L`UNIVERSO AFRICANO DI KAREN BLIXEN
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L`UNIVERSO AFRICANO DI KAREN BLIXEN
Federica Vitale L’UNIVERSO AFRICANO DI KAREN BLIXEN Collana “Orizzonti” 33 Federica Vitale, L’universo africano di Karen Blixen Copyright © 2014 Tangram Edizioni Scientifiche Gruppo Editoriale Tangram Srl – Via Verdi, 9/A – 38122 Trento www.edizioni-tangram.it – [email protected] Collana “Orizzonti” – NIC 33 Prima edizione: luglio 2009, UNI Service Seconda edizione: settembre 2014, Printed in EU ISBN 978-88-6458-121-7 In copertina: acacia tree at sunrise © Antonio Nunes, Fotolia.com Stampa su carta ecologica proveniente da zone in silvicoltura, totalmente priva di cloro. Non contiene sbiancanti ottici, è acid free con riserva alcalina. Introduzione 11 Abbreviazioni 15 Capitolo 1 Il gelo del nord e il sole del sud 1.1. Le ali della libertà 1.2. Dualismo e Unità 1.3. Borghesia versus Nobiltà 1.4. La fattoria 1.5. Denys Finch-Hatton 1.6. Il destino di narrare 17 17 19 22 24 26 27 Capitolo 2 Ritratti d’Africa 2.1. Letters from Africa 1914-1931 2.2. Out of Africa 2.2.1. Il significato 2.2.2. - Gli spazi descrittivi 2.3. Shadows on the Grass 33 33 35 37 40 44 Capitolo 3 Karen Blixen e il suo black Brother 3.1. Un’esistenza a contatto con l’altro 3.2. Estraniazione 3.3. Il fascino della razza nera 3.4. L’indifferenza bianca 3.5. Figlia africana 3.6. La silenziosa presenza nera 3.7. Karen Blixen e la cultura native 3.8. Farah Aden 47 47 53 56 58 60 61 63 67 Capitolo 4 Il colonialismo attraverso gli occhi e le parole di Karen Blixen. L’Africa, periferia del mondo 4.1. Il fardello dell’uomo bianco 4.2. La contesa per il continente nero. 4.3. La disputa per l’Africa Orientale 4.4. Il Kenya britannico 4.5. La voce di Karen Blixen 4.6. L’incontro con i Masai 4.7. L’impatto dell’istruzione sugli indigeni 73 73 76 78 79 81 90 91 Capitolo 5 L’Islàm e il suo universo. Brevi note sulle tradizioni islamiche attraverso il punto di vista di Karen Blixen 5.1. Cenni storici: quando e dove nasce l’Islàm 5.2. Peculiarità e paradossi del mondo islamico: un approccio contenutistico 5.3. L’Islàm in Africa: una storia attuale 5.3.1. L’incontro con la cultura africana 5.3.2. L’Islàm e il potere coloniale. 5.4. Islàm e Occidente 5.5. L’esperienza di Karen Blixen 5.6. La religione musulmana per Karen Blixen 5.7. I Somali per Karen Blixen 99 100 102 103 104 104 105 106 110 114 Capitolo 6 La condizione femminile nell’universo africano 6.1. Il sorriso negato 6.2. L’istruzione femminile 6.3. La poligamia 6.4. Il velo 6.5. La donna nella società 6.6. L’immagine femminile nel Corano 6.7. Karen Blixen e la donna islamica 6.8. Le donne indigene per Karen Blixen 117 118 119 119 121 122 124 125 133 Conclusioni 137 Bibliografia 143 145 Siti Internet L’UNIVERSO AFRICANO DI KAREN BLIXEN Alla mia famiglia… E a chi, per la prima volta, mi ha regalato Rungstedlund… 11 Introduzione INTRODUZIONE Scopo di questo lavoro è stato quello di approfondire la figura di Karen Blixen come donna, attraverso le sue immagini e le sue parole. Il pubblico conosce questa importante scrittrice danese per i suoi numerosi racconti che, durante la sua vita, ebbero un duplice ruolo, entrambi fondamentali: non solo quello di dare sfogo alla sua creatività e alla sua viva immaginazione ma, soprattutto, quello di farla evadere da un mondo che sentiva non appartenerle. Questo mondo, che avvertiva quasi estraneo, era proprio quello delle sue origini, il mondo danese e, più in particolare, il mondo familiare, dal quale la separavano divergenze di pensiero e modi di intendere la vita. I racconti rappresentarono una via di fuga anche nel periodo africano, quando la sua forza di donna sola fu messa più e più volte a dura prova. Il romanzo che più l’ha resa nota al grande pubblico è Out of Africa, anche grazie alla versione cinematografica che ne venne fatta nel 1985. Ma la sua storia interessò, forse, più per l’aspetto romanzato che non per quello realistico, e i lati più profondi e più intimi della sua persona rimasero trascurati. Ed è proprio questa la parte della sua vita che si è voluto approfondire e analizzare. Il suo essere donna e il suo particolare