università degli studi di macerata dipartimento di diritto

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università degli studi di macerata dipartimento di diritto
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA
DIPARTIMENTO DI DIRITTO PRIVATO E DEL
LAVORO ITALIANO E COMPARATO
CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN
DIRITTO PRIVATO COMPARATO E DIRITTO PRIVATO DELL’UNIONE EUROPEA
CICLO XXV
TITOLO DELLA TESI
I RIMEDI IN CASO DI VIOLAZIONE DEI DIRITTI FONDAMENTALI
TUTOR
Chiar.mo Prof. GUIDO ALPA
DOTTORANDO
Dott.ssa STEFANIA GENTILE
COORDINATORE
Chiar.mo Prof. ERMANNO CALZOLAIO
ANNO 2013
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA
DIPARTIMENTO DI DIRITTO PRIVATO E DEL
LAVORO ITALIANO E COMPARATO
CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN
DIRITTO PRIVATO COMPARATO E DIRITTO PRIVATO DELL’UNIONE EUROPEA
CICLO XXV
TITOLO DELLA TESI
I RIMEDI IN CASO DI VIOLAZIONE DEI DIRITTI FONDAMENTALI
TUTOR
Chiar.mo Prof. GUIDO ALPA
DOTTORANDO
Dott.ssa STEFANIA GENTILE
COORDINATORE
Chiar.mo Prof. ERMANNO CALZOLAIO
ANNO 2013
“I rimedi in caso di violazione dei diritti fondamentali”
“I diritti umani non vengono concessi o rifiutati, ma garantiti o derisi”.
Jurgen Habermas
INDICE
PREMESSA ............................................................................................. 1
INTRODUZIONE .................................................................................. 4
CAPITOLO I
L’ESSENZA DEI DIRITTI FONDAMENTALI E IL
POLIMORFISMO NEL SISTEMA DELLE FONTI
§1 INTRODUZIONE ........................................................................... 12
§2 PREMESSA TERMINOLOGICA, ORIGINE E RATIO DEI
DIRITTI FONDAMENTALI DELLA PERSONA ............................ 15
§3 LA PROTEZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL’UOMO
................................................................................................................. 28
§3.1 IL FENOMENO DELLA “REGIONALIZZAZIONE” ...... 35
§3.2 LA CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI
DELL’UNIONE EUROPEA .......................................................... 42
§4 LA NUOVA ERA DELLA DIGNITÀ DELLA PERSONA ........ 60
§5 I LIMITI DELL’UNIVERSALITÀ DEI DIRITTI
FONDAMENTALI E LA NUOVA NOZIONE DI
CITTADINANZA ................................................................................ 73
CAPITOLO II
LA TUTELA DEI DIRITTI FONDAMENTALI E LA MULTILEVEL
PROTECTION NELL’ESERCIZIO DELLA FUNZIONE
GIURISDIZIONALE
§1 INTRODUZIONE ........................................................................... 81
§2 IL RUOLO DELLA CORTE DI LUSSEMBURGO ...................... 86
§3 LA CORTE EDU E IL METODO COMPARATIVO .................. 95
§4 IL DIALOGO TRA LE CORTI ..................................................... 107
§4.1 IL GIUDICE NAZIONALE E LE CORTI
SOVRANAZIONALI ................................................................... 117
§5 L’INTERPRETAZIONE CONFORME DEL DIRITTO
ITALIANO RISPETTO ALLA CEDU ............................................. 131
CAPITOLO III
I RIMEDI IN CASO DI VIOLAZIONE DEI DIRITTI
FONDAMENTALI
§1 INTRODUZIONE ......................................................................... 142
§2 LA DISSOLUZIONE TRA LA SFERA PUBBLICA E LA SFERA
PRIVATA NELL’OTTICA DEI DIRITTI FONDAMENTALI ...... 146
§3 DRITTWIRKUNG .......................................................................... 149
§3.1 L’APPLICABILITÀ ORIZZONTALE DELLA CEDU ..... 155
§3.2 IL MODELLO INGLESE DI DRITTWIRKUNG ............... 161
§3.2.1 DISAMINA DEI CASI INGLESI SULLA LIBERTÀ DI
ESPRESSIONE E SUL DIRITTO ALLA PRIVACY ................ 169
§3.3 L’APPLICABILITÀ ORIZZONTALE DELLA CARTA DEI
DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA...... 175
§4 I DIRITTI FONDAMENTALI COME PRINCIPI APPLICABILI
NELL’AMBITO DELLA DISCIPLINA PRIVATISTICA .............. 182
§5 I DIRITTI FONDAMENTALI NELL’OTTICA DEL RIMEDIO
............................................................................................................... 187
§5.1 LA TUTELA DEI DIRITTI FONDAMENTALI
ATTRAVERSO LE CLAUSOLE GENERALI ........................... 190
§5.1.1 IL CASO DELLA MATERNITÀ SURROGATA ......... 197
§5.2 LA VIOLAZIONE AL DIVIETO DI NON
DISCRIMINAZIONE: RIMEDI .................................................. 202
§5.3 IL DANNO NON PATRIMONIALE E I DIRITTI
FONDAMENTALI ....................................................................... 209
CAPITOLO IV
AUTONOMIA PRIVATA E DIRITTI FONDAMENTALI DELLA
PERSONA
§1 INTRODUZIONE ......................................................................... 216
§2 I LIMITI DELL’AUTONOMIA PRIVATA ALLA LUCE DELLA
TUTELA DELLA PERSONA............................................................ 218
§3 I DIRITTI FONDAMENTALI NELL’OTTICA DEL DIRITTO
PRIVATO EUROPEO ........................................................................ 224
§4 LE PROSPETTIVE DEL FUTURO DIRITTO CONTRATTUALE
EUROPEO, CONFERENZA UNIVERSITÀ DI OSLO DICEMBRE
2012: IS EUROPE BUILDING ITS OWN PRIVATE LAW ? ....... 235
§5 LE PROSPETTIVE DEL FUTURO DIRITTO CONTRATTUALE
EUROPEO, CONFERENZA UNIVERSITÀ DI OSLO DICEMBRE
2012: PLURALISMO COSTITUZIONALE O
COSTITUZIONALIZZAZIONE DEL DIRITTO PRIVATO? ....... 238
BIBLIOGRAFIA .................................................................................. 242
PREMESSA
Il tema dei diritti umani presenta tre aspetti primari e connessi tra
loro: il primo è l’aspetto delle grandi ideologie e delle grandi teorie che ne
sono alla base, il secondo è quello giuridico, che consiste nell’insieme delle
fonti nazionali ed internazionali e nella giurisprudenza che a diverso livello
collabora al fine di garantire la migliore protezione possibile ai diritti in
parola.
Un terzo ed ultimo aspetto, che più di tutti spiega l’emergere dei
progressi e le fasi di arretramento dei diritti umani, è quello delle violazioni:
essi, che aspirano ad una proclamazione e protezione a livello universale,
sono attualmente la ragione di violentissimi conflitti sociali, etnici, religiosi e
di qualunque altra natura.
La loro peculiarità più diffusa è la non effettualità: così come si è
espresso il noto scrittore americano Adam Haslett “essi sono ideali che nel
concreto non vengono fatti rispettare e per continuare a credere in loro occorre
assumere lo stesso afflato del religioso, ossia è necessaria una solida fede”.
Trattandosi del più nobile prodotto del pensiero giusfilosofico
occidentale moderno, adatto a muoversi su una sfera universale che pone a
confronto le migliori intellettualità oggi esistenti, diventa doveroso
diffondere a tutti i livelli la sua cultura, che consta di molteplici aspetti
storici, filosofici, politici e soprattutto giuridici, al fine di sviluppare una
nuova sensibilità in materia.
Dal punto di vista tecnico-giuridico la struttura della ricerca mira ad
analizzare dapprima il connotato strutturale delle norme di tutela dei diritti
fondamentali, che è di sovraordinazione gerarchica ad ogni altra norma o
disposizione.
1
Da tale primato formale per la collocazione apicale nel sistema della
gerarchia delle fonti, ne discende un altro, quello assiologico, per la ragione
che il “bene-persona” si trova, a sua volta, al vertice dei valori essenziali
dell’ordinamento giuridico nel suo complesso.
Dal primato formale discendono due funzioni dei diritti fondamentali:
la prima di limite nei confronti del Legislatore, la seconda di interpretazione
nei confronti del Giudice che è tenuto, con operazione ermeneutica, a
privilegiare tra le più interpretazioni possibili, quella più conforme al
contenuto della Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti
dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (interpretazione adeguatrice).
Nel polimorfismo delle fonti dei diritti dell’uomo, che non agevola la
semplificazione e l’applicazione del diritto medesimo, la CEDU, attraverso la
previsione di una serie di obblighi giuridici positivi per gli stati e soprattutto
per effetto di un sistema di giustizia sopranazionale, ha gettato le basi di un
vero e proprio sistema costituzionale europeo e di un diritto comune dei
diritti fondamentali.
Dal primato assiologico delle norme in parola, può derivare poi una
ulteriore funzione, ossia di diretta applicabilità da parte dei giudici nei
rapporti intersoggettivi della loro disciplina, anche in mancanza di una
mediazione attuativa o specificativa a livello di normazione.
L’essenzialità del valore tutelato non può infatti permettere che esso
rimanga in uno stato di sospensione e di attesa dell’intervento del
Legislatore.
Nonostante l’apparente tecnicismo della questione, lo strumento dei
diritti dell’uomo può non solo favorire un’opera di moralizzazione, da parte
2
del Giurista, del diritto positivo, ma anche essere usato e maneggiato “nel
contesto di giochi intrepretativi”1.
Nell’ambito dell’interpretazione dottrinale, lo studio dei diritti
fondamentali può difatti figurare sia nell’area di un’attività sistematica che
mira a ricostruire, in maniera organica ed ordinata, un settore così vasto
dell’ordinamento nazionale e sovranazionale, sia nell’ambito di un’attività
esegetica dedita all’interpretazione.
In generale lo studio della materia implica la soluzione di diversi
problemi: la definizione dei diritti fondamentali, la sua fenomenologia, il suo
metodo.
Tale ricognizione teoretica si propone di conseguire diverse finalità,
preliminarmente di tipo ricostruttivo, e sostanzialmente di tipo logicointerpretativo, prendendo spunto dall’esperienza italiana ed estendendo le
osservazioni ad altre esperienze giuridiche, caratterizzate dalla condivisione
di alcuni tratti distintivi.
È sulla base di tali previsioni che si è sviluppato l’intero lavoro di
ricerca.
Con l’espressione si usa la nota immagine di L. WITTGENSTEIN, Ricerche filosofiche (1953),
Torino, Einaudi, 1967.
1
3
INTRODUZIONE
Il riconoscimento giuridico internazionale dei diritti umani, iniziato
con la Carta delle Nazioni Unite e la Dichiarazione Universale dei Diritti
dell’Uomo, ha rappresentato la più grande conquista di civiltà del secolo XX,
disseminato da sanguinosi conflitti e teatro di due guerre mondiali.
La rivoluzione “umanocentrica” a livello internazionale è avvenuta
negli ultimi sessant’anni attraverso lo studio della disciplina dei diritti
fondamentali che ha posto a suo fondamento il principio del rispetto della
dignità dell’uomo e dei suoi diritti eguali ed inalienabili.
Oggi il rispetto e la protezione dei diritti fondamentali svolge un ruolo
primario nell’auspicato sviluppo di una società inclusiva, ossia dotata di
meccanismi idonei a consentire una partecipazione attiva alla vita politica,
economica e sociale del Paese, consentendo così il superamento delle
differenze di razza, genere, classe, ed assicurando pari opportunità.
Occorre, pertanto, abbandonare la prospettiva individualista ed
egoista e sostituirla con una prospettiva marcatamente altruistica.
Le attuali preoccupazioni per le violazioni dei diritti fondamentali
sono, difatti, particolarmente sentite a causa di pensieri politici tesi a far
prevalere l’individualismo e l’egoismo sulla solidarietà e ad allontanare la
retorica dei diritti umani dalla sua effettiva applicazione.
È alla luce dei nuovi intenti europei, volti a creare un meccanismo che
garantisca una giustizia sociale, che si è riusciti a superare l’impostazione
meramente funzionalista che caratterizzava il primo Trattato, ove i diritti in
questione esistevano solo se e in quanto parte di esso, finalizzati
esclusivamente alla crescita del Mercato.
4
Il Trattato di Lisbona, che ha attribuito valore giuridico alla Carta dei
Diritti Fondamentali dell’Unione europea, con il riconoscimento dei diritti,
delle libertà e dei principi, anche di quelli contemplati nella CEDU, ha offerto
una nuova visione della persona all’interno del sistema europeo.
In
tal
essenzialmente
modo
l’Europa
economica
e,
ha
abbandonato
aprendosi
alla
la
sua
protezione
dimensione
dei
valori
fondamentali della convivenza civile, ha mutato quell’idea risalente di
cittadinanza.
Viene così inaugurata una nuova prospettiva della persona attraverso
l’esplicitazione della nozione di cittadinanza che, se sul piano politico-ideale
assume la connotazione di “europea”, su quello politico-sociale evoca
un’idea di cittadinanza per così dire “differenziata”, cioè non più
unitariamente intesa nel senso di appartenenza ad un’unica e sola comunità
statuale, ma alla possibilità, appunto, di una pluralità di appartenenze in
rapporto di coesistenza tra loro.
In altri termini ciò che attualmente si avverte è un radicale
cambiamento della identità europea, tutta tesa a combattere le violazioni dei
diritti primari, al fine di garantire i valori universali ed indivisibili della
dignità umana, della libertà, dell’eguaglianza e della non discriminazione,
nonché i principi di democrazia e dello Stato di diritto, la protezione sociale,
la parità tra uomini e donne, la solidarietà tra generazioni e la tutela dei
diritti del minore.
Ebbene la Carta dei diritti fondamentali, connotata da un forte
significato simbolico che delinea un modello di sviluppo ove al centro è
collocata la persona, costituisce un chiaro esempio di questo nuovo modo di
pensare.
5
Come è stato autorevolmente affermato “l’invenzione del soggetto di
diritto, rimane uno dei più grandi esiti della modernità”2, e l’attenzione nazionale
e sovranazionale ai problemi inerenti la tutela dei diritti fondamentali
costituisce
l’indicatore
di
un’evoluzione
segnata
dalla
progressiva
sensibilizzazione del diritto nei confronti della persona.
La dimensione dei diritti fondamentali è debolissima perchè
continuamente minacciata da compressioni e restaurazioni che riducono gli
strumenti di tutela volti a garantirne lo sviluppo, ed è per questa ragione che
in un ambito così delicato il problema di fondo è quello di proteggerli, non
tanto di giustificarli, perché essi sono già di per sé fondativi dell’essere
persona.
Pertanto la tematica non può non suscitare un interesse crescente da
parte degli studiosi e in particolare dei giuristi tesi ad indagare prima sui
criteri dogmatici di individuazione dei diritti da proteggere, e poi sulle
tecniche di tutela da utilizzare, alla luce delle novità e dello sviluppo del
sistema delle fonti in questa materia.
Sia il problema della complessità di una loro definizione ed
individuazione “universale”, sia quello delle tecniche di tutela volte alla loro
garanzia ed effettività, rappresentano un concreto ostacolo alla realizzazione
dei diritti fondamentali: sicuramente l’enunciazione in forma scritta di questi
diritti è stato un segno di enorme rilievo dal punto di vista evolutivo.
Il punto di osservazione volto allo studio e alla conoscenza della
materia non può che essere globale, perché interessa la condizione dell’essere
uomo in quanto tale, nell’ottica di far discendere dal rispetto del corpus unico
dei diritti in parola, ogni altra considerazione intorno allo stato di salute delle
istituzioni, dell’economia e del benessere sociale.
2
S. RODOTÀ, Dal soggetto alla persona, Napoli, Editoriale Scientifica, 2007, 10.
6
La cultura dei diritti umani è caratterizzata da una visione soggettiva
perchè fa capo al referente individuale, la persona, e da quel sistema di
norme che la protegge e la sostiene.
In questo senso una scelta decisiva è considerare i diritti nella loro
unicità, un corpus indivisibile come indivisibile e unica è la persona.
È la nostra stessa condizione umana e, quindi, universale, a
rappresentare non solo la possibilità di abbracciare con uno sguardo
d’insieme la società, per coglierne le rispettive particolarità dovute a diverse
leggi ed istituzioni, ma anche l’opportunità di guardare, oltre questa
relatività di visione, verso la globalità dell’esperienza sociale, culturale e di
ordine normativo che vi si esprime3.
Gli argomenti oggetto di approfondimento riguardano, nell’ottica
comparatista, quale modo di studio del diritto e allo stesso tempo modo di
concepirlo, i profili inerenti la tutela dei diritti fondamentali, sia alla luce del
rapporto tra i giudici comuni e le corti sovranazionali, sia alla luce di un
nuovo modo di concepire il diritto privato.
Uno dei fattori di espansione dei diritti della persona è, difatti,
ascrivibile alla c.d. “multilevel protection”, ovvero alla tutela attuata su più
livelli: quello nazionale, quello europeo e, infine, quello internazionale.
La condizione attuale del diritto è connotata dal c.d. “pluralismo
giuridico”, da riferirsi non già ai sistemi giuridici in quanto tali, bensì ai
contesti e ai contenuti sociali ove operano i sistemi medesimi e dove la
Costituzione, intesa quale “programma di vita comune e di valori condivisi
dello Stato-nazione”, si rivela da sola “insufficiente” a gestire una tutela
piena dei diritti dell’uomo.
L. MOCCIA, Comparazione giuridica, diritto e Giurista europeo: un punto di vista globale, in Riv.
trim. di dir. e proc. civ., 2011, 767.
3
7
Di poi al loro più ampio riconoscimento e alla loro necessaria
riconsiderazione, ha fatto seguito la necessità di ampliarne le aree di tutela,
realizzando una protezione “unitaria” che operi, non solo nei confronti dei
pubblici poteri, ma anche nei rapporti interprivati, e che si fondi
direttamente sui principi costituzionali, sulle fonti comunitarie e sulle
dichiarazioni internazionali.
È proprio attraverso la problematica questione inerente l’applicazione
orizzontale della disciplina sui diritti fondamentali che il diritto privato ed il
diritto pubblico si pongono in un rapporto di sovrapposizione piuttosto che
di contrapposizione, in quanto entrambi hanno quale obiettivo quello di
proteggere la persona.
L’attuale costituzionalismo crea un nuovo spunto in merito alla
discussione su come debba intendersi, oggi, il diritto: un’esperienza di ordine
normativo, insieme universale e relativo, per la varietà di forme assunte nello
spazio come nel tempo, non più identificabile con un attributo che ne
definisca l'appartenenza a questo o quel popolo soltanto, territorio o regime
politico che sia.
Ed invero i diritti fondamentali non trovano appartenenza nella
nazionalità o nella cittadinanza, ma nell’uomo in quanto e perché tale.
Il nucleo del problema è rivolto, perciò, non più e solamente ad
applicare una regola già formata, ma a formarne una che si adatti ai nuovi
esiti e alle nuove esigenze della modernità, tutte tese a valorizzare il ruolo
centrale dell’individuo.
La stessa idea di contratto che emerge dal sistema normativo europeo
sembrerebbe aver sostituito al tradizionale conflitto tra interesse pubblico e
interesse privato la collaborazione dell'autonomia privata al soddisfacimento
dell'interesse pubblico e, più nello specifico, al perseguimento degli obiettivi
8
di politica legislativa prefissati dal Legislatore, che si aprono sempre di più
alle istanze della persona e dell'economia sociale.
Le regole del diritto contrattuale non si possono sottrarre alla
interpretazione di valore, né possono esprimere solo scelte di carattere
tecnico, asseritamente “neutrali”, né una concezione individualistica e quindi
egoistica dei rapporti tra privati.
Tale concezione, dettata dalle regole di Mercato, ed appropriata
nell’Ottocento, è stata posta in discussione nel Novecento e non appare più
in sintonia ai “codici” del nuovo Millenio.
È stata la giurisprudenza costituzionale, italiana e tedesca in
particolare, a dar prova della necessità di considerare i valori della persona
nell’ambito dei rapporti tra privati.
Lo studio sull’applicabilità orizzontale della disciplina inerente i diritti
fondamentali è divenuto, poi, oggetto di approfondimenti all’attenzione dei
giuristi in generale, della Corte europea di Strasburgo, della Corte di
Giustizia dell’Unione europea e delle corti statuali di legittimità, nei
medesimi termini e con le stesse modalità dello studio dell’applicabilità dei
principi costituzionali nei rapporti tra privati.
Nell’ambito del diritto del lavoro, dei diritti della personalità, dei
rapporti familiari, del diritto dell’ambiente, del diritto alla salute, si
riscontrano pronunce che, applicando il principio di buona fede, il principio
di equivalenza delle prestazioni, o strumenti come l’ordine pubblico, la
causa, l’abuso del diritto, garantiscono i valori della persona attraverso una
nuova concezione di “giustizia contrattuale”, ispirata ai principi che si
accompagnano alla dignità, ossia quello di solidarietà e di eguaglianza.
Diventa, pertanto, necessario approfondire la questione relativa agli
effetti di questi diritti, che non si esauriscono nella relazione verticale di
protezione della persona contro l’autorità istituzionale, bensì si espandono
9
sino all’efficacia di tipo interprivatistico, oggi decisamente interessante per la
tutela dell’individuo non solo contro i semplici cittadini, ma anche contro le
parti non istituzionali nondimeno capaci di condizionare per la loro forza,
soprattutto economica, la vita dei soggetti.
Nel contesto sopra descritto l’ottica del rimedio è dotata di un ruolo
imponente: la praticabilità in concreto di esso a seguito di violazione di un
diritto fondamentale richiede un’accurata ponderazione giudiziale degli
interessi antagonisti concretamente in gioco, la valutazione attraverso la
tecnica delle clausole generali e delle formule aperte, e, pertanto, una piena
delega al potere giudiziario in ordine alla individuazione dello strumento
maggiormente confacente alla fattispecie concreta.
Alla luce di fenomeni nuovi e complessi, quali quello della
globalizzazione e della integrazione sovranazionale in ambito europeo (in
rapporto al quale confini e distinzioni statali e nazionali sembrano venir
meno insieme con le certezze e le categorie che ne avevano segnato la nascita
ed il consolidamento), occorre avviare una riflessione critica per meglio
comprendere le implicazioni di tali manifestazioni, al di fuori della cornice
nazionale e in una prospettiva cosmopolita.
Ciò è ancor più doveroso nella materia trattata proprio in
considerazione della capacità dei diritti fondamentali di superare le frontiere
adattandosi alle diverse culture; il loro sviluppo, infatti, è destinato
inevitabilmente ad intrecciarsi con altre esperienze ed altre culture i cui
contributi sono anch’essi fondati su aspetti peculiari della civiltà da cui
provengono.
L’idea di sacrificare l’immutabilità della regola contrattuale a favore di
una maggiore garanzia e tutela dei diritti fondamentali ha raggiunto risultati
notevoli in ordinamenti europei diversi da quello italiano, all'interno dei
10
quali il fenomeno di “costituzionalizzazione” del diritto privato ha avuto
modo di imporsi in maniera senz'altro incisiva.
Si assiste così ad un processo che da un lato particolarizza i diritti
umani, disciplinandoli, dall’altro universalizza il diritto attuale al fine di
proteggere la persona.
In vista di una futura e possibile convergenza tra i sistemi giuridici
attraverso l’Europa dei diritti, la dimensione costituzionale dei rapporti tra
privati non può non incidere sul futuro del diritto contrattuale europeo, che
dovrebbe preoccuparsi non soltanto della dimensione individuale della
persona, ma anche della sua dimensione sociale, nella prospettiva che investe
tutti i settori del diritto privato.
L’obiettivo della ricerca mira, pertanto, ad una rilettura complessiva
del diritto che pone la persona al centro della riflessione giuridica ove lo
strumento della comparazione si rivela utile e necessario: “del resto il giurista è
anche un viaggiatore, che viaggia per poi tornare, per poi raccontare, per capire se
stesso e gli altri, la propria cultura e quella altrui in egual modo”4.
4
M. LUPOI, Sistemi giuridici comparati. Traccia di un corso, Napoli, ESI, 2001.
11
CAPITOLO I
L’ESSENZA DEI DIRITTI FONDAMENTALI E IL
POLIMORFISMO NEL SISTEMA DELLE FONTI
§1 INTRODUZIONE
La prima dimensione dell’idea moderna del diritto si concretizza in un
postulato che impone il rispetto della persona umana: il principio in parola
può esser considerato il fondamento della legittimità dell’ordinamento e
l’essenza stessa della democrazia.
La conquista e la garanzia dei diritti deve essere vista come un
processo fondato sul dialogo in seno alle società capace di rispondere alle
nuove sfide del tempo, nell’ottica generale e complessa che non si tratta mai
di un risultato acquisito ma dell’obiettivo di una lotta che non conosce tregua
e che affonda le proprie radici in un lontanissimo passato5.
Per comprendere la vastità di questo complesso e delicato fenomeno si
è ritenuto utile dedicare un primo e preliminare approfondimento agli
strumenti che documentano l’evoluzione dei diritti in parola: sia a livello
storico/filosofico, sia a livello di fonti normative in materia.
Al fine di garantire una maggiore chiarezza in ordine alle tecniche
interpretative, la ricostruzione della disciplina inerente i diritti fondamentali,
richiede di approfondire determinate questioni relative a:
-
la nozione e i problemi legati al linguaggio;
Il primo codice di cui si conservano le tracce risale a più di quattromila anni fa ed è noto
come il Codice di Hammurabi.
5
12
-
l’analisi sistematica delle fonti, attraverso un excursus relativo al
graduale riconoscimento dei diritti in parola;
-
la c.d. “rivoluzione” della dignità, principio fondante e
riassuntivo nella gerarchia dei valori della persona, destinato
ad assumere un significato di enorme rilievo nell’ambito della
protezione
dell’individuo,
soprattutto
attraverso
l’opera
creativa della giurisprudenza;
-
l’annosa questione dei limiti della pretesa universalità del
fenomeno,
anche
in
relazione
alla
nuova
nozione
di
cittadinanza.
All’attuale dimensione multilivello dei diritti umani nelle sue
implicazioni sul piano delle fonti, ne consegue la necessità di adottare una
strategia globale dove in primis la norma risulti depositaria di una esplicita
garanzia: non si tratta solamente di una rivoluzione del diritto, ma di
un’esigenza universale in quanto in gioco vi sono i presupposti dell’essere.
È necessario, pertanto, trovare un coefficiente di unificazione delle
persone, alla stregua dei valori universali, comuni e condivisi che essi
aspirano ad esprimere.
Tuttavia risultano evidenti i limiti alla loro pretesa di universalità ed
ancora più espliciti, sia nella formulazione che nell’applicazione, i coefficienti
di divisione e di sopraffazione dovuti alle diverse matrici culturali ed
ideologiche.
Così se la protezione giuridica è senza dubbio la finalità più ardua da
raggiungere, il requisito indispensabile diventa la creazione di un sistema
normativo elastico ma soprattutto omogeneo in materia di diritti
fondamentali.
13
La loro fortissima espansione, attraverso cui sono venuti ad assumere
una vera e propria presenza “iconografica”6 nel mondo del diritto e della
politica, ha determinato una estensione dei contenuti e delle titolarità che si è
andata articolando in molteplici direzioni ed ha sviluppato una sorta di
grammatica slegata da presupposti di natura politica o culturale dello Stato e
collegata ad un patrimonio giuridico che ha la presunzione di essere
dell’intera umanità: le costituzioni più recenti hanno intrapreso un “dialogo”
costante con i documenti internazionali in materia di protezione dei diritti,
tanto da interpretarli alla luce di tali carte7.
Le tendenze che si sono sviluppate in materia, registrano da una parte
un aumento esponenziale dei diritti ed una moltiplicazione delle istanze che
si rivendicano a livello nazionale ed internazionale, dall’altra una esasperata
specificazione della loro titolarità.
Come dimostra l’analisi delle fonti più recenti, i diritti fondamentali
della modernità contemporanea non sono più rivolti ad un uomo astratto,
ma ad un individuo colto nelle sue dimensioni più settoriali e specializzate8.
Questo cambiamento di prospettiva fa pensare ai diritti come ad un
elemento in parte sconnesso da un’ottica giuridica tradizionale di tipo statico
J. H. H. WEILER, Diritti umani, costituzionalismo e integrazione: iconografia e feticismo, M.
COMBA (a cura di), Diritti e confini. Dalle Costituzioni nazionali alla Carta di Nizza, XI ss,
Roma, Edizioni di Comunità, 2002.
6
Art. 10.2 Cost. spagnola “Le norme relative ai diritti fondamentali e alle libertà riconosciute dalla
Costituzione si interpretano in conformità alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e ai
Trattati e accordi internazionali sulle stesse materie ratificati dalla Spagna”, oppure Art. 39 Cost.
sudafricana “When interpreting the Bill of Rights, a court, tribunal or forum: a) must promote the
values that underlie an open and democratic society based on human dignity, equality and freedom; b)
must consider internationl law; and c) may consider foreign law”.
7
8
P. RIDOLA, Diritti di libertà e Mercato nella “Costituzione europea”, in Quad. cost., 2000, 27 ss.
14
e normativo, a favore invece di un maggior dinamismo giuridico improntato
alla promozione9.
§2 PREMESSA TERMINOLOGICA, ORIGINE E RATIO DEI DIRITTI
FONDAMENTALI DELLA PERSONA
Alla luce della funzione dei diritti fondamentali di regolamentazione
della legittimità degli ordinamenti giuridici, e della convinzione che tali
diritti rappresentino una garanzia per la dignità dell’uomo e il nucleo
principale per la libertà e l’uguaglianza, per una comprensione degli stessi è
necessario un preliminare sforzo teorico a livello di linguaggio.
È indubbio che il fenomeno anche sotto il profilo linguistico tende ad
una visione soggettiva, al referente individuale e al titolare dei diritti stessi.
Il vocabolario dei diritti in parola è, senz’altro, dotato di una indubbia
carica evocativa e simbolica in quanto essi rappresentano il portato di lotte
secolari e di conquiste fondamentali della civiltà occidentale.
La consuetudine linguistica da cui si ricavano le definizioni che
riflettono l’uso che i membri di una società storicamente concreta fanno di un
termine, esprime in modi differenti il concetto dei diritti umani: essi sono
stati indicati come diritti naturali, diritti pubblici soggettivi, libertà
pubbliche, diritti morali, diritti fondamentali, diritti individuali, diritti del
cittadino.
In nessuna di tali definizioni si può parlare di una pura scelta
linguistica, in quanto esse sono strettamente legate alle connessioni culturali
N. BOBBIO, Dalla struttura alla funzione. Nuovi studi di teoria del diritto, Milano, Edizioni di
Comunità, 1977.
9
15
e ai significati derivati da un determinato contesto storico e da specifiche
ideologie.
In generale, il fenomeno esprime due dimensioni imprescindibili
insieme ai fattori economici, sociali e culturali: la dimensione morale e la
dimensione giuridica del diritto positivo10.
Si tratta di una rappresentazione antitetica che rimanda allo scontro
permanente nella storia del pensiero giuridico tra il punto di vista
giusnaturalistico e quello positivistico11.
Pertanto dietro ciascuna connotazione conferita all’espressione “diritti
umani”, vi sono tradizioni culturali non solo diverse, ma addirittura in alcuni
casi incompatibili12.
L’uso dell’espressione diritti naturali, pur dotato di notevole
importanza storica, ha perso oggi di significato: l’espressione si identifica con
il pensiero giuridico giusnaturalista, ed è stata adottata da quelle ideologie
che contrapponevano i diritti naturali al potere dello Stato e al suo stesso
diritto positivo13.
L’espressione diritti pubblici soggettivi trova invece le sue origini nella
scuola tedesca di diritto pubblico del sec. XIX, come specificazione del
Così G. PECES-BARBA, Teoria dei diritti fondamentali, Giuristi stranieri di oggi, Milano,
Giuffrè, 1993, 9 ss.
10
Su questo tema si veda N. BOBBIO, Giusnaturalismo e positivismo giuridico, Milano, Edizioni
di Comunità, 1965 e G. ALPA, Status e capacità, La costruzione giuridica delle differenze
individuali, Bari-Roma, Laterza, 1993, 173: “Nella dialettica tra giusnaturalismo e statalismo,
giuspositivismo e riconoscimento di prerogative preesistenti allo stato, si avverte e si può leggere
anche la lotta tra criteri di identificazione rimessi alla volontà del Legislatore e criteri di
identificazione intesi come connaturali alla persona. La letteratura è immensa. Ma oggi si possono
evidenziare tre diverse posizioni che assurgono a vessillo dei tre diversi modi di affrontare il problema
dei diritti dell’individuo: la tesi giuspositivista, rappresentata da Norberto Bobbio; la tesi
giusnaturalista, in senso laico, rappresentata da Leo Strauss; e la tesi universalista, rappresentata da
Norbert Elias”.
11
12
G. CARRIO’, Notas sobre derecho y lenguaje, Buenos Aires, Abeledo-Perrot, 1973, 26.
13
Così G. PECES-BARBA, op. cit.,12 ss.
16
concetto più generico di diritto soggettivo14, propria dell’individualismo del
pensiero positivista.
Una tappa significativa nello svolgimento della protezione della
qualità della persona è costituita dalla c.d. teoria dei diritti pubblici
soggettivi, che ha avuto notevole successo nella prima metà del Novecento in
correlazione con le concezioni dello Stato-Persona di carattere autoritario: tali
E. RUSSO, (Classificazione dei), Diritti soggettivi, in Enc. giur. Treccani Agg., XIV, Roma,
2006: “L’essenza del diritto soggettivo e la sua funzione, stanno nel definire sotto il profilo giuridico
due fondamentali esigenze dell’uomo nella società: l’avere e il trasferire la sua ricchezza, i beni della
vita. Esula dalla configurazione originaria del diritto soggettivo, la tutela dell’essere, e cioè della
protezione della persona in quanto tale, nelle sue qualità rilevanti in una società data. Il diritto
soggettivo si muove in una dimensione attinente alle relazioni intersoggettive patrimoniali, e non
proiettata verso i rapporti con il potere pubblico. La costruzione concettuale del diritto soggettivo
costituisce anche una tappa essenziale nella direzione di fornire protezione giuridica alla persona in
quanto tale. L’individualizzazione della tutela giuridica, asseverata dal diritto soggettivo, costituisce
innanzitutto protezione e riconoscimento della persona. Ma il profilo prescelto è di carattere
patrimonialistico. Tutelando il patrimonio indirettamente si realizzava la tutela dell’essere della
persona, la quale veniva protetta in quanto proprietaria, o in quanto contraente. Con l’evoluzione
della società il profilo patrimonialistico prescelto per attuare la tutela dell’essere della persona si è
rilevato sempre più insufficiente. La piena dignità della persona umana non poteva essere realizzata
tutelando la posizione del proprietario e del contraente, occorrendo apprestare tutela normativa a
determinate qualità della persona, che non attengono al suo patrimonio, ma esplicitamente e
direttamente all’essere dell’uomo nella società. Varie sono state le teorie che hanno cercato di
giustificare la configurazione dei diritti della personalità come diritti soggettivi. E’ stato affermato
una sorta di sdoppiamento della persona considerandola sia come un soggetto, sia come oggetto della
pretesa del rapporto, configurando la proprietà sulla propria persona. Con maggiore finezza si è
cercato di attribuire un oggetto ai diritti della personalità, dilatando il concetto di bene, di cui all’art.
810 c.c., e individuando analiticamente le singole componenti, in senso fisico o ideale della persona,
corrispondenti al singolo diritto della personalità. Tali posizioni dottrinali hanno finito però di essere
poco soddisfacenti: dire che le qualità tutelate della persona costituiscono un bene, non significa
spiegare come mai codesto bene è collegato alla persona in modo imprescrittibile, non è trasferibile ad
altri, è indisponibile, non ha il carattere patrimoniale. Le difficoltà concettuali nel considerare diritti
soggettivi i diritti della personalità si sono rilevate pressocché insormontabili, risultando inadeguata
la costruzione di una sottocategoria costituita appunto dai diritti soggettivi della personalità. La
mancanza di patrimonialità, e quindi la intrasferibilità, portano la categoria dei c.d. diritti della
personalità al di fuori dello schema concettuale del diritto soggettivo. Con l’avvento delle Costituzioni
della metà del Novecento, questa costruzione tradizionale come diritti soggettivi della protezione delle
qualità della persona si è rivelata del tutto insufficiente. I precetti costituzionali hanno dilatato il
concetto di dignità e di libertà di autodeterminazione della persona umana e, ponendo clausole
generali (art. 2 Cost.) il cui contenuto viene progressivamente adattato dalla giurisprudenza alla
evoluzione della società e ai valori emergenti dalla stessa, hanno delineato la generale categoria della
protezione delle qualità della persona, caratterizzata da un certo tipo di giurisdizione, ordinata su
poteri discrezionali del Giudice ed idealmente distinta o contrapposta al concetto e alla giurisdizione di
diritto soggettivo”.
14
17
diritti consistono nella libertà da costrizioni illegali e sono l’espressione del
generale principio di legalità.
Con l’avvento delle costituzioni si è verificato un inesorabile declino
della categoria in esame, e tutti i diritti che un tempo venivano classificati
come diritti pubblici soggettivi sono stati ricompresi nei diritti fondamentali
e nei diritti sociali riconosciuti dalla Carta Costituzionale15.
La difficoltà dell’utilizzo di questa espressione deriva dal fatto che si
tratta di una categoria storica adattata al funzionamento dello Stato liberale
dove alcune condizioni materiali sono state superate con lo sviluppo
economico-sociale della nostra epoca16.
Per quello che riguarda l’espressione libertà pubbliche si tratta di un
termine
coniato
probabilmente
dalla
come
dottrina
reazione
francese
nella
all’ambiguità
cultura
positivistica,
dell’espressione
“diritti
dell’uomo”, propria della tradizione rivoluzionaria del 1789 e di chiara
impronta giusnaturalista: con le connotazioni particolari della cultura
francese l’espressione si avvicina a quella di diritti pubblici soggettivi di
matrice tedesca17.
I c.d. diritti morali, invece, hanno avuto una notevole diffusione
dapprima nella cultura anglosassone, in cui il termine right è più libero ed
autonomo del termine law, e poi nella cultura spagnola: il significato, che
rimanda ai diritti che precedono lo Stato, risulta difficile da distinguere dal
concetto di diritti naturali18.
15
A. BALDASSARRE, (voce) Diritti inviolabili, in Enc. giur. Treccani, XI, Roma, 1989.
A. E. PEREZ-LUNO, Derechos Humanos, Estado de Derecho y Constitucion, capitolo I
“Delimitacion conceptual de los derechos humanos”, Madrid, Tecnos, 1984.
16
17
Così G. PECES-BARBA, op.cit., 16 ss.
18
Così G. PECES-BARBA, op. cit., 18 ss.
18
Un breve cenno merita, poi, l’ulteriore espressione “principi
inviolabili”19, che se pur per molti versi sovrapponibile o assimilabile a quella
di principi fondamentali, sembra focalizzare e restringere l’attenzione su una
caratteristica “negativa” oppositiva, piuttosto che su quella “positiva” e
dotata di “pervasività” che l’idea di fondamentalità, più di quella di
“inviolabilità”, sembra mettere in risalto20.
Alla luce di questa sintetica esemplificazione, l’espressione più precisa
“diritti fondamentali” sembrerebbe in grado di abbracciare le due dimensioni
dei diritti umani, senza incorrere nel c.d. riduzionismo giusnaturalista o in
quello positivista21: la definizione rimanda allo stesso tempo ad una moralità
e ad una giuridicità fondamentale, perché oltre ad indicare la dimensione
etica che considera il diritto come uno strumento per rendere possibile la
dignità umana e il riconoscimento di ogni individuo quale persona morale, fa
riferimento alla dimensione giuridica che accoglie e spiega l’incorporazione
dei diritti nell’ordinamento e nelle componenti giuridiche.
Peraltro in questa direzione ha giocato un ruolo decisivo la scelta
dell’uso dell’espressione “diritti fondamentali” nella Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea.
Inoltre l’espressione in parola possiede il pregio di essere presente nel
lessico di entrambe le famiglie giuridiche dell’Europa, quella di Civil Law e
quella di Common Law.
In materia si veda M. CARTABIA, Principi inviolabili e integrazione europea, Milano, Giuffrè,
1995.
19
V. SCIARABBA, Tra fonti e corti. Diritti e principi fondamentali in Europa: profili costituzionali e
comparati degli sviluppi sovranazionali, Padova, Cedam, 2008, XIII ss.
20
L’espressione pur equivalente a quella di “diritti dell’uomo” appare più neutra rispetto a
questa ed anche più significativa sotto il profilo delle problematiche tecnico-giuridiche, come
quelle legate alle fonti, all’interpretazione, alla fondamentalità ed effettività dei diritti.
21
19
A tal proposito un’ulteriore precisazione riguarda l’uso della formula
diritti/principi fondamentali, ed il significato assunto dal termine “valore” in
questo contesto.
Per quanto riguarda la prima formula (diritti - principi), anche se non
si tratta di una vera e propria coppia concettuale, si ritiene che essa esprima
la figura di un’endiadi piuttosto che rappresentare una contrapposizione.
D’altronde alla stregua delle giurisprudenza europea “la tutela dei
diritti fondamentali costituisce parte integrante dei principi generali di cui la Corte
di giustizia garantisce l’osservanza: la tutela dei diritti costituisce cioè, essa stessa,
un principio generale”22.
Per ciò che attiene alla definizione di “valore”, è il Preambolo della
Carta dei diritti fondamentali a delinearne la portata; si legge, difatti, nel
secondo periodo: “consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, l'Unione si
fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza
e di solidarietà”23.
***
Dal punto di vista storico uno dei primi passaggi del percorso volto
allo sviluppo dei diritti in parola, è stata la stesura della Magna Charta
Libertatum, emanata nel 1215 dal re d’Inghilterra Giovanni Senza Terra24.
A. BARLETTA, La giurisprudenza delle corti (di Lussemburgo e Strasburgo) tra coesistenza e
contrasti, disponibile al sito internet www.diritto.it dal giugno 2002, ove viene citata la
sentenza del Tribunale di Bruxelles del 20 febbraio 2001 che recita testualmente “il diritto
comunitario riconosce il principio fondamentale del rispetto dei diritti della difesa e quello del diritto
ad un processo equo”.
22
23
V. SCIARABBA, op. cit., 101 ss.
La Magna Charta Libertatum sanciva una serie di diritti quali ad esempio il non subire
condanne senza motivo, l’essere giudicati da un Tribunale legittimo e la tutela della
proprietà privata; si trattava di riconoscimenti che non interessavano tutti i sudditi della
corona ma esclusivamente gli aristocratici e il clero.
24
20
Essa è stata interpretata a posteriori come il primo documento
fondamentale per il riconoscimento universale dei diritti dei cittadini,
sebbene vada inscritta nel quadro di una giurisprudenza feudale in cui
durante il XII e XIII secolo la concessione di privilegi (libertates) da parte di
sovrani a comunità o sudditi, ha offerto altri esempi di natura analoga.
La storia dei diritti civili è strettamente legata all’età moderna e alle
grandi rivoluzioni liberali25.
Sempre in Inghilterra, nel 1679, con l’emanazione dell’Habeas corpus
Act, venne compiuto un altro passo determinante nel cammino dei diritti
civili; sulla scia di questo documento, nel 1689, dopo la seconda rivoluzione
inglese, venne approvato il Bill of rights in cui si proclamavano la libertà di
religione, di parola e di stampa26.
“Nella terminologia odierna si possono distinguere diverse accezioni di diritti civili: a) quella
storicamente assistita dalla tradizione millenaria, che nel Seicento viene precisata in contrapposizione
ai diritti politici e indicante i diritti che appartengono alla persona per la cura dei propri interessi
(diritto di proprietà, libertà di testare, libertà di commerciare e così via); b) quella che nel diritto
pubblico odierno si configura come libertà civile, che la Costituzione indica con i rapporti civili (diritti
di libertà personale, cui si possono aggiungere i rapporti etico-sociali, la libertà di associazione, di
culto, di espressione, etc), con i rapporti relativi quindi alla famiglia, alla scuola, alla cultura, alla
salute, etc.; c) finalmente l’accezione più moderna si avvicina ai Bill of Rights dell’esperienza angloamericana e alle libertés dell’esperienza francese. Quest’ultima è l’accezione più atecnica, perché
accomuna significati diversi: diritti soggettivi, interessi diffusi, pretese e opportunità. Al fine di
individuare le nuove esigenze della persona, di affidare ad essa, come titolare dell’interesse, l’iniziativa
per la tutela di quell’interesse, per collegare (almeno sul piano dell’emotività) queste posizioni a quelle
rivendicative delle libertà fondamentali, i diritti civili sono enunciati in “Carte dei diritti”, la cui
promozione è stata assunta da iniziative non individuali, ma di gruppi, associazioni, movimenti pur
immersi in una sorta di arcipelago dagli incerti confini, i diritti civili hanno subito una evoluzione che
la dottrina ha scandito in diverse fasi e precisato in diverse ipotesi: dalla integrale realizzazione di
valori/ diritti proclamati alla richiesta di riconoscimento di valori/ diritti nuovi; dalla restituzione di
diritti “confiscati” all’ampliamento delle possibilità d’azione; dall’affermazione di diritti individuali al
riconoscimento di diritti collettivi; dallo svolgimento di valori consolidati all’emersione di valori
configgenti, dalle richieste ai programmi d’insieme”, così G. ALPA, ult. op. cit., 167-168.
25
Sia l’ Habeus corpus Act sia il Bill of rights riconoscevano diritti civili validi per tutti i sudditi
della corona inglese, senza distinzione di censo e di genere; solo per quanto riguarda
l’accesso alla vita politica rimanevano escluse le donne e le classi sociali meno abbienti. Tra i
diritti stabiliti dall’Habeus corpus Act si menziona ad esempio quello secondo cui nessun
suddito poteva essere privato della sua libertà personale in modo arbitrario, cioè senza
prove concrete sulla sua colpevolezza.
26
21
Nel corso del XVIII secolo si affermarono nel nord America e in
Francia movimenti intellettuali e politici che condussero alle rivoluzioni e
all’approvazione di due importanti documenti per la storia dei diritti umani,
in particolare dei diritti civili e politici: in America la Dichiarazione di
Indipendenza delle colonie americane, e in Francia la Dichiarazione dei
Diritti dell’Uomo e del Cittadino.
In America fu il conflitto di interessi con l’Inghilterra a portare i
rappresentanti delle tredici colonie a sottoscrivere, il 4 luglio del 1776, la
Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti; ad essa si collegava una
dichiarazione dei diritti dell’uomo, nella quale venivano affermati il diritto
alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità.
La Rivoluzione francese del 1789 portò al crollo dell’ancien regime e
dell’assolutismo monarchico di Luigi XVI, gettando le basi per la creazione di
uno Stato nuovo, in radicale contrapposizione con quello che lo aveva
preceduto: trasformandosi il suddito in cittadino, titolare di diritti e di
specifici doveri, si venne ad evidenziare il legame, anche giuridico,
dell’individuo con lo Stato d’appartenenza.
Fu il 26 agosto di quello stesso anno che venne approvata la
Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, le cui basi concettuali
discendevano dalla filosofia illuminista europea: nella Dichiarazione sono
infatti contemplati la separazione dei poteri (legislativo, esecutivo e
giudiziario), i diritti naturali dell’individuo (libertà personale, libertà di
espressione e di culto, libertà di stampa, diritto di proprietà), l’uguaglianza
di fronte alla legge e la definizione della legge come espressione della
volontà generale.
Pertanto le Dichiarazioni statunitensi del 1776-1789 e la Dichiarazione
francese del 1789 costituiscono quei fondamentali testi politici che hanno
22
divulgato a grandi lettere principi decisamente rivoluzionari ed innovatori
per il loro tempo, come il principio di uguaglianza o l’esistenza di diritti
naturali ed inalienabili, inerenti a ogni essere umano in quanto tale27.
Per queste grandi dichiarazioni del passato l’uomo è tale, è cioè degno
di tale nome, solo se è libero, uguale, può godere indisturbato dei suoi beni,
non è oppresso da un governo tirannico e può liberamente realizzarsi, e la
società in cui esso vive e si esprime deve essere composta da liberi individui,
uguali tra loro, tranne che per le “distinzioni sociali fondate sull’utilità
comune” e giustificate dalle diversità di “virtù” e “talenti”, sottomessi solo
alla legge, la quale a sua volta deve essere espressione della “volontà
generale”.
Come proclama icasticamente l’art. 12 della Dichiarazione francese “la
garanzia dei diritti dell’uomo e del cittadino ha bisogno di forza pubblica, questa
forza è dunque istituita per il vantaggio di tutti e non per l’utilità particolare di
coloro ai quali è stata affidata”.
Così le istituzioni politiche devono esistere solo in funzione della
libertà degli individui e del loro bene comune: non appena l’autorità
degenera, opprimendo gli individui, questi hanno il diritto di opporsi.
“Tra i fondamentali diritti della Dichiarazione francese si annoverano quattro posizioni: la libertà,
la formazione della volontà politica, la proprietà, il diritto di resistenza. Questi diritti certamente
sono, e furono intesi, come limitazioni al potere sovrano, come valli al di là dei quali il potere pubblico
non si doveva spingere e, in senso positivo, come l’espressione della sfera di potere individuale. Ma
dietro queste enunciazioni, se leggiamo nella prospettiva degli status e delle condizioni giuridiche
originarie dei singoli, scorgiamo ben di più: scorgiamo la dichiarazione di uguaglianza intesa come
libertà (formale o potenziale che, in allora, potesse essere) di scelta del proprio status[…] in altri
termini, libertà connessa con l’eguaglianza significa travolgimento del sistema rigido degli status e
potenziale apertura della società a tutti. Si ricollega quindi a questa interpretazione, logicamente e
sistematicamente, un altro diritto, che Bobbio non menziona, il diritto alla ricerca della felicità. E che
cosa vuol dire “cercare la felicità” se non avere la possibilità di governare il proprio tempo, il proprio
lavoro, i propri affetti, i propri rapporti sociali? Fare cioè – o meglio – essere legittimato formalmente a
fare tutto ciò che prima della Dichiarazione era riservato a chi possedeva un certo status”, così G.
ALPA, ult. op. cit., 176.
