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SOMMARIO n. 1 gennaio - febbraio 2012
Musica a Bologna - I programmi di Musica Insieme
Editoriale
Nuovo governo, tempi nuovi?
di Fabrizio Festa
Imprenditoria e cultura
Confcommercio Ascom - Enrico Postacchini
MICO - Musica Insieme COntemporanea
Intorno a Schoenberg
di Fabrizio Festa
Musica Insieme in Ateneo
Generazione di talenti
di Elisabetta Collina
Interviste
Stefano Bollani di Fulvia de Colle
Rté Vanbrugh Quartet - Pavel Haas Quartet di Cristina Fossati
I Musici - Sergej Nakariakov di Alessandro Di Marco
Il profilo
Ottorino Respighi
Kissin - Bashmet - Maisky - Zimerman
I concerti gennaio / febbraio 2012
di Chiara Sirk
Da ascoltare
MI
20
22
24
26
di Bruno Borsari
30
56
Per leggere
10
16
35
Il calendario
Made in Italy di qualità
14
28
di Lico Larvati
MI ricordo
Musica patriottica
13
di Carlo Vitali
58
In copertina Stefano Bollani (foto Paolo Soriani)
MUSICA INSIEME
EDITORIALE
NUOVO GOVERNO
TEMPI NUOVI?
Ogniqualvolta cambia il ministro dei beni
culturali si spera in un cambiamento di rotta. Che in Italia significherebbe qualcosa
di molto semplice: prendere finalmente atto
del valore del nostro patrimonio culturale. Patrimonio che, dagli scavi di Pompei
alla Scala, si estende lungo tutto l’orizzonte
delle arti umane. Cioè, sia che lo si guardi sotto il profilo museale e della conservazione dei beni (biblioteche e archivi inclusi), sia che lo si osservi dal punto di vista delle arti performative, e quindi del contributo in termini di tradizione e di innovazione, che la nostra storia nella musica,
nella danza, nel cinema, e così via, ha dato
e può dare. Peraltro, proprio la più che centenaria storia delle arti performative nel nostro Paese ha dato luogo a esiti rilevanti sotto entrambi i profili. Ad esempio, la costruzione e quindi l’uso di molti tra i maggiori teatri del mondo, quei “teatri storici” che tutti c’invidiano, ma che per alcuni sono solo un problema perché non sanno valorizzarli e non osano esprimere
apertamente quello che pensano (cioè: «magari li avessero bombardati gli alleati!»). Il
ministro Ornaghi si è appena insediato, e
nel decreto Monti (a oggi, 8 dicembre
2011) leggiamo già una decisione importante, che potremmo sintetizzare come il
“blocco della riforma Bondi”. Qualche segnale verso il rifinanziamento delle molte
attività sotto il controllo del MIBAC è già
arrivato. Si riparla (ottava volta) di detassazione delle sponsorizzazioni per la cultura.
Staremo a vedere. Certo è che ci si attenderebbe prima di tutto una scelta di tipo
filosofico: operare con energia e decisione
per la valorizzazione del nostro patrimonio
culturale. Non solo rifinanziando un settore che è tra i pochi in attivo in Italia (ogni
euro investito in attività culturali ne rende tre e sono migliaia coloro che lavorano,
con riconosciute competenze e professionalità, nel settore), ma anche e soprattutto aggiornando le regole. Le risorse pubbliche dovrebbero essere investite seguendo una metodologia che sia adeguata al
contesto attuale, e che quindi tenga conto di alcuni fattori, ignorati fino ad oggi.
In primo luogo i risultati in termini di progettualità artistica e di consolidamento dell’attività. Il che significa valutare l’effettivo l’impegno di chi opera (istituzione o privato), il suo impatto nell’ambito in cui opera (per esempio, l’incidenza dell’attività di
formazione rispetto al complesso del progetto artistico), ed ovviamente la correttezza
della gestione. Si tratta di semplici indicatori, alcuni dei quali fino ad oggi sono
stati considerati solo in maniera discrezionale, generando parecchie distorsioni del
sistema. Tale rinnovamento dovrebbe riguardare tanto le regole che valgono per le
istituzioni che lo Stato sostiene per intero
(come di fatto le fondazioni lirico-sinfoniche), quanto quelle riferite ad attività che
lo Stato (nelle sue diverse componenti) sostiene parzialmente (come stagioni, festival, eccetera). Un passaggio questo che potrebbe riequilibrare non solo le molte singolarità, che è facile trovare, per esempio,
nella ripartizione del Fondo Unico per lo
Spettacolo, ma anche, e soprattutto, costituire uno stimolo fondamentale a far meglio e a fare di più.
Fabrizio Festa
MI
MUSICA INSIEME
13
IMPRENDITORIA E CULTURA
Un commercio di qualità
Enrico Postacchini, Presidente di Confcommercio Ascom Bologna, ci parla del ruolo della
sua associazione a sostegno delle imprese del terziario, ma anche di accoglienza turistica,
in una società dove cultura e commercio sono indissolubilmente legate
D
a anni Confcommercio Ascom
Bologna interpreta, difende e
tutela gli interessi delle forze
imprenditoriali che operano
nel commercio, nel turismo, nei servizi
e nelle piccole e medie imprese e professioni, senza mai dimenticare il territorio in cui opera e le sue tradizioni.
accoglienza che si predispongono e sono
ovviamente ciò che fa sì che una città si
distingua rispetto a un’altra, cioè la peculiarità, al di là del patrimonio artistico, che una città può offrire. L’enogastronomia, la cultura, la musica sono tutti fronti che costituiscono la peculiarità
di una città, e appunto lì bisogna operare,
creando dei simboli. Bologna Incoming è
un’esperienza che oggi è appannaggio di
Federalberghi e Ascom, un piccolo esempio di come, rischiando assolutamente in
proprio perché di fatto è un’agenzia privata, si possa lavorare anche negli interessi del pubblico e quindi a favore del
territorio, perché non ci si pone solo il
problema di catturare clienti, ma di fare
un’opera di promozione implicita del territorio di Bologna all’estero».
Presidente Postacchini, come opera la
sua associazione in una realtà come
Bologna e quali sono le difficoltà maggiori che incontra nella sua azione?
«Quella di Confcommercio è un’azione
di supporto e affiancamento che viene attuata dalla nascita, dallo start up, fino allo
sviluppo di tante piccole e medie aziende del terziario; oggi il mercato è complicato, quindi anche il ruolo delle associazioni di categoria è più complesso
e deve rispondere ad esigenze sempre più
sofisticate. Bologna naturalmente non è
indenne da questo tipo di necessità».
Sempre più spesso a Bologna si sente
parlare di rilancio della città, rivitalizzazione delle zone di degrado, e sviluppo della promozione turistica. Le attività culturali, una realtà di forte impatto a Bologna, possono essere un traino per favorire la rinascita della città?
«Questo sicuramente, perché la cultura
è anche industria e quindi ricchezza, ed
è un formidabile strumento di catalizzazione di tante città che hanno fatto questa scelta molto prima di noi. Bologna ha
grandi risorse in questo senso, si tratta di
metterle in qualche modo a regime,
come già si sta cercando di fare, in un pacchetto accoglienza che veda anche la cultura come motivo di attuazione. Devo
dire che Ascom Confcommercio Bologna, così come Confcommercio nel panorama nazionale, è una delle associazioni
più attive in questo senso e si è sempre
occupata anche del territorio in cui opera con interventi diretti, non soltanto sot14
MI
MUSICA INSIEME
Confcommercio rappresenta una realtà importante a Bologna come il mondo del commercio e dei servizi. In che
modo cultura del consumo e consumo
di cultura possono coesistere nella società del XXI secolo?
Enrico Postacchini
to il profilo della pulizia e del decoro ma
anche della sicurezza, con azioni che vanno ben al di là di quelli che sarebbero i
meri vincoli statutari, spinta da un puro
senso di appartenenza e responsabilità».
Proprio a riguardo del territorio, Confcommercio Bologna e Federalberghi
Bologna hanno creato Bologna Incoming, struttura dedicata all’informazione ed all’accoglienza turistica in
modo completo e articolato. Nell’epoca della globalizzazione, secondo lei,
quanto investire sul territorio può rivelarsi una carta vincente e che ruolo
gioca in questo processo la riscoperta
delle tradizioni locali?
«Le tradizioni diventano un segno distintivo dell’offerta e dei vari pacchetti di
«Cultura del consumo e consumo di cultura possono e debbono coesistere,
come dimostra l’esempio di tutte le
nostre città. Anche la morfologia di Bologna, se pensiamo al quadrilatero, ci fa
capire come e dove è nata la nostra città: nello stesso luogo sono cresciute infatti le attività mercantili e commerciali e il nucleo della città stessa, sono nate
l’Università, la Camera di Commercio,
i monumenti, le chiese, tutto è cresciuto intorno al mercato. Quindi proprio
quando il nucleo si sviluppa e prolifera,
la città, nel momento in cui cresce e fa
affari, investe sul proprio territorio.
Questo è un esempio che viene dalla storia e un punto fondamentale del quale
non ci dobbiamo dimenticare: se la città cresce, investe in cultura, crea e si sviluppa, così come in passato ha creato
CARTA D’IDENTITÀ
CONFCOMMERCIO
ASCOM BOLOGNA
Presidente
Enrico Postacchini
Direttore Generale
Giancarlo Tonelli
Il Salone dei Carracci nella sede di Confcommercio Ascom Bologna
chiese, torri, monumenti, proprio perché c’era anche un sano spirito di sfida
e di concorrenza all’interno delle forze
che nella città lavoravano, che costituiva la molla di questo processo. Ecco
quindi che affari e cultura sono indissolubilmente legati».
Con il periodo di crisi economica e sociale che stiamo vivendo, inevitabilmente a farne le spese sono i contributi
alle attività culturali di ogni genere.
Come pensa che operatori privati e istituzioni pubbliche possano collaborare
in un ottica di sostegno della cultura?
«È evidente che in momenti di crisi come
questi, la cultura viene vista come un lusso in più, che molte aziende, anche per
così dire sotto il profilo del mecenatismo,
non possono più permettersi, o quanto
meno, possono permettersi in misura
molto ridotta rispetto a prima. È chiaro
che oggi sempre più la cultura debba organizzarsi sotto forma di impresa e quindi trovare anche al proprio interno risorse
ed energie, con una sana e oculata gestione che faccia sì che i conti vengano
a quadrare anche all’interno delle stesse
istituzioni culturali, proprio perché viene a mancare il sostegno pubblico e privato, essendoci altre esigenze primarie. In
quest’ottica pensare a una cultura sostenuta da forze esterne sarà sempre più dif-
ficile, e quindi dovrà venire dalle stesse
fondazioni e istituzioni culturali la forza di reggersi anche da sole».
Negli ultimi anni si è notato un proliferare nelle principali città italiane del
fenomeno delle Notti Bianche, fenomeno che trova in Confcommercio un
attivo sostenitore. A dispetto dell’incombere sempre più potente della cultura virtuale, questi fenomeni dimostrano che resistono ancora la fisicità
e la compresenza nella fruizione culturale. Come pensa si possa spiegare?
«Innanzitutto perché è molto forte il
senso di riappropriarsi di alcuni luoghi
della città, sposando un connubio di offerta commerciale e offerta anche culturale; ove possibile normalmente in
queste serate gli esercizi commerciali rimangono aperti oltre l’orario di chiusura e lo stesso avviene per musei, basiliche, luoghi d’interesse culturali che
fanno orari straordinari; questo già
crea un momento unico di “condivisione di obiettivo” legato all’accoglienza. Bisogna inoltre dire che le Notti
Bianche a Bologna hanno un taglio, per
quanto riguarda l’iniziativa su strada, volutamente nazional-popolare, se pur di
qualità, perché crediamo che per muovere grandi masse di gente occorra
dare un taglio anche di quantità di per-
Confcommercio Ascom Bologna è
un’organizzazione di categoria, aderente al sistema della Confcommercio
– Imprese per l’Italia, che rappresenta in via diretta ed esclusiva nella provincia di Bologna. Confcommercio
Ascom Bologna rappresenta oltre
16.000 Aziende ed interpreta, difende,
tutela gli interessi delle forze imprenditoriali che operano nel commercio,
turismo, servizi e nelle piccole e medie imprese e professioni. Attraverso
le società del gruppo, infatti, garantisce alle Imprese associate tutti i servizi di supporto nel campo politico-sindacale, amministrativo, pubblicitario,
assicurativo, finanziario, formativo,
delle relazioni sindacali e della contrattazione aziendale, legale e tributario ed in ogni altro settore tecnico ed
economico connesso alla loro attività.
sone, all’interno del quale poi è facile
trovare i veri appassionati per i luoghi
culturalmente meno raggiungibili durante il corso dell’anno. Si tratta quindi di aprire aree, piazze o luoghi a un
pubblico che normalmente magari non
è abituato a frequentarli o vederli.
Quindi da parte nostra in queste esperienze c’è anche una ricerca, sempre con
l’occhio alla qualità, anche alla quantità delle persone. Queste volutamente
non sono esperienze di nicchia, altrimenti dovremmo chiamare artisti per
così dire sperimentali, ma è una sorta di
fiera che però assicura sicurezza, pulizia, ordine, proprio per aprire a un pubblico che di norma è più abituato a stare al di fuori dei centri storici sia dei paesi che delle città, perdendosi magari in
luoghi esclusivamente commerciali più
freddi e più asettici; l’idea è quindi proprio quella di fare conoscere la città e le
sue attività commerciali come strumento unico di attrazione».
MI
MUSICA INSIEME
15
MICO - Musica Insieme COntemporanea 2012
Con il titolo Arnold Schoenberg. Frammenti per un ritratto, la settima edizione
di MICO s’inserisce nel progetto The Schoenberg Experience di Fabrizio Festa
D
Intorno a Schoenberg
a venticinque anni, l’impegno per la divulgazione e la
promozione delle esperienze
novecentesche e contemporanee è uno degli elementi costanti della programmazione di Musica
Insieme. Anzi, potremmo affermare
senza tema di essere smentiti che ne
abbiamo fatto una delle architravi del
nostro impegno, sia sotto il profilo
della divulgazione di una parte essenziale della produzione musicale (la modernità, comunque venga declinata,
non può essere negletta o relegata in
Giulio Rovighi
Silvia Donadoni
16
MI
MUSICA INSIEME
un canto per mere ragioni di carattere
ideologico e/o estetico), sia in quella
più articolata strategia che è orientata alla formazione del pubblico.
Un pubblico formato e informato
è un pubblico che riconosce il
valore delle differenze, è consapevole della storia, e quindi ha
coscienza delle trasformazioni.
In altre parole, è un pubblico
che non ha paura di confrontarsi col proprio presente, perché
d’altro canto conosce bene il passato. Così sotto i nostri riflettori si
sono alternati testimoni e testimonianze, certo molto diverse tra loro,
del presente e del recente passato. Dal
jazz (Gil Evans Orchestra, Uri Caine,
solo per citare i primi che ci vengono
alla mente) a chi già molti anni fa viveva al confine tra accademismo e non,
come Friedrich Gulda. E poi, basterebbe qui rammentare i nomi di Luciano Berio o Giuseppe Sinopoli, ed
ancora le straordinarie interpretazioni
di Maurizio Pollini centrate su Luigi
Nono o su Karlheinz Stockhausen,
quest’ultimo a sua volta ospite delle
nostre stagioni. Lunga sarebbe la lista, tanto più che ad essa andrebbero
aggiunti tutti i contributi – come le serate speciali dedicate a Prokof ’ev e a
Šostakovič, le tante esecuzioni in
prima assoluta, o i numerosissimi inserimenti di pagine novecentesche (da
Gershwin a Schnittke) che hanno caratterizzato e caratterizzano le nostre
diverse programmazioni – che in qualche modo hanno arricchito e sostenuto le attività specificamente focalizzate sulla musica dei nostri giorni. Il
tutto dimostrando ampiamente la debolezza di un assunto tutto italiano:
cioè che la musica dei nostri giorni, accademica o meno, colta o jazz, etnica
o minimal, sia sgradita al grande pubblico. Si tratta chiaramente di un errore prospettico, in gran parte addebitabile alle modalità in cui la musica del
presente viene presentata. D’altronde,
sarebbe bene sempre tenere a mente
che la musica del presente (che fosse il
presente di Bach, di Beethoven o di
Puccini) non ha incontrato automaticamente il favore del pubblico. Al contrario, l’aneddotica dei fiaschi (anche
eccellenti) è sterminata, così come ampia e variegata è la letteratura critica,
cronachistica o musicologica. Fra
stroncature e previsioni, poi rivelatesi
errate, ecco che abbiamo una storia
parallela della musica in Occidente
musica insieme contemporanea
CALENDARIO
25
gennaio 2012 mercoledì ore 20.30
Foyer Rossini del Teatro Comunale
SILVIA DONADONI voce recitante
ANTONELLA MORETTI
MAURO RAVELLI pianoforte a 4 mani
Musiche di Schoenberg, Galante
24
febbraio 2012 venerdì ore 20.30
Foyer Rossini del Teatro Comunale
Walzerabend
STRUMENTISTI DEL TEATRO
COMUNALE DI BOLOGNA
Musiche di J. Strauss,
Schoenberg, Webern, Berg
1
marzo 2012 giovedì ore 20.30
Foyer Rossini del Teatro Comunale
GIULIO ROVIGHI violino
ANDREA REBAUDENGO
pianoforte
Musiche di Schoenberg, Debussy,
Dallapiccola, Webern, Stravinskij
FontanaMIX Ensemble
fatta solo di ciò che poi si è rivelato
sbagliato: d’insuccessi divenuti capolavori, di capolavori che son durati lo
spazio di un mattino e son stati subito
dimenticati. È in questo contesto – in
un contesto cioè consapevole della mutevolezza dell’animo umano e della caducità del giudizio – che Musica In-
sieme fin dai suoi primi passi ha deciso
di dare spazio al recente passato e al
presente, accogliendone con il dovuto
rispetto i suoi multiformi ingegni ed inserendone le opere nelle proprie programmazioni nella maniera più opportuna. Con queste premesse, nel 2006
Musica Insieme ha creato la rassegna
8
marzo 2012 giovedì ore 20.30
Foyer Rossini del Teatro Comunale
FONTANAMIX ENSEMBLE
NICHOLAS ISHERWOOD voce recitante
FRANCESCO LA LICATA direttore
Musiche di Cage, Rihm, Fedele, Schoenberg
29
marzo 2012 giovedì ore 20.30
Foyer Rossini del Teatro Comunale
FONTANAMIX ENSEMBLE
FRANCESCO LA LICATA direttore
Musiche di Fedele, Boulez,
Schoenberg, A. Clementi
MICO, patrocinata dalla Regione Emilia-Romagna e specificamente dedicata
alla musica contemporanea. Non stupisce che, date appunto le premesse di
cui sopra, la nostra iniziativa sia divenuta ben presto una vetrina importante, nella quale esporre alcune delle
più interessanti esperienze dell’oggi,
con prime esecuzioni assolute e italiane
affidate a specialisti riconosciuti quali
Quartetto d’Archi del Teatro Comunale di Bologna
MI
MUSICA INSIEME
17
MICO - Musica Insieme COntemporanea 2012
Andrea Rebaudengo
Giovanni Sollima, Monica Bacelli, Gianluca Cascioli, il Quartetto di Cremona,
Pascal Gallois, o il già citato Pollini, con
ciò dimostrando sempre particolare attenzione anche per gli artisti – interpreti
e compositori – del nostro Paese. Ed è altrettanto naturale che MICO abbia trovato immediata collocazione nel contesto del progetto The Schoenberg
Experience. Con il titolo Arnold Schoenberg. Frammenti per un ritratto, la
settima edizione di MICO intende dare
il proprio contributo a tale iniziativa.
