Quaderno 25 - Alba Letteraria

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Quaderno 25 - Alba Letteraria
Periodico d’informazione culturale
a cura della Biblioteca Lercari
Quaderno n. 25 – Febbraio 2015
Municipio Genova Bassa Valbisagno
Biblioteca G. L. LERCARI
Via S. Fruttuoso 74 16143 Genova
Email: [email protected]
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Prefazione
(di Fabio Sardi)
Il tema di questo quaderno è un’immagine.
Quante volte un’immagine, o qualcosa che abbiamo veduto ha
donato un’ispirazione in un momento in cui non ne avevamo!
E lo ha fatto con tanti altri. Penso subito agli haiku, che con diciassette sillabe descrivono un’immagine, o all’ispirazione per una
poesia osservando un paesaggio, un palazzo, un tramonto…
Anche la semplice osservazione delle persone che ci circondano a
volte ispira a scrivere qualcosa, o a delineare meglio un personaggio che nella nostra mente avevamo abbozzato e all’improvviso ci
troviamo di fronte in carne ed ossa!
Dedicato a tutte quelle volte che un’immagine ci ha ispirati e a
tutte le persone intelligenti che riescono a vedere la sostanza e
non solo l’immagine.
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IMMAGINI DI LUNA
Una goccia di luce
dimenticata nel cielo
per farmi alzare gli occhi
mentre cammino lungo il mare.
Una pallina bianca
circondata d’azzurro,
incollata dal tempo
all’universo.
Una moneta persa
da qualche temporale,
che la rubò ai pirati
nel forziere.
Un volto solitario,
staccato dalla terra,
nella muta distesa
del rimpianto.
Lucia Tencaioli
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IMMAGINE MARINA
La voce del mare è
la voce dell’anima,
un riflesso di vita
sullo specchio del cuore
nello spicchio dell’alba
come tacita magia.
S’incontrano le vele,
azzurre, scivolando,
e sembrano carezze
increspate dal vento.
Lontane,
si confondono
sul filo della luce,
che avvolge le onde
con l’orizzonte e il cielo
in un tripudio di emozioni.
Paola Carroli
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Percezione
(di Paola Carroli)
Oggi sul bus, mentre Laura si recava al lavoro, ha incontrato due
persone in cui non s’imbatteva da anni. Prima una e poi, salutata
questa, ha visto l’altra a distanza di un quarto d’ora tra le due.
Una ha esclamato: “Non sei cambiata affatto”. L’altra invece ha
commentato: “Sei cambiata, sai?”. A chi deve credere? Tutto è relativo nonché semplicemente complesso in questo mondo… e quello
che resta è un frammento d'immagine!
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Allo specchio
(di Giuseppina Sorbello)
Guardare la propria immagine allo specchio
e pensare di essere un’altra.
Sorridere o fare boccacce
e divertirsi un poco con rossetti, matite e belletti
e forcine e nastri e cappelli,
tanti Cappelli,
per trasformare l’altra,
ma l’altra sei tu.
Sognarti un poco più giovane, occhi grandi e nasino grazioso
e crederci per un attimo, perché quella crema fa miracoli
immediati.
Cantare una canzone perché vuoi vederti felice
e crederci per un attimo, perché la vita sorprende.
Salutare l’altra, abbracciarla e farle l’occhiolino, perché
tu e l’altra siete sorelle e per capirvi basta un fremito di ciglia.
Riporre lo specchio e riprendere a vivere
come se nulla ti avesse turbato,
altri amori, altri sogni rapiscono il tuo tempo.
Gennaio 2015
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Un’immagine
(di Renato de Luca)
L’avrebbero fatta superiora, o Badessa sicuramente e purtroppo
però quell’aspetto insignificante… Maritarla nemmeno a pensarlo: la bassezza ed in più quel porro, per giunta peloso sulla guancia destra, non avevano consentito pur se ricchissimo al Barone di
Tormonte d’accasare quell’unica figlia e la via del convento divenne conseguenziale.
Anni prima un terremoto bastante a rovina, oltre qualche casa
nel paese aveva abbattuto la parte adiacente alla chiesa madre, adibita a cappella per le sole preci del mattutino ed il retrostante
refettorio, così che tutti gli uomini validi del luogo dal giorno del
disastro in qua, avevano donato ognuno parte del loro tempo alla
ricostruzione; adesso terminata la riedificazione, mancava un abbellimento consono al sacro sito nel senso di una serie di affreschi con dipinta natura di paradiso e cieli, ove le preghiere
s’immagina siano dirette; di queste se ne occupò il Barone attraverso la persona della sopraddetta figliuola, ora le sue caratteristiche sono state dette, di fatto l’amministrazione di quella comunità
era suo, ne era l’economa, la penitenziera ed in sostanza la proprietaria essendo il tutto parte della baronia.