27
23
Dalle dichiarazioni, soprattutto da quella francese dove si proclama
che l’uomo e la società devono essere così come stabilito in essa, emerge il
carattere inflessibile e assoluto: l’unico metro valutativo per giudicare l’uomo
e la società è il rispetto dei diritti dell’uomo che sono considerati il giusto
riscontro per stabilire se una comunità umana è da approvare o da
biasimare28.
Per ciò detto le dichiarazioni in parola, pur essendo rimaste
documenti di importanza ideale e politica, prive di meccanismi di attuazione
e garanzia dei diritti ivi sanciti, hanno costituito un modello per la
Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, aprendo l’era moderna e
rivelando una nuova visione dell’uomo e della società che si andava
sviluppando sin dal Rinascimento.
I diritti umani in esse proclamati e poi recepiti con diverse limitazioni
nelle costituzioni di alcuni stati, avevano rilievo ed erano validi solo sul
piano interno, e non su quello della comunità internazionale29.
Alcune considerevoli eccezioni presero forma a partire dal XIX secolo
quando il diritto internazionale cominciò a dedicarsi agli individui: vennero
stipulate le prime convenzioni che vietavano la tratta degli schiavi, e sul
finire del secolo vennero adottate le prime importanti codificazioni del diritto
dei conflitti armati.
Un notevole passo verso la tutela internazionale degli individui si è
avuto con la stipula del trattato internazionale che doveva porre le basi per la
28
A. CASSESE, I diritti umani oggi, Bari-Roma, Laterza, 2009, 9 ss.
Per secoli è stata infatti questa la visione tradizionale del diritto, secondo cui gli individui,
al di fuori dei confini nazionali, venivano riconosciuti solo in quanto stranieri e potevano
beneficiare materialmente solo di alcune norme che regolamentavano i rapporti interstatali.
29
24
convivenza pacifica tra gli stati della comunità internazionale, il Patto della
Società delle Nazioni30.
Con la stesura della Carta dell’ONU gli stati compirono quel primo
grande passo di un’articolata costruzione giuridica che rappresenta oggi la
rete di garanzia dei diritti umani a livello universale.
Gli Stati Uniti, la potenza cui maggiormente si deve la creazione della
nuova organizzazione, impiegarono un atteggiamento di grande prudenza
quando dalla proclamazione e dal riconoscimento degli ideali umanitari a
livello politico si passò all’adozione di vere e proprie clausole sui diritti
umani da inserire nella futura Carta istitutiva31.
A. CASSESE, ult. op. cit., 9 ss.: “Se da un lato i vincitori della guerra perseguirono una strategia
volta ad elaborare una serie di principi generali sui diritti umani, che servissero come parametri
generali di comportamento sia per le Nazioni Unite che per gli stati membri, dall’altro la loro azione si
dispiegò in un’altra direzione. Il secondo pilastro della politica alleata fu la creazione di tribunali
penali internazionali, Norimberga e Tokyo, affinché essi potessero rispondere all’immediato bisogno di
ottenere giustizia, consentendo la punizione. Questa due impostazioni, sebbene distinte, si
integrarono l’una con l’altra, esprimendo il desiderio di punire coloro che si erano resi colpevoli di
atrocità e, allo stesso tempo, di prevenire il ripetersi di simili azioni nel futuro, stabilendo parametri di
comportamento da rispettare anche in tempo di pace. Dall’esperienza del Tribunale di Norimberga
hanno preso avvio una serie di attività internazionali volte ad assicurare la tutela dei diritti umani
negli stati dove essa risulta compromessa, così superandosi la tradizionale concezione del diritto
internazionale come diritto riservato a disciplinare unicamente i rapporti fra stati, per sottolineare il
peso, anche a livello internazionale, della soggettività degli individui in quanto titolari di diritti
innati. Tali attività internazionali di tutela dei diritti si sono concretizzate finora nell’istituzione di
tribunali ad hoc, cioè specifici per il giudizio di crimini di guerra o contro l’umanità verificatisi in
determinati paesi, ad esempio il Tribunale per i crimini commessi nella ex Jugoslavia, istituito nel
1993 e quello per i crimini commessi in Ruanda, formato nel 1994, o anche la Corte penale
internazionale, con una competenza generale per tutti i crimini più gravi (genocidio, crimini di
guerra, crimini contro l’umanità), indipendentemente dal luogo dove sono stati commessi”.
30
A. CASSESE, ult. op. cit., 9 ss.: “Questa moderazione era chiaramente motivata da considerazioni
di carattere interno, basti considerare che in America nel 1945 sino alla fine degli anni Settanta erano
in vigore non poche leggi razziste: la nuova normativa avrebbe pertanto esposto il governo
statunitense a censure ed accuse internazionali da parte di altri stati se gli impegni sul rispetto dei
diritti umani fossero diventati internazionalmente vincolanti già con l’entrata in vigore della Carta
delle Nazioni Unite. In altri termini gli Stati Uniti volevano che il rispetto dei diritti fosse recepito
dalla Carta in chiave programmatica, come un fine dell’Organizzazione, e allo stesso tempo fecero
pressione per inserire una clausola di tutela della sovranità degli stati contro possibili interferenze da
parte della stessa”.
31
25
La protezione di questi diritti fu concepita come finalità sussidiaria
dell’ONU, cioè come scopo funzionale rispetto a quello principale
dell’organizzazione, ossia il mantenimento della pace e della sicurezza tra gli
uomini.
In generale si registrò un disaccordo sulla nozione unitaria dei diritti
dell’uomo e nonostante la Carta includesse ben sette riferimenti ai diritti
umani, in nessun articolo veniva precisato il loro contenuto.
Di poi lo scontro tra i due diversi blocchi di paesi, quelli dell’area
socialista guidati dall’Unione Sovietica e quelli occidentali guidati
dall’America - ognuno dei quali con una propria concezione dei diritti umani
- diventò palese.
Divenne, pertanto, indispensabile rinvenire un minimo comune
denominatore tanto sul piano della concezione dei rapporti tra Stato e
individuo, tanto su quello del riconoscimento dei diritti umani fondamentali:
il tentativo di unificare le diverse visioni in materia si completò con
l’adozione della Dichiarazione da parte dell’Assemblea Generale delle
Nazioni Unite il 10 dicembre del 1948, che con i suoi trenta articoli mirava a
costituire la base comune per una convivenza libera e pacifica.
Le fonti ideologiche che l’hanno ispirata sono state la matrice
giusnaturalista dell’Occidente, lo statalismo dei paesi socialisti, ed infine il
principio nazionalistico della sovranità, proprio di tutti gli stati.
Alla luce di queste premesse si può concludere che diritti dell’uomo
hanno avuto sì la loro origine nella storia, ma sono stati il prodotto di una
riflessione e di una ricostruzione razionale: secondo un’affascinante
definizione essi sono “moralità legalizzata”, nascono come vuole il
26
giusnaturalismo da un’esigenza morale e diventano diritto solo attraverso la
positivizzazione ad opera del potere politico32.
Pertanto il perché dei diritti, cioè il loro fondamento, appartiene alla
dimensione della moralità, che tende alla completa realizzazione della
persona umana nell’ambito di una cultura moderna influenzata dal pensiero
liberale, democratico e socialista.
In tal modo il consenso morale, attraverso la pressione sociale, si
traduce in valori etici e politici di un determinato potere e li muta in valori
giuridici, programmando la convivenza sociale con le regole proprie del
diritto e con l’obiettivo di assolvere le finalità morali che risiedono nello
sviluppo della dignità umana.
È dunque nell’integrazione tra moralità e giuridicità che si può
individuare il presupposto dell’evoluzione del fenomeno.
A differenza di quanto ritengono i razionalisti, il processo di
evoluzione dei diritti fondamentali non è né lineare né in progressiva
espansione, ma osserva un andamento sinusoide che si espande e si
restringe, a seconda dei luoghi e delle fasi storiche; i diritti fondamentali non
rappresentano l’espressione della classe borghese33, ma si sono radicati
soprattutto negli stati pluriclasse, rappresentando oggi non il criterio di
N. BOBBIO, nella presentazione di Teoria dei diritti fondamentali di G. PECES-BARBA, op.
cit., V ss.
32
Secondo i realisti il profondo cambiamento nella situazione economica e sociale e l’ascesa
della borghesia sono gli elementi da valutare nel percorso volto alla conoscenza
dell’affermazione dei diritti fondamentali: il potere economico della borghesia ha stimolato
la creazione della mentalità individualista ed i diritti fondamentali sono la testimonianza
dello sviluppo del protagonismo dell’individuo. Il rapporto tra questa nuova economia,
destinata a diventare capitalista, e la classe borghese, come sostenitrice della stessa, è stato
decisivo fino alle rivoluzioni liberali del secolo XVIII: attraverso questo rapporto sono state
concepite componenti elitiste e disegualitarie dei diritti in parola, corrette attraverso il c.d.
processo di generalizzazione solo a partire dal XIX secolo.
33
27
valutazione della democraticità di una società, ma l’essenza stessa della
democrazia34.
Si può, allora, affermare che un tipico modello democratico pluralista
esiste soltanto in presenza di alcune condizioni di fattibilità, sia materiale che
giuridica35, e tra le condizioni giuridiche istituzionali rientrano sicuramente
le garanzie poste dai diritti fondamentali civili e politici e dalle libertà
classiche.
Senza tali diritti non può minimamente concepirsi la possibilità che
una qualche forma di democrazia pluralista possa instaurarsi36.
§3 LA PROTEZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL’UOMO
Nei
processi
di
positivizzazione,
generalizzazione,
internazionalizzazione, e specificazione i diritti dell’uomo hanno incontrato il
loro progressivo sviluppo sia rispetto ai titolari, sia rispetto ai contenuti37.
La teorizzazione e regolamentazione dei diritti in parola ha portato
alla creazione di una tipologia descrittiva e classificatoria che li individua in
diverse categorie o generazioni e che costituisce uno strumento conoscitivo.
34
S. RODOTÀ, Libertà e diritti in Italia dall’unità ai giorni nostri, Roma, Donzelli, 1997.
35
R. DAHL, Poliarchy, New Haven, London 1971.
36
A. BALDASSARRE, (voce) Diritti inviolabili, op. cit.
“I diritti dell’uomo hanno subito inoltre un doppio processo: di universalizzazione e di
moltiplicazione. Il primo processo, sul quale ha richiamato l’attenzione Norbert Elias, porta a
considerare l’individuo cittadino del mondo. Il secondo è dovuto a molteplici fattori: all’aumento dei
beni tutelati, al riconoscimento di diritti a soggetti diversi dell’uomo; all’individuazione di un uomo
non astratto ma concreto”, G. ALPA, ult. op. cit., 174.
37
28
I diritti fondamentali rappresentano concetti dinamici che hanno
senz’altro seguito l’evolversi delle condizioni storico-politiche delle varie
epoche e delle istanze di determinati gruppi sociali38.
La prima generazione è stata collocata alla fine della Rivoluzione
francese dove il lento affermarsi dei diritti civili e politici è stato un vero e
proprio traguardo all’interno del fenomeno complesso di evoluzione e
sviluppo dei diritti fondamentali.
Si tratta di una categoria costituita dai diritti tradizionali delle
costituzioni liberal-democratiche, figlia delle grandi rivoluzioni liberali
dell’età moderna: i diritti di c.d. prima generazione hanno, infatti, avuto
origine nell’ambito delle rivendicazioni degli spazi di libertà individuale nei
confronti dello Stato assoluto.
Essi consacrano le cosiddette “libertà di” e sono noti come diritti
negativi, in quanto limitano e controllano l’intervento dello Stato e del potere
politico nella sfera della libertà individuale39.
Nel corso dell’Ottocento e dei primi decenni del Novecento, le lotte
del movimento operaio e sindacale e di quello femminista hanno portato,
soprattutto in Europa e in America, alla lenta conquista di nuovi diritti civili
e politici tra cui il suffragio universale.
I diritti dell’uomo, secondo Bobbio, sono passati attraverso tre fasi: i diritti di libertà dallo
Stato; i diritti politici che attuano la libertà nello Stato; i diritti sociali, che si attuano
attraverso o per mezzo dello Stato. A tal proposito si veda, N. BOBBIO, L’età dei diritti,
Torino, Einaudi, 1991.
38
La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 proclama i diritti civili e i diritti
di libertà personale agli articoli 3, 9, 10, 12, 13, 16, 18, 19, 20. Le libertà individuali di cui deve
usufruire ogni persona si possono così riassumere: il diritto alla vita, alla libertà di pensiero e
d’espressione, alla cittadinanza, a non essere tenuto in schiavitù, a non essere sottoposto a
nessuna forma di tortura, alla sicurezza personale, a ricevere un giusto processo davanti ad
un Tribunale indipendente e imparziale, a cercare asilo in altri paesi, a formare liberamente
una famiglia (libertà di matrimonio), alla proprietà, alla libertà di coscienza, a riunirsi
pacificamente, a partecipare al governo del proprio Paese, sia direttamente sia attraverso
rappresentanti liberamente scelti.
39
29
Da questi contrasti hanno avuto origine i c.d. diritti umani di seconda
generazione, figli del movimento socialista internazionale e delle lotte
operaie e sindacali del XIX e XX secolo.
Questa seconda generazione, che si colloca nell’ambito della
Dichiarazione universale del 1948, accorpando i diritti sociali40 e i diritti
economici costituzionalmente garantiti, rivela le differenti concezioni tra i
paesi ad economia di Mercato e quelli ad economia pianificata di tipo
socialista.
La terza fase o generazione di diritti promuove quelli di solidarietà, di
tipo collettivo perché rivolti ai popoli e non al singolo individuo: si tratta, ad
esempio, del diritto all’autodeterminazione, alla pace, allo sviluppo,
all’equilibrio ecologico, alla salvaguardia ambientale, al controllo delle
risorse nazionali41.
I diritti appena richiamati sono stati proclamati e sanciti con forza
nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, ed hanno
trovato spazio nel corso del XX secolo con la fine dell’età dei totalitarismi e
delle guerre lesive della dignità e della coscienza della persona.
In generale la Dichiarazione, frutto di più ideali, punto d’incontro e di
raccordo tra le diverse concezioni dell’uomo e della società, ha messo in
moto un processo irreversibile di tutela ed ha avuto il merito di formulare un
Da considerare come i diritti a determinate prestazioni da parte dello Stato, la cui origine
sta nel principio di uguaglianza in senso sostanziale: i diritti al lavoro, alla famiglia, alla
salute, all’istruzione. A livello internazionale essi sono sanciti dall’ONU e prescrivono che
ogni persona ha diritto alla sicurezza sociale, al lavoro, a un’eguale retribuzione per un
eguale lavoro, a fondare sindacati o ad aderirvi, al riposo, a un tenore di vita sufficiente a
garantire la salute e il benessere, alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità
e vecchiaia, all’istruzione, alla protezione della maternità e dell’infanzia.
40
Impiega questo schema descrittivo dei diritti umani P. BARILE, I diritti umani come diritti
costituzionali, in Libertà, giustizia e Costituzione, Padova, Cedam, 1993, 13 ss. Vi sono poi i c.d.
diritti di quarta generazione: si tratta di una categoria che costituisce una vera e propria
prova per i tempi attuali, frutto e conseguenza naturale dei pericoli connessi alle nuove
scoperte scientifiche e pertanto ancora in corso di codificazione e definizione.
41
30
concetto unitario di valori che devono essere difesi all’interno di tutti gli stati
della comunità mondiale42.
Si tratta di un documento a partire dal quale si è sprigionato un
imponente corpo giuridico di valenza internazionale e si è inaugurato il
lungo ed importante processo volto alla internazionalizzazione dei diritti,
che mira a costruire nuove e positive forme di interazione tra gli
ordinamenti.
L’affermazione della Dichiarazione, con l’intento di contrapporre alle
barbarie un nuovo sistema internazionale fondato sul rispetto dei diritti
umani, è da considerare allora il frutto di una convergenza e di una comune
tensione ideale tra una pluralità di diverse concezioni dell’uomo e della
società in un’epoca caratterizzata, nonostante le molte contraddizioni, da
nuove e importanti lotte per la promozione e difesa dei diritti civili e
politici43.
Celebre è da reputare il discorso tenuto il 6 gennaio del 1941 dal
Presidente americano Franklin D. Roosevelt sulle quattro libertà: la libertà di
parola e di pensiero, la libertà religiosa, la libertà dal bisogno e infine la
libertà dalla paura44.
Uno dei padri della Dichiarazione, Renè Cassin, ne illustrò la portata
agli altri delegati riuniti in Assemblea Generale dell’ONU, prima che il testo
venisse approvato: egli osservò che la stessa riposa su quattro pilastri
42
A. CASSESE, ult. op. cit., 28 ss.
Il riferimento va ad eventi come la battaglia degli afroamericani contro le discriminazioni
razziali negli Usa, la lotta contro l’apartheid in Sudafrica, la campagna mondiale contro la
pena di morte, le rivendicazioni di libertà e di autodeterminazione generazionale e di
genere.
43
Nel 1946 Churchill, nel famoso discorso di Fulton, proclamò che la missione principale del
dopoguerra sarebbe stata quella di bandire “due gigantesche macchine da preda: la guerra e la
tirannide”.
44
31
fondamentali, ossia i diritti della persona, i diritti che spettano all’individuo
nei rapporti con i gruppi sociali ai quali partecipa, i diritti politici ed infine i
diritti che si esercitano in campo economico e sociale, ossia nella sfera dei
rapporti di lavoro, della produzione e dell’educazione.
Una quinta sezione riguarda disposizioni disparate contenute nei tre
articoli conclusivi, si tratta degli articoli 28, 29 e 30 che prevedono
rispettivamente: 1) il diritto ad un ordine sociale ed internazionale nel quale i
diritti e le libertà enunciati possono essere realizzati; 2) i doveri
dell’individuo nei confronti della comunità di cui è membro, nonché la
possibilità di limitare per legge i diritti e le libertà garantiti dalla
Dichiarazione; 3) il divieto di interpretare la Dichiarazione in modo che i
diritti in essa enunciati siano distrutti.
Si tratta di una sezione che si erige sui quattro pilastri richiamati ed è
stata autorevolmente definita come “il frontone del tempio”.
Il comitato di redazione della Dichiarazione universale dei Diritti
dell’Uomo, presieduto da Eleanor Roosevelt, era composto da diciotto membri
appartenenti a vari orizzonti politici, culturali e religiosi.
Quarantotto stati sui cinquantotto che parteciparono alla seduta di
approvazione della Carta accettarono di adottarla, mentre tra gli stati che
optarono per l’astensione al momento del voto si rappresentano il Sud
Africa, dove era in vigore l’apartheid, che negava il diritto all’uguaglianza
senza distinzione di nascita o di razza, l’Arabia Saudita contraria alla parità
tra uomo e donna, la Polonia, la Cecoslovacchia, la Iugoslavia e l’Unione
Sovietica, che contestavano la definizione del principio fondamentale di
universalità così come sancito nell’articolo 2, comma 1, del documento45.
45
Gli ultimi due stati che non parteciparono al voto furono lo Yemen e l’Honduras.
32
Non essendo la Dichiarazione legalmente vincolante per gli stati, nel
1966 furono stipulati i Patti internazionali sui diritti civili e politici e su quelli
economici, sociali e culturali che sanciscono l’obbligo, almeno formale, del
rispetto dei principi della Dichiarazione, pur riservando un ampio spazio di
decisione ed organizzazione agli stati in merito ai diritti fondamentali.
Pur non fornita di diretta efficacia, è da riconoscere la funzione
normativa per così dire indiretta della Dichiarazione, in quanto essa
costituisce la prima espressione della pratica dei diritti umani e dell’istanza
universalistica degli stessi nei diversi contesti istituzionali del diritto interno
e del diritto internazionale.
Aldilà delle gravissime violazioni, il sistema dei diritti umani sanciti
nella Dichiarazione, così come dalle grandi carte internazionali elaborate
dall’ONU, viene concepito diversamente nell’ambito dei vari stati, sia sotto il
profilo del significato e dell’ampiezza dei singoli diritti, sia per quanto
concerne il ruolo significativo dei diritti civili e politici e di quelli economici,
sociali e culturali: nei paesi in via di sviluppo, ad esempio, si privilegiano
quest’ultimi a discapito dei diritti civili e politici46.
Le organizzazioni non governative sono l’espressione della società civile e ricoprono un
ruolo fondamentale nella tutela dei diritti civili. Ad esempio, per combattere la pratica della
tortura sono attive parecchie organizzazioni non governative come l’Associazione
umanitaria “Medici contro la Tortura”: si tratta di una onlus nata dentro Amnesty International
che si prende cura delle vittime di tortura che hanno trovato rifugio in Italia e si occupa di
documentare e denunciare il fatto che, in molti paesi, tale pratica sia ancora molto diffusa.
Un’altra grave violazione riguarda la pratica di dare in moglie bambine a uomini adulti e ad
anziani: secondo le stime dell’International Center for Research on Women oggi nel mondo vi
sono circa 60 milioni di bambine spose ed i paesi in cui la pratica è maggiormente diffusa
sono il Niger, il Bangladesh, il Ciad, il Mali e l’India, nonostante la legge fissi il limite d’età
per il matrimonio a 18 anni. Si tratta di pratiche che non sono legate ad una religione
specifica e trovano posto tra la cultura tradizionale cristiana, mussulmana, animista e
induista. Infine vanno ricordate tra le maggiori violazioni nel mondo le discriminazioni di
natura sessuale: secondo informazioni raccolte da Amnesty sono quattro i paesi che
prevedono la pena di morte per omosessualità, l’Arabia Saudita, il Sudan, la Mauritania e
l’Iran.
46
33
Tuttavia queste carte rappresentano l’esplicitazione dell’intento di
unificazione che, pur non raggiungendo la effettiva universalità dei diritti
dell’uomo, si trasforma in un impegno a diversi livelli che mira alla ricerca
graduale di elementi di convergenza.
Si è giustamente affermato che la Dichiarazione ha avuto effetti
enormi e dirompenti sulla comunità internazionale, ha scosso gli animi
creando un nuovo ethos47 e gettato le premesse necessarie per la fine di eventi
negativi di respiro internazionale come l’apartheid, la caduta del muro di
Berlino o il declino delle dittature in America Latina: pertanto, nonostante i
suoi limiti, si tratta di un grande documento che può considerarsi ancora
vivo ed attuale48.
Esso,
pur
costituendo
uno
strumento
di
soft
law
volto
al
riconoscimento dei diritti dell’uomo, ha mostrato di possedere una
permanente vitalità, occupando un ruolo primario attraverso una visione
unitaria del fenomeno dei diritti dell’uomo e la diffusione del principio di
unità e titolarità universale dei diritti medesimi, e ha rappresentato la cornice
contenutistica ideale e una spinta dinamica per la successiva creazione del
sistema internazionale dei diritti umani49, e in particolare per la CEDU50.
Tra le Agenzie delle Nazioni Unite impegnate nella tutela dei diritti civili va ricordato
l’Alto Commissariato per i rifugiati politici che ha sede a Ginevra ed è stato istituito nel
dicembre del 1950 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per soccorrere i profughi in
Europa all’indomani della seconda guerra mondiale.
47
A tal proposito va rilevato che oggi sono molti i dissidenti cinesi che si appellano ad essa
per smuovere l’opinione pubblica ed introdurre un nuovo vento di liberalismo.
48
Nel 1946 l’ONU ha fondato la Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite,
sostituita dal marzo 2006 dal Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite che, a
differenza della Commissione, qualora ravvisi violazioni in un Paese può aprire le cosiddette
“procedure speciali”.
49
Così L. GODART, La libertà fragile, L’eterna lotta per i diritti umani, Milano, Mondatori, 2012,
103 ss.
50
34
§3.1 IL FENOMENO DELLA “REGIONALIZZAZIONE”
Per affrontare le divergenze di vedute in materia di diritti umani tra
gli stati aderenti alle convenzioni internazionali, si sono verificati fenomeni
che sembrano riconducibili ad un nuovo diritto comune, transnazionale51.
Da una parte si è attuato l’intento di una graduale unificazione dei
problemi più rilevanti in materia attraverso la creazione di un nucleo
ristretto
di
valori
condivisi,
quali
il
principio
di
uguaglianza
e
l’autodeterminazione dei popoli, dall’altra al fine di superare le divergenze si
è proceduto sulla strada della regionalizzazione o c.d. settorializzazione dei
diritti umani.
Quest’ultimo fenomeno riguarda l’attenzione per i singoli problemi o
per categorie di individui attraverso la specificità nell’individuazione delle
situazioni tutelabili; la regionalizzazione consiste, invece, nella creazione di
meccanismi di controllo in aree relativamente affini anche attraverso la
conclusione di trattati di valore internazionale.
Soluzioni più
avanzate
e
maggiormente
efficienti sul
piano
dell’applicazione dei diritti dell’uomo sono state senz’altro raggiunte
attraverso lo spirito del riconoscimento degli effetti positivi della
predisposizione di meccanismi di attuazione a livello regionale.
Nel 1950 è stata adottata la Convenzione europea per la salvaguardia
dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali52, che ha a sua volta
ispirato la Convenzione americana sui Diritti Umani per il centro e sud
America (1969), e la Carta africana di Banjul dei Diritti dell’Uomo e dei
51
A. PIZZORUSSO, Sistemi giuridici comparati, Milano, Giuffrè, 1998.
La CEDU è stata ratificata dai 47 stati membri del Consiglio d’Europa, tra cui la Russia e
altri stati dell’Europa orientale.
52
35
Popoli (1981), anche esse riferimento importante per l’illustrazione del c.d.
“sviluppo regionale” dei diritti umani53.
Infatti queste ultime, come la CEDU, hanno dato una buona prova di
forza espansiva e di convergenza, dimostrando che l’elaborazione dei trattati
regionali non provoca la frantumazione dei diritti umani.
In tali esperienze si riscontra una circolarità nel processo di
definizione dei diritti umani in un duplice senso: in primo luogo si verifica la
ricezione di modelli regionali di tutela dei diritti umani in altre aree, fondata
sulla capacità persuasiva di essi; in secondo luogo si attua la creazione, anche
attraverso la valorizzazione delle esperienze nazionali, di un diritto
giurisprudenziale a base giudiziaria a livello transnazionale regionale54.
Sulla base dell’assunto che la violazione delle più elementari regole
del diritto sul piano nazionale genera una violazione simmetrica delle regole
di diritto internazionale, la CEDU consacra il principio fondamentale
dell’interdipendenza della pace e della sicurezza internazionale e del rispetto
dei diritti dell’uomo.
Secondo il Preambolo della Convenzione le libertà fondamentali
“costituiscono le basi stesse della giustizia e della pace del mondo”.
La fonte in parola ha non solo proclamato i diritti umani in modo
uniforme per gli stati aderenti, ma anche istituito una Corte Europea dei
Diritti
dell’Uomo
(Corte
EDU),
inaugurando
un
nuovo
sistema
giurisdizionale, il quale costituisce il primo sistema “regionale” di tutela dei
diritti e di loro giustiziabilità55.
53
A. CASSESE, ult. op. cit., 50.
F. BATTAGLIA, Le Carte dei diritti, con appendice di aggiornamento A. BARBERA e N.
MATTEUCCI (a cura di), con la collaborazione di F. RESCIGNO, Reggio Calabria, Laruffa,
1998, 178 ss.
54
In una sentenza del 23 marzo del 1995, la Corte Europea ha definito la Convenzione come
“uno strumento costituzionale dell’ordine pubblico europeo”.
55
36
Pertanto ciò che appare fondamentale rispetto alla mera enunciazione
è che siffatti diritti, in essa sanciti, sono assistiti da una specifica garanzia di
tipo giurisdizionale.
Come ritiene la dottrina prevalente in materia, grazie all’istituzione
della Corte di Strasburgo, la CEDU rappresenta un unicum tra i vari trattati
internazionali, e costituisce la più rilevante e rivoluzionaria innovazione
portata al tradizionale sistema del diritto internazionale dove l’individuo
non aveva alcuna soggettività, o potere di azione contro lo Stato sovrano.
L’idea di un ordinamento comune che consenta la piena realizzazione
dei diritti e delle libertà della persona anima sia il testo della CEDU, sia la
giurisprudenza che ne è derivata.
A questo proposito è stato autorevolmente osservato56 che la CEDU ha
almeno quattro meriti:
-
“in primo luogo ha creato uno spazio comune di democrazia e libertà
nel quale vengono affermati e praticati una serie di principi essenziali
sulla dignità della persona umana;
-
in secondo luogo, la CEDU in più di un caso sancisce diritti non
previsti esplicitamente dalle Costituzioni degli stati europei o integra
significativamente il loro sistema costituzionale;
-
in terzo luogo, essa predispone un meccanismo internazionale di
garanzia attraverso la Corte europea dei diritti dell’uomo;
-
in quarto luogo tale meccanismo costituisce un importante presidio
contro possibili involuzioni autoritarie”.
***
A. CASSESE, I diritti umani che uniscono l’Europa, in Il sogno dei diritti umani, Milano,
Feltrinelli, 2008.
56
37
In ambito nazionale la valorizzazione della persona e del suo sviluppo
è senz’altro riconducibile all’avvento dello Stato di diritto costituzionale57: le
costituzioni del dopoguerra, aldilà delle diversità di impostazione e
formulazione, presentano significative comunanze rispetto alle previsioni
delle libertà tradizionali e al controllo di costituzionalità che rappresenta una
difesa nei confronti del Legislatore58.
Nel delineare i fondamenti dell’edificio repubblicano il Costituente
italiano ha ripudiato tanto “l’individualismo possessivo”59, che sull’esempio
delle tradizioni inglesi e francesi aveva pervaso il primo periodo statuario,
quanto lo statualismo di matrice tedesca invalso durante l’assetto
costituzionale del periodo fascista60.
La disciplina introdotta dalla Costituzione spagnola sui diritti umani prevede i c.d. nuovi
diritti, tra cui il diritto all’ambiente, all’abitazione, alla tutela degli utenti e dei consumatori.
Di recente è entrata in vigore la Costituzione sudafricana che si contraddistingue per la
tecnica legislativa, prediligendo formulazioni analitiche e dettagliate relative al contenuto di
alcuni diritti (proprietà, istruzione, libertà di religione credenza ed opinione, diritti dei
minori, delle persone arrestate, detenute ed accusate). Per uno studio sui diritti umani nelle
costituzioni europee si può consultare E. PALICI di SUNI PRAT, F. CASELLA, M. CUMBA,
Le costituzioni dei paesi dell’Unione europea, Padova, Cedam, 1998, con Introduzione di G.
LOMBARDI; con riguardo alle costituzioni dell’Europa dell’Est si veda S. BARTOLE, Riforme
costituzionali nell’Europa Centro-orientale, Bologna, Il Mulino, 1993.
57
L. PALADIN, La tutela delle libertà fondamentali offerta dalle corti Costituzionali europee: spunti
comparatistici, L. CARLASSARE (a cura di), Le garanzie giurisdizionali dei diritti fondamentali,
Padova, Cedam, 1998, 11 ss., dove è approfondita la tematica relativa ai limiti delle libertà da
parte della sovranità del Parlamento nello stato di diritto ottocentesco.
58
C. B. MACPHERSON, Libertà e proprietà alle origini del pensiero borghese: la teoria
dell’individualismo possessivo da Hobbes a Locke, Milano, Isedi, 1973, 297 ss.
59
60
L. SITZIA, Pari dignità e discriminazione, Napoli, Jovene, 2011.
38
Il principio della tutela della persona è posto dalla Costituzione
italiana alla base dell’intera architettura costituzionale, a fondamento della
stessa legittimità dell’ordinamento61.
A fronte del concetto formale-astratto di uomo su cui si fondava il
sistema giuridico classico62, la persona collocata al centro dell’ordinamento
repubblicano non è mera soggettività, ma un essere assiologico posto al
vertice dei valori giuridici positivi, cui si conforma l’intero sistema dei diritti
e dei doveri costituzionali63.
In contrapposizione ad una concezione liberale di personalità forgiata
sul paradigma “libertà-proprietà”64, viene abbracciata un’idea di libertà
associata ai valori della responsabilità e della solidarietà orientata al
benessere collettivo65.
Col riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell’uomo uti singulus uti
socius e richiedere l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà
politica, economica e sociale, la Carta costituzionale italiana ha fatto proprio
un concetto di persona il cui valore primario poggia sulla intersoggettività,
P. PERLINGERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario
delle fonti, Napoli, Esi, 2006.
61
La capacità giuridica, mero attributo della persona, per il tramite di un procedimento di
astrazione ideatrice, era stata quindi isolata e rappresentata come unità intellettuale: L.
MENGONI, La tutela giuridica della vita materiale nelle varie età dell’uomo, in Diritto e valori,
Bologna, Il Mulino, 1985, 123 ss..
62
A. BALDASSARRE, (voce) Libertà (Problemi generali), in Enc. giur. Treccani, XIX, Roma,
1990.
63
La libertà-proprietà, oltre ad essere diritto inviolabile del singolo, rappresentava a un
tempo “principio di organizzazione costituzionale, fattore di demarcazione fra privato e pubblico e
criterio di ripartizione delle principali funzioni costituzionali (legislazione e amministrazione)”: A.
BALDASSARRE, (voce) Libertà, ult. op. cit., 10 s.
64
65
P. RIDOLA, Diritti fondamentali. Un’introduzione, Torino, Giappichelli, 2006, 77 s.
39
sulla socialità distinta dalla statualità, sull’essere centro di riferimento di
relazioni sociali “emancipate dal dominio”66.
I diritti in parola sono proclamati nei fondamenti della Costituzione
all’art. 2, legato al valore della persona ed espressione del principio
personalistico: in esso si sancisce con efficacia la centralità dell’uomo
portatore di diritti individuali e sociali inviolabili.
Il cittadino non è più un individuo isolato ma è collocato in una
dimensione di importanti relazioni sociali, all’interno delle quali può
sviluppare e arricchire la propria personalità: esse ricoprono, pertanto, un
ruolo centrale nella crescita dell’individuo67.
Anche la portata non meramente programmatica, bensì precettiva, del
terzo articolo incide sull’intero corpo della Costituzione, proclamando con
forza il principio di uguaglianza tra i cittadini di fronte alla legge: con esso la
prospettiva autoritaria che poneva al centro lo Stato lascia spazio all’opposta
concezione della preesistenza ed anteriorità logica dei diritti fondamentali
dell’uomo,
e
ciò
in
contrapposizione
alle
tradizionali
esperienze
costituzionali della Francia e della Germania che, nella sostanza, avevano
sempre relativizzato questo principio, condizionandolo alla volontà generale
del popolo, ovvero allo Stato-Persona68.
Così il sistema costituzionale italiano si sviluppa e si afferma ponendo
l’accento sull’importanza della sua rigidità dalla quale discende la
declaratoria di illegittimità delle disposizioni contrarie ai diritti inviolabili.
66
A. BALDASSARRE, (voce) Diritti inviolabili, op. cit., 16.
Sul punto P. RIDOLA, Diritti di libertà e costituzionalismo, Torino, Giappichelli, 1997, 17 s., il
quale rileva come il significato del valore personalista vada oltre il radicamento della
rinascita del giusnaturalismo seguita alle esperienze dei totalitarismi ed agli orrori della
guerra mondiale e il richiamo alla persona di cui all’art. 2 Cost. si proponga di incidere sugli
stessi meccanismi di integrazione della società.
67
68
G. JELLINEK, Die Erklarung der Mensken und Burgerrechte, II ed. Munchen-Leipzig, 1904.
40
Negli ordinamenti che assumono la persona umana come valore-fine
in sé, le dinamiche del progresso della società hanno condotto alla emersione
di nuovi valori: a tal proposito si rileva l’interesse interpretativo sul carattere
chiuso o aperto del citato articolo 2 Cost.
La configurabilità aperta della norma in commento è stata contestata
dalla dottrina prevalente alla luce del timore di innescare un meccanismo
idoneo a riconoscere nuovi valori potenzialmente in conflitto con quelli
proclamati dal costituente.
Non si riscontra, invece, unanimità di pareri in merito alla lettura
aperta dell’articolo 2 della Costituzione: secondo alcuni i principi della
Costituzione materiale, secondo altri una sorta di sistema di Common Law, o
le convenzioni in materia, possono costituire una valida fonte d’integrazione
della norma.
Un ulteriore aspetto problematico riguarda l’alternativa tra il principio
di autonomia dei nuovi diritti, oppure il riconoscimento di unico diritto in
capo alla persona dotato di nuove forme espressive: si tratta di una scelta che
riflette la teoria pluralista o monista dei diritti in parola.
La stretta connessione tra il diritto privato e il diritto pubblico
nell’ambito della fenomenologia dei diritti della persona evidenzia l’utilità
della scelta di impostazione monista che tende ad una complessiva e globale
tutela, piuttosto che ad enuclearne i singoli aspetti.
Da ciò ne è derivata l’autorevole conclusione di chi ha sostenuto69 che
l’articolo 2 è in realtà una norma chiusa di fronte ai valori estranei al catalogo
dei valori costituzionali, ma allo stesso tempo aperta alle nuove
manifestazioni dei medesimi valori.
F. MODUGNO, I “nuovi diritti” nella giurisprudenza costituzionale, Torino, Giappichelli,
1995.
69
41
§3.2 LA CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE
EUROPEA
Nell’ambito del fenomeno di regionalizzazione dei diritti dell’uomo,
di notevole rilievo è stata l’esperienza della tutela accordata dalla Comunità
europea ad opera, in primis, della giurisprudenza della Corte di Giustizia,
che, in mancanza di un riconoscimento espresso dei diritti fondamentali da
parte dei Trattati istitutivi, ha valorizzato le previsioni in essi contemplate,
come il divieto di discriminazione in base alla nazionalità (art. 7 CEE), le
regole sulla libera circolazione dei lavoratori (art. 48 CEE), il diritto di
stabilimento (art. 52 ss. CEE), il principio della parità di retribuzione fra
lavoratori maschi e femmine (art. 119 CEE), ed ha elaborato in una lunga
serie di sentenze la regola secondo la quale i diritti fondamentali devono
essere protetti come parte integrante dei principi dell’ordinamento
comunitario.
Sin dalla fine degli anni sessanta la Corte ha riconosciuto che i diritti
fondamentali, quali risultano dalle tradizioni costituzionali dei paesi membri
e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
libertà fondamentali (CEDU), fanno parte dei principi generali di cui essa
garantisce
l'osservanza
nelle
situazioni in cui rileva
la
disciplina
comunitaria70.
In questo contesto la Corte talvolta ha effettuato un’analisi comparata
reale, talaltra ha considerato regola comune un principio presente nella
maggior parte degli ordinamenti o in alcuni di essi: per tale ragione una
Si vedano M. CARTABIA, La tutela dei diritti nel procedimento amministrativo. La legge n. 241
del 1990 alla luce dei principi comunitari, Milano, Giuffrè, 1991 e S. GRECO, Nuovi sviluppi in
materia di diritti fondamentali, in Riv. it. dir. pubb. com., 1998, 1369 ss.
70
42
parte della dottrina ha giudicato “creativo” il ruolo svolto dalla Corte in
relazione alla protezione di diritti71.
Dalla fine degli anni ottanta la Corte di Giustizia ha fatto della
Convenzione la sua sistematica e principale fonte di riferimento affermando
che ella “riveste un significato particolare”.
I primi risultati di questa attività giurisprudenziale a livello europeo si
sono concretizzati nel Trattato firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992: all’art.
F, par. 2, si affermava che “l’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono
garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali”72.
Un ulteriore contributo nell’affermazione dei principi non scritti
relativi ai diritti fondamentali è stato, poi, offerto dal riconoscimento e dalla
istituzione del diritto di cittadinanza europea da parte del Trattato di
Maastricht.
Successivamente al parere 2/94 della Corte di Giustizia relativo
all’adesione della Comunità europea alla CEDU73 , si è aperto il dibattito
71
F. BATTAGLIA, op. cit., 178 ss.
La disposizione in esame, ora art. 6, par. 2, del Trattato ha formato oggetto di numerosi
scritti: in generale si veda il commento di S. SIMON, V. COSTANTINESCO, R. KOVAR, D.
SIMON (a cura di), Traité sur l’Union Européenne (signé a Maastricht le 7 février 1992).
Commentaire article par article, Economica, Paris, 1995, 81 ss.
72
Il parere 2/94 è del 28 marzo 1996 ed ha avuto per oggetto la verifica della compatibilità
dell’adesione della Comunità europea alla Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e il problema dell’applicazione diretta in
ambito comunitario dei diritti fondamentali dell’uomo, così come stabiliti nella CEDU ed
interpretati dalla Corte EDU (C. GAJA, Aspetti problematici della tutela dei diritti fondamentali
nell’ordinamento comunitario, in Riv. dir. internaz., 1988, 574 ss.). E’ noto che la Corte ha
concluso nel senso che l’adesione della Comunità alla CEDU può avvenire solo previo
espletamento della procedura di revisione del Trattato istitutivo della Comunità europea. In
senso critico si veda L. S. ROSSI, Il parere 2/94 sull'adesione della Comunità europea alla
Convenzione europea dei diritti dell'uomo (Commento al Parere 2/94, 28 marzo 1996), in Il diritto
dell’Unione Europea, in DUE, 1996, 839 ss. dove si afferma che “quello che lascia maggiormente
perplessi, nel ragionamento della Corte, è il presupposto su cui essa fonda la necessità di ricorrere alla
procedura di revisione, e cioè che la volontà di integrare i diritti fondamentali contenuti nella CEDU
all’interno dell’ordinamento comunitario sia qualcosa di così innovativo da necessitare appunto il
73
43
sull’opportunità di trovare una soluzione alternativa all’adesione medesima
e più rispondente alle esigenze dell’ordinamento comunitario.
Sono state avanzate e prese in considerazione varie ipotesi,
dall’elaborazione di un catalogo di diritti umani propri della Comunità,
all’individuazione di un meccanismo di collaborazione basato su una duplice
competenza successiva nel tempo o delineata sulla falsariga del rinvio
pregiudiziale, o, infine, alla successione della Comunità negli obblighi
derivanti dalla Convenzione74.
Secondo la Corte di Giustizia l’ipotesi in questione era incompatibile
con l'ordinamento dell'Unione, sulla base del fatto che ad un eventuale
adesione non poteva corrispondere nessuna nuova competenza; solo più
tardi la Corte specificò che l’adesione si sarebbe potuta realizzare attraverso
una revisione dei Trattati75.
Il processo finalizzato alla redazione di una Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea, quale espressione del riconoscimento
esplicito degli stessi, può farsi iniziare già nel 1995: in quell'anno la
Commissione europea aveva incluso nei programmi delle sue attività la
creazione di un comitato di esperti al fine di valutare le prospettive di
sviluppo dei principi espressi nella Carta comunitaria dei diritti sociali
fondamentali dei lavoratori del 1989.
ricorso a detta procedura. Se in passato l’art. 235 ha consentito la creazione di politiche comunitarie
che forse nemmeno potevano essere immaginate all’epoca in cui fu redatto il Trattato, non si vede
perché lo stesso articolo non possa oggi trovare un sufficiente supporto nell’art. F, n. 2 e nelle altre
disposizioni del Trattato di Maastricht”.
In argomento J.L. DUVIGNEAU, From Advisory Opinion 2/94 to the Amsterdam Treaty:
Human Rights Protection in the European Union, in Leg. issues Eur. Integr., 1998, 61 ss.
74
L'Assemblea Parlamentare del Consiglio d'Europa approvò una risoluzione ed una
raccomandazione, rispettivamente rivolte ai paesi dell'UE e al Comitato dei Ministri del
Consiglio d'Europa affinché i rispettivi Trattati fossero modificati, in modo tale da consentire
l'adesione alla CEDU.
75
44
Nella relazione che il Comitato presentò nel marzo del 1996 si affermò
l'opportunità di compiere un primo passo per la “codificazione” dei diritti
civili e sociali.
Con il Trattato di Amsterdam del 2 ottobre del 1997 l’importanza della
protezione della persona risultò dalla previsione di cui all’art. 6, par. 1:
“l’Unione si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali, e dello Stato di diritto, principi che sono comuni agli stati
membri”76.
Il 10 dicembre 1998 il Consiglio emanò a Vienna una dichiarazione in
occasione del cinquantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei
Diritti dell'Uomo: nel documento si affermava che l'Unione si fonda sui
principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti umani e libertà
fondamentali, nonché sullo Stato di diritto.
La dichiarazione, inoltre, esprimeva le preoccupazioni dell'Unione in
materia di diritti umani e forniva indirizzi ed iniziative per rafforzare
ulteriormente il loro ruolo centrale nell'ambito europeo e comunitario.
La Commissione inserì la prosecuzione dell'indagine sulla tutela dei
diritti fondamentali nell'Unione europea nel suo programma di azione
sociale 1998-2000 e, in attuazione di questa decisione, si costituì un nuovo
Comitato di esperti, presieduto dal prof. Spiro Simitis e composto da altri otto
La disposizione in esame non rifletteva i suggerimenti formulati dal gruppo di riflessione
c.d.“Westendorp” volto ad inserire nell’art. F, par. 2, un richiamo espresso ai diritti dell’uomo
contenuti nei Trattati internazionali conclusi dagli stati membri; in tal modo si sarebbero
incorporati nel diritto comunitario tutti i principi della CEDU e se ne sarebbe affidata la
tutela all’organo giurisdizionale comunitario. Il gruppo di riflessione aveva inoltre proposto
di elaborare una lista di diritti fondamentali specifici, costituenti una “soglia minima” di
protezione, immediatamente operativa che non pregiudicava una successiva integrazione
con ulteriori diritti civili politici. Il quadro sarebbe stato infine completato con la creazione di
un sistema giurisdizionale esterno abilitato a pronunciarsi in materia di diritti umani sulle
decisioni della Corte di Giustizia. In materia si veda A. TIZZANO, Il trattato di Amsterdam.
Con i testi coordinati del Trattato di Maastricht e del Trattato della Comunità europea, Padova,
Cedam, 1998.
76
45
giuristi, che nel febbraio 1999 depositò un rapporto con cui si analizzarono i
risvolti giuridici connessi alla Carta europea dei diritti fondamentali.
Il compito assegnato al Comitato di esperti comprendeva due ordini
di problematiche riguardanti l'individuazione dei contenuti della Carta e la
determinazione della posizione che essa avrebbe dovuto assumere nel
sistema delle fonti del diritto comunitario: per quanto concerne il primo
ordine di questioni il Comitato prefigurò un catalogo dei diritti fondamentali
“aperto” e non quindi rigidamente chiuso77.
Il Comitato Simitis affermò, inoltre, l'indivisibilità dei diritti civili dai
diritti
sociali,
precisando
che
“la
mancata
consapevolezza
di
questa
interdipendenza potrebbe compromettere la protezione sia degli uni che degli altri”.
Per quanto concerne il problema inerente la posizione della Carta nell'ambito
delle fonti del diritto comunitario, il Comitato Simitis dichiarò che “il testo
contenente i diritti deve esser inserito in una parte speciale o in un titolo particolare
dei Trattati”.
Alla luce di queste premesse il Consiglio europeo, riunitosi a Colonia
il 3 e 4 giugno del 1999, dispose di elaborare la Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione europea: nella decisione riportata nelle conclusioni della
Presidenza si afferma che la garanzia dei diritti fondamentali non solo
costituisce un valore fondante dell'Unione ma è anche alla base della
legittimità dell'ordinamento comunitario stesso.
La garanzia dei diritti, quindi, è stata concepita come processo aperto, in armonia con la
tendenze presenti in molte esperienze costituzionali europee, tra cui quella tedesca che
configura il principio della Frei Entfaltung der Persönlichkeit (libero sviluppo della
personalità). La soluzione di considerare il riconoscimento esplicito dei diritti fondamentali
come un processo aperto avrebbe potuto consentire all'Unione europea “la possibilità di
adattare i principi a cui essa si ispira ai bisogni di una società caratterizzata da mutamenti costanti,
che porranno sempre nuove sfide sul piano dei diritti fondamentali, come rivela l'esperienza nel campo
delle tecnologie dell'informazione, delle comunicazioni e della biotecnologia” (Commissione
europea. Direzione generale V - Relazione del Gruppo di esperti in materia di diritti
fondamentali,
Bruxelles
febbraio
1999,
disponibile
al
sito
internet
static.luiss.it/semcost/europa/materiali/simitis.rtf).
77
46
Peraltro l'obbligo per l'Unione di tutelare i diritti dell'uomo era un
elemento che la giurisprudenza della Corte di giustizia europea aveva più
volte confermato.
Il lavoro di elaborazione della Carta si connota, quindi, più come
rivelazione e compilazione, che come creazione o innovazione.
Come si affermò la Carta non doveva cedere alla tentazione della
novità a qualsiasi costo, essendo necessario l'espletamento di un lavoro di
codificazione effettuato partendo dalle fonti già esistenti in ambito europeo,
attraverso l’integrazione tra i diritti civili e politici classici, i diritti del
cittadino contemplati dai trattati e i diritti economici e sociali78 “nella misura
“A tal proposito va precisato che il problema di considerare o meno i diritti sociali come diritti
fondamentali ha trovato differenti soluzioni nelle esperienze costituzionali europee. In relazione alle
esperienze costituzionali di Italia e in parte della Germania, si rivela che i diritti sociali sono
considerati diritti inviolabili, aventi un valore tendenzialmente simile a quello dei diritti civili e dei
diritti dell'uomo”, intervento del prof. Baldassarre, nel corso della seduta congiunta della
Giunta per gli Affari delle Comunità europee del Senato e della XI Commissione permanente
della Camera dei Deputati dell'8 febbraio 2000, riguardante l'indagine conoscitiva sui diritti
fondamentali, cfr. paper “Carta Europea dei diritti fondamentali: note di sintesi” disponibile al
sito internet http://www.studiperlapace.it/view_news_html?news_id=cartaeusint. In paesi di
tradizione di Common Law, vi è una differente impostazione relativa ai diritti sociali, che
tenderebbe a configurare gli stessi come obiettivi politici da raggiungere più che come veri e
propri diritti del cittadino. Alcuni membri, come la Gran Bretagna e i paesi della
Scandinavia, hanno sostenuto in armonia con l'impostazione giuridico-costituzionale sopra
evidenziata, che i diritti di natura sociale contemplati dalla Carta non possono essere tutelati
a livello giustiziale. Secondo tale impostazione nessun cittadino potrebbe esperire rimedi
giurisdizionali, lamentando, ad esempio, la circostanza di non disporre di risorse adeguate
per condurre un'esistenza dignitosa. Altri membri, come ad esempio il professor Jurgen
Meyer, deputato del Bundestag tedesco, e l'europarlamentare italiana Elena Paciotti, entrambi
componenti della Convenzione incaricata di elaborare il progetto di Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione europea, hanno osservato che non esiste una rigida distinzione fra
diritti azionabili e principi meramente dichiarativi, motivando tale assunto col fatto che
molti principi sociali (ad esempio la libertà sindacale) si configurerebbero come applicazioni
al mondo del lavoro di diritti civili classici (ad esempio la libertà di associazione) ed in
quanto tali sarebbero idonei a radicare una tutela giurisdizionale piena. D'altra parte è stato
rilevato che i “principi” sono presenti anche in altri settori dell'ordinamento giuridico (si
pensi al principio di uguaglianza) e che spesso la giurisprudenza ha applicato gli stessi a
fattispecie concrete e a casi specifici (conclusioni del Consiglio europeo di Colonia del 3 e 4
giugno
1999,
disponibili
al
sito
internet
http://www.europarl.europa.eu/summits/kol2_it.htm).
