succ. mod.
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situazione giuridica a livello di legislazione ordinaria non possa essere colta con immediatezza,
essendo resa complessa dalla concatenazione di varie norme di legge specifiche.
Nella specie, sarebbe pertanto stato necessario chiarire l’importanza della circostanza
secondo cui i titolari dei permessi di cui all’art. 104a comma 1, per. 1, AufenthG non possono
ottenere una carta di soggiorno a tempo indeterminato, e tener conto del fatto che, decorso il
termine del 31 dicembre 2009, questi soggetti dovevano soddisfare requisiti particolarmente
rigidi al fine di ottenere in seguito un permesso di soggiorno ai sensi di altre disposizioni
normative.
Se è vero che una prognosi positiva sulla permanenza può essere dedotta anche dalle
circostanze concrete del soggiorno, la Corte sociale non si era però espressa al riguardo ed
aveva invece basato la propria prognosi di permanenza esclusivamente sullo status giuridico del
soggiorno, privando il Bundesverfassungsgericht di ulteriori valutazioni imprescindibili ai fini
dell’ammissibilità del ricorso incidentale.
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REGNO UNITO
a cura di Sarah Pasetto
1. X (Appellant) v Mid Sussex Citizens Advice Bureau and another (Respondent)
[2012] UKSC 59, del 12 dicembre 2012
Volontariato
–
Interruzione
del
rapporto
da
parte
dell’ente – Asserita discriminazione fondata sulla disabilità – Corte
suprema – Applicabilità della normativa nazionale e della direttiva
2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di lavoro – Esclusione.
La Corte suprema ha confermato la non applicabilità al volontariato della direttiva
2000/78/CE e della normativa britannica sulla parità di trattamento in materia di lavoro.
Convenuto era un ufficio del Citizens Advice, un servizio che fornisce consulenze legali
gratuite a livello nazionale. L’ufficio aveva assunto la ricorrente come consulente volontaria; la
sua assunzione era avvenuta in seguito ad un colloquio ed alla firma di entrambe le parti di un
c.d. accordo di volontariato, il quale stabiliva i diritti ed i doveri reciproci, ma che era privo di
vincolatività giuridica. L’attività non prevedeva una retribuzione. Prima di iniziare l’attività, la
ricorrente aveva dovuto anche sostenere un corso di formazione.
Dopo circa un anno, l’ufficio aveva interrotto il rapporto lavorativo. La ricorrente aveva
asserito che la cessazione del rapporto costituiva una discriminazione fondata sulla disabilità ed
era dunque illecita ai sensi del diritto nazionale ed europeo. Nella specie, rilevava soprattutto la
direttiva europea 2000/78/CE, secondo la quale “[n]ei limiti dei poteri conferiti alla Comunità,
la presente direttiva si applica a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato,
compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene […] alle condizioni di accesso
all’occupazione e al lavoro, sia dipendente che autonomo, compresi i criteri di selezione e l e
condizioni di assunzione indipendentemente dal ramo di attività e a tutti i livelli della gerarchia
professionale, nonché alla promozione” 1. In particolare, la ricorrente sosteneva che le
circostanze nelle quali l’incarico le era stato conferito fossero tali da renderlo una
“occupazione”, con la conseguenza che la cessazione del rapporto costituiva un ostacolo
all’“accesso all’occupazione”, in violazione della direttiva. La ricorrente chiedeva altresì di
operare una richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea per
chiarire in maniera conclusiva l’applicabilità della direttiva alle attività di volontariato.
I tribunals e le corti inferiori avevano respinto il ricorso per difetto di giurisdizione: essendo
il rapporto in questione inquadrabile nel volontariato e non nel lavoro subordinato,
l’applicazione della normativa sopra citata era da escludersi.
La Corte suprema ha respinto il ricorso all’unanimità, affermando la non applicabilità tanto
della normativa nazionale – la quale richiede la conclusione di un contratto di lavoro,
circostanza nella specie non concretizzatasi – che della direttiva, perché non figura né nel suo
testo, né in documenti collegati, alcun intento di comprendere nella sua portata anche il
1
Art. 3(1)(a) della direttiva del Consiglio 2000/78/CE del 27 novembre 2000 che stabilisce un quadro generale per
la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.
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volontariato. Ad avviso della Corte, questa interpretazione non dà adito a dubbi e non è stato
pertanto ritenuto necessario adire la Corte di giustizia.
Pronunciando il judgment della Corte, Lord Mance ha ribadito la chiarezza dell’obiettivo
perseguito dalla direttiva. La ricorrente non poteva usufruire nella specie della tutela
dell’“accesso all’occupazione”, poiché questa consiste in una tutela dell’accesso a(d un settore
de)l mercato, e non ad un particolare posto di lavoro. Una tale lettura era suffragata dalle
traduzioni in altre lingue della direttiva, dall’assenza di riferimenti alla “occupazione” in altr e
previsioni della stessa e dal significato del termine internazionalmente concordato con la
Convenzione n. 111 dell’OIL. Inoltre, durante i lavori preparatori della direttiva, non si era
menzionato il volontariato; anzi, il Consiglio europeo aveva espressamente respinto una
proposta di estendere ad esso la portata della direttiva. Infine, nelle relazioni della Commissione
europea sull’attuazione della direttiva non vi è mai stata alcuna indicazione che la mancata
estensione al volontariato costituisse un motivo per criticare il Regno Unito.
