I disturbi comportamentali nell` età scolare

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I disturbi comportamentali nell` età scolare
N E U R O P S I C H I AT R I A I N FA N T I L E
A cura di Michele Loreto *
I disturbi comportamentali
nell’ età scolare
mportanti difficoltà psicologiche dell’età
evolutiva presenti in forma latente, si
manifestano nella scuola e molto
frequentemente, prima di essere riconosciute,
sono motivo di colpevolizzazione del bambino definito
svogliato, disattento, irrequieto.
L’angoscia genitoriale, che emerge dopo una prima
reazione di negazione del problema, si concentra
abitualmente sull’organicità del disturbo: sarà poco
intelligente in conseguenza di un difetto cerebrale.
È esperienza comune che, tutte le volte in cui ci si
sente condizionati da una forte difficoltà emotiva, le nostre
capacità d’attenzione, concentrazione ed apprendimento
si affievoliscono e, nei casi più seri, si annullano, ma non
è così immediato applicare tale considerazione ad un
bambino.
La scuola, deputata all’apprendimento e occupando
un ruolo centrale nella vita del bambino svela problemi
che, pur alterando la capacità di apprendere, non dipendono
dall’intelligenza del bambino, ma sono in relazione con
la sua condizione affettiva.
La condizione di dipendenza in cui vive un bambino,
lo espone molto più di un adulto ai vissuti stressanti
determinati da paure, conflitti, tensioni, e tale fragilità si
può manifestare con un’alterazione del Comportamento.
Il disagio psicologico, che nella scuola si svela, ha
origine nei primi anni di vita ed è legato all’evoluzione
dei processi di pensiero.
Da solo un bambino piccolo non ha la capacità di
trasformare le sensazioni in pensiero, significandole. Non
può dare atto a processi che autonomamente organizzano
l’affettività e le emozioni senza il sostegno di un filtro:
una barriera semipermeabile, costruita dai genitori e dagli
adulti, che consente al bambino di essere raggiunto dalle
esperienze di dolore, di separazione, di solitudine, di
delusione, ma trattenga l’eccessivo carico d’ansia e
d’angoscia.
Superare esperienze dolorose, inevitabili nell’infanzia,
comporta l’attivazione di processi d’elaborazione interiore
che devono essere sostenuti dall’adulto. Il bambino deve
essere posto nelle condizioni di percepire la disponibilità
pugliasalute
e la capacità dell’adulto a proteggerlo affinché le angosce
diventino tollerabili.
Quando tutto ciò viene a mancare, il bambino si rifugia
nel sintomo (spesso confuso con la “malattia”), in un
tentativo di fuggire da ogni possibile elaborazione mentale.
Tra le manifestazioni che più frequentemente
si osservano in età scolare ritroviamo:
• L’autismo
• Il disturbo dell’attenzione ed iperattività
• L’insuccesso scolastico
• La fobia della scuola
• Il disagio degli iperdotati
Autismo Infantile
Tra i disturbi del comportamento indubbiamente la
forma più grave e complessa è l’autismo, la cui principale
caratteristica è data dall’incapacità a stabilire una relazione
con gli altri.
Tale specificità rende il disturbo più evidente e
drammatico con l’ingresso nella scuola materna, ma il
suo esordio è antecedente l’inserimento scolastico.
All’origine dell’autismo si presume l’esistenza di un
danno neurobiologico che può presentare aspetti diversi
da caso a caso, riconducibili talvolta a sindromi
neurologiche conosciute, talaltra a disgenesie cerebrali,
o a cause sconosciute.
Da parte di alcuni studiosi è stata formulata l’ipotesi
di un disturbo depressivo o bipolare ad esordio precoce.
In alcuni casi l’autismo si manifesta con caratteri
transitori, della durata di mesi o anni. Alla sua regressione
si riscontrano disabilità di altra natura.
Più spesso l’autismo non presenta nessuna regressione
o guarigione per tutto il decorso della vita.
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L’autismo si fonda su tre criteri principali:
1) Alterazione grave della reciprocità sociale.
2) Grave anomalia della Comunicazione Verbale.
3) Ristretto repertorio comportamentale.
Nei bambini affetti da autismo, in cui l’esordio della
malattia si realizza prima dei 30 mesi di età, la malattia
colpisce la mancanza di reattività nei confronti degli altri,
l’assenza completa del linguaggio o la marcata riduzione
della capacità di parlare (ecolalia, linguaggio metaforico,
inversione dei pronomi….), stereotipie comportamentali
che possono essere agite immodificate per lunghi intervalli
di tempo.
