Verso le valutazioni della mente: la co

Transcript

Verso le valutazioni della mente: la co
1
Verso le valutazioni della mente: la co-valutazione formativa
Walter Colesso ([email protected])
Il contributo s’inserisce nell’ambito di un progetto di ricerca più ampio che vuole aprire una
riflessione sul ruolo della valutazione nella formazione e nel pensare “sistemico”. Numeri e
misurazioni evocano spaventosi fantasmi di tecnicismi che possono soffocare e uccidere
l’arte della formazione, quella che si apprende solo “a bottega” restando al fianco del
maestro. La valutazione alla fine sembra cosa utile solo alla ricerca, alla pubblicazione di
articoli, alla carriera accademica e dannosa per il lavoro dei clinici e formatori .
Ho quindi pensato di proporre una riflessione sul concetto di “co-valutazione formativa”, un
processo che coniuga valutazione e principi dell’epistemologia sistemica per scopi di
intervento
formativo
per
evidenziare
che
valutazione
e
sistemica
non
sono
necessariamente incompatibili.
Data l’apparente incongruenza tra “valutazione” e “approccio sistemico”, e la confusione
con cui vengono utilizzati in maniera equivalente i termine “valutazione”, “diagnosi” e
“valutazione diagnostica” nella letteratura – soprattutto quella di ispirazione sistemica – ho
ritenuto necessario iniziare con delle riflessioni sul processo valutativo e le sue relazioni
con la diagnosi, le Evidence Based Practice e l’epistemologia sistemica.
La valutazione
Il dizionario Devoto Oli (2007) definisce “valutazione” la “determinazione del valore da
assegnare a cose o fatti ai fini di un giudizio.” Tale valutazione non deve essere
necessariamente l’assegnazione di un numero, ma il risultato di un confronto come
Galimberti (1991) ha rilevato con riferimento all’applicazione nel campo degli interventi
sociali: “La valutazione nasce essenzialmente come attività di confronto tra oggetti, azioni
e individui, che tende a configurarsi come il risultato di un pensiero teso a cogliere le
relazioni che tali oggetti, azioni e individui intrattengono, alla ricerca delle specificità,
omogeneità-disomogeneità che li caratterizza” (p. 7). Secondo Galimberti il modello
sarebbe stato esportato dal “controllo di qualità” applicato alla produzione della grande
serie e delle situazioni lavorative standardizzate per arrivare ad assumere un significato di
“programmazione-valutazione” focalizzato su efficienza ed efficacia. Recentemente, lo
scrivente (Colesso, 2012) ha proposto un ampliamento del concetto di valutazione
applicato direttamente all’azione d’intervento nel campo psicologico: esso indica un
processo che si sviluppa attraverso tre fasi: (1) l’osservazione di un soggetto (individuo,
2
coppia, famiglia o sistema) e la registrazione di dati, siano essi quantitativi e/o qualitativi;
(2) l’elaborazione dei dati raccolti, attraverso il confronto con altri datiosservati nel corso
della stessa osservazione (approccio idiografico; Allport, 1969; Nunnally, 1978) o con altri
dati raccolti nel corso di altre osservazioni (approccio nomo tetico; Allport, 1969; Nunnally,
1978); (3) la “lettura” delle differenze rilevate al fine di agire nuove azioni, dirette o
indirette, sul soggetto osservato (Figura 1).
Fig. 1 Il processo valutativo
La valutazione diagnostica
Nell’ambito della psicologia clinica, la valutazione è sempre considerata quasi
esclusivamente in ottica diagnostica, al punto che i termini “valutazione” e “diagnosi” sono
utilizzati in maniera interscambiabile.