modo di affrontare ogni situazione; e, non ultimo, il rapporto instaurato con persone tanto diverse da lei, per razza, culture e usi. Ciò che colpisce alla lettura dei suoi racconti e delle sue memorie africane è il sistematico e costante senso di perdita. L’intero arco della sua vita ne è contrassegnato: l’amore giovanile per Hans Blixen; il 12 Introduzione marito Bror e la sifilide; Denys Finch-Hatton e la fattoria in Africa. Tutto quello a cui teneva era destinata a perderlo. Blixen affermava che la visione della vita era argomento inevitabile per uno scrittore. Per lei, questa visione comprendeva anche il sense of humour. E caratteristica dello humour è che esso contiene a un tempo scherzo e dolore. Dolore dovuto, naturalmente, alla perdita. Un’altra sua caratteristica è che questo suo umorismo non crea distacco con il suo lettore, al contrario crea comunione. Molto spesso, infatti, si prova la sensazione che Karen Blixen si rivolgesse direttamente al suo lettore. Lei che amava raccontare storie a chi le regalava lo spunto delle prima frase. I testi analizzati sono quelli considerati i più “intimi”, quelli di una donna che trova sfogo e sollievo nelle sue parole: Out of Africa, Shadows on the Grass e Letters from Africa 1914 – 1931. Questi testi, con l’eccezione delle lettere che furono scritte durante la sua permanenza in Africa, videro la luce solo dopo il ritorno in Danimarca, quando la molla della scrittura scattò proprio per far rivivere la “sua” Africa prima che il sogno si dissipasse definitivamente, prima che le immagini perdessero vivezza. L’Africa appare scolpita nella sua memoria; della sua gente si scoprono così i costumi, i riti, il pensiero e la vita sociale e quotidiana. Non ultima, la storia. Il dover dare un ordine al discorso ha portato con sé la necessità di dividere questo saggio per argomenti. Argomenti che consentono di avvicinarsi all’Africa e alla Blixen “africana”. Questo studio si apre con il rapporto che si creò con quello che Karen Blixen, più di una volta, definì il suo black brother, per far capire quale tipo di intesa fosse nata con gli indigeni e, soprattutto, con Farah, non solo suo domestico ma anche confidente. Attraverso le parole di Blixen, dopo brevi cenni storici, si è affrontato il tema del colonialismo. Tema fondamentale se si considera che lei stessa era una colona bianca in terra straniera. Ma a differenza di molti, la sua sensibilità le consentì di notare quanto “l’invasione bianca” avesse nuociuto all’Africa e ai suoi abitanti. Infine, ci si è soffermati sugli aspetti di una religione che Blixen ebbe modo di conoscere da vicino: l’Islàm. Ne parlò sia in Out of Africa Introduzione 13 che in Shadows on the Grass, ma ne approfondì gli aspetti nelle lettere, coinvolgendo i suoi familiari. Si è già fatta menzione della particolare sensibilità che Karen Blixen dimostrò nei suoi scritti. Questa sensibilità appare ancora più accentuata nelle sue considerazioni sulla donna africana e sulle sue condizioni di vita. Si è ritenuto quindi opportuno approfondire il tema (per certi aspetti tuttora molto attuale), per completare, proprio con questo universo femminile, l’immagine di un mondo tanto diverso da quello occidentale. 15 ABBREVIAZIONI Le seguenti abbreviazioni ricorrono nel saggio per i riferimenti alle opere di Karen Blixen/Isak Dinesen: LA Letters from Africa 1914 – 1931 OA Out of Africa SG Shadows on the Grass 17 Il gelo del Nord e il sole del Sud Capitolo 1 IL GELO DEL NORD E IL SOLE DEL SUD 1.1. Le ali della libertà Karen Christentze Dinesen (chiamata Tanne dai familiari e Tania dal suo amante e, in seguito, dagli amici) nacque il 17 aprile del 1885 a Rungstedlund, in Danimarca, secondogenita di Wilhelm Dinesen e Ingeborg Westenholz. Alla morte del marito, fu compito di Ingeborg Dinesen crescere ben cinque figli. In questa difficile circostanza, le furono di enorme aiuto e sostegno la madre e la zia Bess. La formazione delle tre figlie Ea, Karen e Elle fu affidata a un’istitutrice. Integrata da quella delle donne della famiglia Westenholz, l’istruzione delle tre sorelle, pur se carente dal punto di vista linguistico e culturale, era complessivamente