78
47
in cui essi non siano unicamente a fondamento di obiettivi per l'azione
dell'Unione”79.
Per quanto concerne il contenuto della Carta, il Consiglio ritenne che
esso dovesse comprendere i diritti di libertà e uguaglianza, nonché i diritti
procedurali fondamentali garantiti dalla CEDU e risultanti dalle tradizioni
costituzionali comuni degli stati membri, in quanto principi generali del
diritto comunitario; la Carta doveva, inoltre, sancire i diritti fondamentali
riservati ai cittadini dell'Unione.
Il termine dei lavori dell'organo era stato fissato dal Consiglio europeo
di Colonia per il mese di dicembre del 2000, e in occasione di tale scadenza il
Consiglio europeo, sulla base del progetto di Carta elaborato dall'organo80,
propose al Parlamento europeo ed alla Commissione di proclamare
solennemente, insieme con il Consiglio, la Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione europea81, valutando solo successivamente l'eventualità e le
79
Conclusioni del Consiglio europeo di Colonia del 3 e 4 giugno 1999, cit.
Secondo le indicazioni del Consiglio europeo l'organo incaricato dell'elaborazione del
progetto di Carta dei diritti doveva assumere una composizione mista: delegati dei capi di
Stato o di Governo, delegati del Presidente della Commissione europea, delegati del
Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali. La Corte di giustizia rivestì, tramite propri
rappresentanti, un ruolo di osservatore, mentre il Comitato economico e sociale, il Comitato
delle Regioni, i rappresentanti di gruppi sociali e gli esperti in materia espressero le proprie
valutazioni attraverso appositi pareri.
80
Allo scopo di evitare che le decisioni sull'adozione di una Carta dei diritti non rimanessero
mere statuizioni di principio, il Consiglio europeo di Colonia invitò la successiva presidenza
di turno dell'UE ad attivarsi affinché nel Consiglio europeo di Tampere fosse possibile il
consenso sulle misure operative e pratiche finalizzate a dare avvio ai lavori dell'organo
incaricato di varare il progetto di Carta. Nel Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16
ottobre 1999 si definirono le questioni operative ed organizzative relative alla composizione
ed al metodo di lavoro dell'organo incaricato di elaborare il progetto di Carta dei diritti
fondamentali. La Convenzione, che elesse a proprio presidente il tedesco Roman Herzog,
rappresentante personale del Cancelliere tedesco, iniziò i lavori il 17 dicembre 1999 e li
concluse con la formale consegna del progetto di Carta dei diritti fondamentali dell'Unione
europea il 7 ottobre 2000. La discussione si articolò in numerose riunioni informali e l’esame
degli articoli avvenne sulla base di successivi testi predisposti dal Comitato di redazione
(Presidium), ai quali i componenti della Convenzione furono invitati a presentare, in due
successive fasi, i propri emendamenti. A conclusione dei lavori, la Presidenza della
81
48
modalità necessarie per integrare la Carta nei trattati, perché a quello stadio
dei lavori le considerazioni relative al contenuto della Carta dovevano
restare prioritarie82: il testo del progetto fu discusso nel corso dell'incontro tra
i Capi di stato e di Governo dell'Unione europea tenutosi a Biarritz il 13 e 14
ottobre del 2000 dove si registrò l'accordo unanime83.
La elaborazione della Carta è stata strutturata attraverso sei grandi
riferimenti: dignità (artt. 1-5); libertà (artt. 6-19); uguaglianza (artt. 20-26);
solidarietà (artt. 27-38); cittadinanza (artt. 39-46); giustizia (artt. 47-50)84.
Nel primo capo relativo alla dignità sono racchiusi un nucleo di diritti
relativi alla inviolabilità dei valori della persona e spiccano alcuni divieti
tramite i quali quei valori sono garantiti (il diritto alla vita, il diritto
all'integrità della persona, la proibizione della tortura e delle pene o
trattamenti inumani o degradanti, la proibizione della schiavitù e del lavoro
forzato) .
Convenzione riscontrò, sulla base delle dichiarazioni, l'esistenza di un consenso sul testo
elaborato, che pertanto non fu sottoposto a votazione formale.
Comunicazione della Commissione europea sulla Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione europea, emessa in data 13 settembre 2000, cfr. paper “Carta Europea dei diritti
fondamentali: note di sintesi”, cit.
82
Si segnala a tale riguardo una dichiarazione del Presidente del Parlamento europeo
Fontaine, dove è stata sottolineata la necessità, dopo la proclamazione al vertice di Nizza, di
inserire la Carta nei Trattati per dare ad essa un valore reale per i cittadini d'Europa. “Il
Parlamento europeo”, ha sostenuto Fontaine, “dovrà sforzarsi di fornire adeguati strumenti affinché
la Carta non rimanga una mera dichiarazione politica, l’obiettivo essenziale sotteso alla stessa, come
risulta anche dalle conclusioni del Consiglio di Colonia, si sostanzia nella necessità di sancire la
straordinaria rilevanza e la portata dei diritti fondamentali in modo visibile per i cittadini
dell'Unione”, Comunicazione della Commissione europea sulla Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione europea, emessa in data 13 settembre 2000, cfr. paper “Carta Europea dei diritti
fondamentali: note di sintesi”, cit.
83
Il Capo IV dedicato alla solidarietà e regolante i diritti dei lavoratori e dei datori di lavoro
ha carattere assolutamente innovativo rispetto alla CEDU, in cui non vi è traccia di tale
contributo.
84
49
La parte dedicata alla libertà si occupa del diritto alla libertà e alla
sicurezza, del rispetto della vita privata e della vita familiare, della
protezione dei dati di carattere personale, del diritto di sposarsi e di
costituire una famiglia, della libertà di pensiero, di coscienza e di religione,
della libertà di espressione e d'informazione, della libertà di riunione e di
associazione, della libertà delle arti e delle scienze, del diritto all'istruzione,
della libertà professionale e del diritto di lavorare, della libertà d'impresa, del
diritto di proprietà, del diritto di asilo, della protezione in caso di
allontanamento, di espulsione e di estradizione85.
La sezione dell’uguaglianza si occupa dell’uguaglianza davanti alla
legge, della non discriminazione, delle diversità culturali, religiose e
linguistiche, della parità tra donne e uomini, dei diritti del minore, dei diritti
degli anziani e dell’inserimento delle persone con disabilità: la parità esige il
rispetto e la tutela delle diversità.
I dodici articoli dell’area dedicata alla solidarietà fanno riferimento al
diritto dei lavoratori all'informazione e alla consultazione nell'ambito
dell'impresa, al diritto di negoziazione e di azioni collettive, al diritto di
accesso ai servizi di collocamento, alla tutela in caso di licenziamento
ingiustificato, alle condizioni di lavoro giuste ed eque, al divieto del lavoro
minorile e alla protezione dei giovani sul luogo di lavoro, alla vita familiare e
Fra i quattordici articoli di questo Capo, che contengono libertà, diritti civili e politici, vi
sono disposizioni più volte richiamate dalle corti nazionali. Ad esempio la Corte
costituzionale italiana ha fatto riferimento all’articolo 7 a tutela della vita privata e familiare
in riferimento all’estensione delle intercettazioni fra persone presenti: Corte cost. 24 aprile
2002, n. 135, in Foro it., 2004, 390, ove è stata dichiarata infondata una questione di
costituzionalità in merito all’estensione della disciplina delle intercettazioni delle
comunicazioni fra presenti. Ed ancora la Corte costituzionale italiana ha utilizzato l’articolo 9
per censurare che sia lecito prevedere il celibato o la vedovanza come requisito per l’accesso
ad uffici pubblici, ciò perché la discrezionalità legislativa non deve tradursi “in una
limitazione dei diritti fondamentali” quali il diritto a contrarre matrimonio e di non essere
sottoposti ad interferenze arbitrarie nella vita privata: Corte cost. 24 ottobre 2002, n. 445, in
Foro it., 2003, 1018.
85
50
alla vita professionale, alla sicurezza sociale ed assistenza sociale, alla
protezione della salute, all’accesso ai servizi d'interesse economico generale,
alla tutela dell'ambiente e protezione dei consumatori.
Per quanto concerne il diritto fondamentale alla salute e sicurezza nei
posti di lavoro, il divieto di licenziamento ingiustificato e il diritto alla parità
di trattamento in ambito lavorativo, la Carta ha funzionato come punto di
riferimento nell’interpretazione delle leggi nazionali di trasposizione delle
Direttive e i diritti sociali, in essa previsti, si sono imposti come limite di un
esercizio arbitrario dei poteri imprenditoriali86.
La sezione della cittadinanza contempla il diritto di voto e di
eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo, il diritto di voto e di
eleggibilità alle elezioni comunali, il diritto ad una buona amministrazione, il
diritto d'accesso ai documenti, la figura del Mediatore europeo, il diritto di
petizione, la libertà di circolazione e di soggiorno, la tutela diplomatica e
consolare.
Per quanto attiene a questo capo, si è osservato che dalla Carta
emergono più gli individui che i lineamenti di una società politica europea,
tanto che le “forme di partecipazione democratica non acquistano aspetti di
significativa novità e sembrano essere condannati ad essere cosa nazionale”.87
Infine la parte relativa alla giustizia si occupa del diritto a un ricorso
effettivo e a un Giudice imparziale, della presunzione di innocenza e dei
diritti della difesa, dei principi della legalità e della proporzionalità dei reati
e delle pene, del diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo
stesso reato.
S. SCIARRA, Diritti fondamentali, principi generali di diritto europeo: alcuni esempi nella recente
giurisprudenza della Corte di Giustizia, in La Corte e le corti, Milano, Chimienti, 2007, 118 ss.
86
M. FIORAVANTI, La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nella prospettiva del
costituzionalismo moderno, relazione presentata in occasione dell’incontro studio dedicato ai
“Principi, diritti e regole nella Carta Europea”, Firenze, 26-27 aprile 2001.
87
51
Da questo rapido elenco viene in rilievo la potenzialità della Carta nel
delineare i tratti di un diritto privato europeo.
Vi è di più: come è stato osservato in dottrina88 l’aver ricondotto
determinati diritti a dei “super-principi” (che coincidono con i “valori
indivisibili e universali” sui quali, come si legge dal Preambolo, “consapevole
del suo patrimonio spirituale e morale, l’Unione si fonda”), anziché alle neutre
categorie tradizionali dei diritti civili, dei diritti politici, dei diritti sociali,
oppure dei rapporti civili, etico-sociali, economici e politici, produce un
duplice effetto.
In primo luogo si crea una sorta di differenziazione e gerarchia tra il
super-principio/valore di riferimento e le sue molteplici espressioni e
componenti
interpretativa,
che
dovrebbe
vincolando
avere
importanti
innanzitutto
conseguenze
ad
in
sede
un’interpretazione
teleologicamente orientata delle norme presenti in ciascun capo.
L’aver ricondotto i diritti del capo IV al super-principio/valore della
“Solidarietà”, anziché ad esempio a quello della Libertà, “illumina di una certa
luce, tutte quelle zone buie ampiamente presenti nei singoli articoli contenuti in tale
capo, indirizzando e dunque limitando la discrezionalità del Legislatore, e fornendo
alla Corte uno strumento per vagliare il suo operato”89.
In secondo luogo la struttura della Carta, attraverso l’uso di questi
raggruppamenti “trasversali”, consacra il superamento delle tradizionali
partizioni ancora presenti nel mandato di Colonia, rafforzando e cementando
quella caratteristica di indivisibilità di tutti i diritti90.
88
V. SCIARABBA, op. cit., 101 ss.
89
Così SCIARABBA, op. cit., 101 ss.
90
Così SCIARABBA, op. cit., 101 ss.
52
Un’altra conseguenza della struttura della Carta con riferimento al
ricorso ai super principi, è quella di favorire una sorta di sua autointegrazione nei Trattati: si tratta di un aspetto ripetutamente sottolineato e
sul quale si sono incentrate gran parte delle argomentazioni elaborate al fine
di perorare l’immediata rilevanza giuridica del documento91.
Il 13 dicembre 2007 è stato sottoscritto il Trattato di Lisbona92, che è
entrato in vigore il 1 dicembre del 2009 dopo che si era concluso, per il
mancato completamento del processo di ratifica93, il più ambizioso percorso
della Costituzione europea.
Esso ha avuto diversi meriti: ha fuso due nozioni problematiche,
quella relativa ai principi generali e alle tradizioni costituzionali comuni, ha
riconosciuto il valore giuridicamente vincolante alla Carta dei diritti
fondamentali, ed ha conferito al sistema giuridico CEDU un nuovo status nel
sistema delle fonti.
Per quanto concerne la portata delle disposizioni della Carta, essa è
circoscritta all’ambito delle competenze dell’Unione, e si rinvia per la sua
interpretazione alle disposizioni generali contenute nel titolo VII.
In un certo senso la Carta si auto-integra nei Trattati perché la sua struttura “per principi” si
integra con la fattispecie dell’art. 6 TUE: aperta appunto ai “principi generali del diritto
comunitario”, A. MANZELLA, Dal Mercato ai diritti, in AA. VV. Riscrivere i diritti in Europa. La
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, Bologna, Il Mulino, 2001, 37 ss.
91
E’ attualmente vivace il dibattito sulla continuità/discontinuità tra il Trattato di Lisbona e
la Costituzione europea: a tal proposito occorre segnalare che se nella Costituzione era
esplicitamente affermato “il primato del diritto dell’Unione europea”, ed in essa veniva
riprodotta la Carta dei diritti fondamentali, nel Trattato di Lisbona non vi è alcun rimando al
“primato” del diritto europeo, richiamato invece nella Dichiarazione n. 17, ove non è
ricompresa la Carta dei diritti fondamentali (cfr. il sito internet http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2008:115:0335:0359:IT:PDF).
92
Il riferimento è all’esito negativo dei referendum del 2005 di Francia ed Olanda sulla
ratifica del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, firmato a Roma il 29 ottobre
2004, definito da parte della dottrina come vero e proprio Trattato-Costituzione: nell’ampia
bibliografia si veda S. GAMBINO, Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, Costituzioni
nazionali, diritti fondamentali, Milano, Giuffrè, 2006.
93
53
Per quanto riguarda l’aspetto relativo all’adesione dell’Unione alla
CEDU, essa non comporta alcuna modifica delle competenze dell’Unione
medesima, ed è l’art. 218 del Trattato ad occuparsi della procedura per tale
adesione94.
Su tale ultima questione si rappresenta che sono attualmente in corso i
negoziati tra l’Unione europea e gli stati aderenti alla Convenzione95, tuttavia
94
E. CALZOLAIO, Europa dei diritti e Giudice europeo, in Citt. Eur., 2011:“Un primo problema è
posto dalla stessa formulazione dell’articolo 6 TUE, che si riferisce alla Convenzione e non riguarda i
protocolli dove si trovano riconosciuti diritti di particolare rilievo. Occorrerà vedere se il negoziato
condurrà ad un’adesione dell’UE anche ai protocolli. Un secondo profilo attiene alla necessità di
definire la posizione dell’Unione che non è uno “stato”, né federazione di stati, ma un organismo
internazionale le cui competenze derivano dalla loro attribuzione da parte degli stati membri. Il
problema si porrà immediatamente, ad esempio, con riferimento ai vari articoli della Convenzione che
contengono le parole “nazionale” o “stato”. Peraltro, l’Unione non è destinata a divenire membro del
Consiglio d’Europa e pertanto non contribuisce alle spese di funzionamento della Corte, sicché
dovranno prevedersi opportuni correttivi al riguardo. Un terzo ordine di questioni concerne i profili
istituzionali e i riflessi dell’adesione dell’UE sulla composizione della Corte Edu; in proposito si
prospetta un ventaglio di ipotesi, che vanno dalla nomina di un Giudice ad hoc per ogni causa che
riguarda il diritto dell’Unione, alla nomina di un Giudice effettivo che partecipi però alle sole cause
relative all’Unione, alla nomina di un Giudice a tutti gli effetti”. Tra gli effetti si evidenzia che
l’adesione permetterebbe alle istituzioni europee di prendere parte ad un procedimento
davanti alla Corte di Strasburgo quando ad essere oggetto del ricorso sia un atto
comunitario, così come ogni Stato membro coinvolto in una procedura con sfumature
comunitarie potrebbe invitare l’Unione ad intervenire quale terza parte ad adiuvandum,
sottoponendo così anch’essa, al pari degli stati, ad un controllo giurisdizionale esterno nella
tematica dei diritti umani.
Nell’interrogazione parlamentare del Parlamento europeo del mese di febbraio 2012 si
legge “La Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) è il meccanismo per la salvaguardia dei
diritti umani più avanzato al mondo e consente ai singoli cittadini di citare in giudizio i governi
responsabili di violazioni dei diritti fondamentali dinanzi a una Corte europea. L'Unione europea ha
sempre accordato la massima importanza alla CEDU, come dimostra il fatto che l'entrata di uno stato
in seno al Consiglio d'Europa e la sua adesione alla CEDU sono un presupposto per l'adesione
all'UE. L'articolo 6 del TUE sancisce l'obbligo giuridico dell'Unione di aderire alla CEDU. Alla luce
di tale obbligo, è allarmante che l'adesione sia attualmente ritardata dalle obiezioni politiche del Regno
Unito e della Francia. Il 25 gennaio 2012, i rappresentanti dell'Assemblea parlamentare del Consiglio
d'Europa (APCE), comprendente 47 nazioni, e il Parlamento europeo hanno esortato i governi
nazionali - in particolare il Regno Unito e la Francia - a non ostacolare l'adesione dell'UE alla
CEDU. Nello stesso tempo, il governo del Regno Unito, che detiene attualmente la presidenza del
Consiglio d'Europa, ha annunciato che concentrerà l'attenzione sul proseguimento delle riforme della
CEDU; il presidente della Corte europea dei diritti dell'uomo ha sottolineato la responsabilità che
grava sugli stati aderenti nel garantire che le sentenze siano applicate, mentre l'APCE ha aggiunto
che gli stati devono affrontare i problemi strutturali o sistemici e rafforzare la Corte europea dei diritti
dell'uomo al fine di garantirne l'efficacia. In tale contesto, vale inoltre la pena ricordare che, bloccando
l'adesione dell'Unione alla CEDU, i governi violano il principio di leale cooperazione (articolo 4,
95
54
il problema principale è costituito dalla difficoltà di conciliare il controllo
della Corte di Strasburgo con il ruolo fondamentale che i Trattati
attribuiscono alla Corte di Lussemburgo: malgrado non siano mancati coloro
che hanno evocato i rischi di un’adesione incondizionata, la Commissione ha
fin dall’inizio scelto di minimizzare la situazione, sostenendo fra l’altro che il
controllo esterno della CEDU sull’Unione in materia di rispetto dei diritti
fondamentali costituisce un obiettivo politico ed altamente simbolico che
l’Unione deve assolutamente perseguire.
Questo tema di importanza storica rappresenta senz’altro una tappa
verso l’unificazione giuridica, sociale, oltre che economica dell’Unione96.
paragrafo 3, del TUE), in virtù del quale l'Unione e gli stati membri si rispettano e si assistono
reciprocamente nell'adempimento dei compiti derivanti dai trattati. Il trattato impone inoltre agli stati
membri di facilitare all'Unione l'adempimento dei suoi compiti e di astenersi da qualsiasi misura che
rischi di compromettere la realizzazione degli obiettivi dell'Unione. - Qual è la posizione della
Commissione in merito al tentativo di alcuni stati membri di ostacolare l'adesione alla CEDU, tenuto
conto del principio di leale cooperazione sancito all'articolo 4 del TUE?- Quali misure intende
prendere la Commissione per rafforzare l'attuazione negli stati membri e ridurre il numero elevato di
ricorsi ripetitivi alla Corte europea dei diritti dell'uomo, il che costituisce un presupposto necessario a
ogni ulteriore concreto passo avanti verso un accordo sulla riforma della Corte? - Quali sono le
proposte e le psizioni dell'UE e dei suoi stati membri in seno agli organi del Consiglio d'Europa - e in
Relazione ad essi - concernenti l'adesione e la riforma della Corte europea dei diritti dell'uomo- gli
stati membri hanno intenzione di adottare una linea comune europea sulla base degli articoli 2 e 6 del
TUE? - Qual è il calendario previsto per l'adesione dell'UE alla CEDU?”(si veda il sito internet
http://www.europarl.europa.eu/plenary/it/parliamentary-questions.html). L’adesione, come si
evince dal progetto di raccomandazione adottato nel marzo del 2010 dalla Commissione,
deve perseguire cinque aspetti: neutralità verso i poteri dell’Unione; neutralità verso gli
obblighi degli stati membri; interpretazione autonoma del diritto comunitario; pari
opportunità per l’Unione di rappresentanza, alla stregua degli stati comunitari, negli organi
dell’Unione; mantenimento del sistema della Corte EDU. L’Unione europea diventerebbe il
48 firmatario della CEDU, e potrebbe designare un proprio Giudice alla Corte europea. Un
ulteriore vantaggio potrebbe essere rappresentato dalla predisposizione di una nuova via di
ricorso a beneficio dei singoli individui che, una volta esaurite tutte le vie di ricorso
nazionali, potrebbero adire la Corte europea dei Diritti dell’Uomo in caso di presunte
violazioni dei diritti fondamentali da parte dell’UE. Tutto ciò assegnerebbe in questo campo
una posizione di primato all’Europa attraverso un apparato normativo e giurisdizionale così
sviluppato ed attrezzato, con ben due corti europee, a composizione trasnazionale oltre che
in posizione sovranazionale (Strasburgo/Lussemburgo), incaricate di darvi attuazione.
“Oggi è un momento veramente storico. Stiamo predisponendo l’anello mancante del sistema
europeo di tutela dei diritti fondamentali, che garantisce coerenza fra gli approcci del Consiglio
d’Europa e dell’Unione europea”, ha dichiarato la Vicepresidente Reding, Commissario
96
55
Tre sono i punti qualificanti del Trattato di Lisbona che riguardano il
tema dei diritti fondamentali: il preambolo, l’art. 2 e l’art. 697, a cui poi si
aggiungono le disposizioni della Carta europea dei diritti fondamentali.
Il preambolo recita che “dalle eredità culturali, religiose ed umanistiche
dell’Europa, si sono sviluppati i valori universali dei diritti inviolabili e inalienabili
della persona, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza e dello Stato di
diritto”.
A sua volta, l’art. 2 ribadisce che “l’Unione si fonda sui valori del rispetto
della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di
diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a
minoranze, questi valori sono comuni agli stati membri in una società caratterizzata
europeo per la Giustizia, i diritti fondamentali e la cittadinanza. “L’UE ha un ruolo importante
da svolgere nell’ulteriore rafforzamento del sistema di tutela dei diritti fondamentali instaurato dalla
Convenzione. Noi abbiamo già la nostra Carta, che rappresenta la più moderna codificazione dei diritti
fondamentali del mondo. È un ottimo presupposto per il raggiungimento di un’intesa fra i partner del
negoziato.” Della stessa opinione Jagland, Segretario generale del Consiglio d’Europa, che ha
affermato: “La Convenzione europea dei diritti dell’uomo è il riferimento fondamentale per la tutela
dei diritti dell’uomo in tutta Europa. Accettando di sottoporre il lavoro delle proprie istituzioni alle
stesse norme sui diritti dell’uomo e allo stesso controllo che si applicano a tutte le democrazie europee,
l’Unione europea invia un messaggio molto forte: l’Europa sta cambiando e i più influenti e i più
potenti sono pronti ad accettare la loro parte di responsabilità perché tale cambiamento avvenga e a
sostenerlo.” I profili problematici non sono pochi e la strada non è né breve, né agevole:
all’esito dei negoziati, infatti, l’accordo di adesione dovrà essere concluso all’unanimità dal
Consiglio Europeo, approvato dal Parlamento Europeo e successivamente da tutti i
Parlamenti nazionali secondo le rispettive procedure.
Art. 6 (ex articolo 6 del TUE): 1. L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti
nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adottata il 12
dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati. Le disposizioni
della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell'Unione definite nei trattati. I
diritti, le libertà e i principi della Carta sono interpretati in conformità delle disposizioni
generali del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e applicazione e
tenendo in debito conto le spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta, che indicano le fonti
di tali disposizioni. 2. L'Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze
dell'Unione definite nei trattati. 3. I diritti fondamentali, garantiti dalla Convenzione europea
per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle
tradizioni costituzionali comuni agli stati membri, fanno parte del diritto dell'Unione in
quanto principi generali.
97
56
dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla
solidarietà e dalla parità tra uomini e donne”.
Per quanto riguarda l’art. 6, par. 1, in esso si rinviene il riconoscimento
da parte dell’Unione dei diritti, libertà e principi sanciti nella Carta dei diritti
fondamentali, alla quale viene assegnato lo stesso valore giuridico dei
Trattati, venendo meno il carattere di soft law in precedenza attribuitole.
Pertanto, oggi, la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea,
solennemente proclamata a Nizza nel 2000, e poi in una versione adattata a
Strasburgo nel 2007, rappresenta il simbolo per eccellenza dell’importanza
della centralità della persona nell’ambito dell’Unione europea e dimostra
l’impegno a favore dei diritti dei suoi cittadini98.
Il fatto che essa sia posta al di fuori dei Trattati non implica alcun
depotenzialismo, e come è stato autorevolmente osservato “solo in tal modo,
sottratta alle eventuali modifiche dei trattati e dotata di un valore autonomo, essa è
lontana dalle vicende politiche ed istituzionali”99.
Secondo taluni approcci dottrinari a seguito della “incorporazione
sostanziale” della Carta all’interno del Trattato di Lisbona, il processo
d’integrazione europeo si presterebbe ad essere valutato come un vero e
proprio momento costituzionale, nel significato ackermaniano di un momento
politico caratterizzato da discontinuità e trasformazione.
Con il Trattato di Lisbona, che ha modificato il Trattato sull’Unione europea e il Trattato
istitutivo della Comunità europea, l’Unione si è trasformata da comunità prettamente
economica in comunità anche politico giuridica: tale giudizio trova conferma nell’articolo 2
che fonda l’Unione sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia
e dell’uguaglianza e nell’articolo 3 che assegna all’Unione lo scopo di promuovere la pace.
98
S. RODOTÀ, Relazione, in I diritti umani e fondamentali nella formazione dell’Avvocato Europeo,
in Atti del convegno promosso dal CNF e dalla Scuola Superiore dell’Avvocatura con l’alto patronato
del Presidente della Repubblica, Roma 9-10 aprile 2008, G. ALPA e A. MARIANI MARINI (a
cura di), Pisa, Edizioni Plus, 2010.
99
57
Alla luce di queste premesse la Carta, concepita come un Bill of Rights
di un’Europa ormai divenuta politica100, costituisce un grande strumento di
civiltà e crea una nuova tavola di valori dell’Unione che non è più
caratterizzata dai tradizionali riferimenti al Mercato.
Il valore giuridico vincolante della Carta inaugura una nuova fase
delle fonti normative di riferimento in merito alla protezione dei diritti
fondamentali: alle costituzioni nazionali e alla CEDU, si aggiunge la Carta di
Nizza.
La sua efficacia giuridica insieme all’adesione formale dell’Unione
europea alla CEDU per merito del Trattato di Lisbona, apre nuove
prospettive nel percorso relativo alla tutela dei diritti umani nell’area
europea e rivela un nuovo equilibrio raggiunto tra i diritti ed il Mercato101.
Tale approccio stimola a che si prendano in seria considerazione le
conseguenze, già operative in termini di primato e diretta applicabilità del
diritto dell’Unione europea su quello degli stati membri, della piena forza
giuridica all’interno del diritto dell’Unione delle norme di protezione dei
diritti e delle libertà fondamentali, in un quadro di un inedito
costituzionalismo multilevel, ove tali strumenti sono rimessi alle corti
S. GAMBINO, Diritti fondamentali e Unione europea, Diritti fondamentali e Cittadinanza
dell’Unione europea, L. MOCCIA (a cura di), Quaderni del Centro Altiero Spinelli, Franco Angeli,
2010, 27.
100
Con riguardo alla Polonia ed al Regno Unito nel Protocollo n. 30 sull’applicazione della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea è prevista una sorta di clausola di optingout che estende il c.d. principio dell’integrazione differenziata anche nel delicato ambito
della protezione dei diritti fondamentali. Ciò implica che l’operatività della Carta è ammessa
in questi stati solo in quanto non contrasti con le norme e l’azione amministrativa statali,
dunque né la Corte di Giustizia dell’Unione europea, né gli organi giurisdizionali britannici
e polacchi dovranno mai pronunciarsi sulla compatibilità delle norme interne con quanto
contenuto nella Carta.
101
58
costituzionali nazionali, alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, alla
Corte europea dei diritti dell’uomo, nonché ai giudici nazionali102.
Secondo parte della dottrina la tutela multilivello dei diritti
fondamentali, sotto il profilo delle fonti, potrebbe creare tensioni e confusioni
a discapito del bene della certezza giuridica; a queste osservazioni si è
obiettato che la Carta non è una fonte esclusiva, né un’alternativa alla
Convenzione, ma costituisce un completamento di quest’ultima.
La clausola generale di cui all’art. 53, par. 3, della Carta sancisce che i
diritti riconosciuti e corrispondenti a quelli della CEDU devono assumere lo
stesso significato e ambito applicativo, potendosi in tal modo dedurre una
certa omogeneità tra i due sistemi.
Tuttavia con riguardo al contenuto si evidenzia, come i principi di cui
alla Carta dei diritti fondamentali non coincidono completamente con le
disposizioni CEDU: per esempio sul rispetto della privacy la Carta prevede
all’art. 7 una protezione di tipo statico sul modello dell’art. 8 della CEDU, ma
inserisce anche un nuovo diritto alla protezione dei dati di carattere
personale dal quale deriva un controllo più incisivo.
In generale sembrerebbe che il filo di continuità tra la Convenzione e
la Carta dei diritti possa essere facilmente rintracciato in ciò che ambedue
questi testi forniscono, ossia il lessico di base di un moderno diritto comune
europeo per cui la nozione di Europa dei diritti appare caricarsi di forza
espansiva, nel senso della spinta verso una convergenza degli ordinamenti
interni103.
P. BILANCIA e E. DE MARCO, La tutela multilivello dei diritti. Punti di crisi, problemi aperti,
momenti di stabilizzazione, Milano, Giuffrè, 2004; F. SORRENTINO, La tutela multilivello dei
diritti, in Riv. it. dir. pub. com., 2005; A. RUGGERI, Sistema integrato, tecniche interpretative,
tutela dei diritti fondamentali, in Pol. dir., 2010.
102
L. MOCCIA, Europa dei diritti: soggetti deboli e tutele , disponibile al sito internet
http://www.europeanrights.eu/public/commenti/Moccia.pdf.
103
59
La formulazione del principio di dignità a livello europeo esprime una
nuova prospettiva di ragione pubblica: nonostante i suoi contenuti siano
ampiamente presenti nelle varie costituzioni europee, i riferimenti specifici
della Carta a questioni nuove, quali ad esempio la bioetica, costituiscono
elementi fortemente innovativi dal punto di vista della formalizzazione di
nuovi diritti.
§4 LA NUOVA ERA DELLA DIGNITÀ DELLA PERSONA
Per fondamento dei diritti fondamentali si possono intendere quelle
ragioni morali che derivano dalla dignità dell’uomo e che costituiscono le
condizioni sociali della sua realizzazione104.
Il cuore della dottrina dei diritti umani è rappresentato dal concetto di
dignità della persona: rispettare, proteggere, garantire quei diritti significa
tutelare la dignità dell’uomo105.
J. HABERMAS, Il futuro della natura umana, Milano, Einaudi, 2001, “La dignità umana ha
natura strettamente relazionale,difatti solo in una comunità di uomini ci si può obbligare a vicenda
sul piano morale e attendersi l’uno dall’altro il rispetto delle norme. Solo la relazionalità dei diritti e
doveri morali può fornire il giusto valore di inviolabilità alla dignità umana. Il Sé dell’individuo può
nascere soltanto lungo la via sociale dell’alienazione e può stabilizzarsi soltanto in un reticolo di
rapporti di riconoscimento. Questa dipendenza che ci lega agli altri giustifica la nostra dignità e
spiega anche la nostra reciproca vulnerabilità.”
104
Sulla dottrina cattolica dei diritti umani, che pone in evidenza soprattutto quanto sia in
linea con il credo religioso che la sorregge, e il valore della dignità secondo tale concezione,
si veda G. ALPA, La costruzione giuridica delle differenze individuali, op. cit., 162 ss.: “In una
acuta sintesi Francesco Viola indica i capisaldi dello svolgimento della dottrina sociale della Chiesa: a)
il primato della persona, da cui deriva la dignità tendente alla eguaglianza al di là delle differenze
economiche e di status; ciò significa anche indipendenza e quindi libertà dell’uomo da servaggi
condizionanti lo spirito e la necessaria ricerca della libertà dello spirito; il diritto-dovere dell’uomo a
rendersi libero nella propria coscienza e a rifiutare o a sottrarsi alla schiavitù dello spirito; b) l’ordine
della persona, che è l’ordine morale secondo la tavola di valori che sono preordinati alla persona stessa;
c) la natura sociale della persona: l’uomo nasce attraverso gli altri”. Si veda altresì L. GORMALLY,
in Catholic Bioethics in a secularised society, Priest and People, 1997, 413 ss., “Nella concezione
cristiana classica tale valore, o dignità, può essere definito nei modi seguenti: (1) il valore, o la dignità,
che gli esseri umani possiedono in virtù della loro natura creata, una dignità che è insita in questa
105
60
Si tratta di un principio dalle molteplici sfumature e il quesito
preliminare da risolvere riguarda il suo significato, se si tratta di un concetto
fumoso e inafferrabile o se ne può fare un’applicazione pratica106.
La dignità rileva oggi anche dal punto di vista normativo, in quanto è
presente nella maggior parte delle Carte internazionali e nazionali dei diritti
fondamentali: nella Dichiarazione universale, nei Patti civili e politici e in
quelli economici sociali e culturali allegati alla stessa, nella Convenzione sui
Diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, e in quella di Ginevra del 1955 sul
trattamento dei prigionieri, in numerose costituzioni nazionali, nella Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione europea dove, sia pure con modalità
differenti, si riscontra un riferimento costante al tema dell’inviolabilità e del
rispetto della dignità.
La natura teleologicamente personalista dell’ordinamento italiano
sembrerebbe trovare nel concetto di dignità umana la propria norma di
chiusura sostanziale: esso è il risultato della positivizzazione sul piano
politico e giuridico di un valore di origine etica107.
È al filosofo tedesco Immanuel Kant che si devono la maggior parte
delle teorie moderne a fondamento del riconoscimento universale dei diritti
umani; detto riconoscimento trae la sua giustificazione con la tutela della
natura, e che come tale appartiene a tutti gli esseri umani; (2) la dignità che appartiene a quegli esseri
umani che vivono completamente in accordo con il fine o l'intento che Dio riserva agli esseri umani;
infine (3) la dignità che appartiene alla perfezione della vita umana in paradiso. Queste potrebbero
essere chiamate (1) dignità ontologica o innata, (2) dignità esistenziale o acquisita, e (3) dignità
definitiva. La concezione contemporanea tipicamente laicista della dignità umana nega che ci sia una
dignità innata che attiene agli esseri umani in quanto tali, nega che soltanto alcune disposizioni o
scelte siano coerenti con il raggiungimento della dignità esistenziale, ed afferma che la dignità
esistenziale è collegata all'esercizio della capacità di determinare sia ciò che è da considerare di valore,
sia il modo di vivere la propria vita”.
106
A. CASSESE, I diritti umani oggi, op. cit., 54 ss.
Hanno evidenziato in questi termini la funzione assolta dalla dignità umana nel quadro
della problematica della gerarchia dei valori costituzionali, A. RUGGIERI e A. SPADARO,
Dignità dell’uomo e giurisprudenza costituzionale -prime notazioni-, in Pol. dir., 1991, 347 s.
107
61
dignità umana“l’umanità è essa stessa dignità”, pertanto l’uomo non può mai
ridursi ad essere trattato come un semplice mezzo, ma sempre come un
fine108.
“L’uomo considerato come persona – sostiene Kant- è al di sopra di ogni
prezzo”: la dignità dell’uomo, dunque, consiste in un valore intrinseco
assoluto che impone a tutti gli altri esseri ragionevoli il rispetto sia della
propria persona, che della persona altrui109.
Secondo il filosofo il rispetto verso gli altri consiste nel riconoscimento
della loro dignità, ed il disprezzo è costituito dalla negazione del rispetto
dovuto, in generale, a qualsiasi uomo110.
Nei tempi più recenti si è innescata la c.d. rivoluzione della dignità: il
pensiero corre alla crisi finanziaria, economica, e globale che incide
profondamente su diversi ambiti relativi alla persona e all’esercizio della sua
Fondazione della metafisica dei costumi, Kant, 1785, traduzione e introduzione di F. GONELLI,
Bari-Roma, Laterza, 1997 ove vengono riportate le parole del filosofo secondo cui l’umanità,
l’essere uomo, è essa stessa una dignità: l’uomo non può essere trattato dall’uomo come un
semplice mezzo, ma deve essere trattato anche come un fine. In ciò consiste appunto la sua
dignità (personalità), ed è in tal modo che egli si eleva al di sopra di tutti gli esseri viventi
che non sono uomini e possono servirgli da strumento. Il filosofo ha spiegato queste parole
sostenendo che l’uomo, considerato nel sistema della natura (homo phaenomenon –elemento
del mondo sensibile) è un essere di importanza mediocre ed ha un valore modesto che
condivide con tutti gli altri animali che produce la terra. Ma, considerato come persona, e
cioè come soggetto di una ragione moralmente pratica, l’uomo è al di sopra di qualunque
prezzo. Perché da questo punto di vista, come homo noumenon (membro del mondo
intellegibile), egli non può essere considerato come un mezzo per i fini altrui, o anche per i
propri fini, ma come un fine in se stesso, e cioè egli possiede una dignità (un valore interiore
assoluto) mediante cui costringe tutte le altre creature ragionevoli al rispetto della sua
persona e può misurarsi con ciascuna di esse e considerarsi uguale ad esse.
108
In dottrina è stato rivelato come questo pensiero kantiano, in realtà, non è del tutto nuovo
nella storia dell’uomo: a tratti, anzi, sembra la traduzione in termini filosofici di idee già
espresse nei Vangeli, ove Cristo esorta ad amare “il prossimo tuo come te stesso” (Matteo,
22,39) ed a considerare l’altro alla stregua del proprio io.
109
Partendo da tali presupposti, Kant ha sostenuto che è contrario al concetto di dignità
persino punire in modo disumano l’uomo più maligno che esista e che le pene infamanti
disonorano tutta l’umanità.
110
62
dignità, primo tra tutti quello dell’occupazione quale essenziale condizione,
ai sensi degli artt. 1 e 4 della Costituzione italiana, per la pari dignità111.
Dall’analisi storica dello sviluppo della dignità umana risulta che la
stessa è la derivazione di quattro valori, ossia la libertà, l’uguaglianza, la
sicurezza e la solidarietà, che operano e si orientano in modo differente112.
Per cercare di definire la dignità, per coglierne le potenzialità, essa va
considerata un ponte tra il passato, il presente ed il futuro che ha quale punto
di riferimento la persona umana, con le sue caratteristiche peculiari di
eguaglianza e di diversità al tempo stesso113.
Nell’art. 36 la dignità è riproposta in una prospettiva ancor più concreta, affermando che
la persona ha diritto ad una retribuzione che le consenta un’esistenza libera e dignitosa.
Questi concreti riferimenti al valore aprono la strada ad una riflessione su un altro principio,
già ab origine presente nella nostra Costituzione, ma esplicitato dalla recente riforma del
titolo V: quello di sussidiarietà non solo verticale (istituzionale), ma anche orizzontale (della
società civile). La sussidiarietà è un grande principio di libertà e responsabilità che in
verticale distribuisce il potere istituzionale tra i diversi livelli e in orizzontale distribuisce la
produzione pubblica tra Istituzioni, società ed economia, coinvolgendo la responsabilità
delle persone, i poteri sociali ed economici e perciò i rapporti tra Stato, società e Mercato. Il
principio di sussidiarietà, espressione del principio di prossimità, e quindi di particolare
concretezza nell’affrontare la problematica dell’effettività dei diritti fondamentali,
soprattutto quelli sociali, apre la via ad una riflessione particolarmente attuale, nella crisi che
stiamo vivendo: la ricerca di nuovi modelli di valori e di regole che superino la rigidità della
contrapposizione tradizionale tra pubblico e privato, e l’altrettanto tradizionale
contrapposizione tra privato e sociale. Recenti studi di economia hanno argomentato che il
problema etico-civile per eccellenza riguarda la finanza, che ha progressivamente perduto
ogni contatto con l’economia reale che invece crea lavoro e distribuisce la ricchezza prodotta
nutrendosi dei valori della sussidiarietà e dello sviluppo nella solidarietà, presupposto del
connubio tra economia e valori. Per il c.d. paradigma delle 3S, sussidiarietà, solidarietà,
sviluppo si veda A. Q. CURZIO, Economia oltre la crisi, Roma, Editrice La Scuola, 2012.
111
Se la libertà può esser considerata come un valore materiale, l’uguaglianza concretizza
una funzione sostanziale di supporto al valore della libertà. La sicurezza è invece un valore
formale o processuale, mentre la solidarietà è un principio relazionale che rende vivi gli altri
tre.
112
G.M. FLICK, La Costituzione, i diritti, la dignità delle persone, Relazione svolta all’incontro
“Parole di giustizia. Nuovi diritti e diritti negati” - La Spezia, 17 maggio 2009.
113
63
Dignità, come è stato autorevolmente affermato, non è solo una
parola, è al tempo stesso un valore, un principio, una clausola generale, un
elemento connotante un sistema giuridico, e insieme un limite114.
Il principio in parola, che è stato definito anche “il gioiello della corona”,
ha suscitato in ugual modo gli apprezzamenti più enfatici e le perplessità più
disarmanti: in dottrina sono emerse posizioni disparate.
Prendendo atto dell’ambiguità del concetto è stato proposto di
cancellarlo dalle tavole dei valori di riferimento, lo si è assunto quale base di
una nuova antropologia umana, è stato considerato come il punto di
sostegno di tutto l’organismo comunitario, oppure se ne è parlato come una
scatola vuota suscettibile di consentire, così come gli altri principi generali,
diverse manipolazioni interpretative115.
A fronte di queste visioni così diverse tra loro, non appare esagerata
l’enfasi di chi ha parlato della dignità come un concetto trinitario, in quanto
riferito alla persona e pertanto alla sua dimensione organica, fisica e
simbolica116.
Nelle costituzioni europee gli approcci al tema della dignità sono stati
diversi, alcuni lo hanno affrontato in una prospettiva più generale ed
astratta, altri da un punto di vista più concreto.
La Costituzione tedesca fa riferimento nel primo articolo alla dignità
come un valore che va sempre rispettato e tutelato, dal quale discendono
114
G. ALPA, Dignità. Usi giurisprudenziali e confini concettuali, in Nuova giur. civ. comm., 2000.
Come sono quelle che consentono i principi generali, secondo l'insegnamento di G.
TARELLO, in Storia della cultura giuridica moderna. Assolutismo e codificazione del diritto,
Bologna, Il Mulino, 1976.
115
Così si esprime G. ALPA Introduzione a I diritti umani e fondamentali nella formazione
dell’avvocato europeo, Atti del convegno Roma 9-10 aprile 2008, promosso dal CNF e dalla scuola
superiore dell’avvocatura con l’alto patronato del Presidente della Repubblica, op. cit., 26.
116
64
tutti i diritti fondamentali: l’art. 1 del Grundgesetz è stato la fonte
d’ispirazione della Carta di Nizza117.
La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea nel primo
capitolo118, dal titolo Dignità, esordisce con l'affermazione che tale principio è
inviolabile e deve essere rispettato e protetto.
Si tratta di un valore che è, pertanto, carico di un forte significato
simbolico ed identitario, evidenziando come l’Unione europea non aspiri
solo ad un’integrazione economica ma propenda per un modello di sviluppo
capitalistico che pone al suo centro la persona, e in ciò fa consistere la sua
ragion d’essere119.
In altri casi, come ad esempio in Danimarca, Francia e Olanda, si
registra la mancanza di un esplicito riconoscimento costituzionale del
principio in parola: l’assenza di tale formalizzazione normativa non ha
implicato, però, un rifiuto del riconoscimento effettivo e concreto di tale
diritto.
In questi ordinamenti il vuoto costituzionale è stato colmato o
attraverso la legislazione speciale o attraverso iniziative di case-law.
Altre costituzioni, come quella portoghese e quella italiana, si
mostrano più pragmatiche e concrete relativamente alla dignità: si tratta di
riferimenti alla fondazione sociale del valore in parola, idonei ad evidenziare
il dovere dello Stato di rimuovere gli ostacoli sociali ed economici al suo
Una simile formulazione viene adottata anche dalla Costituzione finlandese che stabilisce
che “La Costituzione deve garantire l’inviolabilità della dignità umana” (sez. 1, par. 2).
117
Esso contiene cinque articoli: l’articolo 2 protegge il diritto alla vita e proibisce la pena di
morte; il diritto all’integrità della persona viene affermato nell’articolo 3 e riguarda sia
l’integrità fisica che mentale, riferendosi inoltre alle pratiche mediche e proibendo, peraltro,
l’eugenetica; la tortura e il trattamento inumano e degradante è proibito dall’articolo 4,
mentre l’articolo 5 pone il divieto della schiavitù, del lavoro forzato e del traffico degli essere
umani.
118
119
G. ALPA, ult. op.cit., 26.
65
effettivo sviluppo (art. 13, par.1 della Costituzione portoghese e art. 3, par.1
della Costituzione italiana, che si concentrano sul riconoscimento della
dignità sociale tra individui).
La Costituzione italiana riconosce che la dignità umana deve porre un
limite alle attività pubbliche e private (art. 41, par. 2) allo stesso modo della
Costituzione svedese ove si indica che il potere pubblico deve essere
esercitato in rispetto alla dignità dell’individuo, e che il dovere dello Stato è
quello di rimuovere gli ostacoli sociali ed economici120.
Il concetto di dignità che emerge da questa classe di costituzioni non
mira a proteggere in modo assoluto l’ambito individuale dell’ingerenza
autoritaria dello Stato, ma si limita piuttosto ad asserire la rilevanza di altri
diritti attraverso il criterio guida del principio della dignità121.
Nella Costituzione italiana sono numerosi i riferimenti impliciti a
questo valore: ad esempio nell’art. 1 della Costituzione in cui si proclama la
partecipazione alla sovranità, e nell’art. 2 ove si riconoscono e garantiscono i
diritti inviolabili dell’uomo122.
Menzioni implicite si rinvengono, inoltre, negli articoli che riguardano
gli status rispetto alle connotazioni individuali e sociali connesse con
l’appartenenza a gruppi e minoranze (artt. 6 e 8), nelle previsioni che
120
G.M. FLICK, La Costituzione, i diritti, la dignità delle persone, op. cit.
Si può menzionare l’articolo 1 della Costituzione portoghese che recita “la Repubblica è
basata sulla dignità della persona umana”, o la Costituzione spagnola secondo cui la dignità
della persona è “il fondamento dell’ordine politico e della pace sociale” (art. 10), o infine il
preambolo della Costituzione irlandese nel quale si dice che tale documento è finalizzato alla
difesa della dignità individuale.
121
In sede di lavori preparatori alla Costituzione, allo scopo di stemperare le
contrapposizioni fra i diversi orientamenti politici, Aldo Moro individuò efficacemente
l’architrave del futuro art. 2 Cost. nel riconoscimento del valore parimenti primari della
dignità umana e del pluralismo sociale: A. MORO, Intervento. Seduta del 13 marzo 1947, in La
Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea costituente, I, Roma, 1976, 373
ss.
122
66
riguardano l’inviolabilità della persona e la libertà personale (art. 13 Cost.), il
domicilio (art. 14), la corrispondenza (art. 15), la vita aggregata (artt. 17, 18,
19, 20), la libertà di opinione e stampa (art. 21), la capacità giuridica, la
cittadinanza e il nome (art. 22), il potere impositivo (art. 23), il diritto alla
difesa (art. 24), le modalità della pena (art. 27), il ruolo della famiglia e i
rapporti familiari (artt. 29, 30, 31), nella prospettiva di tutela della salute e dei
trattamenti sanitari (art. 32), da cui discendono i principi del consenso
informato
nel
trattamento
medico,
dei
limiti
alla
sperimentazione
terapeutica, del diritto ad una morte dignitosa, e nelle disposizioni che
riguardano l’acculturazione (artt. 33 e 34), il consumo e il risparmio (art.
47)123.
Inoltre il rispetto della dignità caratterizza tutto il sistema penale e
della giustizia: il principio della personalità della responsabilità penale,
quello della presunzione di non colpevolezza, quello di rieducazione e di
rispetto del senso di umanità nelle pene, ed in ultimo il divieto assoluto della
pena di morte (art. 27 Cost. italiana).
L’uso diretto o indiretto dell’espressione nel testo costituzionale non è
mai accompagnato da formule definitorie, che invece sono affidate alla
cultura, alla sensibilità e all’attenzione dell’interprete che ha il compito di
“riempirle” di significati124.
Sul punto, G. ALPA, Trattato di diritto civile. Storia, fonti, interpretazione, Milano, Giuffrè,
2000.
123
Un’utile griglia concettuale di riferimento è ora offerta da A. PODLECH, sub Art. 1, in
Alternativkommentar zum Grundgesetz, für die Bundesrepublik Deutschland, Band 1, Neuwied,
1989, 207 ss., secondo cui la garanzia della dignità si specifica in cinque elementi
fondamentali, che sono anche i presupposti della sua effettiva realizzazione: 1) condizioni di
sicurezza sociale (diritto al lavoro, minimo esistenziale, in genere prestazioni dello stato
sociale); 2) uguaglianza sostanziale; 3) garanzia dell’autonomia individuale e
dell’autodeterminazione dei soggetti; 4) limitazione del potere pubblico e stato di diritto; 5)
rispetto assoluto dell’autonomia individuale con riguardo alla dimensione della corporeità.