Un’iniziativa del resto che ci vede al
fianco delle principali istituzioni musicali
cittadine e che si configura come una
delle maggiori mai dedicate sinora al
compositore austriaco. Il programma di
MICO 2012, realizzato con il contributo di Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Bologna e Cassa di Risparmio di
Bologna, e da quest’anno con la colla-
borazione tecnica di SOS Graphics, si
arricchisce quindi di un tributo a Schoenberg, omaggio realizzato attraverso
una panoramica, mirata ad illuminare
le infinite sfaccettature della sua opera.
Tutti i concerti avranno luogo al Teatro
Comunale (nel Foyer Rossini), a testimoniare un’altra ormai longeva collaborazione, quella con il teatro cittadino.
Secondo un’altra consolidata consuetudine dei nostri cartelloni, le partiture del
compositore viennese saranno inserite a
loro volta entro una prospettiva storica,
da un lato allo scopo di delineare i legami storico-musicali con le radici del
suo linguaggio, dall’altro per cogliere le
diramazioni future della sua eredità, lascito che, com’è noto, è stato fonte di fecondissima ispirazione. Nel concerto
inaugurale, il 25 gennaio 2012, la parabola creativa del Viennese sarà quindi
necessario preludio ad un recentissimo
melologo di Carlo Galante, Storie di fan-
tasmi, completato nel 2011, con la voce
recitante di Silvia Donadoni e il pianoforte del duo formato da Antonella Moretti e Mauro Ravelli. All’originale percorso in musica lungo le più interessanti
tipologie del “racconto di fantasmi” che
approderà per la prima volta a Bologna
per MICO, si accosteranno due pagine
schoenberghiane destinate al pianoforte a
quattro mani: rispettivamente i Sechs
Stücke del 1896, ancora intrisi di sonorità
tardoromantiche, ed il raro frammento
della Fantasia del 1937, dove il linguaggio atonale ha già impresso alle note il
proprio marchio di razionalità. Lo Schoenberg straordinario trascrittore di un altro grande viennese, qual è Johann
Strauss, sarà invece al centro della successiva Walzerabend, il 24 febbraio, affidata al Quartetto d’Archi del Teatro
Comunale di Bologna insieme ad alcune fra le prime parti dell’Orchestra cittadina, da Devis Mariotti (flauto) a
Luca Milani (clarinetto). Il 1° marzo, il
recital di Giulio Rovighi e Andrea Rebaudengo (l’uno già prima parte della
Scala e di Santa Cecilia ed oggi primo
violino del Quartetto Prometeo, l’altro
accreditato interprete della contemporaneità, in duo con Cristina Zavalloni
come nei Sentieri Selvaggi) affiancherà lo
Schoenberg cameristico della Fantasia
op. 47 alle originali esperienze novecentesche di Debussy, Dallapiccola e Webern. Infine, i due concerti affidati da
Musica Insieme al FontanaMIX Ensemble, rispettivamente l’8 e il 29
marzo 2012, inseriti nel ritratto dedicato
quest’anno alla figura di Ivan Fedele, coglieranno di Schoenberg altri due aspetti
fondamentali: la scrittura per il cinema,
con la Begleitmusik zu einer Lichtspielszene
del 1930, e l’impegno politico, con l’Ode
a Napoleone del 1942, potente messaggio
contro ogni tirannide da parte di un
grande esule dalla Germania nazista.
ACQUISTO BIGLIETTI
BIGLIETTERIA DEL TEATRO COMUNALE (Largo Respighi, 1)
A partire da venerdì 20 gennaio 2012 negli orari di apertura (dal martedì al venerdì ore 12-18 / sabato ore 10,30-16).
PREZZI: Posto unico € 10
Abbonati Musica Insieme e Teatro Comunale, studenti Università e Conservatorio € 7
18
MI
MUSICA INSIEME
MUSICA INSIEME IN ATENEO
Generazione di talenti
M
Giunge alla sua XV edizione la rassegna organizzata dalla Fondazione Musica Insieme
e dedicata agli studenti e al personale dell’Ateneo bolognese di Elisabetta Collina
usica Insieme in Ateneo celebra quindici anni di concerti, un traguardo raggiunto
anche grazie al fondamentale contributo di ASCOM
Bologna, Cassa di Risparmio di Bologna, Fondazione Cassa di Risparmio in
Bologna, Fondazione del Monte e Unicredit, e con la preziosa partnership tecnica di SOS Graphics. Da tre lustri si
rinnova quindi l’impegno di Musica Insieme per offrire al pubblico dei giovani
un’occasione formativa che vada ben oltre il momento del concerto: ogni appuntamento del cartellone infatti è parte
di un organico percorso didattico, che sia
al contempo accattivante e stimolante, e
che ci vede costruire un itinerario nella
storia del repertorio e degli “strumenti
della musica”. Ciò è possibile grazie alla
Beatrice Magnani
20
MI
MUSICA INSIEME
Orchestra da Camera del Collegium Musicum
scelta di programmi mirati, che Musica
Insieme affida ad artisti forti della vittoria nelle principali competizioni internazionali. Come vedremo sfogliando
brevemente il cartellone, straordinari
sono i musicisti ospiti di questa quindicesima edizione, che si arricchisce quest’anno di un’ulteriore, importante collaborazione: quella con l’Accademia
Pianistica “Incontri col Maestro” di
Imola, dal 1989 eccezionale fucina di talenti diretta dal Maestro Franco Scala.
La strategia di Musica Insieme in Ateneo
è peraltro assai vicina a quella dell’Accademia imolese: non soltanto insegnare, ma favorire anche l’incontro e lo
scambio fra docenti e studenti, prediligendo la pluralità delle letture e delle
esperienze al tradizionale insegnamento
autoritario e autoreferenziale. Al centro
lo studente, quindi, che intorno a sé
trova uno spazio aperto, stimolante, e
ricco di ‘incontri’ nei quali matura insieme all’insegnante gli aspetti estetici,
storici, tecnici dell’interpretazione.
Nello stesso spirito sono concepiti gli
appuntamenti di Musica Insieme in Ateneo, che attraverso conversazioni introduttive tenute dai docenti, sì, ma anche
dagli stessi artisti sul palco, mira ad abbattere quella barriera che spesso si instaura fra pubblico e artista, avvicinando
ancor più gli studenti a coloro che da
quel palco desiderano soprattutto comunicare un messaggio, e comunicare la
propria arte (e spesso la loro età anagrafica li fa sentire ancor più vicini al pubblico in sala, innescando un altrettanto
importante processo di identificazione).
Ad inaugurare la rassegna lo scorso 16
novembre, è stato dunque un duo pianistico formato da due brillanti allievi
dell’Accademia di Imola, André Gallo e
Alessandro Tardino, entrambi vincitori
di numerosi concorsi internazionali ed
ospiti dei più prestigiosi teatri, dalla Fenice di Venezia alla Konzerthaus di Berlino. Altro duo proveniente dall’Accademia di Imola, quello formato da
Alberto Casadei al violoncello e Federico Colli al pianoforte, sarà sulla scena
il 15 marzo 2012. Venendo agli appuntamenti di questo bimestre, ecco ancora due allieve dell’Accademia di Imola
che si sono già ampiamente distinte in
campo internazionale, come Anna Fedorova e Beatrice Magnani: la prima,
che ascolteremo il 26 gennaio, è vincitrice di numerose competizioni pianistiche, tra cui il Premio al Concorso
“Fryderyk Chopin” di Mosca; a soli vent’anni si è esibita nelle sale di tutta Europa, da Amsterdam a Parigi, a Francoforte, ed ha suonato in Argentina e
CALENDARIO
gennaio/febbraio 2012
2012 giovedì ore 20.30
26 gennaio
Aula Absidale di Santa Lucia
Anna Fedorova
pianoforte
Musiche di Scarlatti, Schubert, Liszt
2012 giovedì ore 20.30
2 febbraio
Aula Absidale di Santa Lucia
Orchestra da Camera del
Collegium Musicum Almae Matris
Caterina Centofante direttore
Musiche di Wolf - Ferrari, Gounod, Britten, Bartók
2012 giovedì ore 20.30
9 febbraio
Aula Absidale di Santa Lucia
Beatrice Magnani
pianoforte
Musiche di Beethoven, Liszt
Anna Fedorova
Messico in tour con l’Orchestra Filarmonica di Buenos Aires e l’Orchestra
Sinfonica Nazionale del Messico. Beatrice Magnani (sul palco il 9 febbraio)
ha suonato alla Sala Čajkovskij di Mosca, alla Feng-Youang Music Hall di Taiwan, alla Sala Piccola della Filarmonica
di San Pietroburgo ed è stata chiamata
a partecipare a numerosi festival e stagioni concertistiche, oltre a collaborare
con orchestre come la Sinfonica di Cernivci (Ucraina), la Filarmonica Morava
di Olomuc (Repubblica Ceca) e la Mozart Chamber Orchestra di Padova.
Si conferma inoltre anche per questa edizione il concerto del Collegium Musicum, attivo dagli anni Cinquanta e ormai realtà importante sia per l’Ateneo
bolognese che per la città. Il 2 febbraio,
l’Orchestra da Camera del Collegium
Musicum sarà diretta da Caterina Cen-
tofante, che ha debuttato nel 2002 alla
testa dei Pomeriggi Musicali, e ha diretto orchestre quali Stuttgarter Philharmoniker, Orchestra della Toscana, Accademia del Maggio Fiorentino, Orchestra
Haydn di Trento e Bolzano, Florence
Symphonietta e Junge Philharmonie Salzburg ed è stata maestro collaboratore
per diversi enti nazionali e internazionali,
come Nuovo Teatro di Bolzano, Pergine
Spettacolo Aperto, Opera and Ballet
Theatre Tbilisi. Come da tradizione, ricordiamo che il concerto conclusivo
della rassegna, giovedì 19 aprile 2012,
si realizzerà grazie alla collaborazione tra
Fondazione Musica Insieme e Centro
La Soffitta del Dipartimento di Musica
e Spettacolo dell’Università di Bologna.
Protagonista sarà il Wiener Mozart
Trio: attivo da vent’anni sulle scene di
tutt’Europa e Asia, il Trio ha suonato
nelle più rinomate sedi concertistiche,
quali Sala Verdi di Milano e Wigmore
Hall di Londra, Concertgebouw di Rotterdam e Wiener Konzerthaus, ed ancora, le sale da concerto di Shanghai e
Beijing.
Emblematici i repertori proposti, che
mirano come sempre a fornire un quadro il più possibile esaustivo della grande
letteratura musicale: dalle rarità per pianoforte a quattro mani proposte in apertura, ai capisaldi del trio con pianoforte
che concluderanno la rassegna, i nomi di
Beethoven, Brahms, Schubert, Schumann, Liszt e Chopin costituiranno le
fondamenta più profonde e significative
del repertorio maggiore, di fronte alle
quali s’illumineranno con maggior forza
– e nella necessaria prospettiva storica –
le esperienze novecentesche di Bartók e
di Britten, di Fauré come di Prokof ’ev.
INFORMAZIONI PER IL RITIRO DEGLI INVITI
L’ingresso a tutte le manifestazioni della rassegna è gratuito per gli studenti ed il personale docente e tecnico amministrativo dell’Università di Bologna; gli inviti possono essere ritirati presso la sede dell’URP in
Largo Trombetti n. 1 la settimana precedente ciascun concerto (Lunedì, Martedì, Mercoledì e Venerdì dalle 9 alle 12,30; Martedì e Giovedì dalle 14,30 alle16,30). Il giorno del concerto, tutti i cittadini potranno ritirare gli inviti ancora disponibili (sempre all’URP, dalle 14,30 alle 16,30).
MI
MUSICA INSIEME
21
L’INTERVISTA
STEFANO BOLLANI
S
Elogio del presente
Intrattiene come un concerto la parlata del pianista e performer milanese, capace
di passare da Topolino a Ravel con la forza dell’improvvisazione di Fulvia de Colle
tefano Bollani suona il jazz, ma
anche i Concerti di Gershwin
e Ravel con l’Orchestra del Gewandhaus di Lipsia diretta da
Chailly. Suonando sa persino
far ridere (e lo dimostrano i suoi ghignanti colleghi Riondino e Marcorè nel
Dottor Djembè di Rai Radio 3) e di musica sa anche parlare (e lo dimostra la sua
recente trasmissione Sostiene Bollani,
questa volta sullo schermo televisivo
della stessa rete). Per Bollani i generi si
suddividono semplicemente in «musica
bella e musica brutta. Jazz, rock e tutto
il resto sono generi che abbiamo inventato noi per poter parlare di musica, però
la musica è una sola».
La diffusione via web, da Youtube alle
pagine su Facebook e via dicendo, fa
bene o male alla musica oggi?
«Di Facebook non ne faccio molto uso,
anzi vedo in giro un po’ di dipendenza…
però è anche vero che forse sono troppo
vecchio, perché invece vedo che i giovani
ci si accostano con molta naturalezza;
probabilmente è come per noi il personal computer, che ci ha tutti entusiasmati ed esaltati perché in un certo senso
l’abbiamo visto nascere. Ad ogni modo
il web fa bene alla comunicazione, oggi
vedo che ci si scambiano informazioni,
22
MI
MUSICA INSIEME
ricordi, reperti tramite Youtube, del
quale invece sono davvero addicted…
Devo dire che Youtube è una grande trovata, pericolosa anche quella perché se ne
può fare abuso, però è bellissimo avere a
disposizione un archivio enorme di immagini, qualcosa che puoi richiamare in
un attimo alla memoria».
Quindi saprai bene che Youtube pullula di tuoi video…
«Li ho visti, e consideriamo il lato positivo: mi rassegno al fatto che qualsiasi
cosa io stia facendo, un concerto in una
qualche parte del mondo, possa finire su
Youtube; ma questo è di stimolo a tutti,
perché non puoi fare passi falsi. Non
puoi fare un brano brutto una sera da
qualche parte, perché il giorno dopo magari è il video più cliccato, grazie a un titolo accattivante, o non so che altro... poi
siccome i concerti jazz sono tutti diversi,
specie quando uno improvvisa, se qualcuno si prende la briga di registrare e di
condividere una serata è anche bello,
tanto non sostituisce l’esperienza live di
un concerto; semmai anzi invoglia qualcuno a venirci, ai concerti».
Infatti: di recente qualcuno ha detto
che andare al cinema è come andare
a messa. Il momento della fruizione
insieme ad altre persone rimane comunque un rito.
«Esatto, c’è la contemporaneità che fa la
differenza. La condivisione su Facebook
cerca di sostituire proprio questo. Io ti
mando un video e magari tu lo guardi
cinque minuti dopo che te l’ho mandato, e quindi è un po’ come se lo stessimo guardando insieme, più o meno
come l’idea di essere insieme al cinema.
Poi, il teatro e il concerto dal vivo sono
una cosa ancora diversa, perché c’è una
persona vera che sta facendo qualcosa,
non è stato semplicemente acceso un
proiettore».
A proposito del momento del concerto, sappiamo che non sapremo che
cosa suonerai: Ravel, Prokof’ev, standard jazz o canzoni… come avviene la
scelta, sempre che sia un processo descrivibile?
«È molto semplice da descrivere: suono
“
In Ravel c’è tutto: c’è la Francia, ma anche le sue origini basche,
la sapienza dei cembalisti francesi e l’amore per la musica antica
quello che mi viene in mente. Quando
suono in gruppo è diverso, ma quando
sono da solo non decido nulla, perché il
bello è proprio poter improvvisare, entrare e uscire da un brano, e se un brano
mi annoia lo chiudo prima, così un pezzo
può durare tre minuti e un altro quindici.
Prima di suonare sto semplicemente in
relax, se posso, e non penso affatto al
concerto. L’importante è pensare ad altro,
così quando sali sul palco vivi il presente
e sei completamente concentrato, così
come un attimo prima eri concentrato a
mangiare o a chiacchierare».
Sarebbero validi consigli per la gestione dell’ansia.
«Lo chiameremo Elogio del presente, un
testo filosofico…».
Dopo Gershwin, riuscitissima fusion
di classica e jazz, con Chailly hai appena inciso il Concerto in sol di Ravel.
Come mai hai scelto proprio Ravel?
«Chailly ha proposto Ravel, pensavamo
anche al Concerto per la mano sinistra,
poi sono stato io a dirottarlo sul Concerto in sol perché ne sono innamorato,
come sono innamorato di Ravel in generale, non c’è bisogno di dirlo. Ma la
molla in più che mi ha spinto a pensare
che forse in effetti lo avrei potuto avvicinare è il fatto che Ravel viveva in
un’epoca in cui il jazz stava nascendo, ne
sentiva il profumo e il sapore, e lo usava
in mezzo a tante altre spezie. Perché poi
in Ravel c’è tutto: c’è la Francia, ma anche le sue origini basche, la sapienza dei
cembalisti francesi e l’amore per la musica antica. Quindi ho pensato che forse,
specie in alcuni passaggi, ci fosse la possibilità di affrontare questo concerto da
un’altra angolazione. Ciò detto, nessuno
deve aspettarsi niente di rivoluzionario.
È nei dettagli, nelle sfumature che abbiamo tentato di fare qualcosa di diverso, anche perché ci sono delle incisioni di questo concerto che sono
inarrivabili: se qualcuno dovesse pensare
a Martha Argerich o ad Arturo Benedetti
Michelangeli, non lo suonerebbe più.
Infatti bisogna semplicemente dimenticarsi anche di quello, come ti dimentichi
la cena di un attimo prima. Con Chailly
abbiamo un buon metodo, di solito
ascoltiamo molto le incisioni altrui, ma
io in particolare mi soffermo su quelle
che non mi piacciono, perché è un modo
per decidere cosa non fare, e così mi rimangono aperte le possibilità su cosa
fare. Se invece ascolto quelle che mi piacciono è finita, perché poi si tende all’emulazione, e ovviamente non sarai
mai al livello dell’originale».
Fai queste premesse perché quando
suoni tu ci si aspetta che incominci ad
improvvisare all’improvviso?