La diagnosi (Boscolo e Bertrando, 1996) è un processo che nasce nell’epistemologia
medica, il cui scopo è la delimitazione della natura o della sede di una malattia in seguito
alla rilevazione dei sintomi. Essa si sviluppa secondo le fasi di:
1. Anamnesi: raccolta delle notizie riguardanti i precedenti fisiologici e patologici
personali ed ereditari del paziente stesso e dei familiari compiuta mediante
l’interrogatorio del paziente stesso e dei familiari;
2. Osservazione sintomi soggettivi, raccolti attraverso l’osservazione del paziente
stesso (sincronica);
3. Ipotesi di sindrome (diacronica), ossia l’individuazione nella letteratura dello
specifico pattern di sintomi soggettivi osservati;
4. Diagnosi eziologica: della causa della malattia associata alla sindrome ipotizzata;
5. Decisione del trattamento (programma terapeutico) come indicato dalla letteratura
sulla base di sindrome ipotizzata e diagnosi;
6. Prognosi: il giudizio clinico sull’evoluzione futura della malattia.
Nel campo della malattia mentale l’attuale riferimento bibliografico per le ipotesi di
sindromi è il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (APA, 2001) che
3
contiene descrizioni d’insiemi di segni e sintomi (le sindromi) associati e raggruppati per
etichette .
Boscolo e Bertrando (1996), sottolinenano che, nell’applicazione al campo del mentale, il
processo diagnostico risente delle premesse epistemologiche di chi lo utilizza e quindi può
essere attuato per distinguere: (a) la normalità dalla patologia (psicoanalisi e
comportamentismo); (b) il benessere dalla sofferenza (pensiero umanistico, approccio
narrativo e costruzionista); (c) il problema dalla soluzione (modello strategico di Palo Alto e
modelli basati sul problem solving); (d) il problema dal non problema (distinzione fatta dal
paziente e non dal terapeuta nell’orientamento strategico-sistemico).
Del Corno (2005), nell’ambito della psicologia clinica, crede opportuno distinguere la
“diagnosi nosografica descrittiva” di tradizione psichiatrica dalla “diagnosi funzionale.” Se
la prima è volta a etichettare sindromi e associarvi protocolli terapeutici, la diagnosi di tipo
funzionale si pone come obiettivo la valutazione delle aree di funzionamento del paziente:
l’individuazione dei “problemi”, le preoccupazioni percepite, i punti di forza e di debolezza,
la struttura difensiva e lo stile relazionale. In questa seconda proposta, cambia la
prospettiva di valutazione: dal rilevamento di segni e sintomi alla valutazione delle risorse
del paziente.
Boscolo e Bertrando (1996) criticano il concetto di diagnosi, rilevando che essa si riduce
ad un processo di attribuzione linguistica che può costruire delle “trappole” per gli
interventi
formativi
quali:
reificazione
di
concetti
presenti
solo
nel
linguaggio,
semplificazione di realtà comunque complesse, l’appiattimento della dimensione
temporale e il sostegno ad una pretesa obiettività. L’adozione di questa prospettiva come
esclusiva comporta due pericoli: (a) la notevole riduzione delle possibilità d’intervento
definite all’interno di una logica lineare-causale; (b) il rischio di etichettamento, ossia
l’affissione di un’etichetta sulla “pelle psicologica” di un individuo in grado di modificare
l’auto immagine e di indurre nelle persona circostanti a reagire alle etichetta e non
all’individuo (Tannenbaum, 1938).
Per ovviare questi pericoli, Boscolo e Bertrando propongono la diagnosi come una delle
possibili punteggiature della realtà e suggeriscono l’utilizzo del processo valutativodiagnostico in prospettiva evolutiva da connettere continuamente all’effetto terapeutico
della sua indagine.
Una prima conclusione parziale che possiamo trarre, funzionale agli scopi di questo
contributo, è che i processi di “valutazione” e “diagnostico” possono non coincidere: se è
4
vero che un processo diagnostico è un particolare processo valutativo, non è sempre vero
il contrario.
La valutazione dell’efficacia di un intervento
La necessità di controllare il grado di efficacia di un intervento è oggi raggiunta attraverso
la valutazione del risultato e la valutazione del processo (Kazdin & Kendall, 1998).
