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GIALLI E NOIR METROPOLITANI
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GIALLI E NOIR METROPOLITANI
collana diretta da:
Paolo Roversi
direzione editoriale:
Calogero Garlisi
redazione:
Eugenio Nastri, Cristiana Mossotti
comunicazione:
Gabriele Dadati
commerciale e amministrazione:
Marco Bianchi, Donatella Baccolini
realizzazione editoriale:
Veronica Bonalumi
progetto grafico: Tralerighe, Milano
foto in copertina: © Giani Danilo Luigi, C:\Matrix
Pubblicato in accordo con Pergiorgio Nicolazzini Literary Agency / PNLA
ISBN 978-88-99316-02-0
Novecento Editore è un marchio Novecento media srl
Copyright © 2015 Novecento media srl
via Carlo Tenca, 7 - 20124, Milano
www.novecentoeditore.it - [email protected]
Gianluca Ferraris
A MILANO
NESSUNO È INNOCENTE
Novecento Editore
Un’altra storia di vita vissuta,
la più adatta all’occasione.
Un’altra frase di circostanza,
che sono leader nel settore.
Costruiscimi una faccia, meglio se accettabile,
ché plasmare la mia anima è impossibile.
(Sestomarelli, La signora Wolf)
Il vero problema è che passiamo senza farci caso
dall’età in cui si dice: “Un giorno farò così”
all’età in cui si dice: “È andata così”.
(Sean Penn/Cheyenne, This Must Be the Place)
A Milano ci sono banditi che non sono banditi:
hanno l’ufficio legale a latere,
per cui imbrogliano, rubano, ammazzano,
ma non vengono mai puniti abbastanza.
Ecco, io questi banditi non li rispetto come gli altri.
(Giorgio Scerbanenco, Venere privata)
Prologo
Oggi ho ammazzato uno che meritava di essere ammazzato.
Non è stato difficile. Era l’alba, pioveva e non c’era un cane in
giro, a parte il suo. Lo stronzo portava a pisciare lo schnauzer e
io lo seguivo a una decina di metri di distanza con l’impermeabile
e il cappello a falda larga che mi copriva mezza faccia, come nei
film gialli del pomeriggio.
Non è stato difficile, no.
Quello che nessuno vi dirà mai, però, è che ammazzare stanca.
Anche quando accoppi un cristiano solo, anche se lui se lo meritava. Stanca.
Mi sdraio. Le pareti sono distanti l’una dall’altra, il soffitto
è alto.
Ora succederà un macello, lo so.
Ho il respiro corto: il mio petto si alza e si abbassa velocemente
di sua iniziativa. Accarezzo la pancia e i fianchi, indugio sull’inguine, osservo i miei piedi, ansiosi di liberarsi dalla morsa delle
Nike sporche di fango. Non amo il mio corpo, anche se in verità
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non mi ha mai tradito, restandomi fedele nel piacere e mostrandosi
egregio nella gestione del dolore. Sgranchisco le mani: ricordo ogni
palmo che hanno stretto, ogni canna che hanno forgiato, ogni carezza che hanno fatto.
Anche se i tempi delle carezze, per quanto mi riguarda, sono
finiti da un pezzo. Quelli delle canne no, ci mancherebbe. Rollare e
fumare per me è sempre stato un rito pagano, quasi una preghiera
al contrario dove mi concedo l’assoluzione invece di invocarla. Ego
me absolvo se ho mangiato troppo, ego me absolvo se ho amato
troppo poco, ego me absolvo persino se ho appena fatto fuori uno
stronzo in pieno centro. Funziona. Funziona sempre.
Apro la scatolina dell’hashish, lo estraggo, lo soppeso coi polpastrelli, lo scruto. Scaldo quella nocciola molle mischiandola al
tabacco, ne assaporo l’odore dolciastro. Lecco il bordo gommato
della cartina prima di chiuderlo con gesti lenti che mi fanno stare
bene. Immagino la vita come vorrei che fosse, recito un mantra
di riconciliazione con lo schifo che sta là fuori, vivo meravigliosi
attimi di sospensione del giudizio.
Appena il mio personalissimo scacciapensieri prende fuoco, i
detriti che l’esordio di giornata ha già depositato su di me vengono
lavati via. Le vene non assomigliano più a martelli pneumatici
piazzati ai lati del cranio, il respiro si fa meno affannoso, le gocce
di sudore che ancora mi scendono addosso riacquistano una parvenza di calore.
Sono al sicuro, qui e ora, l’unica finestra spazio-temporale di
cui possa importare a un omicida.
L’indice sfiora appena il telecomando dello stereo mentre le
altre dita iniziano a tamburellare lungo il bordo del letto dal quale
non riuscirò ad alzarmi per chissà quanto.
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When I start movin’, you see a blur,
Get hooked on me baby, there ain’t no cure.
I’ve always been able to laugh at fate:
Two brown eyes filled with hate.
Ripenso a qualche ora fa. Nell’alba fradicia i miei passi alle spalle
dello stronzo echeggiavano lievi. Il cane si è liberato con uno strattone, forse aveva visto il mio braccio sollevarsi o forse puntava un
albero. Siamo rimasti soli.
I’m the man who makes
The street his home.
And my lean, mean heart
Is just as hard as stone.
È andato giù al primo colpo, come tutti quelli che non se l’aspettano. Il cane ha continuato a pisciare di gusto qualche metro più in
là, mentre Milano si voltava dall’altra parte.
Oh, I’m my main man,
Don’t want nothing from no one.
I’m my main man,
Always ready for what ever’s gonna happen.
Per non sbagliare gli ho piazzato un’altra botta nello stesso punto
mentre stava cadendo. Non ha gridato, credo fosse già morto. Non
ho chiuso gli occhi, credo fossi già altrove.
Spend my time in a cold jail cell
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Shootin’ up poison and livin’ in hell,
And I never care what people think:
My history’s written on me in tattooed ink.
Prima che l’oblio s’impossessasse di me ho infierito sul cadavere
dello stronzo. Un trancio profondo, lunghissimo, piazzato di traverso come la fascia tricolore sul corpo di una miss che non avrebbe
mai più vinto un cazzo. Poi un altro po’ di lavoro di macelleria,
in totale trance agonistica.
What happens to me is my own affair.
If you don’t like me, I really don’t care
‘Cause no one’s been what I’ve been through
And I don’t do what people want me to do.
L’ultima cosa che ricordo è una fuga a passo lento, protetta da
tapparelle ancora abbassate come le palpebre di chi si godeva gli
ultimi minuti di sonno. C’era un silenzio bellissimo. Quando ho
riaperto gli occhi, stavo di nuovo qui. Casa.
Oh, I’m my main man,
Don’t want nothing from no one.
I’m my main man,
Always ready for what ever’s gonna happen.
Espiro. Mi concedo un ultimo poderoso tiro d’hashish quando già
il tizzone è prossimo al filtro, poi spengo canna e stereo. Inspiro.
Espiro. Inspiro. Se lo scordano il funerale con la bara aperta.
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