La rosa nera | L`informazione libera

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12/04/2011
La rosa nera | L'informazione libera
Numero 21 del 05/04/2011
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Le accozzaglie sicule portano i primi deludenti risultati e
Bersani ha paura!
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GIOVEDÌ, 07 APRILE 2011 11:13
Cinema
NESSUN COMMENTO
E’ di queste ultime ore un sondaggio che arriva
dalla Sicilia, e che mette in discussione uno dei
punti principali della strategia del segretario del
PD voluta da Massimo D’Alema, quello della
costruzione di una alternativa democratica con il
cosiddetto patto delle opposizioni o alleanza
costituzionale o meglio ancora Nuovo grande
Ulivo.
E così mentre i vertici del Pd continuano a
ripetere che l’unica cosa certa per il futuro del
Partito democratico sia appunto quella di
costruire, a qualunque costo, una “grande
coalizione” che riesca a coinvolgere tutte le forze
dell’opposizione, capita che dall’unica regione
d’Italia in cui la super mega alleanza è stata davvero sperimentata arrivino segnali poco incoraggianti
dagli elettori democratici. “Se si votasse oggi per il Parlamento nazionale – si legge tra le righe della
rilevazione del sondaggio Demopolis effettuata tra il 26 marzo e il 31 marzo 2011 – il Partito democratico
otterrebbe in Sicilia il 18 per cento dei consensi, smarrendo per strada 250 mila voti e quasi otto punti
percentuali rispetto alle ultime Politiche dell’aprile 2008”.
E' vero che?
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Un po’ perché il sondaggio arriva dalla Sicilia (regione in cui da poco meno di un anno un buon pezzo
del Partito democratico fa parte di una grande alleanza che raggruppa oltre all’Mpa di Raffaele
Lombardo anche pezzi di Futuro e libertà e dell’Udc); un po’ perché negli ultimi tempi il tema del “patto
delle opposizioni” è stato riproposto in modo insistito da due tra i massimi teorici dell’argomento (Dario
Franceschini, il 27 marzo, e Massimo D’Alema, il 29 marzo); un po’ perché, per via delle elezioni
amministrative, la Santa alleanza è improvvisamente tornata ancora una volta di moda, ma qualcuno
comincia a temere che sarà un nuovo grande inganno per la sinistra italiana.
“In un certo senso – ammette Giuseppe Fioroni – quella rilevazione è stata un colpo notevole per il
nostro partito e credo che oggi sia molto difficile non chiedersi se non sia il caso di mettere da parte
quella strana formula che da qualche tempo il nostro partito utilizza forse con troppa disinvoltura. La
Sicilia, a proposito di Santa alleanza, non si può certo dire che costituisca per noi un’esperienza di
successo, e proprio non si capisce perché il nostro partito debba continuare a percorrere delle strade
che sembra siano destinate a farci sbattere, alla fine, solo contro un palo”.
“Dovrebbe essere ormai chiaro – spiega Alessandro Maran, vicecapogruppo del Pd alla Camera e
membro di Modem – che l’eccessivo utilizzo di questa maledetta formula del ‘tutti insieme’, dell’Union
sacrée contro Berlusconi, sia uno dei fattori che impediscono ai riformisti italiani di utilizzare la crisi di
credibilità di Berlusconi per mettere in campo con successo un’iniziativa di sfondamento nel campo
avversario. E l’idea che anche in vista delle amministrative il nostro mantra debba essere
necessariamente quello di promuovere a tutti i costi una ‘grande alleanza’ non credo che possa essere
di grande incoraggiamento per i nostri elettori”.
Questo sondaggio potrebbe innescare una rottura tra la maggioranza del Pd e la minoranza di Veltroni e
Fioroni.
Come spiega al Foglio l’ex ministro dell’Istruzione, “bisogna che una volta per tutte sia chiaro che più
che una granda alleanza qui, a noi, serve un grande coraggio d’innovazione. In Sicilia – dice Fioroni – io
sono dell’idea che la nostra alleanza dovrebbe essere sottoposta a un referendum popolare; perché a
me dalla testa non me lo toglie nessuno che continuare ad andare in giro proponendo un giorno sì e
l’altro pure progetti il cui cuore politico è una specie di: ‘noi ci alleiamo con chi ci sta’ non è esattamente
l’ideale per un partito, come il nostro, che vuole e può essere davvero alternativo a questo centrodestra”.
“Per quanto mi riguarda – dice al Foglio anche Matteo Renzi, sindaco di Firenze – resto convinto che in
qualsiasi contesto l’idea della Santa alleanza sia oltre che un errore clamoroso anche un progetto
perdente. Non credo che ci si possa continuare a nascondere dietro frasi del tipo ‘ehi ragazzi, siamo in
una fase di emergenza democratica e dobbiamo stare tutti insieme’ perché, se ci si pensa bene,
rafforzare il sentimento del Berlusconi contro tutti e trasformare la contesa politica in un derby che fa
solo il gioco del presidente del Consiglio equivale né più né meno a darsi una bella martellata in mezzo
alle gambe. E francamente, non so voi, ma qui non ne sentiamo proprio il bisogno”.
Vincenzo Branca
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La campagna mediatica Anti-Napoli
Sezioni
GIOVEDÌ, 07 APRILE 2011 12:50
NESSUN COMMENTO
Pierpaolo Marino li chiamava i “soloni del calcio”
ovvero i cosiddetti moralisti da due soldi che
sparano a zero su qualsiasi cosa vada contro i
loro interessi e non possono essere definiti
diversamente.
In questo periodo, dei sopracitati soloni, ne
stanno spuntando un bel po’. Da Adriano
Galliani, punta dell’iceberg, a giornalisti di basso
livello, di quasi certa provenienza leghista, che
stanno scrivendo pezzi da centocinquanta
colonne sullo “scandalo” in merito alle
dichiarazioni di simpatia che il Ct azzurro Cesare
Prandelli ha espresso verso il Napoli.
Ciò che viene da domandarsi è? Ma perché tanto rumore?
E’ bene ricordare che quando in panchina sedeva l’ex ct azzurro e attuale selezionatore dell’Irlanda,
Giovanni Trapattoni, si parlava un giorno si e un giorno di come la lotta per lo scudetto fosse un gioco tra
le solite “grandi”. E come dimenticare di Marcello Lippi che mandava ogni giorno messaggi d’amore alla
sua Juventus e alla squadra che a lungo lo corteggiò, il Milan. La storia degli allenatori della nazionale
italiana è fatta di messaggi d’amore verso le solite tre squadre a strisce. Del resto lo stesso Prandelli,
nonostante il campionato disastroso della Juventus continua a chiamarne dai cinque ai sette giocatori.
E allora di nuovo la domanda. Perché tutto questo scandalo?
L’ex viola ha espresso semplicemente la sua ammirazione verso una società che attraverso
investimenti mirati, la scelta dell’allenatore giusto e un ambiente (i tifosi) che fa la differenza riesce ad
essere a tutt’oggi la seconda forza del campionato.
Proprio non si riesce a capire dove, quindi, i suddetti soloni vedano delle irregolarità nei confronti del
campionato. I moralisti stanno crescendo come i funghi e tutt’a un tratto tutti vogliono le tecnologie in
campo solo perché l’arbitro Banti non ha dato un gol a Brocchi, proprio come successe con Maggio
qualche domenica fa, ed anche con Cavani contro il Brescia. DUE GOL FANTASMA…eppure nessun
caos mediatico.