Questo tentativo di classificazione si colloca, in un certo senso, in una posizione mediana tra
le due principali accezioni della dignità emerse nel dibattito tedesco di questi anni: da un
124
67
Più volte è stato affermato che la dignità, intesa nel suo valore letterale
- dal latino “dignitas, dignus, decet”, “conviene”- è un concetto incerto che può
esprimere sia un giudizio di valori in termini specifici sia in termini generali.
lato la concezione tradizionale, vicina alle suggestioni giusnaturalistiche, che guarda alla
dignità come valore preesistente, da garantire e tutelare (tale posizione trova la sua più
compiuta espressione nel contributo di G. DÜRIG, Der Grundrechtssatz von der
Menschenwürde. Entwurf eines praktikablen Wertsystems der Grundrechte aus Art. 1 Abs. I in
Verbingung mit rt.19 Abs. II des Grundgesetzes, in AöR, 1956, 117 ss.), dall’altro la lettura
luhmanniana, che non intende la dignità come una qualità inerente alla natura umana, né
come un valore pre-dato che appartiene ad ogni individuo, bensì come una prestazione da
realizzare, come un prodotto dell’azione di soggetti autonomi e responsabili (N.
LUHMANN, Grundrechte als Institution. Ein Beitrag zur politischen Soziologie, II ed., Berlin,
1974, 53 ss., spec. 68 ss.). A ben vedere queste due tesi trovano una comune base di
riferimento nell’affermazione della centralità del momento dell’autonomia e della
soggettività individuale; come valore già dato o prestazione da realizzare (è sempre
l’elemento dell’autodeterminazione e della libera costruzione dell’identità che è collocato in
una posizione di primo piano). Questo presupposto vale anche a distinguere la lettura
prevalente da un terzo modo di guardare alla dignità, di recente espresso nelle pagine di H.
HOFMANN, Die Versprochene Menschenwürde, in AöR, 1993, 353 ss.: la dignità non come
valore o prestazione individuale, ma come concetto relazionale, come promessa e pretesa di
riconoscimento reciproco, come fondamento di una comunità che si riconosce nei valori
solidaristici (in questa prospettiva v. anche i penetranti rilievi di T. PECH, La dignité humaine.
Du droit à l’éthique de la relation, in Justices, [Dalloz hors-série], mai 2001, 90 ss.). Ma il quadro,
ovviamente, è ben più complesso e diversificato di quanto possano indicare alcuni
schematici riferimenti: per una più approfondita discussione dei vari tentativi di
concretizzazione della clausola della dignità e dei relativi riflessi operativi, cfr. P. HÄBERLE,
Die Menschenwürde als Grundlage der staatlichen Gemeinschaft, J. ISENSEE - P. KIRCHHOF (a
cura di), Handbuch des Staatsrechts der Bundesrepublik Deutschland, Band I, Grundlagen von Staat
und Verfassung, Heidelberg, 1987, 815 ss., spec. 833-853; H. DREIER, sub Art. 1, Grundgesetz
Kommentar (a cura di) H. DREIER, Band I, Tübingen, 1996, 103 ss.; C. ENDERS, Die
Menschenwürde in der Verfassungsordnung. Zur Dogmatik des Art. 1 GG, Tübingen, 1997, 5 ss.;
nel contesto francese è invece utile confrontare soprattutto B. EDELMAN, La dignité de la
personne humaine, un concept nouveau, in D., 1997, 185 ss. e T. PECH, op. cit.; sulle alternative
ricostruttive che più direttamente si pongono all’interprete italiano, v. il già citato saggio di
G. ALPA, Dignità. Usi giurisprudenziali e confini concettuali, op. cit., 417 ss., ed i molteplici
studi di F. D. BUSNELLI, ora raccolti in Bioetica e diritto privato. Frammenti di un dizionario,
Torino, Giappichelli, 2001 (cfr. in particolare Bioetica e diritto privato, 1 ss., e Rifiuto di terapie,
225 ss.). Per una migliore comprensione del concetto sono fondamentali le riflessioni dello
storico: v. P. KONDYLIS - V. PÖSCHL, (voce) Würde, O. BRUNNER - W. CONZE - R.
KOSELLECK (a cura di), Geschichtliche Grundbegriffe. Historisches Lexikon zur politisch-sozialen
Sprache in Deutschland, Band 7, Stuttgart, 1992, 637 ss.; W. SCHILD, (voce) Würde, in
Handwörterbuch zur deutschen Rechtsgeschichte, 5, Berlin, 1996, 1539 ss.
68
Difatti per un verso esso è strettamente legato – lo diceva già Kant125 alla
responsabilità,
all'autonomia
di
decisione
della
persona,
all’autodeterminazione e all’autocoscienza (al suo essere e dover essere
sempre e soltanto un fine e non un mezzo o uno strumento), per l’altro le
tradizioni costituzionali lo connettono alla concretezza nella realtà dei
rapporti, delle disuguaglianze di fatto e delle differenze che incidono
sull'autonomia delle persone126.
Il pluralismo è un valore essenziale della vita sociale e assume valenza
di principio al pari di quello personalistico, con il quale è strettamente in
sinergia127: pertanto, se nella prospettiva individuale, per usare il linguaggio
della Dichiarazione universale, la dignità è il fondamento di tutti i diritti e li
riassume in sé, si ritiene non dubbia la sua inviolabilità, vale a dire che il
principio in parola deve essere rispettato e tutelato in ciascun essere umano.
La giurisprudenza ha avuto un compito definitorio importante dei
contenuti del valore in parola128, e l’ha utilizzato frequentemente per
Particolarmente significative le parole di Kant il quale ha osservato che nel regno dei fini,
tutto ha un prezzo o una dignità. Ciò che ha un prezzo può essere sostituito con qualcosa
d’altro come equivalente. Ciò che invece non ha un prezzo, e dunque non ammette alcun
equivalente, ha una dignità, ciò che costituisce la condizione sotto la quale, soltanto,
qualcosa può essere fine in sé stesso, non ha semplicemente un valore relativo, ossia un
prezzo, ma un valore intrinseco, ossia dignità” (Fondazione della metafisica dei costumi,
traduzione e introduzione di F. GONELLI, op. cit.).
125
Non a caso l'art. 3 della Costituzione colloca la pari dignità sociale come momento di
passaggio tra l'eguaglianza formale del primo comma (tutti siamo uguali di fronte alla legge
senza alcuna distinzione) e quella sostanziale, legata al fatto che tutti, in realtà, siamo
profondamente diversi fra noi. Proprio per questo, secondo l’art. 3, la Repubblica ha
l'obbligo di rimuovere quelle differenze di fatto che trasformano le difficoltà e le diversità in
fattori di esclusione, di discriminazione, di sopraffazione.
126
Come dice l’Europa: “l’unità nella diversità”, formula enfatica che evoca sia il significato
della cittadinanza europea, sia le problematiche sottese ad un unione di popoli che oggi è
tutta tesa a rafforzare la sua dimensione politica.
127
Sentenza del 29 novembre 1985, n. 5977, Cass. Civ., sez. lav., in Orient. giur. lav., 1985,
1147: “La tesi aristotelica, secondo cui vi sono uomini nati per comandare e uomini nati per ubbidire è
superata da più di duemila anni, per cui il lavoratore offeso nella sua dignità di uomo ben può chiedere
128
69
delimitare l’area degli interessi apprezzabili in cui è coinvolto l’individuo e la
sua dignità: la clausola generale diviene, allora, un limite preordinato alla
garanzia di interessi primari che non possono essere travalicati né dai poteri
pubblici, né dai soggetti privati nell’esercizio della loro autonomia, ed
oggetto di manipolazioni interpretative da parte dei giudici.
In generale sono numerose le problematiche della società moderna che
riguardano il rispetto di tale principio: si pensi al progresso scientifico in
tema di bioingegneria, di manipolazioni genetiche129, al dibattito sul diritto
alla morte con dignità e a quello relativo al testamento biologico.
Si pensi a tutte le problematiche sottese al Mercato e alla salvaguardia
della dignità, o meglio alla difficile compatibilità fra la logica del primo e gli
obiettivi e le esigenze dello sviluppo sostenibile, alla finanziarizzazione
dell'economia, al profitto contro la solidarietà, alle nuove tecniche
dell'informazione volte allo sfruttamento commerciale della stessa.
Si pensi, ancora, alle misure contro il terrorismo che per esigenze di
sicurezza finiscono per realizzare una compressione dei diritti fondamentali,
al problema del velo e a quello delle mutilazioni femminili.
la risoluzione del rapporto e il risarcimento dei danni che ne derivano. La dignità del lavoratore è
l’estrinsecazione della persona umana nella caratteristica che le è propria di ordinare le sue azioni al
più alto grado di compimento, in vista di uno scopo comune, quale sviluppo del consorzio di vita
economica, sociale e spirituale in cui vive, affinamento della propria coscienza e capacità di
esteriorizzare, anche solo con il comportamento, il principio di elevazione morale, insito in ogni uomo.
La prestazione di lavoro è impossibile in una condizione di disprezzo di essa, di disprezzo della
persona che la rende, di disprezzo degli uomini che vi attendono, e, quindi, in una condizione di
costruzione ad eseguirla senza dignità e senza libertà, pena la disoccupazione in caso di rifiuto”.
Interessante il riferimento alla dignità all’interno della Convenzione di Oviedo del 4 aprile
del
1997
(disponibile
al
sito
internet
http://www.coe.int/t/dg3/healthbioethic/texts_and_documents/ETS164_Italian.pdf)
per
consentire, entro certi limiti, i prelievi, la ricerca scientifica, i trapianti, l’uso di cellule e di
embrioni: “le parti proteggono l’essere umano nella sua dignità e nella sua identità e garantiscono ad
ogni persona, senza discriminazione, il rispetto della sua integrità e dei suoi altri diritti e libertà
fondamentali riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina”.
129
70
Si tratta di questioni di estremo interesse e bruciante attualità, la cui
unica soluzione potrebbe essere quella di guardare alla dimensione sociale
della personalità.
La individuazione dei “limiti” viene attuata dalla giurisprudenza
ricorrendo al criterio della ragionevolezza dei bilanciamenti: pertanto,
assieme ai numerosi riferimenti testuali del principio si deve rilevare un
simile processo di diffusione anche a livello di formante giurisprudenziale.
Da questo punto di vista appare emblematica l’esperienza francese
laddove il principio della dignità si è imposto all’interno di un sistema
costituzionale che tradizionalmente non contemplava tale clausola130.
Di poi l’uso della dignità da parte dei giudici è diventato uno dei
terreni di prova dell’applicazione dell’enunciato costituzionale nei rapporti
tra privati: difatti la complessità applicativa della clausola emerge laddove la
si intenda non tanto come strumento di garanzia di pretese degli individui
nei confronti del potere pubblico, piuttosto come tecnica di controllo
dell’autonomia privata.
La questione è se il rispetto della dignità umana costituisce un limite
insormontabile, e se possa ipotizzarsi un sindacato in ordine alla concreta
compatibilità dei singoli atti di autonomia con il criterio/parametro della
dignità131.
Mentre la dignità riassume il fondamentale valore umano che ogni
uomo porta con sé e costituisce l’essenza di ogni persona nel suo statico
La controversia risale al 1991 e fu decisa dal Consiglio di Stato francese con decisione del
27 ottobre 1995. In particolare la questione dibattuta riguardava lo spettacolo del lancio del
nano e le parti erano rappresentate rispettivamente da una società di spettacoli e da un
sindaco francese. Il supremo organo di giustizia amministrativa francese sentenziò nella
decisione resa che “utilizzare come proiettile una persona affetta da un handicap fisico, e presentarla
come tale, lede la dignità della persona umana”.
130
G. RESTA, La disponibilità dei diritti fondamentali e i limiti della dignità, Riv. dir. civ. 2002, 801
e ss.
131
71
essere132, nella libertà si riassumono in termini soggettivi la proiezione e lo
sviluppo immediato della persona nel mondo esterno.
Entrambe tutelano il soggetto per se stesso: nel suo svolgimento dei
rapporti interprivatistici e in quelli relativi alle formazioni sociali133.
Ma se dignità umana e libertà definiscono nel loro insieme la garanzia
unitaria e complessiva della persona, esse sono ben lontano dal costituire
concettualmente un’endiadi134.
L’ambiguità del principio di dignità si propone, difatti, in questo
rapporto attraverso una serie di interrogativi che possono racchiudersi nella
questione se la dignità è un predicato della libertà di ciascuno di noi, o al
contrario se la libertà è un predicato della dignità.
Questo campo d’indagine è destinato a svolgere un ruolo centrale
all’interno dell’esperienza del diritto privato europeo: con l’avvenuto
riconoscimento del principio nella Carta dei diritti fondamentali si è
esplicitato il processo di positivizzazione della clausola che determina
attualmente una nuova prospettiva ermeneutica.
132
A. BALDASSARE, (voce) Iniziativa economica privata, in Enc. dir., XX, Milano, Giuffrè, 1971.
Di rilevante interesse è stato l’intervento di S. RODOTÀ alla XXVI Conferenza
Internazionale sulla Privacy e sulla Protezione dei Dati Personali, Wroclaw (PL), 14, 15, 16
settembre 2004 dal titolo “Privacy, libertà, dignità”, disponibile al sito internet
http://www.privacy.it/rodo20040916.html: “il titolo di questa conferenza ci ha soprattutto
proposto una associazione assai impegnativa, quella tra privacy e dignità. Ci obbliga così a considerare
tutti i problemi specifici in un contesto caratterizzato dalla preminenza della persona e dei suoi valori,
della sua libertà e autonomia. Questa non è una forzatura. Già a metà dell'Ottocento uno scrittore,
Robert Kerr, descriveva la società dell'Inghilterra vittoriana parlando di un diritto ad essere lasciato
solo, quarant'anni prima del saggio famoso di Warren e Brandeis; e analizzava il significato della
privacy, individuando la sua caratteristica essenziale nel rispetto reciproco e l'intimità.
Centocinquant'anni dopo quel libro, la parola respect mantiene tutta la sua forza simbolica, tanto da
dare il titolo all'ultimo saggio di un sociologo assai noto come Richard Sennett. Questi due termini,
intimità e rispetto, consentono di avvicinarsi al tema della dignità cogliendone le complesse
sfaccettature. L'intimità ci parla di qualcosa di inviolabile e di inalienabile. Il rispetto ci parla del
rapporto di ciascuno con tutti gli altri. La dignità congiunge questi due dati, uno individuale ed uno
sociale, e contribuisce a definire la posizione di ciascuno nella società”.
133
134
G. PIEPOLI, Dignità e autonomia privata, in Pol. dir., 2003, 45 ss.
72
Tale orizzonte pone in discussione la cultura giuridica, destinata a
ripensare alle proprie categorie e certezze: non a caso la tendenza è quella di
sottolineare la profonda incertezza del principio in ordine ai suoi effetti
giuridici e alle relative condizioni di applicabilità135.
Alla luce di quanto sinora rappresentato si ritiene che il valore della
dignità, intesa anche come limite alla libertà del singolo, necessita di essere
misurato su una valutazione comune: se in generale sembrerebbe che il
principio sia universalmente riconosciuto, ricevendo una puntuale tutela
negli ordinamenti nazionali e sovranazionali, nello specifico si tratta di
approfondire la difficile questione dell’universalità dei diritti umani.
§5 I LIMITI DELL’UNIVERSALITÀ DEI DIRITTI FONDAMENTALI E
LA NUOVA NOZIONE DI CITTADINANZA
La prima questione da risolvere riguarda l’esistenza o meno di un
accordo su come si devono intendere e realizzare i diritti umani136.
I diritti e le libertà fondamentali oltre che indivisibili e non negoziabili,
possono essere definiti come “trasversali” rispetto agli istituti e alle materie
che tradizionalmente li interessano, non essendo pensabile applicarli,
135
G. ALPA, Dignità. Usi giurisprudenziali e confini concettuali, op. cit., 415 ss.
“Vi è innanzitutto un problema di definizione stipulativa: l’aggettivazione dei diritti è connotante
nel senso della loro classificazione, nel senso del loro riconoscimento oppure nel senso della intensità
della tutela? Vi è poi un problema di delimitazione dei confini territoriali: i diritti umani sono
universali quanto alla definizione e particolari quanto all’applicazione. Vi è un problema concernente
anche la natura di questi diritti, che sono valori nel mondo del diritto, dell’etica, delle religioni e si
discute se essi siano dotati di relativismo intrinseco oppure se essi siano atemporali e a-spaziali,
connaturali alla stessa idea di persona, e fondativi non solo della cittadinanza, ma dello stesso modo di
essere capacità giuridica della persona. Ciò porta a due conseguenze, ossia che i diritti fondamentali
siano indivisibili e non derogabili pattiziamente (non negoziabili). Così G. ALPA, Premessa a
L’essenza delle democrazia: i diritti umani e fondamentali e il ruolo dell’avvocatura, op. cit.
136
73
tutelarli, e approfondirne la natura e la struttura, operando una
considerazione su base distinta.
Per quanto interessa essi sono trasversali con riferimento alle
partizioni del diritto positivo tipicamente individuate: in altre parole i diritti
umani costituiscono principi che permeano il diritto civile, il diritto penale, il
diritto amministrativo, il diritto processuale137.
Nonostante tali premesse l’attuale obiezione culturale mossa ai diritti
umani riguarda la loro pretesa di universalità: si discute se essi siano
veramente universali o siano, piuttosto, inadatti ad esprimere interessi,
valori, bisogni dell’umanità unitariamente considerata.
Si tratta di una obiezione che trova una sua ragione d’essere: non si
può negare, difatti, che lo sviluppo dei diritti in parola rappresenti in gran
parte un prodotto del pensiero giusfilosofico occidentale.
I diritti, pur se indubbiamente nati con vocazione universalista, sono
oggi contestati dal Mercato, dal relativismo culturale e religioso, dal
progresso tecnico, dal misconoscimento e dalla loro non efficienza.
Il danno più grave alla pretesa universalità rimane sicuramente il c.d.
relativismo culturale e religioso: si tratta di un ideale criticato dall’aumento
dei fondamentalismi religiosi, e che presenta i diritti dell’uomo come un
progetto occidentale al servizio di interessi soprattutto politici.
È stato autorevolmente affermato che, a tutt’oggi , la pretesa
universalità dei diritti dell’uomo rimane un mito138.
In effetti sono profonde le divergenze nella concezione filosofica dei
diritti in parola: i paesi occidentali sono legati ad una visione
giusnaturalistica, per essi i diritti sono connaturati agli individui come un
R. VENIERO, La didattica dei diritti umani fondamentali nelle Scuole per la formazione degli
avvocati, in Dir. e form., 2011.
137
138
A. CASSESE, I diritti umani oggi, op. cit.
74
elemento intrinseco della qualità di persona, e pertanto precedono ogni
struttura statale.
Di contro per un Paese come la Cina popolare ad esempio, i diritti
umani esistono nello Stato nella misura in cui sono concretamente
riconosciuti.
Un’ulteriore distanza riguarda le differenti concezioni culturali e
religiose: per gli occidentali proclamare i diritti umani significa soprattutto
tutelare la sfera di libertà dell’individuo contro il potere dello Stato, per i
paesi socialisti e per i paesi in via di sviluppo i diritti umani da privilegiare
nell’azione internazionale dovrebbero essere quelli economici, sociali e
culturali.
È alla luce di tali differenze che risulta complessa la soluzione della
problematica inerente la pretesa universalità dei diritti fondamentali: a fronte
di un sostrato così poco omogeneo non si comprende se abbia senso o meno
parlare di universalità dei diritti umani, ed è proprio su questo dilemma che i
problemi sollevati dalla obiezione culturale trovano il più fertile humus su cui
radicarsi139.
Al di là delle difficoltà definitorie nessuna formula concentra su di sé
un consenso tanto generale quanto quello sui diritti umani: essi sono
divenuti il linguaggio di comunicazione degli individui e delle culture nel
regime del pluralismo, ben pochi altri valori o ideali del passato possono
vantare quel consenso140.
In Asia non esiste alcun meccanismo governativo o intergovernativo di promozione e di
tutela dei Diritti umani; in Cina la nozione stessa di Diritti umani viene percepita come un
segno di disprezzo nei confronti della cultura cinese e la pena di morte viene usata come
metodo di governo; in Iran, l’antica Persia che nel mondo antico è stata una delle culle dei
diritti umani, come attesta un bassorilievo del 539 a.c., le condizioni dell’uomo sono state
oggetto di numerosi rapporti; nell’Islam integralista viene rifiutato l’individualismo nella
convinzione che non può esserci uguaglianza e che solo Dio è il garante dei diritti dell’uomo
attraverso la shari’a.
139
140
M. KRIELE, L’universalità dei diritti dell’uomo, in Riv. internaz. di fil. del dir., 1992, 3 ss.
75
La storia e le forze che continuamente si oppongono ad una loro
effettiva realizzazione mostrano come questi costituiscano una “classe
variabile”141, che si plasma in funzione del mutamento delle condizioni
economiche e sociali e delle esigenze politiche prevalenti: sotto tale profilo è
difficile conferire un fondamento di universalità a diritti storicamente
relativi142.
All’idea di estrazione occidentale di una pretesa universalità dei diritti
umani si è agevolmente contrapposta un’idea di relatività dei diritti in
funzione della loro derivazione da un contesto storico e geografico differente:
è indubbio che i contrasti più significativi sul modo di intendere i diritti in
parola e sulle modalità della loro protezione vedono il Mediterraneo e le sue
incidenze arabo - islamiche l’epicentro di tale contesa.
Per un verso si registra la tendenza dei diritti universali verso forme
più accentuate di particolarismo, per un altro si assiste ad un orientamento
opposto idoneo ad uscire dal particolarismo e a guardare al di là dei propri
confini: a tal proposito è stato posto l’accento anche sulla differenza fra i
moral rights, tendenzialmente universali, e i legal rights necessariamente
particolari in ragione del carattere specifico della tutela legislativa e
giurisdizionale143.
141
N. BOBBIO, L’età dei diritti, op. cit., 5.
S. ANDO’, I diritti umani nel bacino del Mediterraneo, in L’essenza delle democrazia: i diritti
umani e fondamentali e il ruolo dell’avvocatura , 29 ss.. Al contrario M. PATRONO, Studiando i
diritti. Sono i diritti universali davvero universali? in L’essenza della democrazia, ult. op. cit., 145 ss.
ove l’autore, criticando il pensiero di J. RAWLS (The law of Peoples 1999) secondo cui il
carattere universale di molti dei diritti umani sarebbe smentito dal fatto che gli stessi diritti,
mentre sono riconosciuti nel modo occidentale, dove sono protetti, non lo sono affatto o in
misura trascurabile in altre aree del mondo contemporaneo, sostiene il carattere non statico
dei diritti “il ragionamento da fare è non qui sì e là no, ma ieri qui no, oggi sì”.
142
F. VIOLA, L’universalità dei diritti: un’analisi concettuale, F. BOTTURI e F. TOTARO (a cura
di), in Universalismo ed etica pubblica, Vita e Pensiero, Milano, Giuffrè, 2006, 155 ss.
143
76
Come è stato più volte evidenziato i diritti umani devono fronteggiare
due diverse tendenze: quella della globalizzazione e del multiculturalismo.
La globalizzazione144, di carattere economico, comporta un processo di
disappartenenza che potrebbe apparentemente sembrare favorevole alla
diffusione dei diritti umani e alla loro universalizzazione: il dubbio che sorge
è se però universalità significa globalità o comunque se sussiste un nesso tra
loro.
Dal multiculturalismo ne consegue che ogni cultura ha un valore che
anima la sua profonda ragion d’essere e il fenomeno della regionalizzazione
rappresenta, in qualche modo, l’ammissione di differenti regimi di
protezione dei diritti145.
Pertanto se la dimensione universale è la regola per quanto riguarda la
definizione dei diritti, quella regionale è la regola della loro applicazione146, il
cui momento risulta fondamentale poiché è preceduto da interpretazioni
particolaristiche dei diritti.
La condizione giuridica attuale è senz’altro caratterizzata dal c.d.
“pluralismo” che rende possibile la comunicazione fra ordini giuridici
differenti: se la circolazione dei modelli tendesse ad un continuo confronto, le
diverse identità potrebbero scoprire una comunanza nella comune umanità.
U. BECK, Che cos’è la globalizzazione. Rischi e prospettive della società planetaria, tra. it. di E.
CAFAGNA e C. SANDRELLI, Roma, Carocci, 1999.
144
“Occorre smettere di costruire torri e torrioni inseguendo il vano sogno di una artificiosa umanità
unitaria. Il pluralismo è alla radice delle cose; nessuna verità, ideologia o religione può avanzare una
pretesa totale sull'Uomo, e le lingue sono state giustamente confuse”: relazione tenuta
all'Università di California, a Santa Barbara, nel 1984, da R. PANIKKAR “La grazia di Babele Il
pluralismo, oltre il monismo e la dialettica”.
145
146
F. VIOLA, Diritti umani e globalizzazione del diritto, Napoli, Editoriale Scientifica, 2009, 5 ss.
77
Questo è il solo modo corretto d’intendere l’universalismo nel campo
della vita pratica: al contrario l’universalismo astratto, così come il
relativismo culturale, sono certamente un ostacolo per il multiculturalismo147.
Il punto è se esiste o meno un nucleo comune condiviso nonostante la
pluralità: dall’analisi e dal confronto tra le dichiarazioni continentali dei
diritti umani risulta una convergenza a livello di principi.
Si può, allora, concordare con quell’autorevole dottrina la quale ha
dichiarato che prima con la CEDU, poi con la Carta dei diritti fondamentali
oggi dotata di rilevanza giuridica, si procede verso una tendenza volta a
costruire un Codice europeo dei Diritti dell’Uomo, preludio ad una sorte di
silloge normativa universale dei valori primari della persona148.
Tuttavia si tratta pur sempre di una tesi che si colloca nel filone delle
c.d. teorie dell'universalismo minimale e si fonda sul concetto del c.d.
“universalismo situato”, inteso come modalità di affermazione dei diritti che
consente il contemperamento tra universalità e rispetto del pluralismo
culturale.
Di poi un esempio di come tali aspetti, cioè l’aspirazione universale
dei diritti e le identità sociali, entrano in contraddizione è rappresentato dal
diritto di cittadinanza149.
È
indubbio
progressivamente
che
esso
si
internazionale,
vada
evolvendo
rendendo
meno
fino
a
diventare
consistente
la
corrispondenza tra “nazionalità” e “cittadinanza”150: se la prima identifica
147
F. VIOLA, ult. op. cit., 5 ss.
P. STANZIONE, Diritti esistenziali della persona, tutela delle minorità e drittwirkung
nell’esperienza europea, in Eur. e dir. priv., 2002, 41.
148
P. ALSTON, Diritti umani e globalizzazione. Il ruolo dell’Europa, Torino, Edizioni Gruppo
Abele, 1999.
149
In tal senso J. RIFKIN, Il sogno europeo, Milano, Mondatori, 2005; sulla cittadinanza si veda
V. MURA, Sulla nozione di cittadinanza, V. MURA (a cura di), Il cittadino lo stato, Milano,
150
78
una posizione passiva rispetto all’ordinamento statuale, la seconda è invece
fattore di coesione sociale che implica una partecipazione consapevole alla
vita politica e l’adesione ad una comunità d’intenti quale è, ad esempio,
l’esperienza europea.
La nuova nozione di cittadinanza si caratterizza non solo perché si
aggiunge alla cittadinanza nazionale, ma piuttosto perchè trae dalla forza
espansiva dei diritti fondamentali una connotazione autonoma riferita a un
territorio di residenza, anziché a uno Stato di appartenenza151.
La cittadinanza europea, in questa ottica, deve per sua stessa natura
qualificarsi il più possibile coerente con la tutela universale dei diritti (o
almeno quelli effettivamente riconoscibili come tali), perché è ad essi che si
ispira: si tratta di un’espressione alta della concezione kelseniana di
pacificazione tramite il diritto, e cioè di soluzione dei conflitti senza ricorrere
alla forza152.
Il nesso tra nazionalità e diritti, fino ad oggi emblema della società
democratica, va riconsiderato nei termini in cui rischia di produrre esclusioni
e conseguenze antidemocratiche in ambiti come quello dell’immigrazione153
Franco Angeli, 2002; V. COSTANTINESCO, La cittadinanza dell’Unione:una “vera”
cittadinanza?, L .S. ROSSI (a cura di), Il progetto di Trattato-Costituzione. Verso una nuova
architettura dell’Unione europea, Milano, Giuffrè, 2004, 223 ss.; A. CELOTTO, La cittadinanza
europea, in DUE, 2005, 379 ss.; P. LOGROSCINO, La cittadinanza dell'Unione: la crisi dei concetti
tradizionali, in DUE, 2006, 407 ss; J. RIFKIN, op. cit., 2005, 278 P. ORIOL, Per una Cittadinanza
europea di residenza, in Dib. feder., 2004, 10; J. URRY, Beyond Societies: Mobilities for the TwentyFirst Century, London, 2000, 166; P. ALSTON, op. cit.; E. TRIGGIANI, La cittadinanza europea
per la “utopia” sovranazionale, in Studi sull'integr. eur., 2006, 435 ss.
Così E. TRIGGIANI, La cittadinanza europea per la “utopia” sovranazionale”, disponibile al
sito
internet
http://www.scienzepolitiche.uniba.it/area_docenti/documenti_docente/
materiali_didattici/108_articolo_cittadinanza_europea.pdf.
151
152
H. KELSEN, La pace attraverso il diritto, Torino, Giappichelli, 1990.
D’altronde la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 all’art. 13 colloca il
diritto di immigrare tra i diritti universali, ed i successivi articoli 28 e 29 delineano un
sistema internazionale dei diritti umani per il quale ciascuno, indipendentemente dalla
153
79
che, con la prospettazione di una società multiculturale e con la richiesta di
esercizio dei diritti da parte di persone umane e non di cittadini, rappresenta
un vero e proprio banco di prova delle ambiguità in materia, chiamando in
causa sia il riconoscimento transculturale che l'esercizio universale dei diritti.
Molto efficacemente è stato scritto che “nell’era dell’interdipendenza e dei
diritti umani internazionalmente riconosciuti, la cittadinanza è un albero di
cittadinanze, come dire la cittadinanza è multipla o multidimensionale; la lotta per i
diritti di cittadinanza mira a rendere coerenti le varie cittadinanze anagrafiche, a
partire da quella statuale, con la cittadinanza universale che inerisce allo statuto
giuridico della persona umana”154.
nazionalità, possa prendere parte attiva alla vita pubblica della comunità in cui ha scelto di
vivere. Così E. TRIGGIANI sopra cit.
A. PAPISCA, La sfida dei diritti umani per la cittadinanza e il buon governo. Autonomia e ruoli
internazionali della Regione, relazione presentata al convegno Nuovi diritti, nuove libertà, nuovi
Statuti, Firenze, 27 novembre 2000.
154
80
CAPITOLO II
LA TUTELA DEI DIRITTI FONDAMENTALI E LA MULTILEVEL
PROTECTION NELL’ESERCIZIO DELLA FUNZIONE
GIURISDIZIONALE
§1 INTRODUZIONE
A partire dalla seconda metà del secolo XX si sono verificati
nell’Europa continentale diversi cambiamenti, in primis la concezione della
sovranità statuale nello Stato moderno155.
A tal proposito è stato sostenuto che la sovranità si sarebbe
desubiettivizzata e che i valori fondamentali si sarebbero svincolati dallo
Stato e dalla sua sovranità, ed avrebbero acquistato forza e validità oggettiva
nella coscienza dei popoli156 o meglio nella comunità157.
Nel 1949 F. VASSALLI, in un noto scritto (Extrastatualità del diritto civile, ora in Scritti
giuridici dello stesso A., vol. III- 2, Milano, Giuffrè, 1960, 753 ss.), già osservava che “l’ultima
grande guerra ha preparato il superamento dello stato nazionale e il superamento della sovranità
statuale”, giungendo alla conclusione secondo cui ormai “la sovranità statuale è un nome senza
contenuto”. Sull’argomento si veda C. A. JEMOLO, La crisi dello stato moderno, con prefazione
di N. IRTI ed introduzione di F. MARGIOTTA BROGLIO, Bari-Roma, Laterza, 1991, 41 ss.
155
G. SILVESTRI, La parabola della sovranità. Ascesa, declino e trasfigurazione di un concetto, in
Riv. dir. costit., 1996, 5 ss.
156
N. PICARDI, La giurisdizione all’alba del terzo millennio, Milano, Giuffrè, 2007, 184 ss. ed ivi
la distinzione tra nazione, popolo, comunità. Su quest’ultimo concetto, cfr., da ultimo, P.
GROSSI, L’Europa del diritto, Bari-Roma, Laterza, 2009.
157
81
Di conseguenza, in tale contesto, si è registrato un mutamento del
sistema della fonti158 e la previsione del c.d. costituzionalismo multilivello159,
che ha aumentato le istanze di protezione dei diritti e quindi delle
giurisdizioni160, le quali oggi si estendono al di là della sovranità statuale, o
meglio, si dilatano “oltre lo Stato”161.
Il nocciolo della questione che verrà affrontata nel corso di questo
capitolo non è tanto sapere quali e quanti siano i diritti fondamentali ma,
come è stato autorevolmente evidenziato, quale sia il modo più sicuro per
garantirli e per impedire che, nonostante le dichiarazioni solenni, essi
vengano continuamente violati162.
Dall’analisi del primo capitolo è emerso che sono principalmente tre i
livelli di tutela dei diritti fondamentali dal punto di vista delle fonti: il primo
propriamente nazionale assicurato dalle costituzioni degli stati membri, il
secondo comunitario offerto dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea, ed il terzo convenzionale garantito dalla CEDU.
In un siffatto quadro istituzionale, lo studio si occuperà di esaminare
le modalità effettive e potenziali delle relazioni fra le varie giurisdizioni
nazionali e la giurisdizione europea: non in termini di “riparto”, bensì di
integrazione organica tra procedure, orientamenti nella interpretazione ed
applicazione del diritto e nel bilanciamento dei principi.
Di questa posizione P. GROSSI, Premesse per uno studio sistematico delle fonti del diritto,
Torino, Giappichelli, 2008.
158
I. PERNICE, Multilevel Constitutionalism and the Theatry of Amsterdam: European Constitution
– Making Revisited, in CML Rev. 36 (1999), 703 ss.
159
Su questo concetto si veda N. PICARDI, La crisi del monopolio statuale della giurisdizione e la
proliferazione delle corti, in Riv. it. per le scienze giur., 2011, 169 ss.
160
S. CASSESE, Il diritto globale. Giustizia e democrazia oltre lo stato, Torino, Giappichelli, 2009,
137 ss.
161
162
N. BOBBIO, L’età dei diritti, Torino, Einaudi, 2005, 17 ss.
82
La questione centrale è capire se questo fenomeno multilivello, in
grado di descrivere un nuovo contesto di pluralismo giuridico, sia in grado
di assicurare coesistenza ed equilibrio tra le corti, garantendo unità nella
diversità.
In questa parte della ricerca, pertanto, si mira a verificare e comparare
le relazioni che si instaurano tra i giudici interni, quotidiani applicatori delle
norme nazionali in tema di diritti fondamentali, e le corti europee, principali
interpreti di quelle sovranazionali, al fine di delineare una dimensione
sovranazionale dell’esperienza giuridica contemporanea.
Come è stato giustamente affermato da parte di autorevole dottrina
“se è vero che in Europa fiorisce un vero e proprio giardino dei diritti non è meno
vero che vi sono anche numerosi giardinieri: le corti europee di Lussemburgo e di
Strasburgo, i giudici e le corti costituzionali nazionali”163.
Sotto questo profilo appare ovvio l’interesse del comparatista ad
osservare il fenomeno giurisprudenziale164 nella materia de qua, al fine di
gettare luce sulle coordinate principali del c.d. policentrismo giurisdizionale
in materia di diritti fondamentali (strettamente collegato al fenomeno del
polimorfismo delle fonti), soffermandosi sui singoli attori del sistema
163
G. F. PIZZETTI, Il Giudice nell'ordinamento complesso, Milano, Giuffrè, 2004.
Illuminante al riguardo è stata la testimonianza del Giudice italiano della Corte EDU sul
metodo seguito dalla Corte, V. ZAGREBELSKI: “il modo di ragionare della Corte, sia nella
motivazione delle sentenze, sia nella discussione tra i giudici nella Camera di Consiglio, è
fondamentalmente basato sui precedenti. Si parte dalla ricerca del precedente rilevante e quando non
esista un precedente specifico, la Corte si avventura negli interstizi lasciati aperti tra i precedenti
giurisprudenziali pertinenti ma non specifici. Essa dunque procede distinguendo il caso da decidere da
quello o quelli già decisi, per infine pervenire all’identificazione del precedente che indica la soluzione
da adottare o alla conclusione che il caso da decidere non trova ancora riscontro nella giurisprudenza
della Corte. In questo secondo caso si tiene conto di precedenti che esprimano una ratio decidendi
comunque utile; infine, in mancanza anche di questo, si procede alla ricerca del senso da assegnare alle
disposizioni della Convenzione con gli ordinari metodi interpretativi”, La giurisprudenza casistica
della Corte europea dei diritti dell’uomo; fatto e diritto alla luce dei precedenti, Relazione del 20
novembre
2009,
disponibile
al
sito
internet
www.
giurisprudenza.unimib.it/V2/DATA/bacheca/File/convegni%20locandine/20092010/Zagrebelsky.pdf.
164
83
europeo
delle
corti,
individuandone
la
rispettiva
collocazione,
le
caratteristiche ed il ruolo svolto: tale valutazione mira a comprendere il
rispetto dello standard europeo di tutela a cui sono chiamate le corti.
Precipuamente l’espressione multilevel protection165 allude ad una sorta
di sistema integrato di protezione, che in Europa coinvolge il livello
internazionale (rappresentato dalla Corte di Strasburgo) e il livello
sovranazionale (rappresentato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea).
Il livello nazionale fa invece riferimento al dettato costituzionale di
ciascun Paese166, ma da un lato il sistema CEDU e dall’altro quello
comunitario, si sono aggiunti e/o intrecciati e/o sovrapposti al sistema
nazionale di tutela dei diritti, ponendo in qualche modo dei vincoli, più o
meno stringenti, alla totalità dei giudici “comuni”: in Italia si fa riferimento
alla
Corte
di
Cassazione,
custode
dell’esatta
interpretazione
della
legislazione nazionale, e alla Corte costituzionale, garante della legittimità
costituzionale delle leggi.
Particolare attenzione è quindi stata dedicata allo studio della c.d.
formante giurisprudenziale, nuova ed autonoma fonte del diritto, ed al ruolo
assegnato al Giudice, non più soggetto soltanto alla legge, ma tenuto a
conformarsi alla giurisprudenza delle corti superiori o almeno a non
Cfr. I. PERNICE, Multilevel Constitutionalism in the European Union, op. cit., 511 ss.; M.
CARTABIA, The multilevel protection of fundamental rights in Europe: the European pluralism and
the need for a judicial dialogue, C. CASONATO (a cura di), The protection of fundamental rights in
Europe: lessons from Canada, Università di Trento, 2003; G. F. FERRARI, I diritti tra
costituzionalismi statali e discipline transnazionali, ID. (a cura di), I diritti fondamentali dopo la
Carta di Nizza : il costituzionalismo dei diritti, Milano, Giuffrè, 2001, 1 ss.; A. BARBERA, Le tre
corti e la tutela multilivello dei diritti, P. BILANCIA, E. DE MARCO (a cura di), La tutela
multilivello dei diritti. Punti di crisi, problemi aperti momenti di stabilizzazione, Milano, Giuffrè,
2004, 89 ss.; S. PANUNZIO, I diritti fondamentali e le corti in Europa, ID. (a cura di), I diritti
fondamentali e le corti in Europa, Napoli, Jovene, 2005, 5 ss.
165
A. BARBERA, “Nuovi diritti”: attenzione ai confini, in Corte Costituzionale e diritti
fondamentali, in Corte Costituzionale e diritti fondamentali, L. CALIFANO (a cura di), Torino,
Giappichelli, 2004.
166
84
discostarsene, se non con adeguata e puntuale motivazione delle circostanze
che glielo consentono: si tratta di una direzione propriamente tecnica, nota
come “interpretazione conforme”.
Nello specifico, una prima parte di questo capitolo avrà ad oggetto
l’analisi del sistema comunitario, oggi dell’Unione europea, considerato in
questa fase della storia del costituzionalismo, partendo dallo studio delle
vicende giurisprudenziali dei diritti fondamentali nel quadro della Comunità
europea sino alla Carta dei diritti fondamentali.
Una seconda parte, invece, riguarderà il c.d. sistema di Strasburgo, la
sua struttura organizzativa e le sue modalità operative.
Di poi, in una prospettiva dinamica, verranno analizzate alcune
tendenze emerse relativamente alle modalità di funzionamento del sistema
giurisdizionale plurilivello, facendo risaltare gli sviluppi nei rapporti tra le
corti ed il dialogo venutosi a creare.
L’intento è quello di mostrare l’emergere di una significativa
convergenza delle dinamiche plurilivello, ravvisandosi in esse forme di
armonizzazione che vanno aldilà delle previsioni normative e dei limiti
derivanti dalla struttura propria del sistema delle fonti, capaci di alimentare,
lungo questa via di quasi neo-funzionalismo giurisdizionale, il processo di
integrazione europea, e in generale di tutela dei diritti umani.
I vantaggi di un sistema così organizzato sono molteplici: l’aumento
del livello di tutela e di sensibilità in materia, una maggiore concretezza nella
protezione e soprattutto una responsabilizzazione dei giudici, anche
nazionali.
D’altra parte, le paure sono altrettanto evidenti: il governo dei giudici,
il rischio di decisioni contrastanti e di un potenziale conflitto e rivalità tra le
corti in un ambito che invece tende ad un riconoscimento e ad una
applicazione universale.
85
§2 IL RUOLO DELLA CORTE DI LUSSEMBURGO
Originariamente, le libertà contemplate dal Trattato istitutivo della
Comunità economica europea del 1957167 erano connaturate all’essenza della
Comunità, e quindi funzionali agli obiettivi fissati dalla stessa: tali diritti non
erano riconosciuti alla persona in quanto tale, ma previsti unicamente in
quanto strumentali alla creazione del Mercato comune.
Il problema della garanzia e della tutela dei diritti fondamentali della
persona a livello comunitario si mostrò a causa della diretta applicabilità dei
regolamenti e dell’effetto diretto di molte altre norme comunitarie.
In tale direzione (diretta applicabilità di alcune norme comunitarie) si
prospettò la problematica di un eventuale violazione di un diritto
fondamentale della persona riconosciuto nella Costituzione nazionale del
Paese d’appartenenza dell’individuo a cui tale violazione si riferiva: si trattò
di una questione molto delicata in grado di compromettere non solo il
principio della diretta applicabilità dei regolamenti, ma anche lo stesso
significato del processo di integrazione europea.
Pertanto l’introduzione del sindacato della Corte per ragioni di tutela
dei diritti fondamentali può essere considerato anche come un mezzo ed uno
strumento che ha favorito lo sviluppo del processo di integrazione europea,
ed ha reso più semplice l’accettazione dell’idea di supremazia del diritto
comunitario sul diritto nazionale.
La libertà di circolazione dei lavoratori nel territorio della Comunità, la libertà dei
cittadini di uno Stato membro di stabilirsi nel territorio di un altro Stato membro, la libera
prestazione dei servizi, la libera circolazione dei capitali, nonché la libertà di concorrenza e,
conseguentemente, il principio di parità retributiva a prescindere dal sesso. In tutti questo
casi si trattava di libertà di natura economica, funzionali all’obiettivo del Trattato, ossia la
realizzazione del Mercato Comune.
167
86
Nonostante la possibilità dei conflitti sopra accennati, in origine la
Corte di Giustizia si proclamò incompetente ad intervenire in materia di
tutela dei diritti fondamentali: con la nota sentenza Stork del 1959168 la Corte
ha infatti affermato che il suo unico compito era quello di garantire il rispetto
del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione del Trattato, non potendo
le norme nazionali, neanche quelle di rango costituzionale, fungere da
parametro per gli atti degli organi comunitari.
Di qui l’elaborazione da parte delle Corte costituzionale italiana e di
quella tedesca della nota teoria dei controlimiti.
Dopo una prima fase di concreta indifferenza da parte della
giurisprudenza della Comunità, è stato solo con la sentenza Stauder del 12
novembre 1969169, e soprattutto con il considerando della sentenza
Internationale Handelsgesellschaft del 17 novembre 1970170, che la Corte di
Giustizia ha riconosciuto per la prima volta il fatto che “la tutela dei diritti
fondamentali costituisce parte integrante dei principi giuridici generali di cui la
Corte garantisce l’osservanza”.
Come è stato autorevolmente osservato, in principio sembrava che la
Corte parlasse di diritti fondamentali come se si riferisse ad un insieme i cui
elementi fossero noti a priori, senza che ci fosse bisogno di individuarli e
definirli: con un approccio, per così dire, vagamente “giusnaturalistico”, che
avrebbe verosimilmente aperto la strada alla più assoluta libertà ricostruttiva
in materia171.
Cfr. il sito internet http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri= CELEX:61958CJ
0001:IT:HTML.
168
169
In Racc. uff. 1969, 420.
170
In Racc. uff. 1970, 1125.
V. SCIARABBA, Tra fonti e corti. Diritti e principi fondamentali in Europa: profili costituzionali
e comparati degli sviluppi sovranazionali, Padova, Cedam, 2008,. 39 ss.
171
87
In generale, i principi generali possono essere considerati l’anello
entro cui i diritti fondamentali sono stati introdotti nel fenomeno
comunitario, in grado di orientare, in assenza di regole scritte, l’attività
interpretativa della Corte e quella degli altri operatori giuridici chiamati ad
applicare il diritto in parola.
Solo accennati nella sentenza Stauder, nella sentenza Internationale
Handelsgesellschaft, che si fonda comunque su una concezione dualista del
rapporto tra i due ordinamenti, nazionale e sovranazionale, la Corte di
Giustizia, al fine di determinare il contenuto dei principi generali del diritto
comunitario, ha fatto riferimento alle tradizioni costituzionali comuni agli
stati membri, riconoscendo che di essi fa parte integrante la tutela dei diritti
fondamentali.
Con la successiva sentenza Nold del 14 maggio 1974172, seguendo lo
stesso iter argomentativo, la Corte di Giustizia ha ultimato il riferimento alle
tradizioni costituzionali comuni attraverso una “incorporazione” degli
strumenti internazionali di protezione dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali: benché ancora non esplicitamente richiamato, il riferimento
era alla CEDU, a cui la Corte di Giustizia ha fatto espresso rimando solo nella
successiva sentenza Rutili del 28 ottobre 1975173, ed in particolare agli artt. 8,
9, 10, e 11 della Convenzione, e all’art. 2 del suo Protocollo n. 4.
In generale e per lungo tempo, almeno sino alla metà degli anni
novanta, le critiche mosse alla Corte di giustizia erano incentrate sulla
elevata indipendenza di giudizio della stessa, mostrando in tal modo che la
sua reale finalità fosse quella di tutelare i diritti fondamentali funzionalmente
alle esigenze dell’integrazione comunitaria.
172
In Racc. uff. 1974, 491.
173
In Racc. uff. 1975, 1219.
88
Questa
indipendenza
all’individuazione
tra
le
di
diverse
giudizio,
relativa
tradizioni costituzionali
soprattutto
di quelle
considerate come “comuni”, si è ripercossa anche sul versante dello standard
di tutela da garantire ai diritti fondamentali: a tal proposito il Giudice
comunitario si sentiva vincolato al solo “standard comunitario”, non
astrattamente predeterminabile, ma di volta in volta individuabile in modo
funzionale alle specifiche esigenze concrete174.
Quindi se da un lato una delle principali valutazioni negative mosse
alla giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di diritti ha riguardato
la scarsa considerazione degli stessi in quanto tali, e la propensione a favorire
le libertà economiche del Trattato, facendo prevalere sempre queste ultime
nel bilanciamento fra diritti fondamentali e libertà economiche (approccio
economico e funzionalista dei diritti fondamentali), dall’altro non è mancato
chi ha contrariamente sostenuto che non sempre questo bilanciamento ha
incoraggiato i cosiddetti valori economici, a discapito dei diritti: un esempio
in tal senso può essere costituito già da alcuni frammenti della decisione
Nold, nella quale la Corte ha aperto le porte ai trattati internazionali.
In tale sentenza, infatti, il Giudice di Lussemburgo ha sottolineato
come determinate posizioni giuridiche, ed in specie il diritto di proprietà e la
libertà di commercio “lungi dal costituire prerogative assolute, vanno considerati
alla luce della funzione sociale dei beni e delle attività oggetto di tutela”, ed ha
affermato “che nell’ordinamento comunitario appare legittimo sottoporre tali diritti
a taluni limiti giustificati dagli obiettivi di interesse generale perseguiti dalla
Comunità, purché non resti lesa la sostanza dei diritti stessi”.
Cfr.
sent.
Hauer
del
1979
disponibile
al
sito
internet
http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:61979CJ0044:IT:HTML: “il richiamo a
criteri di valutazione speciali, propri della legislazione o del sistema costituzionale di uno Stato
membro, incrinerebbe inevitabilmente l’unità del Mercato Comune e comprometterebbe la coesione
della Comunità, giacché menomerebbe l’unità e l’efficacia del diritto comunitario”.
174
89
Pertanto dalle parole della sentenza in esame sembra possibile
dedurre un approccio sensibile ed equilibrato del Giudice comunitario che,
lungi dall’aggrapparsi alla monotematicità dei trattati, ha invece fatto il
possibile per correggerla: e non solo attraverso l’apertura di principio ai
diritti, ma anche, in molti casi, attraverso la concreta individuazione e
ridefinizione di essi mediante il loro bilanciamento175.
Dagli anni novanta in poi sono stati soprattutto gli avvocati generali a
farsi portavoce dell’approccio più attento ai diritti fondamentali in quanto
tali ed indipendentemente dalla loro funzionalità rispetto agli obiettivi del
Mercato comune176.
175
Così V. SCIARABBA, op. cit., 39 ss.
