Il pIacere dI leggere

Transcript

Il pIacere dI leggere
7Crescere
consapevoli
Antologia 2
e responsabili
Idee, valori, diritti e doveri
da conoscere e rispettare
IL PIACERE DI leggere
VERI O FALSI BISOGNI?
D. Pennac
Via le marche, liberate le parole!
p. 116
LO SPORT: I VALORI, I SOGNI, L’IMPEGNO
Hockey, che passione!
J. Spinelli
p. 119
VIVERE COME NATURA INSEGNA
SOS per gli animali
AA. VV.
Per salvare un cane (o una capretta) a distanza
V. Aloisio
P. Levi
Il gabbiano di Chivasso
p. 122
p. 125
p. 126
AA. VV.
10 Consigli per risparmiare l’acqua
p. 129
F. Pratesi
Il manuale del perfetto rompiscatole
p. 131
Vivere su un pianeta che muore
p. 133
S. Salgado
Il piacere di leggere
Antologia 2
7. Crescere consapevoli e responsabili
Veri o falsi bisogni?
Via le marche, liberate le parole!
Daniel Pennac
D
Una classe di allievi
discute sull’argomento
dei vestiti firmati:
costano molto, ma
valgono molto meno
dei ragazzi
che li indossano!
i cosa parlammo quel giorno? Della lettura, ovviamente, poi
della scrittura, del modo in cui le storie nascono nella mente dei romanzieri.
E, più in generale, parlammo del loro rapporto con la cultura.
Finimmo a parlare dei loro studi.
– I prof ci fanno uscire di testa!
– Come sarebbe, i prof vi fanno uscire di testa?
– Ci fanno uscire di testa, punto e basta! Con tutta quella roba
che non serve a niente!
– Quale sarebbe, questa roba che non serve a niente?
– Tutto, no! Le… materie! Non è la vita!
– Come ti chiami?
– Maximilien.
– Be’ ti sbagli, Maximilien, i prof non ti fanno uscire di te­sta,
cercano di fartici tornare, nella tua testa. Visto che ades­so è
usurpata da altro.
– Usurpata, la mia testa?
– Che cosa porti ai piedi?
– Ai piedi? Ho le mie N, prof! (Qui il nome della marca)
– Le tue cosa?
116
Il
piacere
di
leggere
– Le mie N, ho le mie N!
– E che cosa sono, le tue N?
– In che senso, cosa sono? Sono le mie N!
– Come oggetto, voglio dire, che cosa sono come oggetto?
– Sono le mie N!
E poiché non avevo intenzione di umiliare Maximilien, la domanda l’ho rifatta agli altri:
– Che cosa porta ai piedi, Maximilien?
Ci furono scambi di occhiate, un silenzio imbarazzato; ave­vamo
passato una bella ora insieme, avevamo discusso, riflettuto,
scherzato, riso molto, avrebbero voluto aiutarmi, ma era proprio
così, Maximilien aveva ragione:
– Le sue N, signore.
– Va bene, sì, ho capito, sono delle N, ma come oggetto, che cosa
sono come oggetto?
Silenzio.
Poi, tutt’a un tratto, una ragazza:
– Ah! Sì, come oggetto! Be’, sono delle sneakers!
– Sì. Ma un nome ancora più generale per indicare quel genere di
oggetto?
– Delle… scarpe?
– Ecco, esatto, sono delle scarpe, da ginnastica, da tennis, da
ballo, scarpette, scarpini o scarponi, tutto quello che volete, ma
non delle N! N è la marca e la marca non è l’oggetto!
Domanda della loro insegnante:
– L’oggetto serve a camminare, la marca a cosa serve?
Un razzo illuminante in fondo alla classe:
– A tirarsela, prof!
Risata generale.
L’insegnante:
– Sì, a darsi delle arie.
Nuova domanda da parte della loro prof, che indica il golf
di un altro ragazzo.
– E tu Samir, che cosa hai addosso?
Stessa risposta immediata:
– È il mio L, prof!
A questo punto ho mimato un’agonia atroce, come se Samir mi
avesse avvelenato e io morissi in diretta davanti a lui, quando
un’altra voce ha esclamato ridendo:
– No, no, è un golf! Su, rimanga con noi, è un golf, il suo L, è
un golf!
Resurrezione:
– Sì, è il suo golf, e anche se golf è una parola di origine inglese è sempre meglio di una marca! Mia madre avrebbe detto il suo pullover e mia nonna la sua casacchina, vecchia paro-
117
Il
piacere
di
leggere
la «casacchina», ma sempre meglio di una marca, perché sono le marche, Maximilien, che
vi fanno uscire di te­sta, non i professori!
Vi fanno uscire di testa, le vostre marche: le mie N, il mio L, la mia T, il mio
X, le mie Y! Vi fanno uscire di testa
e intanto vi rubano i soldi, vi rubano le pa­role, vi rubano anche il corpo, come un’uniforme, fanno di voi
delle pubblicità viventi, come i manichini di plastica dei negozi!
A questo punto racconto loro che
quando ero bambino c’erano gli uomini-sandwich e che mi ricordavo
ancora di uno di loro, sul marciapiede di fronte a casa mia, un vecchio signore stretto tra due cartelloni che reclamizzavano una marca di senape:
– Le marche fanno la stessa cosa con voi.
Maximilien, mica scemo:
– Solo che a noi non ci pagano!