Il titolo seppur fittizio di Superiora, era invece d’altra nobildonna di natali infinitamente distanti da lì e si malignava dicendo che
avesse preso il velo dopo averne smessi altri di ben più fine e licenziosa preziosità.
Era invece gentile e di bellissimo portamento ascetico, si appartava nelle sue stanze e leggeva o passeggiava sola come in una vita
terminata allo svolgersi sulla terra e però serviva come immagine
di presentazione per cerimonie, avendo un regale incedere, assoggettando così le altre senza assolutamente volerlo ma che al suo
passaggio si spostavano.
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Randizio, giovane estroverso del paese di Pomarance presso
Volterra, perse definitivamente il mantenimento paterno e della
famiglia all’età di diciotto anni: pensava come quelli che la vita
non va persa in occupazioni tramandate, ma lasciata continuamente oltre il già visto; insieme ad amici come lui, specialmente
coi chiari di luna girava intorno alla Dodecapoli Etrusca alla ricerca di tombe intatte da asportarne i tesori.
Non ne trovò mai una, ma vuote sì, ed in particolare, una: doveva essere di potenti, fra le urne era rimasto qualche osso, ma fra
le nicchie e sulla volta esistevano ancora dei dipinti a rappresentazione d’un vivere in natura come esattamente corrispondevano i
suoi desideri. Non poteva lasciarli lì e nemmeno staccarli, così
prese a passarci dei giorni interi a copiarli, prima in piccolo a carboncino su mattonelle; gli riuscivano così bene che passò alla
pergamena.
Da allora fu preso dall’arte, ma tornato a casa non fu comunque
accettato, solo uno zio Parroco a Perugìa lo accolse e vista la maestria nell’arte, lo presentò al Vannucci, detto il Perugino, suo amico che lo prese a bottega.
Dopo due anni il talento incamminato e corretto dal grande
maestro lo rese autonomo e con lo zio ora Abate trasferito nel
trevigiano, anch’esso lo seguì e lì venne scoperto da quel Barone
di Tormonte, mentre eseguiva un dipinto.
Giunto al paese col nobiluomo aveva visionato ed accettato la
commissione di quelle opere; da allora erano passati altri tre anni
e l’ultimo affresco ora al termine da lì a due giorni aspettava
l’inaugurazione e la benedizione addirittura da sua Eminenza il
Cardinale di Treviso.
Durante quei tre anni Randizio era stato quasi perseguitato dalla
premura, l’ansia ed insistenza su incomprensibili particolari da
parte della Suorbaronessa Rebecca-Sempronia sempre seminascosta a spiare e saltar fuori all’improvviso spinta dalle sue manie.
“Le immagini, le immagini devono essere celestiali, coi visi assorti vaganti nei giardini di Paradiso.” Da quella piccolezza non si
sarebbe detto uscisse una voce così imperiosa!
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Randizio aveva invece rappresentato una realtà di persone che il
Paradiso dovevano ancora guadagnarselo ed ora quasi alla fine
dell’opera, quel grido sulle ultime pennellate ad un viso; lei era uscita dal suo nascondiglio sentenziando la volgarità della popolana
raffigurata; in quelle lui era caduto dall’impalcatura e mentre il suo
assistente gli controllava i danni, Suor Repressa-Sess… come fra
sé la stava ribattezzando a fil di labbra Randizio, sempre come
un’ossessa, raccomandava gridando a ripetizione “Le mani, le
mani, salvategli le mani! A che possano terminare l’opera a beneficio di sua Eminenza.”
La caduta non fu disastrosa, ma dolorosa sì ed allora pretese
che pena l’abbandono del dipinto, non si presentasse più sino alla
fine della stessa. L’opera fu magnificata dal Barone e da tutti i visitatori dell’ultimo giorno.
Ma… durante l’ultima notte avvenne un ritocco, Randizio era
stato pagato e non lo si vide più. Quando, alla presenza del Cardinale, cadde il telo sull’affresco in refettorio, la popolana aveva
un porro peloso sulla guancia destra.
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Bestiario metropolitano
(di Marco Marzagalli)
Davanti a una vetrina, nei pressi della fermata di un autobus che
non arriva mai.
È così che mi vedono gli altri? pareva chiedersi il giovane poco
convinto che osservava la sua immagine riflessa in una vetrina.
Poco convinto perché lui stesso stentava a riconoscersi. La sua
figura appariva goffa, imbacuccato com’era per il clima rigido di
stagione.
