3.4 APPLICAZIONI: IL TELERILEVAMENTO DELL`ACQUA
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3.4 APPLICAZIONI: IL TELERILEVAMENTO DELL`ACQUA
Telerilevamento 3.4 APPLICAZIONI: IL TELERILEVAMENTO DELL’ACQUA grado di monitorare in maniera costante lo stato di salute delle acque superficiali, e di stimare la disponibilità di acqua potabile; molte di queste metodologie fanno uso degli strumenti offerti dal Telerilevamento. 3.4.2 Il Telerilevamento per lo studio delle acque superficiali. Figura 3.4.1 La Terra fu definita “pianeta azzurro” dai primi osservatori dallo spazio: l’acqua è presente nell’atmosfera e nella geosfera, costituisce l’idrosfera e la biosfera. 3.4.1 Perché è importante studiare l’acqua. L’acqua è alla base della vita sul pianeta Terra ed è presente pressoché ovunque. Tutti gli organismi viventi, infatti, sono costituiti da alte percentuali d’acqua necessarie alla loro sopravvivenza, e la stessa Terra è ricoperta in massima parte d’acqua. Dell’enorme quantità di acqua presente sulla Terra, tuttavia, solo una minima parte, quella dolce, è direttamente accessibile al consumo. Su una stima idrica totale di circa 1,4 miliardi di km3, l’acqua dolce non rappresenta che il 2,5%, cioè 35 milioni di km3. Ma il 70% di questa riserva è imprigionata in ghiacciai e nevi permanenti; il restante 30% è confinata nel sottosuolo; solo lo 0,3% scorre in superficie (fiumi e laghi) ed è quindi potenzialmente disponibile, sebbene in maniera non uniforme, per il consumo. Tale risorsa, comunque sufficiente a soddisfare il fabbisogno idrico del Pianeta, è oggi a rischio a causa di un irresponsabile comportamento umano che tende a sprecarla e ad inquinarla; al punto che molti studiosi affermano che l’uso equo e sostenibile dell’acqua sarà una delle sfide più importanti di questo secolo. In campo scientifico molti studi si stanno concentrando sull’uso di tecniche innovative in 62 Nello studio dei parametri che caratterizzano la qualità delle acque, assume particolare importanza l’analisi delle loro proprietà ottiche. Il Telerilevamento permette di riconoscere e interpretare tali interazioni e quindi di vedere in modo sinottico e dinamico i cambiamenti delle proprietà ottiche delle acque. L’elaborazione e l’interpretazione dei dati telerilevati, associate a dati di riscontro diretto, offrono un buon strumento per ottenere informazioni qualitative e quantitative sullo stato delle acque, per i primi metri di profondità. L’acqua è un corpo per lo più trasparente, almeno nelle bande del visibile, quindi il coefficiente di trasmissività risulta essere elevato, soprattutto alle lunghezze d’onda del blu-verde, per diminuire bruscamente nel rosso e nell’infrarosso. Più da vicino, se consideriamo un flusso radiante che penetra in acqua (fino ad un massimo di 10– 20 metri di spessore, corrispondenti alla zona eufotica), si trovano gli stessi fenomeni d’interazione già presentati per l’atmosfera, principalmente di trasmissione e di diffusione, mentre la riflessione è normalmente molto bassa, e dipende dalla concentrazione delle sostanze presenti e dalle loro caratteristiche. Un dato è certo: l’acqua pura è un corpo perfettamente trasparente, almeno osservandola ad occhio nudo attraverso un bicchiere di vetro, ma in natura condizioni simili sono piuttosto rare; è molto più frequente, che si associ ad altre componenti così che il risultato complessivo è quello di una miscela eterogenea dove un ruolo particolare è svolto dalla presenza di particelle più o meno fini in sospensione, fra cui la clorofilla e il carico sospeso sia esso inorganico che organico e disciolto. Capitolo 3.4 dell’acqua è influenzato dal contributo di riflessione diretta da parte del fondale. Concludendo, l’acqua non appare sempre blu, come solitamente la pensiamo, ma assume diverse tinte in relazione alle componenti presenti, non solo di tipo fisico, ma anche di tipo biologico, come la presenza di fitoplancton e di clorofilla a., sia in funzione dell’illuminazione solare e dell’ambiente esterno. Figura 3.4.2 I fiumi in piena presentano una colorazione marroncino a causa dell’elevata quantità di solidi disciolti. Foto aerea della confluenza Po-Ticno del 28-06-1980. Figura 3.4.4 Il colore dell’acqua dipende dalla sua composizione e dalla combinazione dei fenomeni di trasmissione e di riflessione della luce rispetto al fondo, al corpo idrico, e alla superficie. Figura 3.4.3 L’acqua del delta del fiume Po e del mare Adriatico è di colore sostanzialmente blu (in questa immagine Landsat del 1997) il lago sottostante presenta invece una colorazione verde chiaro probabile indice di un evento dovuto ad una fioritura algale. Figura 3.4.5 Immagine aerea elaborata che evidenzia l’immissione del Tevere e del canale Fiumicino nel mar Tirreno; i solidi disciolti e gli agenti inquinanti alterano le caratteristiche delle acque. Quando nell’acqua è presente una forte concentrazione di sedimento sospeso, come ad esempio, nei fiumi in piena, la diffusione aumenta anche alle lunghezze d’onda maggiori del bluverde inducendo una colorazione giallo-rossastra; in presenza di forti concentrazioni saline, per lo stesso motivo, il colore risultante tende al rosa e, Figura 3.4.6 Esondazione del Tanaro, i terreni sono impregnati di acqua e nel caso di corpi d’acqua poco profondi, il colore sono facilmente distinguibili dai suoli non interessati dall’evento alluvionale. 