La comunicazione non verbale è marcatamente anormale
(con differenze quantitative da caso a caso).
Si osserva, quasi costantemente, l’incapacità a giocare
e a fare amicizia con i coetanei.
Nei casi in cui la presenza di sintomi autistici è
incompleta si usa l’espressione di disturbo pervasivo dello
sviluppo.
Dalla prima descrizione di Kanner in un articolo del
1943, la storia del pensiero psichiatrico si è arricchita, con
il contributo delle innovazioni
tecnologiche nel corso degli anni (EEG,
neuroimmagini, indagine genetica, studi
sul metabolismo, ricerche
neurochimiche…), di più attente
descrizioni e definizioni, che hanno
consentito una quantificazione della
disabilità e più precisi criteri
d’inquadramento nosografico.
Dopo sessanta anni le aspre dispute
sulla natura e la cura dell’autismo sono
ancora attuali, Non vi è nessun
argomento in ambito neuropsichiatrico
infantile che abbia determinato così
violenti ed accaniti scontri nel mondo
scientifico.
Ricercatori osannati (Bettlheim e Tinbergen per citare
i più illustri) sono stati, a distanza di alcuni anni,
violentemente contestati per le loro affermazioni, se non
addirittura isolati dalla comunità scientifica.
Le dispute scientifiche sono spesso diventate sfide
personali, a cui non poca confusione hanno aggiunto
personaggi estranei al mondo accademico e scientifico che
hanno “illuminato a sprazzi”, con le loro proposte di
protocolli terapeutici innovativi, le speranze di angosciate
famiglie.
In qualunque modo si vuole inquadrare, l’autismo è un
grave disordine dello sviluppo, le cui possibilità di guarigione
sono modestissime se non addirittura assenti. Tale assunto,
peraltro non condiviso da molti ricercatori, in vero molto
parziali nel difendere il primato della propria metodologia
terapeutica, non comporta l'assunzione di un atteggiamento
di passiva accettazione e di rinuncia; occorre, invece,
pugliasalute
adoperarsi, pur evitando accanimenti terapeutici nocivi, al
fine di individuare la strategia riabilitativa, farmacologica
e dietetica più adatta per ogni bambino ed in grado di
attenuare gli effetti devastanti della disabilità.
L’autismo, per la sua gravità, non può mai essere
considerato “un problema di famiglia”, la sua ripercussione
nel sociale, trattandosi di una delle condizioni più gravi di
disabilità, impone la coattivazione di più sistemi: sanità,
istruzione, assistenza sociale che vadano a contenere e
sostenere la famiglia, indotta, dal senso d’impotenza e
frustrazione, ad organizzarsi rigidamente in un modello
psicotico, scisso dalla realtà che non poco contribuisce a
rendere più drammatica una condizione già molto
compromessa.
Disturbo dell’Attenzione ed Iperattività
Lo stato di dipendenza vissuto dal bambino amplifica
la sensibilità a cogliere le tensioni familiari, anche quando
queste vengono sul piano simbolico (la parola) poco agite,
ma sono molto manifestate sul piano analogico (gestualità,
mimica, prossemica) anche senza eclatanti manifestazioni
d’ira o collera.
Non si deve sottovalutare il ruolo, generatore di ansie,
della stessa scuola, della società, della
famiglia allargata, dei messaggi massmediatici, soprattutto televisivi, da cui
il bambino è bombardato, con il loro
carico manipolativo sullo stile di vita
del bambino.
Siamo di fronte ad una
multifattorialità di cause generanti
disagio, espresse da un disturbo
dell’apprendimento e dell’attenzione
che richiede un particolare sforzo
pedagogico per contenere le angosce
del bambino.
La caratteristica più evidente del
bambino iperattivo è la sua incapacità
costante a restare fermo e tranquillo, anche per brevi periodi
di tempo. Non si tratta di un bambino vivace, ma
permanentemente eccitato, in continuo movimento, dotato
d’infinita energia.
Il suo interesse per le cose è continuamente orientato e
spostato, da un oggetto all’altro, senza che nessun’attività
riesca a coinvolgerlo a lungo o completamente. Una frenetica
agitazione che ha un solo fine: il suo incessante movimento.
Il continuo muoversi è un bisogno vitale che non si
esaurisce neppure durante il sonno, ed è caratterizzato da
movimenti segmentari (agitare le braccia o le gambe) o di
tutto il corpo (rotolarsi, sollevarsi).
L’irrequietezza e l’inquietudine contagiano chiunque
sia loro vicino di un senso d’ansia che in un maldestro
tentativo di rimozione induce a sollecitare il bambino a
stare fermo, raggiungendo l’unico obbiettivo di
incrementarne l’agitazione.