Intervento di una ragazza:
– Mica vero, fuori dalle scuole, in centro, prendono i bulli, i fighetti e gli danno un sacco di vestiti gratis così quelli se la tirano in classe. La marca piace un casino ai compagni e così quelli
vendono.
Maximilien:
– Che figata!
La loro prof:
– Trovi? A me pare che le vostre marche costino molto, ma valgano molto meno di voi.
Seguì una discussione approfondita sui concetti di costo e di valore, non i valori venali, ma gli altri, i famosi valori, quelli che si
dice loro abbiano perso…
E ci siamo lasciati con una piccola manifestazione verbale: – Libe-ra-te le parole! Li-be-ra-te le parole! – finché tutti i loro oggetti
familiari, scarpe, zaini, penne, maglioni, giacche a vento, lettori
cd, auricolari, telefonini, occhiali, non ebbero perso la marca per
ritrovare il proprio nome.
D. Pennac,
118
Diario di scuola, Feltrinelli
Il
piacere
di
leggere
Il piacere di leggere
Antologia 2
7. Crescere consapevoli e responsabili
sport: valori, sogni, impegno
Hockey, che passione!
Jerry Spinelli
Q
Per riuscire nello sport
occorrono costanza,
determinazione e
grinta; Megin possiede
tutte queste qualità
accompagnate da una
grande passione per
l’hockey.
La vediamo in queste
pagine nella prima
partita della stagione,
con i suoi amici e
i suoi rivali, su un
lago ghiacciato nella
cittadina dove vive, nel
Nord degli Stati Uniti.
uando mi svegliai, avevo la guancia poggiata sul legno della mia mazza da hockey. L’avevo vinta una sera che mio padre mi aveva portato con Grosso a vedere una partita in città.
Tra un tempo e l’altro, l’annunciatore aveva chiamato un numero; mio padre aveva guardato il mio biglietto e aveva cominciato
ad agitarsi: – Hai vinto! Hai vinto! –. Avevo vinto la possibilità
di andare negli spogliatoi dopo la partita per conoscere i giocatori e, come se non bastasse, Wayne Gretzky, l’asso dell’hockey,
mi aveva dato una mazza da hockey con cui aveva giocato lui
in persona e, su due piedi, aveva firmato il manico: «A Megin,
dal tuo amico Wayne Gretzky». Grosso avrebbe voluto uccidermi,
perché l’aveva mancata per un numero.
Baciai la mazza e mi alzai. Era il giorno dopo Natale, la prima
grande giornata sul lago. Un po’ più tardi, Sue Ann e io stavamo
sulla riva. La maggior parte dei giocatori di hockey era già lì, a
scaldarsi. I ragazzini che non giocavano a hockey stavano dall’altro lato, pattinando, cadendo, sfoggiando i vestiti nuovi. Altri si
erano accampati intorno alle rive, scavando nidi1 nella neve, stendendo coperte, ammucchiando legna per il fuoco. Alcuni avevano
portato addirittura i fornelli da campo. Rimasi lì ad assorbire l’atmosfera. Avevo le bombe2, i panini al formaggio, il thermos pieno di cioccolata calda e tutta la mia roba da
hockey, compresi i guanti nuovi.
Affidai a Sue Ann la busta delle provviste.
– Ecco, fatti un nido – le dissi, e scivolai via
sul ghiaccio. Sue Ann adora fare nidi, più
che pattinare. Ne fa sempre uno grande e
invita un sacco di ragazze.
Valducci mi vide arrivare. – Ehi, ehi… –
disse – eccola che arriva! La sorellina di
Gretzky! La mammina di Gretzky! La no…
– non riuscì a dire altro. La mazza dietro il
suo pattino, una rapida botta, e atterrò di
sedere sul ghiaccio.
Dopo un po’ formammo le squadre. Come
al solito, Skelley e Broadhurst s’incaricaro-
1. nidi: buchi, ripari nella
neve.
2. bombe: dolci simili a
bomboloni.
Il
piacere
di
leggere
119
no della scelta. Sono quelli che giocano meglio. Sempre, a memoria d’uomo, sono successe due cose: 1. io vengo scelta prima di
Grosso; 2. Grosso s’infuria. Come volevasi dimostrare, accadde
di nuovo. Fui la terza a essere scelta da Skelley. Grosso fu scelto
da Broadhurst, quinto. Ah già, un’altra cosa: non veniamo mai
messi nella stessa squadra. Sanno che non è il caso.
Come al solito, chiamai Sue Ann per lanciare il dischetto per il
tiro iniziale. Come al solito, era terrorizzata. Attraversò il lago
in punta di pattini e si fermò davanti a Skelley e Broadhurst, un
topolino tra due gattacci. Rimase più lontano che poteva, tenendo il dischetto come qualcosa di bollente o di morto, con la punta
delle dita. Poi lo fece cadere e si allontanò strillando, tappandosi
le orecchie coi guanti.
Finalmente: la prima partita della stagione. Ah! La prima partita della stagione aveva più o meno due secondi di vita, quando qualcuno mi venne addosso facendomi finire col sedere sul
ghiaccio. Alzai gli occhi in tempo per vedere Grosso che si allontanava. Non m’importava. La giornata era lunga. Ben presto mi
capitò l’occasione per vendicarmi. Stavamo passandoci il dischetto davanti alla porta di Broadhurst, in cerca di un varco. Skelley passò dietro la porta, mi vide là davanti, mi fece un passaggio, ma Grosso si mise in mezzo e lo intercettò. Fu allora che feci
la mia mossa. Prima che Grosso potesse allontanarsi con il dischetto, lo placcai da dietro. Cadde dritto in porta: un dischetto
umano! Nel frattempo, il vero dischetto era rimasto ai miei piedi.