A sostegno delle proprie tesi, la ricorrente aveva anche addotto due raccomandazioni della
Haute Autorité de Lutte contre les Discriminations et pour l’Égalité francese e la normativa
belga di attuazione della direttiva. La Corte ha affermato che le prime non meritavano
considerazione maggiore delle argomentazioni avanzate dall’omologo ente britannico
(l’Equality and Human Rights Commission), intervenuto in giudizio; la seconda aveva invece
una portata molto più ampia rispetto alla direttiva, e non poteva pertanto assistere nella sua
interpretazione.
2. In the matter of A (A Child) [2012] UKSC 60, del 12 dicembre 2012
Abuso sessuale – Vittima asserita – Comunicazione dell’identità in un
procedimento civile coinvolgente il presunto autore del reato – Asserita
violazione del diritto alla privacy con conseguente lesione della salute
mentale e fisica della vittima – Corte suprema – Bilanciamento di interessi
contrapposti – Prevalenza dell’interesse alla comunicazione.
La Corte suprema ha stabilito i criteri applicabili per determinare l’opportunità di
comunicare l’identità di una presunta vittima di violenza sessuale ad una corte che deve
decidere le modalità di visita della propria figlia da parte del presunto perpetratore della
violenza.
A seguito della separazione tra l’uomo e la madre della bambina, questa viveva con la madre
ed aveva contatti non sorvegliati col padre. L’autorità locale competente, venuta a sapere
dell’abuso sessuale asseritamente commesso in passato dal padre della bambina, ne aveva dato
notizia alla madre, aggiungendo semplicemente che riteneva fondato il racconto e mantenendo
il riserbo sull’identità della presunta vittima. La madre si era rivolta al giudice per chiedere di
modificare i termini delle visite del padre al fine di renderle sorvegliate. Il padre respingeva
ogni accusa di abuso sessuale. La corte adita aveva imposto all’autorità locale di comunicare le
informazioni relative all’abuso ed all’identità delle presunta vittima. L’autorità locale si era
però rifiutata per proteggere la salute psichica e fisica della presunta vittima.
Impugnato il rifiuto, il giudice di primo grado aveva riconosciuto la preminenza
dell’interesse alla riservatezza, mentre il giudice di secondo grado era andato di diverso avviso.
Prima dell’udienza dinanzi alla Corte suprema, l’identità della presunta vittima era stata
accidentalmente resa nota alla madre, ma non al padre.
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La Corte suprema ha unanimemente confermato la sentenza di secondo grado.
Il judgment è stato redatto da Lady Hale, che ha esordito con l’osservazione che nel presente
caso si chiedeva alla Corte di “conciliare ciò che non era conciliabile”, poiché alle parti
coinvolte si applicavano, più o meno, gli stessi diritti CEDU, che se fatti valere per uno,
facevano venir meno quelli dell’altro. Infatti, la presunta vittima aveva invocato i diritti alla
libertà da trattamenti disumani o degradanti ed al rispetto della vita privata, sanciti
rispettivamente dall’art. 3 e dall’art. 8 CEDU, diritti applicabili anche alla bambina; alla coppia
di genitori si applicava l’art. 8; a tutti i componenti del nucleo familiare, poi, si applicava anche
il diritto ad un equo processo sancito dall’articolo 6. Peraltro, i diritti sanciti dagli artt. 3 e 6
erano entrambi da ritenersi assoluti.
L’autorità locale poteva opporre la riservatezza dei propri archivi per tutelare l’interesse
pubblico; l’immunità che si faceva valere non era però assoluta e doveva essere bilanciata con
l’interesse del pubblico nell’equo processo. Il bilanciamento doveva inoltre tener conto delle
disposizioni della CEDU, incorporata nell’ordinamento britannico dallo Human Rights Act
1998.
Per quanto riguardava i diritti della presunta vittima tutelati dall’art. 3, il trattamento
potenzialmente disumano o degradante che la vittima rischiava di subire in seguito alla
comunicazione della propria identità doveva essere esaminato alla luce di tutte le circostanze
del caso. Nella specie, la vittima versava sì in condizioni di salute precarie, ma era allo stesso
tempo in cura presso medici specialisti che avrebbero potuto prendere misure atte a mitigare gli
effetti deleteri della pubblicità; inoltre, si doveva ricordare che la richiesta di comunicazione era
motivata da un importante interesse pubblico.
Per quanto riguardava, invece, il suo diritto al rispetto della vita privata ai sensi dell’art. 8, la
Corte suprema ha ribadito che le corti non hanno il potere, nei procedimenti civili ordinari, di
adottare procedimenti a porte chiuse; anche nei casi riguardanti minori, dove possono disporre
di una maggiore discrezionalità, esistono comunque forti argomenti contro tale prassi. Peraltro,
nella specie, il padre sarebbe stato effettivamente impossibilitato a respingere le accuse mosse
nei suoi confronti senza alcuna indicazione dell’identità della presunta vittima.
Dunque, la sola conclusione possibile era che il diritto all’equo processo e alla vita familiare
della bambina e dei suoi genitori costituivano una giustificazione sufficiente per la lesione del
diritto alla privacy della presunta vittima2.