63 Telerilevamento L’acqua, in funzione della sua torbidità, può riflettere fino ad un massimo del 10-15% dell’energia incidente, un valore che, rispetto alle normali superfici opache, risulta estremamente piccolo e per lo più nel blu-verde a 450 nm. Quando la massa d’acqua è significativamente profondamente e pura la sua risposta cromatica tende ad un blu così cupo che si avvicina al nero, a significare una netta prevalenza della penetrazione in acqua rispetto all’effetto di diffusione della radiazione solare da parte del corpo idrico (così, i colori dell’acqua diventano un elemento diagnostico per lo studio dell’eutrofizzazione e per il controllo dell’inquinamento). In un altro contesto applicativo, si può invece mappare la presenza dell’acqua in termini di contenuto d’umidità dei suoli sulla base del forte assorbimento che questi presentano nelle bande infrarosse. Alcuni parametri bio-fisici di qualità delle acque, come la trasparenza, il carico di solidi sospesi, la concentrazione di clorofilla a, e la temperatura superficiale possono essere mappati attraverso correlazioni empiriche tra le proprietà ottiche dell’acqua ed i parametri tradizionalmente utilizzati in limnologia, consentendo perciò di ottenere informazioni spazialmente distribuite relative alla qualità delle acque. Per avere misure accurate Figura 3.4.7 Il grafico evidenzia le differenze nelle firme spettrali di due differenti campioni d’acqua. Le acque torbide assorbono una ggiore quantità di energia elettromagnetica, ecco perché la loro riflettanza è molto inferiore di quella delle acque limpide.. 64 Figura 3.4.8 La trasparenza delle acque è molto variabile, nella foto di sinistra (Isola Cavallo) le acque godono di un elevata qualità e si presentano molto trasparenti, nell’immagine centrale (Ombrone) la perdita di trasparenza è legata all’immissione di un fiume con i suoi solidi sospesi, nella foto di destra (Vò-Desenzano) il pennacchio marroncino è dovuto ad un inquinamento artificiale, uno scarico abusivo che grazie all’osservazione dall’alto è stato identificato. sia da un punto di vista spettrale sia spaziale è utile in applicazioni a grande scala far uso del Telerilevamento da aereo. 3.4.3 Determinazione della clorofilla-a. Sulla base dei valori sperimentali è dimostrato che la presenza di clorofilla-a influenza direttamente la radianza riflessa dalla superficie dell’acqua, in dipendenza della sua concentrazione. La presenza di fitoplancton provoca infatti un forte assorbimento nella banda del blu e riflessione nella banda del verde con valori di radianza che si discostano nettamente rispetto a quelli dell’acqua pura. In corrispondenza della banda del rosso si riscontra un assorbimento relativo mentre con il crescere della lunghezza d’onda, più precisamente nella regione dell’infrarosso vicino, la riflessione aumenta progressivamente, secondo la curva tipica della vegetazione (fitoplancton, cloroplasti e clorofilla). Figura 3.4.9 Mappa di concentrazione di clorofilla-a, nei laghi laziali di Albano e Nemi, in una serie multitemporale, le zone di colore nero non sono state considerate a causa dell’influenza dl fondale sui dati telerilevati. Capitolo 3.4 3.4.4 La temperatura. Fra le informazioni derivabili con una certa affidabilità mediante Telerilevamento, la distribuzione della temperatura superficiale dell’acqua risulta di estremo interesse sia per ipotizzare quali zone possano essere interessate da eutrofizzazione delle acque sia di modellistica di circolazione del corpo idrico osservato. In tal modo, le riprese effettuate nella banda dell’infrarosso termico (10,4–12,5 mm) permettono di realizzare delle vere e proprie mappe di temperatura superficiale dei corpi idrici e di seguirne l’evoluzione nel tempo. Considerando che questo prodotto è difficilmente ottenibile su ampie porzioni, risulta evidente il crescente impiego di queste tecniche in campo oceanografico. Figura 3.4.11 La nebbia in pianura Padana è ripresa a colori naturali del sensore MODIS, effettuata il 4 gennaio 2003 (CNR-IREA, Milano © NASA/ USGS). Quando le dimensioni delle particelle sospese nell’aria sono nettamente superiori alla lunghezza d’onda della luce che le colpisce, dell’ordine del micron e oltre, la diffusione interessa indipendentemente tutto lo spettro (diffusione non-selettiva), con il risultato di un aspetto bianco lattiginoso La densità della nube é uno dei fattori che controllano i chiari e gli scuri presenti; più la nuvola é densa, più il fenomeno della diffusione è intenso e minore è la frazione di luce del cielo di sfondo che riesce a raggiungere direttamente