Rassegna del 29/05/2015
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Rassegna del 29/05/2015 INDICE RASSEGNA STAMPA Rassegna del 29/05/2015 SANITÀ NAZIONALE Avvenire 29/05/15 P. 21 Le coop: sanità, regole chiare Alessia Guerrieri 1 Avvenire 29/05/15 P. 21 Dolore cronico: il 60% degli ammalati non accede alle terapie Francesca Lozito 2 Avvenire 29/05/15 P. 28 Welfare aziendale, coperture sanitarie la prima scelta Luca Mazza 3 Corriere Della Sera 29/05/15 P. 23 Ha detto in tedesco: voglio bere, Così è iniziato il risveglio Di Michi Simona Ravizza 4 Corriere Della Sera 29/05/15 P. 23 La donna che rivede il volto del fratello sull'uomo a cui è stata trapiantata la faccia Luigi Ripamonti 5 Corriere Della Sera 29/05/15 P. 25 Con Ismett in Sicilia indotto da 132 milioni Corriere Della Sera 29/05/15 P. 25 Il casco che salva i capelli dalla chemio Mario Pappagallo 7 Giornale 29/05/15 P. 6 Quell'appalto fumato Paita che porta soldi a «Unità» e Pd Gabriele Villa 8 Il Fatto Quotidiano 29/05/15 P. 5 La Spezia, l'ospedale ai salvatori dell'Unità Ferruccio Sansa Repubblica 29/05/15 P. 22 "Noi donne e la vita dopo il tumore" E ora arriva il casco che salva i capelli 10 Sole 24 Ore 29/05/15 P. 14 L'Ismett spinge il Pil siciliano 15 Stampa 29/05/15 P. 33 Chemio senza parrucca All'leo il casco salva-capelli Egle Santolini 16 Stampa 29/05/15 P. 33 Al centro delle cure riscopriamo la persona Umberto Veronesi 18 Espresso 04/06/15 P. 75 Come ti alleno il neurone Paola Emilia Cicerone 19 Venerdi Repubblica 29/05/15 P. 67 Il cervello si ripara: con l'esercizio Giuliano Aluffi 20 6 9 RICERCA Indice Rassegna Stampa Pagina I Le coop: sanità, regole chiare Accrediti presso le strutture, posti letto e assistenza le priorità ALESSIA GUERRIERI RomA a strategia delle cinque "R". Regole certe per l'accreditamento e uguali da Aosta a Brindisi, una regia unica nazionale per l'assistenza primaria, rigore nella misurazione della qualità dei servizi, un ruolo attivo degli operatori del sistema e una rete che li metta in comunicazione costante. La riforma sanitaria, avviata con il Patto della salute un anno fa, ora deve essere tradotta in realtà nelle oltre 140Asl italiane. Main un sistema che sta andando velocemente verso la logica del "meno ospedale, più territorio", ad esigere maggiore trasparenza nell'accreditamento e nella chiarezza di norme sono proprio le cooperative sanitarie che finora hanno colmato tante lacune del sistema pubblico. «Chiediamo alla politica di dare regole precise a questo mondo - è l'appello del presidente di FederazioneSanità, Giuseppe Milanese -perché non possiamo più sopportare la concorrenza anomala nel sistema di accreditamento». Un meccanismo che deve essere fondato, invece, su requisiti stringenti sia peril personale che per l'azienda, ma univoci «perché ci sia solo una concorrenza positiva». Oggi, in realtà, esistono appalti «diversi anche da Asl ad Asl - aggiunge il responsabile delle coop sanitarie aderenti a Confcooperative - e questo significa diseguaglianza tra cittadini. È inaccettabile in un Paese evoluto». Anche approfittando di una disomogeneità di criteri, qualcuno in questi anni ha considerato così la sanità e il welfare come un settore in cui fare affari con facilità, e noi «cooperatori della salute quasi una sorta tappabuchi» del sistema pubblico, ammette Milanese. Eppure si sta parlando sempre più spesso di realtà altamente professionali, che hanno fatto rete tramedici e pazienti delterritorio per dare al cittadino risposte mirate e veloci. Un mondo, quello della cooperazione aderente a FederazioneSanità, che è cresciuto molto negli ultimi anni, colmando i vuoti lasciati dallaspendingreview. E aumentando soprattutto l'occupazione stabile. Oggi è arrivato a riunire oltre 330 realtà formate da 110mila soci che danno lavoro a 12mila persone e producono un giro d'affari aggregato di 8,2 miliardi di euro. Sono quasi sempre imprese giovani -hanno meno di 10 anni di vita - e offrono occupazione a tempo indeterminato nel 70% dei casi, 6 volte su 10 a donne. Ancora più lusinghieri i numeri della cooperazione nella filiera sanitaria: 11.830 realtà, un fatturato aggregato di 15 miliardi, 11 mili ardi di capitale investito, 356mila addetti. Questo settore ha ancora grandi potenzialità, ma perché ci sia davvero eguaglianzanell'accesso alle cure e servizi di qualità occorre avere un quadro normativo definito e controlli seri. Il modello a cui tendere è quello canadese, per Milanese, in cui gli operatori sanitari addirittura lavorano in rete nel 76% dei casi e dove meno ospedale si è trasformato davvero in più territorio, mentre «in Italia meno Milanese ( FederazioneSanità): basta con appalti diversi a seconda delle Asl. Con gli operatori in rete, ospedali meno saturi e più cura per gli anziani sul territorio ospedale si sta traducendo in più pronto soccorso. La politica deve colmare questo gap». Anche perché porterebbe non solo più salute, ma anche più lavoro. Se, infatti, si raggiungessero i livelli di cura primaria e le quote di assistenza domiciliare integrata degli altri Stati europei - in Italia appena il 4,12% degli over 65 beneficia delle prestazioni domiciliari, cioè 496mila anziani, quando ne avrebbero bisogno 870mila - si potrebbero creare, secondo FederazioneSanità, «almeno 500mila nuovi posti di lavoro». Solo se ci si occupasse, invece, di portare agli standard europei i posti letto residenziali e semi-residenziali (oggi nel nostro Paese appena242mila rispetto a un fabbisogno di 496mila), i nuovi occupati sarebbero comunque tanti: 200mila. Ma dovrà esserci prima, sottolinea Milanese, «una scelta di campo importante» dello Stato, anche in termini di risorse e della loro allocazione. 0 RIPRODUZIONE RISERVATA Sanità nazionale Pagina 1 Dolore cronico: il 60% degli ammalati non accede alle terapie FRANCESCA LOZITO RomA a cura del dolore in Italia è ancora una conquistaper la maggior parte delle persone. In occasione della presentazione della giornata del sollievo che si celebra domenica, la Fondazione Gigi Ghirotti, promotrice dell'appuntamento da quattordici anni, ha diffuso i nuovi dati che testimoniano il cammino di civiltà che il nostro Paese ha davanti a sé. Sono mezzo milione le persone che soffrono di dolore cronico: «Di queste il 40% non riesce ad accedere alle terapie adeguate spiegano dalla Fondazione -. Solo tre persone su dieci sono quelle indirizzate ai trattamenti appropriati dai medici di famiglia. Più del 60% brancola nel buio». E crescono dunque i tempi di attesa si possono aspettare anche tre anni prima di raggiungere Domenica la giornata Lorenzin: adeguata assistenza umana un centro specializzato. Ci sono poi gli effetti collaterali della sofferenza la depressione, che colpisce il40% dei malati, la perdita del lavoro per i122%. «Parlare oggi di sollievo - ha dichiarato il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin - deve obbligatoriamente tener conto di quanto affermato dal Papa il 5 marzo 2015. Papa Francesco ha sottolineato che le cure palliative hanno l'obiettivo di alleviare le sofferenze nella fase finale della malattia e di assicurare al tempo stesso al paziente un adeguato Sanità nazionale accompagnamento umano, soprattutto per gli anziani che ricevono sempre meno attenzione dalla medicina curativa». La Fondazione Gigi Ghirotti ha così lanciato due proposte: dare voce direttamente ai pazienti attraverso un osservatorio istituzionale che raccolga la loro condizione sia online che negli ospedali. Contemporaneamente, istituire un polo di eccellenza per lo studio e la cura della terapia del dolore. Centonovanta le iniziative che sono in calendario per la Giornata del sollievo: si parte dal Policlinico Gemelli, centro principale della manifestazione, alle iniziative sul territorio come l'"Open Day Dolore: le donne e il dolore - chiedi, conosci, curati", che si terrà fino al 3 giugno presso l'Azienda ospedaliero-universitaria di Ferrara nell'ambito del Progetto ospedale-territorio senza dolore - Onda in Emilio-Romagna. Anche il sud è protagonista con il Convegno di bioetica "Umanizzazione delle cure Più cuore nelle mani, organizzato, tra gli altri, dai medici cattolici a Bucchianico in Abruzzo. In Calabria invece, si parlerà di reti delle cure palliatine e della terapia del dolore: non va dimenticato, infatti che la legge 38 del 2010 ha regolato per la prima volta le due reti, quella dedicata alla terapia antalgica e quella delle cure palliative. L'edizione 2015 del Premio Gerbera d'Oro, assegnato dalla Fondazione e dalla Conferenza delle Regioni al progetto di assistenza sanitaria che si è distinto nella lotta al dolore è andato all'Azienda Ospedaliera Universitaria di Novara. 