Presi la rincorsa e lanciai una bomba che passò accanto all’orecchio di Grosso, sotto l’ascella del portiere, dritto nell’angolo superiore destro della rete. Goal!
Grosso partì alla carica, mulinando la mazza. – Ha fatto fallo!
Mi ha colpito da dietro!
– Tu mi hai fatto fallo per primo – ribattei. – Ti ho solo reso la
pagnotta, ecco tutto.
Grosso stava lì fumante. – D’accordo, ragazza, te la sei voluta.
– Quando vuoi, amico.
Valducci cominciò a battere il ghiaccio con la mazza. – Forza,
forza! Un po’ di azione, ragazzi! Aa-zione! Woogah!
Per quanto riguardava il gioco, la giornata migliorava man
mano che andavamo avanti. Vincemmo la partita 5 a 2. (La prima squadra che arriva a cinque vince). Poi riformammo le squadre. Stavolta Skelley mi scelse per seconda. Broadhurst non mi
sceglie mai. Dice che non vuole una femmina in squadra, ma io
credo che non voglia mettere in imbarazzo Grosso. A metà pomeriggio, Skelley mi sceglieva per prima.
Vincemmo tutte le partite, tranne una. Ero al massimo. Feci anche una tripletta: tre reti in una partita. La mia prima triplet-
120
Il
piacere
di
leggere
ta. E con la terza vincemmo 5 a 4. La mia squadra impazzì. Mi
sentii sollevare; qualcuno mi portava in trionfo sulle spalle. Era
John Poff. Non è un gran pattinatore, ma per farsi un giro di
campo non è male. E si sta al sicuro: nessuno attacca Poff.
Ogni paio di partite mi tuffavo nel nido e mangiavo. Quando il
sole cominciò a calare e si accesero i riflettori, ero arrivata al
mio ultimo panino al formaggio e alla mia ultima bomba ai mirtilli.
Era quasi buio. Questo è sempre il momento più bello: il cielo
rosso, il ghiaccio che sembra blu, le luci dei fuocherelli e dei fornelli da campo e delle candele intorno al lago, i pattinatori che
pattinano, i nidificatori che nidificano. I nidi dei liceali si distinguono sempre: sono i più piccoli, di solito bastano a malapena
per due.
– Megin! Guarda!
Era Sue Ann. Qualcuno – Grosso – si stava chinando, frugando
in giro, prendendo qualcosa, annusando, allontanandosi, facendo cadere qualcosa sul ghiaccio, spingendola con la mazza… la
mia bomba ai mirtilli!
Quando arrivai sulla scena, si stavano passando la bomba, tra
Valducci, Broadhurst e altri buffoni. Si divertivano un mondo, a
passarsi la mia bomba e a spanciarsi dalle risate. Dopo un po’,
mi fermai ansimante. Poi Grosso tubò3: – D’accordo, puoi riaverla. – Prese lo slancio e colpì la bomba: frittata ai mirtilli.
Grosso sapeva che non era il caso di rimanere da quelle parti.
Quando partii all’inseguimento, era già a metà del lago. Un paio
di pattinate e gli fui addosso. Mirai dritto al suo sedere, stringendo la mazza a due mani, tipo baseball. Ululò come un coyote.
Poi toccò a me essere inseguita… praticamente come bere un bicchier d’acqua. Anzi, mi voltai e pattinai all’indietro, e la lumaca non riusciva ancora ad acchiapparmi. Ogni due pattinate gli
tendevo la mazza e gli davo una pungolatina allo stomaco, e lui
grugniva e fumava ancora di più. – Io torero, tu toro. – Le ginnasiali facevano il tifo per me.
Poi decisi di dargli una lezione. Uno dei grandi difetti di Grosso è che non sa frenare bene. Mi voltai e partii veloce. Quando
arrivai vicino alla riva, finsi di scivolare e di perdere il controllo. Mentre sbandavo, lo tenevo sotto controllo con la coda dell’occhio. Arrivava come un treno merci, con la mazza dietro, poi davanti… ficcai la lama nel ghiaccio e schizzai di lato; sentii lo
spostamento d’aria della sua mazza mentre gli passavo accanto.
Finì nella neve e cadde disteso su due liceali nel loro nido.
– Impara a frenare, gonzo! – gridai ridendo, mentre scivolavo
verso un’accoglienza trionfale.
J. Spinelli, Guerre in famiglia, Mondadori
121
3. tubò:
fece il verso tipico dei colombi;
suono gutturale, gorgogliato,
sordo. In questo caso sta per
«borbottò».
Il
piacere
di
leggere
Il piacere di leggere
Antologia 2
7. Crescere consapevoli e responsabili
vivere come natura insegna
SOS per gli animali
N
ella vita di tutti i giorni, con le nostre azioni più comuni e
abituali, siamo inconsapevolmente responsabili della sofferenza di tanti esseri viventi e del degrado della natura.
Una innocente spruzzatina di lacca, per esempio, contribuisce a
danneggiare la fascia di ozono1 che protegge la Terra. Ma quella lacca è macchiata anche di un’altra colpa: la sperimentazione
animale.
I cosmetici2, infatti, al pari dei medicinali, dei prodotti industriali, dei nuovi ritrovati bellici3, vengono sperimentati su animali.