Il fine della valutazione di risultato è il confronto tra una valutazione pre e post intervento,
a loro volta raffrontati con una o più valutazioni di follow-up. Lo scopo è registrare i
cambiamenti delle aree sulle quali si interviene. Questo monitoraggio non è ancora
sufficiente per connettere al trattamento le differenze riscontrate. E’ necessario attuare
una valutazione del processo di trattamento, definendo delle variabili indicatrici dell’azione
di intervento e controllando la loro influenza. Tale monitoraggio permette di escludere
l’influenza di altri fattori non controllati e quindi di attribuire i cambiamenti al processo
attivato. Questi principi erano probabilmente alla base della stesura di protocolli terapeutici
quali la “prescrizione invariabile” adottata da Mara Palazzolo Selvini nell’ultima fase della
sua attività (Selvini e Pasin, 2005).
Un ulteriore livello di verifica è rappresentato dalla valutazione dell’efficienza
dell’intervento, ossia del rapporto tra risultato raggiunto e risorse impiegate. La funzione è
di poter massimizzare il risultati minimizzando i “costi”.
Galimberti (1991) sottolinea che una valutazione rigorosa e adeguata nel settore
dell’intervento psicologico può essere ricondotta sia a bisogni di ordine esterno, sia ad
esigenze interne. Gli aspetti esterni rimandano a chi (enti locali, assicurazioni,
associazioni, cooperative di lavoro sociale) finanzia queste attività. La crisi generalizzata
del welfare e la conseguente diminuzione delle risorse destinabili al settore dei servizi
sociali hanno accresciuto a vari livelli le esigenze di controllo sul grado di efficacia e di
efficienza di tali servizi. Le spinte alla valutazione derivano soprattutto dalla diminuzione
dei flussi di denaro investito e dalla corrispondente crescita delle esigenze di
razionalizzazione degli investimenti effettuati, un doppio movimento che spinge a valutare
la redditività dei servizi forniti secondo le prospettive tecnica, economica e politica. Gli
aspetti interni riguardano la differenziazione dell’offerta del lavoro terapeutico, ponendo
ogni gruppo di intervento (equipe terapeutica, scuola, …) di fronte all’esigenza di testare il
proprio modello per coglierne la differenza specifica rispetto al variegato panorama
generale. Il bisogno è quindi duplice: di riflessione sulla natura teorico-metodologica e
sull’efficacia del proprio lavoro.
5
Queste riflessioni attraversano trasversalmente il mondo scientifico e si concretizzarono
negli USA nel Based Evidence Practice movement. Iniziarono nel 2001 nel mondo della
medicina (Institute of Medicine, 2001; Sackett, Stratus, Richardson, Rosenberg, & Haynes,
2000), per poi estendersi anhce al campo psicologico. L’American Psychologist
Association (A.P.A.) nel 2005 costituisce la Presidential Task Force on Evidence-Based
Practice in Psychology (EBPP) che si accorda nella seguente definizione: la pratica basata
sulle evidenze in psicologia è data dall’integrazione della ricerca con la pratica clinica, nel
rispetto delle caratteristiche del paziente, della sua cultura e delle sue opinioni.
(“Evidence-based practice in psychology (EBPP) is the integration of the best available
research with clinical expertise in the context of patient characteristics, culture, and
preferences.” APA, 2006, p. 273). La EBPP è subito distinta dai Trattamenti Dimostrai
Empiricamente (Empirically Supported Treatments; ESTs): se le ESTs si focalizzano sul
trattamento e sulla modalità di agire su specifici disturbi in specifiche condizioni, la EBPP
si interessa della persona e delle evidenze empiriche che devono giustificare il modo di
agire dello psicologo con lo specifico paziente.
In tale sede vengono anche definiti i tre elementi che devono caratterizzare le EBPP:
validità, molteplicità della delle evidenze di validità e la pratica clinica.
La validità delle pratiche deve essere sostenuta dalla più consistente ricerca disponibile,
provata scientificamente e ottenuta attraverso disegni e metodologie di ricerca che
attestino l’efficacia delle pratiche psicologiche. Tal efficacia deve essere provata su ampi
campioni di bambini, giovani, adulti e anziani e con problematiche psicologiche, di
dipendenza, di salute e relazionali. Tale validità va valutata anche in termini di riduzione di
costi medici, aumentata produttività e miglioramento della soddisfazione di vita.
