Rassegna del 29/05/2015

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Rassegna del 29/05/2015
Rassegna del 29/05/2015
INDICE RASSEGNA STAMPA
Rassegna del 29/05/2015
SANITÀ NAZIONALE
Avvenire
29/05/15 P. 21
Le coop: sanità, regole chiare
Alessia Guerrieri
1
Avvenire
29/05/15 P. 21
Dolore cronico: il 60% degli ammalati non accede alle terapie
Francesca Lozito
2
Avvenire
29/05/15 P. 28
Welfare aziendale, coperture sanitarie la prima scelta
Luca Mazza
3
Corriere Della Sera
29/05/15 P. 23
Ha detto in tedesco: voglio bere, Così è iniziato il risveglio Di Michi
Simona Ravizza
4
Corriere Della Sera
29/05/15 P. 23
La donna che rivede il volto del fratello sull'uomo a cui è stata trapiantata la faccia
Luigi Ripamonti
5
Corriere Della Sera
29/05/15 P. 25
Con Ismett in Sicilia indotto da 132 milioni
Corriere Della Sera
29/05/15 P. 25
Il casco che salva i capelli dalla chemio
Mario Pappagallo
7
Giornale
29/05/15 P. 6
Quell'appalto fumato Paita che porta soldi a «Unità» e Pd
Gabriele Villa
8
Il Fatto Quotidiano
29/05/15 P. 5
La Spezia, l'ospedale ai salvatori dell'Unità
Ferruccio Sansa
Repubblica
29/05/15 P. 22
"Noi donne e la vita dopo il tumore" E ora arriva il casco che salva i capelli
10
Sole 24 Ore
29/05/15 P. 14
L'Ismett spinge il Pil siciliano
15
Stampa
29/05/15 P. 33
Chemio senza parrucca All'leo il casco salva-capelli
Egle Santolini
16
Stampa
29/05/15 P. 33
Al centro delle cure riscopriamo la persona
Umberto Veronesi
18
Espresso
04/06/15 P. 75
Come ti alleno il neurone
Paola Emilia
Cicerone
19
Venerdi Repubblica
29/05/15 P. 67
Il cervello si ripara: con l'esercizio
Giuliano Aluffi
20
6
9
RICERCA
Indice Rassegna Stampa
Pagina I
Le coop: sanità, regole chiare
Accrediti presso le strutture, posti letto e assistenza le priorità
ALESSIA GUERRIERI
RomA
a strategia delle cinque "R". Regole certe per l'accreditamento
e uguali da Aosta a Brindisi, una regia unica nazionale per l'assistenza primaria, rigore nella misurazione della qualità dei servizi, un ruolo attivo degli operatori del sistema e
una rete che li metta in comunicazione costante. La riforma sanitaria, avviata con il Patto della salute un anno
fa, ora deve essere tradotta in realtà
nelle oltre 140Asl italiane. Main un sistema che sta andando velocemente
verso la logica del "meno ospedale,
più territorio", ad esigere maggiore
trasparenza nell'accreditamento e
nella chiarezza di norme sono proprio le cooperative sanitarie che finora hanno colmato tante lacune del sistema pubblico. «Chiediamo alla politica di dare regole precise a questo
mondo - è l'appello del presidente di
FederazioneSanità, Giuseppe Milanese -perché non possiamo più sopportare la concorrenza anomala nel
sistema di accreditamento».
Un meccanismo che deve essere fondato, invece, su requisiti stringenti sia
peril personale che per l'azienda, ma
univoci «perché ci sia solo una concorrenza positiva». Oggi, in realtà, esistono appalti «diversi anche da Asl
ad Asl - aggiunge il responsabile delle coop sanitarie aderenti a Confcooperative - e questo significa diseguaglianza tra cittadini. È inaccettabile in
un Paese evoluto».
Anche approfittando di una disomogeneità di criteri, qualcuno in questi
anni ha considerato così la sanità e il
welfare come un settore in cui fare affari con facilità, e noi «cooperatori
della salute quasi una sorta tappabuchi» del sistema pubblico, ammette
Milanese. Eppure si sta parlando
sempre più spesso di realtà altamente professionali, che hanno fatto rete
tramedici e pazienti delterritorio per
dare al cittadino risposte mirate e veloci. Un mondo, quello della cooperazione aderente a FederazioneSanità, che è cresciuto molto negli ultimi anni, colmando i vuoti lasciati dallaspendingreview. E aumentando soprattutto l'occupazione stabile. Oggi
è arrivato a riunire oltre 330 realtà formate da 110mila soci che danno lavoro a 12mila persone e producono
un giro d'affari aggregato di 8,2 miliardi di euro. Sono quasi sempre imprese giovani -hanno meno di 10 anni di vita - e offrono occupazione a
tempo indeterminato nel 70% dei casi, 6 volte su 10 a donne. Ancora più
lusinghieri i numeri della cooperazione nella filiera sanitaria: 11.830
realtà, un fatturato aggregato di 15
miliardi, 11 mili ardi di capitale investito, 356mila addetti.
Questo settore ha ancora grandi potenzialità, ma perché ci sia davvero eguaglianzanell'accesso alle cure e servizi di qualità occorre avere un quadro normativo definito e controlli seri. Il modello a cui tendere è quello canadese, per Milanese, in cui gli operatori sanitari addirittura lavorano in
rete nel 76% dei casi e dove meno ospedale si è trasformato davvero in
più territorio, mentre «in Italia meno
Milanese ( FederazioneSanità):
basta con appalti diversi a seconda
delle Asl. Con gli operatori in rete,
ospedali meno saturi e più cura
per gli anziani sul territorio
ospedale si sta traducendo in
più pronto soccorso. La politica deve colmare questo gap».
Anche perché porterebbe non
solo più salute, ma anche più
lavoro. Se, infatti, si raggiungessero i livelli di cura primaria e le quote di assistenza domiciliare integrata degli altri
Stati europei - in Italia appena
il 4,12% degli over 65 beneficia
delle prestazioni domiciliari, cioè
496mila anziani, quando ne avrebbero bisogno 870mila - si potrebbero
creare, secondo FederazioneSanità,
«almeno 500mila nuovi posti di lavoro». Solo se ci si occupasse, invece, di
portare agli standard europei i posti
letto residenziali e semi-residenziali
(oggi nel nostro Paese appena242mila rispetto a un fabbisogno di 496mila), i nuovi occupati sarebbero comunque tanti: 200mila. Ma dovrà esserci prima, sottolinea Milanese, «una scelta di campo importante» dello
Stato, anche in termini di risorse e della loro allocazione.
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Sanità nazionale
Pagina 1
Dolore cronico:
il 60% degli ammalati
non accede alle terapie
FRANCESCA LOZITO
RomA
a cura del dolore in Italia è ancora una conquistaper la maggior parte delle persone. In
occasione della presentazione della giornata del sollievo che si celebra domenica, la Fondazione Gigi Ghirotti, promotrice dell'appuntamento da quattordici anni, ha diffuso i nuovi dati che
testimoniano il cammino di civiltà che il nostro
Paese ha davanti a sé. Sono mezzo milione le persone che soffrono di dolore cronico: «Di queste il
40% non riesce ad accedere alle terapie adeguate spiegano dalla Fondazione -. Solo tre persone su
dieci sono quelle indirizzate ai trattamenti appropriati dai medici di famiglia. Più del 60% brancola
nel buio». E crescono dunque i tempi di attesa si possono aspettare anche tre
anni prima di raggiungere
Domenica
la giornata
Lorenzin:
adeguata
assistenza
umana
un centro specializzato. Ci sono poi gli effetti collaterali della sofferenza la depressione, che colpisce il40% dei malati, la perdita del lavoro per i122%.
«Parlare oggi di sollievo - ha dichiarato il ministro
della Salute, Beatrice Lorenzin - deve obbligatoriamente tener conto di quanto affermato dal Papa il 5 marzo 2015. Papa Francesco ha sottolineato che le cure palliative hanno l'obiettivo di alleviare
le sofferenze nella fase finale della malattia e di assicurare al tempo stesso al paziente un adeguato
Sanità nazionale
accompagnamento umano, soprattutto per gli anziani che ricevono sempre meno attenzione dalla
medicina curativa».
La Fondazione Gigi Ghirotti ha così lanciato due
proposte: dare voce direttamente ai pazienti attraverso un osservatorio istituzionale che raccolga la
loro condizione sia online che negli ospedali. Contemporaneamente, istituire un polo di eccellenza
per lo studio e la cura della terapia del dolore.
Centonovanta le iniziative che sono in calendario
per la Giornata del sollievo: si parte dal Policlinico
Gemelli, centro principale della manifestazione,
alle iniziative sul territorio come l'"Open Day Dolore: le donne e il dolore - chiedi, conosci, curati",
che si terrà fino al 3 giugno presso l'Azienda ospedaliero-universitaria di Ferrara nell'ambito del Progetto ospedale-territorio senza dolore - Onda in Emilio-Romagna. Anche il sud è protagonista con il
Convegno di bioetica "Umanizzazione delle cure Più cuore nelle mani, organizzato, tra gli altri, dai
medici cattolici a Bucchianico in Abruzzo.
In Calabria invece, si parlerà di reti delle cure palliatine e della terapia del dolore: non va dimenticato, infatti che la legge 38 del 2010 ha regolato per
la prima volta le due reti, quella dedicata alla terapia antalgica e quella delle cure palliative.