3. Imperial Tobacco Limited (Appellant) v The Lord Advocate (Respondent)
(Scotland) [2012] UKSC 61, del 12 dicembre 2012
Devolution – Parlamento scozzese – Leggi sulla vendita di prodotti del
tabacco – Asserita violazione delle materie c.d. riservate – Corte suprema –
Rigetto del ricorso.
La Corte suprema si è pronunciata sulla compatibilità di due disposizioni di una legge
antifumo approvata dal Parlamento scozzese con le norme attributive di competenza legislativa
di cui allo Scotland Act 1998.
2
La Corte ha precisato che la vittima non era necessariamente obbligata a rendere testimonianza di persona nel
corso delle relative udienze; esistevano alternative valide, quali la semplice comunicazione della sua identità o la
testimonianza per scritto.
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Lo Scotland Act 1998 enumera una serie di “materie riservate” (reserved matters), in cui la
normativa prodotta dal Parlamento centrale non può essere modificata dal Parlamento scozzese 3.
Nella specie, rilevavano le materie riservate nel contesto della tutela dei consumatori , vale a
dire la “vendita e fornitura di beni e servizi ai consumatori” e la “sicurezza dei prodotti”.
La prima disposizione impugnata proibisce l’esibizione di prodotti del tabacco nei luoghi in
cui tali prodotti possono essere venduti, e la seconda proibisce l’uso delle macchine
automatiche per la vendita di prodotti del tabacco. Le disposizioni sono state impugnate in
quanto asseritamente contrarie allo Scotland Act, vertendo esse su materie riservate. Il ricorso è
stato rigettato in primo ed in secondo grado.
La Corte suprema ha confermato il rigetto all’unanimità. Lord Hope ha redatto il judgment
della Corte ed ha osservato che si trattava del primo caso in cui si contestava un Act of the
Scottish Parliament per l’asserita incidenza su materie riservate.
La Corte ha ribadito che il caso sollevava essenzialmente questioni di interpretazione delle
leggi, ed in particolare della legge del 1998, negando che a quest’ultima possa riconoscersi un
rango costituzionale e che, quindi, sia passibile di un’interpretazione basata su criteri speciali
rispetto a quelli generalmente in uso per le leggi del Regno Unito.
Si sono stabiliti tre criteri per determinare l’esorbitanza di leggi del Parlamento scozzese dai
poteri sanciti dallo Scotland Act. In primo luogo, la Corte deve tener conto soprattutto delle
disposizioni dello Scotland Act sopra citate, e non della giurisprudenza in materia. In secondo
luogo, la legge deve essere interpretata in maniera tale da attuare l’assetto da essa stabilito in
modo coerente, stabile e praticabile. Infine, si è ribadito che la natura “costituzionale” della
legge, pur non potendo costituire un parametro per la sua interpretazione, è comunque rilevante
ai fini di un approccio teleologico, il quale può assistere nella comprensione della terminologia
adottata dall’Act. Il contesto della legge è importante, ed a tal fine rilevano anche i relativi titoli
e le rubriche degli articoli.
Nella specie, le disposizioni delle legge scozzese in questione perseguono gli obiettivi di
dare minore visibilità ai prodotti del tabacco (con la conseguenza di un calo nelle vendite e del
fumo) e di rendere più difficile, soprattutto per minori e giovani, l’ottenimento delle sigarette.
La Corte ha stabilito che gli obiettivi perseguiti sono relativi alla tutela dei consumatori, ad
esempio nell’ottica di una tutela nei confronti di pratiche commerciali scorrette o del livello di
sicurezza nella produzione dei prodotti del tabacco. Nel perseguire tali fini, le disposizioni non
esorbitano dalle competenze del legislatore scozzese.
4. Kinloch (Appellant) v Her Majesty’s Advocate (Respondent) (Scotland) [2012]
UKSC 62, del 19 dicembre 2012
Attività di indagine – Pedinamento – Asserita illiceità in difetto di
autorizzazione – Corte suprema – Pedinamento concernente spostamenti in
luoghi pubblici – Rigetto del ricorso.
3
A meno che la modifica non abbia l’obiettivo di rendere coerente l’applicazione della normativa in questione alle
materie riservate.
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Il ricorrente di fronte alla Corte suprema era stato accusato di riciclaggio di denaro ed
arrestato al termine di un pedinamento da parte delle forze di polizia. Il pedinamento era durato
circa quattro ore e la polizia aveva monitorato gli spostamenti del ricorrente in luoghi pubblici.
Il ricorrente asseriva che l’assenza dell’autorizzazione necessaria per il pedinamento lo
rendeva illecito, e dava luogo ad una violazione della normativa scozzese in materia di poteri
investigativi4 e degli artt. 8 e 6 della CEDU. Il ricorso è stato avanzato per mezzo di un c.d.
devolution minute, ovvero secondo la procedura necessaria per valutare le questioni afferenti
alla devolution, tra cui, ad esempio, la compatibilità dell’esercizio di poteri da parte di membri
dell’esecutivo scozzese con i poteri ottenuti in seguito alla devolution, o con la normativa
comunitaria o CEDU. Subita, in primo grado, la condanna, l’attuale ricorrente ha depositato
un’ulteriore nota in cui argomentava che la decisione circa la liceità del pedinamento era
fondata su un precedente giurisprudenziale errato della High Court of Judiciary scozzese5.