Queste torture vengono giustificate attribuendo, ai dati ottenuti, una importanza fondamentale per l’uomo: ma ciò che è valido per un coniglio o per un cane non è necessariamente valido per l’uomo. Infatti alcuni medicinali risultati innocui in laboratorio hanno avuto conseguenze disastrose una volta messi in
commercio. La sperimentazione animale, dunque, non danneggia solo gli animali utilizzati, ma anche noi. Gli unici uomini
che traggono un vantaggio da tutto ciò sono gli sperimentatori
(spesso finanziati dallo Stato) e le ditte che «producono» o «procurano» gli animali da laboratorio. Esistono altri metodi di sperimentazione che non prevedono l’uso di animali. Malgrado queste nuove tecniche si siano rivelate più affidabili della sperimentazione animale, sono piuttosto osteggiate poiché si scontrano
con grandi interessi economici.
Noi, invece, vorremmo che vivere rispettando gli altri animali e
la natura fosse facile.
Una mucca vive tutta la vita in prigione per «produrre» carne,
latte e cuoio. Le galline ovaiole di batteria di­vi­do­no anche in cinque le gabbie con una base inclinata di rete metallica che misura
45 × 50 centimetri.
Per ottenere una carne chiara e morbida, invece, i vitelli sono tenuti al buio rinchiusi in box poco più grandi del loro corpo. Tutti gli allevamenti sono molto inquinanti, ma in Centro America
sono anche responsabili di 20.000 km2 di foresta abbattuta ogni
anno per fare posto agli allevamenti stessi prima, e al deserto
poi. Le conseguenze sul clima locale e del pianeta sono infatti disastrose.
Se ami gli animali
e ti preoccupi
per la loro sorte,
leggi i seguenti testi.
Quando saprai,
non potrai più fare finta
di niente.
122
1. ozono:
uno dei gas di cui è composta
l’atmosfera.
2. cosmetici:
prodotti per la bellezza della
pelle e del corpo.
3. bellici:
che riguardano la guerra.
Il
piacere
di
leggere
Dossier pellicce
I
l mercato delle pellicce è responsabile di uno dei più atroci
massacri di animali di questo secolo.
Centinaia di milioni di animali muoiono ogni anno dopo terribili sofferenze sconosciute al più della gente. Fino a poco tempo fa
la maggior parte delle pellicce proveniva dalle trappole.
Ogni anno circa 35 milioni di pelli di animali intrappolati vengono messi all’asta, il che significa che più di 100 milioni di animali sono rimasti vittime di trappole. I due terzi degli animali
che restano prigionieri infatti non vengono utilizzati principalmente per due motivi: o si tratta di animali non «da pelliccia»
(uccelli, istrici, animali domestici… chiamati dai trapper4 «spazzatura»), oppure di animali (il 25% circa) che, cercando di liberarsi, si sono prodotti dei danni tali alla pelliccia da non renderla più vendibile. Capita a volte che al controllo venga trovata nella trappola solo una zampa perché l’animale, nel disperato tentativo di liberarsi, si è amputato l’arto a morsi. La possibilità di
sopravvivenza per l’animale in questi casi è praticamente nulla.
Oggi molti animali da pelliccia provengono da allevamenti.
Ma come vivono le bestie nelle loro gabbie?
Le volpi, il cui territorio naturale dovrebbe essere di 10 km2 circa, sono rinchiuse in gabbie in rete metallica poco più grandi del
loro corpo; i visoni, che in libertà sono animali piuttosto solitari
e dispongono di vasti spazi dove correre e nuotare, dividono in
due o tre, e a volte anche cinque o sei, anguste5 gabbiette dove
capita che la follia, provocata dalla reclusione, abbia il sopravvento e gli animali si azzuffino violentemente.
Si è riscontrato frequentemente questo comportamento anche
tra le volpi così come tra altre specie e ciò probabilmente capiterebbe anche agli uomini, se costretti a dividere in condizioni
estremamente disagevoli una prigione.
Alcuni allevatori hanno anche trovato delle soluzioni che consentono di ammassare molti animali senza provocare gravi danni alle pellicce.
La pratica della somministrazione di psicofarmaci6 è piuttosto
comune, meno usata la limatura dei denti fino alla mascella praticata talvolta ai cincillà.
Le gabbie hanno il fondo in rete metallica per consentire agli
escrementi di cadere al suolo attraverso le maglie eliminando le
operazioni di pulizia delle gabbie. Le zampe sono lacerate dai fili
metallici ma ciò non viene assolutamente considerato dal momento che non pregiudica la bellezza del pelo. Sulle gabbie vi sono
delle tettoie che riparano gli animali dal sole e dalla pioggia, fat-
123
4. trapper: cacciatori che
catturano animali mediante
trappole.
5. anguste: piccole, strette.
6. p­si­cofar­maci: farmaci
che agiscono sul sistema
nervoso di un individuo (in
questo caso di un animale)
modi­fican­done l’umore, lo stato
d’animo, il com­por­ta­mento.
Il
piacere
di
leggere
7. superfluo: inutile, non
necessario.
tori che potrebbero danneggiare il manto. Vento e gelo sono invece benvenuti perché stimolano la crescita del pelo. Il cibo è un
pastone studiato esclusivamente in previsione del prodotto: la
pelliccia.
In Finlandia vengono utilizzati ogni anno 58 milioni di kg di
aringhe e 10 milioni di kg di patate solo per nutrire i visoni.