0 RIPRODU ➢ ONE RISERVATA Pagina 2 Welfare aziendale, lo lo coperture sanitarie la prima scelta Il 52% delle aziende «responsabili» ha attivato più pacchetti assistenziali LUCA MAZZA ca emerge il desiderio quasi unanime degli intervistati di vedere presto realizzato un aggiornamento sia della disciplina fiscale (75%), sia di quella giuslavoristica (61%). Per lo sviluppo del welfare aziendale, però, sarà necessario fare più chiarezza, specie sotto l'aspetto normativo. «Non a caso nove imprese su dieci sono favorevoli all'introduzione di un plafond massimo omnicomprensivo nel quale ricomprendere tutti i benefit, a partire dai "buoni pasto" che sono quelli più diffusi e graditi conclude il presidente di "Qui! Group Spa", Gregorio Fogliani-. Ed è importante sottolineare, infine, che welfare aziendale non deve necessariamente rimanere confinato nelle grandi realtà, ma può entrare con successo anche nelle Pmi». Sono sempre più diffuse anche le formule di flessibilizzazione degli orari (45,9%) e l' adesione a network convenzionati per la fruizione di sconti li effetti negativi della lunga crisi economica hanno spinto le imprese a ricercare nuovi meccanismi per tutelare la salute dei dipendenti e a studiare sistemi innovativi che permettano - soprattutto alle donne - di conciliare famiglia e lavoro. Negli ultimi anni, infatti, la maggioranza delle realtà produttive e di servizi ha potenziato il welfare aziendale. La conferma arriva dai risultati di una ricerca promossa da "Welfare Company", provider di servizi di welfare aziendale controllato da "QUI! Group Spa" (società leader nel settore con oltre 700mila lavoratori quotidianamente raggiunti). Dallo studio, condotto da Luca Pesenti, docente di Organizzazioni sociali e welfare plurale all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, emerge che il 52% delle imprese socialmente più responsabili ha messo a disposizione dei dipendenti e delle loro famiglie oltre sei diverse misure assistenziali. Entrando nel dettaglio si scopre che - oltre alla conferma del "peso" preponderante delle coperture sanitarie integrative (46%) e alla diffusione di formule di flessibilizzazione degli orari (45,9%) - rispetto alle rilevazioni di pochi anni fa, è cresciuta l'importanza data ai network convenzionati per la fruizione di sconti ed agevolazioni dedicate ai dipendenti (36,7%). I fringe benefit più gettonati, dunque, sono la sanità integrativa e gli sconti, ma nuovi strumenti si stanno affacciando e sembrano destinati a prendere sempre più piede. «Nell'opinione dei 100 manager intervistati, il welfare aziendale si è confermato come un prezioso alleato per diminuire la conflittualità, migliorare il clima aziendale e la produttività, grazie anche ad una sua evidente efficacia nel ridurre l'assenteismo», commenta Pesenti. Giovanni Scansani, direttore generale di Welfare Company, sottolinea che «solo se la persona è realmente al centro del programma di welfare aziendale quest'ultimo è in grado di generare reciprocità nei termini di un maggior coinvolgimento e di un aumento della produttività da parte dei beneficiari degli interventi». Per quanto riguarda il futuro del fenomeno, dalla ricer- Sanità nazionale ® RIPRODUZIONE RISERVATA Wcl(Tm axi.ldale coper0.ue sanitari la prima uells Pagina 3 Ha detto in tedesco: voglio bere» Così è iniziato il risveglio di N di Simona avizza MILANO E adesso che dalla finestra della Terapia intensiva neurologica, al terzo piano, può finalmente entrare la luce, dopo un mese trascorso nella rianimazione cardiochirurgica che si trova nei locali interrati, Michi si rende conto dell'alter narsi del giorno e della notte, con le ore che trascorrono troppo lente, ma senza più essere attaccato a nessuna macchina. Dal 24 aprile, quando è rimasto impigliato sott'acqua per 42 minuti dopo un tuffo nel Naviglio, il giovane (che i medici chiamano con affetto bambino) è all'ospedale San Raffaele. Michi, 15 anni a settembre, aveva una possibilità su un mi lione di sopravvivere e ora che ce l'ha fatta non pensa ad altro che alla data delle dimissioni. Saranno mercoledì. L'aspetteranno almeno due mesi di riabilitazione neurologica a Bosisio Parini, vicino a Lecco. «Ma ha dimostrato di essere speciale, lo dice la sua storia fin qui sorride mamma Lela, sempre al suo fianco . Michi ha avuto voglia di vivere e di continuare il suo percorso». Il letto è in un open space, diviso dagli altri da paraventi bianchi. Lela, di origine tedesche e una fede in Dio che l'ha sostenuta anche nei momenti più bui, oggi è felice e orgogliosa della ripresa del figlio: «Parla ancora con scioltezza quattro lingue, con gli infermieri scherza in italiano, tedesco, inglese e spagnolo». Sanità nazionale Il risveglio però è stato lento e graduale. Gli stessi medici, ora sereni ma anche loro increduli davanti a una rinascita che sembrava impossibile, fino a dieci giorni fa erano tormentati da mille interrogativi: «Si è davvero risvegliato si domandavano o è solo apparenza?». I ricordi di Lela riaffiorano, ma non senza emozione. Intor no al 20 maggio contro ogni previsione e a dispetto di ogni manuale scientifico, grazie soprattutto all'intuizione di attaccarlo all'Ecmo, la macchina che si sostituisce al cuore e ai polmoni e permette la circolazione extracorporea, Michi inizia il suo dialogo con la mamma. t una comunicazione fatta inizialmente di gesti e sguardi, un colloquio del cuore, senza parole, che solo una madre e un figlio possono intrattenere. «Ci siamo subito capiti al volo si commuove Lela . Così l'ho La madre Si esprimeva a gesti, poi ha iniziato a parlare coi medici nelle 4 lingue che conosce potuto confortare. Le sue pau re? Preferisco tenerle per me». Poi la svolta definitiva. Una strada verso la guarigione assicurano i medici guidati dal primario di Rianimazione Alberto Zangrillo da cui non si torna indietro. «Ich habe Durst und wuerde gerne trinken»: l'incubo di Michi finisce con una frase in tedesco che significa «Io ho sete, vorrei bere». t un momento che Lela non dimenticherà mai. «Anche adesso ci parliamo prevalentemente in tedesco racconta . E per me è una prova importante della sua lucidità mentale (tutt'altro che scontata per uno che è rimasto senza respirare per 42 minuti, quando dopo 25 minuti normalmente i danni cerebrali sono irreversibili, ndr). Vuol dire che le capacità neurologiche sono buone, anche se sono consapevole che sarà necessaria una lunga riabilitazione. Dobbiamo ancora aspettare a lungo, ma è già il Michi di sempre». Il sogno di mamma Lela adesso è di sedersi sul divano di casa con il figlio e guardarsi insieme un film: ma è ancora presto per decidere il titolo e poi poco importa. Nel frattempo Michi per combattere contro il tempo che non passa mai s'infila le cuffie e ascolta i Two Fingerz. La musica house gli serve anche per dormire. E per tenergli compagnia i suoi compagni del liceo scientifico alle porte di Milano hanno inciso un cd: ognuno gli ha dedicato un messaggio, un in bocca al lupo, l'augurio di tornare il prima possibile. Tutti lo aspettano. «Non siamo noi quelli che inseguono i sogni cantano i Two Fingerz . Abbiamo solo bisogni e non abbiamo tempo da perdere». Il sogno di Michi invece, quello di tornare a vivere, è stato alla fine più forte di tutto. © RIPRODUZIONE RISERVATA Sarà necessaria unalunga terapia ma le sue capacità mentali sono intatte sott'acqua 1 L'incidente Il 24 aprile scorso a Cuggiono, cinque ragazzi si tuffano nel Naviglio. Uno di loro, 14 anni, non riemerge e rimane incastrato con un piede Solo dopo 42 minuti il corpo viene recuperato e rianimato sul posto (foto). Il cuore riparte e dopo una lunga e complessa degenza in ospedale il ragazzo è ora sulla strada del pieno recupero Pagina 4 L ì nc 9 La donna che rivede il volto del fratello sull'uomo a cui è stata trapiantata la faccia di Luigi Ripamonti 141 - il viso della persona con cui sono cresciuta, posso toccarlo?» Per Rebecca Aversano l'emozione deve essere stata fortissima nell'accarezzare per la prima volta il viso di Richard Norris, l'uomo a cui è stato trapiantato il volto di Joshua, il fratello di Rebecca, morto in un incidente stradale nel 2012. L'incontro è avvenuto in Virginia, nella residenza di Norris (l'immagine è tratta da un video della tv australiana Nine Network). L'uomo era rimasto sfigurato per un colpo di pistola nel 1997 