molto qualificata. La predominanza di figure femminili in famiglia e l’assenza di una figura maschile indussero Karen a opporsi sin dall’inizio al loro stile di vita pio e rigoroso, incline al rispetto delle virtù borghesi quali la temperanza, la modestia e una irreprensibile condotta morale, tendenze che incontrarono in lei una totale incomprensione. Le stesse propensioni saranno oggetto della sua opera, e le loro caratteristiche saranno sviluppate successivamente in modo deciso e incisivo. Era consapevole di aver ricevuto dalle donne di famiglia un’educazione e un’istruzione del tutto insolite per quel tempo, e di essere così emancipata intellettualmente 18 Il gelo del Nord e il sole del Sud rispetto alle altre donne, in grado di sostenere conversazioni su ogni argomento con gli uomini. Nonostante ciò, il rigido moralismo e la devozione al sacrificio delle donne Westenholz poco combaciava con l’anelito alla libertà e la sete di avventura ereditate dal padre. In un racconto contenuto in Winter’s Tales1 , “Peter and Rosa”, il rigore dei Westenholz è contrapposto alla libertà da ogni regola propria del padre. Peter dice a Rosa: “Ho guardato le stelle”, […], “e il mare e gli alberi, e anche gli animali e gli uccelli. Ho visto come si adeguano bene alle idee di Dio, e diventano ciò che lui vuole che siano. Quando li guarda, Dio deve sentirsi compiaciuto e incoraggiato… Così ho pensato che quando vede me Dio deve sentirsi molto triste.” I principi esposti nel racconto “Peter and Rosa” sono quelli della famiglia materna, ma le descrizioni della natura sono il riflesso del padre. L’uomo è creato da Dio e, essendo opera sua, deve perseguire la perfezione nel corso dell’intera vita, al fine di renderla gloriosa. Sin da bambina, Karen si sentì divisa e in conflitto tra due stili di vita e due mentalità diverse e distanti, quello del padre e della madre. Dualismo che l’accompagnò per tutta la vita e in ogni aspetto della sua esistenza, fino a completarsi nell’intensa produzione letteraria. È proprio nelle opere che questo dualismo si accentua, mettendo in luce quell’anelito alla libertà cui la scrittrice aspirava nella realtà e che prendeva forma nei suoi racconti. Sono significativi alcuni suoi versi giovanili che il fratello Thomas recitò nel suo discorso funebre per commemorarla, nel 1962: “Canta il mio cuore nella mia prigione solo di ali, solo di ali, e non esiste al mondo altra canzone bella come la sua a orecchi mortali. Anche un uccello nato in gabbia sogna Di librarsi lassù libero nel cielo Isak Dinesen, Winter’s Tales, Random House, Inc. 1942, tr. it. Adriana Motti, Racconti d’inverno, Milano, Adelphi, 1980, p. 267. 1 Il gelo del Nord e il sole del Sud 19 E il mio cuore canta nella sua prigione Solo di ali, solo di ali”2. Le ali erano il mezzo per spiccare il volo verso la libertà, lontana dalla casa materna, prigione della sua giovinezza. Ali che dapprima le consentirono di spiccare il volo verso Copenaghen per frequentare, tra il 1903 e il 1906, l’Accademia di Belle Arti; poi la fecero migrare verso un nuovo paese, quella terra che sarebbe diventata un viaggio ideale, un paradiso adeguato alla sua persona. Tuttavia, la “prigione” del “cuore” l’avrebbe nuovamente attratta a sé, in un definitivo viaggio di ritorno verso il vero nido, in Danimarca. 1.2. Dualismo e Unità Da dove traeva origine questo dualismo? Karen Blixen nutriva nei confronti della madre un amore sincero e profondo. Ma, allo stesso tempo, in cuor suo sentiva il forte bisogno di emanciparsi da lei e dal resto della famiglia materna, i Westenholz. Così facendo, innalzò la figura del padre a simbolo della lotta per la libertà e l’indipendenza. Il padre, perso prematuramente3, incarnò ideali quali il coraggio, la scoperta dell’altro, l’avventura elevata ai livelli più alti. Ideali in assoluta contrapposizione con quelli dei Westenholz, governati da rigidi principi morali e da una rigorosa religiosità. In una lettera Karen scrisse alla madre: Citata in Ole Wivel, Karen Blixen. Et uafsluttet selvopgor, Lindhardt og Ringhof, Copenaghen, 1987, tr. it. di Francesco Gallavresi, Karen Blixen. Un conflitto irrisolto, Milano, Iperborea, 2002, p. 17. 