La validità basata sulla ricerca deve essere sostenuta (Multiple Types of Research
Evidence) da risultati scientifici in focalizzati sulle strategie d’intervento, problemi clinici,
soggetti clinici e assessment. L’APA incoraggia che le EBPP siano sostenute da prove di
validità basate su disegni di ricerca multipli che prevedano osservazioni cliniche, ricerche
qualitative, studi dei casi sistematici, disegni di ricerca sperimentali di casi singoli, ricerche
epidemiologiche, ricerche etnografiche, studi di processi, ricerche su interventi condotti
“sul campo” e ricerche di meta analisi. Quest’ultime in particolare dovrebbero sintetizzare
sistematicamente più ricerche, testare le ipotesi e stimare quantitativamente le dimensioni
degli effetti.
Rispetto alle ricerche di valutazione su specifici interventi, l’APA raccomanda di osservare
due principi come già dichiarato nelle Linee Guida dei Criteri di Valutazione dei
6
Trattamenti (APA, 2002). Il primo è quello dell’efficacia del trattamento sostenuto da una
valutazione scientifica e sistematica che determini se il trattamento funziona. Il secondo
criterio è quello dell’utilità clinica, ossia la sua applicabilità e utilità nello specifico ambiente
ove viene applicato e la sua generalizzazione ad altre situazioni.
La pratica clinica è essenziale per integrare e verificare la validità della ricerca con i dati
clinici. Tale scopo può essre raggiunto attraverso: (a) l’assessment, il giudizio diagnostico,
la sistematica formulazione del caso e la pianificazione del trattamento; (b) il modo in cui è
attuata la decisione per il tipo di intervento, la sua realizzazione il monitoraggio dei
progressi del paziente; (c) la comprensione dell’influenza sul trattamento delle differenze
individuali e culturali. Essa deve essere applicata in tutte le attività cliniche e non deve
essere limitata alla fase della costituzione dell’alleanza terapeutica e dell’ingaggio.
L’aspetto interessante di tutto il movimento è che la valutazione, pur nelle sue diverse
applicazioni, è oramai richiesta a tutti i livelli, come confermato anche dalla più recente
letteratura (Hillix & L’abate, 2012; Magnavita, 2012; Overton, 2012; L’Abate, Cusinato,
Colesso, & Sweeney, accepted for pubblication ).
Una prima sintesi che possiamo tracciare è che il processo valutativo nell’area
dell’intervento, sia esso diagnostico o di efficacia-efficienza, definisce un processo i cui
risultati restano sempre e comunque a disposizione del terapeuta che oltre a
implementarne le premesse, può utilizzarli nel suo intervento direttamente o indirettamente
(vedi Figura 2).
Fig. 2. Valutazione diagnostica, di efficacia ed efficienza
Valutazione ed Epistemologia Sistemica
Nell’ambito della valutazione della terapia familiare, l’epistemologia sistemica ha proposto
l’approccio estetico (la new epistemology), in contrapposizione all’approccio empirico
7
(Tamanza, 1991). Uno degli obiettivi dichiarati è quello di liberarsi dell’“errore pragmatico”
(Allman, 1982), ossia della concezione riduttiva della famiglia in trattamento come un
sistema chiuso, separato ed indipendente da altri sistemi che ripropone il riduzionismo.
Tamanza ritiene che, di là dalle riflessioni indubbiamente suggestive, l’approccio estetico
abbia prodotto contributi poco significativi in ambito valutativo.