«Un po’ è così. Certo ormai credo s’immaginino tutti che non improvviseremo
su Ravel, però si aspettano comunque
un’esecuzione più jazzistica: non si sa
bene cosa voglia dire, ma magari si aspettano una versione più ritmica, più veloce
o con più accenti del solito. Invece non
è detto che andremo in quella direzione;
per esempio nel secondo tempo del Concerto abbiamo tentato di mantenere lo
stesso metronomo dall’inizio alla fine,
senza quei languori che possono scappare
nei tempi lenti, specialmente a chi viene
dal jazz. Invece ci sarebbe piaciuto, da interpreti, restituire un po’ di patina di
glacialità a Ravel, che era un uomo del
Novecento e non un romantico».
In effetti all’“orologiaio svizzero”,
come lo definiva Stravinskij, i languori
avrebbero forse dato fastidio…
«Sì, anche se è strano, perché per come
siamo abituati ad ascoltare Ravel e ad
immaginare la Francia ai primi del secolo
scorso ci rappresentiamo un’altra cosa,
un po’ languida, che invece sotto sotto
nelle sue partiture non vorrebbe esserci.
C’è piuttosto un riferimento se va bene
alla musica antica e sennò all’orologio
svizzero: come il Bolero, che è una cosa
che parte con un tempo e va avanti fino
in fondo in quel modo, dopo di che è
languido il risultato, ma l’idea è molto
secca… Credo che il Bolero fosse un
“
esperimento che gli è riuscito talmente
bene da sfuggirgli di mano: se si potesse
scrivere una storia della musica vista dai
compositori, sono convinto che ognuno
sceglierebbe del proprio repertorio un
altro brano rispetto a quello che poi è
passato alla storia. Vale per i cantautori,
figurarsi per autori come Stravinskij o
Ravel. Forse solo Gershwin avrebbe
scelto la Rapsodia, dal momento che per
lui il successo equivaleva in un certo
senso al valore dell’opera».
Nel 2006 è uscito il tuo libro La Sindrome di Brontolo, e si è parlato di
Queneau per l’improvvisazione e il
continuo gioco con le parole e con le
strutture narrative. Un po’ come fai
quando suoni, smontando e rimontando le note come faceva Queneau
con le parole?
«Sì, il libro è visibilmente un omaggio a
Queneau, anche se non voluto. Me ne
sono accorto dopo; è un po’ come
quando uno scrive un pezzo, si accorge
che assomiglia a una canzone di Pino
Daniele, e lo intitola Omaggio a Pino
Daniele… Però effettivamente è così, perché è un libro con una struttura molto
ferrea e precisa, e poi dentro i personaggi
improvvisano, come cinque temi che si
rincorrono. Mi ha dato una mano proprio quello che accade quando uno suona
jazz: prende una struttura che il pubblico perlopiù non avverte, e ci improvvisa dentro».
L’improvvisazione, insomma, non
s’improvvisa: se non ci si dà qualche
regola, non si rischia mai di perdersi?
«Io tendo a darmele, me le do in corsa a
volte, ma me le do, perché l’improvvisazione ‘senza rete’ oltre a essere più difficile può risultare anche meno interessante. A me piacciono quelle cose, anche
in letteratura, dove il risultato sembra
senza rete ma in realtà non lo è. Ma mi
piacciono anche, all’opposto, quegli assoli che sembrano scritti e invece sono
stati inventati sul momento. L’importante alla fine è sempre il risultato...».
MI
MUSICA INSIEME
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INTERVISTA DOPPIA
RTÉ VANBRUGH QUARTET - PAVEL HAAS QUARTET
La musica dal Nord all’Est
D
Storia, passioni e progetti a confronto tra due dei più affermati quartetti d’archi
oggi in attività, ospiti di Musica Insieme rispettivamente il 23 gennaio e il 20 febbraio
ue formazioni molto diverse,
ma legate da una profonda ammirazione per Beethoven. Il
primo, Quartetto residente
della Radio Televisione nazionale, festeggia proprio come la nostra
Fondazione venticinque anni di concerti; il secondo è invece un quartetto
giovane, ma già affermato internazionalmente dopo il trionfo al “Borciani”
nel 2005. I due violoncellisti, Christopher Marwood per l’RTÉ Vanbrugh
Quartet e Peter Jar u° šek per il Quartetto
Pavel Haas, si fanno portavoce del
gruppo nel raccontarci esperienze, passioni, motivi di soddisfazioni e progetti
per il futuro.
Il compositore preferito?
RTÉ Vanbrugh Quartet: «I quartetti di
Beethoven hanno una così grande varietà
e profondità che sarebbe veramente difficile per i musicisti di un quartetto non
di Cristina Fossati
inserirli al top della lista. Ugualmente,
sebbene il concetto di “preferito” sia difficile da intendere e la nostra preferenza
cambi certamente in accordo con il
mondo musicale nel quale stiamo vivendo in un particolare momento, possiamo dire che nel programma che suoneremo per Musica Insieme sono
presenti tre dei nostri autori preferiti!».
Pavel Haas Quartet: «Al di là di Pavel
Haas, alla cui memoria abbiamo voluto
intitolare il nostro quartetto, non è comunque facile, vista anche la vastità del
repertorio per quartetto d’archi, indicare una predilezione. Dovessi fare una
lista di nomi, ecco Schubert e Janáček.
Certamente, però, e parlando in generale, il mio preferito resta Beethoven.
Lo considero il musicista più importante
in assoluto, anche al di là del suo pur rilevantissimo contributo alla musica per
quartetto d’archi».
C’è un particolare riferimento a cui
guardate?
RTÉ Vanbrugh Quartet
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MI
MUSICA INSIEME
RTÉ: «Io vorrei rendere omaggio sia all’Amadeus Quartet che al Guarnieri: entrambi, in modi diversi, hanno avuto
una grande influenza su di noi. Per il
presente invece mi vengono in mente le
fantastiche performances dei Quartetti
Auryn e Casals, ma è davvero un esercizio impossibile estrarre nomi di singoli
quartetti tra i tanti giovani ensembles di
qualità che suonano oggi».
PHQ: «Se pensiamo che siamo un quartetto formatosi a Praga, sarebbe quasi
del tutto naturale guardare alla nostra
grande tradizione quartettistica. Però noi
ci siamo formati presso diverse scuole, a
cominciare da quella di Fiesole. Dunque,
abbiamo potuto in certo senso conoscere e approfondire modalità ed attitu-
dini diverse nell’affrontare il repertorio
quartettistico. Oltre alla fondamentale
esperienza fiesolana, abbiamo studiato
Beethoven con Norbert Brainin, o Smetana con Miloš Škampa dell’omonimo
ensemble, o il repertorio russo con Valentin Berlinskij del leggendario Quartetto Borodin. Insomma, abbiamo cercato gli specialisti ogniqualvolta
volevamo avvicinarci a specifiche sezioni
del repertorio. Potremmo dire che abbiamo seguito sempre il medesimo percorso: ad ogni tassello del repertorio che
abbiamo aggiunto corrisponde un musicista con cui lo abbiamo studiato».
Quando e com’è nato il vostro Quartetto?
RTÉ: «Il nostro Quartetto è nato alla Royal Academy of Music di Londra nel
1985; nei suoi 25 anni di storia ha visto
solo un cambio di componente, Keith
Pascoe, proveniente dal Quartetto Britten, che si è unito all’ensemble nel 1998».
PHQ: «Veronika, il primo violino, che è
anche mia moglie, ha fondato il Quartetto nel 2002 assieme a Pavel, la viola. Io
mi sono unito a loro nel 2004, mentre
Eva è arrivata tre anni fa. Quindi, sono tre
anni all’incirca che suoniamo con questa
formazione. Prima di entrare a far parte
del Pavel Haas, io suonavo con il Quartetto Škampa. Veronika rimase affascinata dal lavoro che facevamo con quel
Quartetto, e proprio sull’onda di quella
fascinazione decise di fondarne uno suo».
Quali sono stati i vostri più importanti
maestri?
RTÉ: «Ce ne sono sicuramente troppi tra
cui scegliere, ma sicuramente Sidney
Griller e i membri dei Quartetti Amadeus e Vermeer, Emanuel Hurwitz e
William Pleeth».
PHQ: «Al di là di quelli che ho citato,
uno su tutti è stato il nostro vero mentore: Milan Škampa, la viola del Quartetto Smetana. Tra di noi si era creata
una relazione che andava ben al di là
della musica. D’altronde, quando lo abbiamo conosciuto eravamo giovani, ma
non così giovani. Non c’era bisogno di
dirci come suonare le note. Quello sapevamo già farlo. Così, oltre che discutere di musica, parlavamo di tutto ciò
che concerneva la nostra attività, della
vita stessa. Per noi è stato anche molto
importante poterci confrontare con un
musicista che era diventato famoso negli
anni Cinquanta e Sessanta, e che in quegli anni era “on the road”. Anni completamente diversi dai nostri, anni dove
c’era meno competizione, ma le cose
erano anche più difficili».
Il riconoscimento più importante?
RTÉ: «Meno di un anno dopo aver iniziato a suonare insieme a Londra, ci
siamo trasferiti in Irlanda per occupare la
posizione di Quartetto residente della
RTÉ. Due anni dopo abbiamo vinto la
London International String Quartet
Competition».
PHQ: «Sicuramente il primo premio
vinto nel 2005 al Concorso Borciani [e fu
in quell’occasione che Musica Insieme ospitò
per la prima volta a Bologna il Quartetto
Pavel Haas, ndr]. Un anno davvero unico
per noi quello. Per prepararci al Borciani
avevamo deciso di partecipare al Concorso della Primavera di Praga. Dieci mesi
passati a provare. Nel maggio di quell’anno affrontammo il concorso a Praga e
lo vincemmo. È stato il passaggio fondamentale che ci ha portati poi al Borciani».
Il più bel concerto?
RTÉ: «Uno dei più bei momenti è stata
certamente la nostra interpretazione, nel
2010, dei Quartetti di Beethoven alla
Cadogan Hall di Londra. Una forte e
profonda conoscenza dell’opera, unita
all’approssimarsi del nostro venticinquesimo anniversario, ci ha evidentemente ispirato per un’esibizione speciale,
di altissimo livello. È rimasta inoltre impressa nella mia mente la nostra splendida recente collaborazione con Barry
Douglas nel Quintetto con pianoforte di
Brahms. Pensando invece ad altri musicisti, non dimenticherò mai la straordi-
Pavel Haas Quartet
naria lettura dell’opera 127 di Beethoven
eseguita dal Quartetto Guarnieri a Londra nel 1986».
PHQ: «Rispondendo così, senza riflettere: Steven Isserlis che suona Bach».
canto al brillante Quartetto n. 1 di Čajkovskij troviamo un capolavoro assoluto
qual è quello di Debussy, e con Smetana
proponiamo un tributo alla nostra
grande tradizione ceca».
Qual è il pezzo che più vi emoziona
suonare insieme?
C’è un brano o un autore che vi piacerebbe particolarmente approfondire
in futuro?
RTÉ: «Questa è una domanda davvero
personale, alla quale posso rispondere
per quanto riguarda me… tra i pezzi
eseguiti insieme, ho un ricordo davvero
emozionante del Quartetto n. 6 di Bartók e del n. 8 di Šostakovič: entrambi
sono pezzi molto espliciti e forti nel loro
contenuto emotivo».
PHQ: «Al di là dei quartetti di Haas, non
ho dubbi: il Secondo di Janáček. Nella
sua musica c’è tutto. Si dispiega, cioè,
l’intera gamma delle emozioni con una
spontaneità e una naturalezza che non
trovo neppure in Bach o in Mozart. È
musica che parla direttamente della vita».
Come avete scelto il programma per
Bologna?
RTÉ: «Abbiamo semplicemente voluto
rappresentare tre importanti opere di tre
fra i più grandi compositori di quartetti
per archi».
PHQ: «Abbiamo deciso di riunire tre
brani che ci rappresentassero. Così, ac-
RTÉ: «Abbiamo intenzione di metterci a
lavorare sui Quartetti di Benjamin Britten per la prima volta, considerando che
nel 2013 ricorrerà il centesimo anniversario della sua nascita».
Il quartetto d’archi è insieme al pianoforte l’organico principe della cameristica, e certo l’Ottocento austrotedesco ha lasciato in questo genere
moltissimi capolavori: quanto conta
nel vostro Quartetto invece la tradizione musicale della vostra terra?
RTÉ: «Non c’è tradizione di musica classica in Irlanda prima del ventesimo secolo (anche se Dublino ospitò la prima
esecuzione del Messiah di Händel). Comunque negli ultimi 100 anni la musica
classica è diventata una parte molto forte
dell’arte e della cultura del nostro Paese,
ed esplorare e presentare opere di compositori irlandesi costituisce una parte
rilevante del nostro ruolo in patria».
MI
MUSICA INSIEME
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INTERVISTA DOPPIA
I MUSICI - SERGEJ NAKARIAKOV
U
Dal barocco al rock
Il concerto del 6 febbraio inaugurerà una felice collaborazione: quella che unisce
il più longevo complesso d’archi italiano e il novello “Paganini” della tromba
Il repertorio ‘classico’ per tromba non
è così vasto, ed è in gran parte costituito da trascrizioni, ma potrebbe dirci
qual è il suo compositore preferito?
Sergej Nakariakov: «Sì, è davvero una
domanda cui non è facile rispondere, e
principalmente proprio per la specificità
del repertorio per tromba. I brani originali non sono molti. Possiamo citare i
due Concerti di Haydn, qualche pagina
nel barocco, ed altre, comunque non
molte, moderne e novecentesche. Questa, del resto, è la ragione per la quale nei
miei concerti eseguo molto spesso trascrizioni e/o rielaborazioni. Dovessi,
però, indicare un nome, sicuramente sarebbe quello di Aleksandr Arutjunjan, il
compositore armeno che ha composto
una pagina importante, uno dei maggiori lavori per il mio strumento, il Concerto per tromba [del 1950, subito divenuto brano centrale del repertorio e inserito
nei programmi accademici. Nakariakov lo ha eseguito più volte,
ndr]. Altrimenti, amo eseguire
opere del periodo classico e romanSergej Nakariakov
26
MI
MUSICA INSIEME
tico, in particolare Schumann e Brahms,
naturalmente trascritte. Di recente sono
stato invitato dal compositore tedesco
Jörg Widmann a tenere a battesimo il suo
Konzertstück per tromba e orchestra [dal
titolo “Ad Absurdum”, composto nel 2002,
ndr]. È stata una bellissima esperienza, e
peraltro una delle pochissime da me fatte
nell’ambito della musica dei nostri giorni.
Infine, ci sono le pagine composte da
musicisti come Arban, ovvero da grandi
virtuosi della tromba, che hanno dato
un contributo fondamentale all’evoluzione tecnica dello strumento, e che ovviamente amo suonare e fanno parte stabilmente del mio repertorio».
Dal compositore, all’interprete. Sente
di essersi ispirato a qualcuno dei
grandi trombettisti del passato?
Sergej Nakariakov: «In questo caso è più
Foto Thierry Cohen
n giovane virtuoso, il trombettista Sergej Nakariakov, salutato come il “Paganini” del suo
strumento, va in scena assieme
ai “Musici”, ovvero a un complesso che ha fatto la storia musicale italiana (e non solo), e che ha ormai superato i 60 anni di attività. Più che naturale,
allora, un confronto tra due esperienze
tanto diverse. A dargli voce lo stesso Nakariakov da un lato e Silvio Di Rocco dall’altro, viola e presidente de I Musici.
Cominciamo con Sergej Nakariakov.
di Alessandro Di Marco
facile per me rispondere, e non ho
dubbi. Per me il numero uno era e resta
Timofei Dorkshitzer [celebrato solista,
scomparso nel 2005 dopo una brillantissima carriera, passata anche dall’esser
stato prima tromba presso il Bol’šoj e docente di tromba alla celebre Scuola Gnessin, ndr]. È stato il più grande trombettista dell’Unione Sovietica, certamente,
ed anche un uomo molto popolare nel
mio Paese. Lui è stato ed è la mia fonte
d’ispirazione».
E se dovesse guardarsi intorno oggi?
Sergej Nakariakov: «Non saprei dire. Nutro un grande rispetto per tutti i miei
colleghi e guardo anche con ammirazione, ad esempio, ai grandi virtuosi di
tromba in ambito jazzistico. Tra di loro
ci sono molti eccellenti musicisti».
Quali sono stati i suoi maestri, quelli
che più hanno contribuito alla sua formazione?
Sergej Nakariakov: «Il mio vero insegnate
è stato mio padre, Mikhail. Della tromba
era un dilettante. Lui suonava il pianoforte, e lo insegnava. Eppure è stato lui
a formarmi, a seguirmi giorno dopo
giorno negli studi. Ed anche a organizzarmi un repertorio, scrivendo pezzi originali sia per tromba sia per flicorno,
oppure rielaborando (ecco ad esempio il
Concerto in re minore per violino di
Mendelssohn che suonerò a Bologna)
apposta per me pagine del repertorio solistico di altri strumenti».
Restando in argomento e guardando
alla lunga esperienza dei Musici: il
vostro complesso ha raggiunto i sessant’anni di attività. Quali sono stati i
vostri maestri storici, quelli che maggiormente hanno contribuito alla vostra formazione ed affermazione?
Foto Tommy della Frana
I Musici
Silvio Di Rocco: «Durante i 60 anni trascorsi dal debutto del 30 marzo 1952 a
Roma, I Musici ha avuto come componenti sempre strumentisti di altissimo livello. Li cito tutti: Franco Tamponi, Felix Ayo, Roberto Michelucci, Salvatore
Accardo, Pina Carmirelli, Federico Agostini, Mariana Sirbu, Antonio Salvatore,
Arnaldo Apostoli, Italo Colandrea,
Anna Maria Cotogni, Walter Gallozzi,
Luciano Vicari, Dino Asciolla, Aldo
Bennici, Paolo Centurioni, Carmen
Franco, Alfonso Ghedin, Bruno Giuranna, Enzo Altobelli, Mario Centurione, Francesco Strano, Lucio Buccarella, Maria Teresa Garatti».
Qual è stato il concerto, o il riconoscimento, che ha contribuito maggiormente alla vostra carriera, o che ricordate con particolare emozione?
Silvio Di Rocco: «Il riconoscimento più
prestigioso lo ha sicuramente rappresentato il Disco di platino con diamante, ricevuto per i successi discografici derivati dalla lunga e felice collaborazione
con la Philips. Il ricordo più commovente è quello di un concerto a favore di
un gruppo di bambini focomelici, e i
loro assordanti applausi silenziosi».
Sergej Nakariakov: «Certamente l’emozione della prima volta che mi sono esibito assieme ad un’orchestra è ancora
molto vivida. D’altronde ero un bambino. Poi c’è stata una prima svolta, la
mia partecipazione al Festival di Korsholm in Finlandia, dove ho ottenuto il
primo grande riconoscimento internazionale. Poi sono arrivati altri grandi festival, alcuni passaggi in televisione, dai
quali sono nati altri inviti, e tra questi
quello di Vladimir Spivakov, con il quale
ho avuto l’onore di collaborare più volte».