In sostanza, il ricorrente poneva due questioni: se il pedinamento non autorizzato fosse o
meno compatibile con l’articolo 8 CEDU, e se l’utilizzazione delle prove da esso acquisite
costituisse o meno una violazione dell’articolo 6 CEDU.
La Corte suprema ha respinto il ricorso all’unanimità. Ha dapprima sottolineato che non era
affatto chiaro che la questione centrale del ricorso, ovvero l’asserita violazione dei diritti
CEDU, fosse suscettibile di essere sollevata attraverso la procedura riservata alle questioni di
devolution. La section 6(1)(d) dello Scotland Act 1998 stabilisce che si possa valutare la
compatibilità degli atti dei membri del Governo scozzese con la CEDU; lo stesso Act stabilisce
però che la polizia, che aveva eseguito il pedinamento, non fa parte del Governo scozzese 6. Non
sussiste pertanto alcuna questione relativa alla devolution, e la Corte suprema non avrebbe
giurisdizione sulla questione.
La nota supplementare depositata dal ricorrente era chiaramente motivata dal desiderio di
ovviare a questa impossibilità. La questione ivi evocata, però, non era stata sottoposta ai giudici
dei gradi inferiori, di talché essa era sottoposta al vaglio della Corte suprema in prima istanza,
ciò che non era compatibile con la giurisdizione della stessa Corte.
La Corte suprema ha riconosciuto che i vincoli alla propria giurisdizione avrebbero reso
opportuno il rigetto in limine del ricorso, ma ha accettato (pur con esitazione) di pronunciarsi
nel merito per una serie di motivi: la Corona inglese non si era opposta al ricorso; la corte di
appello scozzese lo aveva autorizzato; il vero intento era di accertare la validità della sentenza
scozzese che aveva fondato la decisione di liceità del pedinamento.
Nella specie, la Corte ha sottolineato l’assenza di una giurisprudenza CEDU direttamente
rilevante. Tuttavia, il pedinamento riguardava spostamenti avvenuti in luoghi del tutto pubblici;
era sufficiente questa circostanza affinché venisse meno ogni pretesa del ricorrente alla tutela
della privacy. Il pedinamento non era pertanto illecito, e la sentenza sulla quale si erano fondate
le corti inferiori, avendo impiegato la stessa logica, era stata decisa correttamente. L’asserita
violazione dell’art. 6 CEDU era fondata sulla sussistenza di una violazione dell’art. 8; poiché
quest’ultima disposizione non era stata lesa, neppure poteva dirsi violato il diritto all’equo
processo.
4
Il Regulation of Investigation Powers (Scotland) Act 2000.
5
Precisamente, Gilchrist v HM Advocate, 2005 (1) JC 34.
6
Si v. la Section 44(1).
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SPAGNA
a cura di Carmen Guerrero Picó
1. SSTC 205/2012 e 206/2012, del 12 novembre, e 232/2012, del 10 dicembre
Estradizione passiva – Consegna dei propri cittadini – Audiencia nacional –
Sussistenza di una doppia cittadinanza “di fatto” – Asserita violazione del
diritto alla tutela giurisdizionale – Ricorsi di amparo – Erronea motivazione
dell’Audiencia nacional – Accoglimento.
La sala prima e la sala seconda del Tribunale costituzionale hanno accolto i ricorsi di
amparo che erano stati presentati dall’imprenditore Hussein Salem Fawzi (STC 232/2012) e dai
figli, Khaled (STC 205/2012) e Magda (STC 206/2012).
Le autorità egiziane avevano richiesto alla Spagna l’estradizione di queste tre persone,
appartenenti all’entourage dell’ex Presidente Mubarak, e sospettate di aver creato una rete
internazionale di riciclaggio di denaro ottenuto illecitamente in Egitto. Avevano ac consentito
all’estradizione il Consiglio dei Ministri e, successivamente, l’Audiencia nacional. Secondo
quest’ultima, nonostante i tre soggetti avessero ottenuto la cittadinanza spagnola e rinunciato
alla cittadinanza egiziana, di fatto avevano mantenuto la cittadinanza di origine, come
dimostravano i lunghi periodi di soggiorno in Egitto e l’utilizzo indistinto dei passaporti
spagnoli ed egiziani. Questa doppia cittadinanza di fatto aveva comportato che l’ Audiencia
nacional disapplicasse l’art. 3, comma 1, della legge n. 4/1985, del 21 marzo, sull’estradizione
passiva, che vieta la consegna dei cittadini spagnoli allorché non esista un trattato di
estradizione con lo Stato richiedente, come è il caso dell’Egitto.
Il Tribunale costituzionale ha ritenuto che la motivazione delle tre decisioni di consegna
fosse irragionevole e lesiva del diritto fondamentale alla tutela giurisdizionale di cui all’art. 24
Cost. In primo luogo, nell’ottica del diritto interno, i ricorrenti sono unicamente cittadini
spagnoli: per acquisire la cittadinanza spagnola avevano dovuto rinunciare previamente alla
cittadinanza di origine e non esiste un accordo di doppia cittadinanza con l’Egitto.
In secondo luogo, la libertà di scegliere il luogo di residenza e di effettuare spostamenti degli
spagnoli sono protetti dalle libertà fondamentali di residenza e di libera circolazione di cui
all’art. 19 Cost., così come non si può concludere che queste persone abbiano abusato della loro
nazionalità spagnola per il solo fatto di mantenere parzialmente un vincolo con il loro Stato di
origine.