L'edizione 2015 del Premio Gerbera d'Oro, assegnato dalla Fondazione e dalla Conferenza delle
Regioni al progetto di assistenza sanitaria che si è
distinto nella lotta al dolore è andato all'Azienda Ospedaliera Universitaria di Novara.
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Pagina 2
Welfare aziendale,
lo lo
coperture sanitarie
la prima scelta
Il 52% delle aziende «responsabili»
ha attivato più pacchetti assistenziali
LUCA MAZZA
ca emerge il desiderio quasi unanime degli intervistati di vedere
presto realizzato un aggiornamento sia della disciplina fiscale (75%),
sia di quella giuslavoristica (61%).
Per lo sviluppo del welfare aziendale, però, sarà necessario fare più
chiarezza, specie sotto l'aspetto
normativo. «Non a caso nove imprese su dieci sono favorevoli all'introduzione di un plafond massimo omnicomprensivo nel quale ricomprendere tutti i benefit, a partire
dai "buoni pasto" che sono quelli più diffusi e graditi conclude il presidente di "Qui! Group Spa", Gregorio
Fogliani-. Ed è importante sottolineare, infine, che welfare aziendale non deve necessariamente rimanere confinato nelle grandi realtà, ma può entrare con successo
anche nelle Pmi».
Sono sempre più diffuse anche
le formule di flessibilizzazione
degli orari (45,9%) e l' adesione
a network convenzionati
per la fruizione di sconti
li effetti negativi della lunga crisi economica hanno
spinto le imprese a ricercare nuovi meccanismi per tutelare
la salute dei dipendenti e a studiare sistemi innovativi che permettano - soprattutto alle donne - di
conciliare famiglia e lavoro.
Negli ultimi anni, infatti, la maggioranza delle realtà
produttive e di servizi ha potenziato il welfare aziendale. La conferma arriva dai risultati di una ricerca promossa da "Welfare Company", provider di servizi di welfare aziendale controllato da "QUI! Group Spa" (società
leader nel settore con oltre 700mila lavoratori quotidianamente raggiunti). Dallo studio, condotto da Luca
Pesenti, docente di Organizzazioni sociali e welfare plurale all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano,
emerge che il 52% delle imprese socialmente più responsabili ha messo a disposizione dei dipendenti e
delle loro famiglie oltre sei diverse misure assistenziali.
Entrando nel dettaglio si scopre che - oltre alla conferma del "peso" preponderante delle coperture sanitarie
integrative (46%) e alla diffusione di formule di flessibilizzazione degli orari (45,9%) - rispetto alle rilevazioni di pochi anni fa, è cresciuta l'importanza data ai
network convenzionati per la fruizione di sconti ed agevolazioni dedicate ai dipendenti (36,7%). I fringe benefit più gettonati, dunque, sono la sanità integrativa e
gli sconti, ma nuovi strumenti si stanno affacciando e
sembrano destinati a prendere sempre più piede. «Nell'opinione dei 100 manager intervistati, il welfare aziendale si è confermato come un prezioso alleato per
diminuire la conflittualità, migliorare il clima aziendale e la produttività, grazie anche ad una sua evidente efficacia nel ridurre l'assenteismo», commenta Pesenti.
Giovanni Scansani, direttore generale di Welfare Company, sottolinea che «solo se la persona è realmente al
centro del programma di welfare aziendale quest'ultimo è in grado di generare reciprocità nei termini di un
maggior coinvolgimento e di un aumento della produttività da parte dei beneficiari degli interventi».
Per quanto riguarda il futuro del fenomeno, dalla ricer-
Sanità nazionale
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Wcl(Tm axi.ldale
coper0.ue sanitari
la prima uells
Pagina 3
Ha detto in tedesco: voglio bere»
Così è iniziato il risveglio di N
di Simona avizza
MILANO E adesso che dalla finestra della Terapia intensiva
neurologica, al terzo piano,
può finalmente entrare la luce,
dopo un mese trascorso nella
rianimazione cardiochirurgica
che si trova nei locali interrati,
Michi si rende conto dell'alter
narsi del giorno e della notte,
con le ore che trascorrono
troppo lente, ma senza più essere attaccato a nessuna macchina. Dal 24 aprile, quando è
rimasto impigliato sott'acqua
per 42 minuti dopo un tuffo nel
Naviglio, il giovane (che i medici chiamano con affetto bambino) è all'ospedale San Raffaele. Michi, 15 anni a settembre,
aveva una possibilità su un mi
lione di sopravvivere e ora che
ce l'ha fatta non pensa ad altro
che alla data delle dimissioni.
Saranno mercoledì. L'aspetteranno almeno due mesi di riabilitazione neurologica a Bosisio Parini, vicino a Lecco. «Ma
ha dimostrato di essere speciale, lo dice la sua storia fin qui
sorride mamma Lela, sempre al suo fianco . Michi ha
avuto voglia di vivere e di continuare il suo percorso».
Il letto è in un open space, diviso dagli altri da paraventi
bianchi. Lela, di origine tedesche e una fede in Dio che l'ha
sostenuta anche nei momenti
più bui, oggi è felice e orgogliosa della ripresa del figlio: «Parla ancora con scioltezza quattro
lingue, con gli infermieri
scherza in italiano, tedesco, inglese e spagnolo».
Sanità nazionale
Il risveglio però è stato lento
e graduale. Gli stessi medici,
ora sereni ma anche loro increduli davanti a una rinascita che
sembrava impossibile, fino a
dieci giorni fa erano tormentati
da mille interrogativi: «Si è
davvero risvegliato
si domandavano
o è solo apparenza?».
I ricordi di Lela riaffiorano,
ma non senza emozione. Intor
no al 20 maggio contro ogni
previsione e a dispetto di ogni
manuale scientifico, grazie soprattutto all'intuizione di attaccarlo all'Ecmo, la macchina che
si sostituisce al cuore e ai polmoni e permette la circolazione extracorporea, Michi inizia
il suo dialogo con la mamma. t
una comunicazione fatta inizialmente di gesti e sguardi, un
colloquio del cuore, senza parole, che solo una madre e un
figlio possono intrattenere. «Ci
siamo subito capiti al volo
si
commuove Lela . Così l'ho
La madre
Si esprimeva a gesti,
poi ha
iniziato a
parlare coi
medici nelle
4 lingue
che conosce
potuto confortare. Le sue pau
re? Preferisco tenerle per me».
Poi la svolta definitiva. Una
strada verso la guarigione
assicurano i medici guidati dal
primario di Rianimazione Alberto Zangrillo
da cui non si
torna indietro.
«Ich habe Durst und wuerde
gerne trinken»: l'incubo di Michi finisce con una frase in tedesco che significa «Io ho sete,
vorrei bere». t un momento
che Lela non dimenticherà
mai. «Anche adesso ci parliamo prevalentemente in tedesco
racconta . E per me è
una prova importante della sua
lucidità mentale (tutt'altro che
scontata per uno che è rimasto
senza respirare per 42 minuti,
quando dopo 25 minuti normalmente i danni cerebrali sono irreversibili, ndr). Vuol dire
che le capacità neurologiche
sono buone, anche se sono
consapevole che sarà necessaria una lunga riabilitazione.
Dobbiamo ancora aspettare a
lungo, ma è già il Michi di sempre».
Il sogno di mamma Lela
adesso è di sedersi sul divano
di casa con il figlio e guardarsi
insieme un film: ma è ancora
presto per decidere il titolo e
poi poco importa. Nel frattempo Michi per combattere contro il tempo che non passa mai
s'infila le cuffie e ascolta i Two
Fingerz. La musica house gli
serve anche per dormire. E per
tenergli compagnia i suoi compagni del liceo scientifico alle
porte di Milano hanno inciso
un cd: ognuno gli ha dedicato
un messaggio, un in bocca al
lupo, l'augurio di tornare il prima possibile. Tutti lo aspettano. «Non siamo noi quelli che
inseguono i sogni
cantano i
Two Fingerz . Abbiamo solo
bisogni e non abbiamo tempo
da perdere». Il sogno di Michi
invece, quello di tornare a vivere, è stato alla fine più forte di
tutto.
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Sarà
necessaria
unalunga
terapia ma
le sue
capacità
mentali
sono
intatte
sott'acqua
1
L'incidente
Il 24 aprile
scorso a
Cuggiono,
cinque ragazzi
si tuffano nel
Naviglio. Uno di
loro, 14 anni,
non riemerge e
rimane
incastrato con
un piede
Solo dopo 42
minuti il corpo
viene
recuperato e
rianimato sul
posto (foto). Il
cuore riparte e
dopo una lunga
e complessa
degenza in
ospedale il
ragazzo è ora
sulla strada del
pieno recupero
Pagina 4
L ì nc
9
La donna che rivede il volto del fratello
sull'uomo a cui è stata trapiantata la faccia
di Luigi Ripamonti
141
-
il viso della persona con cui
sono cresciuta, posso
toccarlo?» Per Rebecca
Aversano l'emozione deve essere stata
fortissima nell'accarezzare per la
prima volta il viso di Richard Norris,
l'uomo a cui è stato trapiantato il volto
di Joshua, il fratello di Rebecca, morto
in un incidente stradale nel 2012.