Come descrivereste il giovane trombettista Nakariakov, che ospiterete
nel vostro concerto per Musica Insieme?
Silvio Di Rocco: «Nakariakov è un autentico genio del suo strumento. Riesce
ad unire il suono più bello e puro ad un
virtuosismo spettacolare, tanto che è
sempre il pubblico a rimanere “senza
fiato”. Siamo veramente felici ed onorati
di collaborare con lui».
Torniamo ai Musici e al programma
del concerto. Ai due brani per tromba
solista che ne costituiscono il centro,
fanno da cornice opere prevalentemente italiane, perfino “bolognesi”
nel caso di Bossi e Respighi: da sempre siete riconosciuti come ambasciatori della musica italiana nel mondo.
Quanto è importante per voi questa
‘missione’, soprattutto oggi?
Silvio Di Rocco: «La musica italiana è
sempre molto amata all’estero, e pensiamo che sia anche merito di tutti quegli artisti italiani che, a cominciare da Toscanini, hanno sempre promosso con
tenacia e fervore gli autori italiani nel
mondo, includendoli nel loro repertorio
concertistico. Per esempio, abbiamo
“scoperto” i tanto meravigliosi quanto
sconosciuti Intermezzi Goldoniani di
Marco Enrico Bossi proprio nei programmi che Toscanini (emiliano anch’egli) eseguiva in America. L’Aria per
strumenti ad arco di Ottorino Respighi
è ancora di rarissima esecuzione in Italia
ma già più volte incisa in altri Paesi. All’estero, l’immagine che hanno dell’Italia attraverso la musica è decisamente
positiva, tanto che soprattutto in Asia
spesso riscontriamo, con piacere ed amarezza al tempo stesso, un rispetto per il
nostro patrimonio musicale addirittura
più profondo di quanto non lo si dimostri qui da noi. Oggi avvertiamo il bisogno di aiutare la musica anche in Italia;
proprio perché la musica è uno dei nostri principali punti di forza, non può essere trascurata proprio dove nasce, come
purtroppo sta avvenendo».
Oltre all’“italianità”, spicca l’originalità della scelta dei brani in programma: nel caso di Rota e Bacalov,
poi, si tratta di brani a voi espressamente dedicati. Secondo lei, quali caratteristiche colgono ed esaltano dei
Musici questi due compositori?
Silvio Di Rocco: «Principalmente, entrambi i brani mettono in risalto le qualità liriche, timbriche e virtuosistiche
del nostro ensemble. Nel Concerto per
archi scritto per I Musici nel 1965, pur
non rinunciando al suo caratteristico
stile satirico e malinconico, Nino Rota
cerca la forma antica della suite. In particolar modo nel Largo centrale, non
mancano citazioni bachiane. Luis Bacalov invece ci ha regalato per il nostro sessantesimo compleanno una nuova versione del suo famosissimo Concerto
grosso originariamente scritto per i New
Trolls nel 1971. Il brano è una vera e
propria sfida fra i due stili, Barocco e
Rock (Barock?). Nell’Adagio centrale
poi risuona il nobile tema della celeberrima canzone Shadows in the dark, le
cui parole, tratte da Shakespeare, recitavano: «To die, to sleep, maybe to
dream». Nelle nostre recenti esecuzioni
all’estero ci ha gradevolmente sorpreso
che i vari temi del Concerto grosso siano
stati riconosciuti persino dai giovanissimi, a testimonianza della grande popolarità della composizione».
MI
MUSICA INSIEME
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IL PROFILO
Precario in patria...
Ottorino Respighi, ovvero un Bolognese nel mondo: dalla Russia agli Stati Uniti, il
compositore riscuoterà un successo che l’Italia gli tributerà solo alle soglie della Grande
Guerra. Il 6 febbraio I Musici ne proporranno un inedito del 1905 di Lico Larvati
A
nni di apprendistato, di viaggio, di magistero: per Ottorino Respighi le tre epoche del
Wilhelm Meister s’intrecciano
con qualche deviazione rispetto al canone. Allievo di composizione al Liceo
musicale e violinista precario al Teatro
Comunale della natia Bologna, dopo le
ferie estive del 1900 parte in terza classe
per la lontana Pietroburgo, scritturato
per la stagione d’opera al Mariinskij. Un
teatro dove le paghe sono ottime, il repertorio ricco, e si fa esperienza sotto
due celebri direttori residenti: il boemo
Eduard Nápravník e il padovano Riccardo Drigo. Gli ospiti non sono da
meno: Mahler, Nikisch, Rachmaninov,
Muck, Richter.
In pochi mesi Ottorino, che in orchestra
maneggia la viola, il violino e la viola
d’amore, suonerà in opere di Verdi, Meyerbeer, Wagner, Čajkovskij e Rubin-
Ottorino Respighi (Bologna, 1879 - Roma, 1936)
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MI
MUSICA INSIEME
stein. Nel tempo libero fa pratica al
piano, studia il russo e bussa alla porta di
Rimskij-Korsakov, il direttore del Conservatorio che a 66 anni è già considerato
un monumento vivente. Il raffinato strumentatore apprezza i saggi di composizione del giovanotto. Gli dà lezioni per
cinque mesi, al termine dei quali Respighi torna a casa con quel Preludio, Corale
e Fuga che gli varrà la risposta di Giuseppe Martucci a chi lo congratulava per
la buona riuscita dell’allievo: «Respighi
non è un alunno, Respighi è un maestro». La gloria di maestro e allievo si
spande sulla scuola e sulla città, al punto
che il corrispondente del Musical Courier
newyorkese così conclude la recensione
(23.9.1902) del suo primo Concerto per
pianoforte: «Senza dubbio il Liceo Rossini è il focolare dell’arte musicale italiana e Bologna è l’Atene musicale d’Italia». Come non detto. Dopo un’altra
stagione al Comunale, Respighi torna
in Russia nell’inverno del 1902: prima
viola a Pietroburgo, e poi al Bol’šoj moscovita. Da questo viaggio ritorna nell’agosto del 1903, affascinato dalle scenografie di Bakst e di Aleksandr Benois.
Ma intanto il posto fisso a Bologna non
si trova, e dal settembre 1908 al giugno
1909 Respighi è a Berlino come accompagnatore in una scuola di canto privata. Strumenta e fa eseguire antiche
musiche italiane, frequenta Busoni e
Max Bruch. Allgemeine Musikzeitung e
Berliner Tageblatt portano alle stelle la
sua orchestrazione del monteverdiano
Lamento d’Arianna, cantato nel 1908 a
Berlino da Julia Culp sotto la direzione
di Artur Nikisch. Una rivelazione.
Ottime critiche anche per l’opera Semirama, inscenata al Comunale bolognese
nel 1910; ciononostante il trentenne Respighi resterà profeta all’estero e precario
in casa finché il 15 gennaio 1913, vincitore di concorso, non metterà piede con
trepidazione nel Conservatorio di Santa
Cecilia quale professore di composizione.
Cominciano gli anni di magistero; la
fama verrà nel 1916 con Fontane di
Roma. Tre anni dopo sposa la sua ex allieva Elsa Olivieri-Sangiacomo, discreta
cantante che da quel momento ne amministrerà la vita, e più tardi la memoria.
Nel 1923 è nominato direttore del Conservatorio, ma per poco. Il successo repentino dei Pini di Roma (1924) lo proietta per le vie del mondo: alla fine del ’25
parte per gli Stati Uniti, nel marzo del ’26
è in Olanda per un “Festival Respighi”
interamente dedicato alle sue musiche.
Anatolij Lunačarskij, l’enciclopedico
russo suo amico fin dai tempi dell’esilio
bolognese, è ora “commissario del popolo” all’istruzione nel governo sovietico. Insiste affinché Respighi si rechi in
Unione Sovietica; però lui, poco interessato alla politica, sceglie gli Stati Uniti,
dove tornerà a più riprese come direttore
e pianista. Interpreta in prima mondiale
alla Carnegie Hall la sua Toccata per pianoforte e orchestra, accompagnato dalla
New York Philharmonic sotto la bacchetta di Mengelberg; un anno dopo
Toscanini salirà sullo stesso podio per
dirigere Feste Romane, l’attesa conclusione del trittico che ormai risuona nelle
sale di tutto il mondo e ben presto, inciso dalla RCA, su ogni grammofono
domestico.
Fama, ricchezza e, nel 1932, la nomina
ad Accademico d’Italia. Il volo è interrotto da un’infezione cardiaca che lo
porta alla tomba all’età di 56 anni. Un
anno dopo l’ingrata patria bolognese tumulava le sue spoglie al cimitero della
Certosa (Campo Carducci, lato ovest,
sarcofago 12/2).
MI ricordo
di Bruno Borsari
EVGENIJ KISSIN
Uno. Due. Aspetta, non andare, ne fa
un altro. E poi un altro ancora. E un
altro, e ancora un altro. Il pubblico non
sa bene cosa fare. È la prima volta che
Evgenij Kissin si esibisce a Bologna. La
sala è quella del Bibiena. Qualcuno fa
per uscire, ma l’insistenza dei più, entusiasti per la sua performance, e che
hanno cominciato a capire, lo trattiene. Siamo al sesto, poi al settimo, ed
ecco l’ottavo bis. A memoria nessuno
rammenta una simile schiera di encores. Nove, dieci. La platea è sempre piena. Adesso siamo alla sfida: si fa a chi
abbandonerà per primo. Undici, dodici.
Kissin sfodera non solo un’invidiabile
memoria, ma anche una resistenza
davvero unica. Certo è giovane, già famosissimo. Eppure, questa serie di bis
stupisce anche il più smaliziato degli aficionados. Anche perché Kissin tira fuori, un pezzo dopo l’altro, pagine di tutto il repertorio. E via quindici, sedici…
sembra davvero non aver alcuna in-
Foto Roberto Serra
11 APRILE 1994, TEATRO COMUNALE DI BOLOGNA
tenzione di smettere. Di fatto, ha eseguito un altro concerto, dopo il primo,
quello previsto, con un programma tutt’altro che leggero. A interrompere la sfi-
da tra il pianista russo ed il pubblico
ecco l’imperioso diktat dei vigili del fuoco. Basta, si deve chiudere: è una questione di sicurezza.
YURI BASHMET E I SOLISTI DI MOSCA
27 OTTOBRE 1997, TEATRO COMUNALE DI BOLOGNA / 14 MARZO 2005, TEATRO MANZONI DI BOLOGNA
30
MI
MUSICA INSIEME
20.30 di loro non c’è traccia alcuna. Inutili le telefonate in albergo, dove un concièrge alla fine irritato continua a ripetere: «Sono usciti tutti insieme alle sette».
Primo annuncio al pubblico, perché ormai si sono fatte le 21.15. Siamo già pronti al peggio, quando d’improvviso, alle 21.30, si materializzano all’ingresso artisti Bashmet e orchestra. Alle 21.40 sono in scena. Il
concerto fu magnifico.
Foto Roberto Serra
La bicicletta è un mezzo comune dalle nostre parti. Così,
a naso, ci pare lo sia un po’ meno in Russia. Forse, a
Rostov sul Don, dov’è nato Bashmet… chissà! Certo
è che il grande violista e direttore d’orchestra – l’ultima volta che è stato nostro ospite – diede prova di grande destrezza, dopo il concerto e la cena, percorrendo
via dell’Indipendenza in bicicletta sì, ma girato all’indietro. Abilità circense, gusto dello spettacolo, e soprattutto un mix di straordinaria vitalità. Qualche anno
prima, tanta esuberanza aveva generato un momento
di più che giustificato panico. Bashmet è nostro ospite coi suoi Solisti di Mosca. Il concerto è alle 21 (eravamo ancora al Comunale), la prova alle 19.30. In teatro aspettiamo fiduciosi solista e orchestra, tanto più
che li sappiamo già tutti sistemati nel loro albergo, che
si trova a qualche centinaio di metri dal luogo dello spettacolo. Passano i minuti, che diventano mezze ore. Alle
19 APRILE 2010, TEATRO MANZONI DI BOLOGNA
Che un imprevisto possa sempre
accadere è nell’ordine naturale
delle cose, e chi organizza concerti
è pronto a tutto. Ma che l’ordine
naturale delle cose assuma l’aspet-
to di una nube di cenere (di per sé,
pur nella sua eccezionalità, naturalissima) è certo più improbabile. Qualcuno ricorderà il vulcano
islandese che un paio d’anni fa de-
cise di riprendere la sua attività,
scatenandosi come non faceva da
tempo. Risultato: i cieli europei
oscurati dalla nube di cenere appunto, che dalla bocca di quel remoto vulcano il vento aveva portato sul continente. Mischa Maisky, musicista a suo modo vulcanico, è in aeroporto a Bruxelles,
quando apprende che non potrà
partire per Bologna. Con lui la figlia Lily. È domenica, sono le 12,
il giorno dopo deve suonare a Bologna. Non gli resta allora che mettersi al volante. Primo tratto fino
a Lugano. Poi, il lunedì mattina il
resto del viaggio, compresa Via
D’Azeglio contromano per raggiungere rapidamente l’albergo. Il
pomeriggio sono entrambi al
Manzoni. La sera in scena.
Foto Maurizio Guermandi
MISCHA E LILY MAISKY
KRYSTIAN ZIMERMAN
26 SETTEMBRE 2006, TEATRO MANZONI DI BOLOGNA
Ancora un ricordo legato alla guida.
Questa volta al volante c’è Krystian
Zimerman. Per chi conosca, anche superficialmente, il pianista polacco,
non è immediato immaginarlo in
quella pur comunissima attitudine,
che è guidare un’auto. E tanto meno
guidare un grosso furgone. E ancor
meno assistere ad un singolarissimo
rito. Sul furgone c’è lui solo. Arriva
nei pressi del Manzoni. Parcheggia
lato scarico. Scende. Apre il portellone
posteriore. Tira fuori un carrellino a
motore cingolato e da solo (avete letto bene: da solo!) fa scivolare il suo
pianoforte sul pianale dell’attrezzo.
Poi, lo avvia, e sempre da solo, rifiutando qualsiasi aiuto, lo conduce – il
pianoforte di taglio appoggiato sul
carrello – fino a sopra il palcosceni-
co. Poi, lo lascia lì e se ne va. Torna, si fa aiutare per montare le gambe e la pedaliera, e quindi mette in posizione orizzontale
lo strumento. A questo
punto, da un grosso
involucro tira fuori
una grande tenda da
campo, con la quale ingloba il pianoforte.
Nascosto sotto la tenda registra le meccaniche e lo accorda. Toglierà la tenda solo qualche ora
prima del concerto.
Inutile dire che a
riflettori spenti si è
ripetuto, a rovescio, lo stesso rito.
MI
MUSICA INSIEME
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Carta bianca a
STEFANO BOLLANI................................... pianoforte
Dalla classica al jazz. Due mondi si incontrano
Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme”
e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna
Lunedì 23 gennaio 2012
TEATRO MANZONI ore 20.30
RTÉ VANBRUGH QUARTET
Musiche di Haydn, Beethoven, Schubert
Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme”
e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna
Lunedì 6 febbraio 2012
TEATRO MANZONI ore 20.30
I MUSICI
SERGEJ NAKARIAKOV..........................tromba
Musiche di Bossi, Respighi, Mendelssohn,Arban, Rota, Bacalov
Il concerto fa parte degli abbonamenti:
“I Concerti di Musica Insieme” e “Musica per le Scuole”
Lunedì 13 febbraio 2012
TEATRO MANZONI ore 20.30
ALISA WEILERSTEIN..............................violoncello
INON BARNATAN.........................................pianoforte
Musiche di Brahms, Britten, Stravinskij, Chopin
Il concerto fa parte degli abbonamenti: “I Concerti di Musica Insieme”
e “Invito alla Musica” – per i Comuni della provincia di Bologna
Lunedì 20 febbraio 2012
TEATRO MANZONI ore 20.30
PAVEL HAAS QUARTET
Musiche di Čajkovskij, Debussy, Smetana
Il concerto fa parte degli abbonamenti:
“I Concerti di Musica Insieme” e “Musica per le Scuole”
ATTENZIONE - CAMBIO DATA
IL RECITAL DI LANG LANG PREVISTO PER SABATO 14 APRILE 2012
AVRÀ LUOGO LUNEDÌ 25 GIUGNO 2012 AL TEATRO MANZONI ORE 20.30
Per ulteriori informazioni rivolgersi alla Segreteria di Musica Insieme:
Galleria Cavour, 3 - 40124 Bologna tel. 051.271932 - Fax 051.279946
E-mail: [email protected] - Sito web: www.musicainsiemebologna.it
I CONCERTI gennaio / febbraio 2012
Lunedì 16 gennaio 2012
TEATRO MANZONI ore 20.30
Note
creative
Foto Paolo Soriani
Debutta nel nostro cartellone
un pianista e performer capace
di travalicare i confini di
genere, nel nome della buona
musica di Fabrizio Festa
L
Lunedì 16 gennaio 2012
e vicende del jazz in Italia meriterebbero uno studio approfondito. Quello italiano è un caso
davvero particolare e in primo
luogo per ragioni prettamente
musicologiche. Ad esempio, l’esistenza di
un retroterra “etnico”, a base regionale,
basti pensare alla canzone napoletana,
già pronto ad accogliere quanto sarebbe
arrivato dall’altra costa dell’Atlantico.
Poi, la vivacità di una scena teatrale d’intrattenimento, che aveva nell’operetta e
nel varietà già coltivato generi molto vicini al musical; ed ancora l’innovazione
armonica nell’opera italiana introdotta
da Puccini, e che tanta influenza avrà
sulla musica americana, già prima della
pur fondamentale Fanciulla del West. E
così via, nel sommarsi di una serie di
suggestioni, che daranno vita ad un genere eclettico e variegato, che solo per
mero amore di semplificazione definiamo “jazz”. A seguire, ci sono le ragioni della storia.
L’Italia fascista, se da un lato ufficialmente rinnega il jazz (e tutto quanto veniva incluso anche impropriamente sotto
quell’etichetta), dall’altro lo lascia vivere
e prosperare sotto mentite spoglie. Del
resto, è sufficiente una traduzione, spesso
letterale o quasi (Armstrong = Fortebraccio, St. Louis Blues = Le tristezze di
San Luigi), per superare indenni la censura. Accanto all’esemplare vicenda di
Romano Mussolini, figlio del Benito,
ma pianista di jazz per vocazione oltre
che per mestiere, qui è sufficiente ricordare Gorni Kramer, la cui musica è chiaramente “jazz” (nel senso ampio, che va
dalla classica alla canzonetta, col quale
LUNEDÌ 16 GENNAIO 2012
TEATRO MANZONI ORE 20.30
Carta bianca a
STEFANO BOLLANI
pianoforte
Dalla classica al jazz.