A scuola l’aumento delle costrizioni amplifica l’evidenza
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del problema, mettendo in evidenza, nel confronto con gli
altri, una condizione di diversità sanzionata dai rimproveri
e dalle esortazioni a stare attento, ad imparare, a non
disturbare i compagni.
Sollecitazioni razionali che vorrebbero eludere il
problema.
Non solo il corpo è in perenne agitazione, ma anche la
mente impegnata a catturare idee su idee, senza perderne
nessuna ma senza fermarsi su alcuna.
Al contrario della vivacità, caratterizzata dalla gioiosa
eccitazione dei bambini, negli iperattivi non c’è solarità,
piacere, felicità ma solo un’angosciosa e penosa tensione.
In tutte le occasioni in cui compare un vissuto frustrante,
il bambino iperattivo cerca di fuggire da ogni possibile
processo elaborativo della mente con i compensatori
movimenti corporei e con l’eccitazione mentale.
Evita di pensare, di concentrarsi, di riflettere costruendo
un’estrema barriera per arginare l’ansia che non può
condividere con nessuno.
Sebbene non vi sia un deficit
dell’intelligenza, il bambino iperattivo,
fortemente caratterizzato da
egocentrismo e senso di
onnipotenza, ritiene, dopo una
superficiale valutazione, di aver
compreso tutto ciò che colpisce il
suo frammentario interesse:
parole, frasi, immagini, situazioni.
Tale convinzione di aver capito
tutto gli fa rivolgere l’attenzione verso
altro, senza mai indugiarsi in quelle
riflessioni che consentono di sviluppare
le proprie capacità d’apprendimento.
La sottovalutazione del disturbo, ma
soprattutto la superficialità nel considerare le
conseguenze, produce un serio deficit dell’apprendimento
con tutti gli immaginabili esiti che travalicano il cognitivo
e che vanno ad interferire con lo sviluppo delle abilità
sociali e relazionali.
Hanno molti amici, ma non riescono mai a rendere
profondo alcun rapporto in quanto non sanno spostare
l’interesse lontano da se stessi e dal loro bisogno di muoversi.
Da un punto di vista terapeutico gli psichiatri organicisti
hanno affrontato, ed ottenuto discreti risultati con l’uso di
psicofarmaci a base d’anfetamine (non autorizzati in Italia)
che, sebbene abbiano un effetto eccitante, nei bambini
iperattivi hanno prodotto un effetto ansiolitico, con controllo
dell’ipereccitabilità e con miglioramento evidente delle
abilità scolastiche.
Protetto dallo schermo chimico del farmaco il bambino
sta buono, non disturba, va bene a scuola e si concentra.
I risultati sono eccellenti, rapidi, sufficientemente
economici. Negli USA l’uso di anfetamine nel protocollo
terapeutico del disturbo d’attenzione e iperattività è
consuetudine.
Qual è il prezzo di così evidenti e brillanti risultati?
(Non dimentichiamoci che le anfetamine rientrano tra
i farmaci ad effetto dopante). Il nostro bambino dal ritrovato
equilibrio comincia a perdere peso e desiderio di mangiare,
pugliasalute
cresce più lentamente, non riesce a dormire, può presentare
tremore, convulsioni, disturbi extrapiramidali, disturbi
cardiaci, disturbi psichici, per citare alcuni dei disturbi
collaterali scatenati dal farmaco.
Gli effetti a lungo termine delle anfetamine in un cervello
in formazione sono lontani dall’essere conosciuti.
Il controllo solo degli aspetti più appariscenti di un
disturbo ad etiologia ambientale e psicologica, sembra
essere molto costoso rispetto ai benefici prodotti.
E’ indubbiamente più faticoso, più incerto e più lungo
il recupero della funzione protettiva della famiglia, che
dovrà mobilitarsi per mettere in atto le strategie ed
eventualmente i consigli dello specialista per arginare ed
eliminare tutti i comportamenti disfunzionali.
Occorre iniziare tale percorso dall’inibizione di quella
spirale di nervosismo e tensione che circonda il bambino,
interpretando correttamente le sue richieste d’aiuto che, al
contrario di quanto possa sembrare, richiede vicinanza ed
attenzione. Occorrerà che il bambino percepisca
con chiarezza che al suo stato di agitazione
si contrappone un modello di calma e di
tranquillità, che cercherà di imitare e
che forse indurrà nei genitori una
qualche riflessione sugli inutili
frenetici ritmi che l’adulto s’impone.
