RICORDANDO PADRE VANZAN Originale "paternità e maternità" di
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RICORDANDO PADRE VANZAN Originale "paternità e maternità" di
RICORDANDO PADRE VANZAN Il 14 novembre 2011 saliva alla casa del Padre il caro p. Piersando Vanzan sj. Sono trascorsi già tre anni e ci è sembrato giusto e doveroso ricordarlo per la sua forte e santa amicizia con don Enzo e per il suo lungo accompagnamento che ha svolto verso tutti noi 'figli' ed 'eredi' del Boschetti, con pazienza e sapienza e un affetto sincero e da vera guida. Vogliamo non solo pregare per p. Vanzan ma anche ascoltare i molti insegnamenti e la rilettura attenta e approfondita del carisma di don Enzo: queste radici ci sono necessarie per affrontare l'oggi con i suoi mutamenti e il domani con quello che il Signore ci donerà di realizzare. Lo facciamo proponendovi una sua bella meditazione sullo stile educativo di don Enzo e la testimonianza su di lui da parte di una delle tante comunità che egli accompagnava nel seguire il Vangelo: http://www.santamariadelsoccorso.eu/Vanzan.HTM Originale "paternità e maternità" di don Enzo Boschetti di p. Piersando Vanzan sj In questo paragrafo e sotto quell'inconsueto titolo vorrei balbettare qualcosa sull'originalità psicopedagogia boschettiana (comunque transustanziata dalla Grazia: non dimentichiamolo mai). Di fatto il Don sognava per (e voleva ci fosse nelle) sue comunità, quella non facile - ardua pure in famiglia e dintorni - reciprocità non solo tra l'educatore e l'educando, ma anche d'entrambi verso la comunità nel suo insieme. Non a caso egli voleva comunità non troppo numerose e anticipava quella che oggi è diventata la "casa-famiglia". Perché soltanto in questa dimensione e con tale obiettivo è possibile realizzare dialoghi costruttivi e un impegno sincero, così da portare a relazioni non alienanti, bensì fondate su chiare - anche esigenti - motivazioni. A mio avviso c'è qui molto da riscoprire nell'eredità boschettiana. Anzitutto a livello psicopedagogico, ossia scavando nelle parole/insegnamenti e nei fatti/comportanti del Don: una guida spirituale ma non disincarnata, al punto da intuire e realizzare, nella luce e forza dello Spirito, un ruolo che fu insieme paterno e materno. Ossia coniugando entrambe le caratteristiche/qualità che, nella famiglia ideale, si trovano distribuite in padre e madre - senza però dimenticare quelle che riverberano negli altri membri della (ideale) famiglia allargata -, ottenendo il meglio psicopedagogico nella e dalla loro reciprocità. Don Enzo ebbe per grazia dello Spirito questa reciprocità, mostrandosi sempre e comunque - nonostante le umanamente ineliminabili precarietà nell'equilibrio tra loro (instabile pure nelle migliori famiglie) - dolce ma non debole, forte ma non duro, esigente ma con pazienza, lucido e determinato negli obiettivi, ma sapendo anche che "i tempi di Dio non sono i nostri". Ma poi c'è molto da esplicitare pure a livello biblico-teolgico, mettendo in luce, con un'aggiornata riflessione teologica, quanto era implicito o potenzialmente contenuto nella reciprocità tra i suddetti molteplici protagonisti e fattori in gioco, previsti appunto nella dinamica psicopedagogica boschettiana. Una suggestiva icona di tutto ciò è stata recentemente individuata e messa a fuoco dagli studiosi nel Dio biblico, che - a ben guardare - si è rivelato come Padre ma, insieme, anche come Madre. Per quanto recente o nuova, tale scoperta della maternità in Dio è fondata su tanti passi della Scrittura (Antico e Nuovo Testamento), purtroppo a lungo trascurati da una riflessione soltanto metafisica/astratta. Qui mi basta ricordare Gesù, che si presenta "come una chioccia che raduna i suoi pulcini", o Dio che per bocca di Isaia afferma: "Può una madre dimenticarsi del suo bambino? E anche se ciò avvenisse, mai io mi dimenticherò di te, Israele". Sublime poi trovare che un maschilista come Paolo scrive ai Tessalonicesi di essere stato in mezzo a loro come una madre che nutre e ha cura delle proprie creature e come un padre che esorta ciascuno incoraggiandolo a comportarsi in maniera degna dei figli di Dio, o infine trovare la meravigliosa parabola lucana sull'incontro del Padre misericordioso con lo scapestrato figliol prodigo, su cui intendo fermarmi. Sì, perché, se la riscoperta della paternità/maternità di Dio è relativamente nuova a livello teoricoconcettuale, alla genialità intuitiva di un grande artista era ben nota da molto, e l'aveva fissata in un quadro straordinario. Infatti, c'è una tela di Rembrandt, conservata all'Ermitage di San Pietroburgo, che rappresenta quella parabola del Vangelo lucano. Il figlio è inginocchiato, di schiena; il padre è di fronte, le mani allungate sulle sue spalle, nell'atto di un abbraccio benedicente. Ma queste due mani sono diverse: la sinistra è forte, maschile, che stringe con energia; la destra invece è una delicata mano femminile, molto tenera, che vuole accarezzare, offrire conforto. Dio dunque è intuito, dalla genialità del pittore, come Padre e Madre insieme: un Lui che sorregge e una Lei che accarezza, che rafforza e consola; un Padre che perdona e una Madre che dimentica tutto, per la gioia di ritrovare il figlio perduto. Di qui la scoperta anche teorica, recente e affascinante - ma di una verità/realtà