Giuliani (2002) propone una nuova concezione di valutazione coerente con l’epistemologia
sistemica, prospettando colloqui di valutazione condotti sulla traccia dello script familiare e
che puntano ad una riformulazione del problema in senso depatologizzante e quindi alla
costruzione di una nuova realtà. Esso si inserisce nell’ambito dell’approccio di copione
conversazionale (Giuliani, 2003) ispirato ai copioni familiari di Byng-Hall (1998). Giuliani
(2003) ha l’impressione che l’insieme delle pratiche che definiamo “psicodiagnosi”,
“valutazione psicologica” o “valutazione di personalità”, abbiano spesso la prerogativa
della comunicazione detta “monoculturale” o “etnocentrica” (con riferimento alla
tassonomia di Pearce, 1998, nel senso che assomiglia a un incontro fra due culture nel
quale le regole di attribuzione di significato sono proprietà di uno solo dei due
partecipanti). Le premesse circa il “bene” e il “male”, la “salute” e la “malattia”, il
“problema” e la “soluzione” appartengono soprattutto a uno dei due partecipanti, il
terapeuta, che può ritenerle indiscutibilmente migliori, o più sane, o più attendibili e
obiettive di quelle prodotte dall’altro e non si aspetta che l’altro non possa che
condividerle. Su questa base Giuliani suggerisce la possibilità di immaginare il processo di
valutazione diagnostica come comunicazione “cosmopolita”, ove gli altri sono definiti tutti
“simili”, tutti “nativi”: non perché condividano le stesse risorse, ma perché ciascuno è
parimenti formato dalla propria cultura, è diverso da chiunque altro ed è titolare di risorse e
chiavi di lettura uniche della realtà. Le risorse di ciascuno non sono a rischio perché
includono la possibilità di storie alternative che salvaguardano il mistero dell’incontro tra
“non nativi” realizzando la loro coerenza e coordinamento.
Pur con l’introduzione di importanti aspetti sistemici, la prospettiva del processo valutativo
resta comunque quello diagnostico.
Madonna (2003) allarga il concetto di diagnosi e valutazione dalla comune concezione (la
diagnosi dell’azione formale, finalistica, orientata al futuro, sotto il primato della coscienza
e valutabile secondo modalità etiche) alla diagnosi dell’azione processuale (l’azione che
esiste solo nel suo svolgersi, orientata al presente, narrante e conoscibile soltanto con
modalità estetiche): “produrre una metafora da immettere nel flusso della comunicazione
non è solo azione terapeutica che propone la rilettura di eventi o la ridefinizione di
8
relazioni; è anche fare diagnosi, perché dischiude nuove e inimmaginate possibilità di
comprensione per discorsi e comportamenti” (p. 87).
Malgrado i tentativi prodotti per approcciarsi alla diagnosi, e più in generale alla
valutazione, gli sforzi tentati e i risultati prodotti appaiono scarsi. Di questa situazione ne
ha consapevolezza Viaro (2009) quando presenta una riflessione sulla necessità, per chi
utilizza l’epistemologia sistemica a livello d’intervento, di confrontarsi con i criteri di
scientificità richiesti dalle EBPP e dettati dalla Biologia che pervade il panorama
scientifico: ogni intervento che si qualifichi come cura deve produrre dati che soggiacciano
a criteri di scientificità definiti in modo preciso, anche perché “per convincere le agenzie
che terapia è efficace, bisognerà insomma parlare un linguaggio che sia loro noto, una
volta costatato che non si è riusciti a convincere gli altri ad imparare il nostro” (p. 101).
La co-valutazione formativa
Con questa espressione viene avanzata una proposta che possa rappresentare un
ulteriore sviluppo dell’utilizzo del processo di valutazione all’interno dell’epistemologia
sistemica: esso è inserito nel processo formativo, abbandonando la finalità puramente
diagnostica che ne ha sempre relegato i risultati a livello di premesse per il terapeuta che
ne aveva l’accesso esclusivo. Si propone di elaborare i dati osservati in un sistema e di
reintrodurli in un momento successivo nel sistema stesso come stimolo per perturbarlo.
Entrando nello specifico del processo, esso si sviluppa secondo i seguenti passaggi:
1. Osservazione di dati relativi aspetti relazionali più o meno specifici, che possono essere
raccolti attraverso questionari self-report, focus group o altre modalità (tempo tempo 0).
2. I dati sono successivamente elaborati (tempo 1), ossia messi a confronto con altri dati
(approccio nomo tetico) o con gli stessi all’interno dello stesso sistema (approccio
idiografico). Lo scopo è far emergere ed evidenziare delle differenze. Queste prime
elaborazioni sono definite “proto-informazioni”;
3. In un successivo momento (tempo 2), le proto-infomazioni vengono re-inserite nel
medesimo sistema dal formatore e utilizzate secondo le seguenti modalità:
a. I partecipanti alla seduta sono stimolati dal formatore ad esprimere le loro opinioni
rispetto al tema oggetto anche della valutazione al tempo 0;
b. I partecipanti alla seduta sono stimolati ad esprimersi rispetto gli altri partecipanti
rispetto il medesimo tema (domande triangolate);
c. I partecipanti sono stimolati a rilevare le differenze a livello individuali e diadiche
rispetto i temi trattati.