e da allora aveva condotto una vita da recluso, indossando una maschera per non mostrare i suoi lineamenti. L'intervento ha richiesto 36 ore di lavoro ai 15o fra medici e infermieri dell'Università del Maryland. Quello di Norris è stato il 23esimo trapianto di faccia nel mondo (il primo in Francia nel 2005). Del donatore sono stati utilizzati tessuti dal cuoio capelluto al collo compresi nervi, muscoli e ossa. Un aspetto molto delicato è stato quello della riconnessione dei nervi, fondamentale per l'espressività del volto e per la sensibilità della pelle. Norris era stato scelto fra cinque diversi candidati all'intervento. RIPRODUZIONE RISERVATA II donatore Joshua Aversano morto nel 2012 in un incidente II ricevente Richard Norris era rimasto sfigurato nel 1997 Sanità nazionale Pagina 5 Con Ismett in Sicilia indotto da 132 milioni Nel 2013 l'impatto sull'economia della Sicilia è stato di 132, ,5 milioni, con 22,7 milioni di entrate fiscali a favore della Regione e del governo e un risparmio netto per l'assistenza sanitaria ai cittadini di 73,2 milioni. Sono i numeri di Ismett (ex Istituto mediterraneo per i trapianti, oggi Irccs),l'Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (partnership con 55% Regione Siciliana e 4,5% University of Pittsburgh Medicai Center). Il calcolo è del Battelle Memorial Institute. @ RIPRODUZIONE RISERVATA rFi.ÍÁ 4' Sanità nazionale Pagina 6 CRONACHE Il casco che salva i capelli dalla chemio SperimenlaIo allo leo su 30 malate di Lumore: «Risultali incoraggianti». I racconti delle donne guarite Raffreddare la testa durante la chemioterapia salva i capelli e aiuta una donna a combattere il male restando persona. Per ora funziona solo per la chemio usata per il tumore al seno. Non per quella usata nel cancro al polmone che ha colpito Emma Bonino, ma lei ribadisce: «Io non sono il mio tumore, ma resto una persona». Il suo messaggio in video si diffonde tra le 90o donne guarite di tumore riunite a Milano all'annuale appuntamento voluto e ideato da Umberto Veronesi nel 2007: «leo per le donne». Ex pazienti dell'Istituto europeo di oncologia (leo), e di altri istituti, riunite per testimoniare di aver ritrovato la loro identità. Di essere di nuovo persone. Forse nuove persone. L'oncologo fondatore dell'Istituto di via Ripamonti non c'era, ma il suo messaggio è un monito. Più alla scienza, che alle donne che hanno lasciato il tumore alle spalle. «I trattamenti non devono più guarire la malattia dimenticando la persona scrive alle sue "amiche" . Abbandoniamo il termine "paziente" che indica un essere umano senza identità, che subisce passivamente. Non possiamo più curare qualcuno senza sapere chi è, cosa pensa, qual è il suo progetto di vita». Guarire solo «l'involucro»? Non basta. Applauso liberatorio delle donne, molte accompagnate dai compagni, da amiche e figlie. Convention femminile con un mantra ricorrente: via il tumore anche dalla mente. Le testimonianze, moderate da Daria Bignardi, riguardano i cambiamenti interiori e quelli di relazione, i rapporti sociali e di coppia, la paura dell'amore. In quest'ottica anche la scienza deve ricercare soluzioni che riguardano la persona malata in modo che malata non si senta. Che non sia terrorizzata dal male e dalla cura che ferisce la psiche. Che cosa offre la scienza? Quest'anno il caschetto che salva i capelli: la chemio senza parrucca. Spiega Paolo Veronesi, che dirige la chirurgia del seno allo leo: «Nel nostro istituto è stato utilizzato da 30 pazienti, con buo- Sanità nazionale ni risultati». Ne sono testimonianza i folti e biondi capelli di Elisabetta Cirillo, 29 anni, da Brescia, una giovanissima «guarita», presente con il fidanzato. Dodici sedute di chemio. «Quando fai queste cure non vuoi essere bella dice . Vuoi solo sentirti normale, non identificarti con il cancro. Svegliarti, guardarti allo specchio, riconoscerti, essere sempre te stessa». Sorride. Grazie anche al caschetto. Una delle 30. Veronesi tira le somme: «L'85i si è detto soddisfatto. Vale a dire che in 25 pazienti la caduta è stata di grado 1 o 2, cioè non percepibile dal punto di vista estetico». si intende una perdita del 2,5 della capigliatura, mentre per grado 2 si intende una caduta del 50 . Comunque non percepibile. «Stiamo valutando, primi in Italia, questo sistema spiega ancora Veronesi jr che consiste in un macchinario collegato a due caschetti refrigeranti (Dignicap è il nome), uno per paziente, che si indossano prima, durante e dopo l'infusione di chemio. E un sistema di raffreddamento che Ì". «Quando fai queste cure non vuoi essere Posto che la caduta zero non bella ma normale, non esiste (i capelli si perdono an- identificarti col cancro» che naturalmente), per grado i protegge le cellule dei bulbi piliferi del cuoio capelluto dai danni da farmaci, riducendo la caduta dei capelli. Il freddo diminuisce la perfusione del sangue e il metabolismo, riducendo l'attività "distruttiva" dei chemioterapici». La temperatura, personalizzata da tre sensori, arriva a 3-5 gradi. I risultati nei Paesi come gli Stati Uniti (dove la macchina è in attesa dell'approvazione Fda), la Gran Bretagna e la Francia, dove Di- gnilife è ormai routine, sono ottimi. La «medicina delle 5P» (predittiva, preventiva, personalizzata, partecipativa e psicologica) trova così un altro tassello per diventare realtà. Mario Pappagallo Mariopaps CG RIPRODUZIONE RISERVATA Come funziona L'apparecchio è stato testato su 30 pazienti 1Si indossa 20 minuti prima 2 Grazie al sistema della seduta di chemioterapia, poi avanzato durante e dopo per altri 20 minuti di raffreddamento vengono protette le cellule dei bulbi piliferi del cuoio capelluto dai danni da farmaci E u o L'uso del casco refrigerante durante la chemioterapia riduce la caduta dei capelli con un tasso di successo dell'85%a Chi é ì Elisabetta Cirillo (foto), 29 annidi Brescia, con un'amica gestisce un centro yoga. Si è sottoposta a 12 sedute di chemioterapia per combattere un tumore Èunadei30 pazienti dell'Istituto europeo di oncologia che hanno voluto testare in via sperimentale il caschetto contro la caduta dei capelli II casco è in silicone morbido Al casco sono collegati 3 sensori in neoprene I sensori regolano la temperatura tra 3 e 5 gradi 25 Su trenta Sono i pazienti che hanno usato il casco e nei quali la caduta dei capelli è stata impercepibile Per cento Il tumore al seno rappresenta il 29% di tutti i tumori che colpiscono le donne Pagina 7 VERSO LE REGIONALI II caso Liguria Quell'appalto firmato Pana che porta soldi a «Unità» e Pd L'assessore della giunta Burlando e candidata governatore dem ha approvato una commessa da 119 milioni all'imprenditorePessina, neoeditore del quotidiano di sinistra e fedele al premier il caso di Gabriele Villa nostro inviato a Genova avori e coincidenze nella Liguria di Claudio Burlando e Raffaella Paita. Troppe coincidenze e, conseguentemente, anche troppi favori. Noi non ci crediamo, come direbbe il caustico ligure Maurizio Crozza, ma i fatti ci portano e vi porteranno a conclusioni non proprio azzardate. E, magari, persino non troppo lontano dalla verità. Dunque, avetepresenteMassimo Pessina, l'imprenditore dell'edilizia che è diventato l'editore dell' Unità?Avete presente Raffaella Paita, l'assessore «distratta» alla Protezione civileche, quando Genovaeraflagellata dalle alluvioni, era in giro per la regione a farsi campagna elettorale per le primarie del Pd e adesso si candida a governatore della Liguria? Bene, ecco che, all'improvviso, è accadutoi122 maggio, leviteparallele di Burlando, della Paita e di Pessinasi sono incrociate. Simpaticamente e provvidenzialmente, incrociate. Davanti ad un appalto. Un appalto assegnato, concesso e firmato in Regione. Un appalto che riguarda la costruzione di un nuovo, avveniristico ospedale aLa Spezia, cittàna- Sanità nazionale tìa e feudo elettorale di Raffaella Paita, un appalto assegnato alla «Pessina Costruzioni». Un appalto per il quale pure il governo Renziha stanziato la sommadi 119milionidieuro cheandranno nelle casse della cordata edificatrice dell' opera, guidatadaPessina. Dunque, ricapitolando: il22maggio, apochigiorni dalle elezioni, la giunta Burlando hapensato chelapriorità cui dovesse far fronte fosse quella di firmare l'appalto per la costruzione del nuovo ospedale de La Spezia. Una sorta di opera d'arte (imponente), del valore di 175 milioni di euro. Tuttaimpegnata a difendere il territorio politico conquistato nei dieci annidi potere, la giunta di sinistra della regione Liguria si