L'incontro è avvenuto in Virginia, nella
residenza di Norris (l'immagine è
tratta da un video della tv australiana
Nine Network). L'uomo era rimasto
sfigurato per un colpo di pistola nel
1997 e da allora aveva condotto una
vita da recluso, indossando una
maschera per non mostrare i suoi
lineamenti. L'intervento ha richiesto
36 ore di lavoro ai 15o fra medici e
infermieri dell'Università del
Maryland. Quello di Norris è stato il
23esimo trapianto di faccia nel mondo
(il primo in Francia nel 2005). Del
donatore sono stati utilizzati tessuti
dal cuoio capelluto al collo compresi
nervi, muscoli e ossa. Un aspetto
molto delicato è stato quello della
riconnessione dei nervi,
fondamentale per l'espressività del
volto e per la sensibilità della pelle.
Norris era stato scelto fra cinque
diversi candidati all'intervento.
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II donatore
Joshua Aversano
morto nel 2012
in un incidente
II ricevente
Richard Norris
era rimasto
sfigurato nel 1997
Sanità nazionale
Pagina 5
Con Ismett in Sicilia
indotto da 132 milioni
Nel 2013 l'impatto sull'economia della Sicilia è
stato di 132, ,5 milioni, con 22,7 milioni di
entrate fiscali a favore della Regione e del
governo e un risparmio netto per l'assistenza
sanitaria ai cittadini di 73,2 milioni. Sono i
numeri di Ismett (ex Istituto mediterraneo per i
trapianti, oggi Irccs),l'Istituto di ricovero e cura
a carattere scientifico (partnership con 55%
Regione Siciliana e 4,5% University of Pittsburgh
Medicai Center). Il calcolo è del Battelle
Memorial Institute. @ RIPRODUZIONE RISERVATA
rFi.ÍÁ
4'
Sanità nazionale
Pagina 6
CRONACHE
Il casco che salva i capelli dalla chemio
SperimenlaIo allo leo su 30 malate di Lumore: «Risultali incoraggianti». I racconti delle donne guarite
Raffreddare la testa durante
la chemioterapia salva i capelli
e aiuta una donna a combattere
il male restando persona. Per
ora funziona solo per la chemio usata per il tumore al seno.
Non per quella usata nel cancro
al polmone che ha colpito Emma Bonino, ma lei ribadisce:
«Io non sono il mio tumore,
ma resto una persona». Il suo
messaggio in video si diffonde
tra le 90o donne guarite di tumore riunite a Milano all'annuale appuntamento voluto e
ideato da Umberto Veronesi nel
2007: «leo per le donne». Ex
pazienti dell'Istituto europeo
di oncologia (leo), e di altri istituti, riunite per testimoniare di
aver ritrovato la loro identità.
Di essere di nuovo persone.
Forse nuove persone.
L'oncologo fondatore dell'Istituto di via Ripamonti non
c'era, ma il suo messaggio è un
monito. Più alla scienza, che alle donne che hanno lasciato il
tumore alle spalle. «I trattamenti non devono più guarire
la malattia dimenticando la
persona
scrive alle sue "amiche"
. Abbandoniamo il termine "paziente" che indica un
essere umano senza identità,
che subisce passivamente. Non
possiamo più curare qualcuno
senza sapere chi è, cosa pensa,
qual è il suo progetto di vita».
Guarire solo «l'involucro»? Non
basta. Applauso liberatorio delle donne, molte accompagnate
dai compagni, da amiche e figlie. Convention femminile con
un mantra ricorrente: via il tumore anche dalla mente. Le testimonianze, moderate da Daria Bignardi, riguardano i cambiamenti interiori e quelli di relazione, i rapporti sociali e di
coppia, la paura dell'amore.
In quest'ottica anche la
scienza deve ricercare soluzioni che riguardano la persona
malata in modo che malata
non si senta. Che non sia terrorizzata dal male e dalla cura che
ferisce la psiche. Che cosa offre
la scienza? Quest'anno il caschetto che salva i capelli: la
chemio senza parrucca. Spiega
Paolo Veronesi, che dirige la
chirurgia del seno allo leo:
«Nel nostro istituto è stato utilizzato da 30 pazienti, con buo-
Sanità nazionale
ni risultati». Ne sono testimonianza i folti e biondi capelli di
Elisabetta Cirillo, 29 anni, da
Brescia, una giovanissima
«guarita», presente con il fidanzato. Dodici sedute di chemio. «Quando fai queste cure
non vuoi essere bella
dice
. Vuoi solo sentirti normale,
non identificarti con il cancro.
Svegliarti, guardarti allo specchio, riconoscerti, essere sempre te stessa». Sorride. Grazie
anche al caschetto. Una delle
30. Veronesi tira le somme:
«L'85i si è detto soddisfatto.
Vale a dire che in 25 pazienti la
caduta è stata di grado 1 o 2,
cioè non percepibile dal punto
di vista estetico».
si intende una perdita del 2,5
della capigliatura, mentre per
grado 2 si intende una caduta
del 50 . Comunque non percepibile. «Stiamo valutando, primi in Italia, questo sistema
spiega ancora Veronesi jr
che consiste in un macchinario
collegato a due caschetti refrigeranti (Dignicap è il nome),
uno per paziente, che si indossano prima, durante e dopo
l'infusione di chemio. E un sistema di raffreddamento che
Ì".
«Quando fai queste
cure non vuoi essere
Posto che la caduta zero non bella ma normale, non
esiste (i capelli si perdono an- identificarti col cancro»
che naturalmente), per grado i
protegge le cellule dei bulbi piliferi del cuoio capelluto dai
danni da farmaci, riducendo la
caduta dei capelli. Il freddo diminuisce la perfusione del sangue e il metabolismo, riducendo l'attività "distruttiva" dei
chemioterapici». La temperatura, personalizzata da tre sensori, arriva a 3-5 gradi. I risultati nei Paesi come gli Stati Uniti
(dove la macchina è in attesa
dell'approvazione Fda), la Gran
Bretagna e la Francia, dove Di-
gnilife è ormai routine, sono
ottimi. La «medicina delle 5P»
(predittiva, preventiva, personalizzata, partecipativa e psicologica) trova così un altro tassello per diventare realtà.
Mario Pappagallo
Mariopaps
CG RIPRODUZIONE RISERVATA
Come funziona
L'apparecchio è stato testato su 30 pazienti
1Si indossa 20 minuti prima
2 Grazie al sistema
della seduta di chemioterapia, poi
avanzato
durante e dopo per altri 20 minuti
di raffreddamento
vengono protette
le cellule dei bulbi
piliferi del cuoio
capelluto dai danni
da farmaci
E
u
o
L'uso del casco
refrigerante durante
la chemioterapia riduce
la caduta dei capelli
con un tasso di successo
dell'85%a
Chi é
ì Elisabetta
Cirillo (foto), 29
annidi Brescia,
con un'amica
gestisce un
centro yoga.
Si è sottoposta
a 12 sedute di
chemioterapia
per combattere
un tumore
Èunadei30
pazienti dell'Istituto europeo di oncologia che hanno
voluto testare
in via sperimentale il
caschetto contro la caduta
dei capelli
II casco
è in silicone
morbido
Al casco
sono collegati
3 sensori
in neoprene
I sensori
regolano
la temperatura
tra 3 e 5 gradi
25
Su trenta
Sono i pazienti
che hanno
usato il casco
e nei quali
la caduta dei
capelli è stata
impercepibile
Per cento
Il tumore
al seno
rappresenta
il 29% di tutti
i tumori
che colpiscono
le donne
Pagina 7
VERSO LE REGIONALI II caso Liguria
Quell'appalto firmato Pana
che porta soldi a «Unità» e Pd
L'assessore della giunta Burlando e candidata governatore dem ha approvato una commessa
da 119 milioni all'imprenditorePessina, neoeditore del quotidiano di sinistra e fedele al premier
il caso
di Gabriele Villa
nostro inviato a Genova
avori e coincidenze nella Liguria di Claudio Burlando e Raffaella Paita.
Troppe coincidenze e, conseguentemente, anche troppi favori. Noi non ci crediamo, come direbbe il caustico ligure
Maurizio Crozza, ma i fatti ci
portano e vi porteranno a conclusioni non proprio azzardate. E, magari, persino non troppo lontano dalla verità.
Dunque, avetepresenteMassimo Pessina, l'imprenditore
dell'edilizia che è diventato
l'editore dell' Unità?Avete presente Raffaella Paita, l'assessore «distratta» alla Protezione civileche, quando Genovaeraflagellata dalle alluvioni, era in giro per la regione a farsi campagna elettorale per le primarie
del Pd e adesso si candida a governatore della Liguria? Bene,
ecco che, all'improvviso, è accadutoi122 maggio, leviteparallele di Burlando, della Paita e di
Pessinasi sono incrociate. Simpaticamente e provvidenzialmente, incrociate. Davanti ad
un appalto.
Un appalto assegnato, concesso e firmato in Regione. Un
appalto che riguarda la costruzione di un nuovo, avveniristico ospedale aLa Spezia, cittàna-
Sanità nazionale
tìa e feudo elettorale di Raffaella Paita, un appalto assegnato
alla «Pessina Costruzioni». Un
appalto per il quale pure il governo Renziha stanziato la sommadi 119milionidieuro cheandranno nelle casse della cordata edificatrice dell' opera, guidatadaPessina. Dunque, ricapitolando: il22maggio, apochigiorni dalle elezioni, la giunta Burlando hapensato chelapriorità
cui dovesse far fronte fosse quella di firmare l'appalto per la costruzione del nuovo ospedale
de La Spezia. Una sorta di opera
d'arte (imponente), del valore
di 175 milioni di euro. Tuttaimpegnata a difendere il territorio
politico conquistato nei dieci
annidi potere, la giunta di sinistra della regione Liguria si è anche posta il problema di assegnare in fretta e a persona di fiducia il gravoso e strategico impegno edilizio. Talmente gravoso e strategico, l'impegno edilizio che, saràun' altra coincidenza, alla gara d'appalto non ha
partecipato alcuna altra cordata se non quella di Pessina.