Se ci si ferma a pensare si diventa matti.
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Parafrasando Orwell “Tutti le squadre sono uguali, ma alcune sono più uguali delle altre” e non solo a
livello mediatico.
Il presidente della Lazio, Claudio Lotito in settimana ha dichiarato che è troppo facile ripartire da zero,
eliminare i debiti e non pagare, cosa che invece sta facendo lui.
L’accademico latino dovrebbe però ricordare che il Napoli è stato fatto fallire per un totale di debiti che
ammontava a circa settanta milioni ed è dovuto ripartire dalla C pagandone comunque la metà (De
Laurentiis, come molti ricorderanno, per acquisire il titolo sportivo sborsò più di trenta milioni che
andarono alla fallimentare), mentre la Lazio “per questioni di ordine pubblico”, dichiarazioni alla lettera
del Presidente pluri-conflitto d’interesse Berlusconi, si salvò dal fallimento evitando la vergogna della C,
evitando gli sputi, evitando la distruzione di una squadra ed evitando di spendere tanti soldi. Difatti i 140
milioni di debiti della squadra laziale sono stati spalmati in così tanti anni, che probabilmente neanche
le progenie a venire riusciranno a vedere il conto biancoceleste sanato.
Ma di tutto questo ovviamente ci si dimentica.
Napoli è la città della munnezza, così come voluto dai governi del nord, e tale deve restare in qualsiasi
ambito. Perciò grande scandalo è se un Commissario Tecnico, che tra l’altro comunque è restio a
convocare in azzurro i calciatori napoletani, esprime apprezzamenti verso una società che ha saputo fare
il suo percorso vincente un passo alla volta, dimostrando che il danaro è importante ma non è l’unico
elemento (ma forse nelle zone nordiche hanno dimenticato quali possono essere altri valori oltre al vil
danaro).
Perciò noi napoletani brindiamo a voi soloni del calcio, non prendetevela troppo se i vostri soldi non vi
danno la felicità, in fondo ci sono anche altre cose nella vita, no?
Un’ultima riflessione sul calcio giocato è d’obbligo: il campionato ovviamente non è ancora finito e
quindi i conti si faranno alla fine. Il Napoli è secondo e necessita di quattro punti in più rispetto al Milan
per arrivare al sogno. Con molta probabilità non succederà, ma se dovesse succedere… i napoletani vi
inviteranno ancora a brindare con loro perché in fondo: NOI AMIAMO TUTTI.
Marco Branca
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LONDRA invia nuovi caccia per intens…
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LONDRA invia nuovi caccia per intensificare raid aerei e
invita ad assumere privati per addestrare ribelli!
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VENERDÌ, 08 APRILE 2011 08:56
Cinema
NESSUN COMMENTO
La Raf, sta convertendo quattro caccia Typhoon
alle operazioni aria-terra, così da poter
aumentare la propria capacità di fuoco sugli
obiettivi militari del rais, mentre, allo stesso
tempo, il governo chiederà alle nazioni arabe che
sostengono
la
coalizione
di
occuparsi
dell’addestramento degli insorti.
Magari delegando il compito ad agenzie private
che si avvalgono dei servigi di ex Sas o di altre
forze speciali occidentali – tutto insomma pur di
evitare lo stallo fra lealisti e ribelli. Secondo fonti
interne al Gabinetto, citate dal Guardian, uno dei
paesi che potrebbe rendersi disponibile ad addestrare i ribelli in prima persona è la Giordania. “Hanno i
migliori ufficiali e probabilmente il miglior esercito della regione”, ha spiegato la fonte. L’operazione non
sarà però breve: ci potrebbe volere infatti almeno un mese per portare gli insorti al punto di saper gestire
una manovra offensiva capace di scalfire le truppe fedeli a Gheddafi.
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“I ribelli – ha proseguito la fonte – non stanno avanzando. Si limitano a guidare i mezzi in fondo alla
strada poi, quando vedono le armi, fanno inversione e tornano indietro”. Il senso è chiaro: finché i
rivoluzionari non mostreranno di saper fare meglio la guerra è molto difficile che i raid aerei da soli
potranno essere sufficienti a scalzare da Tripoli la famiglia Gheddafi.
E i ribelli non sembrano capaci di far pendere l’ago della bilancia molto oltre. Eppure anche a Bengasi i
nervi iniziano a farsi tesi. Abdel-Fattah Younis, capo delle operazioni militari degli insorti, ha ad esempio
criticato la lentezza a intervenire della Nato e i pochi progressi fatti a Misurata. Che la dipartita degli Usa
dal fronte inizi a farsi sentire? Sia come sia – e la Nato su questo punto respinge le critiche al mittente –
la Gran Bretagna ha di fatto raccolto il testimone dei cugini d’oltre oceano.
Coi quattro Typhoon convertiti all’azione diretta la Raf ha infatti a Gioia del Colle 16 velivoli pronti alla
guerra su 20 – i restanti hanno ora compiti di polizia dei cieli, ovvero far rispettare la no-fly zone. Che poi
è esattamente ciò che fanno la maggior parte dei ‘volenterosi’. Oltre a Francia e Regno Unito, sostiene il
Guardian, solo Danimarca, Canada e Norvegia hanno deciso di prendere parte ai bombardamenti. Le
operazioni belliche si stanno per altro complicando. “I nostri avversari stanno imparando”, ha detto
un’altra gola profonda del governo. “Il regime ora sta usando camion simili a quelli dei ribelli e posiziona
i suoi tank vicino a edifici civili: distruggerli significa correre un grosso rischio”.
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Tutti al museo! (e non solo) | La rosa …
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Tutti al museo! (e non solo)
Sezioni
MERCOLEDÌ, 06 APRILE 2011 13:46
NESSUN COMMENTO
Il MiBAC (Ministero per i Beni e le Attività
Culturali) anche quest’anno ripropone
l’opportunità di visitare gratuitamente tutti i
luoghi statali dell’arte. Ritorna la Settimana
della Cultura, giunta alla tredicesima
edizione,
all’insegna
delle
bellezze
artistiche, culturali e archeologiche italiane
dal 9 al 17 Aprile 2011; per nove giorni
molte città metteranno a disposizione i
propri monumenti gratuitamente alla
collettività. Gli appuntamenti previsti sono
circa 3000 in tutta Italia, sarà possibile
accedere
a
aree
archeologiche,
biblioteche, musei, monumenti e a tutti i siti
culturali presenti sul territorio nazionale in
maniera del tutto gratuita; per l’occasione
Una veduta della Reggia di Caserta, patrimonio culturale
saranno
organizzati
rappresentazioni
dell'Unesco, accessibile gratuitamente a partire dal 9 Aprile
teatrali, concerti e spettacoli in luoghi
suggestivi e, per rendere ancora più
speciale l’esperienza, i visitatori avranno la possibilità di partecipare a laboratori didattici, a giornate di
incontro e di conoscenza attraverso convegni. Per poter conoscere i 3000 appuntamenti offerti si
consiglia di consultare il sito dei beni culturali.
In Campania tra gli eventi di maggiore spicco segnaliamo l’apertura del Castello Lancellotti (Lauro) ad
Avellino, del Palazzo Reale con l’annesso Parco e Giardino Inglese a Caserta, del Museo Archeologico,
Nazionale e di Capodimonte a Napoli.