l’occhio dell’osservatore: il risultato è un bianco intensissimo. Le zone scure delle nuvole, al contrario, non sono formate da Figura 3.4.10 Mappe di temperatura superficiale del lago di Iseo. Le immagini si riferiscono a elaborazioni di dati acquisiti dal Landsat-TM nel canale particelle di acqua sporca o di maggiore densità, TM6 dell’infarosso termico in una successione di quattro passaggi dalla come si potrebbe pensare, bensì corrispondono a primavera 1996 all’estate 1997. La completa circolazione delle acque non zone meno dense dove la diffusione risulta minore, avviene ogni anno, ma solo durante inverni particolarmente rigidi e ventosi, o a zone in ombra, per la presenza di una nube per cui il lago d’Iseo può essere classificato come lago oligomittico, con vicina che devia l’irradianza solare, proprio come stratificazione termica durante i mesi estivi. . nel caso dei corpi opachi. 3.4.5 Le nuvole e il vapore acqueo. A dispetto della loro evidente visibilità le nuvole sono molto tenui e mostrano una bassissima densità; il loro contenuto d’acqua, ad esempio, rappresenta una piccolissima parte, talvolta anche meno di un miliardesimo del volume apparente. Il loro aspetto, fondamentalmente bianco, é legato ad un’intensa diffusione nei confronti di tutte le lunghezze d’onda della luce incidente subendo innumerevoli riflessioni interne e rimbalzi prima di uscirne pressoché intatta in intensità. A tal punto che, nel caso di una giornata uniformemente nuvolosa, anche se il Sole non può essere visto direttamente, l’effetto della sua presenza come sorgente illuminante é assicurato. Figura 3.4.12 Masse nuvolose evidenziate tramite differenti angoli di ripresa 65 Cartografia 3.5 APPLICAZIONI: IL TELERILEVAMENTO PER IL SUOLO Uno degli approcci usati per valutare le condizioni ambientali di un determinato territorio consiste nello studio della sua struttura geologica, struttura che si è evoluta nel corso di un lungo processo che ha portato alla formazione delle catene montuose e del suo caratteristico rilievo. I “lineamenti strutturali” da cui è formato il territorio portano impressi sui vari rilievi la storia delle deformazioni susseguitesi nel corso delle diverse ere geologiche. Si tratta di elementi lineari di lunghezza variabile in funzione della loro importanza e del ruolo assunto nel passato geologico. Così ci si può trovare di fronte ad un quadro strutturale (tettonica) di tipo rigido (faglie) o plastico e plicativo (con sovrascorrimenti e pieghe). Lo studio dei lineamenti in relazione alle diverse caratteristiche delle formazioni rocciose coinvolte è una delle chiavi interpretative più importanti per ricostruire la tettonica di un’area, in particolare per definire le tipologie di deformazione meccanica e i campi di stress presenti. Esso aiuta anche a comprendere possibili scenari nell’ipotesi di eventi catastrofici come i terremoti, e a prevenirne gli effetti nella progettazione di opere di ingegneria. Figura 3.5.1 In ambito fotografico per evidenziare in una immagine, che ha una dimensione piana, i rilievi di un territorio, viene usata la cosiddetta tecnica della “derivata fotografica”. La derivata presentata in questa immagine a sinistra è stata realizzata da un fotografo dell’IREA, Lucio Bolzan, a partire da un negativo della NASA del 6 febbraio 1973.La tecnica consiste nello sviluppo iniziale del positivo della foto, usando una pellicola Kodelio Kodak 277; in un secondo momento positivo e negativo sono stati sovrapposti e sfasati di 45 gradi est. Questo procedimento permette di evidenziare, attraverso il salto di contrasto nella foto, le lineazioni (faglie) caratteristiche dell’Appennino umbro-marchigiano e del litorale adriatico. Figura 3.5.2 Da immagini Landsat-MSS nella banda dell’infrarosso vicino come nell’esempio dell’arco Alpino meridionale (a), si possono facilmente individuare elementi lineari, indizi di debolezze crostali o comunque evidenti segni di situazioni di stress e di deformazioni meccaniche subite dalle diverse formazioni rocciose. Il risultato è una carta dei lineamenti che può essere analizzata e interpretata nel dettaglio (b). 66 Capitolo 3.5 3.5.1 La tecnica SBAS per lo studio delle deformazioni del suolo, di edifici e di singole strutture dell’area di Napoli. Tra gli strumenti sperimentati dal telerilevamento per lo studio del suolo, la tecnica interferometrica SBAS (Small Baseline Subsets), sviluppata presso l’Istituto per il Rilevamento Elettromagnetico dell’Ambiente (IREA) del CNR di Napoli, sta permettendo di analizzare, oltre a fenomeni di deformazione su larga scala spaziale, anche effetti molto localizzati, quali quelli cui possono essere soggetti edifici o singole strutture. La SBAS si basa sull’uso di dati radar satellitari (SAR) ed è stata applicata con successo all’analisi delle deformazioni della città di Napoli e del suo hinterland. Due in particolare le aree studiate con questa tecnica e mostrate in queste pagine: i Campi Flegrei, ampia zona vulcanica situata a Nord-Ovest