Infine, ai sensi dell’art. 11, comma 1, Cost., l’acquisizione, la conservazione e la perdita
della cittadinanza avvengono solo nelle ipotesi previste dalla legge, ma l’art. 3, comma 1, della
legge sull’estradizione passiva non contempla che lo “sfruttamento” della cittadinanza spagnola
già acquisita costituisca una causa di esclusione dell’applicazione del principio di non consegna
dei nazionali. La suddetta norma permette la consegna soltanto quando si acquisisca la
cittadinanza spagnola con il proposito fraudolento di rendere impossibile l’estradizione, ciò che
in questi casi era stato escluso dalla stessa Audiencia nacional.
Il Tribunale costituzionale ha tenuto a ribadire che il rifiuto della consegna non implica di
per sé l’impunità per i fatti per i quali agiscono le autorità egiziane, poiché l’art. 23, comma 2,
della legge orgánica sul Potere giudiziario riconosce la competenza dei giudici spagnoli a
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giudicare sui delitti riconosciuti come tali dalla legislazione spagnola e commessi fuori dal
territorio nazionale, purché i criminali siano spagnoli o stranieri che abbiano acquisito la
cittadinanza spagnola successivamente alla commissione dei fatti (come nel caso di specie: le
tre persone sono infatti sottoposte ad indagine da parte del Juzgado Central de Instrucción n. 5).
2. STC 231/2012, del 10 dicembre
Processo del lavoro – Atto introduttivo – Utilizzo di espressioni colloquiali,
superflue e improprie per uno scritto processuale – Dichiarata
inammissibilità – Asserito arbitrio da parte del giudice – Ricorso di amparo
– Accoglimento.
La sala prima del Tribunale costituzionale ha accolto il ricorso di amparo presentato da un
architetto contro i provvedimenti di un tribunale del lavoro di Ourense che dichiaravano
inammissibile ed archiviavano la domanda presentata nei confronti dell’impresa che lo aveva
licenziato, con cui si richiedeva il pagamento di talune somme non riscosse.
Con la prima delle decisioni si chiedeva al ricorrente di sopprimere quelle che, a giudizio
dell’organo giudiziario, non erano altro che espressioni “colloquiali, superflue ed improprie per
uno scritto processuale”. La seconda, a seguito del rifiuto di modificare il contenuto della
domanda, dichiarava l’archiviazione della domanda perché non era stato sanato il vizio
precedentemente segnalato.
Il ricorrente riteneva violati il suo diritto alla tutela giurisdizionale (art. 24, comma 1, Cost.)
e la sua libertà di espressione (art. 20 Cost.).
Il Tribunale costituzionale ha confermato l’effettiva violazione del diritto alla tutela
giurisdizionale (FJ 3). La domanda rispettava i requisiti sanciti dall’art. 80 della Legge sul
processo del lavoro e solo l’inadempimento di questi presupposti processuali avrebbe potuto
giustificare, prima, la richiesta di sanatoria prevista dall’art. 81 e, poi, l’archiviazione della
domanda a causa della mancata sanatoria del vizio. La richiesta iniziale di sanatoria non
individuava omissioni o vizi dei presupposti processuali, ma sollecitava la rimozione dallo
scritto di espressioni ritenute poco rispettose (peraltro non elencate), e l’inammissibilità traeva
origine nella mancata attenzione a quel sollecito. Per questo motivo, il Tribunale costituzionale
ha dichiarato che il giudice, non è che sia incorso in un formalismo eccessivo nell’interpretare
una norma processuale (interpretazione che, ad ogni modo, secondo giurisprudenza
costituzionale consolidata, deve essere pro actione), ma è incorso in un arbitrio vietato dall’art.
24 Cost., perché la decisione di inammissibilità difettava di base legale.
Per quanto riguarda, invece, la libertà di espressione, il Tribunale costituzionale ha escluso
che venisse in rilievo (FJ 4). La legge processuale non contempla come causa di inammissibilità
della domanda l’utilizzo di espressioni ingiuriose o poco rispettose. Se così fosse stato, sarebbe
potuto entrare in gioco questo diritto fondamentale, obbligando l’interprete a vincolare
l’inammissibilità della domanda all’offensività delle espressioni in essa contenute. Tuttavia, il
legislatore non ha previsto niente di simile e, quindi, il giudice non può dichiarare
inammissibile una domanda per il tipo di linguaggio utilizzato. Perciò, nella fattispecie, era
irrilevante valutare se i termini contenuti nella domanda fossero semplicemente volgari o
veramente offensivi, e questo a prescindere dal fatto che eventualmente in quest’ultimo caso il
soggetto potesse essere passibile di sanzione.
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3. STC 238/2012, del 13 dicembre
Potere giudiziario – Riforma della legge orgánica – Previsione di una
maggioranza qualificata per l’approvazione di taluni acuerdos da parte del
Consiglio generale del Potere giudiziario – Asserita violazione del
procedimento legislativo – Asserita violazione di taluni principi
costituzionali e della garanzia dell’indipendenza del Potere giudiziario –
Ricorso in via principale – Rigetto.
Il plenum del Tribunale costituzionale ha respinto il ricorso in via principale che era stato
presentato da ottantadue deputati del gruppo popolare nei confronti della legge orgánica n.