Mentre il 20% della popolazione mondiale muore di fame, 55 kg
di proteine annui vengono somministrati a ogni visone per ottenere un «prodotto» assolutamente superfluo7. Per essere più precisi possiamo aggiungere che, per ottenere una pelliccia di visone, occorrono 3,3 tonnellate di cibo; 1,1 per una di volpe. Nell’acqua, d’inverno, viene aggiunto dell’anticongelante. Quando ciò
non accade gli animali possono rimanere anche dei giorni senza bere.
Il cibo viene distribuito sopra le gabbie per risparmiare tempo
e mano d’opera; gli animali lo leccano attraverso le maglie della
rete.
Capita spesso che, a causa della bassa temperatura, la lingua degli animali si laceri a contatto con la rete. I pasti non vengono
distribuiti prima dell’uccisione: perché sprecare del cibo che una
volta digerito potrebbe macchiare il pelo durante l’esecuzione?
124
In queste pagine abbiamo riportato alcuni dati riguardanti le
sofferenze inflitte agli animali con le giustificazioni più varie.
Le stesse torture sono talvolta inflitte anche agli uomini con altre giustificazioni: colore della pelle, classe sociale, convinzioni
religiose o politiche. Qualcuno obietterà che tra gli uomini e gli
animali c’è una bella differenza. È vero, ci sono delle enormi
differenze, ma qualcosa ci accomuna: la capacità di soffrire.
a cura di «Animal Amnesty», Milano
Il
piacere
di
leggere
Il piacere di leggere
Antologia 2
7. Crescere consapevoli e responsabili
vivere come natura insegna
Per salvare un cane (o una capretta)
a distanza
N
erone, Lady, Perla & Co: appello speciale per i «senza famiglia» dell’Enpa, quelli che non vuole nessuno, secondo una
«triste consuetudine». Così i volontari dell’Ente nazionale protezione animali raccontano quello che succede quasi quotidianamente nei rifugi dell’associazione: nessuna adozione per gli animali anziani, malati o segnati da storie di maltrattamento.
«Quando nei rifugi arrivano persone in cerca di un compagno,
questi animali iniziano a scodinzolare. Ma i visitatori passano
sempre oltre e l’entusiasmo si trasforma in malinconia» spiegano all’associazione.
A lasciare i rifugi «per una nuova famiglia» sono quasi sempre cuccioli e giovani esemplari. I volontari hanno messo a punto una strategia: se prendere in casa un animale problematico o
malato è una scelta difficile, nulla vieta però di sostenere le organizzazioni che se ne prendono cura con un’adozione a distanza. L’impegno è modesto: si parte da venti euro al mese e si decide per quanto tempo versare il contributo, che si può sospendere
in qualsiasi momento.
Per informazioni basta cliccare su www.
enpa.it, dove si può anche scegliere il pet1 da
adottare (cani e gatti,
ma anche cavalli, capre e uccelli). In cambio si riceve attestato,
foto e storia del «prescelto». E naturalmente si potrà andare a
trovarlo.
Valeria Aloisio
Ecco un commovente
(e speriamo efficace!)
appello dell’Enpa per
gli ospiti dei suoi rifugi
più bisognosi di cure
e destinati a restare
senza famiglia.
125
1. pet: in inglese, animale
domestico; anche se in questo
caso si intendono animali più
in generale di cui prendersi,
indiret­ta­men­te, cura.
V. Aloisio,
in «il venerdì
di Repubblica»
Il
piacere
di
leggere
Il piacere di leggere
Antologia 2
7. Crescere consapevoli e responsabili
vivere come natura insegna
Il gabbiano di Chivasso
Primo Levi
Giornalista Signor gabbiano, che ci fa lei qui?
Gabbiano
Gabbiano reale, prego. Noi siamo stanziali, gli altri, i ridibundi1, sono vagabondi, opportunisti senza scrupoli.
Giornalista Signor gabbiano reale, mi pare di averla incontrato altre volte, ma in un ambiente diverso: librato sopra la risacca non ricordo più se alle Cinque Terre o alla Caprazoppa.
Però ricordo una sua fantastica planata, alla deriva nel vento,
e poi una picchiata improvvisa: giù e subito su con un pesce
nel becco. Ho seguito tutto col binocolo: ho rimpianto di non
avere una cinepresa.
Gabbiano
Ricorda giusto, era una triglia, per i miei piccoli.
L’avevo vista dall’alto, e mi sono tuffato due metri sott’acqua
per acchiapparla. È stato un bel colpo, lo ricordo anch’io. Eh,
erano altri tempi, ma già allora le triglie si facevano rare. Insieme con mia moglie, ci eravamo fatti un nido inaccessibile, anzi invisibile, proprio a picco sul mare. Si viveva sicuri:
ogni sortita era un pesce, a volte così grosso che facevo fatica
a riportarlo al nido, o addirittura a ingollarlo. Era un mestiere degno, nobile, per gente dalle buone ali e dall’occhio acuto. Non c’era mareggiata che mi facesse paura, anzi, più c’era
tempesta e più mi sentivo padrone del cielo. Ho volato in mezzo ai fulmini, quando perfino i vostri elicotteri restavano a
terra, e mi sentivo felice: «realizzato», come dite voi.
Giornalista Appunto: un ambiente adatto per un volatore come lei. Ma che
cosa l’ha indotto a venirsi a stabilire a
Chivasso?