che è da sempre nella Bibbia -, per cui osiamo dire che ogni paternità e maternità umana dunque prende nome e sostanza dalla genitorialità complessiva, piena e trascendente, che si trova in Dio o, meglio, che è Dio stesso. Ed ecco come il Don seppe vivere e coniugare questa paternità e maternità biblicamente rivelata. Negli scritti e comportamenti boschettiani troviamo infatti la mano dolce e forte, materna e paterna insieme. Ossia la volontà di correzione e di redenzione di un educatore esigente ma paziente, concretissimo nella responsabilizzazione ma nel contempo aperto sugli orizzonti dell'utopia, quando per utopico s'intenda la parola nel suo significato etimologico di "meta non ancora raggiunta ma raggiungibile". Un'utopia perseguita con forza paterna e dolcezza materna, e tuttora informante la CdG, nella quale boschettianamente si fa di tutto, con forza e dolcezza, per "liberare la libertà dei figli di Dio": una formula che è insieme paterna e materna. Sarà interessante rivisitare il Direttorio e la Regola di vita per verificare questa tesi, ma alcuni di noi - testimoni della prima ora - quell'interazione o reciprocità paterna e materna l'hanno colta e vista all'opera in più occasioni e sin dagli inizi. Tanto per non stare nell'astratto, ricordo che negli anni '70 c'era molto rigore nella comunità di accoglienza boschettiana: la disciplina: era forte, oggi quasi impensabile, con molte restrizioni. C'era un ragazzo particolarmente difficile che mordeva il freno, eppure un giorno - quando la sua crisi era al massimo - il Don, che non defletteva sui principi, gli disse di prendere la bici e di farsi un giro, senza dargli un'ora per il ritorno. Il ragazzo prese la bici, corse via a tutta velocità, e quando fu di ritorno, ogni tensione era scaricata. Ciò prova quanto il Don, da vero educatore, sapeva non assolutizzare il lato paterno, temperandolo con la dolcezza materna. Un altro episodio accadde a Vendrogno: sempre uno di questi ragazzi più vivaci, e disturbati, tirò un sasso che andò a spaccare il parabrezza della Mercedes di un macellaio. Apriti cielo! Il proprietario oltre ad una scenata, pretese il rimborso di 400.000 lire per il danno. Lucia però volle che il ragazzo andasse dal Don a spiegare l'accaduto e quello, poveretto, tremante come il figliol prodigo, si presentò al Don, disse il guaio e, per tutta risposta, ricevette una carezza e il permesso di continuare a giocare. Ecco, se non è paterno e materno questo gesto, se non rappresenta le due mani di Rembrandt, io non so quali altre mani possa evocare. Rembrandt l'ha intuito e reso benissimo in un quadro; don Enzo con una vita. Quanto sopra ritengo che, ai fini del nostro breve approccio, possa bastare a illustrare l'originale paternità/maternità boschettiana. Circa la quale, tuttavia, ritengo opportuno - concludendo questo paragrafo - indicare una variante sui generis: quella che trapela nel modo boschettiano di cogliere e affrontare le povertà vecchie e nuove, materiali e spirituali, con questo atteggiamento: "Conservando la freschezza del coraggio, la creatività, dell'imprevedibile, e dell'impossibile, se Dio vuole". In queste parole io colgo appunto una eco o variante della suddetta reciprocità maschile/femminile, paternità/maternità, in forza della quale egli ha successivamente costruito le varie articolazioni operative della CdG, sempre e comunque fecondando (o almeno tentando di fecondare), con la suddetta paternità/maternità ispiratagli dalla fede biblica, sia la cultura (e i massmedia), sia la politica: appunto tentando di correggere entrambe quelle realtà o sfere in chiave di paternità meno rigida (più materna) e di maternità meno debole (più esigente, come nella biblica "donna forte"). Di fatto, negli ultimi tempi il Don lamentava che una malintesa priorità in ambito socioassistenziale finisse per compromettere una più vasta e organica impostazione della scelta preferenziale degli ultimi: inconsciamente privilegiando l'affannoso dare ogni giorno un pesciolino (la beneficenza, che non intacca le strutture di peccato), mentre si doveva pensare in grande e trovare le vie per dare la canna da pesca (modello di sviluppo alternativo). In altre parole, non solo a livello comunitario/ecclesiale ma anche in quello pubblico/civile, le sacrosante opere di misericordia corporale non devono mai perdere di vista quelle di ordine culturale, proprio riflettendo sul degrado indotto dalla pericolosa quadriga che sembra imporsi nell'odierno trapasso epocale (fine della modernità, incerto albeggiare del postmoderno): pensiero debole, valori bassi, appartenenze corte, religiosità vaga e soggettiva al massimo (pensiamo al fenomeno New Age). Similmente, le diverse emergenze vanno affrontate mediante lungimiranti politiche corrispondenti, memori che proprio l'incalzare delle sfide attuali esige che al Buon Samaritano del pronto intervento si affianchi la Buona Samaritanità organica. Infatti, solo unendo questi due aspetti la CdG può realizzare anche oggi una diaconia caritatis efficiente nell'aiutare i fratelli più bisognosi. E anche questo, se non vado errato, è un modo - forse inconsueto, ma verace - di coniugare paternità e maternità, lungimiranza e fermezza paterna con intuitività e pazienza materna o, in breve, le due mani viste nel capolavoro di Rembrandt.