2/2004, del 28 dicembre, che ha novellato la legge orgánica n. 6/1985, del 1º luglio, sul Potere
giudiziario (d’ora in avanti, LOPJ).
La riforma, attuata dal primo Governo Zapatero, aveva lo scopo di rafforzare l’indipendenza
del Potere giudiziario e modificava la maggioranza necessaria per l’adozione di determinati
acuerdos del plenum del Consiglio generale del Potere giudiziario, novellando all’uopo l’art.
127 LOPJ. Per la nomina dei presidenti di sala e magistrati del Tribunale supremo, dei
Presidenti dei Tribunali superiori di giustizia delle Comunità autonome (art. 127, comma 1,
lettera c, LOPJ) e dei magistrati (il titolare ed il supplente) del Tribunale supremo incaricati di
autorizzare le attività del Centro nazionale di intelligence che interessano il diritto fondamentale
all’inviolabilità del domicilio ed al segreto delle comunicazioni (art. 127, comma 1, lettera d,
LOPJ)1, il plenum del Consiglio generale del Potere giudiziario non deve più adottare i suoi
acuerdos a maggioranza assoluta, ma a maggioranza rafforzata.
I deputati denunciavano che il nuovo regime fosse stato adottato per far sì che il Governo
potesse incidere sulla nomina delle alte cariche giudiziarie prevista per l’anno 2005.
Contro la riforma venivano addotte illegittimità formali e sostanziali. In prima battuta, i
ricorrenti desumevano l’illegittimità della legge per vizi nel procedimento legislativo derivanti
dal progetto di legge da cui traeva origine la riforma. Al riguardo, si evidenziava che il progetto
di legge del Governo riproduceva un’iniziativa legislativa ancora in itinere alla Camera; che il
Governo non aveva consegnato all’Ufficio di Presidenza della Camera le memorie ed i
precedenti dell’atto (richiesti ex art. 22 della legge n. 50/1997, del 27 novembre, sul Governo),
né l’apposito parere del Consiglio generale del Potere giudiziario (richiesto ex art. 108 LOPJ).
Il plenum del Tribunale costituzionale ha disatteso tali doglianze, segnalando che non si può
ritenere contraria al c.d. blocco di costituzionalità un’iniziativa che sia la riproduzione di altra
previamente respinta, per qualsivoglia motivo, dalle Camere. Tuttavia, lo stesso Tribunale ha
riconosciuto che non si è trattato di un “procedimento legislativo esemplare” (sic), poiché il
Governo ha inviato all’Ufficio di Presidenza della Camera gli stessi antecedenti predisposti in
occasione di un’iniziativa identica che era stata respinta in precedenza. Inoltre, il fatto che abbia
utilizzato per gli stessi motivi il parere precedente del Consiglio generale del Potere giudiziario
è stata una “irregolarità minore” (sic) riguardante il procedimento amministrativo preventivo al
procedimento legislativo stricto sensu e quindi non invalidante il procedimento legislativo (FJ
3).
1
La portata di questo primo comma è tuttavia più ampia, riguardando le cariche di Presidente del Tribunale supremo
e del Consiglio generale del Potere giudiziario, di vicepresidente del Consiglio generale del Potere giudiziario (lettera a)
e dei giudici costituzionali in quota Consiglio generale del Potere giudiziario (comma b).
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Riguardo all’asserita violazione di taluni principi basilari della democrazia, quali lo stato
democratico di diritto e la democrazia parlamentare (artt. 1 e 3 Cost.), il divieto di arbitrarietà e
la certezza del diritto (art. 9, comma 3, Cost.), il Tribunale costituzionale ha respinto tutte le
doglianze (FJ 6). Da un lato, l’esercizio della funzione legislativa costituzionalmente
riconosciuta al Governo non può considerarsi lesiva del principio democratico che la fonda,
fermo restando che, se del caso, la norma può essere espunta successivamente dall’ordinamento
per il concorso di vizi materiali di incostituzionalità. D’altra parte, il dissenso dei ricorrenti
riguardo alla portata della riforma non si traduce di per sé nella violazione dei principi
costituzionali addotti. Infine, i ricorrenti consideravano che l’applicazione della riforma ai
processi di selezione non conclusi al momento della sua entrata in vigore avrebbe potuto
mettere in atto uno sviamento di potere. Il plenum ha respinto la censura inerente alla violazione
del principio di certezza del diritto, ricordando che, nel caso in cui si fosse verificata una tale
eventualità, restava sempre aperta la via del ricorso alla giurisdizione contenzioso amministrativa, cui spetta il controllo delle decisioni del Consiglio generale del Potere
giudiziario (art. 143, comma 2, LOPJ).
Entrando nel merito della decisione, il fulcro del ricorso associava al nuovo testo dell’art.
127, comma 1, lettere c) e d), LOPJ una menomazione dello statuto di giudici e magistrati
conseguente alla violazione dell’indipendenza giudiziaria, garantita dagli artt. 103, comma 3,
117, 122 e 127 Cost., e alla violazione della natura stessa del Consiglio generale del Potere
giudiziario quale garante dell’indipendenza del potere giudiziario (art. 122 Cost.).