di Napoli, e la zona collinare del Vomero. Le immagini in figura 3.5.3 mostrano i risultati relativi all’area del Vomero, per i quali sono stati effettuati confronti con misure di livellazione geometrica. La lettura dei dati satellitari è stata resa più facile grazie all’uso dei sistemi informativi geografici (GIS) che permettono di contestualizzarli. Nella figura 3.5.4 sono rappresentate le stesse misurazioni relative all’area dei Campi Flegrei. I Campi Flegrei sono un’ampia zona vulcanica, situata a Nord-Ovest di Napoli, caratterizzata da una depressione quasi circolare punteggiata da coni vulcanici che si sono formati a seguito delle numerose eruzioni verificatesi nell’area da oltre 10.000 anni. L’ultima eruzione è avvenuta nel 1538 ed ha portato alla formazione del Monte Nuovo. L’evoluzione del sistema vulcanico dei Campi Flegrei è stata caratterizzata da intensi fenomeni deformativi, con forti variazioni del livello del suolo. L’immagine di figura 3.5.5 è una sintesi dell’elaborazione di dati raccolti nell’area flegrea, dove sono state misurate deformazioni terrestri superiori ai 20 cm in dieci anni. Nel riquadro sono confrontati i dati satellitari e le misure GPS (fornite dall’Osservatorio Vesuviano) relative alla Accademia Aeronautica di Pozzuoli. Nell’immagine di figura 3.5.5 è invece presentato il confronto tra le misure radar di deformazione di una struttura metallica e l’andamento temporale delle temperature al suolo. Figura 3.5.3 (a sinistra) Ortofoto a colori del quartiere Vomero (cortesia del CIRAM) con sovrapposta la mappa di deformazione a falsi colori dei punti monitorati. Come indicato nella legenda in basso, il rosso corrisponde a una velocità di deformazione maggiore di 3 mm all’anno. (a destra) Rappresentazione GIS della zona di piazza Vanvitelli (quartiere Vomero), in cui sono integrate le misure satellitari. Nel riquadro bianco è mostrato l’andamento temporale della deformazione di una struttura per la quale sono disponibili anche le misure di livellazione geometrica fornite dall’Osservatorio Vesuviano (asterischi) oltre ai dati DIFSAR (triangoli). Si sottolinea l’ottimo accordo tra le due misure. 67 Cartografia Figura 3.5.4 Ortofoto a colori dell’area dei Campi Flegrei (cortesia del CIRAM) con sovrapposta la mappa di deformazione a falsi colori dei punti monitorati. In particolare è mostrato il confronto, relativo all’anno 2000, tra le misure satellitari (triangoli) e GPS (linea continua) nell’area dell’Accademia Aeronautica di Pozzuoli. Figura 3.5.5 Analisi delle deformazioni (triangoli) relative ad una struttura metallica del porto di Napoli e confronto con l’andamento temporale delle temperature al suolo (linea continua). 3.5.2 Il monitoraggio del Vesuvio attaverso il Telerilevamento attivo. Anche la vulcanologia si sta avvalendo sempre più spesso degli strumenti offerti dal Telerilevamento per comprendere i fenomeni legati alle attività vulcaniche. In particolare, tra i vari strumenti, i sensori a microonde si sono rivelati particolarmente utili per la loro capacità di guardare al di là del fumo che fuoriesce dai crateri e delle abbondanti e persistenti masse nuvolose che si trovano spesso nelle aree vulcaniche. In alcuni casi la capacità dei sensori a microonde di “guardare” arriva anche ad alcuni metri al disotto della superficie terrestre. Esiste poi una particolare generazione di sensori, detti attivi, che dispongono di una sorta di “flash”, detto trasmittente, che permette di acquisire immagini continuamente giorno e notte. Tali sensori permettono così di effettuare un monitoraggio su scala continua e globale e osservare la superficie terrestre sia di giorno che di notte con qualunque condizione atmosferica. Purtroppo, però, questa tipologia di sensori, differentemente da quelli ottici, ha lo svantaggio di avere una limitata risoluzione spaziale, e quindi le immagini a microonde, se non opportunamente elaborate, forniscono pochi dettagli della scena osservata. 68 Figura 3.5.6 Immagini del Vesuvio acquisite con differenti sensori, a sinistra immagine ottica, a destra immagine a microonde. Il Vesuvio, il vulcano più famoso della terra, è l’unico attivo dell’Europa continentale ed anche uno dei più pericolosi poiché sorge in un’area densamente popolata. Figura 3.5.7 Una delle principali applicazioni dei sensori SAR è sicuramente l’interferometria differenziale (DInSAR) che permette il monitoraggio e lo studio delle deformazioni che avvengono sulla superficie terrestre. Con questa tecnologia è possibile, infatti, misurare con una precisione in alcuni casi millimetrica i movimenti dovuti a fenomeni vulcanici. Capitolo 3.6 3.6 APPLICAZIONI: IL TELERILEVAMENTO PER LO STUDIO DEI GHIACCIAI masse glaciali si sarebbe accentuato, con una ulteriore perdita del 20-30%. I cambiamenti nel paesaggio e le minacce per l’intero ecosistema associati a questo tipo di scenario sono numerosi e hanno fatto diventare la montagna argomento di cronache non piacevoli e spesso drammatiche: frane, valanghe