9
d. Il
formatore
presenta
le
proto-informazioni
opportunamente
introdotte
e
rappresentate. Deve altresì smorzare la portata “diagnostica” della valutazione
enfatizzando il suo uso come mezzo formativo e della cui lettura è “esperto”
soprattutto il soggetto valutato che può connetterla alla propria esperienza e storia.
e. I partecipanti ancora una volta i partecipanti a confrontare le proprie posizioni
rispetto le proto-informazioni (opportunamente introdotte e rappresentate ). Queste
nuove informazioni sono definite “deutero-informazioni”.
4. Il formatore partecipa attivamente alla formulazione di un’ipotesi che connetta tutte le
informazioni prodotte (tempo 4).
In questo processo è fondamentale il ruolo del formatore che deve avere nelle sue
premesse epistemologiche un atteggiamento “costruttivista” (essere consapevole che ogni
individuo è portatore in seduta di un proprio modo di costruire la realtà), “costruzionista
sociale” (essere consapevole che una nuova lettura della realtà può essere costruita –
ipotizzata – anche nella seduta a cui partecipa anche il terapeuta), focalizzato sulla
relazione e sulla circolarità. Egli partecipa alla “danza comune” che diventa, di fatto, una
danza comune sulle differenze (Figura 3).
Fig. 3. Il processo di co-valutazione formativa
10
L’approccio formativo proposto rappresenta la lettura in chiave sistemica di un modello di
intervento preventivo per piccoli gruppi guidati da un formatore, corroborato da anni di
esperienza presso il Centro della Famiglia di Treviso nelle aree della genitorialità e del
pre-marriage. Il modello formativo consolidato prevede il succedersi strutturato di più
situazioni di confronto per i partecipanti rispetto specifiche tematiche: in gruppo
nell’incontro
di
apertura
della tematica;
a domicilio
individualmente
(prima)
e
confrontandosi con il partner (poi) nel corso della settimana seguente; in gruppo, dopo una
settimana, nell’incontro di chiusura.
Il metodo della co-valutazione formativa è altresì alla base del processo attivato
dall’applicazione dello strumento RC-Ecomap recentemente validato (Colesso, 2012;
Colesso e Garrido Fernandez, 2012) e può essere utilizzato anche con altre metodologie
di
rilevazioni
dati
concernenti
l’area
delle
relazioni.
Esso
rappresenta
una
operazionalizzazione dell’ecomappa di Hartmann (1995), uno strumento di assessment
usato nella pratica clinica per il monitoraggio degli elementi dell’ecologia umana. Essa
descrive graficamente le relazioni e i sistemi sociali che le persone creano al fine di
interagire più efficacemente sia con l’ambiente fisico, sia con quello sociale in cui vivono e
lavorano. Pertanto essa offre al ricercatore e al clinico la prova della grandezza, struttura e
funzione delle reti sociali stesse e come le relazioni si adattino e cambino col tempo dentro
i sistemi sociali individuali.
L’Ecomappa di Competenza Relazionale (RC-Ecomap) è la proposta per utilizzare la
rappresentazione grafica delle relazioni che una persona/coppia/famiglia realizza nei
propri ambienti di vita, avendo come riferimento concettuale non tanto un generico
paradigma ecologico, quanto la teoria della competenza relazionale (TRC, L’Abate, 2005).
Gli elementi che permettono di operazionalizzare l’ecomappa sono gli ambienti (Foa e
Foa, 1974; L’Abate, 1995, 2005) – Home, Work, Survival ed Enjoiment – le relazioni e i
loro contenuti (money, goods, services, information, importance, intimacy). Il processo RcEcomap è realizzato attraverso (1) la raccolta dati, (2) l’elaborazione dei dati raccolti e (3)
la
restituzione della valutazione/diagnosi e sua lettura. La somministrazione dello
strumento
è
proposta
attraverso
un’applicazione
strutturata
che
è
realizzata
individualmente. Le analisi possono offrire indicazioni sulla qualità dei contesti relazionali
vissuti dall’individuo, coppia o famiglia e sulle priorità verticali ed orizzontali messe in atto.