Fece due o tre passi di lato accompagnati da leggeri movimenti
delle braccia. Avrebbe voluto apparire come un giovane prestante, uno di quelli che praticano assiduamente uno sport, hanno
muscolature scolpite e posture da atleti. Oppure atteggiarsi ad autentico molleggiato, alla stregua di certe icone del rock, ostentatamente flessuoso. Perlomeno era ciò che sperava, forse per rendersi più interessante, per richiamare l’attenzione degli altri e, in
particolar modo, le altre. Il giudizio dell’altro sesso era troppo
importante alla sua età. Comunque, se questi erano i suoi propositi, stava proprio vaneggiando.
Allargò le braccia, inclinò la testa. Sembrava piuttosto uno spaventapasseri. Provò a compiere qualche movimento più energico,
un’azione atletica, una rincorsa per una prova di salto. Sebbene lui
intendesse prepararsi a eseguire un balzo alla Fosbury, il suo movimento si ridusse a un saltellare qua e là, proprio come quello di
un pollo intento a razzolare nell’aia. Gli arti superiori, impediti
dall’abbigliamento pesante, non riuscivano a compiere né una
completa flessione né un’ampia distensione. Erano le insulse propaggini alari di un gallinaceo domestico.
In quei medesimi istanti un bel campionario di fauna stravagante appariva e spariva dinanzi alla vetrina. Si avvicinò un uomo, si
specchiò, si aggiustò i capelli. Pareva un orango. Con le braccia
lunghe, si grattò, si sorrise, se ne compiacque, beato lui.
Arrivò una donna, matronale, con la sua immagine riempiva
gran parte della vetrina. Guardò dentro intenta agli articoli espo-
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sti, non si vide. Poi si accorse di sé, scosse il sedere, mollemente,
per valutarne la consistenza o forse semplicemente per vedere se
era ancora al suo posto. La dieta aveva promesso miracoli ma i
risultati erano stati scadenti. Sembrava un ippopotamo all’uscita
dal fiume.
Passò una bella donna, slanciata, elegante, quella sì era degna di
specchiarsi. Molti si voltarono. Persino la vetrina parve rispondere con riflessi baluginanti. Restituiva oro al biondo dei capelli,
diamanti allo sfavillare degli occhi, lacche orientali al rosso delle
labbra. Le curve flessuose aggraziavano la sua proiezione sul vetro. Come una puledra, voltò il capo a un richiamo invitante e
sgroppò via.
Un altro uomo, irsuto, scuro in viso ma non abbronzato, fu attratto dal chiarore della vetrina. Si voltò come in posa, in attesa di
un’istantanea. I cupi pensieri gli offuscavano lo sguardo. Era un
orso che annusava l’aria in cerca di cibo. Due ragazzini, garruli
come cocorite, dagli abiti coloriti, con le loro risatine fecero vibrare la vetrina che pareva rispondere ai loro giochi e ammicchi.
Una ragazza dal collo lungo, slanciata come una giraffa, guardò
stranita la merce in esposizione. Un marito tradito, fatto notorio
per gli abitanti della zona, con un bel palco di corna ramificate
come quelle di un cervo, chinò dimesso il capo temendo il giudizio degli altri.
Tutti passavano, senza neppure fermarsi, senza guardare, trotterellavano, caracollavano, zampettavano, uno dopo l’altro. Solo
per un attimo la loro immagine rimaneva impressa sulla vetrina.
Dall’altra parte del vetro un manichino. Elegante, etereo, estraneo, la sua immagine non si rifletteva. I suoi pensieri erano quelli di
ognuno che, passando di lì, si fermasse a guardarlo in attesa di
una risposta che non arrivava.
Il giovane imbacuccato vide allora sopraggiungere un suo simile, un altro gallinaceo. Era un suo compagno di giochi, lo conosceva da sempre ed era tanto esuberante quanto lui impacciato.
Non perse un attimo, per specchiarsi, vanitoso come un tacchino
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che fa la ruota. Gloglottava pronunciando frasi disarticolate che
l’amico non comprendeva o non voleva comprendere.
Un braccio disteso che indicava in lontananza, attirò
l’attenzione di tutti. Dopo pochi attimi un enorme pachiderma si
stagliò sulla vetrina offuscandola con la sua mole. Era l’autobus
che veniva a raccogliere tutti gli animali per ricondurli allo zoo.
Salirono tutti sul torpedone affollato come fosse un’arca di Noè.
Solo, nella vetrina, rimase il manichino inerte. Un gufo impagliato.
La bella donna puledra non ebbe grossi problemi, si insinuò tra
la folla e, a parte qualche palpatina galeotta, trovò un uomo galante che le lasciò il posto.