Gabbiano
Sa, le voci corrono. C’è
un mio lontano parente che viveva a
Chioggia, e non se la cavava neanche
tanto male; ma poi l’acqua si è fatta
schiumosa, puzzava di nafta, e il pesce
ha cominciato a scarseggiare. Lui e
sua moglie allora hanno risalito il Po,
tappa per tappa, appunto fino a Chivasso, A mano a mano che risalivano,
Con questa singolare
intervista a un
gabbiano reale,
l’autore ci fa riflettere
ancora una volta sul
destino del nostro
pianeta, da giardino a
discarica.
126
1. ridibundi: gabbiani
comuni (Lanus ridibundus).
Il
piacere
di
leggere
l’acqua era meno inquinata. Bene, anni fa è venuto laggiù in
Liguria a raccontarmi che a Chivasso c’è la Lancia, e che assumono tanta gente.
Giornalista Su questo non ci piove. Ma non mi dirà che assumono anche gabbiani? O che sono così generosi da rifornirli?
Gabbiano
Lei tocca un tasto doloroso. Si capisce che la Lancia non fabbrica pesci, anzi, ne fa morire una buona dose; ma
fabbrica rifiuti. Assume gente che di rifiuti ne fabbrica una
quantità incredibile, tre o quattrocento quintali all’anno. E ha
una mensa aziendale, fabbrica discariche, e nelle discariche
arrivano… sì, arrivano i topi. Ecco, me lo ha fatto dire.
Giornalista Vuol dire che da pescatore lei si è trasformato in
cacciatore di topi? Beh, guardi, sono cose che capitano anche
a noi. Agli uomini in generale, ed a noi giornalisti in specie.
Non tutti i giorni né in tutti gli anni c’è qualche guerra da
raccontare, o una diga che crolla, o un terremoto, o una
eruzione vulcanica, o una catastrofe nucleare, o un
volo sulla luna. Anche noi a volte ci dobbiamo accontentare di correre dietro ai topi. E se non ci
sono neppure quelli, ce li inventiamo.
Gabbiano
… Oppure andate a intervistare
i gabbiani vero? Tutto fa brodo.
Giornalista No, mi creda, sono pienamente consapevole del vostro disagio. Si vede,
per così dire, a occhio nudo: non volate più
alti nel cielo, è raro sentirvi stridere. Ho
visto due suoi colleghi nidificare allo sbocco di una cloaca, altri sotto un ponte, Altri
ancora, e tanti, bazzicano dalle parti dello zoo
di Torino e rubano i pesci alle foche e all’orso
bianco.
Gabbiano
Lo so. È una vergogna, ma ci sono andato
anch’io. Di pesce abbiamo bisogno, se no le nostre uova vengono col guscio debole, tanto trasparente che si vede dentro il
pulcino, e a covarle si rompono. E di pesce, nel Po, se ne vede
poco. Speriamo che adesso, col nuovo collettore, la situazione
migliori un poco.
Giornalista Tuttavia, a parte le questioni di prestigio, immagino che un bel ratto, di quelli appunto che frequentano le discariche, non sia una preda da disprezzare.
Gabbiano
E lei crede che sia facile acchiappare un ratto? Da
principio la caccia riusciva, si vedeva qualcosa muovere in
mezzo ai rifiuti, giù in picchiata, un bel colpo di becco nella
nuca e il ratto era spacciato. Ma sono una razza terribilmente intelligente, e hanno subito imparato come difendersi. Pri-
127
Il
piacere
di
leggere
ma di tutto escono solo di notte, e noi di notte non ci vediamo
bene. Poi, mettono uno dei loro di sentinella, e se uno di noi
incrocia sulla discarica la sentinella dà l’allarme e tutti si rintanano. E infine, fanno paura ai gatti, ma fanno paura anche
a noi, quelle poche volte che ci riesce di affrontarne uno di
sorpresa e in campo aperto. Hanno certi denti, e riflessi così
pronti, che parecchi di noi ci hanno rimesso le penne, e non
solo quelle.
Giornalista Così non vi restano che i rifiuti?
Gabbiano
Lei vuole proprio mettere sale sulla piaga. Rifiuti
sì. È poco dignitoso, ma redditizio. Finirà che anch’io ruberò
il mestiere alle cornacchie e mi abituerò a mangiare carogne,
ossi male spolpati, o addirittura diventerò vegetariano. A questo mondo chi non si sa adattare soccombe. In questo, devo
dirlo, mia moglie ha meno scrupoli di me. Quando è il mio
turno di covare, lei se ne va in giro a piedi sulla discarica e
mi porta un po’ di tutto, tanto che ho dovuto farle una paternale e spiegarle che il polietilene va lasciato dov’è, non serve
neppure a foderare il nido perché è troppo impermeabile. Vedesse che cosa mi porta: gattini morti, torsoli di cavolo, bucce
di frutta e scorze di cocomeri. Io ho ancora qualche ripugnanza, ma i piccoli mangiano tutto. La prossima generazione mi
spaventa, non c’è più ritegno.
Giornalista Signore, lei mi pare troppo pessimista. Come in Inghilterra hanno risanato il Tamigi così risaneremo i nostri
fiumi, ed allora anche il mare tornerà ad essere com’era. Del
resto, si consoli: anche fra noi uomini ci sono quelli che saprebbero volare e nuotare, ma che invece, per mala sorte o per
poco coraggio, girano per gli immondezzai a raccogliere sudiciume. Bisognerà dare a loro, ed a voi, l’occasione di restaurare la loro dignità. La prego, non dimentichi il mare.