A livello operativo le variabili scelte sono considerate di tipo categoriale, vale a dire
caratterizzate da categorie di risposta a livello di scala nominale. Allo scopo di indagare la
rilevanza di ciascuna variabile e le relazioni tra esse, sono costruite delle tavole di
11
contingenza bivariate e trivariate nelle quali sono incrociate le variabili e quindi calcolati i
parametri marginali e incrociati e le relative significatività. La restituzione dei risultati
prevede la loro rappresentazione in una mappa sintetica ed intuitiva comprendente le
indicazioni statisticamente fondate delle priorità e del livello di competenza relazionale: la
discussione e lettura che ne segue con il soggetto valutato ne rappresenta il passaggio più
importante. La Figura 3 ne riporta un esempio: I quattro quadranti rappresentano i quattro
tipi di ambienti: casa, lavoro, ambienti di necessità e ambienti di libera scelta di
“ricreazione”. Nel rettangolo centrale è riprodotto lo schema base del genogramma. Il
quadrato/cerchio più marcato indica il/i soggetti/i dell’ecomappa. I quadrati e i cerchi nei
quattro quadrati rappresentano le persone (maschi o femmine) in relazione con il/i
soggetto/i.
Fig. 4. Esempio di Rc-Ecomap di restituzione
Conclusioni
Lo scopo del contributo era di aprire una riflessione sul ruolo della valutazione nel
pensiero sistemico. Le argomentazioni presentate hanno dimostrato che i due concetti
possono essere compatibili e che accanto una lente sistemica, e una solitamente
12
psicoanalitica, non è detto che non possa trovarvi posto anche lente valutativa: alla fin
fine, una valutazione altro non è che un processo di ipotizzazione e la “co-valutazione
formativa”, un esempio di come valutazione e principi dell’epistemologia sistemica
possono essere coniugati a scopo di intervento.
Bibiografia
Allman, L. R. (1982). The aesthetics preference: overcoming the pragmatic error. Family Process,
21, 43-56.
Allport, G.W. (1965). Pattern and Growth in Personality. New York: Holt, Rinehart & Winston.
American Psychiatric Association (2001). Manuale diagnostic e satistico dei disturbi mentali. Texi
Revisiona. Quarta edizione, Text Revision. DSM-IV-TR. Milano: Masson.
American Psychological Association. (2006). Evidence-Based Practice in Psychology. American
Psychologist, 61(4), 271-285.
Byng-Hall, J. (1998), Le trame della famiglia. Raffaello Cortina, Milano.
Bishop, J.B. & Richards, T.F. (1984). Counselor theoretical orientation as related to intake
judgments. Journal of Counseling Psychology, 31, 398-401.
Boscolo, L., & Bertrando, P. (1996). Terapia sistemica individuale. Milano: Raffaello Cortina
Editore.
Colesso, W. (2012). Updating the RC-Ecomap: A Multi-model, Theory-derived Instrument. In M.
Cusinato & L. L’Abate (Eds.), Advances in Relational Competence Theory: With Special
Attention to Alexithymia (pp. ). New York: Nova Science Publisher.
Colesso, W., & Fernández Garrido, M. (2012). Advances in RC-Ecomap Research: Evaluating its
Validity and Reliability. In M. Cusinato & L. L’Abate (Eds.), Advances in Relational
Competence Theory: With Special Attention to Alexithymia (pp. 185-208). New York: Nova
Science Publisher.
Cusinato, M., & Colesso, W. (2010). Studio delle relazioni significative con RC-Ecomap nella
ricerca psicosociale. Psicologia Sociale, 3, 471-492.
Cusinato, M., & Colesso, W. (2009). Ecomappa di competenza relazionale (RC-Ecomap). Uno
strumento per l’assessment delle relazioni significative. Counseling, 2(3), 321-345.