Il giovane gallinaceo imbacuccato aveva grosse difficoltà di
movimento, a ogni avanzamento di posizione le persone che gli
passavano a fianco lo facevano vacillare come un birillo. L’amico
tacchino, per quanto meno impacciato, cercando di lisciarsi i capelli, per un improvviso movimento sussultorio dovuto al transito
su una buca, si infilò un dito in un occhio. La sua imprecazione si
spense nel caos generale.
L’uomo orango ballonzolava abbrancando maniglie e sostegni
con le sue lunghe braccia. L’uomo orso si fece largo a zampate
raggiungendo una posizione sicura e stabile. I ragazzini come cocorite sparirono nella calca ma si poterono ancora individuare
dalle loro voci garrule e dai sussulti delle persone vittime dei loro
pizzicotti. La ragazza dal collo lungo come una giraffa e l’uomo
con le corna di cervo rimasero impigliati l’uno all’altra e, sebbene
la cosa non sembrasse dispiacere a entrambi, non riuscendo a districarsi dovettero proseguire fino al capolinea anche se non era la
loro destinazione.
Ultima a salire sull’autobus fu la donna ippopotamo tra
l’incredulità della gente. “Dove ce la mettiamo questa?” si domandavano soprattutto i viaggiatori sulla piattaforma posteriore.
Ma lei avanzò imperterrita, assestò due colpi di ventre che si propagarono lungo tutta la coda di persone fino ai posti davanti.
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Qualcuno si girò urlando “Non spingete là dietro!”. Giusto in
tempo prima della chiusura delle porte automatiche.
Tutti quelli più all’interno dell’abitacolo non avevano appigli,
ondeggiavano come gelatina al moto del mezzo che procedeva sul
terreno a dir poco sconnesso. Chi più chi meno cercava di adattarsi alla scomoda posizione, doveva trovare una via d’uscita,
scendere alla giusta fermata e riappropriarsi della propria esistenza. Persone o animali che fossero.
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RICORDO D’INFANZIA
(di Enrica Vacca)
Molte sono le immagini a me care, siano esse impresse sulla carta,
sulla tela, o parte della memoria. Ed è proprio di un ricordo di
bambina che porto nel cuore l’immagine più nitida e avvolgente:
il mare, calmo e di un azzurro quasi irreale, che lambisce le coste
della mia amata terra, che bagna la spiaggia dove ho vissuto tra i
più incredibili momenti della mia infanzia…è il mare, sempre il
mare, che torna possente alla mia mente, e non mi lascia più.
Ogni qualvolta desideri sentirmi a casa, davvero a casa, per rivivere gioie mai dimenticate e sensazioni autentiche, ritorno a quei
giorni, tra gli scogli e la salsedine, a quel profumo d’estate così
penetrante, a quei colori, quei suoni, che sono – oramai – parte di
me.
Tante volte ho visto il mare, l’ho vissuto, e mi ritrovo a riflettere
su quanto sia magica la vita, poiché da piccola, di certo, mai avrei
saputo pensare a quanto di speciale possa trovarsi in un solo luogo, in un solo momento.
Quelle forme e quelle vibrazioni saranno per sempre con me, ed
io con loro.
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Marie France
Quand je me réveille et quand je m’endors, c’est en regardant la
photo, sur ma table de nuit, de mon fils, Franck et de Marie
France devenue une grande amie, je vais vous raconter comment.
Un jour où toujours pressée et de toutes façons de par mon
tempérament, j’aime me presser, j’envoyais un mail à une
canadienne en tapant «renvoyer»; mais novice à l’époque, je ne
savais pas que «renvoyer» suivi de petits points était adressé à
plusieurs personnes.
Je reçus alors une première réponse avec «vous faites erreur,
Madame», mais je ne l’entendais pas ainsi et j’étais stupidement
certaine d’avoir raison par manque de connaissance.
Alors, je renvoyais pour la seconde fois et je reçus de
nouveau: «vous faites erreur», mais sur un ton plus ferme et
en grands caractères rouges. Je finis alors par comprendre et j’eus
l’idée, après avoir présenté mes excuses de proposer de
sympathiser et de correspondre…ce qui fut accepté…C’était en
Octobre, il y a 5 ans… et en Novembre, Marie France arrivait en
train, puis en mongi et lorsque je la vis s’approcher, à la descente
de celui-ci, toutes émues toutes les deux, j’éprouvais un immense
bonheur alors qu’au départ, ne la connaissant que par mail, j’étais
un peu inquiète, mais de suite l’amitié se confirma.
Mon fils avait accepté de faire sa connaissance et on partit
aussitôt prendre le pot de l’Amitié dans la maison qu’il venait de
construire lui-même et qu’il était fier de montrer, tandis que
Marie France nous distribuait un tas de cadeaux emportés malgré
leur encombrement et leur lourdeur ... puis on alla fêter cela dans
un super restaurant.