è anche posta il problema di assegnare in fretta e a persona di fiducia il gravoso e strategico impegno edilizio. Talmente gravoso e strategico, l'impegno edilizio che, saràun' altra coincidenza, alla gara d'appalto non ha partecipato alcuna altra cordata se non quella di Pessina. Da qui la scelta «obbligata», chissà che dispiacere per Burlando e la Paita fare un piacere ad un amico di Renzi, di assegnare l'incarico alla cordata di imprese capitanata da «Pessina costruzioni», cioè dalla società di costruzioni il cui presidente, Massimo Pessina, èl'editore dell' Unità, il giornale di riferimento del Pd che il premier Renzi si è impegnato a fartornare agli antichi fasti. Della cordata «premiata» da Burlando e soci fa parte anche l'emiliana Coopservice, il cui orientamento politico non ci pare lasci dubbi. Tornando all'accortezza di Renzi occorre dire che, nel caso specifico il suo governo, tramite il ministero della Salute, ha anche stanziato 119 milioni di euro per il progetto spezzino che, naturalmente, finiranno nelle casse della cordata di Pessina. Non meno consistente anche il contributo stanziato dalla giunta regionale uscente per la costruzionedelnosocomio delFelettino: ben 56 milioni che piovono tempestivamente proprio apochi giorni dal voto. Coincidenze su coincidenze è ovvio che il candidato del centrodestra Giovanni Toti, oramai appaiato, se non davanti alla Paita nei sondaggi, abbia da dire la sua: «Sulle regolarità giuridica dell'appalto non siamo noi a dover giu- dicarema ancoraunavolta è significativo constatare come, a pochi giorni dalvoto, la sinistra gestisca il potere nel solito modo distribuendo regalie a chi sostiene il Pd, il giornale del Pd e aiutando, come sempre inLiguria, lecoop rosse. Etutto ciò con il sostegno e il contributo ulterioredel governo Renzi.Una p olitica non per la gente, ma per pochi intimi e soprattutto per i soliti noti. Con buona pace dei liguri questo èilmanifesto dicome è stata gestita la regione in questi dieci anni». La progettazione esecutiva sarà avviata subito e i lavori dovrebbero venire completati entro quattro anni. E i liguri? Si augurano solo ciò che hanno chiesto a Toti: che la sanità in tutta la regione torni a funzionare. E che lui, da governatore, spazzi via la «cura» del Pd. (furllpplW fvni.ilo lai, 1h, 0,h " 4 ,1".,. I Pagina 8 La Spezia, l'ospedale ai salvatori dell'Unità LA PESSINA COSTRUZIONI, UNICA SOCIETÀ IN GARA, OTTIENE L'APPALTO DI 165 MILIONI PER LA NUOVA STRUTTURA A 48 ORE DAL VOTO di Ferruccio Sansa Genova n ospedale soltanto U per curare i malati o anche per rianimare i sondaggi del centrosinistra? A La Spezia lo attendevano da decenni. Ed ecco che si compie il miracolo: la firma dell'appalto per la costruzione del nuovo ospedale del Felettino. Ma, appena diffusa la notizia, si accende la polemica. Primo, fanno notare gli avversari politici, la sigla da parte della Regione di Claudio Burlando arriva a pochi giorni dalle elezioni regionali incertissime. Secondo, la gara ha visto la partecipazione di un solo concorrente. Terzo, l'unico partecipante, e quindi, vincitore è un raggruppamento di imprese che comprende Coopservice e Gruppo Psc, ma è guidato dal gruppo Pessina. Quello che sta cercando di portare in porto il salvataggio dell'Unità. UN PIATTO molto ricco quello per il rifacimento dell'ospedale spezzino: si parla di 165 milioni dei quali 119 provenienti dal Ministero della Salute, mentre il resto dalla Regione Liguria (i soldi da sborsare saranno circa 140 milioni, perché il vincitore si aggiudica il vecchio ospedale valutato 25 milioni). Finora La Spezia non disponeva di un ospedale adeguato a una città di 100 mila abitanti. Così ecco ar- rivare il nuovo complesso che prevede 520 posti letto. Un progetto all'ultimo grido che comprende dipartimento di emergenza, centro congressi, negozi e ristorante. Ai lati dell'atrio centrale, due grandi cortili coltivati connetteranno l'edificio con il paesaggio. Ma a suscitare polemiche non è tanto il progetto architettonico, quanto quello politico. La società che dovrebbe riportare l'Unità in edicola a giugno è la Piesse che fa capo al 60% a Guido Stefanelli (ad del gruppo Pessina) e al 40% a Massimo Pessina, presidente del gruppo. Il primo ad attaccare è Giovanni Toti, candidato del centrodestra: "È singolare che a pochi giorni dal voto si firmi un appalto da centinaia di milioni per la realizzazione di un nuovo ospedale, in zona Cesarini. E che il gruppo che lo realizzerà, unico a presentare l'offerta, sia, guarda caso, maggiore titolare delle quote dell'Unità, il giornale che il segretario del Pd e premier Matteo Renzi si è preso l'impegno di salvare. Sarà tutto certamente regolare, ma lascia perplessi". NON È IL SOLO. Attacca anche Alice Salvatori, candidata del Movimento Cinque Stelle: "Un appalto che ci fa pensare, perché oltre a essere imprese vicine ai soliti partiti, c'è la coincidenza di un'unica partecipante. Di più: un vincitore che ha proposto solo poche centinaia di euro in più rispetto alla base d'asta. Una circostanza ben singolare per chi dovrebbe competere con altri partecipanti". Non basta. Aggiunge Salvatori: "Il costo globale dell'opera ci pare sottostimato. Temiamo che salga oltre i 200 milioni e che l'opera alla fine sarà bloccata". Critico anche Luca Pastorino (candidato di sinistra e dei civatiani): "Pare strano che si firmi un appalto atteso da mille anni proprio a sei giorni dalle elezioni". Aggiunge: "Per un progetto così importante circolano nomi di amici degli amici, noi vorremmo che questo clima cambiasse per sempre. Vorremmo voltare pagina". C'È ANCHE chi punta il dito su un "uso politico di un tema delicato come la sanità". Per esempio: "Non si può promettere, come ha fatto Paita, di dimezzare le liste d'attesa per i malati, non si possono alimentare aspettative in chi sta male", attacca un fuoriuscito dal Pd che oggi sostiene Pastorino. Il centrosinistra si aggrappa perfino agli ospedali per salvare elezioni dai pronostici traballanti? Burlando, governatore uscente e grande sponsor di Paita, respinge risolutamente le accuse: "La realizzazione di questo ospedale è — il e una storia lunghissima, fatta di appalti e impugnazioni. Avevamo ottenuto molte manifestazioni di interesse, ma poi tanti si sono allontanati perché ritenevano troppo impegnativo accollarsi per 25 milioni di euro la vecchia struttura dell'ospedale Sant'Andrea. Il gruppo Pessina, che mi risulta essere molto grande e impegnato nel realizzare ospedali anche in altre regioni, se l'è sentita". MA CHE NE sarà del vecchio ospedale, arriveranno ancora case? "Dipende dal Comune, penso sia cambiata la destinazione d'uso, immagino si realizzino residenze e commerciale". Ma la circostanza che ci fosse un unico concorrente e che sia il nuovo editore dell'Unità? "Mica potevamo escluderlo - replica Burlando - per questo. Ci sono stati anche il giudizio di una commissione indipendente e il parere favorevole dell'Antimafia. Dovevamo bloccare tutto perché siamo sotto elezioni?". -1, II governatore uscente Claudio Burlando: "E allora? Avremmo dovuto bloccare tutto solo perché sono Renzi e Raffaella Paita LaPresse gli editori del giornale?" Sanità nazionale Pagina 9 55 ',% /„ . 1111 0 a La novità per la chemio presentata allo leo di Veronesi dove ieri 800 pazienti hanno raccontato le loro storie N GASCHETTO che congelai bulbi capillari, e permette così alle donne curate con la chemioterapia di non perdere i capelli. È la novità presenta ieri all'Istituto europeo per l'oncologia (IEO) fondato da Umberto Veronesi, che lo ha sperimentato su 30 donne ottenendo il successo nell'85% dei casi. '11 freddo diminuisce la perfusione del sangue e il metabolismo -ha spiegato Paolo Veronesi, direttore della senologia chirurgicafrenando localmente l'attività 'distruttiva' dei chemioterapici". E mentre l'esperimento si allarga ad altre pazienti, ottocento donne malate o guarite dal cancro si sono riunite nell'ospedale milanese, per la prima volta dopo o durante il loro viaggio, raccontando anche che cosa succede quando il male è "tecnicamente" superato grazie a operazioni, chemio e radioterapia, ma la paura e la difficoltà psicologica possono restare fortissime. Sanità nazionale Con un video-messaggio di Emma Bonino che ha spiegato i suoi 'sette segreti contro il cancro", e la presentazione di Daria Bignardi e Monica Guerritore, le pazienti hanno raccontato la propria esperienza e l'importanza di nominare il tumore. L'idea di una terapia personalizzata, basata sul profilo