3 Wilhelm Dinesen si impiccò nel marzo del 1895 in una pensione di Copenaghen. Il motivo di questo gesto estremo sarebbe da ricercare in una sconfitta politica, accompagnata da una lunga depressione. Inoltre, temeva la completa invalidità, sia fisica sia psichica, derivante dalla sifilide, contratta molti anni prima e mai curata. 2 20 Il gelo del Nord e il sole del Sud “Credo che per me la più grande disgrazia sia stata la morte di papà”4 . L’eterna lotta tra ideali paterni e materni, nonché il confronto tra universo maschile e femminile, erano sempre presenti nei suoi racconti, poiché ognuno di essi nasceva dalle esperienze personali e da un’esistenza governata da regole. Ma era proprio il dualismo a diventare unità nell’estro della scrittrice, ciascun aspetto si completava nel proprio opposto. Tutta la sua opera letteraria sembra ruotare attorno all’eterna domanda che ognuno si pone; e a cui un personaggio di uno dei suoi racconti, “The Cardinal’s First Tale”, dà voce: “Perché in tutto il nostro universo la storia soltanto ha l’autorità di rispondere a quel grido del cuore dei suoi personaggi, quell’unico grido del cuore di ciascuno di loro: ‘chi sono io?’”5. È nella sua narrativa che questo conflitto cerca di risolversi. Nella realtà rimase irrisolto. Come scrive Ole Wivel, “associò sempre il suo sogno d’avventura al padre morto, mentre tentava di liberarsi dal mondo disciplinato della famiglia materna. Ma trovò se stessa solo nella sua creazione artistica, in cui l’avventuroso e il disciplinato finalmente coincidevano e si fondevano. […] Ma al tempo stesso lasciò intravedere, attraverso tutta la sua opera, la grande contraddizione della sua vita”6. A questo proposito, nel racconto “Second Meeting”, contenuto in Carnival, Karen Blixen fa dire a un personaggio: Karen Blixen, Breve fra Africa 1914-1924, 1925-1931, Rungstedlundfonden, 1978, tr. it. di Bruno Berni, Lettere dall’Africa 1914-1931, Milano, Adelphi. Lettera a Ingeborg Dinesen, Ngong, [autunno 1921], p. 134. 5 Isak Dinesen, Last Tales, The Curtis Publishing Company, 1955, tr. it. di Adriana Motti, Ultimi Racconti, Milano, Adelphi, 1982, p. 38. 6 O. Wivel, cit., p. 20. 4 Il gelo del Nord e il sole del Sud 21 “Certo, riuscire a trasformare le vicende della propria vita in racconti è una grande gioia, forse l’unica felicità assoluta che un essere umano possa trovare su questa terra”7. Ogni suo racconto diventò, così, un disegno nelle mani dell’artista, una rappresentazione sotto la guida del regista. In modo più profondo, un gioco nelle mani di Dio, e gli uomini rappresentano le pedine, la cui creazione proprio da Dio dipende. Ancora Ole Wivel scrive: “[…] Karen Blixen si creò una sua personale fantasia estetico - religiosa: una visione della vita come teatro, con Dio onnipotente come commediografo e gli uomini che rappresentano i ruoli che il destino ha loro assegnato”8. Questa concezione della vita, che rimanda al concetto shakespeariano “all the world’s a stage, / and all the men and women merely players”9. come retroscena possiede i suoi trascorsi in Africa, terminati in un fallimento, dal punto di vista materiale e pratico ma, soprattutto, nella sua disfatta come donna. Ogni lettore può decidere se identificare o meno Blixen con i suoi racconti. Ma, esaminandoli nel loro insieme e identificandone gli ideali e i pensieri resi vivi dai personaggi, si può notare come ella fosse nei Isak Dinesen, Carnival, raccolta di racconti pubblicata postuma nel 1977, tr. it. di Eva Kampmann, Carnevale, Milano, Adelphi, 1990, p. 381. 8 O. Wivel, cit., p. 24. 9 “Il mondo è tutto / un palcoscenico, e uomini e donne, tutti, sono attori” (W. Shakespeare, As you like it, atto II, scena VII, trad. di A. Calenda e A. Mediani). Karen Blixen, in un discorso del 28 gennaio del 1959, pronunciato al National Institute of Arts and Letters di New York, espresse questo concetto, a proposito dei motti della sua vita: “[…] quelli che ho considerato di mia proprietà e che certo hanno finito per possedermi, mi sembra di ricalcare le orme di Jacques” (in Samlede essays, Rungstedlundfonden, 1965, tr. it. di Bruno Berni, Dagherrotipi, 1995, Adelphi, Milano, p. 313). 7