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On passa l’après-midi à se promener dans la campagne et à «papauter» sous l’œil des vaches. Hélas l’heure du retour sonna et il
fallut se dire « au revoir »… Mais depuis 5 ans, pas un jour ne se
passe sans que l’on s’écrive par mail et que l’on se dise « bonsoir »
en se racontant tout et parfois n’importe quoi. On passe des
choses les plus banales aux choses les plus sérieuses. Par exemple,
on prend des photos de notre repas et on discute de nos goûts…
ou des photos de Bretagne, où l’on a découvert le jour de mon
erreur informatique que nous passions nos vacances au même
endroit, à Trégastel. Ce jour Marie France m’envoya 40 photos
d’un coup !!! Quand l’une n’a pas le moral, l’autre la remonte. Je
connais mieux encore, je pense, Marie France que la plupart de
certaines de mes amies.
Marie France est revenue une seconde fois, insistant pour nous
inviter à son tour dans le même super restaurant et ce fut un
moment exquis comme celui de la visite chez elle où emmenée
par l’une de mes amies, Jeanette, car je n’aimais pas faire la route
seule, on passa aussi un moment inoubliable, tellement bien
reçues, aux petits soins et comblées de cadeaux. On fit la
connaissance de son mari, réservé au départ , bien que ne perdant
aucun détail de la situation, mais une fois la connaissance faite,
plein de prévenance et d’humour, particulièrement accueillant.
Même, j’ai connu, sa maman qui vient hélas de nous quitter et
elle me manque beaucoup bien que je ne la connaisse que par
téléphone, par les photos de nos mails et SKYPE.
Au départ, j’avais été contrariée d’être obligée de me mettre à
l’Informatique pour mon travail, mais maintenant je ne saurais
plus m’en passer et cette photo avec mon fils si joyeux,
accueillant et marie France, tous deux pleins d’enthousiasme me
remonte quelque soit parfois les moments difficiles de la journée.
Marie France, le visage souriant, plein de bonhomie et mon fils
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riant aux éclats, affichant l’enthousiasme de la jeunesse. Cela vous
donne envie de tout faire pour résoudre vos problèmes.
C’est une toute petite histoire que je voulais vous raconter, mais
animée d’une grande Amitié devenue Affection et reconnaissance
à Marie France d’avoir accepté de correspondre.
Plus on s’écrit et plus on s’apprécie et comme nous sommes un
peu loin l’une de l’autre, les photos aident .
Dans l’existence, j’ai beaucoup tendance à réfléchir avant de faire
mes choix. Marie France est une rare fois où le hasard a parlé
pour moi. Je n’aurais jamais pensé en être si heureuse et sa photo
me le répète chaque soir et chaque matin.
«Les amis sont comme les étoiles, nous ne pouvons pas toujours
les voir mais nous savons pourtant qu'ils sont là et les photos le
confirment».
b .haegeli
Marie France
Quando mi sveglio e prima di dormire, guardo la foto, sul mio
comodino, di mio figlio Franck e della mia migliore amica Marie
France, della quale vi racconterò.
Un giorno che ero di fretta – come spesso accade, è la mia natura
- ho inviato una e-mail ad una canadese digitando "renvoyer"; ma
novizia, al momento, non sapevo che "renvoyer", seguito da puntini significasse spedire a più persone.
Poi ho ricevuto una prima risposta con "signora, lei sta sbagliando" ma non compresi e per la mia ignoranza in materia ero certa
di non aver commesso errori.
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Così ho risposto per la seconda volta, ricevendo nuovamente lo
stesso messaggio, ma in tono più fermo, in stampatello e in rosso.
Ho finalmente compreso ed ho chiesto di corrispondere, dopo
aver presentato le mie scuse… e la proposta fu subito accettata…
Era l’ottobre di cinque anni fa ... e nel mese di novembre, Marie
France è venuta a trovarmi, usando prima il treno, poi il tram.
Quando l’ho vista scendere e avvicinarsi a me, all’inizio, siamo
rimaste entrambe in silenzio. Io ero felicissima, anche se all’inizio
un po’ timorosa nell’incontrare una persona che conoscevo solo
attraverso la rete.
Mio figlio aveva accettato di incontrarla e le ha mostrato subito
casa sua, che aveva appena finito di costruire, e della quale era assai orgoglioso. Marie France, nel frattempo, ci consegnava diversi
regali che aveva portato con sé malgrado il loro ingombro ed il
peso… poi siamo andati a festeggiare in un ottimo ristorante.