Due mondi si incontrano
usiamo tale termine per l’Italia), e si permette persino qualche non troppo velata
critica al regime, come nella sua celebre
Crapa pelada, cantata, su testo di Tata
Giacobetti (poi Quartetto Cetra), da
quell’Alberto Rabagliati che era finito a
Hollywood dopo aver vinto il concorso
come sosia di Rodolfo Valentino. La carriera nel cinema non la fece, ma fece in
tempo ad imparare a cantare “all’americana”. Ecco allora lo scat italiano: Ba-babaciami piccina (1940), che in realtà andava ad aggiungersi ai successi di un
altro che la traversata l’aveva fatta nei due
sensi: Natalino Otto, il primo vero cantante di jazz italiano. Certo tra i due si
mise di mezzo il fascismo, nel senso che
Rabagliati, troppo famoso per poter essere censurato, continuò a cantare in radio appunto “all’americana”, mentre
Otto (nonostante “Mister Paganini”
fosse diventato “Maestro Paganini” e
malvisto all’EIAR per il suo palese “americanismo” canoro) si affidò ai dischi,
che vendette in misura da vera star.
Kramer, Otto, Rabagliati, e D’Anzi, e
Pippo Barzizza. Chiunque ascoltasse i
programmi radiofonici di quegli anni (i
Trenta e i Quaranta) non faticherebbe a
comprendere come fosse già stata intrapresa la via italiana al jazz: melodie accattivanti e ben ritmate, swing col drive
giusto, e orchestrazioni che gli Americani
del dopoguerra copieranno (d’altronde il
capofila nel settore si chiama Respighi,
l’autore italiano di musica sinfonica più
eseguito negli USA), e sempre con quel
tocco di classico che fa Vecchia Europa,
ma non dispiace al pubblico. Canzoni sì,
ma composte da professionisti (spesso
con una solida formazione accademica
alle spalle) aggiornati (altro che provincia!), pensate per grandi voci, presentate
nella maggior parte dei casi in versioni
che utilizzano un’orchestra ritmo-sinfonica a ranghi completi. I testi sono
spesso un sagace mix di scat, giochi di parole, assonanze, ed ovviamente con una
struttura prosodica fortemente swingante. Qualcosa di molto simile a quanto
si poteva vedere nei musical o nei film
musicali americani, in un Paese, l’Italia,
in cui peraltro il film musicale nasceva in
quei medesimi anni (con l’opera a dir la
sua anche dal grande schermo). A guerra
finita sarà del tutto naturale che – accanto a Gorni Kramer e al Quartetto
Cetra (ascoltateli prima di stupirvi per i
Manhattan Transfer e i loro emuli) – comincino ad emergere i coetanei Nicola
Arigliano e Lelio Luttazzi (entrambi
classe 1923), ai quali più tardi si aggiungerà un altro geniale musicista: Enrico Simonetti (classe 1924, ma attivo in
Italia solo dal ’61). Con loro la nuova
Napoli di Renato Carosone (che nel ’49
fonda il suo trio insieme al chitarrista
olandese, poi astrologo, Peter van Wood)
e il rinnovamento cantautoriale di Domenico Modugno, che nel ’58 trionferà
a Sanremo con Nel blu dipinto di blu assieme a quel Johnny Dorelli che proprio
Stefano Bollani
Primo musicista europeo vincitore nel 2003 del “New Star Award”, premio conferito da Swing Journal, e nel 2007 del Premio come
Miglior musicista europeo dell’anno, ha suonato sui palcoscenici più prestigiosi del mondo, dall’Umbria Jazz Festival al Festival
di Montreal, alla Town Hall di New York. Fondamentale è la collaborazione iniziata nel 1996 – e mai interrotta – con Enrico Rava,
al fianco del quale tiene centinaia di concerti e incide ben 15 dischi. Il referendum dei giornalisti della rivista americana Downbeat
nel 2007 lo vede ottavo fra i nuovi talenti del jazz mondiale e terzo fra i giovani pianisti, mentre i critici della rivista Allaboutjazz
di New York lo votano fra i 5 musicisti più importanti del 2007, accanto a Ornette Coleman e Sonny Rollins. La sua carriera è caratterizzata da innumerevoli collaborazioni, oltre a quella “storica” con Enrico Rava: Richard Galliano, Miroslav Vitous, Michel
Portal, Phil Woods, Lee Konitz, Paolo Fresu. Grande showman e improvvisatore, oltre che pianista e compositore, anche conduttore televisivo (sui Rai 3 al fianco di Caterina Guzzanti) e radiofonico (su Radio Rai 3 con David Riondino e Mirko Guerrini), nel
2006 ha pubblicato il romanzo La sindrome di Brontolo. Molto stretto il suo legame con il Sudamerica; dopo aver realizzato il disco Carioca nel 2009, è stato il secondo nella storia del Brasile a suonare un piano a coda in una favela di Rio de Janeiro.
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MUSICA INSIEME
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Lunedì 16 gennaio 2012
a New York aveva studiato canto e recitazione. Sono questi solo alcuni dei nomi
di musicisti che, pur ciascuno a suo
modo, reinterpretano il jazz all’italiana,
nel mentre in Italia si affermano jazzisti
(in senso stretto questa volta) eccellenti
(uno per tutti, ricordiamo il nome di
Franco Cerri), che portano nel nostro
Paese (anche attraverso radio e televisione pubbliche) il jazz, quello nuovo
per allora, il bop, l’hard-bop, seguendone
poi l’evoluzione fino ai giorni nostri. Eppure, di quell’imprinting originario –
sviluppato con sagacia dai Luttazzi, dai
Simonetti, dai Carosone (e nel cinema
da Piero Piccioni e Umberto Umiliani) –
è rimasto molto di più che una traccia.
Lo dimostra proprio la parte più recente
della carriera di Stefano Bollani, che con
sagacia e personalità s’inserisce in quel filone dove canzone e accademia, classica
e jazz (in senso stretto), swing e opera,
convivono felicemente. Ancora un flashback. TV in bianco e nero, un pianoforte, che sia Studio uno (Luttazzi, il
quale in una puntata di quella trasmissione sintetizza un’epoca nella sua Canto,
anche se son stonato, con un assolo scat da
manuale) o Il signore ha suonato (Simonetti), lo schema è simile, e più che una
semplice canzone si racconta una storia.
Il pianista è un virtuoso. Conosce tutti
gli stili e i trucchi del mestiere: da Bach
a Mario Tessuto. Gioca su piani emotivi
differenti. Diverte e commuove. Ti
guarda negli occhi, e tu spettatore non
sai se seguire quelle mani che volano su
e giù per la tastiera, o stupirti perché tra
uno sketch e l’altro di Gino Bramieri
appare sullo schermo Marianne Faithfull, o si palesa al pianoforte Erroll
Garner, o accanto a Totò e Mina trovi
Louis Armstrong. Ma a condurre il
gioco, a tirare le fila, è sempre quel pianista (elegante, come si usava allora), anche quando spinge il pianoforte fuori
scena. Le sue mani volano, la voce incanta, e le sue storie fanno sorridere, è
vero, ma il retrogusto è amaro. Bollani
ne ha fatto uno stilema. È bene precisare
DA ASCOLTARE
Gran Visir del Sultanato dello Swing (fantomatica associazione nata, manco
a dirlo, a Sanremo), e dottore honoris causa dell’Università di Boston; saggista,
romanziere, autore teatrale, conduttore radiotelevisivo, produttore e arrangiatore,
all’occasione vocalista. Sono solo alcune delle tante maschere indossate di volta in volta da questo milanese eroe del cross-over, il quale afferma di «prendere come criterio di riferimento la qualità senza appartenenza di genere».
In ambito classico si esibisce come pianista con formazioni titolatissime quali
il Gewandhaus di Lipsia, la Royal Liverpool Philharmonic, l’Orchestra Nazionale di Santa Cecilia, la Filarmonica del Regio di Torino, la Verdi di Milano.
A chi, del tutto comprensibilmente, nutrisse un pizzico di scetticismo sui risultati di tanti sconfinamenti e scavalcamenti possiamo consigliare due ascolti: Gershwin, Rhapsody in Blue e Concerto in Fa (Decca, con Riccardo Chailly e la Gewandhausorchester); New York Days (ECM), in quintetto con Enrico Rava, Mark
Turner, Larry Grenadier e Paul Motian. Come il calabrone che coglie il nettare da tutti i fiori, Stefano Bollani è una sfida alle leggi dell’aerodinamica musicale: non dovrebbe esistere, eppure vola. (cv)
che non è mero intrattenimento, per
quanto realizzato da professionisti. L’elemento che fa la differenza è che il pianoforte bisogna saperlo suonare davvero
(come Bollani appunto, e come Luttazzi,
Carosone o Simonetti). Questo è un genere in cui non si può barare. È un genere cui, però, si può approdare partendo da porti diversi. Bollani non nasce
autore di canzoni, non nasce in televisione, né comincia alla radio. Semmai su
radio e tivù ci arriva dopo. Nato nel
1972, si forma in un contesto jazzistico
che poco aveva a che spartire con il jazz
italiano dei decenni Cinquanta e Sessanta. Enrico Rava, che è stato il suo
mentore, fa parte di una generazione di
jazzisti che prenderanno consapevolmente le distanze da quella matrice, per
dirigersi verso un territorio tra improvvisazione libera e innovazione ritmico/melodica, che verrà attraversato
per tutti gli anni Ottanta e Novanta.
Così le registrazioni che vedono Bollani
pubblicare per la prestigiosa ECM sono
il frutto di un diverso ramo della storia
del jazz nel nostro paese. Eppure, fin dal
1998, con l’Orchestra del Titanic, inizia
anche un altro percorso, che s’intreccerà
ovviamente con quello già citato. Un
percorso che lo porterà ad incontrare
Peppe Servillo prima, David Riondino
poi. E culminerà appunto nel suo approdo prima in radio, poi in televisione.
Se ai grandi musicisti già evocati aggiungiamo Paolo Conte (e qualcosa dell’Arbore dei primi anni), ecco che il quadro dei riferimenti bollaniani ad un
tempo esplode e si completa. Esplode
perché apparentemente Lelio Luttazzi e
Paul Motian non stanno insieme. Eppure, una delle caratteristiche vincenti
del jazz italiano è proprio la sua straordinaria capacità mimetica, che poi si traduce nell’invenzione di un nuovo inatteso e imprevedibile. Si tratta di un
eclettismo non manieristico, di cui forse
il più grande esponente è stato proprio
Enrico Simonetti. Di questo stilema Bollani è l’alfiere più recente, oggi il più
blasonato, anche perché la sua solida formazione accademica gli permette di passare, come fa nei suoi recital solistici,
dalla canzone fino a Debussy, di giocare
con le citazioni, di raccontare delle storie
o di eseguire questo o quel brano del repertorio classico. Commedia all’italiana,
e d’autore, dunque, ma non cinepanettoni. Dietro Arlecchino e Pulcinella
stanno arte e pensiero. E ci vuole tecnica.
In fondo, è la dimostrazione che per innovare bisogna conoscere la tradizione.
Lo sapevate che...
Stefano Bollani è apparso, con il nome di Paperefano Bolletta, in due storie a fumetti
del settimanale Topolino, rivista di cui è stato ufficialmente nominato Ambasciatore
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MUSICA INSIEME
La Vienna del quartetto
È
Lunedì 23 gennaio 2012
Dopo 12 anni, torna a Musica Insieme il Quartetto irlandese, che come la nostra Fondazione
festeggia la sua venticinquesima stagione concertistica di Maria Chiara Mazzi
un vero e proprio “viaggio nella
viennesità” quello proposto da
questo importante gruppo cameristico, un viaggio là dove,
tra gli ultimi dieci anni del Settecento e i primi trenta dell’Ottocento e
proprio grazie agli autori proposti qui, la
musica da camera e in particolare il quartetto d’archi, da genere ‘da casa’ è divenuto una struttura complessa (con
Haydn), è passato progressivamente dai
salotti nobiliari alle sale da concerto (con
Beethoven) e si è trasformato (con Schubert) in una composizione lirico-intimistica in grado di esprimere le ansie e i tormenti interiori di un artista al punto
quasi da non richiedere nemmeno un
ascoltatore. Nonostante Haydn si sia
espresso nell’ambito di quasi tutti i generi musicali, quello del quartetto (oltre ottanta composizioni) è il più ricco
di capolavori, al punto che, a buona ragione, egli può essere indicato come
vero e proprio creatore di un genere
nuovo, del quale stabilisce una prassi e
un modello di composizione che diventerà imprescindibile nell’epoca successiva.
Dall’antica sonata barocca, dove esistevano una gerarchia tra gli strumenti e
il basso continuo, e dalla forma galante e disimpegnata del divertimento, egli giunge alla parità
espressiva tra gli interpreti e ad
una nuova densità di scrittura ottenuta grazie alla dialettica della forma-sonata e all’approfondimento in senso contrappuntistico del dialogo tra i quattro
strumenti, portando il genere a una formulazione definitiva e alla sua connota-
zione ‘impegnata’. Il fatto stesso, poi, che
tutti questi lavori siano stati pubblicati nel
corso della sua vita dimostra non solo la
naturale prolificità dell’autore, ma anche
il gradimento del pubblico “dei conoscitori e dei dilettanti”, che vedeva in questi
brani l’espressione di quella “civiltà della
conversazione”, che è sicuramente il portato più autentico della cultura dell’Illuminismo. Il Quartetto op. 76 n. 2, detto
“delle quinte”, appartiene all’ultima fase
artistica di Haydn e vede la luce per Artaria (assieme agli altri 5 che compongono
la raccolta) nel 1799. Il sottotitolo non è
di fantasia, come spesso accadeva, ma è
motivato dall’idea tematica principale dell’intera composizione, che nel suo incipit
propone una successione di intervalli di
quinta discendenti. I quattro tempi sono
costruiti infatti sull’elaborazione di questo tema-intervallo che viene utilizzato
sia come elemento tematico vero e proprio che come ‘mattone’ per un complesso edificio contrappuntistico. Saldezza
e severità caratterizzano il primo movimento, nel quale tutto nasce da questo intervallo così fondamentale nella storia
della musica occidentale (anche la Nona
di Beethoven inizia con una successione
di quinte discendenti nella tonalità di re
minore, la stessa di questo quartetto…).
La quinta discendente caratterizza sia
l’Andante che il Minuetto, detto “delle
streghe” per la sua vena sarcastica. La seriosità dell’elaborazione lascia un po’ spazio, nell’ultimo tempo, ad una vivace
esplosione di ‘musica ungherese’: si tratta
di un elemento di felice caratterizzazione
popolaresca frequente in Haydn, e che
LUNEDÌ 23 GENNAIO 2012
TEATRO MANZONI ORE 20.30
RTÉ VANBRUGH QUARTET
GREGORY ELLIS violino
KEITH PASCOE violino
SIMON ASPELL viola
CHRISTOPHER MARWOOD
violoncello
Franz Joseph Haydn
Quartetto in re minore op. 76 n. 2
Delle quinte
Ludwig van Beethoven
Quartetto in do minore op. 18 n. 4
Franz Schubert
Quartetto in re minore D 810
La Morte e la fanciulla
Introduce il concerto Maria Chiara Mazzi.
Docente al Conservatorio di Pesaro, è autrice
di libri di educazione e storia musicale
qui assume la funzione di una stabilizzazione stilistica, in una sorta di compensazione degli ardui procedimenti polifonici messi in atto da Haydn nei tre
movimenti precedenti.
Quando ancora Haydn sta preparando
questi ultimi capolavori, ed è al culmine
della popolarità (raggiunta proprio con
l’opera 76), Beethoven inizia il suo straordinario percorso nel quartetto per archi;
e il fatto che il giovane Tedesco si voglia
cimentare proprio in questa forma è sicuramente dimostrazione di una acquisita
competenza compositiva, oltre che un
inevitabile omaggio ad un genere di
grande tradizione. Quale fosse il peso di
questa tradizione è dimostrato proprio
dai Quartetti op. 18 che, pur preparati fra
RTÉ Vanbrugh Quartet
Vincitore del Concorso Internazionale per Quartetto d’Archi di Londra nel 1988, il Vanbrugh gode di una solidissima reputazione nel mondo della musica da camera. Per i rapporti artistici intrattenuti con la Radio Televisione Irlandese e con l’University College di Cork, gli è stato assegnato il premio “National Entertainment” per la musica classica. È stato ospite del Concertgebouw di Amsterdam, del Konzerthaus di Berlino, della Carnegie Hall di New York e del Kennedy Center di Washington,
mentre in Italia le società di concerti più prestigiose lo hanno più volte ospitato sin dal 1994, anno della loro prima tournée.
Oltre che per la Radio Televisione Irlandese, l’ensemble effettua spesso registrazioni per la BBC; nel dicembre 2000 un loro
concerto trasmesso dalla European Broadcasting Union ha avuto circa quattro milioni di ascoltatori. Il Quartetto ha fondato
nel 1996 il Festival di musica da camera di Cork, che è oggi uno dei maggiori eventi del calendario musicale europeo.
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MUSICA INSIEME
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Lunedì 23 gennaio 2012
DA ASCOLTARE
RTÉ è l’acronimo di Radio Telefis Éireann, la radiotelevisione pubblica irlandese con sede a Cork che offre al Vanbrugh Quartet la sua prima residenza; la
seconda è presso lo University College della stessa città, dove fra l’altro esiste
una tradizione musicologica di eccellenza nel campo degli studi vivaldiani. Nel
2005 questo capoluogo di contea è stato nominato dall’UNESCO Capitale europea della cultura. Bellezza di suono, chiaro profilo delle singole parti, rigore storico-stilistico dell’interpretazione, varietà di repertorio: ecco gl’ingredienti che nel corso di un quarto di secolo hanno proiettato il Vanbrugh Quartet nell’olimpo del camerismo internazionale con tournées in ogni parte del mondo. Catalogo discografico ancora ristretto ma curato con perfezionismo quasi maniacale; benché uscita nel 2003 e abbastanza costosa, la loro registrazione dei Quintetti di Boccherini resta edizione di riferimento: Luigi Boccherini, Cello Quintets,
in due CD Hyperion con la partecipazione del violoncellista Richard Lester. (cv)
il 1778 e il 1800 (il n. 4 è del 1799), furono pubblicati solo nel 1801, quando
ormai la fama dell’autore era consolidata
e questi brani erano già noti grazie a numerose esecuzioni private nei salotti dei
principi Lichnowsky e Lobkowitz, dedicatario, quest’ultimo, dell’intera serie.