del Dna, è la nuova scommessa del centro, dove si mira a guarire sia il danno fisico sia quello psicologico per affrontare la malattia con speranza e serenità. Così, la 'paziente" non sarà più una persona passiva. Come nelle storie di sei donne che hanno affrontato un tumore al seno. P,, crosi, Pagina 10 DARIA UBA e 1 1, DANEELATURI,62ANN " ugg ì a i u to l e altre paAe nti av n i cere l lo o angos e r ce 55 A MIA è una storia un po' speciale, perché sono allo stesso tempo unapazienteeuna sicoterapeuta. Diciamo meglio: prima di tutto unapsicoterapeuta». DariaUbaldeschi ha 44 anni e vive a Novi Ligure, nel sud del Piemonte. Ha superato i cinque anni dalla sua malattia e dalle cure e da poco ha creato nell'Asl dove lavora un gruppo di donne operate al seno che lavora insieme come forma di terapia. «Il punto centrale racconta-è ciò che significa es- sere state malate, con le cicatrici non solo fisiche ma interiori che questo comporta. Dopo le cure, c'è un "momento di risacca" per le pazienti, che è molto difficile da superare, perché questa è una malattia che coinvolge anche la testa. Amici e parenti ti dicono "stai bene, di che cosa ti lamenti?", ma tu puoi sentirti malissimo, perché il tumore non c'è più e ora devi riflettere sulla nuovapersonache sei diventata. Che è una donna diversa da quella di prima». PerDaria, la malattia deve acquistare un significato, «altrimenti è solo un nemico contro il quale si combatte». Per questo nel gruppo intervengono anche un ginecologo e un chirurgo pl astico. «Le donne che lavorano con me sanno che anch'io sono stata malata, anche se non si parla di me ma di loro». «Io - aggiunge - ho sofferto molto di più quando il grosso degli interventi e delle cure è finito. Mentre ti stai curando, la sensazione di agire per proteggersi è fortissima e ti salva da molte angosce. Dopo, arriva il momento più difficile, nel quale la cura psicologica è spesso urgente». E il pensiero della morte resta in sottofondo: «Lavoriamo con pazienti diverse, qualcuna ha già avuto delle recidive. La sensazione della propria mortalità è sempre dietro l'angolo e non può essere rimossa, ma trattata con grande delicatezza». © RIPRODUZIONE RISERVATA I Sanità nazionale L alleanza con i l med ico ì 55 fi da forza n ei mom e nti bu " ' H i 0 62 anni, sono ammalata da dieci, via Roma e faccio la giornalista». Daniela Turi riassume così la sua storia di paziente, una storia che ha alle origini la stessa mutazionegeneticadiAngelinaJolie. «AlloIeoracconta - il rapporto tra chi è curata e i medici è così buono che ti sembra di non poterne più fare a meno. Io non mi sono mai fatta divorare dal tumore, lo ritengo un piccolo clandestino pericoloso, ma lui non è me». «Per affrontare il tumore al seno da paziente non occorre una particolare forza, ma moltissimo amore, l'alleanza che si crea con i medici e l' appoggio degli amici, dei colleghi, di mio marito, che non mi ha mai lasciat a da sola in questa lotta, e che essendo psichiatra sa che anche la sofferenza va tenuta sotto controllo come la malattia. In dieci anni, passi in sala d'aspetto molte ore, ognuna con un interrogativocruciale. Hailemetastasi, oppure non le hai. E intanto cambi, e cerchi di diventare anche meglio. Ti affidi totalmente ai medici, e quando esci dallo Ieo trovi intorno a te una grandissima disorganizzazione, una frammentazione incredibile. Qui a Roma non c'è neppure un unico centro dove sia possibile fare tutto, dagli esami come la Pet all'operazione e alla chemioterapia, ed è molto angoscioso doversi rivolgere continuamente apersoneche non ti conoscono. Invece è proprio la relazione con i "tuoi" oncologi a darti la forza, anche quando, come è successo a me, dopo cinque anni la malattia ti ritorna. E tu torni da loro, e sai che la loro presenza è inestimabile, e che della loro formazione fa parte anche la capacità di allearsi con la paziente. A Milano tutto questo esiste, in un sistema privilegiatissimo. Nel resto d'Italia no, e il rischio di sentirsi abbandonati è molto forte». tC a C ,)RIPRODUZIONE RISERVATA Pagina 11 ELISABETTACIRILLO , 28 malattía fa pau ra ecco perché parlarne " " ENTRE fai le cure, ti svegli durante la note e sei terrorizzata. E ti giustifichi: sono 0 malata, sto facendo la chemioterapia, è normale. Quando non le fai più, ti svegli nello stesso modo, e non sai spiegarti il perché. Questo è l'aspetto psicologico che ti fa sentire più sola quando le terapie sono finite». Elisabetta Cirillo ha 28 anni, vive a Brescia, è a metà delle cure per una recidiva ed è stata tra le prime pazienti a sperimentare il caschetto che può evitare la caduta dei capelli, che sudi lei ha funzionato nel modo migliore. «Li avevo molto lunghi, ora è solo un carré castano, li ho tagliati perché così c'erano più possibilità di tenerli. Ed è andata bene, contano tante cose, compreso il modo in cui è fatta la tua testa. Non è una questione dibellezza, nonmi importa di sventolare la chioma o di far vedere a tutti come sono folti i miei capelli. É una questione diidentità, perché allacalvizie le persone associano l'immagine di malata di cancro, e in questo modo non riesci neppure a goderti le giornate buone che hai tra una chemio e l'altra. In Italia questo è ungrande tabù, costringe le persone a pensare alla morte, anche alla loro, e questo non è vero, perché molte malate guariscono. La malattia spaventa le persone. Mi piacerebbe che diventassimo un po' più simili agli americani, loro raccont ano molto, forse troppo, noi quasi nulla». «La prima volta che mi sono ammalata avevo l'incoscienza della gioventù, mi stavo laureando-dice Elisabetta-Ora invece sono un po' più grande. Ma non voglio diventare il mio cancro al seno, io sono un'altra persona. Ho aperto uno studio di yoga, e appena posso torno li a praticare. La mia famiglia, il mio compagno mihanno aiutato moltissimo. Ora la cosa che mi piacerebbe è che anche gli altri capissero che cos'è questa malattia, e la guardassero con occhi diversi». © RIPRODUZIONE RISERVATA Sanità nazionale fatto 1 e ch i lometri per trovare la speranza 51 " Ho o E mio marito siamo arrivati in ospedale a Milano quando eravamo psicologicamente distrutti. E dopo un quarto d'ora di colloquio molte cose ci sembravano diverse. Siano usciti tranquilli, sapevamo come affrontare la situazione. Era il 3 ottobre dell'anno scorso, da lì in poi tutto è andato bene. Perfino sul pullman che mi portava dall'aeroporto allo leo per fare la radioterapia mi sento serena, paradossalmente pensavo a come era ben !/ collegato...». Katiuscia Galvano ha 43 anni, fa l'impiegata amministrativa e vive in provincia di Agrigento. Nonostante le cure praticate anche nei centri siciliani, è una delle pazienti che preferiscono viaggiare, e si sentono rassicurate dall'aver scelto chi le cura. Non solo per un medico, ma per tutte le persone che la accolgono in quella che, lei dice, le è apparsa «come un'oasi nel mezzo di un lungo inverno: i volontari, le persone dell'accettazione, ogni singolo infermiere e ogni singolo medico. E perfino il modo in cui ti combinano gli orari quando sanno che arrivi da lontano». Ammalata di tumore, ogni donna si scopre diversa: «Non credevo di poter affrontare una cosa del genere con questa calma. E credo che molto dipenda dalla capacità di spiegare a ogni paziente che cosa accadrà nel suo caso, il perché delle cure. Mi sono operata di mercoledì pomeriggio e il venerdì sono tornata a casa, ho rivisto mia figlia. Tutto il contrario di quando mia madre è morta di cancro, e noi familiari facevamo fatica a capire che cos'era successo davvero». Katiuscia sta per tornare a Milano per il primo controllo semestrale, e per adesso sente ancora vicino a sé i medici che l'h anno cur ata, «Io so che li vedrò a ogni visita -dice -e so anche che sono disponibili a tutto, e si aspettano di essere interrogati suognidubbio e ognipaura. Hoi loroindirizzidimail, se ho bisogno scrivo. E in 24 ore la risposta arriva». © RI PRODUZIONE RISERVATA Pagina 12 -DESCA `t 1 se } 58 A ntivo com e con l pezz ì e ficomporre 57 L CORPO delle donne parla. Per mesi e mesi ho ¡ trascurato un nodulo che si sentiva nel mio seii 1 no. Andavo a correre al parco e cadevo senza motivo. Ero come un criceto nella ruota, continuavo a correre tra il lavoro, le tre figlie, il marito ginecologo dacui ho divorziato. E che però mi ha aiutato asalvarmi, portandomi daimedicigiusti». FrancescaTumiati, giornalista milanese, ha 58 anni. Il suo tumore si stava arrampicando lungo il collo, e per lei salvarsi è diventata «la grande missione». «Mi sentivo in una navicella spaziale. E quando sono arrivata alla fine e i medici mi hanno detto brava, bravissima, torni tra sei mesi per i con- trolli sono andata a piedi fino a cesa sentendomi smarrita. Non ero pronta. Prima c'er a una donna sana, e adesso una donna riparata, che non conoscevo ancora. La scoperta del tumore è un po' come una deflagrazione, poi, come nei cartoni animati dei bambini, bisogna aspettare che la polvere cada per iniziare a vedere bene». Col nuovo compagno e con la figlia sedicenne, Francesca ha affrontato la malattia: «Lui mi ha accompagnato a ogni terapia, lei lavava la parrucca qualche sera, e mi diceva un po' brusca: casi domani è pronta». Masepararsi damedici e cure può essere «una fase di abbandono. Serve più sostegno dopo, un filo rosso che unisca la pa- ziente a quello che le è successo. A me mancava perfino l'oncologo, col quale avevo stabilito una specie di transfer. Una delle terapie è quella di tornare a lavorare, ma anche in questo campo sei diversa, capisci più di prima ciò che vuoi fare e ciò che non vuoi. 11 tumore, secondo me, nasce molto prima di quando viene diagnosticato, è qualcosa che esplode dentro dite, un dolore rimosso, e la guarigione arriva come una liberazione che può essere anche dolorosa. E quello che serveèun "formai" cheti facciacapire che non sei una bambola, ma una donna che deve rimettere insieme come in un puzzle tutte le sue parti». pensavo accad ora vivo gì orno per 10 " " Ir Ir o FATTO la prevenzione puntualmente, 5-2 ogni anno, dai 40 ai 55 anni. So quanto è importante. Poi mi sono stufata, pensavo che a me non sarebbe più successo. Un giorno mi arriva a casa una lettera della Regione che mi invitava a uno screeninggratuito, mio marito l'ha aperta e me l'ha messa vicino al telefono, mi ha convinta ad andare spiegandomi che era gratis e che bisognavaincoraggiarel'esperimento...». MariaDattena ha 58 anni, vive a Sassari, è veterinaria e si occupa delle pecore, e della loro fecondazione: «Purtroppo per un pó sono stata costretta a lasciarle, non posso stare vicino agli animali quando le cure mi rendono immunodepressa. Ma ho continuato a lavorare da casa, con un bel progetto europeo». Si lamenta per scherzo: «Non fumo, non bevo, vivo in campagna, non ho alcuna familiarità, non ho mai preso ormoni. E però è successo anche a me di ammalarmi di cancro». Con la visita della prevenzione pubblica, Maria ha scoperto un piccolo nodulo di 12 millimetri nel suo seno, che però apparteneva aunavarietàdi tumore particolarmente aggressiva. Per dodici mesi deve fare la chemioterapia, ora è al settimo, e ha scelto di farsi curare vicino a casa dopo una diagnosi dello leo. «Questa malattia - spiega - ti fa cambiare l'intero modo di vedere la vita. Ci sono modi di dire che scompaiono dal tuo vocabolario, io per esempio non dico più' âo farei...". La terapia ti protegge, ti fa sentire al sicuro, ma credo che la parte più coraggiosa sia il dopo. Ho conosciuto altre persone malate, come mio nipote, nato gravemente cardiopatico. Ora lui ha 17 anni e sta bene, io spero che sia lo stesso per me. Vedo che medici e infermieri sono spesso stanchi, e capisco che per noi come per loro il tempo di vivere è oggi, non domani o tra un anno». :d RIPRODUZIONE RISERVATA CI RIPRODUZIONE RISERVATA LEDONNE È la neoplasia più frequente tra le donne italiane in tutte le fasce d'età: ne colpisce una su otto (NUOVI I Ogni annoci sono 46.000 nuovi casi di cancro al seno. La diagnosi precoce ha ridotto la mortalità LE PAZIENTI Sono 520.000 secondo le stime le donneche si sono ammalate di cancro al seno nel nostro paese GLI INTERVENTI Al l'istituto europeo di oncologia di Milano ci sono 3.400 interventi l'anno per tu more al seno IRISULTATI La guarigione cIinica a cinque anni delle pazienti leo con linfonodi negativi èsuperioreal97% IL PRI TO La guarigione delle pazienti leodal tumore invasivo dopo 5 anni è superiore alla media nazionale Sanità nazionale Pagina 13 , Sanità nazionale Pagina 14 Il caso L'Is e sp inge il il sicili ano Unimpatto sull'economia dell'isola che ha creato quasi 18ooposti dilavoro, 3,'milioni di euro ditasseversate inSicilia e 19,6 al governo centrale, con una ricchezza generata pari a 132,5 milioni di euro su base annua.Euncasovirtuoso di collaborazionetrapubblico e privato, in una nuova logica di welfare che non si basa più solo sulle risorse pubbliche, a vangaggio dei cittadini e dello sviluppo. Si tratta della collaborazione tra l'Istituto Mediterraneo per i Trapianti e terapia ad Alta Specializzazione (Ismett) di Palermo, primo ospedale in Italia progettato solo per le attività di trapianti e cura degli organi vitali, posseduto al 55% o dalla Regione siciliana e per il 45% dall'University of Pittsburgh Medicai Center. L'Upmc, che è uno dei sistemi sanitari no profit più importanti degli Usa, insieme alla Facoltà di medicina di Pittsburg, investono 78o milioni di dollari annui sullaricerca, e ciò permette a Ismett di accedere alle scoperte più all'avanguardia. Ad analizzare i risultati di Ismett è il Battelle Memorial Institut, e i dati sono stati presentati ieri da Simon Tripp, direttore delle partnership tecnologiche. Lo studio ha messo in evidenza che ogni euro speso su Ismett, che è nato nel 1999, ha un impatto doppio, cioè 2 euro, sulla crescita del pil della Regione. Non solo: secondo Battelle nel 2013 la Regione avrebbe dovuto spendere oltre 54,9 milioni di euro di cure mediche a pazienti siciliani che si sarebbero dovuti curare fuori dall'isola se Ismett non fosse stato operativo. E a ciò si aggiunge anche il beneficio in termini di formazione avanzatanelle scienzebiomedicali e sanitarie. ® RIPRADIIZIAN E RISERVP.TA Sanità nazionale Pagina 15 Chemlo senza parrucca All'leo il casco salva-capelli Paolo Veronesi: ' \ frontiamo i tumori secondo due categorie. Quelli che si possono considerare incidenti e quelli che rivelano una predisposizione genetica" omento EGLE SANTOLINI MILANO a sala di un albergo riempita di molte signore eleganti, non per un matrimonio di maggio ma per celebrare la magica energia femminile che dice no alla malattia e sì al futuro. L'ottava edizione di «Ieo per le donne» non ha avuto alcunché di pietistico o di zuccheroso. Si è parlato di come condividere la paura e di quanto faccia star meglio uno smalto blu sulle unghie (il direttore de «La Stampa» Mario Calabresi, ricordando un post del formidabile blog di Anna Lisa Russo), dell'angoscia di attendere gli esiti e dei massaggi rilassanti dopo la chemio. Per l'Istituto Europeo di Oncologia fondato da Umberto Veronesi è stata l'occasione di incontrare le pazienti in campo neutro. Per ascoltarle, festeggiarle, fare il punto sulle terapie e, per esempio, ha suscitato molto interesse un caschetto che si chiama «Dignicap». Serve a ghiacciare temporaneamente il cuoio capelluto e grazie alla vasocostrizione protegge il bulbo e impedisce che, come effetto della chemioterapia, si perdano i capelli. L'85 per cento di quelle che l'hanno provato se ne sono dichiarate soddisfatte, tra cui Elisabetta, sorridente e con una magnifica testa castana, «nonostante 12 cicli di terapia». Si rallegra il professor Paolo Veronesi, direttore della Senologia Chirurgica dell'Istituto: «Sappiamo quanto questo fattore sia vissuto con preoccupazione dalle donne, tanto che ancora qualcuna rifiuta di sottoporsi alla terapia per non diventare calva. Oggi stiamo trovando una soluzione». Sempre di più - prosegue Veronesi - i tumori vengono divisi in due categorie: «Quelli che possiamo considerare come incidenti del tutto casuali, che cerchiamo di individuare il più precocemente possibile, e che spesso vengono eliminati con un semplice intervento in day hospital, e quelli che ri- Sanità nazionale velano una predisposizione genetica della donna ad ammalarsi. Al momento della diagnosi bisogna capire con quale dei due abbiamo a che fare». Uno snodo cruciale, perché - come dice Enrico Cassano, direttore della Radiologia Senologica - «è lì che si definisce il percorso da seguire». La recente affermazione di Beppe Grillo, poi corretta in corsa, riconduce poi a parlare di sicurezza della mammografia: «Qualsiasi metodo d'indagine presenta rischi e benefici: quel che conta è il loro bilanciamento, il principio di giustificazione diagnostica. I classici lavori scientifici sugli screening mammografici in Svezia dimostrano che aumentano del 30% la sopravvivenza». E dunque fatela, per piacere. Ma, se i progressi della ricerca oncologica sono continui, un'altra