P. Levi,
128
L’ultimo Natale di guerra, Einaudi
Il
piacere
di
leggere
Il piacere di leggere
Antologia 2
7. Crescere consapevoli e responsabili
vivere come natura insegna
10 consigli per risparmiare l’acqua
Autori Vari
1. La doccia
Pochi, semplicissimi
consigli per risparmiare
tanta preziosa acqua,
il nostro quotidiano
«oro blu»!
Il braccio di ferro fra bagno e doccia dipende dalla rapidità di
ciascuno di noi: se la doccia dura 5 minuti, il consumo è di circa
60 litri d’acqua, contro i 120 litri di un bagno nella vasca.
2. Lavarsi i denti
Dopo aver inumidito lo spazzolino, è inutile lasciare il rubinetto
aperto sprecando acqua perfettamente depurata. Nel lavandino
infatti si perdono circa 10 litri d’acqua ogni minuto.
3. Radersi
129
Come per lavarsi i denti, è inutile lasciare il rubinetto aperto durante la rasatura. Raccogliendo un po’ d’acqua nel lavandino, si
potrà sciacquare il rasoio.
4. Lavare i piatti
Riempire uno dei due lavabi di acqua e usarla per un primo lavaggio sommario. Poi insaponare e usare l’acqua corrente solo
per rimuovere il detersivo.
5. Il giardino
Scegliere la mattina presto o la sera per innaffiare: evaporerà
meno acqua. Per superfici ampie, è meglio usare irrigatori a
spruzzo piuttosto che il tubo a mano.
6. Il water
Quasi tutti i dispositivi di scarico ormai hanno il doppio pulsante, per regolare la quantità d’acqua necessaria. Dal water esce
circa il 30% dell’acqua consumata dall’intera casa.
Il
piacere
di
leggere
7. Lavare l’auto
Non è un’operazione così indispensabile, e può portare via fino a
100 litri d’acqua perfettamente potabilizzata. Per limitare i danni, usare almeno il secchio al posto del tubo.
8. Fare il bucato
Un sesto dei consumi domestici di acqua è assorbito dalla lavatrice. Anche per risparmiare corrente, è molto importante avviare
la lavatrice solo quando il cestello è colmo.
9. Lavare la frutta
Frutta e verdura possono essere puliti nel lavabo riempito di acqua. Si consumerebbe molto di più sciacquando i frutti uno a
uno sotto il getto corrente.
10.Rubinetti
Oltre a controllare che non perdano, chiuderli stringendo bene la
manopola. Un rubinetto che sgocciola può arrivare a sprecare tra
i 30 e i 100 litri d’acqua al giorno!
130
«la Repubblica»
Il
piacere
di
leggere
Il piacere di leggere
Antologia 2
7. Crescere consapevoli e responsabili
vivere come natura insegna
Il manuale del perfetto rompiscatole
Fulco Pratesi
C
Ecco un brano
spiritoso ma
significativo pubblicato
nel sito italiano del
wwf (World Wide
Fund for Nature, la più
grande organizzazione
mondiale dedicata
alla conservazione
della natura), scritto
dal famoso giornalista
e ambientalista Fulco
Pratesi (fondatore del
Wwf Italia).
hi lavora nelle associazioni di conservazione della natura si
sente spesso domandare, dai nuovi soci che non si accontentano della tessera1 e della rivista Panda: «Cosa posso fare, io, per
dare una mano?».
In genere gli si risponde di frequentare la sede o l’Oasi più vicina, di iscriversi ai corsi per guardie volontarie, di reclutare nuovi soci, di fare attivismo. Ma per chi volesse muoversi da battitore libero non assoggettandosi a orari e riunioni, manifestazioni
e marce il consiglio che posso dare è quello di iscriversi, idealmente, alla Confraternita dei Rompiscatole Ecologici; e vi spiego
cos’è.
In molti Paesi, in cui i cittadini mostrano un comportamento
civile di un livello superiore al nostro, il segreto di questo sta
in una parola magica: controllo sociale. Il che significa che se
qualcuno si azzarda a parcheggiare l’auto in zona vietata, subito compare qualcuno (quasi sempre una arzilla vecchietta) che
lo redarguisce. Stesso trattamento da parte del pubblico è riservato a chi abbandona rifiuti, maltratta gli animali, fuma in luogo vietato, fa troppo rumore, costruisce abusivamente e via discorrendo.
A differenza dell’Italia, in cui il controllo sociale si esercita al
contrario avvisando con i fari le macchine che vengono in senso opposto che dietro la curva c’è una pattuglia della Stradale, in
quei paesi ogni cittadino si sente un po’ responsabile del bene comune e del rispetto delle leggi. A volte anche esagerando, ma in
complesso il meccanismo del controllo sociale funziona.
Un rompiscatole ecologico ha molti modi di esplicare la sua funzione di controllo sociale. Vediamo quali.
Ci sono degli ambientalisti che scelgono la strada dei mezzi di
comunicazione. Nel senso che, appena possono, inviano ai giornali lettere di denuncia e protesta, intervengono nelle trasmissioni radiofoniche aperte al pubblico, rispondono a indagini demoscopiche2, sollecitano interrogazioni parlamentari3, inviano
sms, fax, telegrammi, ed e-mail.
Altri preferiscono l’attacco diretto: se vedono ad esempio un
cacciatore che vaga in un luogo vietato lo affrontano invitan-
1. tessera:
di adesione e appartenenza al
wwf.
2. d­emoscopi­che:
relative alla «demo­scopia»,
tecnica d’indagine e studio
dell’opinione pubblica su
determinate questioni.