L’Insuccesso Scolastico
Talvolta, pur in assenza di un
disturbo organico che riduce le capacità
d’apprendimento, si riscontra nei bambini
un importante insuccesso scolastico che,
sebbene interclassista, è tollerato meno nelle classi
economicamente e/o culturalmente più elevate.
L’attenzione rivolta al senso di vergogna provato dai
genitori riduce la capacità di percepire il significato
psicologico dell’insuccesso scolastico, l’implicita richiesta
d’attenzione e di sostegno di cui neanche il bambino ha
consapevolezza.
Negativamente le punizioni, gli pseudoincoraggiamenti
(al limite della vessazione) inducono un peggioramento
delle condizioni espresse con il sintomo e si manifestano
con un subentrante senso d’apatia e d’indifferenza che
consolida l’insuccesso.
Le condizioni ambientali negative (bocciature,
considerazione dei compagni e dei docenti) che il bambino
non riesce a contrastare, non promuovono una reazione,
quanto piuttosto la comparsa di un rinunciatario abbandono
all’insuccesso che indebolisce ulteriormente l’interesse per
lo studio e la scuola.
L’ansia genitoriale, concentrata sull’insuccesso piuttosto
che sulle sue cause, induce nell’adulto comportamenti di
negazione agiti attraverso un ossessivo aiuto nel seguire i
figli nello studio, se non addirittura nel fare i compiti al
loro posto. Siffatto agire, ben lungi dall’essere vissuto dal
bambino come un aiuto, induce un ulteriore riduzione
dell’autostima e della consapevolezza di avere le potenzialità
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necessarie ad affrontare la scuola.
Per il bambino è importante percepire che, pur non
trascurando l’interesse per il rendimento scolastico, la
famiglia sa preoccuparsi di lui e delle sue difficoltà e non
esclusivamente per i voti riportati. Non dovrà pensare che
l’affetto dei genitori sia collegato al suo successo scolastico,
perché ciò darebbe maggiore senso alla sua protesta contro
la disattenzione familiare, espressa con il disimpegno
scolastico e la inasprirebbe.
Ogni tentativo di manipolare la valutazione dei docenti,
al fine di mascherare l’insuccesso scolastico dei propri figli,
sarà testimonianza per il bambino d’ignoranza per i suoi
bisogni.
La frustrazione indotta da tali comportamenti genitoriali
crea le condizioni per più gravi manifestazioni di sofferenza
psicologica, soprattutto in età preadolescenziale e
adolescenziale, derivanti dalla percezione di un Sé perdente
cui opporranno un Sé di facciata inefficace e pericoloso.
La Fobia della Scuola
In un bambino, ben integrato nel
contesto scuola, compare improvvisamente
la fobia per la scuola, con varii gradi
d’espressività e gravità. È sempre svelata
da malesseri fisici di varia natura: mal di
pancia, mal di testa, nausee, attacchi
asmatici, manifestazioni di panico e
rappresenta uno dei più frequenti motivi
d’incomprensione tra genitori e figli.
Fatta eccezione per i rari casi in cui è
stato commesso un errore clinico
diagnostico, non ci troviamo mai di fronte
ad una patologia organica, ma ad una
sintomatologia che è in ogni modo
angosciosa e destrutturante per il bambino.
È, infatti, l’angoscia di qualcosa di
inconsapevolmente pericoloso che spinge
il bambino a mettere in atto massive difese
che, concentrando tutte le paure
fantasmatiche sulla scuola, in quanto
oggetto reale, le contiene e le controlla.
La fobia per la scuola si manifesta in concomitanza
con un’esperienza di perdita e di separazione e non
viene quasi mai esplicitata con un’espressione del
tipo: “Ho paura della scuola”, frase che di solito è
comunemente utilizzata per altre forme di fobia, ma
è comunicata come un malessere psicosomatico che
erroneamente e superficialmente è interpretato come
un pretesto per non andare a scuola.
Al di là di tutte le interpretazioni concernenti l’organo
bersaglio prescelto, il bambino non sta fingendo, perché il
messaggio del bambino significa: Ho qualcosa dentro che
m’impedisce di andare a scuola.
È evidente che il bambino non mente, ma usa una
capacità di significazione infantile.
Sta drammatizzando, nel senso di interpretare e
pugliasalute
trasmettere, attraverso la somatizzazzione del malessere, la
paura di essere distaccato dalla sua casa, dalla sua famiglia
e più frequentemente da sua madre.