Da qui la scelta «obbligata»,
chissà che dispiacere per Burlando e la Paita fare un piacere
ad un amico di Renzi, di assegnare l'incarico alla cordata di
imprese capitanata da «Pessina costruzioni», cioè dalla società di costruzioni il cui presidente, Massimo Pessina, èl'editore dell' Unità, il giornale di riferimento del Pd che il premier
Renzi si è impegnato a fartornare agli antichi fasti.
Della cordata «premiata» da
Burlando e soci fa parte anche
l'emiliana Coopservice, il cui
orientamento politico non ci
pare lasci dubbi. Tornando all'accortezza di Renzi occorre dire che, nel caso specifico il suo
governo, tramite il ministero
della Salute, ha anche stanziato 119 milioni di euro per il progetto spezzino che, naturalmente, finiranno nelle casse
della cordata di Pessina. Non
meno consistente anche il contributo stanziato dalla giunta regionale uscente per la costruzionedelnosocomio delFelettino: ben 56 milioni che piovono
tempestivamente proprio apochi giorni dal voto. Coincidenze su coincidenze è ovvio che il
candidato del centrodestra Giovanni Toti, oramai appaiato, se
non davanti alla Paita nei sondaggi, abbia da dire la sua: «Sulle regolarità giuridica dell'appalto non siamo noi a dover giu-
dicarema ancoraunavolta è significativo constatare come, a
pochi giorni dalvoto, la sinistra
gestisca il potere nel solito modo distribuendo regalie a chi sostiene il Pd, il giornale del Pd e
aiutando, come sempre inLiguria, lecoop rosse. Etutto ciò con
il sostegno e il contributo ulterioredel governo Renzi.Una p olitica non per la gente, ma per
pochi intimi e soprattutto per i
soliti noti. Con buona pace dei
liguri questo èilmanifesto dicome è stata gestita la regione in
questi dieci anni». La progettazione esecutiva sarà avviata subito e i lavori dovrebbero venire completati entro quattro anni. E i liguri? Si augurano solo
ciò che hanno chiesto a Toti:
che la sanità in tutta la regione
torni a funzionare. E che lui, da
governatore, spazzi via la «cura» del Pd.
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Pagina 8
La Spezia, l'ospedale
ai salvatori dell'Unità
LA PESSINA COSTRUZIONI, UNICA SOCIETÀ IN GARA, OTTIENE L'APPALTO
DI 165 MILIONI PER LA NUOVA STRUTTURA A 48 ORE DAL VOTO
di Ferruccio Sansa
Genova
n ospedale soltanto
U per curare i malati o
anche per rianimare i sondaggi del
centrosinistra? A La Spezia lo
attendevano da decenni. Ed ecco che si compie il miracolo: la
firma dell'appalto per la costruzione del nuovo ospedale del
Felettino.
Ma, appena diffusa la notizia, si
accende la polemica. Primo,
fanno notare gli avversari politici, la sigla da parte della Regione di Claudio Burlando arriva a
pochi giorni dalle elezioni regionali incertissime. Secondo,
la gara ha visto la partecipazione di un solo concorrente. Terzo, l'unico partecipante, e quindi, vincitore è un raggruppamento di imprese che comprende Coopservice e Gruppo
Psc, ma è guidato dal gruppo
Pessina. Quello che sta cercando di portare in porto il salvataggio dell'Unità.
UN PIATTO molto ricco quello
per il rifacimento dell'ospedale
spezzino: si parla di 165 milioni
dei quali 119 provenienti dal
Ministero della Salute, mentre il
resto dalla Regione Liguria (i
soldi da sborsare saranno circa
140 milioni, perché il vincitore
si aggiudica il vecchio ospedale
valutato 25 milioni). Finora La
Spezia non disponeva di un
ospedale adeguato a una città di
100 mila abitanti. Così ecco ar-
rivare il nuovo complesso che
prevede 520 posti letto. Un progetto all'ultimo grido che comprende dipartimento di emergenza, centro congressi, negozi
e ristorante. Ai lati dell'atrio
centrale, due grandi cortili coltivati connetteranno l'edificio
con il paesaggio. Ma a suscitare
polemiche non è tanto il progetto architettonico, quanto quello
politico. La società che dovrebbe riportare l'Unità in edicola a
giugno è la Piesse che fa capo al
60% a Guido Stefanelli (ad del
gruppo Pessina) e al 40% a Massimo Pessina, presidente del
gruppo. Il primo ad attaccare è
Giovanni Toti, candidato del
centrodestra: "È singolare che a
pochi giorni dal voto si firmi un
appalto da centinaia di milioni
per la realizzazione di un nuovo
ospedale, in zona Cesarini. E che
il gruppo che lo realizzerà, unico
a presentare l'offerta, sia, guarda
caso, maggiore titolare delle
quote dell'Unità, il giornale che il
segretario del Pd e premier Matteo Renzi si è preso l'impegno di
salvare. Sarà tutto certamente
regolare, ma lascia perplessi".
NON È IL SOLO. Attacca anche
Alice Salvatori, candidata del
Movimento Cinque Stelle: "Un
appalto che ci fa pensare, perché
oltre a essere imprese vicine ai
soliti partiti, c'è la coincidenza
di un'unica partecipante. Di più:
un vincitore che ha proposto solo poche centinaia di euro in più
rispetto alla base d'asta. Una circostanza ben singolare per chi
dovrebbe competere con altri
partecipanti". Non basta. Aggiunge Salvatori: "Il costo globale dell'opera ci pare sottostimato. Temiamo che salga oltre i
200 milioni e che l'opera alla fine
sarà bloccata". Critico anche
Luca Pastorino (candidato di sinistra e dei civatiani): "Pare strano che si firmi un appalto atteso
da mille anni proprio a sei giorni
dalle elezioni". Aggiunge: "Per
un progetto così importante circolano nomi di amici degli amici, noi vorremmo che questo clima cambiasse per sempre. Vorremmo voltare pagina".
C'È ANCHE chi punta il dito su
un "uso politico di un tema delicato come la sanità". Per esempio: "Non si può promettere, come ha fatto Paita, di dimezzare
le liste d'attesa per i malati, non
si possono alimentare aspettative in chi sta male", attacca un
fuoriuscito dal Pd che oggi sostiene Pastorino. Il centrosinistra si aggrappa perfino agli
ospedali per salvare elezioni dai
pronostici traballanti? Burlando, governatore uscente e grande sponsor di Paita, respinge risolutamente le accuse: "La realizzazione di questo ospedale è
—
il
e
una storia lunghissima, fatta di
appalti e impugnazioni. Avevamo ottenuto molte manifestazioni di interesse, ma poi tanti si
sono allontanati perché ritenevano troppo impegnativo accollarsi per 25 milioni di euro la
vecchia struttura dell'ospedale
Sant'Andrea. Il gruppo Pessina,
che mi risulta essere molto grande e impegnato nel realizzare
ospedali anche in altre regioni,
se l'è sentita".
MA CHE NE sarà del vecchio
ospedale, arriveranno ancora
case? "Dipende dal Comune,
penso sia cambiata la destinazione d'uso, immagino si realizzino residenze e commerciale".
Ma la circostanza che ci fosse un
unico concorrente e che sia il
nuovo editore dell'Unità? "Mica
potevamo escluderlo - replica
Burlando - per questo. Ci sono
stati anche il giudizio di una
commissione indipendente e il
parere favorevole dell'Antimafia. Dovevamo bloccare tutto
perché siamo sotto elezioni?".
-1,
II governatore uscente
Claudio Burlando:
"E allora? Avremmo
dovuto bloccare tutto
solo perché sono
Renzi e Raffaella Paita LaPresse
gli editori del giornale?"
Sanità nazionale
Pagina 9
55
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La novità per la chemio presentata allo leo di Veronesi
dove ieri 800 pazienti hanno raccontato le loro storie
N GASCHETTO che
congelai bulbi
capillari, e permette
così alle donne curate con la
chemioterapia di non
perdere i capelli. È la novità
presenta ieri all'Istituto
europeo per l'oncologia
(IEO) fondato da Umberto
Veronesi, che lo ha
sperimentato su 30 donne
ottenendo il successo
nell'85% dei casi. '11 freddo
diminuisce la perfusione
del sangue e il metabolismo
-ha spiegato Paolo
Veronesi, direttore della
senologia chirurgicafrenando localmente
l'attività 'distruttiva' dei
chemioterapici". E mentre
l'esperimento si allarga ad
altre pazienti, ottocento
donne malate o guarite dal
cancro si sono riunite
nell'ospedale milanese, per
la prima volta dopo o
durante il loro viaggio,
raccontando anche che cosa
succede quando il male è
"tecnicamente" superato
grazie a operazioni, chemio
e radioterapia, ma la paura
e la difficoltà psicologica
possono restare fortissime.