Inoltre, forse, la ritardata pubblicazione
della raccolta rispetto alla composizione e
alla presentazione in pubblico dei singoli
brani, fu motivata non solo dalla mancanza di serenità del musicista (con le
prime avvisaglie di quell’incipiente sordità che avrebbe dettato, l’anno successivo,
il cosiddetto Testamento di Heiligenstadt),
ma anche dalla chiara consapevolezza che
egli aveva del proprio nuovo modo di
esprimersi. Se poi confrontiamo questi lavori con le originalissime sonate per pianoforte degli stessi anni, scopriamo come
in questi quartetti Beethoven fosse tuttavia desideroso di mostrarsi non troppo
iconoclasta nei confronti dei Maestri, proponendo un doveroso omaggio ai modelli
(i Prussiani di Mozart e i quartetti centrali
di Haydn), non modificando ancora radicalmente la scrittura e la struttura delle
composizioni e raccogliendo una serie di
sei lavori dello stesso tipo, come era consuetudine sin dall’epoca barocca, anche
se il desiderio di libertà non tarda a mostrarsi nella varietà degli accenti e nella ricchezza degli intenti, ormai lontani dal gusto settecentesco. Esempio di questa
posizione di svolta dello stile quartettistico beethoveniano è proprio il Quartetto n. 4, l’ultimo della serie ad essere
composto, che nel suo stile ripropone una
sorta di riassunto delle convenzioni di
quegli anni, quali la preminenza del primo
violino e le melodie simmetriche e prevalentemente accompagnate piuttosto che
l’elaborazione paritaria tra le voci. Beethoven non amava affatto questo quartetto
tra i sei, ritenendolo troppo ‘commerciale’. Eppure anche in esso serpeggia già
tutto il vero spirito del musicista: nella
scelta tonale, quel do minore che tanto
sarà importante per lui e che già qui fa
sentire a tratti una certa qual gravità, nell’alternanza tra severità e trasalimenti che
caratterizza i bruschi cambiamenti
d’umore del primo tempo e nell’andamento quasi eroico del Minuetto che segue
il tradizionale Andante… anche se poi
tutto ritorna nei ranghi della normalità nel
conclusivo, tradizionale, Rondò. Nel ventennio che segue i Quartetti op. 18, Beethoven porterà il genere definitivamente
nella sala da concerto, aumentandone la
monumentalità, lo spessore sonoro e la
densità costruttiva. Ma negli stessi anni dei
suoi ultimi capolavori, anche Schubert
compone gli ultimi suoi tre quartetti, nei
quali invece sottolinea e privilegia l’aspetto
lirico-intimistico, e dove la saldezza costruttiva viene mascherata da una vena
musicale ricchissima e all’apparenza spon-
tanea. La diversità di queste composizioni
dalle analoghe contemporanee beethoveniane ne spiega il rifiuto da parte degli editori dell’epoca (il Quartetto D 810 La
Morte e la fanciulla è del 1824 ma sarà
pubblicato postumo da Czerny solo nel
1831), che preferivano il senso abissale e
quasi esoterico del grande di Bonn alle inquietudini e al senso di rassegnazione veicolati da questi stupendi capolavori.
Come avviene per altre composizioni strumentali, qui Schubert utilizza il tema di
un Lied (da cui il sottotitolo), tuttavia, a
differenza di quanto accade in altri casi, il
Lied non viene utilizzato solo come tema
per l’Andante con Variazioni, ma rappresenta il vero e proprio cuore emotivo ed
ideale di tutta la composizione. «Nel Lied
– scrive Alfred Einstein – Schubert aveva
soltanto potuto suggerire quello che qui
trova un’espressione totale, in una sfera
musicale più ricca, più libera. Egli non
scrive musica ‘a programma’, e non è neppure necessario che noi conosciamo il
Lied per sentire nel valore simbolico di
questa musica l’ineluttabilità del destino
e la consolazione dell’anima». La scansione ritmica dattilico-spondaica non segna solo il tema dell’Andante, ma aleggia
opportunamente trasformata nella struttura di ciascun movimento del quartetto.
Cellula base del primo tempo, viene adeguata al clima dello Scherzo e infine si trasforma nella parossistica pulsazione di un
Finale che viene definito, sempre da Einstein, una “tarantella della morte”. In ogni
caso, il cuore espressivo di tutto è la trasfigurazione che il tema subisce nelle variazioni che con grande intensità spirituale ne trascendono lo spirito di
partenza, rielaborandolo attraverso un
modello costruttivo germinativo. Un
quartetto che è dimostrazione delle capacità costruttive schubertiane e della coerenza interna delle sue ultime grandi
composizioni. E che indica quale fosse la
sua scelta nella ricerca dell’espressione cameristica romantica, raggiungendo una
sfera musicale così alta da non sentire più
la necessità, pur in una composizione derivata dal canto, dell’aiuto delle parole.
Lo sapevate che...
Gli ensemble più rappresentativi d’Irlanda sono tutti riuniti sotto la Radio TV nazionale:
oltre al Quartetto, l’Orchestra Sinfonica Nazionale, la Concert Orchestra e due cori
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MUSICA INSIEME
Foto Thierry Cohen
Sergej Nakariakov.
Già invitato da
Martha Argerich
come da Evgenij
Kissin, debutta
a Bologna il
prodigioso
trombettista russo
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MI
MUSICA INSIEME
Lunedì 6 febbraio 2012
60 anni di Musici
L
Un programma che omaggia Bologna per I Musici, complesso di riferimento per la musica
italiana nel mondo, e protagonista nel 1988 della prima stagione di Musica Insieme
di Alessandro Taverna
e sue Memorie Carlo Goldoni le scrisse in francese
come in francese ha scritto le proprie Giacomo Casanova. Veneziani tutti e due, il commediografo e il
libertino hanno ricapitolato la loro esistenza votata ad
una passione predominante, passione coltivata con
un lucido accanimento, e si potrebbe arrivare a scambiare i titoli delle commedie scritte da Goldoni e i nomi delle donne
amate da Casanova per accorgersi che la passione resta uguale,
fino all’ultimo giorno. Goldoni ha scritto a Parigi i Mémoires,
pubblicandoli appena prima che scoppiasse la Rivoluzione
Francese, che lo priverà della pensione sprofondandolo nella
miseria che accompagnerà gli ultimi mesi della sua vita.
Quando muore è segnata anche la sorte di Luigi XVI, a cui
aveva dedicato la sua fatica letteraria. «Sono nato a Venezia nel
1707 in una grande e bella casa situata tra il ponte dei Tomboli e quella della Donna Onesta». Nell’infanzia e nell’adolescenza goldoniana evocata nei primi cinque capitoli c’è, ancor
più importante dell’apprendistato teatrale, la chiamata alla
scena. Non basta aver scritto a nove anni la prima commedia;
non basta aver riconosciuto nel padre che gli fa il regalo di uno
spettacolo allestito in un teatrino di palazzo il primo impresario
della sua vita; prima dei quattordici anni Goldoni fa in tempo
a fuggire con una compagnia di comici. C’è abbastanza per capire che il teatro non abbandonerà più il ragazzo. Come le
donne non abbandoneranno Casanova. E sia Casanova che
Goldoni con la mente non abbandoneranno mai Venezia,
dove l’acqua è il riflesso della musica. Neppure c’è da stupirsi
che Venezia sia sempre stata allagata di musica. Proprio qui,
dove il suono galleggia sull’acqua, il melodramma è nato nel
Seicento una seconda volta per non morire mai più, tenace
come il contagio del morbo più pernicioso. Ed è un fenomeno
LUNEDÌ 6 FEBBRAIO 2012
TEATRO MANZONI ORE 20.30
I MUSICI
SERGEJ NAKARIAKOV
tromba
Marco Enrico Bossi
Tre Intermezzi Goldoniani op. 127
Ottorino Respighi
Aria per strumenti ad arco (composizione inedita del 1905)
Felix Mendelssohn
Concerto per violino e archi in re minore MWV O 3
(trascrizione per tromba di Mikhail Nakariakov)
Jean-Baptiste Arban
Il Carnevale di Venezia per tromba e archi
Nino Rota
Concerto per archi (dedicato ai Musici)
Luis Bacalov
Concerto grosso per archi
(nuova versione cameristica, dedicata ai Musici)
Introduce il concerto Silvio Di Rocco, violista e presidente dei Musici
naturale che nella città lagunare si sia investiti dalla musica perfino quando essa all’apparenza sembra tacere, come sulle tele
dei grandi maestri veneti del Cinquecento. Perfino in questi dipinti un viaggiatore accorto come Hippolyte Taine risentì
l’armonia «che scaturisce dai colori ben distribuiti, opposti, e
ricomposti come un concerto che riempie le orecchie».
Concerto. Anzi: Concerto grosso. «Quarant’anni fa – spiega Luis
Bacalov – mi chiesero di fare la colonna sonora per un film
dove il protagonista era un giovane veneziano decadente. Mi
venne l’idea di contaminare gli stilemi della musica vival-
Sergej Nakariakov
Definito il “Paganini della tromba" ha suonato con Martha Argerich, Evgenij Kissin, Tatyana Nikolayeva, e con le più
prestigiose compagini, come English Chamber Orchestra, Orchestra da Camera di Praga, St. Paul Chamber Orchestra,
London Philharmonic Orchestra e sotto la direzione di musicisti del calibro di Bender, Bashmet, Ashkenazy. Nel 1991,
a soli 14 anni, partecipa al Festival di Ivo Pogorelich di Bad Wörishofen, dove viene acclamato come “Il giovane stregone della tromba”. Nell’agosto dello stesso anno debutta al Festival di Salisburgo ed un anno più tardi è ospite allo
Schleswig-Holstein Musikfestival dove viene premiato con il Grand Prix Davidoff.
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MUSICA INSIEME
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Lunedì 6 febbraio 2012
I Musici
leggera, semileggera, colta. Musica per film o altra musica, vi
metto sempre lo stesso impegno. Diverso è soltanto il territorio tecnico in cui mi muovo».
Preludio, Gagliarda, Serenatina, Burlesca, Coprifuoco. Non sono
nomi che d’istinto portano a evocare il nome di Goldoni.
Nome peraltro costantemente evocato dai viaggiatori del Grand
Tour che si affacciano a Venezia e sono subito investiti da un
orizzonte da commedia. Del resto, di intermedi o intermezzi
non ne ammettono le commedie goldoniane. Autore controvoglia di libretti d’opera (per Baldassarre Galuppi), Goldoni è
restato un autore di testi refrattari alle infiltrazioni di qualsiasi
musica. Sorte ben diversa toccherà alle creazioni teatrali di un
altro veneziano. Tanto distanti dal realismo dei dialoghi goldoniani, le fiabe teatrali di Gasparo Gozzi saranno pronte ad invadere l’Europa musicale, con la Donna Serpente o con Turandot. Eppure si chiamano Intermezzi goldoniani le pagine per
archi apprestate da Marco Enrico Bossi, e tenute a battesimo
al Teatro Comunale di Bologna nel 1905 dalla bacchetta di Arturo Toscanini. Più che Goldoni, quel che si respira è aria di Venezia. Si stenta comunque a riconoscere la città lagunare pre-
Nati nel 1951, sono il più antico gruppo da camera in attività; hanno aperto la strada nel mondo intero alla musica italiana del Settecento e hanno inciso per la prima volta Le Quattro Stagioni di Vivaldi, vendendone la cifra
record di oltre 25 milioni di copie. Regolarmente ospiti dei più importanti festivals internazionali, hanno suonato nelle sale più prestigiose, quali il Teatro Colon di Buenos Aires, la Carnegie Hall e il Lincoln Center di New
York, l’Opera di Tokyo, la Philharmonie di Berlino, il Palau de la Musica di Barcellona, l’Arts Center di Seul, la
Boston Symphony Hall. Giunti al sessantesimo anniversario dalla loro fondazione, negli anni sono stati dedicatari di importanti composizioni da parte di autori quali Rota, Bacalov, Morricone, Bucchi, Sakamoto.
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MUSICA INSIEME
Foto Tommy della Frana
diana con il rock progressive». Assolo e ripieno: la dialettica innescata dal concerto barocco fu fatta rivivere dal compositore
argentino in una forma contaminata e la formula del Concerto
grosso di Bacalov è sopravvissuta alla fortuna della pellicola per
cui era originariamente destinata, e sull’onda del favore del
pubblico ha ritrovato gli archi, la fonte d’ispirazione. «Per me
gli steccati tra i generi, i muri dentro alla musica non esistono,
sono tutti artificiali. Nel mio paese, in Argentina, d’altronde,
ai miei tempi era normale che i musicisti classici suonassero per
guadagnarsi da vivere, magari nei locali jazz. Certo qualche mio
maestro ha storto il naso quando ho iniziato a frequentare la
musica popolare, ma io non ci ho mai fatto caso».
Si potrebbero confondere le parole di Bacalov, autore di tanti
arrangiamenti musicali concepiti per il grande schermo, con
certe dichiarazioni di Nino Rota, che agli stessi archi aveva destinato nel 1964 un Concerto chiaramente scandito in quattro mosse – Preludio, Scherzo, Aria e Finale – dove riannodarsi
alla tradizione e alla lezione dei classici non sembra costare il
superamento di nessun ostacolo. «Non credo a differenze di
rango nella musica. Non esiste per me differenza tra la musica
scelta sei anni dopo dallo scrittore Thomas Mann per mandarvi
a morire Gustav von Aschenbach – e nello stesso anno il compositore Franz Schreker a Venezia fa approdare il protagonista
della sua opera lirica, Der Ferne Klang, esponendolo ad un contagio di mascheramenti e abiezioni. Niente di infetto nella Venezia del compositore italiano che al nome di Goldoni ascrive
una suite di danze dove si respira aria d’antico e dove gli esercizi di contrappunto sono di fattura squisita. Nulla di vivaldiano
nella città lagunare, non ancora finita nell’orbita della musica
del Prete Rosso: dovranno passare ancora degli anni prima
della clamorosa riscoperta, alle Settimane Musicali Senesi, del
nome di Antonio Vivaldi, tanto a lungo dimenticato fin dai
tempi delle querelles settecentesche fra musicisti italiani e stranieri e assente fino a Novecento inoltrato dalle pur innumerevoli evocazioni del paesaggio sonoro veneziano. Tanto di goldoniano piuttosto, in questa Venezia denotata negli Intermezzi.
Goldoni è l’idea della musica antica, che ai tempi si connota benissimo nella soffice coltre di uno stuolo di archi primo Novecento. Di archi si servirà un giorno non troppo lontano Igor
Stravinskij imboccando la strada del neoclassico in Apollon Musagète, e di archi si era già valso Ottorino Respighi, innalzando
un piccolo gioiello tutto intessuto di nostalgia con la sua Aria.
Niente tracce vivaldiane nemmeno nel Carnevale di Venezia del
compositore francese Jean-Baptiste Arban. Troppo presto per
accorgersi di un compositore sfuggito all’occhio e all’orecchio e che pure sembra appartenere quanto Tintoretto o Tiepolo alla fonosfera veneziana. Altro evocherà la città a turisti
stanziali o di passaggio come saranno nel primo Ottocento
Lord Byron o Felix Mendelssohn-Bartholdy. Quest’ultimo vi
approda negli anni di una maturità precoce quanto lo era stata
l’infanzia prodigiosa, che porta a traguardi di inquietante facilità, in tutti i campi. L’Ottetto in mi bemolle maggiore è stato
scritto a sedici anni da un enfant prodige che era pronto a tradurre in versi tedeschi una commedia di Terenzio, mentre era
impegnato nelle stesse settimane in esercizi di equitazione. In
tutta la propria opera Mendelssohn evidenzia un carattere
fantastico rivelatosi subito per uno dei tratti più riconoscibili
e connaturati della sua scrittura, che trascolora anche in quel
precocissimo Concerto per violino e dove riaffiora quella cifra
inconfondibile del compositore, che riecheggia l’ironia romantica di Ludwig Tieck o la paradossale leggerezza di Jean
Paul. Le sue memorie, Felix Mendelssohn non le ha mai
scritte, ma le sue parole rivivono in un ritratto affidato a Johann Christian Lobe e pubblicato nei Fliegende Blätter für die
Musik nel 1855. L’autore era troppo cauto per definirla come
sarebbe oggi, un’intervista. Eccone un brano, che suona esattamente come la vivace trascrizione di un nastro registrato –
a farsi sentire per prima è la voce di Felix Mendelssohn: «Io
DA ASCOLTARE
Dopo i fasti del periodo barocco, quella che era stata la
tromba regale, sacra e guerriera conobbe perfezionamenti
costruttivi che ne facilitarono molto il maneggio ma ne involgarirono il repertorio. Fra coloro che cercarono di opporsi alla china discendente brillano i nomi di alcuni francesi, in particolare quel Jean-Baptiste Arban (18251899) che con le sue variazioni su temi celebri in chiave
di virtuosismo trascendentale (Il Carnevale di Venezia, La
Norma) meritò il soprannome di “Paganini della tromba”.
Lo stesso appellativo circola a proposito di Sergej Nakariakov, ex fanciullo prodigio di Gor’kij ed oggi divo globale poco più che trentenne. L’incontro con I Musici di
Roma, che di anni ne compiono giusto sessanta, propizia
fra l’altro la ricomparsa in appositi arrangiamenti di brani dedicati al prestigioso complesso cameristico da alcuni musicisti come Rota e Bacalov, suoi storici fiancheggiatori. La tendenza ad appropriarsi di repertorii disparati per epoca e veste originale Nakariakov l’aveva manifestata fin dal 2000 con le mirabolanti Variazioni su un
tema rococò di Čajkovskij (cd No Limit). Per emulare il violoncello, il funambolico russo si serve qui di uno speciale flicorno soprano a quattro pistoni capace di scendere
un’ottava sotto quello ordinario. (cv)
sono dell’opinione che nulla dies sine linea. Non faccio passare
giornata senza comporre qualcosa. Ma quale artista gode ogni
giorno del favore delle muse? Nessuno, ma io ugualmente
posso sempre comporre qualcosa e questo qualcosa lo faccio
per restare in forma. Allo stesso modo in cui un virtuoso
perde sicurezza se abbandona il suo strumento anche solo per
un breve lasso di tempo, così succede per la mente che perde
di freschezza e agilità se certi esercizi sono trascurati. Per restare
in esercizio, compongo sempre, ma lo spirito non è sempre con
me. Tante volte mi sono accorto di aver creato composizioni
che mi hanno recato poco piacere e che non mi sono sembrate
niente di speciale...».
«Ho sempre pensato alla sorte dell’artista che è obbligato a
creare per guadagnarsi da vivere».
«Ma ci sono altre ragioni per un artista».
«Sarei curioso di conoscerle».
«Il mondo si dimentica facilmente di noi – notò Mendelssohn
– e l’artista una volta apparso in pubblico, deve cercare di contrastare questa tendenza all’oblio attraverso frequenti pubblicazioni di nuove opere. Non deve restare assente da nessun catalogo. Ci sono tanti e tanti compositori. Sparisci da un
catalogo di musica per qualche anno e sei perduto perché ti
hanno già dimenticato».
Lo sapevate che...