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Per l’occasione, concepito anche uno spot promozionale della Settimana della Cultura, così spiegato
dal MiBAC: “La campagna parte da un presupposto universalmente riconosciuto: i cittadini italiani hanno
una fortuna immensa sotto al proprio naso. Un patrimonio artistico che non ha nessuno al mondo. A
questa immensa fortuna, se ne aggiunge un’altra – grandissima – che durerà per 9 giorni: tutto questa
ricchezza sarà gratuita. Non c’è un prezzo da pagare per vederla. Sarà quindi come trovare una
straordinaria fortuna per terra, per nove giorni di seguito. Perché ogni b iglietto di ogni museo o sito d’arte
italiano sarà come regalato, trovato, piovuto da chissà dove.”
Ad arricchire maggiormente il calendario degli appuntamenti previsti durante la Settimana della cultura,
quest’anno parteciperanno all’iniziativa anche il FAI (Fondo Ambiente Italiano) e Legambiente. La FAI
offre l’ingresso gratuito Mercoledì 13 Aprile al: Castello di Masino a Caravino (To), alla Villa e Collezione
Panza (Varese), all’Abbazia di San Fruttuoso a Camogli (Ge), al Parco di Villa Gregoriana a Tivoli (Rm) e
al Giardino della Kolymberta (Ag).
Legambiente promuove due eventi: il 9 Aprile la visita guidata nell’area paesaggistico-archeologica di
Tuvixeddu, promosso da Legambiente Sardegna, e il 16 Aprile ripropone la rievocazione del viaggio
inaugurale della tratta ferroviaria, avvenuta nel lontano 1888, attraverso il viaggio in treno Cagliari-Isili
nell’ambito del progetto: “Il treno: lab oratorio itinerante di mob ilità sostenib ile e valorizzazione del
paesaggio e dell’amb iente della Sardegna”, promosso da Legambiente Sardegna, Comune di Isili e
Arst-FdS.
La Settimana della cultura rappresenta un’occasione davvero imperdibile per avvicinarsi alla più grande
ricchezza del nostro Paese: il nostro patrimonio artistico e culturale.
Simona Esposito
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Criminalità: pubblicata la “mappa dei …
Numero 21 del 05/04/2011
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Criminalità: pubblicata la “mappa dei reati”
Sezioni
MARTEDÌ, 05 APRILE 2011 20:26
Attualità
NESSUN COMMENTO
Da Nord a Sud le città
maggiormente colpite da reati
sono le metropoli ad elevata
densità di popolazione. Più
sicuri i piccoli centri
Molto a lungo gli italiani hanno ritenuto che la delinquenza fosse un
problema esclusivo del Sud della penisola, nonostante oggi risulti
evidente che la piaga della criminalità sia estesa su tutto il territorio
nazionale. Proprio mentre l’Europa riflette sull’emergenza criminalità,
in seguito alla presentazione del Global Risk Report 2011 (che ha
fissato a 311 miliardi di euro l’ammontare del giro affaristico delle
mafie nei 27 paesi dell’Unione Europea), l’Italia scopre che, ad
accomunare Nord e Sud, c’è un elemento certo: la criminalità si
espande ovunque e, in modo particolare, nelle metropoli laddove la
densità di popolazione risulta più elevata così come la concentrazione
di infrastrutture o attività produttive.
È quanto emerge dalla ricerca “L’apporto della sicurezza pub b lica alla
creazione del Pil”, presentata dal Sole 24 ore e A.n.f.p. (Associazione
nazionale funzionari di polizia) e curata da Maurizio Fiasco, i cui risultati
sono stati ottenuti attraverso l’elaborazione dei dati del Ministero
dell’Interno relativi al primo semestre del 2010.
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Nei primi sei mesi dell’anno scorso, infatti, sono stati denunciati quasi un milione e trecentomila reati, di
cui circa 138mila a Milano e 116mila a Roma. Rapportando il numero di reati alla densità di
popolazione, Milano, Torino e Bologna risultano le città meno sicure della penisola, poiché vi sono stati
compiuti circa 30 delitti ogni mille abitanti. Nella “classifica” Roma si piazza al settimo posto; tuttavia, se
a Milano la percentuale di reati commessi si è ridotta del 5% rispetto alle annate precedenti, nella
capitale si riscontra un aumento del 4% delle azioni criminose.
Tra le città più sicure figurano soprattutto piccole realtà del Sud, quali Potenza e Matera; Belluno è,
invece, la perla del Nord: risulta evidente che i piccoli centri sono quelli in cui si vive meglio e dove i reati
sono in percentuale decisamente più bassa rispetto al resto delle città italiane; va tuttavia sottolineato
che, rispetto agli anni precedenti, la percentuale di reati commessi si presenta più alta non soltanto in
tutta Italia – nel primo semestre del 2008 e del 2009 si erano registrati rispettivamente cali dell’8 e 6%,
nel 2010 soltanto dello 0,2% – ma anche in queste piccole “oasi di benessere”: a Matera, ad esempio,
la percentuale di crimini, pur mantenendosi ancora molto bassa, è lievitata all’incirca del 22%.
Spiccano, tra questi, anche dati positivi, quelli di Asti e Pordenone, che rilevano un calo sostanziale delle
percentuali di reati commessi sul territorio, rispettivamente -16% e -12%.
Ben diverso è il discorso per i reati che impattano sull’economia: in questo caso, infatti, è Napoli, ad
ottenere il primo posto in classifica per reati quali usura, ricettazione, riciclaggio, contraffazione, frodi,
truffe informatiche. Napoli, seguita a ruota da Bologna – che si becca anche il primo posto per i furti agli
esercizi commerciali – Trieste, La Spezia e Genova. Napoli, ancora e sempre, città dei “pacchi” e delle
truffe.
I reati più comuni in città sembrano incidere in modo significativo sul commercio e sulla produttività,
pertanto inibiscono lo sviluppo economico del territorio impattando direttamente sulle imprese e sugli
esercizi commerciali. “Nella nostra ricerca sulla relazione tra sicurezza, Pil e b enessere – ha dichiarato
Enzo Letizia, segretario nazionale dell’Anfp – è emerso, dalle analisi sul settore del credito alle imprese,
che la criminalità ha effetti negativi sul costo del denaro. In particolare le frodi, le truffe, la b ancarotta
fraudolenta, l’estorsione, l’associazione a delinquere in genere e l’associazione a delinquere di stampo
mafioso influenzano in modo significativo i tassi d’interesse per la concessione del credito: le imprese
ub icate nelle zone con una forte presenza di criminalità pagano un tasso d’interesse mediamente più
elevato dello 0,50 rispetto a quelle che operano nelle zone a b assa criminalità.”
Napoli si trova, dunque, tra le metropoli maggiormente assediate dalla criminalità proprio per le
caratteristiche e le molteplici forme che questa assume sul territorio cittadino: le falle nel sistema
economico sembrano essere talmente ampie da impedire un concreto decollo dell’“economia legale”
locale.
Alla luce di questa ricerca sembrano essere, ancora una volta, penalizzate le realtà minori, le piccole e
medie imprese che, a differenza delle “grandi” non accedono a fonti di credito nazionali. È, dunque, sulla
realtà locale che bisogna incidere se si intende dare una speranza di riscatto ad una città come Napoli:
“Solo un sistema unitario di sicurezza pub b lica può fronteggiare fenomeni di tale caratura e profilo – ha
continuato Enzo Letizia – perché la criminalità è ab ilissima nell’inserirsi nei limiti delle competenze
territoriali degli enti locali, conquistando rocche e campanili di ogni tipo quando commette i reati contro
l’economia”.