Sanità nazionale
Con un video-messaggio di
Emma Bonino che ha
spiegato i suoi 'sette segreti
contro il cancro", e la
presentazione di Daria
Bignardi e Monica
Guerritore, le pazienti
hanno raccontato la propria
esperienza e l'importanza
di nominare il tumore.
L'idea di una terapia
personalizzata, basata sul
profilo del Dna, è la nuova
scommessa del centro, dove
si mira a guarire sia il danno
fisico sia quello psicologico
per affrontare la malattia
con speranza e serenità.
Così, la 'paziente" non sarà
più una persona passiva.
Come nelle storie di sei
donne che hanno affrontato
un tumore al seno.
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crosi,
Pagina 10
DARIA UBA e
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A MIA è una storia un po' speciale, perché
sono allo stesso tempo unapazienteeuna
sicoterapeuta. Diciamo meglio: prima
di tutto unapsicoterapeuta». DariaUbaldeschi ha
44 anni e vive a Novi Ligure, nel sud del Piemonte. Ha superato i cinque anni dalla sua malattia e
dalle cure e da poco ha creato nell'Asl dove lavora
un gruppo di donne operate al seno che lavora insieme come forma di terapia. «Il punto centrale racconta-è ciò che significa es-
sere state malate, con le cicatrici non solo fisiche ma interiori
che questo comporta. Dopo le
cure, c'è un "momento di risacca" per le pazienti, che è molto
difficile da superare, perché
questa è una malattia che coinvolge anche la testa. Amici e parenti ti dicono "stai bene, di che
cosa ti lamenti?", ma tu puoi
sentirti malissimo, perché il tumore non c'è più e ora devi riflettere sulla nuovapersonache
sei diventata. Che è una donna
diversa da quella di prima».
PerDaria, la malattia deve acquistare un significato, «altrimenti è solo un nemico contro il
quale si combatte». Per questo
nel gruppo intervengono anche
un ginecologo e un chirurgo pl astico. «Le donne che lavorano
con me sanno che anch'io sono
stata malata, anche se non si parla di me ma di loro». «Io - aggiunge - ho sofferto molto di più
quando il grosso degli interventi e delle cure è finito. Mentre ti stai curando, la sensazione di agire per proteggersi è fortissima e ti salva da molte
angosce. Dopo, arriva il momento più difficile, nel
quale la cura psicologica è spesso urgente». E il
pensiero della morte resta in sottofondo: «Lavoriamo con pazienti diverse, qualcuna ha già avuto delle recidive. La sensazione della propria mortalità è sempre dietro l'angolo e non può essere rimossa, ma trattata con grande delicatezza».
© RIPRODUZIONE RISERVATA I
Sanità nazionale
L alleanza con i l med ico
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i 0 62 anni, sono ammalata da dieci, via Roma e faccio la giornalista». Daniela Turi riassume così la sua storia di
paziente, una storia che ha alle origini la stessa
mutazionegeneticadiAngelinaJolie. «AlloIeoracconta - il rapporto tra chi è curata e i medici
è così buono che ti sembra di non poterne più fare a meno. Io non mi sono mai fatta divorare dal
tumore, lo ritengo un piccolo clandestino pericoloso, ma lui non è me». «Per affrontare il tumore al seno da paziente non occorre una particolare forza, ma moltissimo amore, l'alleanza che si crea con i
medici e l' appoggio degli amici,
dei colleghi, di mio marito, che
non mi ha mai lasciat a da sola in
questa lotta, e che essendo psichiatra sa che anche la sofferenza va tenuta sotto controllo
come la malattia. In dieci anni,
passi in sala d'aspetto molte
ore, ognuna con un interrogativocruciale. Hailemetastasi, oppure non le hai. E intanto cambi, e cerchi di diventare anche
meglio. Ti affidi totalmente ai
medici, e quando esci dallo Ieo
trovi intorno a te una grandissima disorganizzazione, una
frammentazione incredibile.
Qui a Roma non c'è neppure un
unico centro dove sia possibile
fare tutto, dagli esami come la Pet all'operazione
e alla chemioterapia, ed è molto angoscioso doversi rivolgere continuamente apersoneche non
ti conoscono. Invece è proprio la relazione con i
"tuoi" oncologi a darti la forza, anche quando, come è successo a me, dopo cinque anni la malattia
ti ritorna. E tu torni da loro, e sai che la loro presenza è inestimabile, e che della loro formazione
fa parte anche la capacità di allearsi con la paziente. A Milano tutto questo esiste, in un sistema privilegiatissimo. Nel resto d'Italia no, e il rischio di sentirsi abbandonati è molto forte».
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C ,)RIPRODUZIONE RISERVATA
Pagina 11
ELISABETTACIRILLO , 28
malattía fa pau ra
ecco perché parlarne "
"
ENTRE fai le cure, ti svegli durante la note e sei terrorizzata. E ti giustifichi: sono
0
malata, sto facendo la chemioterapia, è
normale. Quando non le fai più, ti svegli nello stesso modo, e non sai spiegarti il perché. Questo è l'aspetto psicologico che ti fa sentire più sola quando
le terapie sono finite». Elisabetta Cirillo ha 28 anni,
vive a Brescia, è a metà delle cure per una recidiva
ed è stata tra le prime pazienti a sperimentare il caschetto che può evitare la caduta
dei capelli, che sudi lei ha funzionato nel modo migliore. «Li avevo molto lunghi, ora è solo un
carré castano, li ho tagliati perché così c'erano più possibilità di
tenerli. Ed è andata bene, contano tante cose, compreso il modo
in cui è fatta la tua testa. Non è
una questione dibellezza, nonmi
importa di sventolare la chioma
o di far vedere a tutti come sono
folti i miei capelli. É una questione diidentità, perché allacalvizie
le persone associano l'immagine
di malata di cancro, e in questo
modo non riesci neppure a goderti le giornate buone che hai
tra una chemio e l'altra. In Italia
questo è ungrande tabù, costringe le persone a pensare alla morte, anche alla loro, e questo non è
vero, perché molte malate guariscono. La malattia spaventa le
persone. Mi piacerebbe che diventassimo un po'
più simili agli americani, loro raccont ano molto, forse troppo, noi quasi nulla». «La prima volta che mi
sono ammalata avevo l'incoscienza della gioventù,
mi stavo laureando-dice Elisabetta-Ora invece
sono un po' più grande. Ma non voglio diventare il
mio cancro al seno, io sono un'altra persona. Ho
aperto uno studio di yoga, e appena posso torno li a
praticare. La mia famiglia, il mio compagno mihanno aiutato moltissimo. Ora la cosa che mi piacerebbe è che anche gli altri capissero che cos'è questa
malattia, e la guardassero con occhi diversi».
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Sanità nazionale
fatto 1 e ch i lometri
per trovare la speranza 51
" Ho
o E mio marito siamo arrivati in ospedale a Milano quando eravamo psicologicamente distrutti. E dopo un quarto d'ora di colloquio
molte cose ci sembravano diverse. Siano usciti tranquilli, sapevamo come affrontare la situazione. Era
il 3 ottobre dell'anno scorso, da lì in poi tutto è andato bene. Perfino sul pullman che mi portava dall'aeroporto allo leo per fare la radioterapia mi sento
serena, paradossalmente pensavo a come era ben
!/
collegato...». Katiuscia Galvano
ha 43 anni, fa l'impiegata amministrativa e vive in provincia di
Agrigento. Nonostante le cure
praticate anche nei centri siciliani, è una delle pazienti che preferiscono viaggiare, e si sentono
rassicurate dall'aver scelto chi le
cura. Non solo per un medico, ma
per tutte le persone che la accolgono in quella che, lei dice, le è apparsa «come un'oasi nel mezzo di
un lungo inverno: i volontari, le
persone dell'accettazione, ogni
singolo infermiere e ogni singolo
medico. E perfino il modo in cui ti
combinano gli orari quando sanno che arrivi da lontano». Ammalata di tumore, ogni donna si scopre diversa: «Non credevo di poter affrontare una cosa del genere con questa calma. E credo che
molto dipenda dalla capacità di
spiegare a ogni paziente che cosa
accadrà nel suo caso, il perché delle cure. Mi sono
operata di mercoledì pomeriggio e il venerdì sono
tornata a casa, ho rivisto mia figlia. Tutto il contrario di quando mia madre è morta di cancro, e noi familiari facevamo fatica a capire che cos'era successo davvero». Katiuscia sta per tornare a Milano per
il primo controllo semestrale, e per adesso sente ancora vicino a sé i medici che l'h anno cur ata, «Io so che
li vedrò a ogni visita -dice -e so anche che sono disponibili a tutto, e si aspettano di essere interrogati
suognidubbio e ognipaura. Hoi loroindirizzidimail,
se ho bisogno scrivo. E in 24 ore la risposta arriva».