Cusinato, M. & L’Abate, L. (Eds.) (2012). Advances in Relational Competence Theory: With
Special Attention to Alexithymia. New York: Nova Science Publisher.
Del Corno, F. (2005). Il problema del metodo in psicologia clinica. In F. Del Corno e M. Lang (a
cura di), Elementi di Psicologia Clinica (pp. 49-62). Milano: Franco Angeli Editore.
Devoto, G., Oli, G. C. (2007). Il Devoto Oli, Vocabolario della lingua italiana. Firenze: Le Monnier.
DSM-IV-TR (2001)Galimberti, C. (1991). Prefazione. In G. Tamanza, La valutazione in terapia
familiare. Rassegna degli studi e problemi di metodo. (pp. 7-10). Milano: Vita e Pensiero.
13
Foa, U. G., & Foa, E. B. (1974). Societal structures of the mind. Springfield, IL: Charles C Thomas
Press.
Giuliani, M. (2002). I family script nella comunità terapeutica. Connessioni, 10, 109-123.
Giuliani, M. (2003). Lo script infranto. Dal copione familiare al copione conversazionale.
Connessioni, 13, 63-84.
Hillix, W. A., & L’abate, L. (2012). The role of paradigms in Science and Theory Construction. In L.
L’Abate (Ed.), Paradigms in theory construction (pp. 3-17). New York: Springer.
Institute of Medicine. (2001). Crossing the quality chasm: A new health system for the 21st century.
Washington, DC: National Academy Press.
Kazdin, A. E., & Kendall, P. C. (1998). Current progress and Future Plans for developing Effective
treatments: Ocmments and Perspectives. Journal of clinical Chaild Psychology, 2, 217-226.
Kirk, S.A. and H. Kutchins (1992) The Selling of DSM: The Rhetoric of Science in Psychiatry, New
York, Aldine de Gruyter
L’Abate, L. (1995). Famiglia e contesti di vita. Una teoria dello sviluppo della personalità [Family
and life contexts. A theory of personality development]. Roma: Borla.
L’Abate, L. (2005). Personality in intimate relationships. Socialization and psychopathology. New
York: Springer.
L’Abate, L., Cusinato, M., Maino, E., Colesso, W., Scilletta, C. (2010). Relational competence
theory: Research and mental health applications. New York: Springer Science.
L’Abate, L. Cusinato, M., Colesso, W., & Sweeney, G. (in progress). Toward a Systematic
Classification of Basic Terms in Psychological Theory Construction.
Madonna, G. (2003). La psicoterapia attraverso Bateson. Verso un’estetica della cura. Torino:
Bollati Boringhieri.
Magnavita, J. J. (2012). Reflections on Personality Systematics and a Unified Clinical Science. In
L. L’Abate (Ed.), Paradigms in theory construction (pp. 207-216). New York: Springer.
Nunnally, J. C. (1978). Psychometric theory. 2nd ed.. New York: McGraw Hill.
Overton, W. F. (2012). Evolving scientific paradigms: Retrospective and prospective. In L. L’Abate
(Ed.), Paradigms in theory construction (pp. 31-66). New York: Springer.
Pearce, B. W. (1998). Comunicazione e condizione umana. Milano: Franco Angeli.
Selvini, M., Pasin, E. (2005). Il follow-up dei pazienti gravi trattati da Mara Palazzoli Selvini e dalla
sua equipe. Terapia Familiare, 79, 27-48.
Tamanza, G. (1991). La valutazione in terapia familiare. Rassegna degli studi e problemi di
metodo. Milano: Vita e Pensiero.
Tannenbaum, F. (1938). Crime an the community. Boston: Mass.,Ginn.
Sackett, D. L., Straus, S. E., Richardson, W. S., Rosenberg, W., & Haynes, R. B. (2000). Evidence
based medicine: How to practice and teach EBM (2nd ed.). London: Churchill Livingstone.
Viaro, M. (2009). Ricerca, approccio sistemico e pratica clinica. Terapia Familiare, 89, 91-102.
14
Webster’s New World (1996). Dictionary and Thesaurus. New York: Macmillian