Sara Di Somma
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Mutilazioni genitali femminili: finte cr…
Numero 21 del 05/04/2011
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Mutilazioni genitali femminili: finte credenze religiose
Sezioni
MARTEDÌ, 05 APRILE 2011 20:27
NESSUN COMMENTO
È una vergogna. Purtroppo qualsiasi
ragione – politica, religiosa, sessista o
medica – non giustifica le torture che le
bambine sono costrette a subire. Sono
cento milioni in trenta paesi. Cento milioni
di donne sono sottoposte a mutilazioni
genitali femminili. MGF è l’acronimo per
queste violazioni fisiche, forse perché
ripetere l’espressione per intero, nel 2011,
fa quasi impressione. La circoncisione
femminile è diffusa in numerose regioni
del continente africano. Chi la pratica
segue la tradizione. Usanze dettate dal
Corano, ma che non trovano fondamento in
Gli strumenti utilizzati per le MGF
nessuna religione o interpretazione di testi.
Sembra che sia stata tramandata
direttamente dall’antico Egitto, ma la “barbarie” sembra non voler trovare una fine.
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Esiste un po’ di confusione sull’argomento, sui “tagli” effettuati. Si parte da una piccolissima incisione
nella parte alta del clitoride (pratica conosciuta con il nome di “sunna”), per poi passare dalla
clitoridectomia all’infibulazione vera e propria. La seconda, come suggerito dal termine, prevede
l’asportazione del clitoride nella sua totalità, insieme – in alcuni casi – alla recisione delle piccole
labbra. Questa pratica va a sostituire quella della “circoncisione faraonica”, abolita nel 1946, ovvero della
amputazione del clitoride con l’infibulazione. La chiusura del clitoride e delle piccole labbra viene
eseguita con filo di svariato materiale, ma anche da spine di acacia o palma. Il tutto, quindi, viene ridotto
ad un piccolo foro per l’urina e il ciclo mestruale (comportando notevoli dolori alla donna).
Tutto a freddo. Senza anestesia. Senza pulizia. Bambine innocenti tra i tre e gli otto anni. Gli
insegnamenti di Maometto non hanno mai parlato di queste pratiche oscene e senza dignità. Mal
interpretazioni degli uomini che devono “defibulare” la donna senza aiuto esterno alla coppia. Una prova
di virilità che vieta alla donna di condurre una vita sessuale soddisfacente. Oltre ovviamente a tutte le
sofferenze che comporta. Il parto è pericoloso per madre e figlio perché tutto l’apparato non cresce
come dovrebbe. Oltre il danno, la beffa: la donna viene ricucita dopo il parto.
Si dice che “chi non conosce il b ene, non può riconoscere il male”. Forse è questo il motivo per cui la
vittima diventa carnefice. Il più delle volte è, infatti, la madre ad accompagnare la figlia verso questa
meschinità. Per noi europei sembrano cose così lontane e assurde, quasi leggende metropolitane
sulle credenze e pratiche di altre religioni. Noi accettiamo passivamente l’argomento. Siamo a
conoscenza dell’esistenza delle MGF – le condanniamo, anche – ma continuiamo la nostra vita senza
porci alcun problema. Invece è una problematica che ci riguarda da vicino. “In Italia, ogni anno ci sono
2000-3000 b amb ine a rischio di essere infib ulate. Siamo a conoscenza anche di casi in cui, dopo un
viaggio nei Paesi d’origine, alcune b amb ine sono state infib ulate. Su questo gli insegnanti possono
svolgere un’azione di sentinella, osservando i comportamenti e i camb iamenti d’umore delle b amb ine”.
E’ l’allarme lanciato da Aldo Morrone, direttore dell’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle
popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della povertà. Si parla di trentacinquemila donne in
Italia.
“Decidi tu che segno lasciare” è lo slogan della nuova campagna mondiale promossa da “Non c’é pace
senza Giustizia” per ottenere una risoluzione dell’Onu contro le mutilazioni genitali femminili. “Il nostro
ob iettivo è ottenere dall’ organismo che rappresenta tutto il mondo la messa al b ando di una pratica che
viola i diritti universali“, ha evidenziato la vicepresidente del Senato Emma Bonino nel corso della
presentazione della campagna. Finalmente anche l’Occidente partecipa attivamente affinché tutto
questo abbia una fine.
Roberta Santoro
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PJ Harvey – Let England Shake | La ros…
Numero 21 del 05/04/2011
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PJ Harvey – Let England Shake
Sezioni
MARTEDÌ, 05 APRILE 2011 21:10
Attualità
NESSUN COMMENTO
Graffiante e vigoroso, Let England Shake è
il disco forse più bello e significativo di
questo 2011.
Non avevamo notizie della signora Harvey
dal 2009, con A woman a man walked b y,
secondo album in collaborazione con il
chitarrista John Parish, che ritroviamo di
nuovo alle chitarre in quest’ultimo lavoro.
Let England Shake vede la nostra Polly
Jean alle prese con la sua ultima
passione, quell’autoharp presente e mai a
caso in molti dei pezzi (12) che
compongono il disco. Esperienza
e
delicatezza al servizio di un tema
particolarmente
forte,
l’Afghanistan
devastato dalle ultime vicende, ripreso e
messo a fuoco in una mostra del fotografo
Seamus Murphy, mostra che deve aver
particolarmente colpito la Harvey. E gli
La copertina del disco
influssi si sentono tutti in un disco nervoso
e tagliente, un concept (o quasi) con pause
e riprese continue, un disco veloce (solo 40 minuti) e terribilmente intenso.
La title track, Let England Shake, apre il disco in maniera apparentemente vivace, per poi sfociare nel
cuore del discorso con The Last Living Rose e The Words That Maketh Murder, quest’ultimo
particolarmente intenso come linee melodiche e suoni. La voce eterea della Harvey apre la splendida
On Battleship Hill, mentre torniamo al cantautorato più vicino al recente passato con All And Everyone.
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La battaglia prende piede nella seconda parte del disco. In The Dark Places suona la fanfara e con
Bitter Branches siamo nel vivo dello scontro, avvolti da un crescendo teatrale che crea attesa e infiamma
gli animi di chi ascolta.
Madre Terra sembra piangere i suoi figli caduti in battaglia con le due “gospel/oriented” Hanging In The
Wire e Written On The Forehead, due brani dove il falsetto della Harvey si conciliano perfettamente con i
numerosi cori gospel, due brani estremamente onirici e sentiti per interpretazione. La guerra volge al
termine con The Colour Of The Earth, che rappresenta l’alba di una nuova civiltà nata dalle macerie degli
scontri, un finale degno di un capolavoro del genere.
Con Let England Shake PJ Harvey (o Polly Jean) esce vittoriosa nei confronti di quei detrattori che
giudicano un artista solo in base al numero delle copie di dischi che riesce a vendere, una vera rosa nel
deserto. La collaborazione con John Parish risulta efficace e sentita (tre dischi su tre riusciti benissimo).
Le nuove sperimentazioni compositive con l’autoharp convincono, ma restando ancorati al disco in
questione, un modo di scrivere musica che forse rivedremo in futuro, chissà.
Marco Della Gatta
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Ju Tarramutu, L’Aquila due anni dopo …
Numero 21 del 05/04/2011
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Ju Tarramutu, L’Aquila due anni dopo il sisma
Sezioni
MARTEDÌ, 05 APRILE 2011 20:28
Attualità
NESSUN COMMENTO
La manifestazione delle carriole a L'Aquila nel film Ju
Ventidue secondi. Tanto durò
“Ju
Tarramutu”, come lo chiamano gli aquilani.