Abbiamo trascorso il pomeriggio in campagna, passeggiando e
ciattellando, in compagnia delle mucche. Poi è giunta l’ora del ritorno e ci siamo dette “arrivederci.” Da cinque anni non passa
giorno senza uno scambio di mail per un saluto e raccontare
qualcosa all’altra. Qualsiasi cosa, dalle più banali alle più importanti. Talvolta ci scambiamo le immagini di ciò che abbiamo
mangiato e discutiamo dei nostri gusti culinari... o foto della Bretagna, dopo aver scoperto che trascorriamo le nostre vacanze nello stesso posto, a Trégastel. Il giorno della scoperta Marie France
mi ha inviato quaranta foto!!! Quando una è giù di morale, l'altra
la rallegra. Credo di conoscere Marie France meglio di quanto conosca la maggior parte dei miei amici.
Marie France è tornata una seconda volta, insistendo per invitarci
a mangiare nel medesimo ristorante della volta precedente, ed è
stata una magnifica serata, come quando ho ricambiato la visita,
accompagnata dalla mia amica Jeanette, perché non mi piace
viaggiare sola. Anche in quel giorno ci sono stati momenti indi-
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menticabili, con una calorosa accoglienza e tanti regali. Ho conosciuto suo marito, inizialmente timido osservatore, ma una volta
fatta conoscenza, si è dimostrato persona piena di bontà, umorismo e cordialità.
Ho conosciuto anche la madre di Marie France, che purtroppo è
mancata e mi mancano molto le telefonate con Skype e gli scambi
di foto e messaggi di posta elettronica.
In un primo momento, ero infastidita dal dover imparare ad usare
un computer per il mio lavoro, ma ora ne sono dipendente, e
questa foto con mio figlio e Marie France felici e sorridenti mi
rincuora quando ho dei momenti tristi. Marie France, col volto
sorridente, e mio figlio che ride a crepapelle, mostrando il suo
giovanile entusiasmo. Quella foto mi dà la forza per impegnarmi
a risolvere i problemi.
Questa è una piccola storia che volevo raccontarvi, la storia della
grande amicizia, piena di affetto e gratitudine per Marie France
che ha accettato di corrispondere con me.
Più passa il tempo e più l’amicizia cresce, e vista la distanza fisica
tra di noi, le foto sono sempre benvenute.
Di solito sono una persona molto riflessiva. Marie France è uno
dei rari casi nei quali ho agito d’istinto. Non pensavo che ne avrei
ricavato tanta felicità, e la sua foto me lo ricorda ogni sera e ogni
mattina.
"Gli amici sono come le stelle, non possiamo sempre vederli, ma
sappiamo che ci sono e le foto ce li ricordano."
b. haegeli
Traduzione di Fabio Sardi
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L’immagine
(di Mario Montagna)
Rivedo nei miei sogni
un passato ormai
consumato dal tempo.
Ora,
coi capelli appassiti,
rivivo in un triste silenzio
tutte quelle che credevo gioie.
Tra le rughe
che maturano sulla mia pelle,
tra braccia gravate
da pesi inutili,
procedo nel silenzio di ansia
verso una rinascita
che spero sarà migliore.
28.1.2015
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Sul lago
(di Maria Giovanna Franceschi)
Sfumando va il giorno in consumate ore,
la gente, qua attorno, racconta di cose
di vita.
L’azzurro del cielo si mischia con
l’acqua del lago.
Guardo e non vedo, cerco e non trovo
quello che, forse, non esiste ma il cuore,
testardo, insiste.
Tra poco le luci, brillanti sparsi nel vuoto
del tempo, rallegreranno la vista.
È dolce la notte che avanza, lieve
scivola in cuore.
Concludo il mio giorno di gioia e dolore,
la vita continua, mistero d’amore.
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L’immagine incompleta
(di Sianne Ribkah M H)
Lei stava ferma in piedi ed agitava la mano mentre mi chiamava.
Ma l’ultima volta in cui l’ho vista risale ad alcuni mesi fa. Di solito
camminava da sola, lentamente, trascinando una borsa di un nero
scolorito con le ruote dove aveva dentro la sua spesa e mi chiamava. Parlavamo mentre io le prendevo la borsa e gliela portavo,
mentre lei camminava aiutandosi con una stampella. Le piaceva
parlare, e a volte mi rivolgeva domande alle quali non potevo rispondere, come quando avrei fatto un bel bambino.
Parlava del suo passato e mi ha fatto conoscere il nipote, mi ha
chiesto di accompagnarla a comprare frutta e verdura in un negozio che a lei piaceva, ma a me no. Una volta mi ha accompagnata
al supermercato e ha comprato solo sapone e uova. Poi io l’ho
accompagnata dal fruttivendolo che le piace. Mi ha chiesto di tenere per lei la borsa della spesa mentre lei sceglieva alcune verdure e valutava l’uva. Il nipote, a distanza, mi osservava e sorrideva.