e crolli di blocchi di ghiaccio, inondazioni, aumento improvviso della pericolosità di itinerari alpinistici adiacenti ai ghiacciai, immissione nell’ambiente di sostanze inquinanti rimaste intrappolate per anni nei ghiacciai. Per questi e tanti altri motivi, l’attenzione verso le aree glaciali è cresciuta enormemente negli ultimi anni: oltre agli studiosi, anche gli amministratori locali, la popolazione, i turisti, le guide alpine sono interessati a disporre in maniera costante di informazioni sui cambiamenti che interessano montagna e ghiacciai, allo scopo di pianificare un più attento uso e gestione del territorio. I ghiacciai alpini svolgono una funzione unica ed insostituibile nell’ecosistema locale e globale. Essi contribuiscono a determinare il regime dei corsi d’acqua e influenzano il clima delle valli alpine; costituiscono una fondamentale risorsa d’acqua dolce utilizzabile per scopi agricoli, civili ed industriali. In Italia, inoltre, le acque di fusione glaciale offrono un importante contributo alla produzione di energia idroelettrica, fornendo circa il 20% del totale dell’energia elettrica prodotta. Elemento caratterizzante del paesaggio montano, i ghiacciai attraggono ogni anno sempre più numerosi visitatori richiamati dal suo incantevole scenario e dalla possibilità di praticare attività sportive come escursionismo, sci, alpinismo. D’altra parte, le caratteristiche peculiari dell’arco alpino, un ambiente fragile e densamente popolato, fanno sì che qualsiasi variazione nel suo equilibrio abbia un impatto estremamente evidente sull’intero sistema. A cominciare dalla velocità con cui si sta manifestando il fenomeno di scioglimento dei ghiacciai, a seguito dei cambiamenti climatici che tendono verso un riscaldamento dell’intero pianeta. Si stima infatti che dal 1850 ad oggi i ghiacciai delle Alpi abbiano perso il 50% del loro volume e circa il 30-40% della superficie. Nei soli ultimi due Figura 3.6.1. I ghiacciai dell’arco alpino sono oggetto di attenti studi che decenni del XX secolo, a parte alcune momentanee mirano a monitorare i suoi cambiamenti. inversioni di tendenza, il fenomeno di riduzione delle Figura 3.6.2. Il paesaggio alpino ha subito molte modifiche negli ultimi anni; ecco come appariva il Ghiacciaio del Forni all’inizio del XX secolo e come appare alla fine del secolo. La lingua del ghiacciaio si è arretrata di diversi metri. (Fonte: Comitato Glaciologico Italiano CGI) 69 Telerilevamento 3.6.1 Il monitoraggio dei ghiacciai. Per valutare i cambiamenti quantitativi e qualitativi in corso nei ghiacciai è necessario un monitoraggio costante che permetta di avere una visione d’insieme delle aree glaciali, e di disporre di informazioni periodiche sulla loro estensione. Monitorare un ghiacciaio è tuttavia una attività complessa e difficile: i ghiacciai occupano zone impervie del pianeta, spesso difficilmente accessibili e le campagne glaciologiche tradizionali sono molto dispendiose in termini di risorse finanziarie, umane e organizzative. Per questo nel monitoraggio dei ghiacciai si fa sempre più spesso ricorso al Telerilevamento. Nelle immagini da satellite è possibile infatti riconoscere, grazie all’analisi del loro comportamento spettrale, le superfici ricoperte da ghiacci e dalla neve, distinguendole da rocce nude, acque superficiali e vegetazione, e valutare lo stato di salute di queste aree. Figura 3.6.4 Superfici differenti emettono segnali differenti. Le immagini riportate nella colonna di destra riportano le firme spettrali riferite a misure effettuate nel corso dei rilievi 2001 con lo spettroradiometro portatile FieldSpec® (in alto: morena; al centro: ghiaccio). Nel riquadro in basso a destra sono evidenziate le curve di riflettanza caratteristiche della neve fresca, del firn, del ghiaccio e del ghiaccio contenente un elevato grado di impurità. (Fonte: IREA-CNR, Foto G. Bolzan). Figura 3.6.3 L’Istituto per il Rilevamento Elettromagnetico dell’Ambiente del CNR di Milano osserva da anni il fenomeno dello scioglimento dei ghiacciai alpini conducendo anche periodiche campagne di misura radiometriche 3.6.2 La firma spettrale di neve e ghiaccio. Spesso nel monitoraggio dei ghiacciai si usa un approccio combinato, costituito dalla raccolta di misure sul campo effettuate in concomitanza con l’acquisizione dell’immagine della stessa area monitorata da parte del satellite. Questo permette di determinare la firma spettrale delle superfici caratteristiche degli ambienti glaciali di alta montagna e correlare i valori di radianza rilevati dal sensore con l’effettiva tipologia di superficie: detrito, roccia affiorante, ghiaccio ricoperto, ghiaccio “vecchio” e “giovane”, neve fresca, detrito vegetato, prateria, laghi 70 3.6.3 Proprietà ottiche e comportamento spettrale di neve e ghiaccio. La neve è formata da grani di ghiaccio ed aria e ad una temperatura di 0° C, possiede anche una percentuale significativa d’acqua liquida. Nonostante il suo aspetto candido, spesso la neve contiene anche