© RI PRODUZIONE RISERVATA
Pagina 12
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L CORPO delle donne parla. Per mesi e mesi ho
¡ trascurato un nodulo che si sentiva nel mio seii 1 no. Andavo a correre al parco e cadevo senza
motivo. Ero come un criceto nella ruota, continuavo
a correre tra il lavoro, le tre figlie, il marito ginecologo dacui ho divorziato. E che però mi ha aiutato asalvarmi, portandomi daimedicigiusti». FrancescaTumiati, giornalista milanese, ha 58 anni. Il suo tumore si stava arrampicando lungo il collo, e per lei salvarsi è diventata «la grande missione». «Mi sentivo
in una navicella spaziale. E quando sono arrivata alla fine e i medici mi hanno detto brava, bravissima, torni tra sei mesi per i con-
trolli sono andata a piedi fino a cesa sentendomi smarrita. Non ero
pronta. Prima c'er a una donna sana, e adesso una donna riparata,
che non conoscevo ancora. La scoperta del tumore è un po' come
una deflagrazione, poi, come nei
cartoni animati dei bambini, bisogna aspettare che la polvere cada per iniziare a vedere bene». Col
nuovo compagno e con la figlia sedicenne, Francesca ha affrontato
la malattia: «Lui mi ha accompagnato a ogni terapia, lei lavava la
parrucca qualche sera, e mi diceva un po' brusca: casi domani è
pronta». Masepararsi damedici e
cure può essere «una fase di abbandono. Serve più sostegno dopo, un filo rosso che unisca la pa-
ziente a quello che le è successo. A me mancava perfino l'oncologo, col quale avevo stabilito una specie
di transfer. Una delle terapie è quella di tornare a lavorare, ma anche in questo campo sei diversa, capisci più di prima ciò che vuoi fare e ciò che non vuoi. 11
tumore, secondo me, nasce molto prima di quando
viene diagnosticato, è qualcosa che esplode dentro
dite, un dolore rimosso, e la guarigione arriva come
una liberazione che può essere anche dolorosa. E
quello che serveèun "formai" cheti facciacapire che
non sei una bambola, ma una donna che deve rimettere insieme come in un puzzle tutte le sue parti».
pensavo accad
ora vivo gì orno per 10
"
"
Ir Ir o FATTO la prevenzione puntualmente,
5-2 ogni anno, dai 40 ai 55 anni. So quanto è
importante. Poi mi sono stufata, pensavo che a me non sarebbe più successo. Un giorno mi
arriva a casa una lettera della Regione che mi invitava a uno screeninggratuito, mio marito l'ha aperta e me l'ha messa vicino al telefono, mi ha convinta ad andare spiegandomi che era gratis e che bisognavaincoraggiarel'esperimento...». MariaDattena ha 58 anni, vive a Sassari, è
veterinaria e si occupa delle pecore, e della loro fecondazione:
«Purtroppo per un pó sono stata
costretta a lasciarle, non posso
stare vicino agli animali quando
le cure mi rendono immunodepressa. Ma ho continuato a lavorare da casa, con un bel progetto
europeo». Si lamenta per scherzo: «Non fumo, non bevo, vivo in
campagna, non ho alcuna familiarità, non ho mai preso ormoni.
E però è successo anche a me di
ammalarmi di cancro».
Con la visita della prevenzione
pubblica, Maria ha scoperto un
piccolo nodulo di 12 millimetri
nel suo seno, che però apparteneva aunavarietàdi tumore particolarmente aggressiva. Per dodici mesi deve fare la chemioterapia, ora è al settimo, e ha scelto
di farsi curare vicino a casa dopo
una diagnosi dello leo. «Questa malattia - spiega
- ti fa cambiare l'intero modo di vedere la vita. Ci
sono modi di dire che scompaiono dal tuo vocabolario, io per esempio non dico più' âo farei...". La terapia ti protegge, ti fa sentire al sicuro, ma credo
che la parte più coraggiosa sia il dopo. Ho conosciuto altre persone malate, come mio nipote, nato gravemente cardiopatico. Ora lui ha 17 anni e sta bene, io spero che sia lo stesso per me. Vedo che medici e infermieri sono spesso stanchi, e capisco che
per noi come per loro il tempo di vivere è oggi, non
domani o tra un anno».
:d RIPRODUZIONE RISERVATA
CI RIPRODUZIONE RISERVATA
LEDONNE
È la neoplasia più
frequente tra le
donne italiane in tutte
le fasce d'età: ne
colpisce una su otto
(NUOVI I
Ogni annoci sono
46.000 nuovi casi
di cancro al seno.
La diagnosi precoce
ha ridotto la mortalità
LE PAZIENTI
Sono 520.000
secondo le stime
le donneche si sono
ammalate di cancro al
seno nel nostro paese
GLI INTERVENTI
Al l'istituto europeo
di oncologia di Milano
ci sono 3.400
interventi l'anno
per tu more al seno
IRISULTATI
La guarigione cIinica a
cinque anni
delle pazienti leo
con linfonodi negativi
èsuperioreal97%
IL PRI TO
La guarigione
delle pazienti leodal
tumore invasivo dopo
5 anni è superiore
alla media nazionale
Sanità nazionale
Pagina 13
,
Sanità nazionale
Pagina 14
Il caso
L'Is e
sp inge
il il
sicili ano
Unimpatto sull'economia
dell'isola che ha creato quasi
18ooposti dilavoro, 3,'milioni
di euro ditasseversate inSicilia e 19,6 al governo centrale,
con una ricchezza generata
pari a 132,5 milioni di euro su
base annua.Euncasovirtuoso
di collaborazionetrapubblico
e privato, in una nuova logica
di welfare che non si basa più
solo sulle risorse pubbliche, a
vangaggio dei cittadini e dello
sviluppo. Si tratta della collaborazione tra l'Istituto Mediterraneo per i Trapianti e terapia ad Alta Specializzazione
(Ismett) di Palermo, primo
ospedale in Italia progettato
solo per le attività di trapianti
e cura degli organi vitali, posseduto al 55% o dalla Regione siciliana e per il 45% dall'University of Pittsburgh Medicai
Center. L'Upmc, che è uno dei
sistemi sanitari no profit più
importanti degli Usa, insieme
alla Facoltà di medicina di Pittsburg, investono 78o milioni
di dollari annui sullaricerca, e
ciò permette a Ismett di accedere alle scoperte più all'avanguardia. Ad analizzare i
risultati di Ismett è il Battelle
Memorial Institut, e i dati sono stati presentati ieri da Simon Tripp, direttore delle
partnership tecnologiche. Lo
studio ha messo in evidenza
che ogni euro speso su Ismett,
che è nato nel 1999, ha un impatto doppio, cioè 2 euro, sulla
crescita del pil della Regione.
Non solo: secondo Battelle
nel 2013 la Regione avrebbe
dovuto spendere oltre 54,9
milioni di euro di cure mediche a pazienti siciliani che si
sarebbero dovuti curare fuori
dall'isola se Ismett non fosse
stato operativo. E a ciò si aggiunge anche il beneficio in
termini di formazione avanzatanelle scienzebiomedicali
e sanitarie.
® RIPRADIIZIAN E RISERVP.TA
Sanità nazionale
Pagina 15
Chemlo senza parrucca
All'leo il casco salva-capelli
Paolo Veronesi: ' \ frontiamo i tumori secondo due categorie. Quelli che si possono
considerare incidenti e quelli che rivelano una predisposizione genetica"
omento
EGLE SANTOLINI
MILANO
a sala di un albergo
riempita di molte signore eleganti, non per un
matrimonio di maggio ma per
celebrare la magica energia
femminile che dice no alla malattia e sì al futuro. L'ottava
edizione di «Ieo per le donne»
non ha avuto alcunché di pietistico o di zuccheroso. Si è parlato di come condividere la paura e di quanto faccia star meglio uno smalto blu sulle unghie (il direttore de «La Stampa» Mario Calabresi, ricordando un post del formidabile
blog di Anna Lisa Russo), dell'angoscia di attendere gli esiti
e dei massaggi rilassanti dopo
la chemio. Per l'Istituto Europeo di Oncologia fondato da
Umberto Veronesi è stata l'occasione di incontrare le pazienti in campo neutro. Per
ascoltarle, festeggiarle, fare il
punto sulle terapie e, per
esempio, ha suscitato molto
interesse un caschetto che si
chiama «Dignicap».
Serve a ghiacciare temporaneamente il cuoio capelluto
e grazie alla vasocostrizione
protegge il bulbo e impedisce
che, come effetto della chemioterapia, si perdano i capelli. L'85 per cento di quelle che
l'hanno provato se ne sono dichiarate soddisfatte, tra cui
Elisabetta, sorridente e con
una magnifica testa castana,
«nonostante 12 cicli di terapia». Si rallegra il professor
Paolo Veronesi, direttore della
Senologia Chirurgica dell'Istituto: «Sappiamo quanto questo fattore sia vissuto con preoccupazione dalle donne, tanto che ancora qualcuna rifiuta
di sottoporsi alla terapia per
non diventare calva. Oggi stiamo trovando una soluzione».
Sempre di più - prosegue
Veronesi - i tumori vengono divisi in due categorie: «Quelli
che possiamo considerare come incidenti del tutto casuali,
che cerchiamo di individuare
il più precocemente possibile,
e che spesso vengono eliminati con un semplice intervento
in day hospital, e quelli che ri-
Sanità nazionale
velano una predisposizione
genetica della donna ad ammalarsi. Al momento della
diagnosi bisogna capire con
quale dei due abbiamo a che
fare».
Uno snodo cruciale, perché
- come dice Enrico Cassano,
direttore della Radiologia Senologica - «è lì che si definisce
il percorso da seguire». La recente affermazione di Beppe
Grillo, poi corretta in corsa, riconduce poi a parlare di sicurezza della mammografia:
«Qualsiasi metodo d'indagine
presenta rischi e benefici: quel
che conta è il loro bilanciamento, il principio di giustificazione diagnostica. I classici
lavori scientifici sugli screening mammografici in Svezia
dimostrano che aumentano
del 30% la sopravvivenza». E
dunque fatela, per piacere.