All’uscita ci ha presentati, dicendogli: “lei è la moglie di un vicino.
E’ molto gentile e mi porta la borsa della spesa fino al portone.
Sia lei che il marito sono persone gentili e simpatiche.” Abbiamo
parlato per un po’, poi il nipote ha salutato perché tornava al lavoro e noi due siamo tornate lentamente a casa. Per lei io ero
quasi una figlia, per me lei era un’anziana signora degna di rispetto.
Siccome la incontravo e ci parlavo piuttosto spesso, il non vederla
per lungo tempo mi incuriosiva. La porta di casa sua era chiusa e
le luci spente. Mi preoccupavo per lei, ma non sono andata a cercarla. Speravo che fosse andata a vivere da qualcuno della famiglia
che l’avesse accolta in casa, anche se capita raramente di questi
tempi. Una settimana fa, mentre stavo pulendo il giardino di mio
suocero, ho visto la luce accesa e la porta aperta. Una donna di
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colore con i capelli crespi lunghi fino alle spalle portava fuori il
cesto della biancheria e stendeva.
Mi ha fatto riflettere e intristito. Temevo che la famiglia l’avesse
messa in una casa di riposo per non dover pagare un affitto. Lei lì
viveva sola. Il marito ed il figlio erano morti anni fa in un incidente. Cercava comunque di tirare avanti da sola, con il suo stile di
vita semplice e spartano, combattendo contro l’età e gli acciacchi.
Quando passo davanti alla chiesa, come abitudine, guardo la bacheca con gli annunci di rosari e funerali, ma non ho mai visto la
sua foto accanto ad un annuncio.
Volevo chiedere a qualcuno, ma a chi altro importava di lei? Sapevo che viveva nel condominio di fronte, al secondo piano interno sei. Mi aveva chiesto di andarla a trovare qualche volta e tenerle compagnia bevendo una tazza di tè, ma non sono mai andata. Non mi andava che lavorasse per me. A meno che non fossi io
a portare da casa tè e biscotti. Sapevo che non era certo ricca e
non volevo che si privasse di qualcosa per me. Ma mi sarebbe stato bene se fosse venuta lei a trovarmi.
Per fortuna, non si offese e capì la mia idea. Era sempre sorridente e mi salutava. Mi è sempre piaciuta e ammiravo il suo stile. Anche con i suoi malanni era allegra, restava semplice e non si curava del silenzio altrui nei suoi confronti. Sapeva cogliere i lati positivi ed apprezzare anche la solitudine. Non aveva qualcuno ad
abbracciarla quando si sentiva triste, ed il telefono squillava raramente. La chiamava il nipote, per chiederle come stava e se avesse bisogno di qualcosa. Se aveva bisogno di qualche lavoretto in
casa, il nipote andava da lei e provvedeva.
Non mi ha mai detto cosa avrei dovuto fare o cosa avrei dovuto
pensare, come hanno fatto e fanno tanti impiccioni che non si
fanno i fatti propri. Io li aiutavo e la ascoltavo. Non sono una
persona che faccia molte scene, ma se l’altro lo merita so essere
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gentile. So cosa le persone apprezzano e come potrei farmele amiche, ma non mi interessa. Mi piaceva passare il tempo con lei,
perché tutto ciò che chiedeva era una persona che stesse ad ascoltare le sue storie e la comprendesse.
Mi ha dato il suo cuore, perché io le ho dato il mio e un paio di
orecchie che la ascoltavano. Stamattina sono ripassata davanti alla
bacheca della chiesa ed ho visto la notizia di un altro funerale. Ho
mormorato: “Spero che non sia lei.” C’era scritto che era morta
nella casa di riposo. Magari l’avevano davvero ricoverata lì. Ho
letto il nome e la data del funerale e la mia mente ha cominciato a
vagare. A quel punto mi sono chiesta: “Ma come si chiama? Come faccio a sapere se è lei o no se non conosco il suo nome e cognome?”
Ecco cosa avevo dimenticato di chiederle. E ora nella mia mente
rivedo la sua immagine, sperando di incontrarla ancora.
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Immagine
(di Fabio Sardi)
Nel concetto di immagine trovo almeno due sensi opposti. Uno è
il positivo, ed è l’immagine ispirazione di scrittori, fotografi, pittori e quant’altro.
Ritengo che sia stata utilizzata alla perfezione in un haiku di Basho del 1860, il famoso haiku del corvo:
Sul ramo spoglio
Un corvo immobile
Sera d’autunno
Io, nel mio piccolo, talvolta resto colpito da un’immagine e scrivo. Questi versi, ad esempio, li ho scritti il primo giorno del 2009,
in Spagna, a Caceres.