particolato ed impurità chimiche assorbenti come fuliggine, polvere e polline, oltre ad altro materiale d’origine industriale. Le proprietà ottiche della neve, quindi, dipendono dalla geometria dei grani di ghiaccio, dalla presenza di acqua liquida e dalle impurità solide e solubili contenute in essa. Anche la neve, come tutte le superfici naturali, a seconda delle caratteristiche fisiche, delle condizioni atmosferiche e di altri fattori, emette, assorbe o riflette le radiazioni elettromagnetiche. In particolare, nella porzione visibile dello spettro Capitolo 3.6 elettromagnetico, la neve ha una elevata riflessione, cosa che ne spiega il colore bianco all’occhio umano, mentre nell’infrarosso la sua riflessione diminuisce notevolmente. Alle lunghezze d’onda del visibile e dell’infrarosso vicino, le proprietà ottiche del volume di ghiaccio o d’acqua sono molto simili, quindi la riflettanza e la trasmittanza del manto nevoso dipendono dalle variazioni dell’indice di rifrazione del ghiaccio, dalla distribuzione delle dimensioni dei fiocchi di neve, dalla profondità e dalla densità del manto nevoso ed inoltre dalla dimensione e dalla quantità delle impurità presenti in essi. La riflettanza della neve, sia umida che gelata è generalmente, più bassa di quella della neve asciutta, a causa dell’elevato coefficiente di assorbimento dell’acqua e del ghiaccio, soprattutto alle lunghezze d’onda dell’infrarosso (700-2500 nm), ma ciò principalmente a causa dei cambiamenti microstrutturali causati dall’acqua. ospita, con i suoi 18 km2 di superficie, il più grande apparato glaciale italiano. Dalle stime del servizio Glaciologico Lombardo nel 1994 il ghiacciaio aveva un’altitudine media di 3070 m. e si estendeva fino ad una quota di 3445 m; in quell’anno i ghiacciai arrivavano ad una quota minima di 2510 m., ma attualmente la situazione è molto cambiata. Figura 3.6.6 Immagine MODIS dell’arco alpino; a destra un particolare del ghiacciaio dell’Adamello risalente al 9 luglio del 1975 e ripresa nel corso della missione KH-9 Mapping System (Fonte: Servizio Glaciologico degli Stati Uniti USGS). 3.6.5 Sensori usati per l’osservazione dei ghiacciai alpini. Figura 3.6.5 Cristalli esagonali di neve visti al microscopio. 3.6.4 Lo studio dei ghiacciai condotto dall’IREA . L’Istituto per il Rilevamento Elettromagnetico dell’Ambiente del CNR di Milano osserva da anni il fenomeno dello scioglimento dei ghiacciai alpini mediante le tecniche di Telerilevamento. Tra i ghiacciai studiati, il gruppo dell’Adamello, situato in una zona delle Alpi Retiche meridionali a cavallo tra le regioni della Lombardia e del Trentino Alto Adige, che contiene circa 80 apparati e Tra gli strumenti più adatti per l’osservazione dei ghiacciai alpini figurano i satelliti Landsat della NASA, operativi dal 1972 e muniti dal 1982 di sensori TM (Thematic Mapper) e successivamente ETM+, e quelli della serie SPOT, operativi dal 1986. Questi satelliti orbitano attorno alla Terra ad una quota rispettivamente di 700 e 800 km e compiono rilevamenti della stessa area ad intervalli regolari compresi tra i 16 e i 26 giorni, in diverse bande spettrali dal visibile all’infrarosso (IR) termico. Essi offrono un buon compromesso tra risoluzione spaziale e temporale. Allo scopo di rilevare l’estensione delle superfici glaciali, il monitoraggio va infatti effettuato alla fine della stagione di scioglimento delle nevi (tra agosto e settembre), in quanto questo è il momento in cui i ghiacciai sono visibili nella loro interezza, privi di coperture nevose residuali della stagione precedente e delle prime nevicate autunnali. Si tratta 71 Telerilevamento di un periodo meteorologicamente critico in cui le nuvole possono schermare la scena interessata. Per questo è necessario scegliere dei satelliti che ripetano il passaggio sull’area numerose volte in questo periodo, anche a scapito di una risoluzione spaziale non ottimale. Il confronto di immagini riferite a periodi diversi (analisi multitemporale) consente di effettuare valutazioni sulle variazioni degli oggetti monitorati intervenute nel corso del periodo considerato: nel caso del Ghiacciaio del Lys, osservando i dettagli delle fronti (anni 1985 e 2003) è evidente l’arretramento del ghiaccio sia nel settore orientale, sia in quello occidentale, fenomeno che conduce ad una regressione planimetrica pari a circa 450 m nei 18 anni considerati. Figure 3.6.7 Confronto tra due immagini del ghiacciaio del Lys (monte Rosa) riprese dal satellite LANDSAT TM: la prima (a) si riferisce al sorvolo del 12/09/1985; la seconda (b) a quello del 14/09/2003. Entrambe le immagini sono una composizione RGB 543 e sono state rielaborate dall’IREA di Milano per rendere visibili i confini del ghiacciaio. 