Ma, se i progressi della ricerca oncologica sono continui, un'altra battaglia decisiva
si sta combattendo sul fronte
psicologico, per restituire integrità e identità a chi si ammala. t il tema che Emma Bovino ha posto con forza, comunicando mesi fa di avere un
cancro ai polmoni, ma di «voler continuare a essere se stessa e non la propria malattia».
Con in testa il suo turbante colorato, ancora flebile ma fiduciosa dopo gli ultimi esami, la
Bonino ha aperto con un video
il convegno, rivolgendosi «con
un certo imbarazzo» a chi «ha
di sicuro più esperienza di me
in questa sfida. Non sono il
mio tumore. Sono una persona che ha sogni, difficoltà,
aspirazioni, progetti: al momento, quello di passare una
buona estate. E mi fido totalmente della mia équipe: mai
andata su Internet a cercarmi
informazioni ».
Il collegio di cura, la necessità dell'interdisciplinarità:
proprio perché di persone si
tratta, da considerare nella
propria interezza. Ecco perché allo Ieo lavorano insieme
radiologi, chirurghi, esperti di
ricostruzione plastica, nutrizionisti, psicologi, sessuologi,
allenatori fisici; e anche estetiste, senza false ipocrisie, perché della cura dell'aspetto ci si
può e ci si deve occupare. Insieme ce la si fa. Chiamando le
cose col proprio nome e guardando avanti.
twitter @esantoli
Pagina 16
"Io, la riparata vivente
che ora cerca l'a onia"
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Sono
le donne che
si dicono
soddisfatte
dall'uso
di «Dignicap»
il caschetto che
impedisce
la caduta
dei capelli
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serve
a ghiacciare
temporaneamente
il cuoio
capelluto
e agisce
grazie
alla vasocostrizione
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Bonìno
Ha aperto
con un video
il convegno:
«Non sono
il mio
tumore. Sono
una persona
che ha sogni,
difficoltà,
progetti:
ora è quello
di passare
una buona
estate»
o fatto una grillata, una
bella rimozione, fingendo
che la ghiandolina che
avevo sotto l'ascella non ci fosse. E poi
cadevo, inciampavo: il mio corpo continuava a mandarmi segnali e io, ostinata, non lo ascoltavo». Alla fine
Francesca, giornalista, ha fatto «chissà come» un'ecografia e il tumore l'ha
stanato.
«In pochi giorni ero sotto i ferri di
due magnifiche chirurghe, le mie
Charlie's Angels. Passato lo spavento,
sono scivolata nel protocollo. Ed è
stato bellissimo: mi sono abbandonata a chi si prendeva cura di me, fidandomi ciecamente». La chemio, la ra-
dio e poi quello che gli esperti chiamano l'effetto risacca: «Alla fine del cielo
di cure ti dicono che non devi tornare
per sei mesi e tu sei persa. In quel posto, che pare un po' un aeroporto, io mi
sentivo protetta, come se avessi cominciato un viaggio su un'astronave guidata da un bravissimo pilota. Poi torni a
terra e comincia il difficile, mettere insieme la milanese tarantolata che ero
prima, tutta lavoro e impegni forsennati, con la "riparata vivente" che sono
ora. Divido la mia vita in a.C. e d.C., prima e dopo il cancro. E sto usando uno
sguardo diverso, più lungimirante, sulla vita: per diventare una donna armonica».
[E. SANT.]
I
" 'orti dentro un intruso
e lui non sogna e non ama"
o una predisposizione
genetica. Per non farla
tanto lunga, mi sono abituata a dire che è la stessa di Angelina Jolie. Ci vivo da dieci anni, l'ultima
volta che il problema si è ripresentato è stato l'anno scorso».
Daniela, che vive a Roma e ha deciso di farsi curare allo Ieo di Milano,
dice alle altre donne che l'importante «non è raccontarvi la cartella clinica, ma le mie emozioni. Per prima cosa tenete sotto controllo l'immaginario, perché spesso quello che fantasticate sul futuro è peggio della malattia». Nelle sale d'aspetto, nelle
stanze dell'istituto, prima degli in-
terventi, durante i ricoveri, racconta
di aver sempre potuto contare «sulla
presenza delle altre donne, che mi
hanno aiutato a sopportare l'attesa, il
momento per me più difficile. Ma non
mi sono mai sentita persa, non ho mai
pensato "non ce la faccio". Ti porti
dentro questo intruso, questo clandestino, che però non sei tu. Il tumore
non sogna, non ama, non ha figli né
amanti né mariti».
Lei, di marito, ne ha invece uno, Salvatore, che è psicoanalista e poeta. I
suoi versi più belli glieli sta dedicando
da dieci anni: «Credevo di aver capito
tutto e invece quanto ancora dovevo
imparare».
[E. SANT.]
Con una
paziente
Paolo Veronesi
è direttore
della
Senologia
Chirurgica
dell'leo
Sanità nazionale
Pagina 17
centro
delle cure
riscopri o
la persona
UMBERTO VERONESI
un tuT onmorebastadaltogliere
seno di una
deve mai venir meno.
Abbiamo fatto molto negli
donna, bisogna toglierlo dalla sua mente. Questa frase descrive una delle
battaglie più importanti della
mia vita di medico ed è il credo
che otto anni fa mi ha spinto
ad ideare «Ieo per le Donne»,
il primo incontro dedicato all'ascolto delle pazienti dopo e
oltre la cura. Ma cosa vuol dire
concretamente «togliere un
tumore dalla mente»?
ultimi decenni, ma possiamo e
dobbiamo fare di più. Eppure
questo cammino non ci porterà all'obiettivo finale, se non
cambierà radicalmente il rapporto medico-paziente. La
medicina del futuro deve tornare ad essere «medicina della
persona». Dobbiamo recuperare la dimensione olistica del
rapporto medico-paziente,
che si è persa con l'avvento
della super-specializzazione.
Non possiamo più immaginare di curare qualcuno senza
sapere chi è, cosa pensa, cosa
sente, qual è il suo progetto di
vita. Allora dobbiamo ritrovare il tempo del dialogo. Bisogna recuperare inoltre il concetto di identità perché, come
ha sottolineato la mia cara
Vuol dire affrontare un'evoluzione culturale profonda degli ospedali, della terapie e del
rapporto medico-paziente.
Per l'ospedale significa non
abbandonare la donna dopo la
dimissione, perché il momento dei trattamenti è solo un
primo passo verso la guarigione e dunque bisogna organizzarsi per farsi carico della persona finchè non si sente reintegrata nella sua vita di prima.
Se otteniamo un risultato oncologico immediato, ma resti-
tuiamo alla cosiddetta normalità qualcuno che vede distrutto il suo progetto di vita, abbiamo fatto il nostro dovere di
medici? La ricerca può aiutare in questa direzione, mettendo a disposizione terapie
che tengano conto dell'impatto fisico e psicologico delle cure. I trattamenti non devono
più guarire la malattia, dimenticando la persona, e per questo l'impegno per la riduzione
della tossicità delle cure non
Sanità nazionale
amica Emma Bonino, nessun
malato è la sua malattia. Infatti propongo di abbandonare il
termine «paziente», che si riferisce a qualcuno senza identità, che subisce passivamente, e di iniziare a pensare e parlare di persone. Persone che
hanno una storia passata o
presente di malattia da raccontare e condividere per superarla meglio. Questo è il
messaggio di Ieo per le donne
che non vorrei rimanesse una
bellissima esperienza unica,
ma diventasse un modello capace di esprimere alla società
cosa significa oggi ammalarsi
e guarire di cancro.
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Alzheimer
Come ti alleno il neurone
Giochi, musica e attività fisica. Possono rallentare
il decorso della malattia
di Paola Emilia Cicerone
A
IUTARE CHI soffre di
Alzheimer. Con attività ludiche, musica e
giochi di memoria,
che possono preveni-
re il decadimento cerebrale, oltre a
migliorarne la qualità di vita. Sono i
risultati di Train the Brain, un programma promosso dal Cnr «L'idea è
quella di allenare neuroni e gambe in
un ambiente socializzante», spiega
l'ideatore del progetto, il neurobio-
Ricerca
logo Lamberto Maffei, oggi presidente dell'Accademia dei Lincei. Col
cineforum e la musica, i giochi di
memoria, la cyclette e lo stretching:
tutto quello che può servire ad aiutare anziani a rischio demenza o già
affetti da lieve deficit cognitivo. I
partecipanti al progetto - reclutati
con la cooperazione dei medici di
famiglia - sono stati coinvolti tre
mattine a settimana, per sette mesi,
in una struttura realizzata per loro
nel Centro di Ricerca del Cnr di Pisa.