Nakariakov inizia all’età di 9 anni gli studi di pianoforte, ma nel 1984 subisce un incidente
che gli lesiona la colonna vertebrale e gli impedisce di stare seduto a lungo; inizia così a
studiare la tromba, incoraggiato dal padre, suonatore dilettante dello strumento
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MUSICA INSIEME
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L’apogeo
della sonata
Foto Christian Steiner
Lunedì 13 febbraio 2012
L
Debutta a Bologna la straordinaria violoncellista americana, già diretta da Barenboim,
Mehta e Temirkanov, e protagonista nel 2009 del concerto per il primo anniversario
della presidenza Obama di Margherita Scherpiani
a nascita del violoncello può essere fatta risalire agli inizi del
XVII secolo, quando lo strumento iniziò ad assumere una
forma e una struttura stabili, differenziandosi sempre più dagli altri componenti di quella che veniva genericamente definita la famiglia dei “bassi di
viola da braccio”. Già in epoca barocca
autori come Bach, Geminiani e Vivaldi
utilizzarono il violoncello in numerosi lavori, sia come basso continuo che in veste di strumento solista, mentre tra la
fine del Settecento e l’inizio del secolo
successivo furono soprattutto Haydn e
Beethoven a dare al violoncello un ruolo
primario nelle loro composizioni. Fu soltanto a partire da metà Ottocento, tuttavia, che lo strumento ricevette la sua
definitiva consacrazione, grazie soprattutto alla progressiva affermazione della
sonata per violoncello e pianoforte.
Molti fra i più grandi compositori del
XIX secolo si cimentarono in questo genere musicale, che a partire da allora, e
fino ai giorni nostri, si è progressivamente arricchito di un repertorio vasto e
composito, di cui l’impaginato di questo
concerto intende restituire un significativo spaccato. La Sonata in si minore
op. 65, scritta nel 1847, fu uno dei pochissimi lavori chopiniani a contemplare
la presenza di un altro strumento accanto al pianoforte, e l’ultimo ad essere
pubblicato quando l’autore era ancora in
vita. Dedicatario dell’opera era
‸ il celebre
violoncellista Auguste Franchomme, che
la eseguì per la prima volta nel 1848, alla
Salle Pleyel di Parigi, insieme allo stesso
Chopin. Il lavoro di composizione, interrotto da continui ripensamenti, riprese e abbandoni, si protrasse per quasi
due anni, rivelandosi assai impegnativo
sia sul piano strettamente intellettuale
che su quello della traduzione formale e
strumentale delle idee musicali. Ma il
risultato di questo travagliato processo
creativo fu una delle pagine cameristiche
più potenti del Maestro polacco, che
contribuì in maniera determinante a
consacrarne l’immagine di romantico visionario e appassionato. Il turbamento
che ha accompagnato la genesi dell’opera
emerge chiaramente dalla struttura compositiva, dall’inquieto snodarsi delle linee
melodiche e dall’impetuosa dinamicità
dell’elaborazione tematica, soprattutto
nell’ultimo movimento, Allegro, e nel
primo, un Allegro moderato che supera in
durata l’insieme dei tre seguenti. Di segno meno sperimentale sono invece i
due movimenti centrali, lo Scherzo, che
esibisce nel Trio una melodia calda e appassionata, e il Largo, dall’atmosfera distesa e sognante. Da ogni singola nota di
questa partitura emerge prepotente la
grandezza dello Chopin maturo, capace
di ottenere effetti d’ineguagliabile in-
LUNEDÌ 13 FEBBRAIO 2012
TEATRO MANZONI ORE 20.30
ALISA WEILERSTEIN violoncello
INON BARNATAN pianoforte
Johannes Brahms
Sonata in mi minore op. 38
Benjamin Britten
Sonata in do maggiore op. 65
Igor Stravinskij
Suite Italienne
Fryderyk Chopin
Sonata in sol minore op. 65
Introduce il concerto Giordano Montecchi.
Saggista e critico musicale per quotidiani e
riviste,insegna Storia della musica e Musicologia
sistematica al Conservatorio di Parma
tensità espressiva con una scrittura elegante e cristallina, che non lascia spazio
a sterili esercizi di stile. La Sonata in mi
minore op. 38 fu ultimata da Brahms
nell’estate del 1865 ed eseguita per la
prima volta a Lipsia nel 1871. Il compositore dedicò l’opera all’amico Joseph
Gänsbacher, per ringraziarlo del sostegno
accordatogli qualche tempo prima nella
nomina a direttore della Singakademie di
Vienna. Avvolta da un’atmosfera plumbea e drammatica, che in tanti hanno interpretato come un cenno autobiografico
dell’autore alla recente scomparsa della
madre, questa partitura rivela in realtà
un’innegabile felicità inventiva, proba-
Alisa Weilerstein
Dalla sua prima esibizione pubblica a soli 12 anni con la Cleveland Orchestra ad oggi, la carriera di Alisa Weilerstein è stata
in netta ascesa e l’ha portata a suonare nelle sale più prestigiose, dalla Carnegie Hall di New York alla Salle Pleyel di Parigi,
al Barbican Center di Londra; ospite abituale delle più famose orchestre, quali New York Philharmonic Orchestra, Berliner Philharmoniker, Filarmonica di San Pietroburgo e Orchestra Simón Bolívar, è stata diretta da Maestri come Maazel, Mehta, Barenboim, Temirkanov, Dudamel. Ospite di festival internazionali quali l’Aspen Music Festival e il Verbier Festival, è stata protagonista nel 2007 di una tournée del ciclo “Gil Shaham & Friends”. Nel novembre 2009 ha avuto l’onore di esibirsi alla Casa
Bianca in occasione del concerto per il primo anniversario della presidenza Obama.
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MUSICA INSIEME
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bilmente collegata al momento
di grande appagamento esistenziale che
il trentaduenne Brahms
stava vivendo. Nell’incantevole cornice naturale della cittadina di Baden-Baden, ritemprato da una lunga vacanza e
circondato dall’affetto di amici artisti,
intellettuali e musicisti, il compositore si
trovava infatti nel pieno di un periodo di
Inon Barnatan
fervido estro creativo e intensi stimoli intellettuali, il cui esito più immediato fu
appunto la creazione di uno dei suoi più
noti capolavori. La Sonata è composta da
tre movimenti ed è priva del tradizionale
movimento lento centrale, anche se pare
che Brahms avesse abbozzato un Adagio,
poi soppresso, e verosimilmente riutilizzato a distanza di vent’anni nella composizione dell’Adagio della Seconda Sonata op. 99. Il materiale melodico da
cui si sviluppa il processo compositivo
Foto Marco Borggreve
Nato a Tel Aviv, e trasferitosi a Londra per studiare alla Royal Academy, nel 2009 vince
l’Avery Fischer Career Grant e viene premiato come “Young Artist” dell’anno dalla
Classical Recording Foundation di New York. Si è esibito nei più famosi centri
musicali, quali Carnegie Hall e Lincoln Center di New York, Concertgebouw
di Amsterdam, Wigmore Hall di Londra, Salle Gaveau di Parigi, Teatro dell’Arte di Shanghai. Ha suonato con compagini quali
l’Orchestra Filarmonica d’Israele, l’Orchestra Sinfonica di Shanghai, la London Soloists Chamber
Orchestra, la New Europe Orchestra, e si
è esibito all’interno del prestigioso ciclo “Rising Stars” di Bruxelles.
Fondatore del Fidelio Piano
Quartet, ha collaborato,
tra gli altri, con il Jerusalem String Quartet
e la violinista Liza
Ferschtman.
viene quindi interamente esposto nel
primo movimento, l’Allegro non troppo,
che costituisce un brillante esempio di
forma-sonata a tre temi – anziché a due,
come nella tradizionale sonata classica. A
un primo tema in modo minore, di carattere intimamente cantabile ed espressivo, ne segue un secondo, ancora in
modo minore, costruito su un gioco
d’incastri che ricorda gli incipit di alcuni canoni settecenteschi, arricchiti
però da un’emotività appassionata tipi-
Lunedì 13 febbraio 2012
camente brahmsiana. Subentra poi un
terzo tema, stavolta in modo maggiore,
percorso da un’inflessibile pulsazione ritmica al basso, che lascia trasparire ancora
una volta un tentativo di recupero del
barocco. Tale tentativo viene del resto
reso esplicito nel Finale, che è difficile
non interpretare come una vera e propria
citazione del Bach dell’Arte della fuga.
La Suite Italienne di Igor Stravinskij, originariamente scritta per violino e pianoforte, nacque come arrangiamento di alcuni brani del balletto Pulcinella,
composto nel 1919 dallo stesso Stravinskij a partire dall’elaborazione di materiali tematici tratti dal primo Settecento
strumentale italiano, in particolare dal
repertorio di Giovanni Battista Pergolesi.
La scelta di attingere a modelli così lontani nel tempo, dopo che l’autore aveva
firmato alcuni dei più significativi capolavori dell’avanguardia novecentesca, fu
accolta dalla critica coeva con un certo
scetticismo e tanto bastò, in un’epoca
particolarmente turbolenta per le vicende estetiche della musica colta occidentale, ad attirare su Stravinskij l’accusa di aver abbandonato la sua
vocazione sperimentale in favore di un
neoclassicismo patinato e di maniera.
All’ascoltatore contemporaneo, tuttavia,
le riletture stravinskiane appaiono dotate
di una prospettiva totalmente autonoma,
quasi eversiva nella metodica opera di
scomposizione e raccostamento dei diversi piani armonici, melodici e timbrici.
La trascrizione per pianoforte e violoncello, realizzata nel 1932 con la collaborazione di Gregor Piatigorskij, conserva
della Suite originaria quasi tutti i movimenti, soprattutto quelli esterni con la
loro prorompente carica espressiva, ovvero la brillante Introduzione e lo sfarzoso
Minuetto che, con un graduale crescendo, sfocia in un Finale brioso e spumeggiante. La Sonata in do maggiore
op. 65 è la prima di una serie di cinque
DA ASCOLTARE
Del 2009 è il dvd Euro Arts che vede Alisa Weilerstein eseguire il Concerto
op. 85 di Elgar accanto ai Berliner Philharmoniker diretti da Daniel Barenboim.
Ma ricordiamo anche rimpatriate familiari di altissimo livello sotto l’etichetta del
Weilerstein Trio di Boston: il padre Donald al violino, la madre Vivian al pianoforte e lei stessa al violoncello, ad esempio per i Trii di Dvořák (Koch Records,
2006), o di Schumann (E1 Music, 2009). L’altro fratello Joshua, minore di cinque anni, ha scelto invece la carriera direttoriale. Non disperiamo di ascoltarli
riuniti un giorno o l’altro nel Triplo Concerto op. 56 di Beethoven, una pagina
che parrebbe fatta apposta per loro. Intanto la riccioluta Alisa continua in giro
per i continenti una carriera solistica cominciata a soli 13 anni, quando debuttò
con la Cleveland Orchestra nelle Variazioni su un tema rococò di Čajkovskij. Nel
frattempo, chissà come, ha pure trovato il tempo di laurearsi alla Columbia University di New York con una tesi in storia della Russia. Del suo accompagnatore Inon Barnatan, nato a Tel Aviv nel 1979, ci piace ricordare la parentela
spirituale con l’Italia: allievo a Londra di Maria Curcio. Non risulta al momento
alcuna registrazione comune del nostro duo; attendiamo speranzosi. (cv)
composizioni che Benjamin Britten dedicò al violoncello. All’origine di quest’opera vi è l’incontro con il violoncellista Mstislav Rostropovič, la cui tecnica
prodigiosa affascinò il compositore inglese a tal punto da suscitare in lui la curiosità e il desiderio di misurarsi con le
possibilità espressive di questo strumento. Fu Dmitrij Šostakovič a presentare i due musicisti, nel 1960, in occasione della prima londinese del suo
Primo Concerto per violoncello, eseguito proprio da Rostropovič. Al termine dello spettacolo Britten espresse al
solista la propria sincera ammirazione e
quest’ultimo gli chiese di scrivere un
pezzo per lui, proposta che il compositore accettò di buon grado, a patto di poter essere egli stesso ad affiancarlo al pianoforte nella prima esecuzione pubblica
dell’opera. Terminata pochi mesi dopo,
la Sonata debuttò nel luglio del 1961 al
celebre Festival di Aldeburgh e, oltre a ricevere consensi entusiastici da parte del
pubblico, fu salutata dalla critica come
uno dei lavori più interessanti del decennio. Nonostante ciò rimase sempre
una delle pagine meno eseguite dell’au-
tore inglese, a causa delle enormi difficoltà tecniche insite nella partitura. Il
brano, nella brevità dei suoi cinque
tempi, riesce a coniugare con straordinaria efficacia la tradizione della sonata
classica e la prorompente vocazione narrativa di Britten, esponendo già nel
quieto movimento d’apertura, Dialogo,
tutto il materiale musicale che diverrà
oggetto delle successive elaborazioni. Il
secondo movimento, uno Scherzo-pizzicato, offre infatti una rilettura in chiave
percussiva delle progressioni armoniche
già presenti nel Dialogo, mentre le terze
parallele del primo movimento ritornano, cromaticamente alterate, nella successiva Elegia. Segue una Marcia dal carattere grottescamente bitonale, il cui
andamento scalare ricalca la stessa alternanza di toni e semitoni già ascoltata in
apertura, mentre il finale, l’acceso Moto
Perpetuo, sembra racchiudere in
un’astratta forma di rondò le guizzanti
articolazioni melodiche del violoncello e
gli arditi cromatismi del pianoforte, finché la tonalità di do maggiore non ritorna, come un’attesa benedizione, a suggellare la chiusura del cerchio.
Lo sapevate che...
Dal 2008 Alisa Weilerstein è portavoce della Fondazione per la ricerca sul diabete giovanile,
del quale è affetta. Il suo impegno di concertista mira a sensibilizzare il mondo su questa
grave malattia, e a dimostrare che il diabete non deve impedire di perseguire i propri sogni
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MUSICA INSIEME
51
Lunedì 20 febbraio 2012
Il pluripremiato quartetto
di Praga, presentato a
Bologna da Musica Insieme
dopo la vittoria al Concorso
Borciani 2005, reca un
omaggio a Debussy nel 150°
anniversario della nascita
di Sara Bacchini
Geografia
del quartetto
I
l quartetto per archi, affermatosi
come genere autonomo nella seconda metà del XVIII secolo ad
opera di Haydn, Mozart e Beethoven, sin da allora si è conquistato il
ruolo di genere strumentale più rappresentativo della scuola austro-tedesca. È
facile quindi intuire come dovesse risultare problematico scrivere un quartetto
per i compositori delle nuove scuole nazionali – russa, francese, moldava, ungherese… – rappresentanti di Paesi musicalmente giovani ma che, nella seconda
metà del XIX secolo, stavano cercando
un proprio posto e una propria fisionoLUNEDÌ 20 FEBBRAIO 2012
TEATRO MANZONI ORE 20.30
PAVEL HAAS QUARTET
°
violino
VERONIKA JARUŠKOVÁ
EVA KAROVÁ violino
PAVEL NIKL viola
°
violoncello
PETER JARUŠEK
ˇ
Pëtr Il’icˇ Cajkovskij
Primo Quartetto in re maggiore op.11
Claude Debussy
Quartetto in sol minore op. 10
ˇ
Bedrich
Smetana
Primo Quartetto in mi minore
Dalla mia vita
Introduce il concerto Alessandro Taverna.
Da più di vent’anni si occupa di cronache
musicali su riviste e quotidiani, fra cui le
pagine bolognesi del Corriere della Sera
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MUSICA INSIEME
mia, e per far ciò dovevano svincolarsi
dalla predominante cultura austro-tedesca. In Russia, Pëtr Il’ič Čajkovskij era,
a differenza di altri suoi contemporanei,
un artista aperto agli influssi della grande
tradizione musicale europea, i cui alti
esiti avrebbero potuto arricchire la stessa
musica russa, e sarebbe stato quindi insensato, secondo la sua prospettiva, rifiutarli. Altri, al contrario, ritenevano
che i musicisti russi dovessero respingere ogni inquinamento proveniente dall’Occidente e attingere esclusivamente
alle tradizioni nazionali, per poter esprimere lo spirito autentico del proprio popolo. Čajkovskij però, nonostante le tendenze occidentalizzanti e l’ammirazione
per i classici, non riusciva a farsi piacere
sino in fondo la sonorità del quartetto
per archi e non condivideva il severo spi-
rito architettonico di questo genere musicale; cercò quindi di trasformarlo in
una specie di diario dell’anima, travasandovi melodie e ritmi tradizionali della
propria terra. Il suo Quartetto per archi
n. 1 (in re maggiore, op. 11), composto
nel 1871, fu anche uno dei suoi primi
successi. Opera ricca di emotività, nel cui
pathos controllato si sente la voce dell’anima segreta d’un artista raffinato e
sensibile, essa si esprime in una lingua familiare e tenera, che richiama leggerezze
mendelssohniane, tra intime flessioni
malinconiche ed echi di vita popolare. Il
romantico primo movimento (Moderato
e semplice – Allegro giusto) sembrerebbe
guardare a Schubert, ma i temi che lo
contraddistinguono hanno una reminescenza e una tenerezza tipicamente slave,
che emergono anche nell’Andante can-
Pavel Haas Quartet
Impostosi all’attenzione di critica e
pubblico con la vittoria al Concorso
Rimbotti nel 2004, ed al Festival Primavera di Praga nonché al Concorso
Borciani nel 2005, il praghese Quartetto Pavel Haas ha da allora suonato nelle più prestigiose sale, dalla
Carnegie Hall di New York al Konzerthaus di Vienna, dal Mariinskij di
San Pietroburgo alla Royal Concert
Hall di Glasgow. Invitato regolare di
manifestazioni come le Schubertiadi
di Schwarzenberg, il Festival di Edimburgo, il Festival Dvořák di Praga, ha
tenuto tournées in Australia, negli
Stati Uniti e in Giappone, dove ha registrato un programma su Janáček e
Haas per la TV nazionale NHK. Nel
2007 la Filarmonica di Colonia ha
scelto il Quartetto Pavel Haas per il ciclo ECHO Rising Stars, mentre nel
2009 il Quartetto ha preso parte al
ciclo BBC Generation Artists; l’anno
successivo, sempre la BBC ha ospitato
il Pavel Haas come Quartetto in Residenza per un ciclo di quattro concerti. Nel 2010 il Pavel Haas ha ottenuto la prestigiosa borsa di studio
assegnata dalla Fondazione BorlettiBuitoni, istituzione nata per promuovere i giovani talenti musicali.
tabile, dove una melodia popolare si alterna a un tema dal carattere più mondano, ma egualmente molto espressivo.
Il terzo movimento, Scherzo – Allegro
non tanto, è una robusta danza contadina
russa, la cui allegria popolare prosegue
nel Finale, in cui s’alternano un esuberante tema di danza e un secondo tema
cantabile e profondamente espressivo.