Sul punto M. E. GENNUSA , La tutela dei diritti fondamentali nell’Unione europea: tratti di
continuità e discontinuità nella giurisprudenza comunitaria, in Il Pol., 2006, n. 2: «Il primo esempio
è dato dal caso Konstantinidis del 1993 su un problema di traslitterazione del cognome di un cittadino
greco legalmente residente in Germania. Un cittadino intracomunitario che si trasferisca in un altro
stato della Comunità in qualità di lavoratore secondo le norme del trattato, deve avere il diritto non
solo di svolgere la sua attività o professione e di godere delle stesse condizioni di vita e di lavoro di cui
godono i cittadini dello stato ospitante; deve avere anche il diritto di ritenere che sarà trattato secondo
un codice comune di valori fondamentali. In altre parole deve avere il diritto di dire ‘civis europeus
sum’ e di invocare questo status per opporsi a qualunque violazione dei suoi diritti fondamentali. La
Corte però riduce la questione al solito profilo economico: le lesioni ipotizzate da Konstantinidis
sarebbero state sussistenti solo se fosse stato costretto a usare il suo nuovo cognome anche nello
svolgimento della sua professione, non se il suo utilizzo fosse rimasto circoscritto unicamente ai
documenti ufficiali. E’ soltanto in seguito che la Corte accoglie l’impostazione volta a dare una
maggiore attenzione ai diritti anche a scapito delle libertà economiche del trattato: si fa riferimento ad
esempio alla sentenza Schmidberger del 2003 relativa alla limitazione derivata alla libera circolazione
delle merci causata da una manifestazione ambientalista, autorizzata dall’Austria, che aveva bloccato
l’autostrada del Brennero per diversi giorni. L’Austria aveva giustificato la limitazione con la volontà
di assicurare il rispetto di diritti fondamentali riconosciuti dalla propria Costituzione nazionale
(libertà di riunione e di espressione). E’ la prima volta che uno stato invoca direttamente la tutela di
diritti fondamentali costituzionali per giustificare un ostacolo alla libera circolazione. Qui poiché si
trattava non solo di diritti comuni a tutti gli stati membri, ma anche espressamente riconosciuti dalla
CEDU (artt. 10 e 11), la Corte fa prevalere la loro tutela a danno della libera circolazione, dando
ragione all’Austria e quindi sostanzialmente respingendo il ricorso del trasportatore tedesco che aveva
subito un danno per non aver potuto consegnare in tempo la merce. Infatti la Corte dice poiché nella
Comunità non possono essere consentite misure incompatibili con il rispetto dei diritti dell’uomo in
essa riconosciuti, la tutela di tali diritti rappresenta un legittimo interesse che giustifica, in linea di
principio, una limitazione degli obblighi imposti dal diritto comunitario, ancorché derivanti da una
libertà fondamentale garantita dal trattato, quale la libera circolazione delle merci. Ancor più evidente
questa impostazione nel caso Omega del 2004: qui il problema derivava dall’ordine di chiusura di un
176
90
Un ulteriore aspetto da evidenziare riguarda più strettamente gli atti
soggetti al controllo della Corte di Giustizia in relazione al rispetto dei diritti:
se fino alla fine degli anni settanta il controllo ha riguardato il rispetto dei
diritti fondamentali negli atti delle istituzioni comunitarie, a partire dalla
metà degli anni ottanta il controllo ha coinvolto anche gli atti proveniente
dagli stati membri, purché questi riguardassero l’ambito materiale coperto
dal Trattato.
In un primo momento, l’esame interessò gli atti statali di attuazione
del diritto comunitario177, successivamente si riferì anche agli atti statali che
laserdromo di Bonn, motivata dalla volontà di tutelare la dignità umana che l’ordinamento tedesco
(che le assegna un particolare valore) riteneva lesa dalla banalizzazione della violenza che deriva dalla
possibilità di “giocare ad uccidere” esseri umani. Tale ordine di chiusura aveva comportato però una
restrizione della libera circolazione dei servizi, perché l’attrezzatura di cui il laserdromo si avvaleva
per il gioco di omicidi simulati veniva da un’impresa britannica. Il problema qui è più controverso
perché non esiste un’idea univoca di dignità umana (per alcuni stati essa ha una dimensione solo
soggettiva per cui dignità vuol dire capacità di scegliere e di decidere coscientemente della propria
persona; per altri c’è anche un significato oggettivo per cui è la società che decide cosa sia umanamente
degno, indipendentemente dalla volontà del singolo individuo: quest’ultimo è il caso dell’ordinamento
tedesco – cfr. ad. es. il caso del “lancio dei nani” o del Peep show ) e nessun altro stato dell’UE
riteneva che essa potesse considerarsi lesa dal gioco in questione. Di conseguenza anche se la dignità
rappresenta certamente un valore comune, il suo contenuto non può essere ricondotto a una
tradizione costituzionale comune, inoltre esso non è riconosciuto espressamente dalla CEDU.
Pertanto si sarebbe potuto pensare a una decisione in questo caso favorevole alla libera circolazione,
invece la Corte ha deciso nel senso opposto, riconducendo però la deroga alla libera circolazione
motivata dalla tutela della dignità umana a ragioni di ordine pubblico. Infatti la Corte conclude che
alla luce delle considerazioni suesposte, si deve risolvere la questione posta dichiarando che il diritto
comunitario non osta a che un’attività economica consistente nello sfruttamento commerciale di giochi
di simulazione di omicidi sia vietata da un provvedimento nazionale adottato per motivi di
salvaguardia dell’ordine pubblico perché tale attività viola la dignità umana. Quindi alla fine, ritiene
che sia meritevole di tutela a livello comunitario anche un diritto che non è proprio comune a tutti gli
stati membri, purché sia corrispondente al livello di tutela garantito dallo stato in questione e il
provvedimento statale non sia sproporzionato. La Corte dichiara che nel presente caso si deve rilevare,
da un lato, che, secondo il Giudice del rinvio il divieto di sfruttamento commerciale di giochi che
comportano la simulazione di atti di violenza contro persone, in particolare la rappresentazione di
omicidi, corrisponde al livello di tutela della dignità umana che la Costituzione nazionale ha inteso
assicurare sul territorio della Repubblica federale di Germania. Dall’altro, si deve constatare che,
vietando unicamente la variante del gioco laser finalizzata a colpire bersagli umani e dunque a giocare
ad uccidere, il provvedimento controverso non ha ecceduto quanto necessario per conseguire
l’obiettivo perseguito dalle autorità nazionali competenti».
Cfr. Studi in onore di Pierfrancesco Grossi, A. D’ATENA (a cura di), Milano, Giuffrè, 2012,
331 ss. ove si fa riferimento alla sent. Klensch del 1988, ed alla sentenza Wachauf del 1989,
177
91
esercitavano un potere di deroga alla libera circolazione ammesso dal
Trattato178.
Circa il ruolo della giurisprudenza di Lussemburgo in materia di
garanzia e tutela dei diritti fondamentali, giova sottolineare l’importanza del
meccanismo del rinvio pregiudiziale, oggi contemplato dall’art. 267 del
Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che oltre a consentire alla
Corte di svolgere un sindacato interpretativo su tutto il diritto comunitario
ed un sindacato di validità sul diritto comunitario derivato, ha permesso una
forma di indiretto sindacato sul diritto nazionale e sotto lo specifico profilo,
che in questa sede maggiormente interessa, della tutela dei diritti
fondamentali: in tali casi il diritto comunitario, primario e anche derivato,
funge sostanzialmente da parametro179.
Il successivo passaggio che ha caratterizzato l’evoluzione della
giurisprudenza comunitaria in materia è stata l’approvazione della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea che, ancor prima di acquisire valore
giuridico con il Trattato di Lisbona, ha innescato per lungo tempo un
processo di applicazione spontanea da parte della giurisprudenza (anche
quella dei paesi membri), con un singolare rovesciamento tra valore formale
dell’atto e sua applicazione pratica, che normalmente si verifica in direzione
entrambe in materia di quote latte: “Regole comunitarie che avessero l’effetto di privare
l’affittuario, senza compensazione, dei frutti del suo lavoro e dei suoi investimenti sarebbero
incompatibili con i requisiti di protezione dei diritti fondamentali richiesti dall’ordinamento
comunitario. Pertanto tali requisiti sono vincolanti anche nei confronti degli stati membri, quando
essi danno esecuzione a regole comunitarie”.
Cfr. Studi in onore di Pierfrancesco Grossi, op. cit., 331 ss. ove si fa riferimento ad es. alla sent.
Ert del 1991: “quando uno Stato membro si rifà al combinato disposto degli artt. 56 e 66 del Trattato
per giustificare una disciplina che altrimenti sarebbe passibile di ostacolare l’esercizio della libera
prestazione dei servizi, una tale giustificazione, posta dal diritto comunitario, deve essere interpretata
ala luce dei principi generali del diritto e in particolare dei diritti fondamentali. Pertanto le regole
nazionali in questione possono ricadere fra le eccezioni ammesse dal combinato disposto degli artt. 56
e 66 solo se sono compatibili con i diritti fondamentali la cui osservanza è assicurata da questa Corte”.
178
179
Così V. SCIARABBA, op. cit., 39 ss.
92
opposta nelle Carte dei diritti, i cui principi solitamente, dopo la loro
declamazione, non sempre trovano agevole riconoscimento effettivo
nell’applicazione pratica180.
Di poi il riconoscimento alla Carta dei diritti fondamentali del
medesimo valore giuridico dei Trattati, e in tal modo la sostanziale
positivizzazione dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ancorché gli
stessi facciano parte del diritto dell’Unione in quanto “principi generali”, è
risultato estremamente significativo nell’ottica di una strutturazione
maggiormente evoluta delle istituzioni europee.
Tuttavia l’insieme del processo continua ad accompagnarsi con
interrogativi stringenti relativi al superamento o meno del deficit democratico
dell’istituzione dell’Unione e della relativa legittimazione costituzionale181.
Sul punto la dottrina costituzionale risulta tuttora divisa: un primo
orientamento sottolinea le capacità novative della rivelazione di un
ordinamento
costituzionale
nascosto,
che
si
fonderebbero
sulla
legittimazione dei cittadini europei, i quali possono agire attraverso i
diritti182.
Una altra parte della dottrina costituzionale è più prudente183 e si
mostra strettamente adesiva alle categorie dogmatiche del costituzionalismo
moderno.
Il rilievo è di M. CARTABIA, I diritti fondamentali in Europa dopo Lisbona: verso nuovi
equilibri?, in Giorn. dir. amm., 2010, 221 ss., che richiama in proposito N. BOBBIO, L’età dei
diritti, op. cit., 16.
180
S. GAMBINO, Diritti fondamentali e Unione europea, Diritti fondamentali e Cittadinanza
dell’Unione europea, L. MOCCIA (a cura di), in Quaderni del Centro Altiero Spinelli, Roma,
Franco Angeli, 2010, 27.
181
182
Così testualmente S. GAMBINO, ult. op. cit., 27 ss.
M. FIORAVANTI, Un ibrido fra Trattato e Costituzione, E. PACIOTTI (a cura di), La
Costituzione europea. Luci ed ombre, Roma, Meltemi, 2003.
183
93
Questo orientamento dottrinario si interroga sulla natura dei nuovi
trattati, e pur affermandone la costante valenza giuridica e politica, evidenzia
che gli stessi difettano di un elemento connaturale delle costituzioni, ossia
quello dei principi costituzionali che differiscono dai principi generali del
diritto dell’Unione: secondo questa corrente i nuovi trattati non sono altro
che una forma di riorganizzazione normativa di quelli precedenti.
Pur sottolineando come la frontiera dell’integrazione europea risulti
spostata in modo significativo in avanti attraverso i diritti, questa parte della
dottrina ne sottolinea il persistente deficit costituzionale, che potrebbe
risolversi solo attraverso le procedure classiche elaborate a livello europeo184.
Tali questioni sembrerebbero rimandare a quella relativa alla necessità
di una positivizzazione delle tutele giurisdizionali dei diritti fondamentali
dell’Unione, la cui garanzia potrà essere assicurata solo superando
l’approccio funzionalista e trovando una definitiva risposta agli interrogativi
sulla natura del processo d’integrazione europea.
Le novità apportate alla Carta dei diritti fondamentali sono
sicuramente suscettibili di incidere sul funzionamento del sistema europeo185:
S. GAMBINO, I diritti fondamentali dell’Unione europea fra Trattati (di Lisbona) e Costituzione,
disponibile al sito internet http://www.estig.ipbeja.pt/~ac_direito/GambinoII.pdf. Per un
diverso orientamento che nega l’esistenza di un simile deficit di legittimazione, sulla base del
persistente rapporto rappresentativo delle istituzioni comunitarie si veda C. ROSSANO,
Alcune considerazioni sul processo costituente europeo, I. PERNICE-R MICCU’(a cura di), The
European Constitution in the Making, Baden-Baden, 2003.
184
Per dar conto della dottrina in materia di Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea, tra i molti si possono ricordare: il forum su La Carta europea dei diritti, pubblicato
nella rivista Dir. pubb. comp. ed eur., 2001, 154 ss.; FERRARI G. F., I diritti tra costituzionalismi
statali e discipline transnazionali, in I diritti fondamentali dopo la Carta di Nizza: il
costituzionalismo dei diritti, Milano, Giuffrè, 2001; i due volumi curati da U. DE SIERVO,
Costituzionalizzare l’Europa ieri ed oggi e La difficile Costituzione europea, Bologna, Il Mulino,
2001, che si inseriscono nella raccolta pubblicata sotto il patrocinio della Fondazione Cassa di
Risparmio delle Provincie Lombarde, Verso la Costituzione europea; tra i commentari v. R.
BIFULCO, M. CARTABIA, A. CELOTTO, L’Europa dei diritti, Bologna, Il Mulino, 2001 e L.
FERRARI BRAVO, F.M. DI MAJO, A. RIZZO, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,
Milano, Giuffrè, 2001. Per quanto riguarda la giurisprudenza sulla Carta si devono
richiamare le decisioni del Tribunale di prima istanza che sembrano implicitamente
185
94
di fronte all’introduzione di un catalogo comunitario di diritti, e
indipendentemente dalla portata espansiva indiretta che la Carta potrà avere
sulle stesse competenze della Unione, parrebbe verosimile che il documento
sia destinato a determinare un’uniformazione dei sistemi giuridici più
rilevante di quella che si è avuta con la CEDU.
§3 LA CORTE EDU E IL METODO COMPARATIVO
Il sistema giurisdizionale della Corte EDU si pone in rapporto di
complementarietà rispetto alla tutela nazionale in materia di diritti
fondamentali della persona.
La CEDU subordina espressamente il diritto di azione davanti alla
Corte europea al previo esaurimento dei ricorsi interni: il più delle volte la
ragione dell’inammissibilità del ricorso a Strasburgo è l’omesso esaurimento
di tutte le istanze nel proprio Paese.
La Corte non rappresenta, infatti, un estremo mezzo di impugnazione
(nel senso che essa non verifica se ai tribunali statali siano sfuggiti errori di
diritto o circostanze di fatto), piuttosto essa giudica se siano stati violati
diritti umani e libertà fondamentali, così come ancorati alla Convenzione ed
ai suoi protocolli.
riconoscerle valore normativo: causa T112/98 disponibile al sito internet http://eurlex.europa.eu/JOHtml.do?uri=OJ%3AC%3A2001%3A150%3ASOM%3AIT%3AHTML e causa
T54/99 disponibile al sito internet http://curia.europa.eu/juris/showPdf.jsf;jsessionid=
9ea7d2dc30db6b56a98f1851439fbddffa301876c843.e34KaxiLc3qMb40Rch0SaxuKbx10?text=&
docid=104195&pageIndex=0&doclang=it&mode=req&dir=&occ=first&part=1&cid=3981389.
Anche i giudici nazionali in alcuni casi fanno riferimento a tale documento nelle loro
argomentazioni: così il Tribunale supremo spagnolo (Sala civile), dec. 8 febbraio 2001, n. 93,
in Repertorio de jurisprudencia, 2001, 855 ss. e la Corte d’appello di Roma, v. sul punto la nota
di A. CALVANO, La Corte d’Appello di Roma applica la Carta dei diritti UE. Diritto pretorio o Jus
commune europeo, disponibile al sito internet dell’Associazione dei costituzionalisti
http://www.Associazionedeicostituzionalisti.it.
95
La CEDU prevede che le pronunce dell’organo europeo non annullino
o correggano automaticamente le sentenze definitive emesse in ambito
nazionale, bensì dichiarino l’avvenuta violazione della CEDU oppure
condannino lo Stato a ripristinare la situazione anteriore alla violazione del
diritto: attraverso il risarcimento dei danni subiti dal ricorrente o mediante
misure ulteriori raccomandate dal Comitato dei Ministri che sorveglia
l’esecuzione delle decisioni della Corte (art. 46)186.
Peraltro le Alte parti Contraenti hanno l’obbligo di conformarsi alle
sentenze pronunciate dalla Corte nelle controversie in cui sono parti (art. 46).
Di poi la CEDU stabilisce che la tutela europea non debba intervenire
nell’ipotesi in cui all’interno degli stati membri sia assicurata una garanzia
almeno equivalente a quella offerta dal livello sovranazionale187.
Sulla base di tali previsioni, in parte precedenti alla riforma del 1998,
la Corte di Strasburgo ha negli ultimi anni incrementato notevolmente la
propria attività, venendo a rivestire un ruolo di primissimo piano nel
panorama giurisdizionale europeo188.
Un impulso decisivo per l’affermazione della Corte di Strasburgo
come centro decisionale al massimo livello nel circuito normativogiurisdizionale europeo è derivato dall’entrata in vigore del Protocollo n. 11,
in data 1 novembre 1998, con la generalizzazione e “l’assolutizzazione” del
Ai sensi dell’art. 41 della Convenzione se la sentenza “dichiara che vi è stata violazione della
Convenzione o dei suoi protocolli e se il diritto interno dell’Alta parte contraente non permette che in
modo incompleto di riparare le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, quando è il caso,
un’equa soddisfazione della parte lesa”.
186
Così S. MORELLI, Tecniche di tutela di difesa della persona: nuovi diritti nella giurisprudenza
della Corte Costituzionale, di Cassazione, europea di Strasburgo: tutela preventiva e risarcitoria,
Milano, Cedam, 2003, 141 ss.
187
188
V. SCIARABBA, op. cit., 269 ss.
96
diritto di ricorso alla Corte da parte dei singoli, oltre che delle organizzazioni
non governative e dei gruppi di privati vittime di violazioni189.
Il diritto al ricorso individuale è stato definito come un unicum che
fonda uno dei più prestigiosi acquis della Convenzione.
Il Protocollo n. 11 ha innovato sul piano istituzionale e sul piano
operativo il sistema giurisdizionale della Corte EDU attraverso l’abolizione
della Commissione e l’istituzione di una “nuova” Corte che ha acquistato
giurisdizione obbligatoria e vincolante su tutte le questioni concernenti
l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi protocolli.
Questa è composta da un numero di giudici pari a quello degli stati
membri (art. 20), il cui mandato secondo quanto previsto dall’art. 23 dura sei
anni ed è rinnovabile ed incompatibile con qualsiasi vincolo e con ogni
attività contrastante con le esigenze di autonomia, imparzialità e
disponibilità connesse ad un’attività esercitata a tempo pieno (art. 21, comma
3)190191.
189
V. SCIARABBA, op. cit., 269 ss.
La revoca è possibile “solo se gli altri giudici decidono, a maggioranza dei due terzi, che ha
cessato di rispondere ai requisiti richiesti” (art. 24).
190
Quanto alle diverse composizioni e alle rispettive funzioni: -in Assemblea plenaria la
Corte adotta il proprio regolamento, elegge per un periodo di tre anni, con possibilità di
rielezione il presidente e uno o due dei vicepresidenti, nonché i presidenti della Camera
della Corte (parimenti rieleggibili), il cancelliere ed uno o più dei vice-cancellieri; può inoltre
istituire Camere (ulteriori rispetto a quelle ordinariamente previste) per un periodo
determinato (art. 26); -la Grande Camera, composta da diciassette giudici, si pronuncia sui
ricorsi interstatali e individuali quando il caso le sia stato deferito –ricorrendone i
presupposti- dalla Camera oppure, in casi eccezionali, anche a seguito di una sua sentenza,
su richiesta di una parte della controversia da questa decisa; esamina inoltre le richieste di
pareri consultivi presentate dal Comitato dei Ministri; -Comitati composti da tre giudici
entrano in funzione con (esclusivo) riguardo ai ricorsi individuali, al fine di verificarne la
ricevibilità: quando – sulla base del rapporto di un Giudice relatore – “tale decisione può
essere adottata senza un esame complementare” il comitato può all’unanimità dichiarare
irricevibile o cancellare dal ruolo un ricorso di tal genere, in via definitiva (art. 28); -i ricorsi
statali e i ricorsi individuali che non siano stati dichiarati irricevibili o cancellati dal ruolo
tramite una decisione unanime di un Comitato vengono sottoposti a una Camera, composta
da sette giudici, la quale potrà a sua volta o dichiarare irricevibile la questione, o –fino al
191
97
L’entrata in vigore del Protocollo n. 11 ha determinato un vertiginoso
aumento del numero di ricorsi, a fronte del quale si è provveduto a mettere a
punto quella che è stata definita la “riforma della riforma”192, mediante
l’elaborazione, l’adozione e l’apertura alla firma in data 13 maggio 2004 del
Protocollo di emendamento alla Convenzione n. 14, entrato in vigore il 1
giugno 2010, che ha introdotto la figura del Giudice unico a cui spetta il
compito di dichiarare irricevibili o radiare dal ruolo, con decisione definitiva,
tutti quei ricorsi per i quali una decisione di tal genere risulti palesemente
doverosa, senza bisogno di ulteriori accertamenti.
Di poi ai comitati dei tre giudici competenti ad adottare, con voto
unanime, analoghe decisioni di irricevibilità o di cancellazione dal ruolo, è
stato riconosciuto anche il potere di dichiarare un ricorso ricevibile e
pronunziare contestualmente una decisione di merito, sempre con voto
unanime, quando la questione relativa all’interpretazione o all’applicazione
della Convenzione o dei suoi protocolli è oggetto di una “giurisprudenza ben
stabilita” della Corte.
Una terza innovazione concerne l’articolo 35 secondo il quale la Corte,
in qualsiasi fase della procedura, può e deve dichiarare irricevibili i ricorsi
individuali non più soltanto qualora ritenga che il ricorso sia incompatibile
con le disposizioni della Convenzione o dei suoi protocolli, manifestamente
momento della sentenza- deferirla alla Grande Camera (qualora essa sollevi “gravi problemi
di interpretazione della Convenzione o dei suoi protocolli, o se la soluzione rischia di
condurre ad una contraddizione con una sentenza pronunciata anteriormente dalla Corte”),
o infine deciderla nel merito. Più precisamente, l’art. 38, comma 1, prevede che “quando
dichiara che il ricorso è ricevibile, la Corte (la Camera): a. procede all’esame della questione
in contraddittorio con i rappresentanti delle Parti e, se del caso, ad un’inchiesta per la quale
tutti gli stati interessati forniranno tutte le facilitazioni necessarie ai fini della sua efficace
conduzione; b. si mette a disposizione degli interessati per pervenire ad un regolamento
amichevole della controversia sulla base del rispetto dei diritti dell’uomo come riconosciuti
dalla Convenzione e da i suoi protocolli”.
A. GIARDINO CARLI, Stati e Corte europea di Strasburgo nel sistema di protezione dei diritti
dell’uomo. Profili processuali, Milano, Giuffrè, 2005, 38 ss.
192
98
infondato o abusivo, ma anche qualora reputi “che il ricorrente non ha subito
alcun danno rilevante, a meno che il rispetto dei diritti dell’uomo garantiti dalla
CEDU e dai suoi protocolli non esiga un esame del ricorso per quanto riguarda il
merito e a patto di non rigettare per questa ragione alcuna causa che non sia stata
debitamente esaminata da un Tribunale interno”.
Una novità di questo genere potrebbe determinare implicitamente una
corrispondente compressione della titolarità dei diritti e delle posizioni
garantite.
Per quanto precipuamente concerne lo stile delle sentenze della Corte
di Strasburgo esso è difficilmente inquadrabile nell’ambito dei modelli
tradizionali, ma costituisce piuttosto una combinazione originale di elementi
riconducibili ora all’uno, ora all’altro193.
Maggiori dettagli sono contenuti nell’art. 74 del Regolamento di
Procedura da cui si apprende che ogni sentenza deve contenere l’indicazione
del testo ufficiale e del numero dei giudici che costituiscono la
maggioranza194.
Questa ultima precisazione è particolarmente interessante in quanto le
sentenze della Corte di Strasburgo pur ispirandosi al modello continentale
(collegiale a testo unico), da esso si differenziano perché, prima del
dispositivo, viene indicato se la decisione è stata adottata all’unanimità o a
maggioranza, e i giudici, singolarmente o in accordo con altri, possono
E. CALZOLAIO, Tutela dei diritti fondamentali e Giudice europeo, relazione presentata al
convegno di studi “Diritti fondamentali e Diritti sociali”, Università di Macerata, Facoltà di
giurisprudenza, 22-23 novembre 2011.
193
Dall’art. 49 Reg. Proc. si apprende che rientra tra i compiti del Giudice relatore (“juge
rapporteur”) chiedere alle parti informazioni relative ai fatti e il deposito di documenti utili
alla trattazione del caso. Nello svolgimento delle sue funzioni ogni Giudice si avvale
dell’ausilio di consulenti legali (cd. “registry lawyers”) esperti nel diritto degli stati aderenti
alla Convenzione, offrono un contributo nella redazione di una bozza preliminare della
sentenza, che il Giudice relatore sottopone alla sezione o, se del caso, alla Grande Camera.
194
99
redigere eventuali motivazioni separate (separate opinions), che vengono
riportate e pubblicate in calce alla sentenza195.
Con la separate opinion il Giudice può esprimere una posizione di
dissenso (dissenting opinion), ovvero una adesione alle conclusioni della
maggioranza, fondata però su un percorso motivazionale in tutto o in parte
diverso (concurring opinion)196.
Questa possibilità è ampiamente nota e diffusa nell’esperienza inglese,
con la differenza sostanziale che anche quando le sentenze inglesi sono
pronunciate da un collegio di giudici (Court of Appeal e House of Lords) esse
sono personali197.
Gli studi condotti mostrano che il ricorso alle separate opinions
rappresenta più la norma che l’eccezione nel sistema di Strasburgo198.
La giurisprudenza elaborata dalla Corte è di tipo casistico, legata
spesso al dettaglio del caso concreto e, pertanto, al panorama del diritto
comparato, nonché allo sviluppo internazionale della protezione dei diritti
fondamentali.
L’esigenza di assicurare stabilità e prevedibilità alla propria
giurisdizione e quindi all’interpretazione della CEDU, spinge la Corte a
195
Così E. CALZOLAIO, ult. op. cit.
La possibilità di redigere separate opinions implica che la struttura della sentenza muti a
seconda delle combinazioni che possono verificarsi. Sono identificabili almeno le seguenti
tipologie: i) una sentenza adottata all’unanimità (dalla Grande Camera o da una sezione), ii)
una sentenza accompagnata da un’opinione dissenziente di uno o più giudici, iii) una
sentenza accompagnata da una opinione concorrente di uno o più giudici, iv) una sentenza
accompagnata da opinioni concorrenti e dissenzienti, v) una sentenza accompagnata da
opinioni solo parzialmente concorrenti o dissenzienti. Cfr. per questa ricostruzione S.
VOGENHAUER (a cura di), A Matter of Style? The Form of Judgments in the United Kingdom
and Abroad, disponibile al sito internet http://ssrn.com/abstract=1435197, 4.
196
197
Cfr. L. MOCCIA, Comparazione giuridica e diritto europeo, 2005, Milano, Giuffrè, 378 ss.
Circa il 25% delle sentenze rese nel merito sono adottate all’unanimità, il 15% contengono
almeno una dissenting opinion e il 60% almeno una concurring opinion.
198
100
riconoscere ai propri precedenti un peso rilevante199: “sebbene la Corte non sia
formalmente vincolata a seguire i propri precedenti, è nell’interesse della certezza
giuridica, della prevedibilità e della uguaglianza di fronte al diritto che non deve
discostarsi, in assenza di valida giustificazione, dai precedenti resi in casi già
decisi”200.
Si tratta di una peculiarità che distingue il Giudice della Corte EDU
dai giudici costituzionali o da quelli delle supreme magistrature nazionali nei
sistemi di Civil Law, e che consiste principalmente nel legare il dictum di una
sentenza alla particolare fisionomia dei fatti di causa: tale circostanza
rappresenta il cuore della distinzione tra il precedente secondo la tradizione
del Common Law e quello più debole proprio della tradizione di Civil Law201.
V. ZAGREBELSKY, La giurisprudenza casistica della Corte europea dei diritti dell’uomo; fatto e
diritto alla luce del precedente Corte Eu e CEDU, in La fabbrica delle interpretazioni, Atti del VII
Convegno annuale della Facoltà di giurisprudenza dell’Università di Milano-Bicocca, 19-20
novembre 2009.
199
Corte europea dei diritti dell’uomo (Grande Camera), Christine Goodwin c. United Kingdom,
sentenza dell’11 luglio 2002, disponibile al sito internet www.echr.coe.int/echr/en/hudoc:
“While the Court is not formally bound to follow its previous judgments, it is in the interests of legal
certainty, foreseeability and equality before the law that it should not depart, without good reason,
from precedents laid down in previous cases”. Ancora “La Corte non è legata dai propri precedenti,
ma usualmente li segue ed applica, nell’interesse della sicurezza legale e dell’ordinato sviluppo della
sua giurisprudenza (Cosey c. Regno Unito del 1990). Ed anche “E quando procede ad un revirement
giurisprudenziale essa ne indica la ragioni nel fatto che ha riscontrato un mutamento nel quadro
normativo europeo ed internazionale o nelle tendenze culturali nel frattempo emerse in tema di diritti
fondamentali (Christine Goodwin c. Regno Unito in data 1 luglio 2002; Mamatkoulov c. Turchia del
febbraio 2005; Demir e Baykara c. Turchia del 2 novembre 2008; Scoppola c. Italia del 7 settembre
2009)”.
200
M. TARUFFO, Precedente e giurisprudenza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, 712, secondo cui:
“La struttura fondamentale del ragionamento che porta ad applicare il precedente al caso successivo
nei paesi di Common Law è fondata sull’analisi dei fatti, mentre nell’uso della giurisprudenza nel
Civil Law l’analisi comparativa dei fatti manca”.
201
101
Dell’interpretazione della Convenzione da parte della Corte di
Strasburgo l’elemento di rilievo è costituito dal metodo che consiste nel non
separare l’interpretazione dalla applicazione202.
Dal punto di vista strettamente interpretativo la legge ai fini della
CEDU deve essere intesa in senso sostanziale e non formale, così da
ricomprendere ogni testo normativo di qualunque livello nel rispetto del
sistema gerarchico delle fonti (diritto scritto e diritto di creazione
giurisprudenziale).
Secondo la giurisprudenza di Strasburgo, infatti, non esiste una netta
separazione tra i paesi di Common Law e quelli di Civil Law, ma solo una
diversa accentuazione del riparto delle fonti produttrici del diritto203.
Nel quadro della Convenzione la democrazia rappresenta il sostrato
istituzionale e sociale204: a tal proposito la Corte di Strasburgo non ha mai
nascosto di considerare la Convenzione un documento di valore
costituzionale ed uno strumento dell’ordine pubblico europeo in materia di
Così A. GUAZZAROTTI, Uso e valore del precedente CEDU nella giurisprudenza costituzionale
comune posteriore alla svolta del 2007, relazione al seminario di studi “La CEDU tra effettività
delle garanzie e integrazione degli ordinamenti”, Università degli Studi di Perugia, Facoltà di
giurisprudenza, 17 novembre 2011.
202
203
V. ZAGREBELSKY, ult. op. cit.
Secondo la successiva giurisprudenza della Corte Europea, la democrazia è l’unico
modello politico previsto dalla Convenzione ed è pertanto il solo con essa compatibile: la
democrazia presuppone pluralismo ed apertura mentale (Handyside c. Regno Unito del
1976). La Corte sottolinea, nel quadro della attenzione ai diritti delle minoranze e ai
fondamentali diritti individuali, l’importanza della vitalità del dibattito permanente, con i
seguenti limiti al potere della maggioranza di imporre la propria opinione (Young, James e
Webster c. Regno Unito, del 13 agosto 1981). La laicità dello Stato è stata ritenuta aspetto
essenziale e componente della democrazia: essa richiede la neutralità e l’imparzialità dello
stato rispetto al fenomeno religioso, anche quando sia necessari interventi in materia (Refah
Partisi c. Turchia del 13 febbraio 2003).
204
102
diritti umani205, conseguentemente autodefinendosi alla stregua di un
Giudice costituzionale.
In questa direzione l’uso del metodo comparativo, quale canone
interpretativo
utilizzato
dal
sistema
di
Strasburgo,
rappresenta
un’espressione molto ampia di cultura e pluralismo politico e sociale.
Difatti nella sua attività di Giudice europeo, la Corte richiama spesso
la legislazione e la prassi degli ordinamenti nazionali al fine di interpretare i
diritti garantiti dalla CEDU.
Sia che si tratti di chiarire la portata di talune formule aperte
contenute nel testo della Convenzione, sia che ci si occupi di individuare uno
standard minimo del contenuto di tali diritti, i giudici di Strasburgo si
affidano spesso ad un’analisi comparata della normativa, della prassi
giudiziaria e dell’esperienza, sia nazionale che internazionale, per dare
risposte ai quesiti che vengono loro sottoposti206.
Tuttavia un tale impiego solleva una serie di interrogativi alla luce del
fatto che la Corte di Strasburgo, a differenza della Corte di Giustizia, ha
fondato la propria attività sul catalogo dei diritti fondamentali proclamati
dalla CEDU.
Come è stato autorevolmente sostenuto, però, l’impiego che la Corte
di Strasburgo fa dell’argomento comparativo si è rivelato una caratteristica
essenziale ed ineliminabile del sistema di controllo istituito dalla
Convenzione, alla luce della sua natura sussidiaria e complementare rispetto
agli ordinamenti nazionali207.
Tra le numerose decisioni in cui ricorre tale affermazione si ricordano Chrystomos e altri c.
Turchia, 4 marzo 1992,e Loizidou c. Turchia, 23 marzo 1995.
205
G. REPETTO, Argomenti comparativi e diritti fondamentali in Europa, Teorie dell'
interpretazione e giurisprudenza sovranazionale, Napoli, Jovene, 2011, 115 ss.
206
207
G. REPETTO, op. cit., 115 ss.
103
Diverse sono le ragioni che portano a ritenere che l’argomentazione
comparativa sia una componente strutturale del ragionamento giuridico
impiegato dalla Corte208.
Dal punto di vista sostanziale l’azione della Corte EDU, allorquando
giudica la conformità alla CEDU di atti nazionali, non può non tenere conto
di quelle peculiarità giuridiche che di fatto caratterizzano la vita della società
nello Stato interessato209.
L’uso del metodo comparativo risulta, allora, fondamentale in virtù
della funzione mediatrice della Corte: tra le ragioni dell’uniformità, alla base
del suo compito di interprete della Convenzione, e le spinte verso la
diversità, ineliminabili in un sistema che dipende dall’apporto del
patrimonio di tradizione e di cultura giuridico - costituzionale proveniente
dagli stati-membri210.
Il punto è quello di capire con quali strumenti e secondo quali percorsi
la Corte EDU contribuisca alla formazione, per via comparativa, di una
simile nozione di società democratica.
Sotto questo profilo diversi sono gli strumenti interpretativi della
giurisprudenza europea: quelli più importanti, anche per il loro legame con
la nozione di società democratica, sono costituiti senza dubbio dal margine
dell’apprezzamento, concesso agli stati, e dal ricorso all’interpretazione
evolutiva.
In questo senso W. J. GANSHOF VAN DER MEERSCH, Reliance, in the case law of the
European Court of Human Rights, on the domestic law of the States, in Human Rights LAW Journal,
1980, 15.
208
L. FAVOREU, La protection juridictionnelle des droits del’homme au niveau interne. Les droits
européenns latins, in Judical Protection of Human Rights at the National and International Level,
vol. I, Milano, Giuffrè, 1991, 112.
209
210
G. REPETTO, op. cit., 115 ss.
104
A quest’ ultimo proposito, la Corte ha ripetutamente affermato che
l’interpretazione deve avvenire in modo obiettivo e deve essere effettuata
alla luce delle condizioni sociali e politiche attuali (interpretazione
evolutiva)211, in vista dello scopo di salvaguardare e promuovere gli ideali e i
valori della società democratica.
Le esigenze proprie dei sistemi democratici non sono solo richiamate
dal Preambolo della CEDU, ma anche espressamente negli articoli 8-11 della
Convenzione, che ammettono restrizioni ai diritti ed alle libertà fondamentali
solo se e nella misura in cui sono necessarie in una società democratica: a tal
proposito la Corte ricorre costantemente al principio di proporzione nel
valutare la legittimità di una interferenza dello Stato nell’esercizio dei diritti
e nel godimento delle libertà.
Pertanto, sin dalle sentenze della fine degli anni cinquanta, la Corte
EDU ha fatto riferimento al c.d. “margine di apprezzamento”, lasciato agli
stati per l'adozione di misure derogatorie riconosciute quando il diritto o la
libertà in discussione ammette limitazioni secondo esigenze nazionali212.
Essendo la CEDU un trattato internazionale, la Corte la interpreta facendo ricorso ai
criteri indicati dagli articoli 31-33 della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati (1969).
Tra essi la Corte sottolinea l’importanza della considerazione dell’oggetto e dello scopo del
Trattato, che assicura maggiore autonomia nel giudizio interpretativo.
211
Nel caso Brannigan and McBrIDE V. United Kingdom del 26 maggio 1993 la Corte affermò
per la prima volta il principio per il quale gli stati contraenti si trovano in una posizione
migliore rispetto ai Giudice della Corte nel valutare l’interesse concreto sotteso al diritto
protetto dal Trattato. Nel caso di specie il Regno Unito invocava una deroga all’applicazione
dell’art. 5 (Diritto alla libertà e alla sicurezza), per ragioni di prevenzione e lotta al
terrorismo. La Corte in questo caso soggiunse che, sebbene competa alla Corte stessa
valutare la compatibilità della deroga con le norme del Trattato, ciononostante,
nell’esercitare la sua “supervisione” il Giudice della Corte deve dare adeguato peso a fattori
rilevanti, quali la natura dei diritti colpiti dalla deroga, le circostanze che hanno condotto
alla deroga e la durata della situazione di emergenza che ha giustificato la deroga.
Successivamente il principio de quo è stato ampiamente applicato dalla Corte, consentendo di
tenere in considerazione situazioni concrete nelle quali vi è spazio per una differente
applicazione delle regole del Trattato mantenendo contemporaneamente un controllo dello
stato stesso.
212
105
Così mediante tale istituto, non previsto esplicitamente dal testo della
Convenzione, gli organi di controllo di Strasburgo hanno provveduto ad
assegnare agli stati un’area di insindacabilità ogni qual volta una valutazione
delle peculiarità locali faceva ritenere che spettasse a questi ultimi adottare le
decisioni ritenute opportune per perseguire un fine garantito dalla
Convenzione medesima213.
Così su temi particolarmente sensibili, si pensi all’eutanasia (il caso
Pretty c. Regno Unito)214, alla rettifica dell’atto di nascita del transessuale
(caso Goodwin c. Regno Unito), alla fecondazione artificiale (il caso Evans c.
Regno Unito)215, al cd. diritto a nascere sani (il caso Vo c. Francia), al principio
di laicità e ai simboli religiosi nello spazio pubblico (Sahin c. Turchia)216, ai
diritti politici nelle democrazie protette (Refah Partisi c. Turchia)217, la
tendenza della giurisprudenza di Strasburgo è stata quella di fare “un passo
indietro” davanti alla discrezionalità statale.
Questa scelta se è apparsa condivisibile da un lato, dall’altro può aver
creato delle spaccature all’interno del sistema, alla luce del fatto che la
questione centrale in materia di tutela e garanzia dei diritti dell’uomo sta nel
213
G. REPETTO, op. cit., 115 ss.
214
Si veda R. BIFULCO, Esiste un diritto al suicidio assistito nella CEDU?, in Quad. cost., 2003.
D. TEGA, La procreazione assistita per la prima volta al vaglio della Corte europea dei diritti di
Strasburgo, in Quad. cost., 2006.
215
Cfr. D. TEGA, La Corte di Strasburgo torna a pronunciarsi sulla questione del velo islamico, il
caso Sahin c. Turchia, in Quad. cost., 2004.
216
Cfr. S. CECCANTI, Anche la Corte di Strasburgo arruolata nella «guerra di civiltà»?, in Quad.
cost., 2002, 81 ss.; B. RANDAZZO, Democrazia e laicità, in Quad. cost., 2002, 83 ss.; G.
FONTANA, La tutela costituzionale della società democratica tra pluralismo, principio di laicità e
garanzia dei diritti fondamentali. (La Corte europea dei diritti dell’uomo e lo scioglimento del Refah
Partisi), in Giur. costit., 2002, 379 ss.; D. TEGA, La laicità turca alla prova di Strasburgo, in Dir.
pub. comp. ed eur., 2005.
217
106
consolidamento di uno spazio che trovi il suo equilibrio tra la discrezionalità
statale ed il giudizio di conformità al dettato della CEDU218.
In tale direzione si ritiene sia chiaro che il senso e lo spirito della
Convenzione, orientata ad uno standard comune e a regole uniformi, sembra
tale da dover spingere il Giudice comune a riconoscere alla giurisprudenza
di Strasburgo una sostanziale funzione nomofilattica in materia di diritti, e,
se si vuole, a guardare ad essa come una sorta di Giudice di legittimità
nell’ambito indicato.
§4 IL DIALOGO TRA LE CORTI
Da quanto sin’ora evidenziato “ciò che se ne ricava è che viviamo in un
contesto globalizzato, caratterizzato dall’assenza di un ordine giuridico unitario e
dalla concorrenza/conflitto tra diversi ordini giuridici, dove la sovranità statale si
diluisce sempre più ed agli altri stati si sovrappongono altri ordinamenti giuridici,
sopranazionali o internazionali, con il risultato di un pluralismo ordinamentale
senza un ordine prestabilito”219.
Si rileva in proposito che c’è anche chi ritiene che il sistema giurisdizionale della Corte
EDU sia fin troppo pervasivo e rischi di influenzare la protezione costituzionale delle libertà:
cfr. la ben nota posizione di A. PACE in numerosi scritti tra cui, Costituzionalismo e metodi
interpretativi dei diritti fondamentali, G. ROLLA (a cura di), Tecniche di garanzia dei diritti
fondamentali, Torino, 2001; ID. La limitata incidenza della CEDU sulle libertà politiche e civili in
Italia, in Dir. pub., 2001, 7; più in generale ID., Interpretazione costituzionale e interpretazione per
valori, disponibile al sito internet www.costituzionalismo.it. Si veda anche S. SANTOLI, La
disapplicazione di leggi ordinarie in contrasto con la CEDU in Italia e in Francia, in Giur. costit.,
2002, 2227 ss.
218
N. LETTIERI, Relazione, in I diritti umani e fondamentali nella formazione dell’Avvocato
Europeo, Atti del Convegno promosso dal CNF e dalla Scuola Superiore dell’Avvocatura con
l’alto patronato del Presidente della Repubblica, G. ALPA e A. MARIANI MARINI, Pisa,
Edizioni Plus, 2010, 147.
219
107
Si è parlato, così, di un nuovo modo di essere del diritto, il c.d. “diritto
mite”, in cui si riscontra una sorta di sovrapposizione e di collegamento tra
diritto e morale e tra diritto e politica, la cui conseguenza è da un lato un
legame sempre più intenso tra tradizioni e identità giuridiche differenti,
dall’altro una minore coattività del diritto statuale, constatandosi una
maggiore tolleranza ed adattamento a norme che discendono da ordinamenti
diversi.
La “scoperta” di tale obbligo ermeneutico del Giudice nazionale ha
determinato il logico corollario in base al quale ipotizzare un solo articolato
ordine giuridico espanso, composto simultaneamente di regole di diversa
origine (nazionale e sopranazionale) applicabili alla stessa situazione220.
Il fenomeno in continua espansione del “dialogo” tra giudici nazionali
e sovranazionali, esprime un nuovo legame tra giurisdizione e territorio,
idoneo a far divenire gli ordinamenti nazionali parte di un sistema
sovranazionale “a rete” e non più “a piramide”.
Lo sviluppo dell’area e degli strumenti di tutela dei diritti
fondamentali da parte delle istituzioni europee ha generato dibattiti e
preoccupazioni degli studiosi sulla questione del coordinamento della tutela
di tali diritti in ambito comunitario con quella offerta dalle altre corti
competenti in materia.
Nella prospettiva delle novità apportate da Lisbona e dalla prevista
adesione al sistema convenzionale di protezione dei diritti umani (di cui
all’art. 6 TUE), con la conseguente accettazione di un superiore principio di
legalità da parte dell’Unione stessa, risulterà infatti determinante il dialogo
Così N. LETTIERI, ult. op. cit. Una ricostruzione delle trasformazioni strutturali
dell’universo giuridico del novecento è operata sia nel libro di A. CASSESE “I Tribunale di
Babele”, Roma, Donzelli, 2009, sia nel libro di G. ZAGREBELSKY, “Il diritto mite”, Legge diritti
giustizia, Torino, Einaudi, 1992.
220
108
delle due corti europee chiamate a costruire interpretazioni comuni e il più
possibile condivise a livello europeo.
In generale nuove problematiche verranno a delinearsi alla luce della
sovrabbondanza di fonti di diritti e di istituzioni che attualmente sono
preposte a tutela dei diritti fondamentali della persona.
A questo proposito un dato da sottolineare riguarda ad esempio il
diverso meccanismo di accesso da parte del cittadino europeo alla Corte di
Strasburgo e a quella di Lussemburgo in materia di diritti fondamentali: se
da un lato il cittadino europeo può rivolgersi direttamente alla Corte EDU,
l’accesso alla Corte di giustizia in materia di diritti dell’uomo può avvenire in
via mediata solo attraverso il rinvio pregiudiziale da parte dei giudici
nazionali.
D’altro canto grazie alla sopra richiamata adesione dell’Unione
europea alla CEDU, maggiore complementarietà tra le due corti potrà
riscontrarsi relativamente alle violazioni dei diritti fondamentali negli atti
delle istituzioni europee.
Per quanto concerne il rapporto tra la Corte di Lussemburgo e le corti
nazionali, se inizialmente comprensibile è stata l’originaria preoccupazione
per cui nella materia de qua la Corte comunitaria non era in grado di
garantire il medesimo livello di tutela assicurato dalle corti nazionali, in
quanto l’unica finalità della Comunità era la creazione di un Mercato comune
e minore sembrava l’attenzione dedicata ai diritti fondamentali, attualmente
la situazione è mutata.
Il clima è di intensa cooperazione nella protezione dei diritti
fondamentali, piuttosto che di conflittualità.
Dal canto suo la dottrina, mossa dall’evocata paura, in questi decenni
si è impegnata a ricercare quegli strumenti idonei a salvaguardare gli spazi
d’intervento delle corti costituzionali nella tutela dei valori fondamentali,
109
individuandoli nella nota teoria dei controlimiti221: “tale teoria appare oggi
ancor meno giustificata, e ciò non solo per la sempre più accentuata attenzione della
Corte di Giustizia per la tutela dei diritti fondamentali, ma anche per le crescenti e
riconosciute garanzie che il sistema comunitario nel suo complesso offre al
riguardo”222.
Un ulteriore fattore di crisi della teoria è, poi, stato rappresentato
dall’emanazione della Carta di Nizza e dai suoi successivi sviluppi.
Ne consegue, pertanto, che un ipotetico contrasto tra l’Unione ed uno
Stato membro sul significato da dare ad un principio fondamentale dovrebbe
delinearsi unicamente come di tipo interpretativo: in tale caso e in virtù
dell’autorità interpretativa riconosciuta espressamente dal Trattato di
Lisbona alla Corte di giustizia dell’Unione europea, l’ultima parola potrebbe
spettare a quest’ultima.
In generale il criterio che dovrà guidare l’interprete dell’indagine
relativa ai rapporti fra i nuovi trattati e le costituzioni nazionali nella materia
dei diritti fondamentali rimane quello della suddivisione dei rispettivi ambiti
A tal proposito occorre ricordare che il Tribunale costituzionale tedesco si è fatto carico
della salvaguardia dei valori fondamentali dell’ordinamento costituzionale nei confronti del
diritto comunitario, prima affermando in linea teorica il suo potere di non dare applicazione
nell’ordinamento nazionale agli atti normativi statali applicativi di norme comunitarie
contrastanti con diritti fondamentali contenuti nel Grundgesetz (sentenza 29 maggio 1974, c.d.
Solange I), poi con la sentenza nota come Solange II del 22 ottobre 1986, ha ritenuto di dover
sospendere questo proprio sindacato sulle norme comunitarie in relazione ai diritti
fondamentali, quantomeno fino a quando sia garantita una sufficiente protezione ai diritti
fondamentali a livello comunitario. La Corte costituzionale italiana ha invece sempre
riaffermato la credibilità della teoria dei controlimiti, individuati sia nei principi supremi
dell’ordinamento sia nei diritti inviolabili dell’uomo, anche se dopo la sentenza n. 232 del
1989 non è più stata chiamata a valutare le norme comunitarie in relazione ai “controlimiti”,
pur ribadendo che questa forma di sindacabilità esiste sia pure in termini molto stringenti.
221
A. CELOTTO, Carta dei diritti fondamentali e Costituzione italiana: verso il Trattato
Costituzionale
Europeo,
disponibile
al
sito
internet
http://archivio.rivistaaic.it/materiali/convegni/roma020628/celotto.html.
222
110
di operatività in base ad un principio di competenza, rimanendo ciascuno
ordinamento fondato e orientato sulla propria Carta Costituzionale223.
In questa ottica trova piena conferma quella già richiamata lettura
secondo la quale i controlimiti non si pongono più come “un rigido muro di
confine fra ordinamenti, bensì come il punto di snodo, la cerniera dei rapporti tra
Unione europea e stati membri, divenendo ormai gli stessi un elemento positivo e
dinamico di integrazione fra gli ordinamenti, rispetto a cui i giudici dei due sistemi
potranno meglio e più proficuamente ricostruire quel necessario dialogo fra le corti e
quella circolazione di giurisprudenza che avrà il suo riscontro, in ogni caso, con
riferimento al livello di protezione più elevato, di volta in volta al caso concreto, in
un’applicazione pro individuo dello standard di tutela comunitaria o nazionale che
sia”224.