3. in­terro­ga­zioni
parlamentari: le domande
scritte rivolte al governo da uno
o più parlamentari per avere
informazioni su fatti di pubblico
interesse o su eventuali
provvedi­men­ti.
Il
piacere
di
leggere
131
dolo ad andarsene. Ammoniscono i gitanti che raccolgono fiori
protetti, inveiscono contro motoscafisti e subacquei che infrangono le leggi, non danno strada ai motocrossisti che infestano i sentieri di montagna, redarguiscono chi accende fuochi in
luoghi esposti agli incendi, criticano i saccheggiatori di lumache e bacche, fragole e funghi.
Infine, i cirenei4: quelle magnifiche persone che tornano a casa
con sacchi pieni di spazzatura altrui, quelli che raccolgono uccellini feriti e cani abbandonati, quelli che rialzano il cespuglio
stroncato dal passaggio di un fuoristrada e quelli che mettono
in opera mangiatoie e cassette nido, che espongono cartelli in
difesa degli animali, che seminano ghiande senza che nessuno
glielo chieda.
Dedico a questi ultimi un passo di J. L. Borges5:
Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire.
Chi è contento che sulla terra esista la musica.
Chi accarezza un animale addormentato.
Chi preferisce che abbiano ragione gli altri.
Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto.
Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.
132
F. Pratesi, in www.wwf.it/client/ricerca.aspx?root=3803&content=1
4. cirenei: chi si addossa
una fatica o una pena che
toccherebbe ad altri; il termine
deriva dal personaggio
di Simone di Cirene, che,
secondo il Vangelo, aiutò Gesù
a portare la croce al Calvario.
5. J. L. Borges: Jorge Luis
Borges (1899-1986), scrittore e
poeta argentino.
Il
piacere
di
leggere
Il piacere di leggere
Antologia 2
7. Crescere consapevoli e responsabili
vivere come natura insegna
Vivere su un pianeta che muore
Sebastião Salgado
O
L’uomo sta
distruggendo il pianeta
e mette in pericolo la
sua stessa esistenza:
è il grido d’allarme di
un celebre fotografo,
autore di reportage
da ogni parte del
mondo. Sono illustrate
in particolare le
«dieci meraviglie
del pianeta», grandi
ambienti naturali
che rischiano di
scomparire.
ggi viviamo su un pianeta che può morire. Utilizziamo
energia nucleare in diversi campi, nella vita di tutti i giorni come nei programmi scientifici, senza capire appieno i rischi
legati agli effetti secondari e alle scorie nucleari. Per non parlare della minaccia di un disastro ambientale. L’agricoltura industrializzata e gli allevamenti su larga scala utilizzano tecniche
che decimano gli habitat naturali, mentre l’uso indiscriminato
di prodotti chimici inquina terreni e falde acquifere. Oggi non
produciamo altro che merci di scambio. Stiamo danneggiando la
stratosfera1 e distruggendo le ultime residue porzioni di foreste
tropicali, riducendo di fatto la fotosintesi che ci assicura la vita.
La nostra stessa esistenza è a rischio.
Tutto questo si riflette in maniera tragica sullo stato attuale
dell’umanità. Il lavoro dell’intera popolazione mondiale ha prodotto una ricchezza immensa, che resta tuttavia concentrata nelle mani di troppo poche persone, alimentando tensioni sia all’interno delle società del benessere sia tra un piccolo numero di
paesi ricchi e il resto del mondo. Oggi produciamo più cibo di
quanto sia mai stato prodotto, eppure milioni di persone muoio-
1. stratosfera: è la parte
dell’atmo­sfera compresa fra i
15 e i 45 km di altezza.
Il
piacere
di
leggere
133
no di fame. E in questi ultimi decenni abbiamo assistito ai peggiori genocidi2 che la storia ricordi.
Per tutto il Novecento, l’accelerazione della crescita demografica
e dello sviluppo economico ha distrutto gli habitat naturali della maggior parte delle zone temperate dell’emisfero boreale3. Ora
il centro della distruzione si è spostato verso le regioni tropicali,
caratterizzate da un’enorme varietà culturale.
Le 25 regioni mondiali (o «punti caldi», secondo un concetto elaborato verso la fine degli anni Ottanta dall’ecologista inglese
Norman Myers) che ospitano più della metà delle specie del pianeta hanno già perduto circa il 90% dei loro habitat naturali. Questa straordinaria biodiversità4 sopravvive oggi nell’1,4% della superficie terrestre. Solo nelle zone selvagge la biodiversità è ancora florida. Le zone aride, fredde e le foreste tropicali, che rappresentano circa il 46% delle terre emerse, contengono solo un minuscolo 1,6% delle piante del pianeta e il 2,3% dei vertebrati (pesci esclusi). Eppure sono fondamentali per conservare ecosistemi
locali (come i cicli dell’acqua) e perfino globali5 (per esempio, la
sequestrazione del carbonio6). Questi sono anche gli ultimi luoghi al mondo in cui possiamo capire le nostre origini come specie e ritrovare la diversità biologica in uno stato originario.
2. genocidi:
distruzioni di interi popoli o
gruppi etnici.
3. boreale:
setten­trio­nale.
4. biodiversità:
varietà di specie viventi,
animali e vegetali.
5. globali:
che riguardano l’intero globo
terrestre.
6. sequestra­zione del carbonio:
è l’assorbi­men­to di anidride
carbonica da parte delle piante
nel processo della fotosintesi.
«la Repubblica»
134
Il
piacere
di
leggere