Ventidue interminabili secondi che il 6
aprile
2009
distrussero
una
città
cambiando per sempre la vita di migliaia di
persone. Dopo quella tragedia, il silenzio. E
poi le parole, tante, troppe. Le passerelle
politiche, il G8, le promesse di un miracolo
aquilano. E poi ancora una volta, silenzio.
Come quello che si ascolta camminando
per il centro storico del capoluogo
abruzzese che oggi, a due anni dal sisma,
è ancora un luogo vuoto, triste, e
inaccessibile. Al di là delle barriere, la vita
per gli aquilani è ripresa a scorrere. Ma
ancora oggi ‘ricostruzione’ è una parola
assai lontana dal loro futuro. L’Aquila due
anni dopo è una città ancora in bilico tra
immobilismo e voglia di rinascere. E
adesso tutto questo diventa un film per il
cinema.
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Tarramutu di Paolo Pisanelli
In concomitanza col secondo anniversario
del terremoto dell’Abruzzo, infatti, uscirà in 20 sale Ju Tarramutu, docufilm di Paolo Pisanelli autoprodotto da Officina Visioni, Big Sur e PMI. In questi due anni tanti e diversi sono gli sguardi posatisi su
L’Aquila ferita. Ma a differenza della maggior parte di essi, di quel dramma Ju Tarramutu ci racconta la
parte più vera, privilegiando le storie personali della gente comune alla denuncia militante stile Michael
Moore (vedi Draquila di Sabina Guzzanti). “Un viaggio nei territori della città più mistificata d’Italia”, recita
il sottotitolo del film. Per 15 mesi, Paolo Pisanelli ha girato in lungo e in largo L’Aquila e i paesi limitrofi
scavando con l’occhio della telecamera nelle esperienze, emozioni e sensazioni di chi ha vissuto sulla
pelle il terremoto, seguendo l’evoluzione stessa della città e dei suoi abitanti, dal dramma alla rivolta
delle carriole, dallo smarrimento iniziale alla rabbia contro gli sprechi, le speculazioni, e le risate
intercettate di imprenditori “sciacalli”, dalla rassegnazione alla voglia di “riprendersi la città”.
Niente interviste ai politici né agli esperti. Pisanelli fa parlare gli aquilani veri, non quelli che fingendo di
esserlo, vanno in televisione a tessere le lodi del governo. Lo spazio del film diventa così una sorta di
agorà pubblica da cui far alzare forte la voce della gente di L’Aquila, protagonista involontaria del teatrino
mediatico messo in piedi sulle macerie della città abruzzese. Perché di questa terra, vittima prima del
sisma e poi del cinismo della politica-spettacolo che punta i riflettori sui drammi per ottenere consensi,
si è detto e scritto di tutto. Ma mai nessuno si è preoccupato di mostrarci l’altra L’Aquila, non quella vista
nei Tg, ma quella che fatica a riprendersi e che si sente abbandonata dalle istituzioni. I problemi, come il
documentario di Pisanelli ci mostra, non sono affatto risolti. Gran parte di ciò che è crollato quel
maledetto 6 aprile del 2009 non ha un progetto di ricostruzione. E le persone sono ancora disperse tra
gli alberghi e quei quartieri dormitorio che sono i progetti C.a.s.e., senza sapere quando potranno far
ritorno nelle loro abitazioni. La lentezza di enti e amministrazione impedisce ai cittadini di ripartire. Ma
nonostante questo c’è ancora speranza. Di vedere un giorno L’Aquila ferita tornare a volare, ancora più
bella di prima.
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Gatto: gli antipulci per cani gli sono fa…
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Gatto: gli antipulci per cani gli sono fatali
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MERCOLEDÌ, 06 APRILE 2011 18:53
Attualità
1 COMMENTO
Amanti degli animali state all’erta: se intendete
trasformare la vostra abitazione o il vostro
giardino in un rifugio per gli amici a quattro
zampe, o se la vostra casa è già talmente invasa
di pets da fare invidia a uno zoo, sappiate che, se
è vero che cani e gatti spesso non vanno
d’accordo, a complicare i loro rapporti ci si
mettono anche gli antiparassitari. Già, perché
molti dei prodotti attualmente in commercio, che
si rivelano utilissimi per evitare al vostro cane i
fastidi di zecche, pulci e zanzare, contengono
d’altra parte una sostanza che si rivela altamente
tossica per i gatti.
Se è vero che spesso cani e gatti non vanno
Il principio attivo sotto accusa è la permetrina, un
composto chimico di sintesi appartenente alla
antipulci, utili per i cani, letali per i gatti
famiglia dei piretroidi, largamente utilizzato in
agricoltura come insetticida, e destinato anche
all’utilizzo domestico: nonostante si tratti di una sostanza indubbiamente nociva, la permetrina si ritrova
in numerosissimi prodotti destinati al giardinaggio, negli insetticidi, negli spray antiacaro, negli antipulci
per cani e addirittura negli antipidocchi per uso umano. Ma, se umani – e cani – tollerano abbastanza
bene gli effetti dannosi della sostanza, lo stesso non può dirsi per i felini, per i quali l’avvelenamento
può verificarsi anche semplicemente per “contatto”, e in molti casi si rivela letale. A confermare questi
dati è uno studio del Veterinary Poisons Information Service di Londra (2007), che ha analizzato
retrospettivamente 286 casi di avvelenamento dei felini domestici in seguito al contatto, diretto o
indiretto, con la permetrina, contatto che, nell’oltre 10% dei casi, conduceva alla morte del gatto, dopo
quasi due giorni di convulsioni e spasmi dolorosi per la povera creatura.
d'accordo, a complicare i loro rapporti arrivano gli
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La causa dell’intolleranza felina a una sostanza che, seppur tossica, non comporta particolari problemi
agli umani e ai cani, sarebbe dovuta alle caratteristiche fisiologiche di questa specie, che presenta una
carenza di glucuronil-transferasi, un enzima presente nel fegato dei mammiferi, che, combinandosi in
una reazione di sintesi con le sostanze tossiche, aiuta l’organismo a smaltirle – generalmente
attraverso le urine – in un processo di detossificazione. Più semplicemente, la mancanza di
quest’enzima non permette all’organismo dei felini di espellere la sostanza, che quindi permane
all’interno del corpo, in pratica avvelenandolo.
Il problema si presenta quando in casa convivono cani e gatti, perché anche un semplice contatto
indiretto con un cane trattato con permetrina può bastare a provocare l’intossicazione di un gatto: è
sufficiente che il micio si avvicini al pelo del cane, o semplicemente si sdrai nella sua cuccia, perché la
sostanza entri in circolo nel suo organismo. Inoltre, proprio la caratteristica che rende la permetrina
sintetica così efficace nella lotta a pulci e insetti, ovvero la permanenza della sua capacità di azione fino
a 72 ore, è quella che si rivela subdolamente pericolosa per il gatto: non basta allontanarlo solo nel
momento in cui l’antipulci viene somministrato al cane, né far arieggiare la stanza dopo una
sostanziosa spruzzata di insetticida; e la cosa peggiore è che raramente i prodotti presenti in
commercio riportano l’indicazione della tossicità della sostanza per i felini. A chiunque può accadere di
andare al supermercato e comperare un insetticida per la casa o per il giardino, oppure un
antiparassitario per cani (che viene venduto senza ricetta e senza nessun tipo di informazione da parte
dei negozianti, che, secondo alcune testimonianze recuperate in rete, ne suggeriscono addirittura l’uso
per gli stessi gatti) senza sapere che per il micio di casa può rivelarsi fatale. Lo stesso vale per i
“bugiardini” contenuti all’interno delle confezioni di antipulci: pochissimi (uno di questi è Advantix, che
avverte anche di non far avvicinare i gatti ai cani in trattamento con il prodotto) riportano l’indicazione di
tossicità per i felini, e anche laddove è presente è di solito inserita negli “avvertimenti”, non evidenziata e
di carattere generico (“Non usare sui gatti”), quindi può sfuggire a un lettore poco attento o a un
acquirente poco informato.