battaglia decisiva si sta combattendo sul fronte psicologico, per restituire integrità e identità a chi si ammala. t il tema che Emma Bovino ha posto con forza, comunicando mesi fa di avere un cancro ai polmoni, ma di «voler continuare a essere se stessa e non la propria malattia». Con in testa il suo turbante colorato, ancora flebile ma fiduciosa dopo gli ultimi esami, la Bonino ha aperto con un video il convegno, rivolgendosi «con un certo imbarazzo» a chi «ha di sicuro più esperienza di me in questa sfida. Non sono il mio tumore. Sono una persona che ha sogni, difficoltà, aspirazioni, progetti: al momento, quello di passare una buona estate. E mi fido totalmente della mia équipe: mai andata su Internet a cercarmi informazioni ». Il collegio di cura, la necessità dell'interdisciplinarità: proprio perché di persone si tratta, da considerare nella propria interezza. Ecco perché allo Ieo lavorano insieme radiologi, chirurghi, esperti di ricostruzione plastica, nutrizionisti, psicologi, sessuologi, allenatori fisici; e anche estetiste, senza false ipocrisie, perché della cura dell'aspetto ci si può e ci si deve occupare. Insieme ce la si fa. Chiamando le cose col proprio nome e guardando avanti. twitter @esantoli Pagina 16 "Io, la riparata vivente che ora cerca l'a onia" per to Sono le donne che si dicono soddisfatte dall'uso di «Dignicap» il caschetto che impedisce la caduta dei capelli Il principio 11 caschetto serve a ghiacciare temporaneamente il cuoio capelluto e agisce grazie alla vasocostrizione E a Bonìno Ha aperto con un video il convegno: «Non sono il mio tumore. Sono una persona che ha sogni, difficoltà, progetti: ora è quello di passare una buona estate» o fatto una grillata, una bella rimozione, fingendo che la ghiandolina che avevo sotto l'ascella non ci fosse. E poi cadevo, inciampavo: il mio corpo continuava a mandarmi segnali e io, ostinata, non lo ascoltavo». Alla fine Francesca, giornalista, ha fatto «chissà come» un'ecografia e il tumore l'ha stanato. «In pochi giorni ero sotto i ferri di due magnifiche chirurghe, le mie Charlie's Angels. Passato lo spavento, sono scivolata nel protocollo. Ed è stato bellissimo: mi sono abbandonata a chi si prendeva cura di me, fidandomi ciecamente». La chemio, la ra- dio e poi quello che gli esperti chiamano l'effetto risacca: «Alla fine del cielo di cure ti dicono che non devi tornare per sei mesi e tu sei persa. In quel posto, che pare un po' un aeroporto, io mi sentivo protetta, come se avessi cominciato un viaggio su un'astronave guidata da un bravissimo pilota. Poi torni a terra e comincia il difficile, mettere insieme la milanese tarantolata che ero prima, tutta lavoro e impegni forsennati, con la "riparata vivente" che sono ora. Divido la mia vita in a.C. e d.C., prima e dopo il cancro. E sto usando uno sguardo diverso, più lungimirante, sulla vita: per diventare una donna armonica». [E. SANT.] I " 'orti dentro un intruso e lui non sogna e non ama" o una predisposizione genetica. Per non farla tanto lunga, mi sono abituata a dire che è la stessa di Angelina Jolie. Ci vivo da dieci anni, l'ultima volta che il problema si è ripresentato è stato l'anno scorso». Daniela, che vive a Roma e ha deciso di farsi curare allo Ieo di Milano, dice alle altre donne che l'importante «non è raccontarvi la cartella clinica, ma le mie emozioni. Per prima cosa tenete sotto controllo l'immaginario, perché spesso quello che fantasticate sul futuro è peggio della malattia». Nelle sale d'aspetto, nelle stanze dell'istituto, prima degli in- terventi, durante i ricoveri, racconta di aver sempre potuto contare «sulla presenza delle altre donne, che mi hanno aiutato a sopportare l'attesa, il momento per me più difficile. Ma non mi sono mai sentita persa, non ho mai pensato "non ce la faccio". Ti porti dentro questo intruso, questo clandestino, che però non sei tu. Il tumore non sogna, non ama, non ha figli né amanti né mariti». Lei, di marito, ne ha invece uno, Salvatore, che è psicoanalista e poeta. I suoi versi più belli glieli sta dedicando da dieci anni: «Credevo di aver capito tutto e invece quanto ancora dovevo imparare». [E. SANT.] Con una paziente Paolo Veronesi è direttore della Senologia Chirurgica dell'leo Sanità nazionale Pagina 17 centro delle cure riscopri o la persona UMBERTO VERONESI un tuT onmorebastadaltogliere seno di una deve mai venir meno. Abbiamo fatto molto negli donna, bisogna toglierlo dalla sua mente. Questa frase descrive una delle battaglie più importanti della mia vita di medico ed è il credo che otto anni fa mi ha spinto ad ideare «Ieo per le Donne», il primo incontro dedicato all'ascolto delle pazienti dopo e oltre la cura. Ma cosa vuol dire concretamente «togliere un tumore dalla mente»? ultimi decenni, ma possiamo e dobbiamo fare di più. Eppure questo cammino non ci porterà all'obiettivo finale, se non cambierà radicalmente il rapporto medico-paziente. La medicina del futuro deve tornare ad essere «medicina della persona». Dobbiamo recuperare la dimensione olistica del rapporto medico-paziente, che si è persa con l'avvento della super-specializzazione. Non possiamo più immaginare di curare qualcuno senza sapere chi è, cosa pensa, cosa sente, qual è il suo progetto di vita. Allora dobbiamo ritrovare il tempo del dialogo. Bisogna recuperare inoltre il concetto di identità perché, come ha sottolineato la mia cara Vuol dire affrontare un'evoluzione culturale profonda degli ospedali, della terapie e del rapporto medico-paziente. Per l'ospedale significa non abbandonare la donna dopo la dimissione, perché il momento dei trattamenti è solo un primo passo verso la guarigione e dunque bisogna organizzarsi per farsi carico della persona finchè non si sente reintegrata nella sua vita di prima. Se otteniamo un risultato oncologico immediato, ma resti- tuiamo alla cosiddetta normalità qualcuno che vede distrutto il suo progetto di vita, abbiamo fatto il nostro dovere di medici? La ricerca può aiutare in questa direzione, mettendo a disposizione terapie che tengano conto dell'impatto fisico e psicologico delle cure. I trattamenti non devono più guarire la malattia, dimenticando la persona, e per questo l'impegno per la riduzione della tossicità delle cure non Sanità nazionale amica Emma Bonino, nessun malato è la sua malattia. Infatti propongo di abbandonare il termine «paziente», che si riferisce a qualcuno senza identità, che subisce passivamente, e di iniziare a pensare e parlare di persone. Persone che hanno una storia passata o presente di malattia da raccontare e condividere per superarla meglio. Questo è il messaggio di Ieo per le donne che non vorrei rimanesse una bellissima esperienza unica, ma diventasse un modello capace di esprimere alla società cosa significa oggi ammalarsi e guarire di cancro. Pagina 18 Alzheimer Come ti alleno il neurone Giochi, musica e attività fisica. Possono rallentare il decorso della malattia di Paola Emilia Cicerone A IUTARE CHI soffre di Alzheimer. Con attività ludiche, musica e giochi di memoria, che possono preveni- re il decadimento cerebrale, oltre a migliorarne la qualità di vita. Sono i risultati di Train the Brain, un programma promosso dal Cnr «L'idea è quella di allenare neuroni e gambe in un ambiente socializzante», spiega l'ideatore del progetto, il neurobio- Ricerca logo Lamberto Maffei, oggi presidente dell'Accademia dei Lincei. Col cineforum e la musica, i giochi di memoria, la cyclette e lo stretching: tutto quello che può servire ad aiutare anziani a rischio demenza o già affetti da lieve deficit cognitivo. I partecipanti al progetto - reclutati con la cooperazione dei medici di famiglia - sono stati coinvolti tre mattine a settimana, per sette mesi, in una struttura realizzata per loro nel Centro di Ricerca del Cnr di Pisa. Con ottimi risultati: l'80 per cento ha mostrato un buon miglioramento cognitivo, mantenuto anche a mesi di distanza. Confermando quanto emerso da precedenti ricerche: «Il cervello dell'anziano sano o nelle fasi iniziali della malattia mantiene plasticità e capacità di recupero», spiega Nicoletta Berardi, psicobiologa dell'Università di Firenze e del Cnr. Adesso serve personale, e soprattutto servono risorse per andare avanti: «Ma non un curo in più di quanto già si spende per i malati di Alzheimer», ricordano i responsabili del progetto: «Cinquantamila a testa tra costi diretti e indiretti». ■ Pagina 19 CONTRO ICTUS PARKINSON E SCLEROSI MULI PLA.ORASI PUNTA SULLA :lR r.Lroo 1a tei.cit , LA CAPACITA DELLEAREE