Anche sotto questo profilo acquista, evidentemente, particolare
importanza il dialogo istituzionalizzato tra le corti, funzionale al disegno
dell’integrazione e sopratutto allo sviluppo di principi comuni e di un
patrimonio di diritti arricchito dagli apporti reciproci dei sistemi in causa.
M. CARTABIA, “Unità nella diversità”: il rapporto tra la Costituzione europea e le Costituzioni
nazionali, Giornata di studio in ricordo di A. PREDIERI sul Trattato che istituisce una Costituzione
per l'Unione europea, Firenze 18 febbraio 2005, disponibile al sito internet
www.giustamm.it/index0/ newsletter/2005/2005_2_28.htm. L’autore, peraltro, nel suo studio
I diritti in azione Universalità e pluralismo dei diritti fondamentali nelle Corti europee, Bologna, Il
Mulino, 2007, sottolinea molto più di una preoccupazione con riguardo alla creatività
giurisdizionale che la Corte comunitaria potrà ulteriormente sviluppare a partire dalla
nuova sistemazione accordata alla Carta di Nizza/Strasburgo nel trattato di Lisbona. “E’ vero
che la protezione dei diritti fondamentali è un compito precipuamente giurisdizionale, ma è anche vero
che a volte in ordine ai diritti fondamentali si pone un problema di decisione, prima ancora che di
tutela”, così conclude il suo saggio introduttivo al volume appena richiamato, rinviando
opportunamente alle “belle pagine” di A. BARBERA, Nuovi diritti: attenzione ai confini, L.
CALIFANO (a cura di), Corte Costituzionale e diritti fondamentali, Torino, Giappichelli, 2004,
19 ss.
223
A. CELOTTO, Una nuova ottica dei “controlimiti” nel Trattato costituzionale europeo?,
disponibile al sito internet www.forumcostituzionale.it.
224
111
Per illustrare nel dettaglio i termini del confronto tra i diversi livelli,
giova sottolineare quegli elementi in cui si concretizzano queste diverse
impostazioni.
Il primo aspetto riguarda le fonti e le norme con cui i giudici si
trovano ad operare: per quello che riguarda il rapporto tra Giudice comune e
comunitario vale il criterio del riparto di competenze tra i due ordini
giuridici, mentre per quanto riguarda la CEDU essa impone agli stati
un’obbligazione di risultato225.
Il secondo profilo da evidenziare riguarda il ruolo del Giudice
sovranazionale: se la Corte di giustizia deve garantire l’uniforme
interpretazione ed applicazione del diritto comunitario negli stati membri
attraverso lo strumento del rinvio pregiudiziale, ed i suoi rapporti con i
giudici nazionali sono regolati dal Trattato, la Corte di Strasburgo, Giudice
dei diritti, deve assicurare che gli stati rispettino gli obblighi assunti sul
piano internazionale, non essendovi alcun “canale processuale” con i giudici
nazionali226.
Si tratta di uno dei profili più problematici del sistema, che limita
l’efficacia delle decisioni della Corte EDU anche in quegli ordinamenti dove
In questi termini si esprime, ad esempio, G. COHEN-JONATHAN, La Convention
européenne des droits de l’homme et les systèmes nationaux des États contractants, in Mélanges
Valticos, Bruxelles, 1998, 385 ss., spec. 392. In particolare non viene richiesto ai paesi membri,
come i giudici di Strasburgo hanno espressamente riconosciuto fin da una sentenza del 1976,
di incorporare la Convenzione (o almeno il catalogo di diritti previsto nel titolo primo) nel
proprio diritto interno: così nella decisione Swedish Engine Drive del 6 febbraio 1976,
successivamente confermata, ad esempio, in James and Others del 21 febbraio 1986 (la
ricostruzione di tale giurisprudenza si può vedere in H.C. KRÜGER, Does the Convention
Machinery Distinguish between States which have and have not Incorporated It? in AA.VV.,
Aspects of Incorporation of the European Convention of Human Rights into Domestic Law, London
1993). Allo stesso modo non viene richiesto - nel caso in cui gli stati scelgano di procedere
all’adattamento - di assegnare una speciale posizione alle norme di origine pattizia nei
rispettivi sistemi normativi.
225
L. MONTANARI, Giudici comuni e Corti sovranazionali: rapporti tra sistemi, disponibile al
sito internet http://archivio.rivistaaic.it/materiali/convegni/copanello020531/monatanari.pdf.
226
112
la CEDU riveste un ruolo particolarmente significativo227: è il caso, ad
esempio, dei paesi Bassi dove le norme della Convenzione sono utilizzate
quale parametro per un controllo diffuso sulle leggi, ma i procedimenti
giurisdizionali non possono essere riaperti228.
Diversa è la situazione in quegli ordinamenti229 in cui tale possibilità è
contemplata.
Un’ulteriore circostanza riguarda la modalità attraverso cui vengono
risolti gli eventuali contrasti tra le diverse normative: se in ambito
comunitario vige il principio della diretta applicabilità e della prevalenza del
diritto comunitario230, e la pratica del rinvio pregiudiziale alla Corte di
giustizia per questioni interpretative, nel sistema della CEDU non è
contemplato alcun rinvio231.
Le norme derivate dall’adattamento alla CEDU sono norme di diritto
interno, anche se caratterizzate dalla peculiarità per cui le stesse vivono
Cfr. S. DE BELLIS, L’obbligo di modifica dell’ordinamento statale determinato dalla sentenza della
Corte europea dei diritti dell’uomo, in Studi Panzera, Bari, Cacucci, 1995, 337 ss.; più in generale
E. LAMBERT, Les effets des arrêts de la Cour européenne des droits de l’homme, Bruxelles, 1999.
227
T. BARKHUYSEN, M. VAN EMMERIK, P.H. VAN KEMPEN (cur.), The Execution of
Strasbourg and Geneva Human Rights Decisions in the National Legal Order, The
Hague/Boston/London, 1999.
228
229
Come quello svizzero.
Nell’ordinamento italiano le conseguenze di questi due principi sono state tradotte
attraverso una particolare utilizzazione del criterio di competenza che, a partire dalla nota
sentenza della Corte costituzionale 170/1984, attribuisce a ciascun Giudice ordinario il
potere/dovere di disapplicare la norma interna per applicare quella comunitaria; Cfr. Corte
cost., 8 giugno 1984, n. 170, in Giur. cost., 1984, 1098 ss.
230
Sul ruolo dei giudici nazionali nel sistema CEDU v. per tutti M. A. EISSEN, L’interaction
des jurisprudences constitutionnelles nationales et la jurisprudence de la Cour européenne des droits
de l’homme, D. ROUSSEAU, F. SUDRE (a cura di), Conseil constitutionnel et Cour européenne des
droits de l’homme, Paris, 1990, 137 ss.; L.G. LOUCAIDES, Il ruolo del Giudice interno nel processo
e l’applicazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Riv. internaz. dir. uomo, 1993,
599 ss.; O. DE SCHUTTER, La coopération entre la Cour européenne des droits de l’homme et le
juge national, in Rev. belge dr. inern., 1997, 21 ss.
231
113
anche in ambito internazionale e sono interpretate dalla Corte di
Strasburgo232.
Nell’ipotesi in cui intervenga una legislazione interna che contrasti
con quella che deriva dall’adattamento alla CEDU, il Giudice non potendo
disapplicare le norme interne dovrebbe dare la prevalenza alla disciplina
successiva alla luce del criterio cronologico: tuttavia, come si vedrà, il
Giudice può ricorrere alla Corte costituzionale, attraverso l’incidente di
costituzionalità, oppure cercare di ricostruire la portata della nuova norma
sulla linea della c.d. interpretazione conforme alla CEDU.
In via del tutto sintetica si può dire che in ambito comunitario il
Giudice è tenuto ad applicare le norme di un sistema differente sulla base
dell’interpretazione datane dalla Corte di giustizia: egli deve essenzialmente
obbedire, è un “Giudice-soldato”, almeno sinché non si crei un
insormontabile “problema di coscienza” rispetto ai principi e valori di base
dell’ordinamento nazionale; il sistema CEDU, come sopra detto, si connota in
modo diverso, gettando luce sul risultato più che sul percorso233.
Ulteriori chiarimenti in merito al rapporto tra le corti riguardano il
coordinamento normativo tra le fonti.
232
Così L. MONTATARI, op. cit.
L. MONTANARI, I diritti dell’uomo nell’area europea tra fonti internazionali e fonti interne,
Torino, Giappichelli, 2002, ove l’autrice afferma con riferimento all’ordinamento italiano che
non vi sono obblighi sul piano interpretativo, mentre sul piano formale non è possibile
affermare la prevalenza delle norme di origine pattizia. Ciò potrebbe portare ad un
funzionamento del sistema per così dire dissociato, e – paradossalmente – tanto più
dissociato laddove lo Stato abbia provveduto alla incorporazione della CEDU nel diritto
interno. Ci si trova infatti dinanzi ad un corpo di norme che vive contemporaneamente
nell’ordinamento internazionale, dove è interpretato e applicato dalla Corte europea, e nel
diritto interno, dove è interpretato ed applicato dai giudici nazionali. Questa dissociazione
evidentemente tradisce gli scopi della Convenzione, che intende all’opposto garantire
proprio uno standard uniforme o comune di configurazione e di tutela dei diritti nei paesi
aderenti.
233
114
La prima questione in tal senso concerne la corrispondenza
contenutistica tra la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e la
CEDU, così da renderne al contempo possibile e doverosa la prevista
equiparazione di “significato” e “portata”234.
In particolare giova richiamare l’importanza dell’art. 52, paragrafo 3,
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che recita
testualmente “laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli
garantiti dalla CEDU, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli
conferiti dalla suddetta Convenzione. La presente disposizione non preclude che il
diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa”.
V. SCIARABBA, op. cit., 229 ss. Si segnalano come corrispondenti nel contenuto i seguenti
articoli della Carta dei diritti fondamentali e della CEDU: l’art. 2 della Carta a cui
corrisponde l’art. 2 CEDU; l’art. 4 della Carta a cui corrisponde l’art.3 della CEDU; l’art. 5
della Carta (paragrafo 1 e 2) a cui corrisponde l’art. 4 della CEDU; l’art. 6 della Carta a cui
corrisponde l’art. 5 della CEDU; l’art. 7 della Carta a cui corrisponde l’art. 8 della CEDU;
l’art. 10 della Carta (paragrafo 1) a cui corrisponde l’art. 9 della CEDU; l’art. 11 della Carta a
cui corrisponde l’art. 10 della CEDU fatte salve le restrizioni che il diritto comunitario può
apportare alla facoltà degli stati membri di instaurare i regimi di autorizzazione di cui all’art.
10, par. 1, terza frase CEDU; l’art. 17 della Carta a cui corrisponde l’art. 1 del Protocollo
addizionale alla CEDU; l’art. 19 (paragrafo 1 della Carta) a cui corrisponde l’art. 4 del
Protocollo addizionale n. 4 della CEDU; l’art. 19 (paragrafo 2) della Carta a cui corrisponde
l’art. 3 della CEDU, secondo l’interpretazione datagli dalla Corte EDU; l’art. 48 della Carta a
cui corrisponde l’art. 6, par. 2 e 3 della CEDU; l’art. 49 (paragrafo 1, eccetto l’ultima frase e
paragrafo 2) della Carta a cui corrisponde l’art. 7della CEDU. Per quanto concerne gli articoli
della Carta che hanno un significato identico agli articoli corrispondenti alla CEDU ma la cui
portata è più ampia, si segnalano: l’art. 9 della Carta a cui corrisponde l’art. 12 della CEDU
(il suo campo d’applicazione può essere esteso ad altre forme di matrimonio eventualmente
istituite dalla legislazione nazionale); l’art. 12 (paragrafo 1) della Carta a cui corrisponde
l’art. 11 della CEDU (il suo campo d’applicazione è esteso al livello dell’UE); l’art. 14
(paragrafo1) della Carta a cui corrisponde l’art. 2 (è esteso alla formazione professionale e
continua); l’art. 14 (paragrafo 3) della Carta a cui corrisponde l’art. 2 del Protocollo
addizionale CEDU; l’art. 47 (paragrafo 2 e 3) della Carta a cui corrisponde l’art.6 (paragrafo
1) della CEDU, ma la limitazione alle controversie sui diritti e obblighi di carattere civile o su
accuse in materia penale non si applica al diritto dell’UE e alla sua attuazione; l’art. 50 della
Carta a cui corrisponde l’art 4 del Protocollo n. 7 della CEDU (la portata è estesa al livello
dell’Unione europea tra le giurisdizioni degli stati membri). Infine nell’ambito di
applicazione del diritto comunitario, i cittadini dell’Unione europea non possono essere
considerati stranieri in forza del divieto di qualsiasi discriminazione basata sulla nazionalità.
Pertanto, le limitazioni previste dall’art. 16 della CEDU riguardo al diritto degli stranieri non
sono loro applicabili in questo contesto.
234
115
Alla luce delle considerazioni sopra esposte si può evidenziare
l’importanza dell’intento di superare la statica logica delle “fonti”, in favore
di una logica più dinamica attraverso cui si renda possibile l’armonizzazione
per via giurisdizionale: pertanto dalla concezione monista dell’ordinamento
si aspira alla realizzazione di una leale collaborazione tra le funzioni
giurisdizionali.
Solo così il dialogo tra le corti potrà rendersi utile sotto il profilo della
tutela dei diritti fondamentali della persona.
Si dovrà intraprendere un sistema in grado di esaltare la sussidiarietà
e la circolarità dei rapporti, riconoscendo a ciascun livello coinvolto un ruolo
predefinito.
A questo riguardo giova richiamare la clausola di sussidiarietà di cui
all’ art 53 CEDU: “nessuna delle disposizioni della presente Convenzione può essere
interpretata in modo da limitare o pregiudicare i diritti dell’uomo e le libertà
fondamentali che possano essere riconosciuti in base alle leggi di ogni Parte
contraente o in base a ogni altro accordo al quale essa partecipi”.
Così se alla Corte di Strasburgo sarà assegnato quel ruolo di garante
dell’ordine pubblico europeo in materia di diritti fondamentali, in grado di
fissare il minimum standard comune ed inderogabile, la Corte di Giustizia di
Lussemburgo potrà elevare l’ambito di tutela dei diritti fondamentali
attraverso il contenuto della Carta dei diritti fondamentali che contempla i
c.d. “nuovi diritti”.
Per quanto concerne l’apporto dei giudici nazionali, aldilà dei casi di
confine rappresentati dall’operare della nota teoria dei c.d. controlimiti, ad
essi spetterà il sindacato sugli atti di competenza esclusiva dello Stato.
In questo “menage” tra corti, si mostra necessaria l’attitudine europea
del Giudice ad instaurare un vero e proprio dialogo tra le diverse esperienze
e tradizioni giuridico/culturali: altrimenti è facile prevedere che la crescita a
116
dismisura di cataloghi di diritti, unita alla proliferazione di istanze
giurisdizionali preposte alla loro tutela, porterà ad un indebolimento dei
diritti umani235.
Dal contesto descritto di vivace dialettica e di alto profilo che favorisce
l’individuo, destinatario di tale sistema, emerge l’importanza del ruolo del
Giurista che non può non partecipare come protagonista nello sviluppo del
processo di integrazione europea attraverso i diritti, operando la
ricostruzione di un sistema ormai divenuto multilivello.
Alla luce di quanto sin’ora esposto, il focus della presente indagine
riguarderà, pertanto, la questione della ripartizione fra i diversi livelli
giurisdizionali.
§4.1 IL GIUDICE NAZIONALE E LE CORTI SOVRANAZIONALI
È indubbio che la giurisprudenza di Strasburgo evidenzia con
maggior dettaglio possibile l’intreccio tra il livello internazionale e nazionale
di tutela.
Questo dialogo deve esser valutato in primis in base alla posizione che,
nel sistema delle fonti interne, viene ricoperta dalla CEDU, anche se come è
stato efficacemente messo in luce dalla dottrina236, lo studio del profilo
“statico” relativamente alla posizione della CEDU nel sistema delle fonti
degli stati membri non basta a render conto del profilo dinamico del ruolo
svolto dalla medesima Convenzione nell’esperienza degli ordinamenti
nazionali, ossia della sua effettiva operatività: a tal proposito è risultato
235
E. CALZOLAIO, Tutela dei diritti fondamentali e Giudice europeo, op. cit.
L. MONTANARI, I diritti dell’uomo nell’area europea tra fonti internazionali e fonti interne, op.
cit.
236
117
decisivo il contributo degli organi giudiziari nazionali, sia “costituzionali”
che “comuni”.
Per quanto concerne il profilo per così dire statico vi sono ordinamenti
come quello austriaco dove la Convenzione ha un valore costituzionale, altri
invece dove è sovraordinata alla legge, ma subordinata alla Costituzione,
altri ancora nei quali si colloca a livello legislativo237.
Relativamente alla posizione del Legislatore italiano il fatto di aver
scelto la legge ordinaria come strumento di ratifica e di esecuzione della
CEDU non ha contribuito a chiarire la sua collocazione nel sistema delle
fonti: non esiste infatti nel nostro ordinamento né una disposizione sul valore
interno del diritto internazionale pattizio, né una disposizione, come l’art.
10.2 della Costituzione spagnola, in base alla quale le libertà costituzionali si
interpretano alla luce dei documenti internazionali in materia di diritti
ratificati dallo Stato.238
Sul collocamento della CEDU nel sistema italiano vi sono differenti
posizioni in dottrina che si sono formate nel corso degli anni: con l’intento di
valorizzare il contenuto “costituzionale” della Convenzione la dottrina ha
difatti elaborato almeno quattro diverse teorie che mirano a riconoscere alla
stessa un valore superiore a quello della legge ordinaria239.
Tale riconoscimento in Austria è avvenuto con una legge del 1964 di revisione
costituzionale. Più in generale sull’incorporazione della CEDU nei vari ordinamenti europei
si veda L. MONTANARI, I diritti dell’uomo nell’area europea tra fonti internazionali e fonti
interne, op. cit.
237
Cfr. S. BARTOLE, Rilettura dell’articolo 10.2 della Costituzione spagnola nella prospettiva
dell’esperienza costituzionale italiana, The Spanish Constitution in the European Constitutional
Context, F. F. SEGADO (a cura di), Madrid, 2003.
238
Per una disanima critica di almeno tre di queste posizioni si veda F. COCOZZA, Diritto
comune delle libertà in Europa. Profili costituzionali della Convenzione europea dei diritti dell’uomo,
Torino, Giappichelli, 1994, 51 ss.
239
118
Secondo la teoria c.d. internazionalista il dettato dell’art. 10, comma 1,
Cost., nel prevedere che l’ordinamento si conforma alle norme del diritto
internazionale generalmente riconosciuto, influisce sulla collocazione
gerarchica
delle
norme
di
adattamento
al
diritto
pattizio
(internazionalizzazione della norma costituzionale)240.
La critica a tale dottrina minoritaria si basa sull’assunto che la
produzione delle norme del diritto internazionale pattizio è da ricondursi
all’ordine di esecuzione241.
La
dottrina
costituzionalistica,
rifacendosi
al
principio
c.d.
personalista, riconosce nell’art. 2 Cost. una “clausola aperta” che appresta
tutela costituzionale anche ai diritti inviolabili non esplicitamente previsti in
Costituzione (costituzionalizzazione della norma internazionale)242.
Quella parte della dottrina che aderisce invece al c.d. principio
pacifista sostiene, attraverso il richiamo all’art. 11 Cost., che la CEDU è da
Si riferiscono al dettato dell’art. 10, comma 1, con argomentazioni tra loro differenti R.
QUADRI che, già in Diritto internazionale pubblico, Palermo, Prilla, 1949, 46 e poi anche in
Diritto internazionale pubblico, Napoli, Liguori, 1968, 68, riteneva che tale norma
costituzionale immette nel nostro ordinamento una norma di adattamento alla regola pacta
sunt servanda; P. BARILE, che preferisce invece l’espressione pacta recepta sunt servanda, in
Rapporti tra norme primarie comunitarie e norme costituzionali e primarie italiane, in La com.
internaz., 1966, 15-16; A. D’ATENA, Problemi relativi al controllo di costituzionalità delle norme di
adattamento ai Trattati internazionali, in Giur. costit., 1967, 614 ss.
240
L’unico caso, per quanto risulta, in cui l’ordinamento ha provveduto ad un adattamento
con legge costituzionale, la l. 21 giugno 1967, n. 1, è stato quello della Convenzione per la
prevenzione e la repressione del delitto di genocidio del 1948.
241
Cfr. A. BARBERA, Commento all’art. 2 Cost., Commentario della Costituzione, G. BRANCA (a
cura di), Bologna-Roma, Zanichelli, 1975, 59 ss., in particolare 102 e nota 4 nella quale è
richiamata l’opinione concorde già espressa dalla dottrina penalistica, tra cui G. VASSALLI,
Libertà di stampa e tutela penale dell’onore, in Arch. Pen., 1967; F. BRICOLA, Prospettive e limiti
della tutela penale della riservatezza, in Riv. it. dir. proc. pen., 1967, 1094 ss., in particolare 1099; F.
MANTOVANI, Diritto alla riservatezza e libertà di manifestazione del pensiero, in Arch. giur. Nino
Serafini, 1968, 43. Più recentemente questo orientamento è stato sostenuto da A. LA
PERGOLA, L’adeguamento dell’ordinamento interno alle norme del diritto internazionale dei diritti
umani, in AA.VV., I diritti umani a 40 anni dalla Dichiarazione universale, Padova, Cedam, 1989,
40 ss., in particolare 52-54.
242
119
considerarsi al pari dei trattati stipulati al fine di stabilire “un ordinamento che
assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”243.
In ultimo, con la riforma del Titolo V della Costituzione, una parte
della dottrina richiama l’art. 117, comma 1, laddove prevede che “la potestà
legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto dei vincoli derivanti
dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”: secondo tale
impostazione la CEDU al pari di tutti i trattati, la cui ratifica sia autorizzata
con legge o comunque abbiano avuto esecuzione con legge, può essere
considerata come una norma.
Di poi sono da evidenziare le peculiarità che caratterizzano il “sistema
CEDU”: esso presenta aspetti riconducibili agli strumenti internazionali di
cooperazione intergovernativa, implica tecnicismi propri dei suoi specifici
contenuti
ed
obiettivi,
ed
ancora
istituisce
un
apposito
organo
giurisdizionale.
In considerazione di quanto sopra detto in dottrina non è mancato chi
ha ritenuto di esaltare questi specifici aspetti propri del sistema al fine di
renderli idonei a legittimare una forzatura affinché sia assicurata comunque
la prevalenza dei diritti244.
Per quanto riguarda la posizione della giurisprudenza in merito al
collocamento
della
CEDU,
giova
distinguere
il
ruolo
dei
giudici
costituzionali da quelli comuni.
Cfr. N. CARULLI, Il diritto di difesa dell’imputato, Napoli, 1967, 201 ss., più recentemente, P.
MORI, Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Patto delle Nazioni Unite e Costituzione italiana,
in Riv. dir. internaz.1983, 306 ss.
243
In quest’ottica sembrano collocarsi le riflessioni di A. RUGGERI secondo cui “dove vi sia
una copertura di valore possono saltare le sistemazioni usuali secondo forma” e ciò in particolare
con riferimento alle “fonti di diritto internazionale costitutive (o ricognitive) di nuovi diritti, quale
che sia la “tecnica” che ne consente l’immissione nel diritto interno”: A. RUGGERI, Fonti e norme
nell’ordinamento e nell’esperienza costituzionale, Torino, Giappichelli, 1993, spec. 201 194 e,
analogamente, ID., Fonti, norme, criteri ordinatori, Torino, Giappichelli, 1999, 130 ss.
244
120
La strada seguita da quest’ultimi, in caso di contrasti, è stata
prevalentemente quella di rimettere la questione alla Corte costituzionale,
cercando in vario modo di individuare una “copertura costituzionale” per le
norme di esecuzione della CEDU o per il rispetto degli obblighi che ne
derivano245.
Dal canto suo il Giudice costituzionale italiano, che non ha mancato di
far riferimento alle Carte internazionali in materia di diritti, soprattutto alla
CEDU, sin dal 1960 ha dedicato notevole attenzione alla valutazione
dell’idoneità delle Carte medesime a costituire parametro nel giudizio di
costituzionalità.
Il suo orientamento generale, che è sempre stato prudente e piuttosto
restrittivo, può sintetizzarsi nella sentenza 188/1980, richiamata come una
clausola di stile nelle decisioni più recenti, dove viene così statuito “la Corte
condivide il prevalente orientamento della dottrina e della giurisprudenza per il
quale, in mancanza di specifica previsione costituzionale, le norme pattizie, rese
esecutive nell’ordinamento interno della Repubblica, hanno valore di legge
ordinaria”, con la conseguenza che viene esclusa “la stessa prospettabilità […] di
una questione di legittimità costituzionale, tanto più quando […] le disposizioni
convenzionali vengono poste, di per sé sole, quali parametro di giudizio”246.
I tentativi di offrire una “copertura costituzionale” alla CEDU hanno seguito due diverse
prospettive. In primo luogo si è fatto riferimento alle norme relative al diritto internazionale:
l’art. 11 e l’art. 10. Per un secondo aspetto ci si è invece riferiti alla lettura dell’art. 2 della
Costituzione come clausola aperta. Cfr. per queste diverse ricostruzioni v. tra i molti P.
MORI, Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Patto delle Nazioni unite e Costituzione italiana,
in Riv. dir. internaz., 1983, 306 ss.; G. RAIMONDI, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo
nella gerarchia delle fonti dell’ordinamento italiano, in Riv. internaz. dir. uomo, 1990, 36 ss.; G.
SORRENTI, Le Carte internazionali sui diritti umani: un’ipotesi di copertura a più facce, in Pol. dir.,
1997, 349 ss. e ID., La Corte corregge il Giudice a quo o piuttosto se stessa? In tema di “copertura”
costituzionale della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali,
in Giur. cost.,1999, 2301 ss.
245
Cfr. Corte cost., 22 dicembre 1980, n. 188, in Giur. cost., 1980, 1612 ss., spec. 1626-1627.
L’impostazione in chiave dualistica dei rapporti con il diritto internazionale pattizio ha
trovato conferma anche nella pronuncia sul caso Baraldini, relativa alla Convenzione sul
246
121
Di poi la Corte costituzionale italiana, che fino a quel momento aveva
riconosciuto il normale valore di fonte primaria alla CEDU, solo nella sent.
10/1993 la qualifica come fonte particolare in ragione del suo contenuto, ma
senza ripercussioni concrete sul giudizio di legittimità costituzionale.
Nella richiamata decisione, infatti, la Corte costituzionale utilizza il
riferimento alla CEDU e al Patto internazionale sui diritti civili e politici per
interpretare l’art. 143 c.p.p. in modo da assicurare all’imputato straniero il
diritto a conoscere gli atti processuali nella propria lingua.
Nella decisione si legge che tali norme “sono state introdotte
nell’ordinamento italiano con la forza di legge propria degli atti contenenti i relativi
ordini d’esecuzione”, specificandosi però che esse non possono “essere abrogate
dalle successive disposizioni del codice di procedura penale […], perché si tratta di
norme derivanti da una fonte riconducibile ad una competenza atipica e, come tali,
insuscettibili di abrogazione o modificazione da parte di disposizioni di legge
ordinaria”247.
trasferimento di persone condannate, sottoscritta a Strasburgo il 21 marzo 1983. Nella
decisione 73/2001 si afferma, infatti, che “Le norme di diritto internazionale prive di un
particolare fondamento costituzionale assumono invece nell’ordinamento nazionale il valore conferito
loro dalla forza dell’atto che ne dà esecuzione. […] quando tale esecuzione è disposta con legge, il
limite costituzionale vale nella sua interezza, alla stessa stregua di quanto accade per ogni altra legge.
Sottoponendo a controllo di costituzionalità la legge di esecuzione del trattato, è possibile valutare la
conformità alla Costituzione di quest’ultimo e addivenire eventualmente alla dichiarazione di
incostituzionalità della legge di esecuzione, qualora essa immetta, e nella parte in cui immette,
nell’ordinamento norme incompatibili con la Costituzione”: così Corte cost., 22 marzo 2001, n. 73,
in Giur. cost., 2001, 428 ss., con nota di D. ALBERGHINI, Le norme internazionali pattizie di
fronte alla Corte: questioni nuove?, ivi, 450 ss.
Corte cost., 19 gennaio 1993, n. 10, in Giur. cost., 1993, 52 ss., con nota di E. LUPO, Il diritto
dell’imputato straniero all’assistenza dell’interprete tra codice e convenzioni internazionali. Si rileva
che la legge delega 81/1987 per l’adozione del nuovo codice di procedura penale ha
espressamente previsto all’art. 2 che “il codice di procedura penale deve […] adeguarsi alle norme
delle convenzioni internazionali ratificate dall’Italia e relative ai diritti della persona e al processo
penale”, facendo sì che la CEDU possa essere considerata come norma interposta nei giudizi
di legittimità costituzionale. La Corte Costituzionale tuttavia nella sentenza sopra richiamata
sembra fare riferimento ad un profilo di carattere più generale.
247
122
I giudici concludono riconoscendo una particolare forza espansiva
dell’art. 143 c.p.p. derivante dal rapporto con i principi contenuti nelle Carte
dei diritti, ed alimentato dal necessario collegamento con i valori
costituzionali attinenti ai diritti di difesa ex art. 24 Cost., intesi come principi
fondamentali ex 2 Cost.
La Corte costituzionale attribuisce, da un lato, una resistenza passiva
all’abrogazione derivante da una fonte riconducibile a una competenza
atipica e, dall’altro, riconosce nei principi del diritto internazionale pattizio
una peculiare integrazione del parametro costituzionale.
La decisione tuttavia è carente, come è stato evidenziato in dottrina248,
di una specifica motivazione in ordine alle ragioni giustificatrici e sui
caratteri di tale atipicità249: la Corte non ha più ripreso successivamente
questa ipotesi ricostruttiva, la quale pur non rappresentando un’inversione
di tendenza rispetto al consolidato orientamento, resta impressa perché
rappresenta il tentativo più avanzato per garantire il rispetto delle Carte dei
diritti che l’Italia ha riconosciuto.
Secondo una parte della dottrina la posizione contenuta nella sentenza
n. 10 del 1993 si potrebbe interpretare come il tentativo di operare un
distinguo tra il diritto internazionale pattizio tout court e i documenti
internazionali in materia di diritti.
E. LUPO, Il diritto dell’imputato straniero all’assistenza dell’interprete tra codice e convenzioni
internazionali, op. cit.
248
Va peraltro sottolineato che la dottrina internazionalistica sostiene da tempo una
soluzione di questo tipo, basata sul riconoscimento della “specialità” che caratterizza le leggi
di esecuzione. La disciplina successiva le potrebbe derogare solo se esprime, oltre alla
volontà di disciplinare in modo diverso una certa materia, anche quella di revocare
l’impegno assunto a livello internazionale di rispettare un determinato trattato: così G.
RAIMONDI, Effetti del diritto della Convenzione e delle pronunce della Corte europea dei diritti
dell’uomo, in Riv. internaz. dir. uomo, 1998, 422 ss.
249
123
Se è vero che l’atipicità di cui parlano i giudici si può ricondurre non
al profilo formale, ma a quello materiale, si potrebbe concludere che la Corte
abbia sentito l’esigenza di valorizzare, appunto, la materia diritti come
elemento capace di influire sulla forza passiva della legge di ratifica250.
Un percorso differente è stata tentato negli anni più recenti con la
sentenza n. 388 del 1999, ancora una volta in materia di garanzie nel
processo251, in cui la Corte ha affermato che “indipendentemente dal valore da
attribuire alle norme pattizie, che non si collocano di per se stesse a livello
costituzionale, mentre spetta al Legislatore dare ad esse attuazione, è da rilevare che i
diritti umani, garantiti anche da Convenzioni universali o regionali, trovano
espressione, e non meno intensa garanzia, nella Costituzione: non solo per il valore
da attribuire al generale riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo fatto dall’art.
2 della Costituzione, sempre più avvertiti dalla coscienza contemporanea come
coessenziali alla dignità della persona, ma anche perché, al di là della coincidenza nei
cataloghi di tali diritti, le diverse formule che li esprimono si integrano,
completandosi reciprocamente nell’interpretazione”252.
Cfr. E. LUPO, Il diritto dell’imputato straniero all’assistenza dell’interprete tra codice e
convenzioni internazionali, op. cit., 66 e ss.; E. CANNIZZARO, Gerarchia e competenza nei
rapporti tra Trattati e leggi interne, in Riv. di dir. internaz. 1993, 351 ss.; vedi, più in generale, M.
RUOTOLO, La «funzione ermeneutica» delle convenzioni sui diritti umani nei confronti delle
disposizioni costituzionali, in Dir. e soc., 2000, 291 ss.
250
Oggetto del giudizio è l’art. 696 c.p.c. nella parte in cui non ammette la piena valutazione
del danno in sede di accertamento tecnico o ispezione giudiziale preventivi, secondo
l’ordinanza di rimessione infatti tale disposizione contrasta tanto con l’art. 24 Cost. quanto
con l’art. 11 Cost., in relazione all’art. 6.1 della Convenzione
251
Corte cost., 22-10-1999, n. 388, in Giur. cost., 1999, 2991 ss., con note di C. PINELLI, La
durata ragionevole del processo fra Costituzione e Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ivi, 2997
ss. e di L. MONTANARI, Dalla Corte una conferma sul rango primario della Convenzione europea
dei diritti dell’uomo: ma forse con un’inedita apertura, ivi, 3001 ss.; G. ZAGREBELSKY ha rilevato
come in tale considerazione è insita la possibilità di rovesciare l’attuale ricostruzione del
ruolo della CEDU nell’ordinamento italiano, che parte dal presupposto della sua carenza di
valore costituzionale: così nella lezione su “corti europee e corti nazionali”, svolta presso
l’Università Luiss Guido Carli a Roma il 12 gennaio 2001.
252
124
Ecco, dunque, che la Corte ribadisce il rapporto di integrazione,
attraverso
l’interpretazione,
tra
Costituzione
e
Carte
dei
diritti,
indipendentemente del fatto che queste ultime, non essendo fonti di rango
costituzionale, non costituiscono da sole un parametro di costituzionalità253.
Dal che un’emergente tendenza del Giudice costituzionale ad
utilizzare le norme pattizie sui diritti come criterio ermeneutico, in funzione
rafforzativa dell’interpretazione di principi che trovano già nella Carta
Costituzionale un riconoscimento esplicito o il proprio fondamento254.
Assumono, poi, un loro autonomo rilievo gli orientamenti dei giudici
comuni italiani, in particolare quelle ipotesi in cui essi invece di adire la
Corte costituzionale utilizzando la norma pattizia per confermare la
sussistenza del diritto (che oltre a trovare fondamento nell’art. 2 della
Costituzione è riconosciuto espressamente anche in alcuni atti internazionali,
tra i quali la CEDU255), hanno reputato di poter definire direttamente i
rapporti tra la normativa nazionale e le norme derivate dalla Convenzione,
sotto il profilo dell’efficacia delle stesse ed in particolare della loro forza
attiva o resistenza passiva all’abrogazione.
Sotto il primo aspetto è stata dichiarata l’idoneità delle norme della
Convenzione ad abrogare la legislazione anteriore in contrasto.
Tendenza evidenziata da A. CORASANITI, Protezione costituzionale e protezione
internazionale dei diritti dell’uomo, in Dir. e soc., 1993, 589 ss., in particolare 607; M. LUCIANI,
La hiérarchie des normes constitutionnelles et sa fonction dans la protection des droits fondamentaux,
in Annuaire international de justice constitutionnelle, 1990, 161 ss.
253
254
Così S. MORELLI, op. cit.
Così Cons. stato, sez. VI, 5 gennaio 1995, n. 12, in Cons. stato, 1995, 65 ss.; analogamente
TAR, Umbria, 5 marzo 1995, n. 83, in Trib. amm. reg., 1995, 2410 ss.; TAR, Lazio, 17 luglio
1998, n. 1854, in Trib. amm. reg., 1998, I, 2970. In materia diversa v. anche le decisioni del TAR
della Lombardia che ha giustificato attraverso il richiamo agli artt. 6 e 13 della CEDU la
disposizione di una consulenza tecnica d’ufficio in Relazione ad atti espressione di
discrezionalità tecnica: da ultimo TAR, Lombardia (Milano), sez. III, 12 maggio 1997, 586, in
Foro amm., 1997, 1725 ss., con nota di L. R. PERFETTI, Il sindacato giudiziale sulla discrezionalità
tecnica, ivi, 1727 ss.
255
125
Sotto il secondo profilo si può individuare un momento di evoluzione
della giurisprudenza comune con la sentenza Medrano del 1993256.
Nella decisione, di poco successiva alla n. 10 del 1993 sopra
richiamata, i giudici di legittimità si sono soffermati sui rapporti tra le
disposizioni pattizie e la normativa ordinaria a tali disposizioni successiva,
riconoscendo una particolare forza di resistenza della prima rispetto alla
seconda “alla luce della natura di principi fondamentali dell’ordinamento che alle
disposizioni della Convenzione deve essere riconosciuta, in conseguenza del loro
inserimento nell’ordinamento italiano”.
Tale qualificazione viene ricollegata al rilievo riconosciuto dalle norme
della CEDU sul piano del diritto comunitario attraverso la giurisprudenza
della Corte di giustizia257.
Così si registrano sotto l’evidenziato profilo e a partire dal 2000, casi di
vera e propria disapplicazione, ad opera del Giudice comune, di norme
256
Cass. pen, sez. I, 10 luglio 1993, in Riv. dir. internaz., 1994, 530 ss.
La Corte afferma in particolare che, se tale qualificazione era già giustificabile sulla base
dell’art. 2 della Costituzione, ora però la Corte di giustizia delle Comunità europee, nel
momento in cui ha stabilito di tenere conto nella propria giurisprudenza dei principi
generali del diritto sanciti dalla CEDU, “ha, in effetti, chiarito che di tali principi avrebbero già
dovuto tener conto i giudici nazionali”. Questa ricostruzione non ha mancato di suscitare i
dubbi della dottrina quanto all’opportunità del riferimento all’ordinamento comunitario per
giustificare una speciale “resistenza passiva” delle norme derivate dall’adattamento alla
CEDU: v. per tutti P. PUSTORINO, Sull’applicabilità diretta e la prevalenza della Convenzione
europea dei diritti dell’uomo nell’ordinamento italiano, in Riv. internaz. dir. uomo, 1995, 23 ss. e G.
RAIMONDI, Effetti del diritto della Convenzione e delle pronunce della Corte europea dei diritti
dell’uomo, op. cit., 429. Può ricordarsi che una ricostruzione analoga, che giustifica
l’applicazione delle norme CEDU per il tramite del diritto comunitario, è stata proposta in
Irlanda, ma la motivazione è molto differente. L’Irlanda – com’è noto – è l’unico Stato
membro a non aver incorporato la CEDU nel diritto interno e, dunque, il riferimento ai
principi fondamentali del diritto comunitario costituisce l’unica strada, seppur indiretta,
attraverso cui in alcuni casi le norme della CEDU possono assumere rilievo dinanzi ai
giudici nazionali: v. ad esempio A. CONNELLY, Ireland and the European Convention, in B.
DICKSON (cur.), Human Rights and the European Convention, London, 1997, 185 ss.
257
126
legislative interne ritenute in contrasto con la CEDU258, oppure posizioni più
blande in cui si cerca di risolvere il contrasto sul piano interpretativo anche
attraverso un’attenta analisi della giurisprudenza di Strasburgo.
In generale si tratta di una soluzione poco sostenibile che potrebbe
facilmente condurre a problemi di coordinamento sul piano dei rapporti con
le due corti europee259.
Di poi risulta interessante la considerazione di altri elementi, in
particolare la tendenza dimostrata in alcuni lavori parlamentari260 e
soprattutto in numerose sentenze nelle quali, accanto alla menzione della
CEDU, vengono citate le decisioni della Corte di Strasburgo, a dimostrazione
dell’interesse dei giudici al dettato della Convenzione alla luce di come esso
viene interpretato dalla Corte EDU.
Se si sposta l’angolo visuale dal profilo interno a quello del Giudice
europeo risulta inoltre evidente che sono numerose le decisioni di Strasburgo
nelle quali i giudici rivendicano una lettura dinamica ed evolutiva del testo
della Convenzione261.
In conclusione la pratica ora descritta dimostrerebbe l’emergere di un
nuovo orientamento comprovante il superamento dell’interesse per la
Molto nota, anche perché in essa si faceva riferimento, oltre che alla CEDU, alla Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea, è l’ordinanza della Corte d’Appello di Roma
dell’11 aprile 2002, in materia di gratuito patrocinio.
258
In realtà il problema del rapporto con il diritto comunitario è più complesso, nel senso che
in alcuni casi le norme della Convenzione possono venire in applicazione nel diritto interno
proprio nelle materie di competenza comunitaria e quindi per il tramite del diritto
comunitario. Ciò determina, dunque, la possibilità che l’eventuale contrasto con la
normativa interna sia sottoposto al controllo dei giudici di Lussemburgo.
259
Basti pensare alla recente legge n. 95 del 2004, adottata in seguito ad una serie di
condanne riportate dal nostro Paese in materia di regime carcerario ex art. 41 bis c.p.p.
Ancora, l’espressione “giusto processo”, inserita dal nostro Legislatore costituzionale all’art.
111 Cost., è stata mutuata dall’art. 6 CEDU.
260
La Corte ha definito una sorta di principio di interpretazione in base al quale la
Convenzione “è uno strumento vivente da interpretare alla luce delle condizioni della vita attuale”.
261
127
sistematica delle fonti ed un avvicinamento ad un metodo più vicino ai
sistemi di Common Law.
La questione da formale diventa, perciò, sostanziale: il fatto è di
soffermarsi a capire non tanto quale posizione delle fonti occupi la CEDU,
ma come la stessa incida sullo statuto costituzionale dei diritti e sulla loro
tutela, e quale bilanciamento possa risultare tra il principio costituzionale
della certezza del diritto e quello della c.d. giustizia materiale.
***
Parimenti a quanto segnalato con riguardo alla giurisprudenza della
Corte di Strasburgo, occorre evidenziare il ruolo della giurisprudenza
europea in ambito nazionale: alla luce degli orientamenti delle stesse corti
costituzionali, che hanno asserito che le sentenze interpretative della Corte di
giustizia e quelle rese in sede di giudizio di condanna di uno Stato membro
per inadempimento costituiscono fonti del diritto della Comunità, alla
stregua dei regolamenti e delle direttive, occorre affermare che il “diritto
giurisprudenziale europeo” costituisce parte dell'ordinamento comunitario
stesso.
La “nomofilachia comunitaria” esercitata dalla Corte di giustizia
nell'interpretazione dei trattati e del diritto comunitario derivato costituisce
non soltanto un fattore di uniformizzazione del diritto comunitario, ma
anche un fattore di unificazione del diritto nazionale.
Il rapporto tra ordinamento nazionale e comunitario si pone su un
piano molto più strutturato e formalizzato del rapporto tra i giudici nazionali
e la Corte di Strasburgo, il quale è invece contraddistinto da una maggiore
incertezza: vi è nella sostanza una diversa sensibilità nei confronti delle due
corti, probabilmente anche dovuta ad una diversa struttura delle norme, che
128
in un caso stabiliscono discipline specifiche e nell’altro riconoscono i diritti
della persona.
L’ordinamento
comunitario
rispetto
all’organo
giurisdizionale
nazionale se da un lato impone la sua prevalenza sul piano interpretativo,
dall’altro mira garantire gli obblighi assunti dallo Stato sul piano
internazionale.
Ed invero, l’art. 11 della Costituzione italiana ha, per così dire,
giustificato il primato e l’efficacia diretta della normativa comunitaria, con la
conseguente asserzione del compito del Giudice nazionale di garantirne il
rispetto262.
Le Sezioni unite della Cassazione civile con la sentenza del 1999 n. 64
hanno affermato che “il Giudice della nomofilachia deve essere particolarmente
attento [al tessuto normativo europeo] per accertare, in sede di legittimità, l’esistenza
o meno di una violazione dell’ordinamento comunitario che si concretizza in una
vera e propria violazione di legge a tutti gli effetti”263.
All’interno del contesto descritto, da considerare più semplice rispetto
al rapporto tra Giudice nazionale e Corte EDU, si evidenzia, infine, che sono
due le dinamiche principali ed effettive attraverso cui si esplica il rapporto
Le diverse ricostruzioni dei rapporti tra diritto interno e diritto comunitario, hanno inciso
sulla qualificazione del fenomeno in termini di disapplicazione o non applicazione del primo
nel caso di contrasto. Indipendentemente dai profili teorici, rimane confermata la
conseguenza che è comunque quella di garantire la prevalenza del diritto comunitario: v. A.
CELOTTO, Le «modalità» di prevalenza delle norme comunitarie sulle norme interne: spunti
ricostruttivi, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1999, 1473 ss. Tra i principi affermati dalla Corte
Costituzionale nella dec. 170/1984 e attualmente radicati nel sistema, si evidenzia “i
regolamenti, come le altre norme comunitarie produttive di effetti diretti entrano e permangono
nell’ordinamento interno, e la loro efficacia non può essere intaccata dalla legge nazionale”.
262
Così Cass. civ., SSUU, 13 febbraio 1999, n. 64, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2000, 799 ss., in
sede di regolamento di giurisdizione in materia di appalti, in ordine all’annullamento della
delibera di aggiudicazione.
263
129
tra il Giudice nazionale e la Corte di Giustizia, ossia la diretta applicabilità
delle direttive non attuate264 ed il rinvio pregiudiziale265.
In questo caso i giudici di Lussemburgo hanno riconosciuto ai cittadini il diritto di far
valere immediatamente le direttive nei confronti dello Stato, quando questo non abbia
provveduto nei termini a darvi esecuzione o le abbia trasposte in modo inadeguato, a
condizione però che le stesse contengano disposizioni “dal punto di vista sostanziale,
incondizionate e sufficientemente precise”. Si tratta di un’efficacia cd. “verticale”, nel senso che
riguarda i rapporti del cittadino con lo Stato, mentre analoghe conseguenze sono escluse sul
piano “orizzontale”, tra i privati. La posizione relativa a questo profilo è stata fissata con
chiarezza nella decisione Faccini Dori, nata dal ricorso interpretativo di un Giudice
conciliatore di Firenze che proponeva di applicare, anche prima dell’esecuzione da parte
dello Stato, la Direttiva sui contratti stipulati al di fuori dei locali commerciali anche nei
rapporti tra privati: Corte giust., 14 luglio 1994, in Racc., 3325; v. G. GIACALONE,
Sull’efficacia “verticale” ed “orizzontale” delle direttive, in Giust. civ., 1997, 11571 ss. In generale
la giurisprudenza italiana è in armonia alle indicazioni della Corte di giustizia, riconoscendo
l’obbligo generale di interpretare il diritto interno alla luce di quello comunitario: cfr. Cass.
civ., sez. V., 23 maggio 2001, n. 7016 “l’obbligo del Giudice e delle autorità amministrative
nazionali di interpretare il diritto interno in modo conforme alle direttive, anche quando le stesse non
contengono norme incondizionate e sufficientemente precise, costituisce un principio costantemente
affermato dalla giurisprudenza dei giudici comunitari”. La figura sottesa a questa operazione è
quella della cd. interpretazione conforme, che si è già ipotizzata rispetto alla Convenzione
europea come uno dei modi per risolvere gli eventuali conflitti con la legislazione interna.
264
Il Giudice di legittimità ha ricostruito in modo approfondito, con ampi richiami alla
giurisprudenza comunitaria ed europea, il funzionamento del sistema e il significato del
“procedimento giurisdizionale di interpretazione pregiudiziale del diritto comunitario, attribuito, con
evidenti finalità nomofilattiche alla competenza esclusiva della Corte di giustizia”, che corrisponde
“alla necessaria e fondamentale garanzia […] di assicurarne l’uniforme applicazione in tutti gli
ordinamenti degli stati membri, sia, su un piano più generale, al fine della costruzione di un vero e
proprio ordinamento giuridico comunitario […] sia, più specificamente, per l’obiettivo di attuare una
sostanziale parità di trattamento giuridico dei cittadini comunitari di fronte al principio della
applicabilità diretta e dell’effetto diretto, del diritto stesso nei singoli ordinamenti degli stati
membri[…]”, così L. MONTANARI, I diritti dell’uomo nell’area europea tra fonti internazionali e
fonti interne, op. cit.
265
130
§5 L’INTERPRETAZIONE CONFORME DEL DIRITTO ITALIANO
RISPETTO ALLA CEDU
In generale l’interpretazione conforme di una norma rispetto al dettato
costituzionale
è
un
criterio
interpretativo
introdotto
dalla
Corte
costituzionale al fine di valorizzare la giuridicità della Costituzione.
Questo criterio ha avuto prima uno sviluppo interno e poi ha ricevuto
una serie di applicazioni di natura “esterna”, quali l’interpretazione
conforme a norme comunitarie prive di effetti diretti e alla CEDU, ovvero
l’interpretazione conforme alle relative giurisdizioni, quali la Corte di
Giustizia e la Corte EDU.
Per quanto riguarda in particolare la CEDU, il banco di prova di tale
criterio interpretativo è stato il contenzioso in materia di diritto di proprietà,
ove si è assistito ad un intensificato confronto tra giurisdizioni nazionali
italiane e Corte EDU, che ha portato alle notissime sentenze nn. 348 e 349 del
2007266, con cui la Corte costituzionale italiana ha in qualche modo gettato
ordine sui rapporti tra fonti e tra giurisdizioni267.
266
Cfr. il sito internet http://www.europeanrights.eu/index.php?funzione=S&op=2&id=284
Le sentenze costituzionali nn. 348 e 349/2007 hanno stabilito che la CEDU costituisce, ai
sensi del nuovo art. 117, co. 1, Cost., una fonte di obblighi internazionali cui anche il
Legislatore statale è sottoposto, sia pure alla condizione che tali obblighi non siano in
contrasto con la Costituzione. Per i primi commenti alle citate decisioni cfr., tra i tanti, A.
RUGGERI, La CEDU alla ricerca di una nuova identità, tra prospettiva formale-astratta e
prospettiva assiologia-sostanziale d’inquadramento sistematico, disponibile al sito internet
www.forumcostituzionale.it; M. LUCIANI, Alcuni interrogativi sul nuovo corso della
giurisprudenza costituzionale in ordine ai rapporti fra diritto italiano e diritto costituzionale, in Corr.
giur., 2008, 201; C. PINELLI, Sul trattamento giurisdizionale della CEDU e delle leggi con esse
confliggenti, disponibile al sito internet www.associazionedeicostituzionalisti.it ; B.