72 Figura 3.6.8 In questa immagine i dettagli della fronte del ghiacciaio del Lys ripresa nelle due immagini precedenti sono stati sovrapposti in modo da evidenziare le variazioni che il ghiacciaio ha subito nel corso degli anni: la linea bianca delimita il confine del ghiacciaio misurato nel 1985; la linea gialla mostra come questo appariva invece nel 2003. L’elaborazione di questa immagine, curata dall’IREA di Milano, rende evidente l’arretramento del ghiacciaio nel periodo preso in esame. Capitolo 3.7 3.7 APPLICAZIONI: IL TELERILEVAMENTO DELLA VEGETAZIONE Le immagini telerilevate consentono di individuare in un territorio la presenza di vegetazione. Questo è possibile grazie alle caratteristiche spettrali della vegetazione che variano molto rispetto alle altre superfici (inorganiche, minerali, artificiali). Le parti fotosintetizzanti presenti nelle foglie, infatti, assorbono le porzioni di spettro del blu e del rosso riflettendo la radiazione verde, per quanto riguarda il dominio del visibile, mentre mostrano un’alta riflessione nel vicino infrarosso. Queste caratteristiche, riconoscibili tramite gli strumenti del telerilevamento, rendono tale tecnica un utile supporto per lo studio di problematiche ambientali legate alla vegetazione. Una delle applicazioni più sviluppate in tale campo è il monitoraggio delle zone agricole; ma le immagini telerilevate vengono usate anche per applicazioni ecologico-forestali e per studiare gli organismi fotosintetizzanti marini e lacustri. Figura 3.7.2 Spiegazione della curva di riflettanza, nei vari intervalli di lunghezza d’onda, di differenti superfici. calcolati per mezzo di semplici operazioni algebriche tra i valori di riflettanza nelle diverse zone dello spettro in cui la vegetazione mostra dei comportamenti peculiari. Gli indici di vegetazione sono uno strumento molto utile per il monitoraggio delle condizioni della vegetazione. In particolare, la loro correlazione con la biomassa ci permette di monitorarne il vigore, di evidenziare eventuali stress che avvengono durante la stagione di crescita, di valutare la resa stagionale della coltura o la quantità di carbonio fissata per fotosintesi negli ecosistemi naturali. Figura 3.7.3 L’indice di vegetazione più utilizzato è l’NDVI Figura 3.7.1 Disegno della risposta spettrale della vegetazione. 3.7.1 Principi di telerilevamento della vegetazione La curva di riflettanza della vegetazione può variare in funzione di molti fattori quali il tipo di vegetazione e la sua densità, il momento della sua stagione di crescita, il contenuto di umidità. Grazie a queste caratteristiche spettrali sono stati sviluppati degli indici di vegetazione, che vengono 73 Telerilevamento Gli indici di vegetazione si possono dividere in due categorie: gli indici basati sulla pendenza e gli indici basati sulla distanza. Gli indici basati sulla pendenza sono combinazioni aritmetiche che si concentrano sul contrasto tra la risposta spettrale di vegetazione nel rosso e porzioni del vicino infrarosso dello spettro elettromagnetico. Si chiamano così perché i diversi valori degli indici sono rappresentati in grafico da linee passanti per l’origine ma con pendenze diverse. L’indice di vegetazione più diffuso è l’NDVI “Normalized Difference Vegetation Index”, che ha il vantaggio di permettere il confronto d’immagini riprese in tempi diversi. NDVI= (b4-b3)/(b4+b3) dove b4 è la riflettanza nel vicino infrarosso e b3 nel rosso Gli indici basati sulla distanza misurano la presenza di vegetazione valutando le differenze nel grafico dei valori di riflettanza di ogni punto in relazione a quelli relativi al suolo nudo. A questo gruppo appartiene il WDVI “Weighted Difference Vegetation Index” che richiede i valori di pendenze e d’intercetta della linea ottenuta dai punti attribuiti al suolo. WDVI= b4 – (p*b3) dove b3 è la riflettanza nel rosso, b4 nel vicino infrarosso e p è la pendenza della linea del suolo. 3.7.2 Perché studiare l’agricoltura? L’agricoltura gioca un ruolo fondamentale nelle economie dei paesi sviluppati così come in quelle dei paesi in via di sviluppo, sia che si tratti di un’attività tecnologicamente avanzata, sia che si tratti di una pratica di sussistenza. È quindi fondamentale avere degli strumenti in grado di dare informazioni sullo stato delle colture, sulla presenza di parassiti, malattie e infestanti, sulle condizioni del terreno, o ancora, riuscire a sapere in anticipo quale potrà essere la resa finale al momento del raccolto. Proprio a questo scopo si sono rivelate particolarmente utili le immagini da satellite o da aereo, che vengono sempre più usate in agricoltura per mappare e classificare le aree agricole, per valutare il loro stato di salute e per monitorare le caratteri- 74 stiche del terreno al fine di valutare la produzione finale e ottimizzare le pratiche agricole come le fertilizzazioni. Per molte di queste applicazioni è fondamentale il carattere multitemporale del dato telerilevato, cioè la disponibilità di dati relativi a molti periodi dell’anno, poiché molteplici osservazioni durante la stagione di crescita permettono un monitoraggio continuo delle variazioni a terra. Figura 3.7.4 Il Telerilevamento è di grande utilità nella gestione agricola. 