Il Tribunale costituzionale ha ribadito che la copertura di posti di nomina discrezionale che
spetta al plenum del Consiglio generale del Potere giudiziario deve rispettare il principio
costituzionale del divieto di arbitrio dei pubblici poteri (art. 9, comma 3, Cost.), il diritto
fondamentale di accesso in condizioni di uguaglianza alle funzioni e cariche pubbliche (art. 23,
comma 2, Cost.), nonché i principi di merito e capacità che devono ispirare l’accesso alla
funzione pubblica (art. 103, comma 3, Cost.). A partire da questi presupposti, il plenum del
Tribunale costituzionale ha dichiarato che “è necessario riconoscere che dal testo della
Costituzione non si può dedurre alcun limite al legislatore orgánico nella configurazione del
modo concreto con cui il Consiglio generale del Potere giudiziario deve adottare le decisioni
relative alla copertura di posti di nomina discrezionale […]. Nell’anno 2004, il legislatore ha
deciso che determinate nomine dovevano richiedere una maggioranza rinforzata di tre quinti dei
21 componenti del Consiglio, modificando l’anteriore previsione di una maggioranza assoluta, e
costringendo alla ricerca del consenso nell’adozione delle decisioni relative a queste nomine.
Accompagnava la modifica un riferimento, non impugnato dai ricorrenti, alla [necessaria] presa
in considerazione [nel processo selettivo] dei principi di merito e di capacità […]. Perciò, una
volta che è stato formalmente garantito il rispetto di questi principi, […] la maggioranza
richiesta per procedere alle nomine resta a discrezione del legislatore orgánico, senza che
l’opzione per una o un’altra maggioranza possa considerarsi contraria alla Costituzione.
È certo che la prima giurisprudenza costituzionale affermava che la «nostra Costituzione ha
instaurato una democrazia basata sul gioco delle maggioranze, prevedendo solamente in casi
tassativi ed eccezionali una democrazia consensuale basata su maggioranze qualificate o
rinforzate» [STC 5/1981, del 13 febbraio, FJ 21, a)], ma non è meno vero che si riconosce che
queste maggioranze qualificate o rinforzate sono necessarie quando lo giustificano la natura o il
carattere delle decisioni o degli accordi che devono essere presi […]. Nel caso che ci occupa,
una maggioranza tanto ampia quanto quella che viene richiesta al plenum del Consiglio generale
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del Potere giudiziario […] contribuisce a stimolare [la ricerca di] un ampio consenso in seno
all’organo di governo del potere giudiziario riguardo alle persone scelte per svolgere importanti
funzioni giudiziarie. Tutto ciò giustifica la ricerca di una maggioranza qualificata; maggioranza
qualificata che [al contempo] rafforza la legittimità delle nomine […]. È certo, come affermano
i ricorrenti, che l’esigenza di un maggior grado di consenso comporta la nascita di minoranze di
blocco. Ma questa realtà, sicuramente indesiderabile nel funzionamento del sistema, nella
misura in cui [tali minoranze] possono portare allo stallo nella assunzione di decisioni, non è di
per sé sufficiente per reputare incostituzionale l’introduzione di una maggioranza qualificata nel
procedimento di assunzione di decisioni del Consiglio generale del Potere giudiziario,
considerando peraltro che esistono ragioni che giustificano il ricorso alla stessa, [e che] la
Costituzione prevede maggioranze di questo tipo in diverse ipotesi, quando così lo consiglia il
tipo di decisione da adottare […].
Ritengono inoltre i ricorrenti che il maggior consenso comporti un maggior clientelismo dei
giudici e magistrati nei confronti del potere politico, attraverso l’interposizione del Consiglio
generale del Potere giudiziario, la cui indipendenza, d’altra parte, sarebbe interessata [dalla
riforma]. Ma questa affermazione […] non giustifica di per sé una dichiarazione di illegittimità,
perché presuppone un utilizzo sviato della norma da parte dei membri del Consiglio e, come
abbiamo già detto in alcuna occasione, «la semplice possibilità di un utilizzo sviato delle norme
non può essere mai di per sé motivo sufficiente per dichiarare la loro incostituzionalità, poiché,
nonostante lo stato di diritto tenda alla sostituzione del governo degli uomini con il governo
delle leggi, non c’è alcun legislatore, per quanto saggio sia, capace di produrre leggi di cui un
governante non possa fare un cattivo uso» (STC 58/1982, del 27 luglio, FJ 2; nello stesso senso
le SSTC 132/1989, del 18 luglio, FJ 14; 204/1994, dell’11 luglio, FJ 6; 235/2000, del 5 ottobre,
FJ 5; e 134/2006, del 27 aprile, FJ 4). Del resto, il clientelismo esiste o non esiste a prescindere
delle maggioranze che si richiedano in seno ad un organo per l’adozione di determinate
decisioni, o per procedere a determinate nomine, e non si può nemmeno partire dalla sua
esistenza certa per valutare la costituzionalità della norma sottoposta al nostro scrutinio, perché
l’ammissione di quell’esistenza mette in dubbio la legittimazione democratica del Potere
giudiziario che, nel nostro sistema costituzionale, deriva «direttamente dalla Costituzione, che
configura la giustizia come indipendente, sottoposta unicamente al diritto e non ad opzioni
politiche. Anzi, se in uno Stato non esiste un potere giudiziario indipendente (indipendenza che
si riferisce a tutti e ad ognuno dei giudici e magistrati che lo integrano), allora quello che difetta
è lo stato di diritto, elemento essenziale, com’è noto, di uno stato autenticamente
costituzionale» (STC 37/2012, del 19 marzo, FJ 5). Pertanto, e pur riconoscendo che il
funzionamento normale dell’istituzione deve essere preso in considerazione dal legislatore al
momento di attuare le riforme legislative che ritenga pertinenti allo scopo di migliorare il suo
funzionamento, poiché questo Tribunale [costituzionale] non può basarsi su una presunzione di
cattivo uso delle norme per dichiarare la loro incostituzionalità, soprattutto in un caso come
questo, in cui una tale presunzione comporta una concezione del nostro sistema politico come
uno stato di partiti che non rientra nella Costituzione e che, pertanto, non può servire a questo
Tribunale come motivazione; non può ritenersi neanche che siano stati violati il principio
dell’indipendenza giudiziaria (artt. 117 e 122 Cost.), né il divieto di appartenenza a partiti
politici dei giudici (art. 127 Cost.)” (FJ 7).