RANDAZZO, Costituzione e CEDU: il Giudice delle leggi apre una “finestra” su Strasburgo, in
Giorn. dir. amm., 2008, 25; D. TEGA, Le sentenze della Corte Costituzionale nn. 348 e 349 del 2007,
in Quad. cost. 2008, 133; A. GUAZZAROTTI, La Consulta “guarda in faccia” gli obblighi
internazionali e la CEDU, in Stud. Jur. 2008, 275; C. ZANGHÌ, La Corte Costituzionale risolve un
primo contrasto con la Corte europea dei diritti dell’uomo ed interpreta l’art. 117 della Costituzione,
disponibile al sito internet www.giurcost.org; G. GAJA, Il limite costituzionale del rispetto degli
“obblighi internazionali”, in Dir. internaz., 2007, 136. Alle sentt. nn. 348 e 349/2007 sono seguite
267
131
In relazione al contenzioso in parola si registrava l’assenza di
riferimenti nella CEDU del diritto all’indennizzo in caso di espropriazione,
contemplato invece nella nostra Costituzione così come in molte altre, e alla
“funzione sociale” della proprietà268.
La Corte EDU, dopo le originarie perplessità, non ha mancato di
incorporare la disciplina del diritto dell’indennizzo in caso di espropriazione
in quelli che sono conosciuti come i significati impliciti della Convenzione.
Di poi l’assenza del diritto di proprietà nella Costituzione italiana
quale
“diritto
inviolabile
dell’uomo”
non
ha
ostacolato
la
Corte
costituzionale ad applicare alla proprietà un simile statuto, pur tra le critiche
di autorevole dottrina269.
Ingenerale nella fattispecie delineata il problema principale è stato
quello di individuare un “nucleo essenziale minimo”.
L’elemento di maggiore contrasto si è sollevato relativamente a come
perseguire la finalità dell’espropriazione (ossia la realizzazione di un
pubblico interesse) e quella redistributiva della ricchezza, sull’assunto che
C. cost. 39/2008 (che accoglie una questione in tema di limitazioni dei diritti del fallito,
dando seguito alla giurisprudenza della Corte edu, sul punto); C. cost. 129/2008 (che non
accoglie la questione in tema di revisione dei processi penali celebrati in violazione della
CEDU, accertata con sentenza di condanna della Corte EDU).
La locuzione “diritto di proprietà” non compare in alcuna disposizione della CEDU,
tuttavia per la Corte di Strasburgo, l’art. 1 del Protocollo n. 1 “riconoscendo ad ognuno il
diritto al rispetto dei beni garantisce in sostanza il diritto di proprietà”.
268
Si tratta, in particolare, dell’adesione della Corte alle dottrine del “contenuto essenziale”
del diritto di proprietà il cui nucleo sarebbe incomprimibile dallo stesso Legislatore (il
riferimento è alle sentenze della Corte cost. 6/1966, 55/1968, 3 e 4/1976, 153/1977): A.
PREDIERI, Regime dei suoli e “ius aedificandi”, in N. Rass. 1983, 2473 s.; G. TARELLO, La
disciplina costituzionale della proprietà privata, in ID. Critico verso coloro che escludono la
natura di “diritto inviolabile” della proprietà, come pure verso l’importazione della formula
della Costituzione tedesca del “nucleo essenziale” del diritto, è S. MANGIAMELI, La
proprietà privata nella Costituzione, Milano, Giuffrè, 1986, 21 ss. e 53 ss.
269
132
l’indennizzo non può corrispondere al pieno valore del bene alla luce del
carattere “sociale” della Costituzione270.
Secondo la giurisprudenza della Corte di Strasburgo l’unico criterio di
calcolo degli indennizzi doveva essere quello sul valore di mercato del bene,
in quanto ogni ulteriore sacrificio economico dovrebbe essere sopportato
dall’intera collettività attraverso lo strumento fiscale.
A tale parametro, che presuppone la necessità di graduare gli
interventi pubblici in base alla tipologia di interesse perseguito271 e che
richiede una maggiore aderenza al principio di proporzionalità, sembra oggi
essersi adeguato lo stesso Legislatore italiano272.
Difatti a fronte dei contrasti sopra evidenziati e alle sentenze della
Corte EDU che avevano dichiarato la presenza di una violazione strutturale
da parte dell’Italia in tema di legislazione sull’indennizzo espropriativo si
rese necessario un intervento.
In particolare sono state le c.d. sentenze gemelle n. 348 e n. 349 del
2007 della Corte costituzionale, su sollecitazione della Corte di Cassazione273,
ad incidere fortemente sulla disciplina relativa ai criteri di determinazione
dell’indennizzo
(quanto
all’espropriazione
di aree
edificabili)
e
di
determinazione del danno (in riferimento alle occupazioni appropriative).
Si ricorda la dottrina che considera l’indennizzo quale “massimo di contributo e di
riparazione” che la P.A. può garantire al privato.
270
Espropriazioni finalizzate alla redistribuzione o comunque alla sottrazione della
proprietà, come limitazioni del latifondo e nazionalizzazioni, distinte da espropriazioni
finalizzate alla realizzazione di opere pubbliche o d’interesse pubblico.
271
In ottemperanza di Corte cost. 348/2007, la legge finanziaria per il 2008 (l. 244/2007, art. 2,
co. 89) ha modificato l’art. 37, co. 1, del TU sulle espropriazioni (d.P.R. 327/2001), fissando al
valore venale del bene il calcolo dell’indennizzo, salvo i casi di espropriazione finalizzata ad
attuare interventi di riforma economico-sociale, per cui vige una riduzione del 25% (mentre,
in caso di accordo di cessione, l’indennità è aumentata del 10%).
272
273
Si tratta delle ordinanze di rimessione del 20 e 29 maggio e del 19 ottobre 2006.
133
La sentenza n. 348 del 2007 ha dichiarato costituzionalmente
illegittimo, per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione
all’art. 1 del primo Protocollo della CEDU, nella interpretazione ad esso data
dalla Corte di Strasburgo, l’art. 5-bis del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333,
convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359274.
Con la sentenza n. 349 del 2007 è stata dichiarata poi l’illegittimità
costituzionale del comma 7-bis dell’art. 5-bis sopra richiamato (comma
introdotto dall’art. 3, comma 65, della legge n. 662 del 1996), che non
prevedeva un ristoro integrale del danno subito per effetto dell’occupazione
acquisitiva da parte della Pubblica Amministrazione, corrispondente al
valore di mercato del bene occupato, ponendosi pertanto in contrasto con gli
obblighi internazionali sanciti dall’art. 1 del Protocollo addizionale alla
CEDU e, dunque, con l’art. 117, primo comma, Cost.
Segnatamente, però, l’importanza delle note sentenze gemelle sta
nell’aver definito in termini innovativi rispetto al passato il rapporto che
intercorre fra la legislazione ordinaria ed i vincoli che derivano dagli accordi
internazionali a cui si è data esecuzione con legge275.
G. DE AMICIS, E. VINCENTI, Il “dialogo” tra Cassazione civile e Corte di Strasburgo. La
materia dell’espropriazione per pubblica utilità dopo le “sentenze gemelle” della Corte Costituzionale,
disponibile
al
sito
internet
http://www.penalecontemporaneo.it/area/3/23//1150rapporti_tra_la_giurisprudenza_della_Corte_di_cassazione_e_la_giurisprudenza_d
ella_Corte_edu__anno_2011/: “In breve, si è affermato che l’indennizzo dovuto dallo stato in caso di
espropriazione non può ritenersi legittimo se non consiste in una somma che si ponga in rapporto
ragionevole con il valore del bene. Sicché, la norma denunciata – nel prevedere, in base ad una
disciplina originariamente transitoria, ma attualmente a regime in forza della sua riproduzione nel
testo unico di cui al d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (tanto che, in via conseguenziale, è stata dichiarata
l’incostituzionalità anche dell’art. 37, commi 1 e 2, di detto d.P.R.), un’indennità oscillante, nella
pratica, tra il 50 e il 30 per cento del valore di mercato del bene ed ulteriormente ridotta
dall’imposizione fiscale – è priva di un ragionevole legame con il valore venale del bene, così da
risultare inidonea ad assicurare un serio ristoro e, in definitiva, da vanificare praticamente l’oggetto
del diritto di proprietà”.
274
Come è noto, infatti, l’ordinamento costituzionale italiano prevede al primo comma
dell’art. 10 Cost. l’automatico recepimento nell’ordinamento solo delle “norme del diritto
internazionale generalmente riconosciute”, e pertanto “concerne esclusivamente i principi generali e
le norme di carattere consuetudinario (….), mentre non comprende le norme contenute in accordi
275
134
Difatti l’orientamento generale della Corte costituzionale era stato
prima delle citate sentenze quello di non riconoscere al contenuto degli
accordi internazionali una forza giuridica superiore a quella delle norme di
legge che li avevano recepiti (valorizzando tutt’al più alcuni accordi
internazionali, tra cui la CEDU perché catalogo di libertà e diritti), e di
utilizzarli come strumenti interpretativi.
Rispetto al contenuto delle sentenze sopra citate si evidenzia quel
passaggio secondo cui se prima dell’adozione del nuovo primo comma
dell’art. 117 Cost. vi era, nel sistema costituzionale, una vera e propria lacuna
che impediva la dichiarazione di incostituzionalità di una legge contraria a
norme di recepimento di accordi internazionali (sent. n. 349), ora la nuova
disposizione costituzionale “se da una parte rende inconfutabile la maggior forza
di resistenza delle norme CEDU rispetto a leggi ordinarie successive, dall’altra attrae
le stesse nella sfera di competenza di questa Corte, poiché gli eventuali contrasti non
generano problemi di successione delle leggi nel tempo o valutazioni sulla rispettiva
collocazione gerarchica delle norme in contrasto, ma questioni di legittimità
costituzionale” (sent. n.348): il Giudice comune, allora, non dispone del “potere
di disapplicare la norma legislativa ordinaria ritenuta in contrasto con una norma
CEDU” (sent. n. 348).
internazionali che non riproducano principi o norme consuetudinarie del diritto internazionale”
(sent. n. 349), e nell’art. 11 Cost. prevede che l’ordinamento statale possa consentire “in
condizioni di parità con gli altri stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che
assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni” (norma costituzionale che ha giustificato il
recepimento dei diversi Trattati comunitari europei), ma nulla contemplava esplicitamente
per riconoscere una speciale efficacia giuridica ai normali Trattati internazionali, pur
regolarmente recepiti tramite legge (ciò anche in coerenza con la dominante teoria giuridica
del dualismo fra ordinamento internazionale ed ordinamento interno). Solo con la
modificazione di larga parte del Titolo V della seconda parte della Costituzione ad opera
della legge costituzionale n.3 del 2001 è stata introdotta una importante novità: infatti, il
primo comma del nuovo art. 117 Cost. adesso recita: “La potestà legislativa è esercitata dallo
stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali”.
135
Il nuovo testo del primo comma dell’art. 117 Cost. configura
l’eventuale incostituzionalità di una legge per contrasto con la norma
scaturente dall’accordo internazionale, considerata come un tipo di norma
interposta.
La ricostruzione teorica del rapporto fra le tre fonti in gioco viene
operata in analogia “a quella di altre norme costituzionali, che sviluppano la loro
concreta operatività solo se poste in collegamento con altre norme, di rango subcostituzionale, destinate a dare contenuti ad un parametro che si limita ad enunciare
in via generale una qualità che le leggi in esso richiamate devono possedere. Le norme
necessarie a tale scopo sono di rango subordinato alla Costituzione, ma intermedio
tra questa e la legge ordinaria” (sent. n. 348).
Un riferimento di rilievo operato dalle sentenze è la presa in
considerazione delle norme della Convenzione, come concretamente
applicate dalla Corte EDU, in modo tale da rispettarne la sostanza.
Tuttavia come è stato osservato “nessuno chiede al Giudice di considerare
la giurisprudenza delle corti europee come una fonte legislativa da applicare in modo
pedissequo”276.
In questo senso si segnala una recente sentenza della Corte
costituzionale, laddove si statuisce che una pronuncia della Corte di
Strasburgo “ancorché tenda ad assumere un valore generale di principio […], resta
pur sempre legata alla concretezza della situazione che l’ha originata: la circostanza
che il giudizio della Corte europea abbia ad oggetto un caso concreto e, soprattutto, la
peculiarità della singola vicenda su cui è intervenuta la pronuncia devono, infatti,
essere adeguatamente valutate e prese in considerazione da questa Corte, nel
momento in cui è chiamata a trasporre il principio affermato dalla Corte di
276
E. CALZOLAIO, Tutela dei diritti fondamentali e Giudice europeo, op. cit.
136
Strasburgo nel diritto interno e a esaminare la legittimità costituzionale di una
norma per presunta violazione di quello stesso principio”277.
Secondo la Corte costituzionale “al Giudice comune spetta interpretare la
norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei
quali ciò sia permesso dai testi delle norme. Qualora ciò non sia possibile, ovvero
dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale
interposta, egli deve investire questa Corte della relativa questione di legittimità
costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117, primo comma” (sent. n. 349),
escludendosi pertanto la possibilità che il Giudice comune, a differenza di
quanto accade per le norme del diritto comunitario ad “effetto diretto”, possa
procedere all’applicazione della norma della CEDU in luogo di quella interna
contrastante.
Appare, così, in prima linea il ruolo del Giudice comune investito del
potere-dovere “di applicare le relative norme, nell’interpretazione offertane dalla
Corte di Strasburgo, alla quale questa competenza è stata espressamente attribuita
dagli stati contraenti”278.
Il suo modus operandi dovrà essere quello di attivarsi, in prima battuta,
per giungere, nei limiti degli ordinari canoni di ermeneutica giuridica, ad
una “interpretazione conforme” della norma interna a quella pattizia.
Per quanto concerne il ruolo della Corte costituzionale, questa prima
di procedere al giudizio dovrà accertarsi che la norma internazionale non
contrasti con la disciplina costituzionale, o comunque non offra una tutela
minore rispetto a quella offerta dalla Costituzione, respingendo in tali casi la
questione di legittimità costituzionale: “questa Corte ha il dovere di dichiarare
277
Corte cost., 22 luglio 2011, n. 236, in Cass. pen., 2011, 4142.
Il principio dell’interpretazione conforme è stato più volte enunciato dalla Corte di
Strasburgo; per tutte, si veda Corte EDU, 27 marzo 2003, Scordino, in Foro it., 2003, 361.
278
137
l’inidoneità della stessa ad integrare il parametro, provvedendo, nei modi rituali, ad
espungerla dall’ordinamento giuridico italiano” (sent. n. 348).
Come è stato osservato “sarebbe infatti anacronistico utilizzare talune
disposizioni quale parametro interposto di costituzionalità, senza verificare in prima
istanza a monte la loro compatibilità costituzionale”279, riproponendosi, se pur
con differenze sostanziali, la teoria dei controlimiti, con estensione maggiore
di quella che concerne il rapporto tra norma interna e norma comunitaria,
rispetto al quale vengono in rilievo non già tutte le norme della Costituzione,
bensì soltanto i “principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale” ed i
“diritti inviolabili dell’uomo” dalla stessa Carta garantiti.
La sent. n. 349 si riferisce ad una necessaria “verifica di compatibilità con
le norme della Costituzione”, poiché “in tal modo, risulta realizzato un corretto
bilanciamento tra l’esigenza di garantire il rispetto degli organi internazionali voluto
dalla Costituzione e quella di evitare che ciò possa comportare per altro verso un
vulnus alla Costituzione stessa”.
Difatti così come precisato dalla sentenza n. 348, le norme interposte
espressive degli obblighi internazionali “rimangono pur sempre ad un livello
sub-costituzionale”,
perciò
sono
necessariamente
subordinate
alla
Costituzione.
La Corte costituzionale viene, pertanto, a ritagliarsi uno spazio
interpretativo nel considerare la giurisprudenza europea consolidatasi sulla
norma conferente, così da doverne rispettare “la sostanza, ma con un margine
F. MORRONE, Sulla diretta applicabilità della CEDU nell’ordinamento italiano alla luce della
recente giurisprudenza nazionale, disponibile al sito internet http://www.duitbase.it/saggi/157sulla-diretta-applicabilita-della-cedu-nellordinamento-italiano-alla-luce-delle-recentegiurisprudenza-nazionale.
279
138
di apprezzamento e di adeguamento che le consenta di tener conto delle peculiarità
dell’ordinamento giuridico in cui la norma convenzionale è destinata a inserirsi”280.
Questa pratica è divenuta sempre più frequente nel diritto interno: si è
così espressamente teorizzato, in giurisprudenza, il “potere-dovere del Giudice
di attribuire alle norme interne un significato espansivo inteso a rendere concreto ed
effettivo il diritto protetto delle norme internazionali pattizie”: potere-dovere da
esercitarsi ovviamente “nei limiti del possibile”281.
Dalle considerazioni sinora esposte emerge con evidenza come nella
sua opera di interpretazione “conforme” alla norma “esterna” il Giudice
nazionale debba avviare una problematica opera di ricostruzione di un
sistema ormai “multilivello”, indossando, al contempo, le vesti di Giudice
della conformità alla Costituzione, della conformità al diritto dell’Unione
europea, e in ultimo della conformità alla CEDU282283
Oltre alla sent. n. 236 del 2011 sopra cit., si veda anche la sent .della Corte cost. n. 303 del
2011.
280
Così le sentenze della Corte di Cassazione , sez. lav., del 10 marzo 2004 n. 4932 e del 27
marzo 2004, n. 6173, richiamate da A. GUAZZAROTTI, La CEDU e l’ordinamento
internazionale,
disponibile
al
sito
internet
http://www.forumcostituzionale.it/site/images/stories/pdf/documenti_forum/paper/0023_gu
azzarotti_cossiri.pdf.
281
282
G. DE AMICIS, E. VINCENTI, op. cit.
Per spirito di completezza si richiama anche quella dottrina minoritaria secondo cui dopo
il primo dicembre 2009, con l’entrata in vigore, del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007,
nell’ambito dei 27 stati membri dell’Unione europea, è stata finalmente ritenuta direttamente
applicabile da parte dei giudici nazionali non solo la Carta dei Diritti Fondamentali
dell’Unione europea, ma persino la Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo. M. DE
STEFANO, La Triplice Alleanza delle corti Europee per la tutela dei diritti umani e fondamentali,
dopo
il
trattato
di
Lisbona,
disponibile
al
sito
internet
http://www.dirittiuomo.it/bibliografia/2010/tripliceallenzabis.pdf: “A dimostrazione di tale tesi,
si vedano le recentissime sentenze, non solo della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, che
peraltro già prima aveva ritenuto applicabile la Carta, ma anche della Corte di Cassazione, della Corte
costituzionale e del Consiglio di stato in Italia”. L’A. fa riferimento in particolare a: 1) Corte di
Giustizia delle Comunità Europee (Lussemburgo), (Grande Sezione) sentenza del 19 gennaio
2010, nel procedimento C-555/07, Kücükdeveci c. Swedex GmbH & Co. KG. La Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea ha lo stesso valore giuridico dei trattati. Ai sensi
dell’art. 21, n. 1, di tale Carta, “[è] vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in
283
139
particolare, (…) [sul]l’età”. Corte di Giustizia delle Comunità Europee (Lussemburgo),
(Seconda Sezione) sentenza del 4 marzo 2010, nel procedimento C-578/08, Chakroun c.
Minister van Buitenlandse Zaken. Le misure in materia di ricongiungimento familiare
dovrebbero essere adottate in conformità con l’obbligo di protezione della famiglia e di
rispetto della vita familiare che è consacrato in numerosi atti di diritto internazionale. Infatti,
la Direttiva (del Consiglio 22 settembre 2003, 2003/86/CE, relativa al diritto al
ricongiungimento familiare) rispetta i diritti fondamentali ed osserva i principi riconosciuti
in particolare nell’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti del’Uomo e dalla Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea. Ne consegue che le disposizioni della Direttiva, e,
in particolare, il suo art. 7, n. 1, parte iniziale e lett. c), devono essere interpretate alla luce dei
diritti fondamentali e, più particolarmente, del diritto al rispetto della vita familiare sancito
sia dalla CEDU sia dalla Carta. Va aggiunto che, ai sensi dell’art. 6, n. 1, primo comma, TUE,
l’Unione europea riconosce i diritti, le libertà e i principi enunciati nella Carta, adattata il 12
dicembre 2007 a Strasburgo (GU C 303, pag. 1), che ha lo stesso valore giuridico dei trattati.
2) Corte di Cassazione italiana, sezione terza civile, sentenza del 02 febbraio 2010 n. 2352,
Presidente Di Nanni, Relatore Petti, (Banci ed altri c. Azzolina). Con l’entrata in vigore del
Trattato di Lisbona la Carta di Nizza ha lo stesso valore del Trattato sull’Unione. 3) Corte
Costituzionale italiana, sentenza del 28 gennaio 2010 n. 28, Presidente Amirante, Relatore
Silvestri. La legge penale più mite retroagisce, secondo il principio del favor rei, che
caratterizza l’ordinamento italiano e che oggi trova conferma e copertura europea nell’art. 49
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (cosiddetta Carta di Nizza), recepita
dal Trattato di Lisbona, modificativo del Trattato sull’Unione europea e del Trattato che
istituisce la Comunità europea, entrato in vigore il 1 dicembre 2009. 4) Consiglio di stato
italiano, in sede giurisdizionale, sezione quarta, sentenza del 2 marzo 2010 n. 1220,
Presidente Cossu, Estensore Maruotti. La Sezione deve fare applicazione dei principi sulla
effettività della tutela giurisdizionale, desumibili dall’articolo 24 della Costituzione e dagli
articoli 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (divenuti direttamente
applicabili nel sistema nazionale, a seguito della modifica dell’art. 6 del Trattato, disposta
dal Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1 dicembre 2009). Per pacifica giurisprudenza
della Corte di Strasburgo (CEDU, 28 settembre 2006, Prisyazhnikova c. Russia; CEDU, 15
febbraio 2006, Androsov-Russia; CEDU, 27 dicembre 2005, Iza c. Georgia; CEDU, 30
novembre 2005, Mykhaylenky c. Ucraina; CEDU, 15 settembre 2004, Luntre c. Moldova), gli
artt. 6 e 13 impongono agli stati di prevedere una giustizia effettiva e non illusoria in base al
principio “the domestic remedies must be effective”. In base ad un principio applicabile già
prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il Giudice nazionale deve prevenire la
violazione della Convenzione del 1950 (CEDU, 29 febbraio 2006, Cherginets c. Ucraina,) con
la scelta della soluzione che la rispetti (CEDU, 20 dicembre 2005, Trykhlib c. Ucraina.
Prosegue l’A.: “una prima considerazione può trarsi, per quanto riguarda la Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea non vi è più alcun dubbio che il Giudice ordinario nazionale ha la
possibilità di disapplicare la norma interna in contrasto con la stessa Carta. Per quanto riguarda la
Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo sembrerebbe addirittura superato il sistema introdotto
dalle sentenze n. 348 e 349 del 2007 della Corte Costituzionale, nel senso che il Giudice ordinario
nazionale avrebbe la stessa facoltà (già prevista per il diritto comunitario), senza dover più sollevare la
questione di illegittimità costituzionale davanti alla Corte Costituzionale. Abbiamo sempre definito la
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea come il più aggiornato testo unico dei diritti umani
e fondamentali, ma dopo il Trattato di Lisbona la Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo e la
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, marciano sullo stesso binario e nella stessa
direzione, al fine di garantire il migliore ed il più favorevole trattamento possibile, ponendo gli occhi
dei giudici dalla parte della vittima della violazione dei diritti umani e fondamentali. Questa ottica la
140
prevedono espressamente l’art. 52 e l’art. 53 della Carta per cui la giurisprudenza della Corte di
Lussemburgo deve mantenersi in linea con quella della Corte di Strasburgo, salvo che non voglia
disporre un trattamento più favorevole per la vittima”.
141
CAPITOLO III
I RIMEDI IN CASO DI VIOLAZIONE DEI DIRITTI
FONDAMENTALI
§1 INTRODUZIONE
In questa parte della ricerca s’intende analizzare le problematiche
connesse ai diritti fondamentali in una nuova prospettiva, che avrà riguardo
alla effettività della tutela approntata in caso di violazione.
Ed invero la connotazione di effettività è tra le note determinanti
dell’ordinamento giuridico, rappresentando le norme solamente un aspetto
derivato e secondario di tale prerogativa: l’effettività va giudicata non con un
semplice accertamento storico, che la riconosca e descriva nel suo accadere,
ma commisurandola ad una coscienza normativa, onde sia approvata o
disapprovata, accolta o rifiutata, predicata conforme o difforme.
La coscienza normativa, poiché valuta i fatti, ha bisogno di un criterio
di giudizio che è deducibile, appunto, dalla norma fondamentale284.
La chiave di lettura per comprendere la realtà giuridica sotto questo
profilo è la tradizione giuridico-privatistica nella sua odierna dissoluzione
dei confini tra pubblico e privato: si tratta di un cambiamento che richiede
l’utilizzo di una nozione di diritto più elastica e flessibile, nonché più
prudente alle esigenze delle persona, in quanto in gioco vi è una dimensione
Così N. IRTI, Significato giuridico dell’effettività, Napoli, Editoriale Scientifica, 2009, 15 ss.;
per una disamina della materia si veda anche A. CATANIA, Diritto positivo ed effettività,
Napoli, Editoriale Scientifica, 2009.
284
142
onnicomprensiva ed unitaria, che trova il suo punto di forza nel principio
personalistico.
L’applicazione dei diritti fondamentali nelle controversie tra privati
involge questioni tanto di diritto costituzionale, quanto di diritto privato.
Il tema in oggetto verrà, pertanto, affrontato, dal punto di vista del
diritto contrattuale, al fine di comprendere come possa giustificarsi
l'influenza e l’incidenza del diritto pubblico in questo settore, e quali siano le
dinamiche di integrazione tra i diritti fondamentali ed il diritto dei
contratti285.
Il dilemma principale concerne il metodo attraverso cui i diritti in
parola possono concretamente rilevare sui rapporti intersoggettivi, rispetto al
quale sono state formulate diverse impostazioni di principio e di tecniche
operative
(ad
esempio
efficacia
precettiva
diretta
oppure
metodo
interpretativo assiologicamente orientato), sostanzialmente convergenti nel
risultato.
In questo senso un ruolo molto importante hanno rivestito i contributi
della dottrina e della giurisprudenza tedesca, che per prima ha avviato un
processo di adeguamento dell’ordinamento giuridico alla realtà sociale,
attraverso un metodo esegetico improntato al primato dei valori
fondamentali286.
Pur non rinvenendosi una formula normativa esplicita che coniughi la
formula “rapporti tra privati” e “diritti fondamentali”, l’interprete può
compiere alcune operazioni di verifica per accertare se a livello ermeneutico
la coniugazione sia possibile, sia stata effettuata e che risultati abbia sortito,
tenendo conto dei testi scritti che trattano il rapporto o, senza trattarlo, si
285
C. MAK, Fundamental Rights in European Contract Law, Kluwer Law International, 2008.
P. LAGHI, L’incidenza dei diritti fondamentali sull’autonomia negoziale, Introduzione, Padova,
Cedam, 2012.
286
143
prestano ad una interpretazione nella prospettiva tracciata dal sintagma,
delle pronunce dei giudici che si sono posti il problema e lo hanno risolto in
senso positivo o negativo, e degli orientamenti dottrinali in materia287: la
prospettiva ed il metodo comparativo rappresentano, in tal senso, un
contributo essenziale.
Di poi la risposta all’applicabilità orizzontale della disciplina inerente i
diritti fondamentali ai rapporti tra privati dipende da una serie di risposte ad
un insieme di domande, che si fanno via via sempre più urgenti e necessitate.
Le questioni principali riguardano:
1.
la connotazione giuridica del diritto fondamentale (e in
particolare se il diritto de quo possa considerarsi soggettivo e,
pertanto, direttamente azionabile nei rapporti tra privati);
2.
la rideterminazione del contratto (e in particolare delle sue
componenti, da realizzarsi per via prettamente interpretativa,
volgendo i suoi requisiti essenziali in senso assiologicamente
orientato, e verificando che la sua funzionalità, sul piano
dinamico, punti all’attuazione dei valori fondamentali288).
Con riguardo alla prima questione rileva, ad esempio, il valore della
dignità che è considerato un principio costituzionale, e non un precetto
autonomamente azionabile, da parte delle maggioranza degli stati nazionali,
eccezion fatta per la Germania289.
Ed allora, la risposta che si intende ricercare è se dei valori così
indeterminati, tali da coinvolgere anche taluni connotati dell’eguaglianza
sostanziale, possano interferire sulla disciplina del contratto.
G. ALPA e M. ANDENAS, Fondamenti del diritto privato europeo, Trattato di diritto privato,
G. IUDICA e P. ZATTI (a cura di), Milano, Giuffrè, 53 ss.
287
288
Cfr. Introduzione di P. LAGHI, op. cit.
289
Cfr. Omega (Caso 36/02 [2004], ECR I-09609 (ECJ).
144
In tal senso la configurazione dei diritti fondamentali come “principi
generali” potrebbe essere una delle vie per l’affermazione dell’applicabilità
orizzontale della materia in esame.
Con riguardo alla seconda questione, oltre al come, rileva anche il
dubbio di quando sia possibile risolvere le controversie contrattuali sulla
base dei diritti fondamentali, e quale sarebbe il valore aggiunto di questa
applicazione rispetto al bilanciamento dei “tradizionali” interessi del diritto
privato, tra cui emerge in primo luogo il principio della libertà contrattuale.
Rispetto al come, emerge invece la cruciale diatriba che riguarda il
rapporto tra il ius litigatoris e il ius constitutionis: il quesito è se dare tutela al
diritto creando il rimedio (ubi ius, ibi remedium), oppure se bisognerebbe dare
ingresso al rimedio per tutelare il diritto (ubi remedium, ibi ius).
Per verificare il grado di protezione dei diritti fondamentali, o meglio
la loro effettività, è indispensabile, comunque, praticare regole operative
concrete.
Da questo punto di vista assume particolare rilievo lo studio delle
clausole generali del diritto privato, quali valvole di accesso all’integrazione
del regolamento negoziale e criteri guida nello svolgimento del rapporto in
una dimensione sostanziale, ove la prescrizione invalidante potrebbe
svolgere un ruolo decisivo290.
Di non poco rilievo è, poi, la disamina della funzione svolta
dall’attuale disciplina del danno non patrimoniale, allorquando vi sia stata
una lesione di un diritto costituzionale291: dal punto di vista dell’effettività
290
Cfr. Introduzione di P. LAGHI, op. cit.
Considerato alla luce della nuova giurisprudenza italiana una categoria ampia
comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona, tale da rispondere
“alla sempre più avvertita esigenza di garantire l’integrale riparazione del danno ingiustamente
subito nei valori della persona”, Cass. Civ., 31 maggio 2003, n. 8828, disponibile al sito internet
http://www.altalex.com/index.php?idnot=6247.
291
145
dei diritti fondamentali, il sistema della responsabilità civile, si è detto, opera
come il guardiano di questi valori.
§2 LA DISSOLUZIONE TRA LA SFERA PUBBLICA E LA SFERA
PRIVATA NELL’OTTICA DEI DIRITTI FONDAMENTALI
Dopo l’entrata in vigore della Costituzione italiana, salvo casi
eccezionali292, e per un lungo periodo, è stata minimizzata la interazione tra
le norme costituzionali e quelle civilistiche.
Le ragioni sottese possono essere individuate in questioni di
sensibilità giuridica o di preoccupazione che il diritto privato subisse una
sorta di ideologizzazione alla luce dei principi costituzionali.
Così prevalse la concezione “programmatica” delle disposizioni
costituzionali , tale da rendere impossibile, o meglio non plausibile, la loro
auto-applicazione.
Questo orientamento depotenziava i principi della Carta, intesi come
linee guida per il Legislatore, insuscettibili di efficacia precettiva idonea a
fondare direttamente la pretesa giurisdizionale.
In questo contesto ha giocato un ruolo fondamentale la legislazione
socialista, volta a realizzare il principio di eguaglianza sostanziale nei
rapporti privatistici, e fu nel corso degli anni settanta che si avviò quel
fenomeno noto come il processo di costituzionalizzazione del diritto privato,
ove quest’ultimo si svincola da un’astratta e formale posizione di
subordinazione,
per
essere
usato
all’interno
di
un’operazione
di
Ad esempio le sentenze n. 838 del 1949 e n. 2696 del 1953 della Cass. Civ.,. al fine di
assicurare ai lavoratori una retribuzione sufficiente a condurre un’esistenza dignitosa di per
sé e per la propria famiglia, hanno dotato di efficacia precettiva l’art. 36 della Costituzione.
292
146
bilanciamento concreto degli interessi coinvolti (logiche individualistiche e
solidaristiche).
Così nell’attuale contesto storico e politico il vertice assiologico del
sistema può individuarsi nei diritti inviolabili della persona, posti al vertice
di tutte le costituzioni democratiche, come presupposto e fine dell’azione
regolatrice dell’ordinamento293.
Come è stato autorevolmente affermato “la contrapposizione tra diritto
privato e pubblico è in fase di dissolvimento, e mantiene un valore più ideologico che
funzionale”294.
L’impossibilità di optare per il primato assoluto della sfera pubblica o
di quella privata, costituenti il tessuto connettivo dell’esperienza giuridica,
per Pugliatti è rinvenibile, indipendentemente da ragioni di ordine teorico e
metodologico, anche in virtù di ragioni di matrice storico-giuridica dalle
quali è necessario evincere la sussistenza, non la predicabilità teorica, di una
ineludibile commistione del diritto privato e del diritto pubblico.
“Tale commistione, infatti, opera in primo luogo, ad una attenta analisi del
corpus normativo vigente e dei principi ad essa sottesi, nella direzione secondo cui il
diritto privato si innesterebbe, completandolo, sul diritto pubblico. Ai diritti di
libertà, a quelli della personalità ed ai diritti relativi alla tutela giurisdizionale
corrispondono interessi e valori fondamentali della vita dell’uomo, come individuo e
come componente la collettività o società politicamente organizzata. Dal momento
che l’esperienza giuridica intera poggia le proprie fondamenta strutturali su
entrambi tali elementi, incardinandosi attorno ad una dimensione pubblica
autoritaria e ad un’altrettanto vigorosa matrice eminentemente privatistica,
spontanea e creatrice, della giuridicità, la coesistenza delle due dimensioni, quella
293
L. MENGONI, Diritto e tecnica, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2001, 7.
294
G. ALPA e M. ANDENAS, Fondamenti del diritto privato europeo, op. cit., 7 ss.
147
pubblica e quella privata, pur rimanendo esse inevitabilmente differenti e
parzialmente autonome, non può che essere necessaria ed ineludibile per la
sopravvivenza stessa di ogni compagine sociale organizzata, e non può che svolgersi,
storicamente, secondo le linee di un costante ed incessante rapporto poroso e
dialogico fatto di reciproche compenetrazioni e concessioni, senza che si possa mai
giungere, peraltro, all’eliminazione radicale di una di esse”295.
Rispetto al rapporto tra contratto e Costituzione si ravvisano diverse
opinioni, tra cui quella che non ritiene esistente un’autonomia allo stato
puro, piuttosto un’autonomia creata ed adeguata dall’ordinamento296: a tal
proposito il rapporto tra libertà di iniziativa privata e i limiti sanciti dall’art.
41 della Costituzione potrebbero costituire una buona argomentazione.
L’idea che viene fuori è che il contratto e la Costituzione siano un
unico disegno giuridico297, ed in tale prospettiva i diritti della personalità, di
pertinenza del diritto privato, ne rappresentano la testimonianza diretta.
Sotto altro profilo, sembrerebbe non aver senso distinguere fra una
lesione dei diritti fondamentali cagionata dagli apparati statali, nell’esercizio
delle relative prerogative, e la stessa violazione imputabile, invece, ai privati
cittadini, che abbiano agito in ragione delle attribuzioni a loro riconosciute
dal diritto positivo (o dal Common Law).
Di poi come è stato autorevolmente osservato al fine di sostenere
l’attuale commistione tra la sfera pubblica e quella privata, anche dal punto
di vista europeo, il diritto privato europeo non è in contrapposizione al
diritto pubblico europeo, ma in esso trova le sue più naturali integrazioni: il
295
S. PUGLIATTI, (voce) “Diritto pubblico e diritto privato”, in Enc. del dir, XII, 1964, 719 ss.
Sul punto si veda C. CASTRONOVO, Autonomia privata e Costituzione europea, in Eur. e dir.
priv, 2005.
296
Sul punto si veda G. VETTORI, Il diritto dei contratti fra Costituzione, codice civile e codici di
settore, Remedies in contract, The Common Rules for a European Law, G. VETTORI (a cura di),
Padova, Cedam, 2008.
297
148
diritto europeo, da intendersi in senso ampio, ricompone, infatti, in tutti i
suoi elementi, economici, sociali, identitari, la concezione giuridica della
persona:298.
Come ha sostenuto Rodotà un ripensamento del diritto privato in
questa ottica inedita risulta, in definitiva, inevitabile, altrimenti il rischio
sarebbe quello di un’Europa a due velocità, ossia di un’Unione
“costituzionale”,
fondata
sui
diritti
fondamentali
e
di
un’Unione
“privatistica”, ancorata invece alla logiche del Mercato.
§3 DRITTWIRKUNG
Come ampiamente illustrato nella prima parte della ricerca,
l’originaria fase di elaborazione e di riconoscimento dei diritti fondamentali è
stata rivolta alla concezione degli stessi come strumenti idonei a far fronte
alle ingerenze esterne, ossia quelle dei pubblici poteri.
Dall’aspetto, per così dire, difensivo, l’accento si è poi cominciato a
spostare sul diverso profilo della tutela super-individuale, così iniziando i
diritti fondamentali ad essere intesi quali precetti di protezione (c.d.
Schutzgebotsfunktion dei diritti fondamentali)299.
In quest’ottica i diritti fondamentali devono essere considerati, oltre
che attinenti allo status dell’individuo, come garanzia della persona non solo
verso lo Stato, ma anche nell’ambito dei rapporti tra individui, cioè nei
rapporti tra privati.
298
G. ALPA e M. ANDENAS, Fondamenti del diritto privato europeo, op. cit., 199 ss.
G. RESTA, La disponibilità dei diritti fondamentali e i limiti della dignità (note a margine della
Carta dei diritti), in Riv. dir. civ., 2002, 801 ss.
299
149
Furono i giuristi tedeschi a sviluppare le teorie relative all’applicabilità
diretta delle norme costituzionali nei rapporti orizzontali (privato/privato),
elaborando la figura della c.d. Drittwirkung, con la quale si indica appunto
l’efficacia (Wirkung) delle norme costituzionali nei confronti dei terzi
(Dritten) estranei rispetto al rapporto individuo/pubblici poteri, ossia al
tradizionale paradigma di riferimento in materia di diritti fondamentali.
Di poi furono gli stessi giuristi tedeschi a operare un distinguo tra una
direkte Drittwirkung, applicabilità diretta delle norme costituzionali laddove
le norme di rango inferiore non forniscono effettiva tutela nei confronti dei
diritti fondamentali, ed una indirekte Drittwirkung, nella quale l’applicabilità
dei diritti in parola nei rapporti orizzontali è ammessa al fine di riempire di
contenuto le clausole generali attraverso i principi costituzionali.
Precipuamente tale elaborazione concettuale è avvenuta ad opera del
Giudice tedesco nel caso Luth del 15 gennaio del 1958300.
L’operazione di applicabilità diretta o indiretta può dipendere da tutta
una serie di elementi propri dell’ordinamento che si considera: in particolare
dalla natura del diritto da tutelare, dal ruolo assunto all’interno
dell’ordinamento dalla Corte costituzionale, dalla tradizione giuridica
d’appartenenza, e, ancora, dalla natura riconosciuta alla CEDU.
L’effetto diretto potrebbe essere considerato come l’espressione della
forza dei diritti in parola sul contratto, idonea ad influenzare le sorti del
regolamento contrattuale.
Inversamente l’effetto indiretto sarebbe propugnato da coloro che
sostengono
la
supremazia
degli
interessi
delle
parti
contrattuali
“Sebbene la Grundnorm regoli direttamente solo gli atti della pubblica autorità, la stessa fissa un
ordine oggettivo di valori che influenza il diritto privato in quanto ogni sua previsione deve essere
compatibile con tale sistema di valori e deve essere interpretata secondo il suo spirito”. In argomento
si vedano E.J. EBERLE, Free Exercise of Religion in Germany And The United States, 78, Tul. L.
Rev. 1023 (2004) e B. MARKESINIS, Privacy, Freedom of Expression and the Horizontal Effect of
the Human Rights Bill: Lessons from Germany, 115, L.Q.R. 47 (1999).
300
150
(indipendentemente dall’influenza dei diritti fondamentali nel rapporto tra
privati), e da coloro che fanno leva su una distinzione più netta tra il settore
pubblico e quello privato, cioè di quella parte della dottrina che non
condivide l’inedita contaminazione tra i due settori.
Applicando la teoria indiretta le parti private non sarebbero
destinatarie dirette di tali valori e, pertanto, non si dovrebbe prestare
attenzione all’influenza di tali interessi nelle relazioni interprivate.
La distinzione tra applicabilità diretta e indiretta nasconderebbe, in
questa prospettiva, una matrice giuridico-politica differente, ossia la
supremazia del pubblico sul privato o viceversa301.
Se si limita rigorosamente la sfera entro cui i soggetti privati possono
perseguire i propri interessi rispetto al “bene comune” perseguito dalla
società, i diritti fondamentali, che riflettono i valori condivisi, avrebbero poco
spazio nel diritto contrattuale.
L'influenza di questi diritti nei rapporti giuridici sarà quindi
determinata dai limiti imposti alla sfera privata.
Se si riconosce il riflesso dei valori pubblici sulle norme di
comportamento che le parti contraenti devono rispettare, i diritti
fondamentali avranno un ruolo importante da svolgere nell'ambito del
diritto contrattuale.
Il problema de quo ha suscitato reazioni contrastanti da parte degli
interpreti all’interno dell’ordinamento italiano: di fronte all’indubbia utilità
sostanziale dell’istituto sul piano della protezione dei diritti umani, si
pongono le perplessità di quanti giudicano eccentrica una applicazione
diretta della Carta Costituzionale nei rapporti tra cives302.
301
Si veda su questo aspetto C. MAK, op. cit., 45 ss.
M. R. MORELLI, Materiali per una riflessione sull’applicazione diretta delle norme costituzionali
da parte dei giudici, in Giust. civ., 1999, 4.
302
151
Sotto altro profilo, non è mancato chi ha ritenuto che l’operazione
rischierebbe di ampliare arbitrariamente e discrezionalmente le prerogative
dei giudici, attribuendogli poteri di tipo legislativo.
Queste obiezioni, come è stato osservato, trascurano il presupposto
dei diritti fondamentali della persona, ossia la circostanza che destinatario
delle norme costituzionali del nostro ordinamento non è solamente il
Legislatore, ma anche l’interprete303.
Di poi è stata la stessa Corte costituzionale a fare applicazione di tali
teorie, rivendicando solamente il proprio potere sul giudizio di legittimità
costituzionale304.
Il mutamento di prospettiva è, infine, da valutare su un piano concreto
ed operativo: “se un piccolo comune non è autorizzato a discriminare, perché
dovrebbe esserlo una grande società’”305, specialmente laddove enti privati si
fanno carico di funzioni che prima svolgevano a livello pubblico?
Dal momento che molti servizi di base (acqua, gas, elettricità,
trasporti, posta) sono forniti da imprese private, le norme di diritto
contrattuale dovrebbero essere allineate con i principi costituzionali.
Questo aspetto diventa ancora più forte e concreto se si considera che
molti di questi servizi privati erano in precedenza esercitati da enti statali.
Diventa, pertanto, necessario osservare il fenomeno della tutela dei
diritti fondamentali attraverso un punto di vista globale, che consenta cioè di
avere una visione “spaziale”, “visione che, tanto più nel mondo odierno,
303
G. COMANDE’, Diritto Privato Europeo e diritti fondamentali, Torino, Giappichelli, 21 ss.
M. R. MORELLI, Materiali per una riflessione sull’applicazione diretta delle norme costituzionali
da parte dei giudici, op. cit., 4.
304
A. BARAK, Protection of Human Rights in Provate Law, A. BARAK (a cura di), Book to
Klinghofr on Public Law, Sacher Institute, 1993, 207.
305
152
corrisponde alla condizione di chi è chiamato allo sforzo di star sopra il proprio
orizzonte di riferimento locale, costantemente proteso verso un altrove del diritto”306.
Ed allora sull’efficacia orizzontale delle norme costituzionali nei
rapporti tra cives è difficile non dare una soluzione positiva, ove, appunto, si
rifletta sul fatto che i maggiori attentati ai diritti del singolo possono
provenire da comportamenti di soggetti o gruppi privati dotati di posizioni
di egemonia economica, sociale ed intellettuale.
Ecco allora che i diritti fondamentali possono divenire un parametro
di validità delle situazioni private, tutelando direttamente situazioni che
altrimenti non riceverebbero protezione, perché non contemplate all’interno
di una precipua disposizione legislativa, ovvero in modo indiretto mediante
una lettura delle norme private attraverso le clausole generali, per far
penetrare i valori di riferimento della società nell’ambito del diritto civile,
oppure attraverso la tecnica del combinato disposto con una disposizione di
altra natura (metodo interpretativo costituzionalmente orientato), in modo
da fornire un’argomentazione di supporto alla disciplina di diritto privato al
fine di delineare un quadro giuridico complesso dal quale far derivare la
disciplina specifica per il caso dato.
Si è detto, però, che al momento il problema principale è un altro: non
se i diritti fondamentali possono avere un impatto sulle relazioni tra le parti
private (si tratta di una questione già risolta in senso positivo), ma in che
misura questo accadrà.
In altre parole la vera questione, oggi, non è se esiste una relazione tra
diritti fondamentali e diritto privato, ma in che modo essa si manifesta.
La risposta a tale domanda potrebbe influenzare il futuro del diritto
privato, sia a livello nazionale che europeo.
L. MOCCIA, Comparazione giuridica, diritto e Giurista europeo: un punto di vista globale, in
Riv. trim. dir. proc. civ., 2011, 767 ss.
306
153
La linea tra il rapporto di subordinazione o di complementarità tra i
diritti fondamentali e il diritto privato non è sempre chiara e la distinzione in
parola è una questione di accento.
Si sostiene che a seconda dell’impatto dei diritti fondamentali sui
rapporti tra privati, la relazione tende ad assumere una forma di
subordinazione o di complementarietà (del diritto privato rispetto ai diritti
fondamentali).
In caso di subordinazione i diritti fondamentali non si limitano a
influenzare il diritto privato, essi lo governano godendo di una priorità sui
valori del diritto privato, indebolendo, pertanto, la sua capacità di regolare i
rapporti tra privati, e trasformandolo in uno strumento di promozione dei
diritti in parola.
Per contro il rapporto di complementarietà tra i diritti fondamentali e
il diritto privato implica che, aldilà della posizione di superiorità gerarchica
delle norme dei diritti fondamentali, non si possano eliminare le regole
proprie che caratterizzano la sfera privata.
In altre parole i diritti fondamentali inciderebbero sul diritto privato, e
a sua volta il diritto privato influenzerebbe il modo in cui i diritti
fondamentali incidono su di esso.
Di poi al cuore della distinzione tra la subordinazione e la
complementarietà vi è la questione di quale corpo di leggi determini
sostanzialmente l'esito di una controversia tra privati: se la disciplina sui
diritti fondamentali o il diritto privato.
Se in Germania si riscontra una tendenza verso la subordinazione del
diritto privato ai diritti fondamentali, in particolate nel diritto contrattuale,
nel diritto olandese e inglese si tende a considerare il rapporto in termini di
complementarietà.
154
A differenza della Germania non è possibile nell’ordinamento italiano
stabilire una chiara gerarchia “sostanziale” tra i diritti fondamentali e il
diritto privato, e la questione è rimessa nelle mani dei tribunali e della
giurisprudenza.
La definizione del rapporto tra i diritti fondamentali e il diritto
privato, in termini di subordinazione o di complementarietà, permetterebbe
non solo di determinare quale tipo di relazione tra di essi sussista in un
particolare sistema giuridico, ma anche la possibilità di instaurare un
dibattito aperto sulla misura in cui il diritto privato in generale, o di un ramo
in particolare, dovrebbe essere costituzionalizzato307.
Tale dibattito sarebbe molto più trasparente se i giudici nazionali
ordinari o costituzionali, la cui parola sulla questione del rapporto tra i diritti
fondamentali
e
il
diritto
privato
è
incisiva,
avessero
seguito
la
differenziazione proposta, rispetto al celarsi dietro le etichette tradizionali
dell’effetto orizzontale diretto o indiretto.
§3.1 L’APPLICABILITÀ ORIZZONTALE DELLA CEDU
Il problema dell’applicazione dei diritti fondamentali proclamati dalla
CEDU ai rapporti orizzontali è stato oggetto di attenzione e studio sia da
parte dei giuristi che da parte della corti in un’ottica plurilivello (nazionale,
sovranazionale, europea).
Con riguardo all’applicabilità orizzontale della CEDU si può asserire
che per mezzo delle obbligazioni positive (obblighi di fare) è stato consacrato
l’effetto orizzontale della disposizioni della CEDU, e lo Stato è chiamato a
O. OLHA, Fundamental Rights, Policy Issues and the Draft Common Frame of Reference for
European Private Law, in European Review of Contract Law, 2010, 39 ss.
307
155
farsi garante di tutti i rapporti istauratisi in seno all’ordinamento giuridico
interno.
La materia è stata osservata nei medesimi termini in cui è stata
affrontata l’applicabilità orizzontale dei diritti fondamentali delle Carte
costituzionali nei rapporti tra cives.
Pur parlandosi di Drittwirkung con riferimento alla CEDU, taluni
giuristi hanno precisato che la problematica non può essere risolta attraverso
le soluzioni proposte, in primis, nella esperienza tedesca ove si fa menzione
del contenuto delle clausole generali.
Con riferimento all’applicabilità diretta della CEDU sembra che la
questione possa sostanziarsi nell’obbligo dei giudici nazionali di applicare la
normativa della CEDU ai rapporti tra privati308.