CEREBRALI DI PIMODELLARSI. UNO PSICHIATRA ILLUSTRAGLI ULTIMI STUDI di Giuliano Aluffi 1 cervello può guarire? Fino a qualche anno fa la risposta era netta e sconfortante asserragliato nella scatola cranica, poco osservabile e ancor meno misurabile nelle sue attività, il cervello sembrava qualcosa di intoccabile. E, se danneggiato, appariva irrecuperabile. Oggi però, grazie agli strumenti neuroscientifici, è un organo meno sconosciuto e si stanno facendo strada terapie innovative che rimettono tutto in discussione: fanno leva sulla neuroplasticità, ossia la capacità del cervello di cambiare e ripararsi. Non sono ancora state sperimentate su numeri clinici abbastanza estesi da poterle convalidare una volta per tutte, ma esistono già prime prove scientifiche della loro efñcacia, con studi pubblicati su riviste autorevoli. Il \lll:tl>V 1llIUL.1 LE GUrìliJG1G7NI DEL. CT9tVCI.I.Q Sopra , Le guarigioni del cervello (Ponte alle Grazie) e il suo autore, Norman Doidge , docente di psichiatria alla Columbia University dl NewYork 1l VenBtffi Ricerca 2919 A G G l 0 2019 cantore più entusiasta delle terapie neuroplastiche è Nonnan Doidge, docente di psichiatria al Columbia University Psychoanalitio Center di New York e alla University of Toronto, autore del saggio Leguarigionzi del cerrello Tonte alle Grazie, traduzione di Sabrina Placidi e Francesco Zago, pp. 448, euro 20). «Il cervello è così specializzato e complesso che molti fatica no ad attribuirgli quella capacità che hanno altri organi, come la pelle, di ripararsi e rimpiazzare parti danneg giate» spiega Doidgu al Yenerd?. «Ma è proprio la complessità del cervello a dargli interessanti proprietà di guarigione, che dipendono dal fatto che i circuiti neuronali si possono formare e riformare molto in fretta». t questa capacità plastica a permettere al cervello di riprendere, almeno in parte, le redini del corpo dopo aver subito un danno. «Gli studi sulla neuroplasticità ci indicano che, quando certe aree cerebrali sono morte, è possibile usarne altre per supplire. Non è detto che il tentativo riesca, perché c'è grande variabilità da individuo a individuo, ma è importante capire che c'è questa strada e che possiamo provare a sfruttarla» continua Doidge. «Le nostre abilità, i nostri pensieri e i nostri ricordi non sono racchiusi "dentro" singoli neuroni, ma corrispondono all'attiti tà elettrica che i nostri neuroni si scambiano. Immaginiamo di avere un'orchestra nel cervello: capacità, pensieri e ricordi non coincidono con i singoli strumentisti, ma sono piuttosto le sinfonie suonate dall'orchestra. Un violinista può ammalarsi, ma la sinfonia 71 Pagina 20 scienze ALLENA-MENTI Elettroencefalogramrna su una volontaria persicprire come lavora il cervello. pensieri e ricordi non sono racchiusi nei singoli neuroni, rna corrispondono alla loro attività elettrica può continuare se ne viene reclutato un altro per rimpiazzarlo». E quando l'orchestra suona male, come in certe malattie? «Sono allo studio terapie basate sulla neurostimolazione, che può aiutare "l'orchestra" a risincronizzarsi» spiega Doidge. «Al Centro di comunicazione tattile e neuroriabilit.azione dell'Università del Wisconsin, ad esempio, si stimo]ano aree profonde come il tronco encefalico grazie a uno strumento che invia piccoli impulsi elettrici alla lingua (questa è connessa al cervello da oltre 15 mila fibre nervose). E sembra un sistema promettente per lenire sintomi di malattie che toccano il tronco en cefalico, come la sclerosi multipla». Nel suo libro Doidge raccoglie molti casi, anche se non tutti ancora convalidati da studi ufficiali. «Prendiamo quello di John Pepper: è malato di Parkinson, quindi ha problemi ai gangli della base, quelle strutture neuronali che rendono automatici i movimenti semplici e li collegano in un movimento complesso. Per lenire i sintomi motori più evidenti del Parkinson, come la rigidità dei movimenti, Pepper si è allenato a usare una tecnica di "cannnino conscio": facendo ricorso in modo appropriato alla concentrazione e all'attenzione, che sono risorse corticali, riesce a supplire ai compiti di altre aree neuronali subcorticali danneggiate. E quindi a muoversi con scioltezza. Pepper non pensa "Adesso vado in cucina". Ma pensa: `Adesso mi alzo. Poi sollevo il piede dein caso diictus, stro. Poi lo spingo in sembrache avanti...». Ma la conimmaginare centrazione non è di muovere tutto: «t il fatto l'artocolpito 72 Ricerca possa aiutare il recupero stesso di camminare che aiuta Pepper, perché la plasticità cerebrale va coadiuvata con l'esercizio fisico . Quando certe attività fisiche riescono male, i malati "apprendono" che, se provano a fare qualcosa, non ci riusciranno. E non ci provano più. Ma questo rende sempre meno recuperabili le funzioni danneggiate . Invece camminare molto, come fa Pepper, aiuta a produrre in misura maggiore i fattori di crescita nervosa, che possono aumentare la plasticità» sottolinea Doidge. Tanto che le condizioni di Pepper peggiorano se, anche solo per un mese, smette di fare il suo «allenamento». Quello di Pepper può essere un caso par ticolare, ma esistono conferme più solide dei vantaggi della plasticità del cervello. «Riguardano sempre il Parkinson e anche altre patologie, come la sclerosi multipla e l'ictus» spiega Valentina Tomassini , docente di neurologia all'Università di Cardiff «Nella riabilitazione post ictus si è visto che , se c'è un arto che si muove male, bloccando l'arto sano si induce il paziente a usare di più quello malfunzionarrte e questo permette, grazie alla plasticità neuronale , di ottenere dei miglior arnenti». E chi non può proprio muoversi, può aiutarsi pensando. «In lavori già pubblicati sull'ictus , e altri in corso di pubblicazione (tra cui i nostri) sulla sclerosi multipla, si sostiene che la pratica mentale, ossia immaginare di usare un arto colpito, possa indurre un miglioramento, perché l'azione immaginata e quella compiuta condividono alcuni circuiti cerebrali . I risultati, ovviamente, si accentuano se alla pratica mentale si unisce il movimento, per quanto parziale , dell'arto stesso». Ma attenzione: la plasticità è un'arma a doppio taglio- A volte bisogna governarla e limitarla perché altrimenti, anziché miglior are le condizioni di un paziente, può peggiorarle. «Dopo un'enriparesi, per esempio, c'è chi non controlla più una mano e succede che le aree cerebrali sane blocchino del tutto l'area malfunzionante. Impedendone il recupero» spiega Lorda Battelli, neuroseienziata all'Tstitrrto italiano di tecnologia di Rovereto e all'Harvard Medicai School. In questi casi occorre inter venire: «L'abbiamo fatto in un caso curi un danno al lobo parietale destro che aveva prodotto un peggioramento dell'attenzione visiva. Tramite stimolazione magnetica, abbiamo impedito che il lobo parietale sinistro tenesse bloccato il lobo destro malfunzionante, ed effettivamente abbiamo ottenuto un miglioramento dell'attenzione visiva. Di breve durata però. i] limite di queste terapie n eur'oplastiche é proprio il fatto che al momento non hanno effetti permanenti». Incoruggianle è invece sapere che il cervello rimane plastico anche invecchiando. «Con Lotfi Merabet, oculista e neurologo della Harvard Medical School, abbiamo visitato una signora ohe, diventata cieca a 20 anni, a 66 stava imparando a usare speciali occhiali che trasformano le informazioni visive in suoni aiutando così i ciechi a riconoscere gli oggetti (una specie di braille uditivo anziché tattile). Abbiamo visto che inibendo le aree occipitali visive (non quelle uditive), la signora non riusciva più a riconoscere gli oggetti. Era la prova che il suo cervello, a 64 anni, si era riorganizzato: grazie agli occhiali la sua corteccia visiva si era riadattata a "vedere" attraverso il suono». Nei bambini la neuroplasticitS ë ancora maggiore. «La paralisi cerebrale infantile è la causa più comune di una serie di handicap» spiega Renée Lampe, ortopedica dell' Università Tecnica di Monaco. «Nel corso di una ricerca pubblicata nel 2014 sul Journal ofEuropean PacdiatricNeurology Society abbiamo sottoposto bambini con paralisi cerebrale a lezioni di piano per 18 mesi. Suonare il pianoforte influenza le aree uditive, sensoriali e motorie. Alla fine di questo allenamento ahbiamo riscontrato un miglioramento nelle abilità della mano. E la risonanza magnetica condotta prima e dopo il training ha rnustrato cambiamenti neuroplastici nella connettività delle aree motorie del cervello». Giuliano Aluffi 29 MA_ GIO 2015 ll.V~ Pagina 21