la civilta` del barocco tra seicento e meta` settecento

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la civilta` del barocco tra seicento e meta` settecento
La civiltà del barocco tra seicento e metà settecento
l) Il termine “barocco” assume una connotazione decisamente negativa a partire dalla critica neoclassica:
Francesco Milizia, sotto l’influenza del nuovo stile suscitato da Winckelmann e Mengs, lo definisce
“peste del gusto” con particolare riferimento a Bernini, Borromini e Pietro da Cortona. Ben presto la
condanna si estese indiscriminatamente a tutto il secolo XVII e ai primi decenni del XVIII, fino alle
soglie della svolta neoclassica. Solo a partire dal 1888, inizia la riabilitazione critica del periodo per
opera di H. Wofflin col testo “Rinascimento e Barocco”.
2) Attualmente la critica rifugge da una definizione unitaria del secolo. Anzi, se una cosa può essere
affermata con certezza, è che nel Seicento viene meno quella visione coerente e articolata tra i saperi e le
varie espressioni culturali presenti nella civiltà europea durante il Medioevo e il Rinascimento. Nel
campo artistico si giustappongono almeno tre tendenze: il naturalismo presente nell’arte di Caravaggio
e dei suoi imitatori come nelle tradizioni europee risalenti alla scuola fiamminga; il nuovo classicismo
proposto dall’Accademia dei Carracci, derivante dalla riproposizione ecclettica e formalmente
moderata dello stile dei grandi maestri del Rinascimento e del Manierismo; il barocco vero e proprio,
sorto a Roma tra il secondo e il terzo decennio del secolo, soprattutto ad opera di Bernini, di Rubens e di
Pietro da Cortona, caratterizzato da esuberanza stilistica e compositiva, secondo le direttive
sviluppatesi in territorio padano-veneto negli ultimi decenni del Cinquecento.
3) Tuttavia è possibile rintracciare delle linee comuni pur nella diversità. Soprattutto se si comprende il
fenomeno artistico nell’ambito più ampio delle tendenze culturali e sociali del periodo.
La grave crisi sociale apertasi a metà del Cinquecento con la Riforma e la Controriforma aveva
evidenziato due grosse problematiche: la visione antropocentrica incentrata sul “libero arbitrio”,
sostituitasi all’universalismo della Scolastica medievale, era stata clamorosamente messa in discussione
dagli avvenimenti storici e ora occorreva fondare la vita sociale su nuovi principi e presupposti; col
mecenatismo, la produzione artistica si era notevolmente allontanata dal popolo e dai suoi intendimenti
per cui era necessario ricucire questo strappo.
All’organicismo panteista di Telesio, Bruno e Campanella, basato sulla presenza in tutte le cose di
un’“anima universale”, si sostituisce la visione “meccanicistica” di Cartesio, Newton e Leibniz. Dio
diviene il creatore di quell’immenso “orologio” costituito dall’universo, perfettamente autonomo ed
intelleggibile dall’uomo in ogni sua parte e quindi smontabile nei suoi vari aspetti. La ricerca
dell’autonomia dei saperi, iniziata con Macchiavelli, culmina col processo a Galilei (1633): di fatto
l’episodio sancisce da quel momento in poi la definitiva sconfitta di quanti, come gli aristotelici, si
arroccano ancora su una visione unitaria del mondo e sull’esistenza di un unico criterio interpretativo a
livello metafisico.
Il “meccanicismo” esclude, quindi, la necessità del finalismo: le cose nell’universo esistono in quanto
esistono, non necessariamente in vista di un senso o di uno scopo, né tanto meno in vista dell’uomo.
4) L’unità del mondo Medievale prima e Rinascimentale dopo va in frantumi, come naturale
conseguenza dell’impossibilità dell’uomo a farsi “artefice del proprio destino” e questa visione della
realtà per frammenti ha subito un immediato riscontro nel mondo dell’arte dove alla prospettiva
centrale, con il punto di fuga localizzato al centro della composizione, succedono nuove forme
compositive sempre più decentrate col punto di fuga frequentemente collocato fuori della percezione
dello spettatore.