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Gatto: gli antipulci per cani gli sono fa…
Una confezione di antipulci per
cani su cui viene chiaramente
segnalata l'inadeguatezza del
prodotto per i gatti
Una mancanza che sembra “mirata”, da parte delle case farmaceutiche produttrici, che, pur di vendere il
prodotto, ne sottolineano in alcuni casi la totale innocuità per tutti gli “animali a sangue caldo”,
trascurando il fatto che anche i gatti rientrano ampiamente in questa descrizione; mentre gli
avvelenamenti, e in alcuni casi le morti, accidentali dei mici continuano. E, se in caso di contatto
avvenuto l’unica possibilità è quella di intervenire tempestivamente, portando il gatto dal veterinario per
sottoporlo a una lavanda gastrica e a lavaggi della cute, e sperare, la scelta migliore resta quella della
prevenzione: l’antipulci a base di permetrina può infatti essere sostituito con un prodotto combinato,
efficace sia per cani che per gatti, o ancora meglio, con un antiparassitario naturale, mentre per gli
insetticidi bisogna prestare la massima attenzione, ricordandosi di controllare quali sono i principi attivi
contenuti. Nella speranza che le aziende produttrici si sensibilizzino al problema, decidendosi una volta
per tutte, anche a fronte di una perdita nelle vendite, a esporre chiaramente sulle confezioni le
indicazioni relative alla pericolosità dei prodotti che commerciano, per evitare agli animali e ai loro
padroni ingiuste sofferenze.
Giuliana Gugliotti
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Gatto: gli antipulci per cani gli sono fatali | Linea di confine 9 aprile 2011 at 11:20 (Edit)
[...] gentile concessione di Giuliana Gugliotti tratto da La Rosa Nera Etichette: antipulci, cani, Gatti,
[...]
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Paul McCartney, più vivo da morto
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MARTEDÌ, 05 APRILE 2011 20:27
Attualità
NESSUN COMMENTO
Il rock è leggenda.
Mitico, leggendario rock; sarebbe ben poca
cosa senza le sue leggende. Il rock si nutre
di leggende, e quella che più affascina i
consumatori del rock è una leggenda nella
leggenda, la storia della morte di Paul
McCartney nella già leggendaria storia dei
Beatles. Paul McCartney nasce a Liverpool
il 18 Giugno 1942: dopo un’infanzia serena,
vissuta nelle orme di un padre,
appassionato melomane, trombettista e
pianista, due avvenimenti segneranno la
sua adolescenza: l’amicizia con un suo
vicino di casa, futuro amico e illustre
Paul McCartney a confronto in due immagini: com'era negli anni collega, alias George Harrison, e la
'60 e com'è oggi
precoce morte della madre, una tragedia
personale che l’avvicinerà all’altrettanto
orfano John Lennon, portando, un immenso dolore che conduce a un inaspettato traguardo, alla nascita
dei Beatles. Illuminato compositore, nei suoi primi anni di attività Paul McCartney omaggerà la musica di
perle immortali come Michelle e Yesterday, pezzi che riuscirono a catapultare una band di quattro
ragazzini nell’Olimpo dei geni della musica. E geni lo erano davvero, i quattro Beatles, per riuscire in
meno di un decennio a rivoluzionare completamente il mondo musicale. Già, i quattro: se già è difficile
concepire l’idea che quattro artisti del calibro di John, Paul, George e Ringo abbiano potuto incontrarsi e
lavorare insieme, ancora più difficile è accettare l’esistenza, seppur non confermata, di un quinto
impareggiabile talento, un “quinto Beatle” che, chiamato a sostituire Paul McCartney, avrebbe segnato il
percorso della musica con altrettante pietre miliari come Hey Jude e Let it b e.
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La leggenda della prematura morte di Paul McCartney circola da quarant’anni, e ancora gli
appassionati, irriducibili rockettari, amano discuterne quando sono a corto di pettegolezzi: si racconta
che, in una burrascosa notte del Novembre 1966, Paul, uscito dalla sala prove dopo un litigio con gli altri
tre Beatle, si schiantò, alla guida della sua Aston Martin, – forse a causa dell’asfalto sdrucciolevole,
forse distratto dall’eccessivo entusiasmo di una giovane autostoppista incinta, in fuga da un fidanzato
bigotto che non voleva lasciarla abortire, la “famosa” Lovely Rita, nello scoprire di essere stata “caricata”
da mr. Paul McCartney – contro un albero (altri dicono contro un camion, che, coincidenze della vita, era
guidato da un cugino di Brian Epstein, manager dei Beatles), restando ucciso, alcuni ritengono
addirittura decapitato, nell’impatto. I Beatles erano all’epoca all’apice di un successo che l’annuncio
della violenta morte del loro bassista avrebbe inevitabilmente compromesso: rimasti in tre, decisero di
mettere tutto a tacere, seppellirono Paul in gran segreto e si misero in cerca di un rimpiazzo. La scelta
ricadde, dopo lunghe ricerche, su un ex-poliziotto e aspirante cantante dell’Ontario, tale Billy Campbell,
che, forte di una certa somiglianza col defunto Paul, sarebbe stato “educato” dagli altri tre a suonare e
cantare come il morto, e “ritoccato” da un chirurgo plastico per attenuare le differenze rispetto
all’“originale”. I sostenitori della PID (Paul Is Dead theory) ritengono che fu questa la causa
dell’abbandono del palcoscenico da parte dei Beatles, che in effetti non si esibirono più live dopo la
presunta morte del loro bassista. Da allora tuttavia, addolorati dalla perdita dell’amico e tormentati dal
rimorso di averne ingiustamente taciuto la scomparsa, i Beatles avrebbero tentato di “far sapere al
mondo la verità” disseminando i propri testi e le copertine dei dischi di criptici messaggi che, decriptati,
condurrebbero all’unica deduzione possibile per i teorici della cospirazione: che Paul McCartney sia
deceduto in quel Novembre 1966, e che da allora a recitare la sua parte, e soprattutto a comporre testi
immortali come Hey Jude, ci sia stato un sosia.
Fin qui le ipotesi.
Ma il capitolo più interessante della leggenda, almeno per gli amanti del complotto e della crittografia, è
sicuramente quello dell’analisi dei “segni” che i Beatles avrebbero disseminato un po’ qui un po’ là per
comunicare velatamente la avvenuta morte di Paul McCartney. I segnali individuati sono innumerevoli,
elencarli tutti è impossibile: dagli ambigui testi che narrano di incidenti stradali e vita dopo la morte, alle
strofe di canzoni che, ascoltate al contrario, veicolerebbero all’orecchio sempre la stessa litania, “Paul is
dead”, alle caleidoscopiche, allucinate immagini di copertina dei loro album che conterrebbero indizi
grafici di una morte violenta e accidentale, tutte le bizzarrie semantiche, tutta la genialità, a tratti quasi
satanica, dell’opera beatlesiana post 1966 (qualcuno, facendo, per questioni di tempistica, risalire
l’incidente al 1965, ha rintracciato ambigui indizi addirittura in Revolver e Rub b er Soul, i cui pezzi furono
in entrambi i casi composti e depositati prima dell’incidente!) sono state identificate come indiscutibili
segnali dell’avvenuta morte di Paul McCartney. Due copertine in particolare sembrano ricche di
messaggi in codice: andiamo a vederle.
Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club band
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12/04/2011
Paul McCartney, più vivo da morto | L…
La copertina dell'album suddetto
Uscito nel Giugno 1967, poco dopo la presunta scomparsa di Paul, con la sua copertina ricca di dettagli,
l’album è stato una vera e propria miniera d’oro per i cercatori di indizi. L’idea di fondo è che tutti i
personaggi reali e mitologici raffigurati stiano prendendo parte al funerale di Paul McCartney. Ai loro
piedi ci sarebbe la bara, ricoperta di composizioni floreali che hanno attirato non poco l’attenzione: i fiori
gialli, in basso a destra, rappresenterebbero così composti un basso mancino, come quello che
utilizzava Paul, a cui manca una delle quattro corde, a simboleggiare la perdita di uno dei membri;
oppure, guardando più attentamente si può leggere in quella stessa composizione la scritta “Paul?”. I
fiori rossi compongono invece la scritta “Beatles” con l’aggiunta di una “O” finale, che trasformerebbe il
nome del gruppo in una frase: “BE AT LESO”, dove “Leso” è diminutivo di Lesotho, località in Africa in cui
sarebbe stato seppellito il vero Paul. Infine, per citare solo un ultimo degli altri innumerevoli indizi
rintracciati dai mitomani, ponendo uno specchio orizzontalmente, come a voler tagliare a metà la scritta
“LONELY HEARTS”, si ottiene un’altra scritta: “1ONE IX HE DIE”, che starebbe a indicare la data della
morte di Paul, 11 Novembre, senza contare che nel brano d’apertura dell’album, Paul canta le vicende di
un certo Billy Shears, che è stato interpretato come un gioco di parole per affermare “Billy is here”,
ovvero, “Billy – alias William Campbell, sosia e sostituto di Paul – è qui”.
Dettaglio della copertina riflesso allo
specchio
Abbey Road
La foto descriverebbe la processione funebre di Paul
McCartney
Esce nel 1969, poco dopo la diffusione della leggenda. La famosa copertina ritrae i quattro Beatles a
passeggio sulle strisce pedonali di Abbey Road, dove avevano sede gli omonimi studi di registrazione.
La prospettiva della foto suggerisce secondo i teorici della PID l’idea di una processione funebre, in cui
John Lennon, vestito di bianco, assume il ruolo di officiante, Ringo, in completo nero, sarebbe
l’impresario delle pompe funebri, Paul, senza scarpe e con gli occhi chiusi, il morto, e George, coi jeans
in tenuta da lavoro, il becchino. Un’interpretazione senza dubbio suggestiva, senza contare la tanto
discussa targa del maggiolino bianco parcheggiato sulla sinistra in cui si legge: 28IF, che starebbe a
significare che Paul avrebbe avuto 28 anni (in realtà all’epoca ne aveva 27) “se”, “if”, fosse stato ancora
vivo, e senza contare l’interpretazione alquanto dubbia delle tre lettere successive, LMW, decodificate
come “Linda McCartney weeps” o “wedow”, cosa impossibile visto che, se fosse vera l’ipotesi della
morte, Linda non avrebbe mai conosciuto il “vero” Paul McCartney, ma avrebbe sposato il suo sosia.
Infine, sul retro di copertina, la S di “Beatles” è spezzata, come a simboleggiare una rottura, e subito
accanto, sul muro sembra essere proiettata l’ombra di un teschio. Intervistato in proposito, Paul
McCartney (ovviamente il presunto sostituto) avrebbe dichiarato di essersi tolto le scarpe per il troppo
caldo, e di aver scattato a piedi nudi le ultime foto; mentre per quanto riguarda il proprietario del
maggiolino, i Beatles dichiararono che fu impossibile reperirlo, per questo l’auto con l’ambigua targa
comparirebbe nella copertina del loro disco.
Altri indizi “grafici”:
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12/04/2011
Paul McCartney, più vivo da morto | L…
La "doppia" copertina di Yesterday and Today: la prima,
ritenuta troppo cruenta, fu sostituita con la seconda immagine,
in cui Paul McCartney siede in un baule che rappresenterebbe
una bara
La copertina di "A Collection of Beatles Oldies (But Goldies!)":
un'auto coi fari accesi sembra "investire" la testa del
personaggio rappresentato, che sarebbe McCartney
Dettaglio del poster contenuto
nel White Album: questo
sarebbe il volto di Billy Campbell
prima dei ritocchi di chirurgia
plastica
Immagine contenuta nel libretto dell'album Magical Mistery
Tour: in primo piano si legge la scritta "I w as", mentre
dietro McCartney due bandiere inglesi appaiono piegate
come in segno di lutto
I sostenitori della PID adducono anche altri indizi a sostegno della loro causa: e se da un lato è vero che
la musica dei Beatles subì, proprio in quegli anni cruciali, notevoli cambiamenti (ascritti all’ingresso del
sosia), abbandonando i ritmi spensierati e ballabili del primo periodo in favore di sperimentazioni
psichedeliche e meno fruibili a un orecchio poco esperto, è anche vero che proprio in quello stesso
periodo Paul iniziò a gettare le basi per quella che ancora oggi è un’invidiabile carriera da solista, e che
fu l’unico a proporre agli altri, ricevendone risposta negativa, un ritorno sui palcoscenici: che Billy
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Paul McCartney, più vivo da morto | L…
Campbell si fosse montato la testa e fosse tanto sicuro di riuscire a ingannare anche un pubblico di
migliaia di fans? La questione resta aperta, nonostante le successive, ironiche smentite dello stesso
Paul McCartney (“Sono morto? Perché sono sempre l’ultimo a sapere le cose?” dichiarò in un’intervista
dell’epoca), che dopo 27 anni dalla sua presunta morte (1993), ha pubblicato un album dal titolo “Paul
Is Live”, saltellando in copertina sulle stesse strisce di Abbey Road, sullo sfondo lo stesso maggiolino,
sulla cui targa però si legge “51 Is”, cioè “51 è”.
L'ironica copertina dell'album da solista di McCartney, Paul is
live
Smentite confermate dalle recenti dichiarazioni del meccanico (italiano) che aggiustò la Aston Martin di
McCartney – ora di proprietà di un collezionista – dopo l’incidente, e che dopo quarant’anni e più ha
affermato che i danni riportati dalla vettura, pur confermando un urto, non erano tali da far pensare a un
incidente mortale. Allo stesso modo, nonostante abbiano fatto tanto scalpore, non possono essere
considerati attendibili i risultati di una ricerca condotta da due italiani (l’informatico Francesco Gavazzeni
e il medico legale, Gabriella Carlesi) con il metodo della craniometria, che però facilmente può trarre in
inganno quando si confrontano delle fotografie, che per prospettiva e luce non potranno mai essere
uguali.