Pioggia e nebbia
abbracciano alberi spogli
e la vecchia cattedrale.
E’ immobile e silente,
muto bastione
sferzato dagli elementi,
rifugio accogliente
per una preghiera
da elevare al Signore.
Io rimango spesso estasiato anche visitando musei ed osservando
alcuni quadri, come ad esempio la nascita di Venere di Botticelli,
l’urlo di Munch, la camera da letto di Van Gogh o la zattera della
Medusa di Géricault.
L’immagine oggi ha anche un senso negativo, da società
dell’immagine. Di tempi nei quali l’apparenza viene spesso giudicata più importante della sostanza, da un numero sempre più fol26
to di gente, che di sostanza è del tutto priva. Di gente che vorrebbe essere un Dorian Gray, bellissima fuori, e pazienza se completamente marcia dentro.
Quest’estate ho passato le vacanze a Salò, e da lì sono andato anche a visitare il Vittoriale degli Italiani. E ho trovato fantastiche
delle parole che D’Annunzio aveva fatto incorniciare. Si trovavano sopra un grande specchio, scritte su marmo verde ed incorniciate, nella “stanza del mascheraio.” Era una delle due stanze in
cui D’Annunzio faceva attendere gli ospiti in attesa di incontrarlo.
Era la stanza per gli ospiti sgraditi, che dovevano attendere svariate ore, che potevano passarsi leggendo parte della vasta biblioteca
presente nella stanza, con alcune centinaia di libri. E l’iscrizione
diceva:
Al visitatore
Teco porti lo specchio di Narciso?
Questo è piombato vetro, o mascheraio
Aggiusta le tue maschere al tuo viso
Ma pensa che sei vetro contro acciaio
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INDICE
Prefazione di Fabio Sardi
Immagini di Luna di Lucia Tencaioli
Immagine marina di Paola Carroli
Percezione di Paola Carroli
Allo specchio di Giuseppina Sorbello
Un’immagine di Renato De Luca
Bestiario metropolitano di Marco Marzagalli
Ricordo d’infanzia di Enrica Vacca
Marie France di Brigitte Haegeli
Traduzione di Fabio Sardi
L’immagine di Mario Montagna
Sul lago di Maria Giovanna Franceschi
L’immagine incompleta di Sianne Ribkah M. H.
Immagine di Fabio Sardi
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pag. 03
pag. 04
pag. 05
pag. 06
pag. 07
pag. 08
pag. 11
pag. 15
pag. 16
pag. 18
pag. 21
pag. 22
pag. 23
pag. 26
QUADERNI PRECEDENTI
Quaderno n. 1 - La terra di Liguria
Quaderno n. 2 - Passioni ed incontri
Quaderno n. 3 - Festività, tradizioni e personaggi liguri
Quaderno n. 4 – Una frase che non ho detto o che ho letto
Quaderno n. 5 – I quattro elementi
Quaderno n. 6 – Il sogno
Quaderno n. 7 – Degli affetti
Quaderno n. 8 – Il viaggio
Quaderno n. 9 – Il lavoro
Quaderno n. 10 – Una strada, una piazza, un vicolo
Quaderno n. 11 – Seguire il cuore o la ragione?
Quaderno n. 12 – La bellezza
Quaderno n. 13 – La fratellanza
Quaderno n. 14 – Gli animali
Quaderno n. 15 – Romanticismo
Quaderno n. 16 – Storie in un altro tempo
Quaderno n. 17 – Felicità e tristezza
Quaderno n. 18 – La mia città
Quaderno n. 19 – La pioggia
Quaderno n. 20 – C’era una volta
Quaderno n. 21 – Inverno
Quaderno n. 22 – Musica
Quaderno n. 23 – Il mare
Quaderno n. 24 - Autunno
Essendo la nostra un'Associazione Culturale libera ed indipendente, ciascun autore si assume la sola e piena responsabilità delle opinioni politiche, religiose e, in generale, delle posizioni etiche e sociali contenute nei propri testi.
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RINGRAZIAMENTI
Un grazie sincero da parte di tutti gli scrittori di “Alba Letteraria” va allo staff della biblioteca Lercari, ed al Municipio Bassa
Val Bisagno che hanno sostenuto e finanziato il presente opuscolo.
Gruppo culturale
Alba Letteraria
http//:www.albaletteraria.beepworld.it
Per informazioni Gruppo Culturale Alba Letteraria
c/o Villa Imperiale - Biblioteca L. G. Lercari
L’impaginazione del presente opuscolo è curata da:
Fabio Sardi: [email protected]
Curatrice del sito web:
Paola Maria Carròli
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