Da questo momento, come sostiene il Wölfflin, “si tende a mostrare la pittura non come un pezzo di
mondo per sé stante, ma come uno spettacolo transitorio, al quale chi guarda ha la fortuna di partecipare
proprio per un istante...Si tratta di far apparire il quadro come non voluto” (ib.Concetti fondamentali
della storia dell'arte, 1929, tr. it.1953).
5) Questa concezione dell’arte come frammento deriva, a livello di mentalità diffusa, dallo smisurato
ampliarsi dei confini del mondo e dell’universo in dimensioni precedentemente inimmaginabili.
Leggiamo quanto afferma Hauser:
“La nuova visione scientifica del mondo prese l’avvio dalla scoperta di Copernico. La teoria della terra che gira
intorno al sole, sostituendo quella per cui finora 1’universo girava intorno alla terra, mutò definitivamente l’antica
posizione assegnata all’uomo dalla Provvidenza. Infatti, appena la terra non poté più considerarsi il centro
dell’universo, anche l’uomo cessò di essere il fine ultimo della creazione. Ma con la teoria copernicana non soltanto
il cosmo cessò di volgersi intorno alla terra e all’uomo, ma fu privo di centro, riducendosi a una somma di parti simili
e di ugual valore, la cui unità riposava esclusivamente sulla validità universale della legge di natura. Da allora
l’universo fu infinito e pure unitario, sistema continuo e cooperante, fondato su un unico principio, un tutto organico
e vitale, un meccanismo ordinato ed efficiente: una perfetta orologeria per usare le parole del tempo. Con la
concezione de1la legge naturale immune da eccezioni nacque l’idea di una nuova necessità, affatto distinta da quella
teologica. Ma così veniva scossa non solo la concezione della libera volontà di Dio, ma anche quella del diritto
dell’uomo alla grazia e della sua partecipazione al soprannaturale e al divino. L’uomo divenne un fattore piccolo e
insignificante in quel mondo ormai disincantato. Ma la cosa più notevole fu che egli da questa mutata situazione
acquistò nuova fiducia in sé e nuovo orgoglio. La consapevolezza di essere in grado di intendere la vastità, la
possanza dispotica del1’universo, di poterne calcolare le leggi conquistando in tal modo la natura, divenne fonte di
uno sconfinato orgoglio fino allora ignoto.”
6) Se il mondo culturale si sta suddividendo in branche autonome e indipendenti, quale ruolo e
quale posto occuperà l’arte, e in particolar modo l’arte figurativa in questo nuovo contesto?
Tutte le identificazioni tra arte e storia, arte e scienza sono ormai venute meno. Tuttavia gli artisti non
rinunciano alla mimesis di ascendenza classica, ma la reinterpretano non più come scopo ma come
strumento per l’attuazione dell’immaginazione.
Bisogna stare attenti a non confondere, come sostiene Argan, l’immaginazione del Seicento col
“capriccio” del Manierismo: non si tratta di sperimentazione linguistica o di gusto per l’insolito o per
l’inaudito; dal momento che la realtà fattuale, con i suoi rapporti di causa-effetto, con le sue leggi
necessarie è indagata dalla filologia storica e dal metodo scientifico, l’arte si ritaglia in proprio il mondo
del “libero arbitrio”, l’unico aspetto in cui, secondo Cartesio, l’uomo non differisce in nulla da Dio.
L’arte è quindi il luogo in cui il non reale diviene reale, il verosimile possibile, in cui acquistano
consistenza quegli aspetti morali, senti mentali, intuitivi che non ricadono immediatamente sotto le
determinazioni di causa ed effetto, in cui il passato trasognato e perduto riacquista vita. Non per nulla,
continua Argan, l’arte diviene l’espressione privilegiata del sacro in quanto rappresenta il
sovrannaturale, quella parte della realtà che non è sottoposta a leggi empiriche.