Tuttavia, il mistero persiste (ci sarebbe da far luce anche sulla figura di Bettina Huber, figlia illegittima di
McCartney la quale ritiene che il padre, pur essendo ancora in vita, abbia effettivamente un sosia) e i
segnali lasciati dai Beatles sono veramente troppi per pensare che siano tutti casuali: l’ipotesi più
plausibile è che gli stessi Beatles abbiano cavalcato l’onda della leggenda, che inevitabilmente nasce
intorno alla vita delle rockstar, avvolgendole in aloni circonfusi di mistero, alimentando i sospetti con
piccoli accorgimenti: lo stesso motivo che avrebbe dovuto decretarne l’oblio, la presunta morte di Paul,
ne alimentò invece la gloria. Più geniali di così!
Giuliana Gugliotti
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Lettieri, 5 assessori a rapporto | La ros…
Numero 21 del 05/04/2011
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Lettieri, 5 assessori a rapporto
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MARTEDÌ, 12 APRILE 2011 11:29
Attualità
NESSUN COMMENTO
NAPOLI – Cinque assessori su sedici sono
disponibili ad incontrare Gianni Lettieri.
L’appuntamento è fissato per giovedì in una
sede «neutrale» e, al momento, il candidato
sindaco del centrodestra ha incassato solo la
disponibilità di Agostino Nuzzolo, Mario Raffa,
Pasquale Belfiore, Michele Saggese e Diego
Guida, quest’ultimo da sempre vicino all’ex
presidente di Confindustria Antonio D’Amato che
gli affidò un incarico di responsabilità.
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Notizie Flash
Un’adesione bassa che dimostra evidentemente
come non tutti gli assessori siano d’accordo con
la linea del sindaco Rosa Russo Iervolino. In
attesa del vertice, Lettieri presenta 12 dei 72 punti del programma. Al fianco del candidato sindaco del
centrodestra sette giovani, tra i 25 e i 30 anni, che lo hanno supportato con proposte e suggerimenti.
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Il primo punto prevede l’approvazione di una legge obiettivo: «Senza una misura nazionale straordinaria
– spiega l’imprenditore – non possiamo riaccendere i motori. Il governo deve varare una legge che
consenta, anche in deroga, interventi per semplificare le procedure amministrative e riconoscere Napoli
come un patrimonio nazionale da riqualificare».
Poi inaugura un filo diretto con i cittadini: «Li riceverò ogni mercoledì mattina – annuncia – e nei primi tre
mesi visiterò tutte le scuole pubbliche». Il candidato è pronto a dar vita ad una task force di trenta
impiegati comunali che gireranno per il territorio a caccia di disagi e problemi da risolvere. Previsti il
potenziamento dei poteri alle Municipalità e la valorizzazione dei dipendenti dell’ente. E ancora i cittadini
potranno seguire on line i lavori del Consiglio e delle commissioni.
Lettieri dichiara guerra ai cantieri eterni: «Ci sarà un cronoprogramma delle opere pubbliche,
consultabile su Internet». Per ridurre i costi della politica, l’imprenditore intende bloccare la nascita di
gruppi consiliari con meno di tre unità e dar vita ad un’unica holding delle società miste: «Oggi le
partecipate perdono 70-80 milioni di euro all’anno. Potremmo investire questi fondi in servizi per il
territorio».
Tra le priorità anche una delibera di indirizzo per vendere i beni non strategici, un concorso annuale per
mettere in pratica le idee dei cittadini e l’istituzione di un comitato di tre garanti: «Saranno – dice –
personalità autorevoli e indipendenti, coordinate da un ex procuratore generale della Repubblica, che
avranno il compito di vigilare sulla trasparenza e la legalità degli atti».
Ma chi sono i giovani che hanno contribuito alla stesura del programma? Liliana Desiata, Manfredi
Nappi, Emanuela Palomba, Gabriella Punziano, Brunella Rispoli, Lorenzo Santamaria e Valerio
Volpicelli sono tutti laureati, ognuno con una propria competenza, con passioni e sogni nel cassetto. Ciò
che li accomuna è «l’amore per Napoli»: «Siamo convinti che la nostra città possa avere un futuro. Per
questo abbiamo deciso di restare qui. L’obiettivo è costruire una città che non metta in fuga i suoi
abitanti e che magari possa richiamare i tanti costretti a fare le valigie».
Intanto proseguono le manifestazioni elettorali del centrodestra: si è tenuta ieri pomeriggio
l’inaugurazione del comitato del consigliere comunale del Pdl Stanislao Lanzotti, in via San Pasquale.
All’iniziativa sono intervenuti, tra gli altri, il coordinatore regionale del Pdl Nicola Cosentino, il presidente
della Provincia di Napoli Luigi Cesaro, l’europarlamentare Erminia Mazzoni, il vicecapogruppo al Senato
del Pdl Gaetano Quagliariello.
L’obiettivo di dar vita ad una «città normale» fissato da Lettieri è condiviso dallo stesso Lanzotti: «È
necessario – chiarisce – accorpare le aziende partecipate e mettere a reddito i circa 20mila cespiti di
proprietà del Comune».
Fonte: ilmattino.it
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L’aumento del costo della casa | La ro…
Numero 21 del 05/04/2011
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L’aumento del costo della casa
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LUNEDÌ, 11 APRILE 2011 10:03
Attualità
NESSUN COMMENTO
L’O.N.F.
(Osservatorio
Nazionale
della
Federconsumatori) ha elaborato le previsioni
sulle variazioni dei costi per l’affitto e per il
mantenimento della casa dal 2001 ad oggi.
I costi sono stimati prendendo in considerazione
un appartamento di 90 metri quadrati in una zona
semicentrale di una grande area metropolitana.
Il confronto appare impressionante spostando il
termine di paragone al 2001: a) per la casa in
affitto i costi sono cresciuti del +83%, ovvero
+707,15 euro al mese, pari a 8.485,80 euro
l’anno; b) per la casa di proprietà i costi
sono aumentati del +33%, ovvero +241,35 euro
al mese, pari a 2.896,20 euro l’anno.
Secondo l’analisi relativa ai costi per l’acquisto
del suddetto appartamento, si è passati da 15 anni di stipendio necessari nel 2001 a 18 anni nel 2011.
Ad aggravare la situazione economica del contribuente vi sono gli ulteriori rincari previsti per le spese
connesse alla casa, dalla luce al riscaldamento, dal gas alla nettezza urbana.
In media, rispetto al 2010, vi è un aggravio del +4%, pari a 57,80 euro al mese, per chi ha un
appartamento in affitto e del +7%, pari a 64,90 euro al mese, per chi ha un appartamento di proprietà.
A registrare i maggiori disagi sono soprattutto le giovani coppie che vogliono emanciparsi o che
vogliono mettere su famiglia.
In tale ottica si vanno a spiegare per l’appartamento in affitto il fenomeno degli affitti in nero, sanzionato
a norma di Legge.
Nello stesso ambito si possono evidenziare allacciamenti abusivi delle linea elettrica, sistemi di
riscaldamento non a norma, vari escamotage per evitare il pagamento della tarsu.
Tutti fenomeni perseguiti a norma di Legge.
Per tali motivi è opportuno da un lato ridurre il costo dell’abitazione, soprattutto per i ceti più deboli,
dotando il Paese di un serio piano per l’edilizia residenziale e, dall’altro, sostenere il potere di acquisto
delle famiglie, attraverso una detassazione per il reddito fisso.
Si richiede urgentemente l’intervento del Legislatore.
Raffaele Dell’Aversana
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