Con ottimi risultati: l'80 per cento ha
mostrato un buon miglioramento
cognitivo, mantenuto anche a mesi di
distanza. Confermando quanto
emerso da precedenti ricerche: «Il
cervello dell'anziano sano o nelle
fasi iniziali della malattia mantiene
plasticità e capacità di recupero»,
spiega Nicoletta Berardi, psicobiologa dell'Università di Firenze e del
Cnr. Adesso serve personale, e soprattutto servono risorse per andare
avanti: «Ma non un curo in più di
quanto già si spende per i malati di
Alzheimer», ricordano i responsabili
del progetto: «Cinquantamila a testa
tra costi diretti e indiretti». ■
Pagina 19
CONTRO ICTUS PARKINSON E SCLEROSI MULI PLA.ORASI PUNTA SULLA :lR r.Lroo 1a tei.cit ,
LA CAPACITA DELLEAREE CEREBRALI DI PIMODELLARSI. UNO PSICHIATRA ILLUSTRAGLI ULTIMI STUDI
di Giuliano Aluffi
1 cervello può guarire? Fino a
qualche anno fa la risposta era
netta e sconfortante asserragliato nella scatola cranica, poco
osservabile e ancor meno misurabile nelle
sue attività, il cervello sembrava qualcosa di
intoccabile. E, se danneggiato, appariva irrecuperabile. Oggi però, grazie agli strumenti
neuroscientifici, è un organo meno sconosciuto e si stanno facendo strada terapie innovative che rimettono tutto in discussione:
fanno leva sulla neuroplasticità, ossia la capacità del cervello di cambiare e ripararsi.
Non sono ancora state sperimentate su numeri clinici abbastanza estesi da poterle convalidare una volta per tutte, ma esistono già
prime prove scientifiche della loro efñcacia,
con studi pubblicati su riviste autorevoli. Il
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LE GUrìliJG1G7NI
DEL. CT9tVCI.I.Q
Sopra , Le guarigioni del cervello
(Ponte alle Grazie) e il suo autore,
Norman Doidge , docente di psichiatria
alla Columbia University dl NewYork
1l VenBtffi
Ricerca
2919 A G G l 0 2019
cantore più entusiasta delle terapie neuroplastiche è Nonnan Doidge, docente di psichiatria al Columbia University Psychoanalitio Center di New York e alla University of
Toronto, autore del saggio Leguarigionzi del
cerrello Tonte alle Grazie, traduzione di Sabrina Placidi e Francesco Zago, pp. 448, euro
20). «Il cervello è così specializzato e complesso che molti fatica no ad attribuirgli quella capacità che hanno altri organi, come la
pelle, di ripararsi e rimpiazzare parti danneg
giate» spiega Doidgu al Yenerd?. «Ma è proprio la complessità del cervello a dargli interessanti proprietà di guarigione, che dipendono dal fatto che i circuiti neuronali si possono formare e riformare molto in fretta». t
questa capacità plastica a permettere al
cervello di riprendere, almeno in parte, le
redini del corpo dopo aver subito un danno.
«Gli studi sulla neuroplasticità ci indicano
che, quando certe aree cerebrali sono morte,
è possibile usarne altre per supplire. Non è
detto che il tentativo riesca, perché c'è grande variabilità da individuo a individuo, ma è
importante capire che c'è questa strada e che
possiamo provare a sfruttarla» continua
Doidge. «Le nostre abilità, i nostri pensieri e
i nostri ricordi non sono racchiusi "dentro"
singoli neuroni, ma corrispondono all'attiti tà
elettrica che i nostri neuroni si scambiano.
Immaginiamo di avere un'orchestra nel cervello: capacità, pensieri e ricordi non coincidono con i singoli strumentisti, ma sono piuttosto le sinfonie suonate dall'orchestra. Un
violinista può ammalarsi, ma la sinfonia
71
Pagina 20
scienze
ALLENA-MENTI
Elettroencefalogramrna
su una volontaria
persicprire come
lavora il cervello.
pensieri e ricordi
non sono racchiusi
nei singoli neuroni,
rna corrispondono
alla loro attività
elettrica
può continuare se ne viene reclutato un altro
per rimpiazzarlo». E quando l'orchestra suona male, come in certe malattie? «Sono allo
studio terapie basate sulla neurostimolazione, che può aiutare "l'orchestra" a risincronizzarsi» spiega Doidge. «Al Centro di comunicazione tattile e neuroriabilit.azione dell'Università del Wisconsin, ad esempio, si stimo]ano aree profonde come il tronco encefalico
grazie a uno strumento che invia piccoli impulsi elettrici alla lingua (questa è connessa
al cervello da oltre 15 mila fibre nervose). E
sembra un sistema promettente per lenire
sintomi di malattie che toccano il tronco en
cefalico, come la sclerosi multipla».
Nel suo libro Doidge raccoglie molti casi,
anche se non tutti ancora convalidati da
studi ufficiali. «Prendiamo quello di John
Pepper: è malato di Parkinson, quindi ha
problemi ai gangli della base, quelle strutture neuronali che rendono automatici i movimenti semplici e li collegano in un movimento complesso. Per lenire i sintomi motori più
evidenti del Parkinson, come la rigidità dei
movimenti, Pepper si è allenato a usare una
tecnica di "cannnino conscio": facendo ricorso in modo appropriato alla concentrazione
e all'attenzione, che sono risorse corticali,
riesce a supplire ai compiti di altre aree neuronali subcorticali danneggiate. E quindi a
muoversi con scioltezza. Pepper non pensa
"Adesso vado in cucina". Ma pensa:
`Adesso mi alzo. Poi
sollevo il piede dein caso diictus,
stro. Poi lo spingo in
sembrache
avanti...». Ma la conimmaginare
centrazione non è
di muovere
tutto: «t il fatto
l'artocolpito
72
Ricerca
possa aiutare
il recupero
stesso di camminare che aiuta Pepper, perché la plasticità cerebrale va coadiuvata con
l'esercizio fisico . Quando certe attività fisiche riescono male, i malati "apprendono"
che, se provano a fare qualcosa, non ci riusciranno. E non ci provano più. Ma questo
rende sempre meno recuperabili le funzioni
danneggiate . Invece camminare molto, come fa Pepper, aiuta a produrre in misura
maggiore i fattori di crescita nervosa, che
possono aumentare la plasticità» sottolinea
Doidge. Tanto che le condizioni di Pepper
peggiorano se, anche solo per un mese, smette di fare il suo «allenamento».
Quello di Pepper può essere un caso par
ticolare, ma esistono conferme più solide dei
vantaggi della plasticità del cervello. «Riguardano sempre il Parkinson e anche altre
patologie, come la sclerosi multipla e l'ictus»
spiega Valentina Tomassini , docente di neurologia all'Università di Cardiff «Nella riabilitazione post ictus si è visto che , se c'è un
arto che si muove male, bloccando l'arto sano
si induce il paziente a usare di più quello malfunzionarrte e questo permette, grazie alla
plasticità neuronale , di ottenere dei miglior arnenti». E chi non può proprio muoversi, può
aiutarsi pensando. «In lavori già pubblicati
sull'ictus , e altri in corso di pubblicazione (tra
cui i nostri) sulla sclerosi multipla, si sostiene
che la pratica mentale, ossia immaginare di
usare un arto colpito, possa indurre un miglioramento, perché l'azione immaginata e
quella compiuta condividono alcuni circuiti
cerebrali . I risultati, ovviamente, si accentuano se alla pratica mentale si unisce il movimento, per quanto parziale , dell'arto stesso».
Ma attenzione: la plasticità è un'arma a
doppio taglio- A volte bisogna governarla e
limitarla perché altrimenti, anziché miglior are le condizioni di un paziente, può peggiorarle. «Dopo un'enriparesi, per esempio, c'è
chi non controlla più una mano e succede che
le aree cerebrali sane blocchino del tutto l'area malfunzionante. Impedendone il recupero» spiega Lorda Battelli, neuroseienziata
all'Tstitrrto italiano di tecnologia di Rovereto
e all'Harvard Medicai School. In questi casi
occorre inter venire: «L'abbiamo fatto in un
caso curi un danno al lobo parietale destro
che aveva prodotto un peggioramento dell'attenzione visiva. Tramite stimolazione magnetica, abbiamo impedito che il lobo parietale sinistro tenesse bloccato il lobo destro
malfunzionante, ed effettivamente abbiamo
ottenuto un miglioramento dell'attenzione
visiva. Di breve durata però. i] limite di queste
terapie n eur'oplastiche é proprio il fatto che al
momento non hanno effetti permanenti».
Incoruggianle è invece sapere che il cervello rimane plastico anche invecchiando.
«Con Lotfi Merabet, oculista e neurologo
della Harvard Medical School, abbiamo visitato una signora ohe, diventata cieca a 20
anni, a 66 stava imparando a usare speciali
occhiali che trasformano le informazioni visive in suoni aiutando così i ciechi a riconoscere gli oggetti (una specie di braille uditivo
anziché tattile). Abbiamo visto che inibendo
le aree occipitali visive (non quelle uditive), la
signora non riusciva più a riconoscere gli
oggetti. Era la prova che il suo cervello, a 64
anni, si era riorganizzato: grazie agli occhiali
la sua corteccia visiva si era riadattata a "vedere" attraverso il suono».
Nei bambini la neuroplasticitS ë ancora
maggiore. «La paralisi cerebrale infantile è la
causa più comune di una serie di handicap»
spiega Renée Lampe, ortopedica dell' Università Tecnica di Monaco. «Nel corso di una
ricerca pubblicata nel 2014 sul Journal ofEuropean PacdiatricNeurology Society abbiamo
sottoposto bambini con paralisi cerebrale a
lezioni di piano per 18 mesi. Suonare il pianoforte influenza le aree uditive, sensoriali e
motorie. Alla fine di questo allenamento ahbiamo riscontrato un miglioramento nelle
abilità della mano. E la risonanza magnetica
condotta prima e dopo il training ha rnustrato cambiamenti neuroplastici nella connettività delle aree motorie del cervello».
Giuliano Aluffi
29 MA_ GIO 2015
ll.V~
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