“Ho paura che la nascita del fratellino faccia allontanare
i miei genitori da me”. Inconsapevolmente, attivo le mie
difese per non allontanarmi da loro neppure per andare a
scuola, anche se mi è sempre piaciuto andarci e sono molto
bravo negli studi.
Il bambino sta chiedendo di verificare che l’amore dei
suoi genitori non si sia modificato dopo la nascita del
fratellino (o dopo qualunque altro evento che possa generare
una paura d’abbandono).
A nulla, se non a consolidare le fobie, serviranno
i rimproveri, lo scetticismo o un’aggressiva
sollecitazione ad andare a scuola ed a smettere di
lamentarsi per malattie immaginarie.
Per il bambino sono una conferma che ci si vuole
sbarazzare di lui.
Non c’è nulla d’immaginario.
Il bambino va curato per la sua malattia psicosomatica
con le attenzioni necessarie, consentendogli di stare qualche
giorno a casa, durante i quali avrà la conferma dell’affetto
che era preoccupato di perdere, sostituendo le angosce
catastrofiche di separazione con il piacere
delle attenzioni ricevute.
La fobia per la scuola diminuisce se
le rassicurazioni sono efficaci.
Contemporaneamente si
affievoliscono le angosce di separazione
legate alla paura di crescere, che induce
il desiderio di rimanere sempre piccolo
per non staccarsi mai dai genitori.
Abitualmente tale condizione
psicopatologica ha un carattere
transitorio se correttamente e
prontamente risolta; però talvolta si
cronicizza, determinando il bisogno
d’intervento di uno specialista o tende
a rimanere nucleata e a ripresentarsi in
epoche successive della vita, anche in
età adulta in concomitanza d’analoghe
condizioni stressanti.
Bambini superdotati
In età scolare è frequente incontrare bambini
superdotati. Paradossalmente, hanno quasi sempre un’errata
percezione di sé, a causa della pressante richiesta dei genitori
a dare sempre il meglio di sé dal punto di vista intellettuale
e cognitivo.
Il bambino così condizionato perde in tal modo la sua
libertà di esprimersi e tende a credere che l’affetto genitoriale
sia legato esclusivamente alle sue performance.
Finisce in tal modo per acquisire una personalità fittizia,
un falso Sé che tende ad indirizzarsi nel senso di un agire
finalizzato al compiacimento delle aspettative dell’altro.
In tal modo, nulla appartenendogli del tutto, svilupperà
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un sostanziale disinteresse per ogni cosa, nulla gli consentirà
di fare validi investimenti affettivi, neanche il suo futuro,
in quanto anch’esso non gli appartiene.
Nel tentativo di compiacere l’altro, i suoi successi non
saranno in grado di emozionarlo, di farlo gioire, facendolo
sprofondare in uno stato d’infelicità priva di desiderio, che
può pericolosamente trasformarsi in una grave depressione
alla comparsa di un insuccesso.
Pur se il successo non è motivo di soddisfazione,
l’insuccesso è scarsamente tollerato in quanto va a disintegrare
quella falsa immagine di sé, creata dai genitori, che può far
da prologo all’abbandonarsi ad uno stato di rifiuto di utilizzare
le proprie doti.
La sintonia tra Scuola e Famiglia ha un ruolo importante
nell’armonico sviluppo del bambino, in quanto un sistema
rinforza e sostiene l’altro con un meccanismo a feed-back.
In nessuna delle alterazioni comportamentali (fatta
ovviamente eccezione per l’autismo), sinteticamente descritte,
è indispensabile l’intervento dello specialista sul bambino
(vale la pena di tenerlo lontano dallo studio del medico e
dello psicologo), se i due sistemi fondamentali per la vita
del bambino interagiscono correttamente e con reciproca
fiducia.
L’intervento dello specialista non è inutile, ma deve
rivolgersi all’adulto perché amplifichi le sue conoscenze e
la capacità di dare un significato più rappresentativo alla
realtà.
Watzlavick afferma che "di tutte le forme di realtà, la
Verità è solo la più presuntuosa"; possiamo con lui sostenere
che un educatore e/o un genitore con migliori conoscenze,
avrà maggiori capacità ad interpretare e significare la realtà:
in altre parole maggiori possibilità di comprendere anche i
significati ed i significanti espressi in un codice diverso dal
proprio, vale a dire quello infantile, che in un tempo non
lontano della sua vita gli è appartenuto.
Molto più frequentemente di quanto si possa immaginare,
rispetto ad altre fascie sociali, i diritti dei bambini sono
spesso negati, inoltre non potendosi autorappresentare, sono
tutelati da delegati istituzionali non sempre all’altezza del
compito: genitori ed adulti in generale.
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