3.7.3 Caso di studio: monitoraggio delle risaie L’agroecosistema delle risaie è un ambiente tipico della pianura padana: storicamente il riso è una delle coltivazioni più diffuse in questa zona, grazie alle caratteristiche tipiche del reticolo idrografico naturale e artificiale caratterizzato dalla presenza di numerosi canali, di fontanili e di risorgive, che rendono l’area particolarmente ricca di acqua e adatta alla coltivazione di riso. L’importanza economica di tale coltura è evidente, così come lo è la necessità di sviluppare strumenti utili ed efficaci per una produzione di qualità e rispettosa dell’ambiente. Il telerilevamento ci permette innanzitutto di distinguere le aree a riso dalle altre aree coltivate ed in genere da aree destinate ad altro uso, grazie alle caratteristiche peculiari dei suoi dati, quali la “multitemporalità e la multispettralità”. È possibile utilizzare i dati telerilevati assieme ad altri tipi di dati come quelli meteorologici, pedologici, etc, per ottenere stime quantitative della biomassa (definita come peso delle piante su metro quadro di terreno) del riso durante la stagione di crescita. Capitolo 3.7 giornaliere a media risoluzione spaziale (250m) da cui è possibile derivare serie temporali giornaliere di NDVI. Figura 3.7.5 Mappa delle risaie elaborata con le tecniche di Telerilevamento. Figura 3.7.6 Come esempio si prendano in considerazione le immagini TM della zona agricola a sud di Milano acquisite a maggio, luglio ed ottobre. Il sensore TM ha risoluzione spaziale di 30 metri; la composizione di bande in cui vengono presentate è quella IRFC (Infrared False Color). Vale la pena ricordare che ogni volta che viene visualizzata a colori un’immagine telerilevata , in sostanza si caricano nei canali del rosso del verde e del blu del monitor tre bande di acquisizione. La scelta di quali bande utilizzare dipende dall’oggetto di studio; per applicazioni agricole è di particolare interesse la composizione IRFC poiché, visualizzando contemporaneamente le bande dell’infrarosso vicino, del rosso e del verde è possibile osservare facilmente il vigore della vegetazione, il suo stato di salute e il contenuto di acqua. La prima immagine a sinistra ci mostra una zona dai contorni regolari di colore blu scuro che corrisponde all’area occupata dalle risaie. La colorazione si spiega con la forte presenza di acqua nelle risaie, che a maggio vengono allagate e seminate. Poiché l’acqua si comporta come un assorbitore di energia, in queste tre bande la sua riflettanza è particolarmente bassa e nell’immagine appare praticamente nera. A luglio la situazione si presenta in modo completamente diverso con un’area regolare di colore rosso intenso corrispondente ai campi: il riso è in fase di pieno sviluppo e presenta alti valori di riflettanza nell’infrarosso vicino che si traducono in una forte colorazione rossa. Infine l’immagine di ottobre (successiva alla raccolta del riso) mostra gli stessi campi con un colore chiaro; questo perché i suoli nudi sono altamente riflettenti. Figura 3.7.7 Ecco visualizzate alcune delle immagini NDVI MODIS relative ad una zona del Nord Italia riprese durante stagione estiva 2003. Si noti come NDVI vada da valori bassi visualizzati come toni di grigio scuri per l’area cittadina milanese e per i laghi, a valori alti (grigio chiaro) per le superfici vegetate. Si può inoltre apprezzare una variazione stagionale delle zone agricole dove il valore di NDVI aumenta nel tempo con il crescere della biomassa vegetale. Da immagini giornaliere si può ricavare l’andamento di NDVI nel tempo come quello riportato nel grafico che si riferisce alla variazione di NDVI relativo a una risaia per il 2003. Da questi dati NDVI MODIS giornalieri per mezzo di modelli agronomici è possibile ricavare l’andamento della crescita delle piante che si è rivelata coerente con i dati misurati a terra, come si nota nel grafico dove le misure sono indicate con i punti verde chiaro e l’andamento simulato a partire da dati telerilevati è descritto dalla linea verde scura. In particolare l’utilizzo del telerilevamento da aereo o da satellite ci permette di ottenere risultati spazializzati, in questo caso di parametri vegetazionali e in particolare di biomassa del riso, cioè è possibile ottenere mappe e non solo misure puntuali. Questo tipo di monitoraggio è molto utile perché in ogni momento è possibile monitorare eventuali situazioni di stress delle piante e perché fornisce agli addetti al lavoro (agricoltori, agronomi) parametri importanti per la gestione della risaia. In particolare vengono utilizzati immagini telerilevate ad alta risoluzione temporale, decadali o addirittura giornaliere, da cui spesso si calcolano indici di vegetazione, poiché sono fortemente correlati con la biomassa fotosintetizzante presente a terra. In particolare il Figura 3.7.8 Esempio di mappa di biomassa del riso ricavata dai dati MODIS sensore MODIS fornisce gratuitamente immagini descritti in precedenza per risaia sperimentale situata nel parco del Ticino. 75