7) L’immaginazione nell’arte, però, si può realizzare soltanto con l’immedesimazione dello spettatore,
cioè con la sua commozione, raggiungendo la sua persuasione. E’ quanto si proponeva anche la chiesa
post-tridentina, sostenendo che le opere dovessero persuadere il fedele a credere e ad ispirarsi alla vita
dei santi come modello di comportamento. L’arte come persuasione rimanda allora alla “Poetica” e alla
“Retorica” di Aristotele: anche il mondo dell’immaginario e del verosimile ha le sue regole e il suo
rigore formale, ha i suoi criteri di chiarezza e di precisione.
L’arte deve parlare soprattutto al popolo, senza sdegnare quegli aspetti di ricercatezza formale
apprezzabili dagli intenditori: in questo il Seicento vede un deciso superamento delle poetiche del
Manierismo.
Ultima conseguenza estetica della nuova mentalità è la nascita dei generi: la realtà può essere
compresa solo per frammenti e anche il sacro, le visioni paradisiache che decoreranno nel Barocco i
soffitti delle chiese e dei palazzi nobiliari sono una-parte-della-realtà o l’altra-parte. Ogni dettaglio ha le
sue regole di rappresentazione, ha il suo genere, rigidamente codificato nelle regole delle nascenti
accademie. Certamente il paesaggio, il ritratto, persino la natura morta avevano avuto la loro comparsa
nel secolo precedente, ma solo a partire dal Seicento vengono concepite come forme di espressività
distinte ed autonome. Alcuni artisti, come i fiamminghi Paul Brill e Jan Brueghel, si specializzano in un
genere come la natura morta. Nella realtà concepita come frammento o specchio del transeunte acquista
importanza il piccolo formato e si incrementa il collezionismo privato.
Se nel corso del Cinquecento il quadro da cavalletto era una prerogativa di pochi aristocratici, soprattutto
in ambito veneto o toscano, mai come nel Seicento si incrementa la domanda di opere ed artisti.
Questo fenomeno sconvolge i tradizionali rapporti di committenza basati sull’esecuzione delle opere su
ordinazione. Ora gli artisti si espongono sul mercato, partecipano ad esposizioni periodiche durante le
principali feste religiose dell'anno apponendo i loro quadri sulle facciate delle chiese, così come emerge
dalla testimonianza del marchese Vincenzo Giustiniani, in riferimento ad un’usanza iniziata a Roma, a
Venezia, nelle Fiandre e in Francia (la lettera riportata da Briganti degli inizi del secolo).
8)
9) Vi è un aspetto che infine va considerato, apparentemente in contraddizione con quanto detto finora,
che emergerà soprattutto a partire dal secondo e terzo decennio del Seicento, con la nuova estetica del
Barocco: è l’esaltazione dell’erotismo e dell’effimero persino in soggetti sacri, associato a quel gusto
per la teatralità e per l’ostentazione, talvolta paradossalmente giustapposto all’orrido e al macabro,
che risulta tanto insopportabile per la sensibilità del nostro tempo. In realtà, quanto più tutto è visto come
fugace, transitorio, tanto più ci si può compiacere dell’intima bellezza. Nell’arte cristiana medievale si
trattava di spiritualizzare la materia riconoscendone un valore eterno, come inizio di qualcosa di più
grande; nel barocco sotto ogni aspetto sensuale si stende l’ombra della morte in una dialettica serrata di
eros e tanatos. Tutta l’arte è concepita come “memento mori” e persino nell’estetica più
classicheggiante, come nel campione ed interprete dell’assolutismo francese Nicolas Poussin, il tema
della nostalgia e della fuga del tempo affiora continuamente.
“Et in Arcadia ego”, si intitola uno dei quadri più famosi di Poussin, ripreso ripetutamente anche da
diversi artisti italiani: persino il sogno e il candore della vita pastorale non sono risparmiati dalla
fugacità.