Anche in Francia la storia del quartetto
è breve e alquanto discontinua: non risulta infatti nessun capolavoro prima degli ultimi anni dell’Ottocento e pochi,
ma significativi, lavori a partire dal 1889,
anno in cui il Quatuor di César Franck
(belga di nascita, ma attivo sulla scena
musicale francese) riscosse grande e inatteso successo. Ad esso seguiranno poi i
Quartetti di Gabriel Fauré (1876, 1885),
il Quartetto di Vincent d’Indy (1890) e
i due lavori di Debussy e Ravel. Claude
Debussy compose il Quartetto per archi
in sol minore op. 10 fra l’estate del 1892
e il febbraio del 1893, in un periodo
dominato da lavori di marca simbolista
(Prélude à l’après-midi d’un faune, Nocturnes) ma ancora sensibile agli influssi
franckiani, soprattutto nella forma ciclica che permea la struttura dell’opera,
unita qui alla forma della variazione. I
quattro movimenti dell’op. 10 sono caratterizzati infatti da un unico tema in
continua trasformazione e sostenuto da
un’armonia dai colori sempre cangianti,
oltre che da micro-variazioni che interessano tanto l’aspetto ritmico quanto
quello coloristico-modale e si alternano
a riesposizioni del tema fondamentale, in
un variegato e coloratissimo mosaico
musicale. Il primo movimento, Animé et
très decidé, è in forma-sonata e si apre
con l’esposizione del tema principale
proposto dai quattro strumenti con energica fermezza: il profilo tagliente e il disegno ritmico ben definito permettono
all’ascoltatore di percepirlo immediatamente come cardine dell’intera composizione, facilitandone il riconoscimento
nelle successive riapparizioni. Seguono lo
sviluppo, che si apre enfaticamente con
una ripresa del tema principale che infittisce il tessuto strumentale fino a raggiungere l’apice e a frantumarsi in varie
schegge motiviche, e una ripresa priva di
qualunque analogia con l’esposizione. Il
secondo movimento, Assez vif et bien rythmé, in forma di scherzo, si apre con un
virtuosistico pizzicato dei quattro strumenti, ed è attraversato da un ostinato
che sembra essere un ricordo della fortissima impressione che esercitò su Debussy l’orchestra giavanese all’Esposizione Universale parigina del 1889.
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MUSICA INSIEME
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Lunedì 20 febbraio 2012
L’Andantino (Doucement expressif ), sempre in forma tripartita, presenta nelle
due sezioni estreme una sonorità rarefatta e impalpabile, che crea forte contrasto con l’episodio centrale più mosso:
nella prima parte i quattro archi usano la
sordina, creando un’atmosfera sonora
dolce e delicata, mentre la sezione centrale – aperta dal recitativo della viola –
ripropone una variazione del tema seguita da un progressivo animando delle
quattro voci che raggiungono un intenso
apice dinamico per poi ricadere nel
suono ovattato della sordina. La ripresa
abbreviata conduce all’ultimo movimento (Très moderé – Très mouvementé et
avec passion), che prende l’avvio da una
introduzione lenta ed elabora il tema
principale in arabeschi melodici dalle
sonorità misteriose. Nel successivo episodio, le quattro voci strumentali entrano in successione quasi a canone, creando un’incalzante progressione
ascendente che si dissolve nel pianissimo. A seguito di cromatismi, variazioni tematiche e dinamiche, nel finale
Très vif ritorna trionfale, in virtù di una
sapiente trama contrappuntistica, il tema
fondante l’intera composizione, che
chiude il quartetto.
A differenza della scuola russa e francese,
la musica di ceppo boemo si diffuse in
Europa nel Settecento e si intrecciò
strettamente alla tradizione austro-tedesca. Con i moti del 1848 e con le relative concessioni politiche alle etnie che
formavano l’Impero, la musica locale
assunse una propria individualità, e il
primo musicista in cui la nazione boema
si riconobbe fu Smetana, anche se
l’identità nazionale non fu, almeno dal
punto di vista musicale, una scoperta
autonoma ma avvenne già in anni precedenti per merito di Franz Liszt. La
produzione strumentale cameristica di
Smetana, nonostante sia quantitativamente limitata, offre al suo interno
esempi di rara intensità, come il Primo
Quartetto per archi (1876), non a caso
divenuto molto popolare. Del resto,
DA ASCOLTARE
Prima di scomparire nella diabolica fornace di Auschwitz, Pavel Haas, un ebreo
moravo pupillo di Janáček, fece in tempo a comporre tre quartetti per archi che
il giovane complesso a lui intitolato ha da poco inciso per l’etichetta Supraphon.
Tira aria di famiglia: dopo varie scissioni e rimpasti, i coniugi Jarůšek (la fondatrice Veronika al primo violino e Peter al violoncello) restano padroni del campo. La viola Pavel Nikl, in ballo fin dal debutto, e il secondo violino Eva Karová, ultima arrivata, completano questa formazione la cui età media supera di
pochissimo la trentina. In Italia i quattro ragazzi cechi sono già di casa, avendo vinto i premi Rimbotti e Borciani nonché una borsa di studio della Fondazione Borletti-Buitoni. Il loro suono è maturo e classicamente composto, le scelte di programma si orientano in primo luogo sul ricchissimo repertorio nazionale di quella Boemia che già Charles Burney definiva “il gran seminario musicale d’Europa”. Ma anche Haydn e Mozart, Beethoven e Schubert, Ravel e
Prokof’ev sono al centro delle loro attenzioni interpretative. Di certo il loro volo
è appena all’inizio. Consigli per l’ascolto: i Quartetti di Dvořák op. 96 e 106,
sempre per la gloriosa etichetta Supraphon risorta dalle ceneri.(cv)
Smetana scelse coscientemente di seguire una via personalissima che non
contemplasse imitazioni o consumo
acritico di materiali popolari, per ripensare invece con spontaneità e freschezza il romanticismo tedesco. Ed è
proprio l’aspetto sentimentale che nel
Quartetto in mi minore acquista proporzioni perfette a rappresentare la sua
qualità più convincente. In quest’opera,
cui il compositore stesso volle dare il
sottotitolo Dalla mia vita, si contemperano due esigenze: quella di conservare
l’architettura cameristica di provenienza
tedesca e quella di osservare l’estetica
progressista, teorizzata da Liszt, di conferire un “contenuto”, un “programma”,
alla musica. La connessione dà un risultato molto suggestivo grazie all’equilibrio fra la struttura formale e il mélos
boemo: la vita, per Smetana, si rispecchia in una serie di rimembranze musicali rese ancor più struggenti dal fatto
che il musicista era ormai completamente sordo, quando compose il Quartetto, nel 1876. Una lettera di Smetana
all’amico Debrnov costituisce il “programma” del brano: «A proposito del
quartetto, ne lascio giudicare lo stile ad
altri e non mi irrito se non piace o se
viene considerato contrario allo ‘stile
quartettistico’ […]. La forma di ogni
composizione, per quanto mi riguarda,
è dettata dal suo soggetto […]. Mia intenzione era di descrivere con la musica
la mia vita. Il primo movimento descrive il giovanile accostarmi all’arte, lo
spirito del romanticismo, l’indicibile
tenerezza suscitata in me da qualcosa
che non posso esprimere né definire, e
un presagio della sventura. La lunga ed
insistente nota nel finale la rievoca. Essa
simboleggia il fatale echeggiare, nei miei
orecchi, delle note acute che, nel 1874,
annunciarono l’inizio della mia sordità.
Il secondo movimento, quasi-polka, riporta alla mia mente i giorni felici della
gioventù, quando componevo musiche
di danza ed ero conosciuto dappertutto
come un appassionato ballerino. Il terzo
movimento (quello che, secondo i signori esecutori, sarebbe ineseguibile)
mi ricorda la felicità del primo amore,
la ragazza che in seguito diventò la mia
prima moglie. Il quarto movimento descrive la scoperta di poter inserire elementi nazionali nella musica, la mia
gioia di poter seguire questa via fino a
quando non venni colpito dalla catastrofe della sordità, la prospettiva di un
terribile futuro, le esili speranze di riprendermi, infine, un sentimento di
penoso rammarico, ricordando tutte le
promesse iniziali della mia carriera».
Lo sapevate che...
Il Quartetto prende il nome dal geniale compositore ceco Pavel Haas (1899–1944), allievo
di Janáček, deportato a Theresienstadt nel 1941 e morto ad Auschwitz tre anni dopo
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MUSICA INSIEME
PER LEGGERE
Eric Siblin
Le Suites per violoncello
(Il Saggiatore, 2011)
Il libro di Eric Siblin Le
Suites per violoncello. Da Johann Sebastian Bach a Pablo Casals: storia e misteri di
un capolavoro barocco, edito da Il Saggiatore (310 pagine), è piacevole da leggere e ricco di curiosità. L’autore è un critico di musica pop “pentito”. Hanno contribuito al suo ravvedimento la pessima qualità di tanta musica che era
costretto ad ascoltare per lavoro, ma, soprattutto, la scoperta delle Suites di Bach. Il volume racconta storia, aneddoti e curiosità relativi a questo capolavoro. Siblin spazia dalla storia all’interpretazione, dedicando un omaggio
a un’opera rimasta nascosta per due secoli e poi
impostasi all’attenzione degli ascoltatori con un
successo sbalorditivo. Del resto, le Suites stesse non sono forse una continua sorpresa? Scrive Siblin: «Se ho seguito il cammino di questa musica per così tanto tempo, è perché nelle Suites per violoncello c’è davvero tanto da
ascoltare. Il genere può essere barocco, ma ci
sono personalità multiple e cambi di atmosfera.
Io sento pittoresche melodie contadine e minimalismo postmoderno, balli medievali e colonne sonore di film di spionaggio».
Natalie Bauer-Lechner
Mahleriana.
Diario di un’amicizia
(Il Saggiatore, 2011)
Nel 1890 Natalie BauerLechner, viola del celebre
quartetto femminile Soldat-Ròger, conosce Gustav Mahler e fino al 1902
mantiene con lui un sodalizio intenso e costante. Mahleriana. Diario di un’amicizia, edito da Il Saggiatore (301 pagine), riporta i suoi
ricordi in un libro ricco di testimonianze sul
musicista e sulla vita musicale dell’epoca, ma
non mancano toccanti aspetti umani. Sono
gli anni in cui Mahler si afferma come direttore d’orchestra, dalla direzione dell’Opera di
Amburgo alle gloriose stagioni al Teatro di
Corte di Vienna. Natalie, che gli è sempre accanto, ne registra i pensieri e le riflessioni su
Bach, Brahms, Beethoven, Liszt, Berlioz e Wagner. Lo vede comprenderne la grandezza e trasmetterla ai musicisti, ai cantanti e infine al
pubblico, grazie al suo genio interpretativo.
Assiste alla genesi delle prime sinfonie mahleriane, dei Lieder di “Des Knaben Wunderhorn” e ai tormenti creativi del musicista.
Partecipa alle difficoltà di Mahler col pubblico
che, se da un lato lo esalta come direttore d’orchestra, dall’altro stenta ad accogliere le sue
composizioni, per poi amarle sempre di più.
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MUSICA INSIEME
di Chiara Sirk
MUSICA
PATRIOTTICA
Dal melodramma agli
inni popolari, dai libretti
alla censura: i complessi
rapporti fra musica e
Risorgimento in un
saggio ampio e ben
documentato
Per i tipi dell’editore Dalai, esce O mia
patria. Storia musicale del Risorgimento,
tra inni, eroi e melodrammi, curato da
Giovanni Gavazzeni, Armando Torno e
Carlo Vitali. Prefazione di Philip Gossett. Nell’anno del 150° dell’Unità non
è certo mancata l’attenzione alla musica e al suo ruolo nel periodo risorgimentale. Sono stati pubblicati parecchi
libri, con vari esiti. Questo ci sembra il
più ampio (336 pagine), ben documentato, pieno di connessioni fra storia,
filosofia, letteratura, pronto ad offrire un
quadro dei rapporti fra musica, storia e
politica, sempre esistiti, ma forse mai
come in questo caso evidenti e forti. Tutti conoscono il ruolo di Verdi: si studia
a scuola, se n’è scritto abbondantemente, ma i rapporti fra musica e Risorgimento non si esauriscono qui. Il maggior
pregio del volume è di rendere conto di
un variegato mondo della musica in senso lato, che non si esaurisce nel melodramma e nei suoi maggiori protagonisti: da Verdi padre musicale della Patria,
a Rossini super partes, a Donizetti osteggiato dalla censura suo malgrado. Accanto ai musicisti sono interessanti, per
capire il clima dell’epoca, i rapporti tra
librettisti e censori, più tolleranti prima
del 1848, spietati dopo, una volta compresa l’enorme influenza dell’opera sugli animi. Del resto, quando “Si ridesti
il leon di Castiglia” dall’Ernani di Verdi diventava “Leon di San Marco” (si era
ovviamente a Venezia, nel 1848) è facilmente intuibile quanto s’infiammassero i cuori e quanto le già severe autorità ancora più s’indisponessero. Ma la
lotta allo straniero, spiega il libro, si consumava nei teatri in molti modi e registrava piccoli episodi di eroismo finiti dimenticati: come i casi di celebri cantanti incarcerati per aver inserito la parola “libertà” in un’aria o che sostenevano esuli indigenti. Anche il cinema, con Senso
di Visconti, ci ricorda come nel 1866, in
una Venezia ancora occupata, l’invito di
Manrico a prendere le armi nella famosa “Pira” del Trovatore scatenasse il pubblico della Fenice in una dimostrazione
contro gli Austriaci, coperti di volantini
e fiori tricolori, al grido di “Viva l’Italia!”.
Ma al di là della mitologia risorgimentale,
costruita e imposta nel periodo post-unitario, esiste anche un corpus di inni popolari cancellati dalla storia che si vanno
riscoprendo, e di cui ci offre un profilo
la prefazione di Philip Gossett. Versi per
cui i nostri antenati s’immolavano. La
musica, dunque, è stata il grande veicolo degli ideali patriottici, costituendo una
vera storia non scritta del Risorgimento.
Giovanni Gavazzeni,
Armando Torno, Carlo Vitali
O mia patria, Dalai, 2011
DA ASCOLTARE
di Carlo Vitali
MADE IN ITALY DI QUALITÀ
Dal violoncello virtuoso di Nino Rota ai Concerti per archi
del Prete Rosso: nella scelta discografica di questo
numero, autori e interpreti italiani la fanno da padroni
Véronique Gens, soprano
Les Talens Lyriques, Christophe Rousset dir.
“Tragediennes 3: Les Héroïnes Romantiques”
Virgin Classics 50999 0709272 25
DDD 67:49
Terza dispensa di un’antologia storica sull’opera seria francese, che era
partita con Lully ed oggi procede di un altro secolo, più o meno dalla Bastiglia a Sedan, senza trascurare lungo il percorso quelle migrazioni del gusto che videro Sacchini e Piccinni, Salieri, Cherubini e Verdi cimentarsi in generi come la tragédie lyrique e il grand opéra. Si vorrebbe forse obbiettare all’equilibrio delle scelte: al posto di un Mermet del 1864 o di un Saint-Saëns del 1883 si poteva dare più spazio
ad un capolavoro proto-romantico come Les Danaïdes di Salieri, qui
campionato solo da una risaputa ouverture, per di più diretta da Christophe Rousset ad un tempo precipitoso che ne frantuma l’articolazione interna. Ma questo è l’unico neo imputabile al maestro transalpino
e ai suoi Talens Lyriques, come sempre ammirevoli per suono cristallino,
ampia tavolozza coloristica e preziosi vibrati d’arco. Ben sostenuta da
sì lussuoso accompagnamento, Véronique Gens sale in cattedra quale forte chanteuse addetta ai ruoli di eroina tragica: Iphigénie di Gluck,
Didon di Berlioz, Hérodiade di Massenet – e perfino un’imprevista
Andromaque di Kreutzer (sì, proprio quello della Sonata a...). Diverse
prime esecuzioni moderne rendono imperdibile la presente registrazione per gli appassionati della materia.
I Musici
“Antonio Vivaldi:
Concerti per archi e continuo”
fonè CD085
DDD 57:06
Nasceva nel 1951 e debuttava un anno dopo, salutato dalla benedizione di Toscanini, quel gruppo di dodici neodiplomati di Santa Cecilia che con la ragione sociale “I Musici” scelse Vivaldi quale autore
di riferimento o italica griffe da esportazione. Adeguandosi con cautela alle novità e rinnovando i ranghi da cima a fondo, sono ancora
qui: col sound terso e il ritmo alacre che privilegia i tempi forti poco
concedendo all’improvvisazione. Classici o neoclassici? Godibile
l’audio digitale hi-tech.
La formazione di Nino Rota era avvenuta in
seno a un’Italia musicale del primo Novecento
impegnata a corteggiare la forma semplice e
quella “smodata spontaneità” di cui parla Giovanni Morelli. Nel secondo dopoguerra la musica italiana aveva poi riagganciato il passo radicale delle avanguardie europee, pur senza
riuscire a spegnere la vitalità di uno stile nazionalpopolare. Ma di ciò basti; perché poetica, fonti e parentele stilistiche del Rota compositore “serio” sono analizzate da Giovanni
Gavazzeni nelle note di copertina con un mix
di dottrina e affabile sobrietà quali oggi è sempre più raro trovare in tal genere di letteratura. Due composizioni nell’immodesto formato del concerto classico per strumento solista e orchestra, scritte nel biennio 1972-73.
Sono gli anni delle Olimpiadi di Monaco e della visita di Nixon in URSS. Ecco: forse solo
nella Russia brežneviana di quel tempo, mentre si stava spegnendo la corrosiva ironia di
Šostakovič contro l’imperativo ideologico
“realismo socialista più romanticismo rivoluzionario”, Rota avrebbe potuto trovare
– come di fatto trovò – qualche apprezzamento
per il suo modo di comporre. Tutto il contrario
qui da noi. “Immediatezza”, “ingenue certezze
del sentimento”, “malinconia stranamente felice” sono i valori riconosciuti al suo dettato
dai pochi estimatori di allora, ma rovesciati di
segno dalla critica militante in nome dell’obbligo alle Tre D: disagio, distacco, denuncia. Se fosse ancora tra noi nel centenario della sua nascita, il Maestro potrebbe godersi lo sdoganamento che gli offre il violoncello virtuoso di Silvia Chiesa: severo nelle introduzioni in grande stile di forma-sonata, vibrante di pathos nei cantabili, spumeggiante di grazia neoclassica nelle variazioni, soggiogante nei finali. E soggiogata appare difatti,
forse un po’ oltre il dovere, l’Orchestra RAI
sotto la guida di Corrado Rovaris.
Silvia Chiesa, violoncello - Corrado Rovaris dir.
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
N. ROTA, Cello Concertos N.os 1 & 2
Sony Classical 88697 924102 DDD 49:44
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Hanno collaborato
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Alessandro Taverna, Carlo Vitali
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