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Infine, il plenum del Tribunale costituzionale ha respinto le doglianze dei ricorrenti riguardo
al fatto che la riforma del 2004 avesse perturbato la composizione del Consiglio generale del
Potere giudiziario (art. 122, comma 3, Cost.) (FJ 8).
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STATI UNITI
a cura di Sarah Pasetto
1. 568 U.S. ___ (2012), No. 11-597, Arkansas Game and Fish Commission v.
United States, del 4 dicembre 2012
Proprietà privata – Terreni – Inondazioni temporanee ad opera dei pubblici
poteri – Mancato indennizzo – Asserita violazione della c.d. Takings Clause
– Corte suprema – Accoglimento del ricorso.
La Corte suprema ha deciso all’unanimità che le inondazioni temporanee di terreni di
proprietà privata causate da iniziative del Governo non sono immuni dall’applicazione del la c.d.
Takings Clause della Costituzione, contenuta nella parte finale del V Emendamento, secondo
cui “nessuna proprietà privata potrà essere destinata ad uso pubblico senza equo indennizzo”.
Il ricorrente dinanzi alla Corte suprema era l’ente a capo di un wildlife management area,
equiparabile ad un’area protetta. Nell’area vivono diverse specie di fauna e flora selvatiche; al
suo interno vi è una foresta, importante sia perché la sua esistenza perpetua l’ecosistema che
caratterizza il terreno sia perché la vendita del legname da essa ricavato contribuisce alle spese
di gestione del terreno. Il terreno è adiacente ad un fiume, il cui flusso d’acqua è direttamente
influenzato dalle quantità rilasciate da una diga.
Nel 1948, il Governo aveva disposto la costruzione della diga a monte del terreno; il rilascio
dell’acqua trattenuta dalla diga è quantificato, in base al periodo dell’anno, del c.d. Water
Release Manual, il quale prevede anche la facoltà di deviare quantità prestabilite d’acqua
qualora lo richiedano i soggetti dell’area circostante. Nel 1993, gli agricoltori della zona
avevano chiesto al Governo di rallentare il rilascio d’acqua in modo da poter prolungare il
tempo utile al raccolto; la richiesta era stata accolta ogni anno, fino al 2000.
Il rallentamento del rilascio durante determinati periodi dell’anno ha comportato un
accumulo di acqua nella diga, smaltito grazie al rilascio di una quantità maggiore in altri
periodi. Tale dinamica, ad avviso del ricorrente, comportava un’inondazione della foresta che
durava circa tre mesi, e non più due. Questo prolungamento comportava un danno grave, tanto
più tenendo conto che esso coincideva con il periodo di crescita degli alberi della foresta. La
conseguenza era quella di una lesione dell’integrità e della sostenibilità dell’intero ecosistema.
Il ricorrente si era visto costretto, infatti, ad intraprendere lavori di bonifica della zona che
avrebbero richiesto denaro e tempo notevoli. Nel corso degli anni, si era ripetutamente rivolto al
Governo affinché tornasse a rispettare le modalità di rilascio a suo tempo determinate.
Il Governo ha fatto affidamento su una decisione della Corte suprema del 1924 1 in cui si
stabiliva, a suo parere, l’esclusione delle inondazioni temporanee dall’applicazione della
Takings Clause.
Riformando la sentenza di primo grado, la corte d’appello aveva ritenuto fondata la
prospettazione del Governo.
La Corte ha ripercorso la propria giurisprudenza sulla Takings Clause ed ha sottolineato la
graduale apertura alla possibilità di imporre l’obbligo di indennizzo anche per fenomeni di
1
Sanguinetti v. United States, 264 U.S. 146.
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natura temporanea, tra cui anche le inondazioni. La lettura prospettata dal Governo, dunque,
non era corretta, innanzi tutto perché la pronuncia del 1924 era stata superata da una
giurisprudenza successiva, e poi perché altre parti di quella stessa pronuncia indicavano la
sussistenza dell’obbligo di risarcimento anche per inondazioni temporanee.
La Corte suprema ha ribadito che i casi di questo tipo devono essere valutati alla luce delle
circostanze specifiche, tra cui la durata dell’interferenza governativa con la proprietà privata (o
con il godimento della stessa) e l’intenzionalità e prevedibilità dell’interferenza.
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