Al fine di sostenere la diretta applicabilità le argomentazioni adottate
dai giuristi sono state molteplici ed hanno riguardato la ragione per cui gli
stati hanno sottoscritto la Convenzione309, e la stessa ratio sottesa alla
CEDU310, nonché i suoi contenuti che richiamano la clausola generale
dell’ordine pubblico311 e quelli del suo Preambolo312, i casi risolti dalla
giurisprudenza internazionale dell’Aja in senso favorevole rispetto a tale
applicabilità, ovvero l’asserita applicabilità diretta della Dichiarazione
D. SPIELMANN, L’effet potentiel de la Convention européenne des droit de l’homme entre
privées, Bruxelles, 1995, 26 ss.
308
309
D. SPIELMANN, op. cit., 26 ss.
310
M. FORDE, Non - Governmental Interferences with Human Rights, B. Y. I. L., 1985 265 ss.
311
D. SPIELMANN, op. cit., 26 ss.
M. A. EISSEN, La Convention et des devoirs de l’individu, La protection internationale des droits
de l’homme dans le acdre européen, Parigi, 1961, 190 ss.
312
156
universale del 1948313.
Di poi si è discusso anche con riguardo alle letture estensive o
restrittive alle quali è stata sottoposta la Convenzione, ad esempio l’art. 1
della CEDU consente un’interpretazione più o meno favorevole al problema
dell’applicabilità a seconda che si faccia riferimento alla traduzione inglese
“le Alte Parti Contraenti garantiranno a ciascuno i diritti e le libertà definiti nella
Convenzione”, o a quella francese “le Alte Parti Contraenti riconosceranno a
ciascuno i diritti e le libertà definiti nella Convenzione”314.
Comunque non tutte le disposizioni della CEDU e dei suoi protocolli
possono essere considerate direttamente applicabili, ma di certo ve ne sono
alcune destinate a questa possibilità: si tratta delle norme sul lavoro, sulla
libertà di movimento, sulla libertà matrimoniale, sulla vita privata e sugli
altri
diritti
fondamentali,
nonché
la
disposizione
che
regola
la
discriminazione e il diritto alla proprietà.
In taluni casi la giurisprudenza nazionale ha trovato una soluzione
positiva alla problematica: si ricorda, a titolo esemplificativo, il caso deciso
da parte della Corte d’appello di Bruxelles il 25 febbraio del 1988 che ha
negato la sospensione della fornitura di energia elettrica al debitore, in
quanto si trattava di un provvedimento contrario alla dignità dell’uomo,
oppure i casi olandesi in cui il Giudice ha ritenuto nulle le clausole di
contratti di locazione di immobili che discriminavano il conduttore sulla base
delle origini etniche, delle credenze religiose o della nazionalità315.
La terza Camera civile della Corte di Cassazione francese in una
sentenza del 6 marzo 1996 chiamata ad interpretare una clausola di
W.J. GANSHOF VAN DER MEERSCH, La Convention Européenne des Droits de l’Homme atelle le cadre du droit interne une valeur d’ordre public?, Bruxelles, Manchester, 1968.
313
314
Sul punto G. ALPA e M. ANDENAS, Fondamenti del diritto privato europeo, op. cit., 58 ss.
315
Così G. ALPA, in Fondamenti del diritto privato europeo, op. cit., 58 ss.
157
godimento personale del locatore al fine di premunirsi contro l’occupazione
degli appartamenti locati da parte di un numero incongruo di persone316 ha
affermato che “le clausole di un contratto di locazione non possono, in virtù
dell’articolo 8 della CEDU, avere per effetto quello di privare il conduttore della
possibilità di ospitare i suoi ospiti”317.
Anche la Corte EDU si è espressa, talvolta, positivamente sulla
possibile applicazione dei diritti della CEDU nei rapporti tra privati,
soprattutto con riferimento a questioni inerenti i diritti della personalità, o in
ambito contrattuale nella materia delle discriminazioni sul lavoro318.
Vero è che nessuna disposizione della CEDU tratta direttamente la
materia contrattuale, tuttavia le sue disposizioni nel loro insieme e per il
tramite dell’interpretazione evolutiva e del riconoscimento dell’efficacia
Il locatore è già in parte tutelato contro tale evenienza dall’art. 1728 c.c. che sancisce
l’obbligazione generale di servirsi della cosa locata con la diligenza del buon padre di
famiglia.
316
Così PRADUROUX, L’attualità del contributo della Convenzione europea della salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali nell’evoluzione del diritto privato italiano e francese, in
Riv. crit. del dir. priv., 2003, 705 ss.
317
Cfr. la ricognizione casistica offerta, per i diversi paesi europei, da D. SPIELMANN, op. cit.
Sul punto G. ALPA e M. ANDENAS, Fondamenti del diritto privato europeo, op. cit., 61 ss., si
sono così espressi:“nel corso del dibattito sviluppatosi nella esperienza italiana, si è manifestata via
via una certa delusione sulla resa nella applicazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo
da parte dei giudici. Pur essendo frequenti le menzioni della Convenzione, l’impressione che si è
ricavata è che la menzione sia forse più un mero orpello che non il fulcro sul quale si è basata la ratio
decidendi per raggiungere la soluzione del caso. Le ragioni di questa deludente reazione sono state
imputate, da Pietro Rescigno, ad una pluralità di fattori. Innanzitutto, al fatto che i diritti
fondamentali garantiti dalla Convenzione di Strasburgo risalgono ad una formulazione ormai più che
cinquantennale, e che quindi si tratti di diritti fondamentali della prima generazione, mentre quelli
della seconda generazione e terza generazione, che sono i diritti attuali concernenti le nuove tecnologie
e i consumi, non sono contemplati nella Convenzione. I diritti riconosciuti dalla Convenzione sono
stati intesi come espressione di norme di natura programmatica, piuttosto che precettive. E tali norme
lasciano spazio alle eccezioni introdotte dagli ordinamenti nazionali; in più si è ritenuto che queste
disposizioni non abbiano valenza costituzionale e quindi, a differenza delle disposizioni previste nelle
Carte costituzionali, non siano suscettibili di applicazione diretta. In altri termini, le disposizioni della
Convenzione sono state utilizzate a fini interpretativi . Così è accaduto per le sentenze della Corte
Costituzionale che hanno richiamato la Convenzione in materia di privacy prima dell’entrata in
vigore della disciplina dettagliata in materia”.
318
158
orizzontale ad opera della Corte di Strasburgo sono suscettibili di influenzare
la formazione ed il contenuto dei contratti di diritto privato.
In modo generico nel nostro ordinamento non appare riscontrabile in
modo chiaro la rilevanza giuridica della diretta efficacia della CEDU nei
rapporti intersoggettivi, con l’eccezione per la vasta portata riconosciuta
all’art. 6 CEDU nei casi di liquidazione del danno per eccesiva durata del
processo; diritto ora sancito nell’ordinamento italiano con la nota legge
PINTO.
In materia di applicabilità orizzontale della CEDU si segnala anche la
recente sentenza della Cassazione Civile (terza sezione) del 30 settembre
2011, che ha così statuito “la sentenza definitiva della Corte EDU ha effetti
precettivi immediati assimilabili al giudicato formale e deve essere tenuta in
considerazione dal Giudice interno, il quale ha l’obbligo di conformarsi a tale
decisione nel decidere la controversia”.
La giurisprudenza amministrativa italiana, nelle decisioni Consiglio di
Stato, sezione IV, 2 marzo 2010, n. 1220 e TAR Lazio, sezione II bis, 18
maggio 2010 n. 11984, ha osservato che le norme CEDU vengono a
beneficiare del medesimo statuto di garanzia delle norme comunitarie: non
più, pertanto, norme internazionali e parametro interposto di legittimità
costituzionale di norme nazionali ex art. 117 Cost., bensì norme comunitarie,
in virtù del Trattato di Lisbona, le quali alla luce del primato del diritto
comunitario legittimano alla non applicazione di norme interne con esse
contrastanti319.
Si legge in particolare nella pronunzia del Collegio laziale, analogamente a quanto
affermato dal Consiglio di Stato nella decisione in commento, che “il riconoscimento dei diritti
fondamentali sanciti dalla CEDU come principi interni al diritto dell'Unione ha immediate
conseguenze di assoluto rilievo, in quanto le norme della Convenzione divengono immediatamente
operanti negli ordinamenti nazionali degli stati membri dell’Unione, e quindi nel nostro ordinamento
nazionale, in forza del diritto comunitario, e quindi in Italia ai sensi dell’art. 11 della Costituzione,
venendo in tal modo in rilevo l’ampia e decennale evoluzione giurisprudenziale che ha, infine, portato
all’obbligo, per il Giudice nazionale, di interpretare le norme nazionali in conformità al diritto
319
159
Pertanto alla luce di quanto precede sembrerebbe possibile riconoscere
alla CEDU anche la natura di fonte di diritto privato, soprattutto grazie
all’opera della Corte di Strasburgo che ha costruito nel tempo un autonomo
diritto teso a proteggere le posizioni soggettive, incluse quelle che un
individuo può far valere nei confronti di un altro.
Tale risultato è stato possibile attraverso la logica sottesa alla
Convenzione, nella quale non trova spazio la sistematica del diritto propria
degli ordinamenti giuridici nazionali e dove le distinzioni dogmatiche tra
diritto pubblico, civile, commerciale ed amministrativo perdono rilievo
davanti alla esigenza di protezione concreta ed effettiva dei diritti che
devono essere tutelati in uno Stato democratico.
Nel quadro di questa concezione globale dei diritti e delle libertà
adottate dalla Convenzione, i giudici di Strasburgo hanno dato vita ad una
giurisprudenza costruttiva, assistendosi così ad un arricchimento qualitativo
e quantitativo dei cataloghi dei diritti sanciti dalla CEDU, che ha permesso
alla Corte EDU di abbordare questioni di diritto privato a prima vista
estranee alle previsioni della Convenzione320.
comunitario, ovvero di procedere in via immediata e diretta alla loro disapplicazione in favore del
diritto comunitario, previa eventuale pronuncia del Giudice comunitario ma senza dover transitare
per il filtro dell’accertamento della loro incostituzionalità sul piano interno”. La costruzione è stata
oggetto di critica da parte di un’autorevole dottrina (A. CELOTTO, Il trattato di Lisbona ha
reso la CEDU direttamente applicabile nell’ordinamento italiano?, disponibile al sito internet
http://www.neldiritto.it/appdottrina.asp?id=5272) che ha evidenziato: “se è vero che il Trattato
dell’Unione europea, per come modificato dal Trattato di Lisbona, consente l’adesione dell’Unione alla
CEDU è vero anche che non solo tale adesione deve ancora avvenire, secondo le procedure del
Protocollo n. 8 annesso al Trattato, ma soprattutto non comporterà l’equiparazione della CEDU al
diritto comunitario, bensì - semplicemente - una loro utilizzabilità quali principi generali del diritto
dell’Unione al pari delle tradizioni costituzionali comuni agli stati membri. Ad avviso di chi scrive,
quindi, il Trattato di Lisbona nulla ha modificato circa la (non) diretta applicabilità nell’ordinamento
italiano della CEDU che resta, per l’Italia, solamente un obbligo internazionale, con tutte le
conseguenze in termini di interpretazione conforme e di prevalenza mediante questione di legittimità
costituzionale, secondo quanto già riconosciuto dalla Corte costituzionale”.
S. PRADUROUX, L’attualità del contributo della Convenzione europea della salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali nell’evoluzione del diritto privato italiano e francese, op.
cit.
320
160
§3.2 IL MODELLO INGLESE DI DRITTWIRKUNG
I modelli presi in considerazione nel verificare l’efficacia c.d.
orizzontale dei diritti fondamentali sono molteplici: emblematici sono i casi
degli ordinamenti in cui non vi è un’esplicitazione di questi principi e valori
in una Costituzione, e dove il fenomeno sembra rispecchiare una scelta di
policy anche se non espressa
Esemplare è il caso della giurisprudenza inglese che anche prima
dell’adozione dello Human Right Act non ha mancato di prendere in
considerazione la CEDU al fine di avvalorare il proprio convincimento nei
casi oggetto delle sue decisioni.
Ed infatti la Convenzione in parola, nonostante in Inghilterra un
Trattato internazionale per essere invocato davanti ai giudici nazionali deve
prima essere incorporato attraverso un Act of Parliament, è riuscita ad
influenzare talune decisioni attraverso una presunzione di conformità della
legge interna alla fonte sovranazionale.
Il Regno Unito ha ratificato la CEDU nel 1952, senza introdurla, però,
all’interno della Domestic Law.
Tale chiusura dipese, probabilmente, dalla tradizione politicocostituzionale inglese, sulla base della convinzione che i diritti fondamentali
fossero già ampiamente tutelati dal diritto consuetudinario inglese, a partire
dalla Magna Charta Libertatum fino alle scuole filosofiche di Mill e Locke e al
Bill of Rights del 1688.
161
In generale si avvertiva il timore di attribuire alle corti, attraverso un
Bill of Rigths, un potere eccessivamente indipendente nella valutazione dei
casi.
Fu solo nel 1966 che l’Inghilterra sottoscrisse due clausole opzionali
della CEDU che sancivano il diritto al ricorso individuale e la giurisdizione
della Corte EDU: da quel momento il Regno Unito fu diverse volte ritenuto
responsabile davanti alla Corte di Strasburgo321, per cui il Parlamento si vide
costretto ad elaborare talune discipline normative ad esempio in materia di
trattamento dei malati di mente e dei carcerati, o anche di immigrazione e
libertà personale.
Nel frattempo si svilupparono nel Paese diversi movimenti volti alla
incorporazione della Convenzione nel diritto interno: precipuamente fu il
partito conservatore ad esprimere la sua contrarietà alla incorporazione della
Convenzione, mentre un sensibile mutamento di opinione cominciò a
diffondersi all’inizio degli anni novanta nel Partito Laburista con la leadership
di Blair.
Così a seguito della vittoria del partito nel 1997, il Parlamento inglese
ha adottato il 9 novembre del 1998 taluni diritti e libertà fondamentali della
CEDU.
L’Human Rights Act è entrato in vigore il 2 ottobre del 2000: in esso
sono incorporati i diritti della Convenzione di cui agli artt. 2, 12 e 14, quelli
del primo Protocollo di cui agli artt. 1, 2, e 3, e quelli del sesto Protocollo di
cui agli artt. 1 e 2 coordinati con gli artt. 16 e 18 della Convenzione.
Si è detto che l’Act costituisce un vero e proprio bill of right, idoneo a
valere come un complesso di norme da considerare alla stessa stregua di
La Corte di Strasburgo ha, peraltro, condannato in alcuni casi il Regno Unito per la
violazione della Convenzione: è accaduto, ad esempio, nel caso dell’ammissibilità del
licenziamento di dipendenti che avessero rifiutato di associarsi ai sindacati.
321
162
disposizioni costituzionali, che ha riconosciuto nuovi poteri alla magistratura
per garantire una tutela interna dei diritti fondamentali, senza per questo
limitare la sovranità del Parlamento; e che attraverso la sua entrata in vigore
si è compiuta una sorta di europeizzazione della legge inglese.
La nuova possibilità da parte del cittadino britannico di adire
direttamente le corti nazionali in luogo della Corte di Strasburgo è stata
considerata una novità di rilievo322.
Ai sensi delle sections 3 e 4 dell’Act il Giudice ha l’obbligo, per tutte le
disposizioni entrate in vigore prima e dopo il 1998, di interpretare la
legislazione conformemente alla CEDU.
Per quanto attiene alla legislazione posteriore all’Act, ai sensi della
sezione 19 è richiesta una dichiarazione di compatibilità con la CEDU
(Statement of Compatibility), e nel caso in cui tale proposta di legge si ponga in
contrasto con la Convenzione è indispensabile una motivazione sulle ragioni
per cui si intende comunque adottare la normativa.
Di poi alla luce del rispetto della sovranità parlamentare e con
riguardo al nuovo criterio interpretativo di conformità alla CEDU, al quale
sono sottoposte le corti, esso deve operare “per quanto possibile”, ma la norma
interna non può essere disapplicata e il Giudice può emettere la c.d.
Declaration of Incompatibility323.
Si tratta di una novità costituzionale a tutti gli effetti, il cui potere è
rimesso solamente alla House of Lords e alle altre corti superiori324.
Tuttavia, non è sancito nessun obbligo di procedere ad eliminare tale
incompatibilità tra la legge e la CEDU.
Cfr. M. E. MARINO, Diritti fondamentali e diritto contrattuale nell'esperienza inglese, in Econ. e
dir. del terz., 2004.
322
323
M. E. MARINO, Diritti fondamentali e diritto contrattuale nell'esperienza inglese, op. cit.
324
M. E. MARINO, Diritti fondamentali e diritto contrattuale nell'esperienza inglese, op. cit.
163
Quanto ai rimedi in caso di violazione di un diritto fondamentale, il
privato può denunciarne la violazione, promuovendo un giudizio.
Per rimuovere l’incompatibilità suddetta è però necessaria una
modifica della legislazione, pertanto il Giudice non può fare altro che
adottare tutti i provvedimenti relativi al caso di specie.
È proprio su tale aspetto che nel sistema inglese si discute se si possa
parlare o meno di applicabilità orizzontale dell’Act, o meglio se sia più
corretto parlare di “direct horizontal effects, strong indirect horizontal effects and
weak indirect horizontal effects”.
Con l’espressione “effetti verticali ed orizzontali” si intende fare
riferimento al fatto se l’Act produca i suoi effetti soltanto nelle controversie
intercorrenti tra soggetti appartenenti alla Pubblica Amministrazione e
soggetti privati, oppure anche nelle liti fra parti private.
La risposta a questo quesito assume una particolare valenza sotto il
profilo dell’effettività della tutela dei diritti fondamentali apportata nel
Regno Unito con la legge in esame.
I fautori della teoria degli effetti verticali delle norme sui diritti umani,
si rifanno in linea di massima alla filosofia politica del liberismo classico per
giustificarne l’applicazione ai soli rapporti tra Stato e individui.
Essi sostengono che vi sia una rigida suddivisione tra sfera pubblica e
privata e che le disposizioni a tutela dei diritti fondamentali abbiano il
precipuo scopo di tutelare la sfera privata del singolo dalle illecite intrusioni
da parte dei pubblici poteri.
Diversamente l’opposta posizione orizzontalista ritiene che le norme
sui diritti fondamentali provengano dalla volontà legislativa, e cioè dal
potere normativo dello Stato, esattamente come qualunque altra disposizione
che governa la società: è proprio da tale parallelismo che le norme sui diritti
umani sono invocabili anche nei rapporti fra soggetti privati.
164
Tuttavia nello HRA nessuna diposizione afferma l’efficacia orizzontale
diretta delle norme in esso contenute, tanto è vero che guardando alle
disposizioni i soggetti che esercitano funzioni riconducibili all’area
privatistica tout court non sono i diretti destinatari dell’obbligo di agire in
maniera compatibile con la CEDU.
Nell’Act non è presente alcun riferimento alle società commerciali
private325.
L’applicabilità orizzontale è stata, però, desunta dall’interpretazione
della sezione 6: benché essa affermi che l’obbligo di interpretazione conforme
è riferito alle sole Public Authorities, il paragrafo 3 precisa che anche le corti e i
tribunali sono ricompresi in tale categorie, perciò l’applicabilità dello HRA
alle controversie tra privati è stata indirettamente ricavata attraverso il
ricorso all’interpretazione e all’analogia, parlandosi di effetti orizzontali
indiretti.
Le corti e i tribunali sono considerate Public Authorities e in quanto tali
obbligate a non agire in contrasto con i principi della CEDU.
Pertanto nessuna Corte potrà venire meno a questo obbligo: sia nelle
vertenze tra Stato e soggetti privati, sia nelle controversie tra privati.
Le corti si trovano, quindi, a svolgere un delicatissimo compito, ossia
quello di garantire l’evoluzione progressiva del Common Law in senso
conforme alla CEDU.
La conseguenza è che nonostante nelle controversie le parti non
possano invocare direttamente la violazione di un diritto in base alla CEDU,
quest’ultima potrà indirettamente essere applicata ai rapporti privati grazie
all’interpretazione della sezione 6, par. 3: secondo autorevole dottrina, difatti,
D. PATTINSON, D. BEYLEVELD, Horizontal applicability and horizontal effect, Law Quarterly
Review, 2002.
325
165
in numerose pronunce è stata, se pur indirettamente, dichiarata la possibilità
di applicare i diritti della CEDU anche nei rapporti tra privati326.
I commentatori, tuttavia, non sono d'accordo circa la misura in cui la
CEDU possa influenzare i rapporti giuridici tra gli individui.
Bamforth sostiene che l'applicazione dell’HRA può incidere sullo
sviluppo del Common Law; Phillipson sostiene, inoltre, che l’applicazione
dello HRA potrebbe condizionare le controversie tra privati solamente nei
casi in cui il Common Law già operi in tal senso, non creando così nuove
actions.
Anche Clayton e Tomlinson sostengono che la sezione 6 impone al
Giudice di sviluppare il Common Law in modo non incompatibile con la
CEDU, tuttavia, tale obbligo è puramente negativo: “il Giudice non è obbligato
a sviluppare il diritto comune in linea con i diritti della CEDU; il divieto impone al
Giudice di agire in un modo che non è compatibile con i diritti della Convenzione”.
Hunt ritiene, invece, che tale obbligo sia positivo e che l’unico limite
sia quello di creare nuove actions: “dove non esiste action, e non vi è quindi
alcuna legge da applicare, i tribunali non possono inventare nuove actions, questo
significherebbe abbracciare l’orizzontalità in pieno”.
Diversamente, Raphael asserisce che non vi è alcun vincolo sulla
creazione di nuove actions.
La dottrina britannica sull’argomento è oramai vastissima, si rinvia per tutti a S. GROSZ,
J. BEATSON, P. DUFFY (a cura di), Human Rights. The 1998 Act and the European Convention,
London, 2000 e J. COPPEL, The Human Rights Act 1998: Enforcing the European Convention in
the Domestic Court, Chichester-New York-Weinhein-Brisbane-Singapore, Toronto, 2000; ulteriori
indicazioni si possono reperire nelle rassegne bibliografiche curate da A. GRATTERI, La
dottrina britannica in tema di diritti, in Dir. pubbl. comp. eur., 1999, 1492 ss. e 2000, 1553 ss. L’
Human Rights Act ha suscitato particolare attenzione anche in Italia, ad esempio G. F.
FERRARI, La Convenzione europea e la sua “incorporation” nel Regno Unito, in Dir. pubbl. comp.
eur. 1999, 125 ss.; P. LEYLAND, Human Rights Act, 1998: riportare i diritti a casa?, in Quad.
cost., 2000, 83 ss; A. SPERTI, Il ruolo della magistratura in Gran Bretagna dopo l’approvazione dello
Human Rights Act, in Riv. dir. civ., 2001, 73 ss.
326
166
Date queste premesse e divergenti posizioni sull’argomento, il
modello inglese si pone in qualche modo a metà strada tra l’applicabilità
diretta e indiretta dell’Act, non potendosi, a quanto pare, ritenere che la fonte
richiamata trovi un’applicazione diretta soprattutto per il fatto che le sue
disposizioni non sono rivolte ai privati in modo esplicito e regolamentato.
Tuttavia l’espressa inclusione delle corti inglesi tra i destinatari del
HRA implica che il Giudice debba osservare le regole in esso contenute
nell’ambito
della
decisione
relativa
ai
privati,
non
intervenendo
incisivamente nel rapporto orizzontale, ma cercando di “ammodernare e
valorizzare” il Common Law sulla base della Convenzione europea327.
È per tale motivo che si è parlato di effetto orizzontale indiretto
dell’Act: la dichiarazione di incompatibilità (Declaration) da parte del
Giudice, in quanto denuncia della mancanza di tutela nella legge interna dei
diritti fondamentali, è stato uno degli argomenti più forti al fine di sostenere
questa tesi, seppur attraverso una versione più soft che strong.
Un’ulteriore problematica strettamente connessa al concetto di
pubblica autorità di cui all’HRA, riguarda la compatibilità o meno di tale
definizione con una società privata con funzioni però pubbliche, e dunque la
lettura ed interpretazione estensiva o restrittiva di alcune delle disposizioni
contenute nell’atto stesso328.
Nella fase di approvazione della legge, i Ministri hanno più volte
sottolineato che il termine “autorità pubblica” deve essere sviluppato dai
giudici, secondo modalità flessibili, caso per caso.
Nel caso Mendoza Ghaidan , la House of Lord ha interpretato ai sensi della section 3 del HRA
la disposizione del Rent Act circa la definizione di family member per rendere la disposizione
conforme alla CEDU.
327
G. ALPA, I diritti fondamentali e la loro efficacia “diretta”, intervento al convegno “La
Costituzione europea: valori, principi, istituzioni, sistemi giuridici”, Salerno 5-7 maggio 2005.
328
167
In particolare il Ministro degli Interni dichiarò che nella redazione
della sezione 6 il Governo ha deciso che “l'approccio migliore sarebbe il
riferimento al concetto di una funzione pubblica”, che sembra costituire la base
per la triplice distinzione tra le autorità pubbliche comunemente intese, gli
organismi con un una funzione mista, pubblica e privata, e gli organismi
privati.
Tuttavia per determinare se un corpo è “pubblico” e, quindi,
suscettibile di sindacato giurisdizionale, i tribunali spesso utilizzano una
varietà di criteri relativi alla sorgente del potere e alla natura delle suo
funzioni329.
Inoltre è stato giustamente affermato che al fine di risolvere la
questione relativa all’applicabilità diretta o indiretta del HRA è necessario far
luce sulla natura dei diritti umani: l’effetto puramente verticale presuppone
che i diritti esistono solo per difendere gli interessi dei cittadini contro il
potere dello Stato, mentre il pieno effetto orizzontale presuppone che la
finalità dei diritti sia quella proteggere gli interessi che sono fondamentali, e
che quindi devono essere tutelati contro tutti gli attori, siano essi pubblici o
privati.
Sarebbe inoltre necessario far luce, ai fini della risoluzione del
problema, sul ruolo dello Stato: l’effetto verticale presuppone che lo Stato ha
l'obbligo morale di astenersi dal violare le libertà dei cittadini attraverso le
sue azioni, mentre l’effetto orizzontale comporta un obbligo morale più forte,
ossia di fornire meccanismi di riparazione a seguito delle violazioni dei
cittadini, parti private330.
Quest’ultima tesi ha condotto Wade a concludere che “il cittadino può
N. BAMFORTH, The True Horizontal Effect of the Human Rights Act 1998, in Law Quarterly
Review, 2001.
329
330
N. BAMFORTH, The True Horizontal Effect of the Human Rights Act 1998, op. cit.
168
legittimamente attendersi che i suoi diritti umani saranno rispettati dal suo prossimo
e dal suo governo”.
In generale la giurisprudenza inglese ha più volte affermato che il
rimedio offerto dal HRA sia un tipo di rimedio parallelo che dovrebbe
svilupparsi separatamente all’Act.
La giurisprudenza di Strasburgo è stata usata come un trampolino di
lancio per nuove idee ad esempio di richieste di risarcimento, e come un
controllo incrociato per le conclusioni già raggiunte.
Allora la principale questione da risolvere è quali devono essere i
rispettivi ruoli della Corte di Strasburgo e delle corti nazionali inglesi in
questo ambito.
Se pur l'introduzione dei valori della CEDU ha costituito un mezzo
per la modernizzazione del Common Law, questo fenomeno non si è mai
manifestato in modo uniforme, a discapito della certezza del diritto.
§3.2.1
DISAMINA
DEI
CASI
INGLESI
SULLA
LIBERTÀ
DI
ESPRESSIONE E SUL DIRITTO ALLA PRIVACY
Prima del 1998 in nessuna decisione delle corti inglesi è stato
riconosciuto un rimedio per la violazione della legge sulla privacy ad un
cittadino inglese, a causa della incuria del Legislatore nella mancata
previsione di detti rimedi e della conseguente impossibilità di intervento
creativo di tipo giurisprudenziale.
Ad esempio nel caso Kaye v Robertson, un famoso attore era stato
fotografato e intervistato dai giornalisti in una stanza d'ospedale dopo un
intervento chirurgico gravissimo.
I giornalisti affermarono di aver ottenuto il permesso del signor Kaye a
169
realizzare l'intervista, ma i dati dimostrarono che l’uomo non era in
condizioni idonee per fornire il consenso informato.
Il Sig. Kaye cercò inutilmente di impedire la pubblicazione
dell'intervista e delle sue immagini, e la violazione che ne conseguì venne
configurata sulla base della diffamazione, della calunnia, della violazione alla
persona e del passing off.
Nonostante si trattasse di una palese e grave violazione della sua
privacy, il sig Kaye non riuscì ad ottenere nessun provvedimento inibitorio nei
confronti del giornale.
Nel 1998 è entrata in vigore in Inghilterra la legge sulla stampa nota
come Data Protection Act che ha sancito che i dati e le notizie di carattere
privato o confidenziale possono essere pubblicati, eccetto nei casi in cui
ragioni di pubblica autorità impongono l’obbligo della riservatezza.
Di poi in questo ambito l’incorporazione della CEDU con l’HRA ha
fatto conseguire notevoli progressi che sono stati favorevolmente accolti,
anche alla luce del fatto che il Parlamento non aveva mai espressamente
escluso un’interpretazione più estensiva delle garanzie della riservatezza,
così da render possibile l’interpretazione della legge conformemente alla
CEDU.
Douglas v Hello331
Appena sei settimane e mezzo dopo l’entrata in vigore dell’HRA
venne celebrato un matrimonio tra le celebrità Michael Douglas e Catherine
Zeta-Jones.
Douglas v Hello! Ltd (No.1) [2001] Q.B. 967; [2001] 2 W.L.R. 992; [2001] 2 All E.R. 289;
[2001] E.M.L.R. 9; [2001] 1 F.L.R. 982; [2002] 1 F.C.R. 289; [2001] H.R.L.R. 26; [2001]
U.K.H.R.R. 223; 9 B.H.R.C. 543; [2001] F.S.R. 40; Times, January 16, 2001; Daily Telegraph,
January 9, 2001; Official Transcript.
331
170
Gli attori, stars cinematografiche di fama mondiale, avevano venduto i
diritti di esclusiva fotografica del loro matrimonio miliardario alla rivista Ok
Magazine.
Tuttavia un rivale rotocalco scandalistico (Hello) era riuscito a
procurarsi alcune fotografie non ufficiali e non autorizzate, che poi aveva
fatto pubblicare.
La Z-J ha sostenuto che la pubblicazione avesse danneggiato la sua
immagine di attrice del cinema e la sua possibilità di guadagno in quanto le
foto la mostravano in pubblico grassa e fuori forma.
Il caso evidenziato è stata considerato dai giudici sotto diversi aspetti:
innanzitutto se il fotografo è un intruder, gli attori non possono fondare
l’affermazione del loro diritto sul breach of confidence, ossia sulla violazione di
quel dovere di riservatezza che si basa su un rapporto fiduciario, poiché nel
caso di specie, nessun patto o relazione di fiducia è configurabile tra le parti.
La questione è se la celebrità sia padrona o meno della sua immagine,
e se la privacy possa esser suscettibile di tutela indipendentemente dal breach
of confidence.
Rispetto alla fattispecie descritta il leading judge ha dichiarato che “la
giurisprudenza e la consuetudine inglesi si sono evolute nel senso di riconoscere un
diritto alla privacy degno di tutela non solo in caso di breach of confidence, ma anche
nel caso di abusiva intrusione nell’altrui sfera privata e lo HRA ha solo dato un
impeto finale”.
Di poi è stato posto l’accento sul diritto positivo affermando che per
quanto l’art. 1 della CEDU non sia stato incorporato nell’Act, per contro vi è
l’art. 6 che impone alle Public Autthorities, incluse le corti, di agire
compatibilmente con la Convenzione.
171
Ciò comporterebbe l’implicito riconoscimento che il diritto alla privacy
sancito dalla CEDU dovrebbe essere ritenuto rilevante anche nei confronti
delle parti private, oltre che delle pubbliche autorità.
Il leading judge ha parlato della necessità di un bilanciamento tra il
diritto alla privacy ed il diritto alla libertà di espressione previsto nell’art. 10
della CEDU.
Egli ha, inoltre, precisato che nel presente caso, il matrimonio degli
attori sarebbe ben lontano dall’essere considerato un evento privato, infatti la
maggior parte dei diritti della coppia alla propria intimità e riservatezza
erano stati venduti nell’ambito di un contratto commerciale.
Il bilanciamento così descritto non ha consentito l’emissione di una
injuction per impedire la pubblicazione delle fotografie.
In dottrina è stato sostenuto che la giurisprudenza in commento ha
aperto la strada per la futura adozione di un modello di applicabilità
orizzontale indiretta dell’HRA.
Precipuamente con riferimento al caso di specie si è parlato tanto di
orizzontalità diretta, connotata da un elemento forte, quanto di orizzontalità
indiretta, connotata da un elemento debole.
Attraverso l’applicazione della prima le parti private avrebbero potuto
far valere i diritti della CEDU davanti le corti e quest’ultime sarebbero state
tenute ad applicare direttamente l’art. 8 della CEDU.
L’ambito della privacy sarebbe, in tal senso, determinato dalla norma
della Convenzione secondo l’interpretazione della Corte europea dei diritti
dell’uomo.
È stato detto che questa possibilità pur se conveniente, in quanto
contribuisce a promuovere una cultura dei diritti umani nel Regno Unito,
non è facile da conciliare con l'obbligo interpretativo posto alla magistratura
dalla sezione 3 dell’HRA.
172
Attraverso l’applicabilità orizzontale indiretta le parti non avrebbero
potuto, invece, invocare direttamente l’art. 8 della CEDU al fine di tutelare la
privacy, ma solo fare affidamento sul c.d. breach of confidence, interpretata alla
luce del diritto alla privacy di cui all’articolo 8 della CEDU.
Questa prospettiva, pur se più semplice da conciliare con il testo della
sezione 3 HRA, è stata, comunque, considerata incerta: si è evidenziato,
difatti, che la quaestio sottesa sarebbe relativa a quando una legge può essere
interpretata in linea con i diritti della Convenzione, e quale è il campo di
applicazione della CEDU.
La sezione 6 HRA può dare origine a un dovere o a un potere di creare
nuove azioni nel Common Law?
Attraverso l’istituto del breach of confidence, si potrebbe creare un
nuovo illecito di privacy?
L'unica situazione in cui i giudici non sarebbero in grado di tutelare i
diritti della Convenzione con lo sviluppo della Common Law è laddove una
tale evoluzione richiederebbe più un cambiamento che un incremento al
diritto comune332.
Campbell v Mirror Group Newspapers Ltd333
Il caso Campbell v Mirror Group Newspapers Ltd è analogo a quello che
precede, venendo in gioco il medesimo bilanciamento fra l’art. 8 e l’art. 10
della CEDU.
A. YOUNG, Case Comment Remedial and substantive horizontality: the Common Law and
Douglas v. Hello!, in Public Law, 2002.
332
Campbell v Mirror Group Newspapers Ltd, [2004] UKHL 22; [2004] 2 A.C. 457; [2004] 2
W.L.R. 1232; [2004] 2 All E.R. 995; [2004] E.M.L.R. 15; [2004] H.R.L.R. 24; [2004] U.K.H.R.R.
648; 16 B.H.R.C. 500; (2004) 101(21) L.S.G. 36; (2004) 154 N.L.J. 733; (2004) 148 S.J.L.B. 572;
Times, May 7, 2004; Independent, May 11, 2004.
333
173
Il Dayly Mirror pubblicò alcune fotografie che ritraendo la top model
durante le sue sedute all’Anonima Narcotici rivelavano il suo temporaneo
stato di tossicodipendenza.
L’attrice chiese, pertanto, il risarcimento dei danni adducendo un
breach of confidence.
Nel caso di specie il bilanciamento effettuato coinvolse da un lato la
vita privata di un personaggio celebre, il quale è necessariamente esposto ad
una certa pubblicità, e dall’altro il pubblico interesse all’informazione.
Dal momento che Miss Campbell smentì la sua frequentazione alla
Anonima Narcotici mentendo deliberatamente, il giornale era legittimato a
mostrare al pubblico che l’attrice aveva mentito.
Tuttavia i giudici hanno sottolineato il fatto che la rivista aveva
oltrepassato il limite consentito: la notizia che poteva essere pubblicata
poteva, difatti, mostrare che Naomi Campbell aveva mentito circa la propria
tossicodipendenza, ma l’intrusione nella sua vita privata, perpetrata
attraverso la pubblicazione di fotografie riguardanti i particolari dei momenti
vissuti durante le sedute di terapia, costituivano aspetti che l’attrice era
legittimata a mantenere tale.
Il soddisfacimento del pubblico interesse all’informazione richiede,
quindi, ulteriori dettagli: la stampa aveva, così, superato il margine di
apprezzamento a cui ha diritto ai sensi dell’articolo 10 della CEDU, tanto da
aver violato in modo sproporzionato i diritti della top model ai sensi articolo 8
della stessa Convenzione.
La House of Lords ha deciso a favore della signorina Campbell con una
maggioranza di tre a due.
Rispetto al caso in esame si è parlato di un test idoneo a dimostrare
una ragionevole aspettativa di privacy in merito ai fatti pubblicati, e si è
osservato che la sua particolare formulazione dovrebbe essere usata con
174
cautela: ad esempio, l’espressione “altamente offensivo” è indicativo di una
prova più rigorosa delle informazioni private rispetto ad una ragionevole
aspettativa di privacy.
In secondo luogo la formulazione “altamente offensivo”, nel decidere
se le informazioni siano o meno private, implica considerazioni relative al
grado di intrusione nella vita privata, e alla misura in cui la pubblicazione
costituisce una questione di interesse pubblico.
Questo caso è diventato un punto di riferimento nella materia della
privacy, dal momento che ha annunciato la creazione di un illecito nuovo:
l’abuso di informazioni riservate che rispetto al breach of confidence pone
l’accento sulla natura sostanziale delle informazioni.
Pertanto alla luce delle considerazioni che precedono, pur se è
attualmente offerta una protezione alle informazioni per le quali vi è una
ragionevole aspettativa di privacy, anche in circostanze in cui non esiste un
rapporto preesistente, si può concludere che nel Regno Unito è stato proprio
il breach of confidence il veicolo attraverso cui si è reso possibile prestare una
più alta considerazione ai diritti e ai valori della CEDU.
§3.3 L’APPLICABILITÀ ORIZZONTALE DELLA CARTA DEI DIRITTI
FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA
L’art. 51 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea
sancisce la sua applicabilità all’Unione e agli stati membri, non anche ai
cittadini.
Pertanto, se è ovvia la sua vocazione verticale, cioè nei rapporti tra
soggetti privati ed Unione, o tra soggetti privati e stati membri, rispetto alla
175
sua efficacia orizzontale nei rapporti tra privati sono stati avanzati diversi
dubbi.
Tuttavia è stato osservato che l’argomento “normativo” non sembra
essere particolarmente convincente perché la formulazione dell’articolo 51 si
potrebbe agevolmente ricollegare e circoscrivere nelle sue implicazioni, alla
peculiare funzione svolta da tale disposizione: un riferimento ai cittadini,
tenendo presente tale funzione, sarebbe risultato inutile e alquanto
problematico sul piano redazionale334.
Il primo punto da considerare riguarda i diritti di natura privatistica a
cui la Carta dei diritti dell’Unione europea conferisce la natura di diritti
fondamentali335: la dignità umana, il diritto all’integrità della persona, la
tutela della riservatezza, il rispetto della vita familiare, la protezione dei dati
personali, la libertà d’impresa, la parità tra uomo e donne, i diritti del
bambino, la protezione dei consumatori, il principio di proporzionalità,
l’abuso del diritto hanno di sicuro una rilevanza in tal senso.
La Carta ha funzionato come punto di riferimento nell’interpretazione
delle leggi nazionali, sia a livello interno, e quindi nazionale, che esterno,
ossia sovranazionale.
La Corte costituzionale italiana ha fatto, ad esempio, riferimento
all’art. 7 (“anche se privo di efficacia giuridica”)336 a tutela della vita privata e
familiare in relazione all’estensione delle intercettazioni fra persone presenti,
V. SCIARABBA, Tra fonti e corti. Diritti e principi fondamentali in Europa: profili costituzionali
e comparati degli sviluppi sovranazionali, Padova, Cedam, 2008, 157 ss.
334
Si veda L. AZZENA, Le forme di rilevanza della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea, U. DE SERVIO (a cura di), La difficile Costituzione europea, Bologna, Il Mulino, 2002,
276 ss.
335
Corte Costituzionale 24 aprile 2002, n. 135, in For. it., 2004, 390, che ha dichiarato
infondata una questione di costituzionalità in merito all’estensione della disciplina delle
intercettazioni delle comunicazioni fra presenti.
336
176
ed ha utilizzato l’art. 9 per censurare che sia lecito prevedere il celibato o la
vedovanza come requisito per l’accesso agli uffici pubblici337.
Di poi, per quanto concerne il capo terzo della Carta dedicato
all’eguaglianza, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha deciso su
numerosi casi di discriminazione, come ad esempio l’illegittimità del
licenziamento di un transessuale per motivi attinenti al cambiamento di
sesso.338
Anche il quinto capo relativo alla cittadinanza parrebbe rilevare in
ambito privatistico se solo si pensa alle implicazioni di regole comuni sulla
destinazione e sulla separazione dei beni.
Di qui non solo la pretesa di non legare i diritti fondamentali della
persona alla cittadinanza per così dire statuale, che oltre ad essere contraria
ai principi della CEDU, rappresenterebbe una visione egoistica della società,
ma anche l’idea della c.d. cittadinanza differenziata quale possibile chiave di
identificazione e legittimazione di una nuova struttura multilivello del diritto
privato che sia incardinata sul perno di valori e di diritti fondamentali a
diffusione transnazionale che propongono la centralità del soggetto in una
pluralità di spazi, caratterizzata da una pluralità di fonti normative, nazionali
e sovranazionali, e connotata dall’innesto di principi d’importazione
europea339.
Alla luce dell’importanza della disciplina consumeristica a livello
europeo, un’altra questione da risolvere potrebbe riguardare la possibile
Così G. VETTORI, La lunga marcia delle Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,
disponibile al sito internet http://www.personaemercato.it/editoriale/la-lunga-marcia-dellaCarta-dei-diritti-fondamentali-dell%E2%80%99unione-europea.
337
338
Causa C-117/01.
L. MOCCIA, La “cittadinanza europea” come “cittadinanza differenziata” a base di un sistema
“multilivello” di diritto privato, relazione al convegno internazionale dal titolo “Il diritto privato
regionale nella prospettiva europea”, Macerata, 30 settembre - 1 ottobre 2005.
339
177
influenza dei diritti fondamentali della Carta sulla legislazione europea del
consumo.
Dalla sentenza del 14 febbraio 2008, causa C-244/06, Dynamic Medien,
si può constatare come i diritti fondamentali possano incidere sulla
giurisprudenza della Corte di giustizia europea in materia di commercio
elettronico.
La questione pregiudiziale, riguardante le limitazioni alla libera
circolazione delle merci (art. 28 e 30 TCE), è stata sollevata in relazione ad
una normativa tedesca che vieta in Germania la vendita per corrispondenza
su internet di supporti video provenienti da altri paesi, che non siano stati
sottoposti ai controlli richiesti dalla normativa tedesca a tutela dei minori,
indipendentemente dal fatto che i supporti video siano stati sottoposti o
meno, in un altro Stato membro, ad un controllo volto alla tutela dei minori.
In particolare la questione pregiudiziale è stata presentata nell’ambito
di una controversia tra la Dynamic Medien Vertriebs GmbH e l’Avides Media
AG, due società di diritto tedesco, in merito alla vendita in Germania da
parte della seconda, per corrispondenza su internet, di supporti video
provenienti dal Regno Unito.
La Corte ha giudicato che tale normativa nazionale non viola le norme
comunitarie in materia di libera circolazione delle merci, in quanto
giustificata dall’esigenza di tutela dei minori che, oltre ad essere sancita da
svariati atti internazionali (Patto internazionale Onu sui diritti civili e politici
adottato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 19 dicembre 1966;
Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia), di cui essa tiene conto per
l’applicazione dei principi generali del diritto comunitario, è riconosciuta
dall’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
La tutela del minore rappresenta un interesse legittimo che giustifica,
in linea di principio, una limitazione ad una libertà fondamentale garantita
178
dal Trattato CE, quale la libera circolazione delle merci (sentenza 12 giugno
2003, causa C-112/00, Schmidberger).
Con riferimento alla proporzionalità della misura limitativa, la Corte
conferma che non è necessario che le misure restrittive emanate dalle autorità
di uno Stato membro per tutelare i diritti del minore corrispondano ad una
concezione condivisa da tutti i paesi membri rispetto al livello o alle modalità
di tale tutela, poiché tale concezione può variare da uno Stato membro
all’altro in funzione di considerazioni di carattere morale o culturale, e
dunque deve essere riconosciuto ai paesi stessi un margine discrezionale
certo340.
Con riferimento ai contenuti digitali e al ruolo dei diritti fondamentali
in tale ambito, potrebbe giocare una posizione di rilievo, al fine di definire lo
standard positivo per l’accesso a detti contenuti, in Europa, l’art. 36 della
Carta341 (in correlazione con l’acquis comunitario in materia di servizi
universali), incidendo così, anche solo indirettamente, sulle iniziative
legislative in fase di elaborazione in questo campo (proposta di regolamento
sulla vendita/CESL), o mediante il controllo giurisdizionale della legislazione
in materia di contratti transfrontalieri di contenuti digitali per i
consumatori342.
Un ulteriore aspetto da analizzare rispetto all’incidenza della Carta in
ambito privatistico riguarda il problema della disponibilità: ciò che rileva
C. MAK, Fundamental Rights and Digital Content Contracts, Amsterdam Law School Research
Paper, in Centre for the Study of European Contract Law, in Working Paper Series, 2012/06.
340
Articolo 36: Accesso ai servizi d'interesse economico generale Al fine di promuovere la
coesione sociale e territoriale dell'Unione, questa riconosce e rispetta l'accesso ai servizi
d'interesse economico generale quale previsto dalle legislazioni e prassi nazionali,
conformemente ai trattati.
341
342
C. MAK, Fundamental Rights and Digital Content Contracts, op. cit.
179
non è tanto capire se l’indisponibilità sia o meno un attributo ineliminabile
dei diritti fondamentali, quanto quello di analizzare le c.d. zone grigie343.
La Carta dei Diritti offre, al riguardo, un utile campo d’osservazione,
laddove nell’art. 3, che riconosce il diritto fondamentale all’integrità fisica e
psichica della persona, è previsto il divieto di fare del corpo umano e delle
sue parti una fonte di lucro.
In primo luogo si ritiene di dover sottolineare la possibile applicazione
orizzontale di questa norma ai rapporti tra privati, in secondo luogo è stata
rilevata l’assenza nella Carta di un’analoga limitazione per ciò che attiene
agli attributi immateriali della personalità, come i dati personali che ricevono
autonoma tutela.344.
In questo caso il Legislatore europeo ha fatto riferimento al principio
di autodeterminazione del soggetto interessato, ma differentemente dall’art.
3 non vi è menzione alcuna dei limiti all’esercizio di tale diritto345.
Cfr. K. STERN - M. SACHS, Das Staatsrecht der Bundesrepublik Deutschland, Band III/2,
Allgemeine Lehren der Grundrechte, München, 1994, 887 ss.; B. PIEROTH - B. SCHLINK,
Grundrechte Staatsrecht II, III ed., Heidelberg, 1987, 39 ss; A. BLECKMANN, Probleme des
Grundrechtsverzichts, in JZ, 1988, 57 ss.; K. AMELUNG, Die Einwilligung in die
Beeinträchtigung eines Grundrechtsgutes. Eine Untersuchung im Grenzbereich von Grundrechtsund Strafrechtsdogmatik, Berlin, 1981, spec. 19 ss; per quanto concerne il sistema inglese si
veda G. S. MORRIS, Fundamental Rights: Exclusion by Agreement?, in Ind. L. J., 2001, 49 ss.
343
344
Cfr. G. RESTA, La disponibilità dei diritti fondamentali e i limiti della dignità, op. cit., 801 ss.
Cfr. G. RESTA, La disponibilità dei diritti fondamentali e i limiti della dignità, op. cit., 801 ss.:
“mentre il corpo, le sue parti e le sue informazioni tendono prevalentemente ad incanalarsi lungo i
binari della market-inalienability, informandosi il loro regime di circolazione al modello della gratuità,
rispetto agli attributi immateriali, riservatezza, identità, immagine, dati personali, si sta invece
affermando una sempre più ampia e pervasiva prevalenza delle logiche della circolazione di Mercato.
Questo non implica, peraltro, che sia venuta del tutto meno in quest’ultima ipotesi qualsiasi ragione
di controllo sull’esercizio dell’autonomia privata, quasi non restasse che registrare il completo
appiattimento del mondo del diritto su quello dell’economia. Al contrario, si può ipotizzare che
tecniche e strategie di controllo, lungi dall’essere definitivamente superate, si stiano solo
trasformando: emergono nuovi parametri di valutazione sul contenuto dell’atto, si individuano nuove
regole di gestione del rapporto”.
345
180
Concludendo sul problema della ammissibilità di applicazione diretta
dei principi della Carta nei rapporti tra privati, pur avanzando l’idea di una
parte della dottrina che un corretto sistema di Drittwirkung potrebbe operare
solamente in relazione ai diritti e non ai principi, e che nella Carta manca un
riferimento esplicito a tale eventuale operazione ermeneutica, non appare
così difficile superare il formalismo di questa impostazione mettendo in
discussione la natura stessa dei principi.
181
§4 I DIRITTI FONDAMENTALI COME PRINCIPI APPLICABILI
NELL’AMBITO DELLA DISCIPLINA PRIVATISTICA
La distinzione tra regole e principi ha costituito l’oggetto di un
complesso dibattito teorico e giuridico che richiama la lunga trattazione sulle
norme programmatiche e precettive della Costituzione italiana.
Da una parte tale netta distinzione è stata il frutto del timore di un
eventuale gouvernement des juges, considerato “un vecchio spettro che si aggira
per l’Europa e per il mondo”346.
Dall’altra è stato ritenuto che tale distinzione potesse giovare in
termini giuridici solamente se compresa al meglio, in particolare escludendo
che dal principio si possano estrapolare conseguenze immediate e dirette
idonee a legittimare posizioni soggettive direttamente azionabili in giudizio.
Seguendo questa linea interpretativa i principi possono essere
utilizzati giudizialmente solo attraverso l’attività ermeneutica che il Giudice
compie rispetto alle norme, prestando particolare attenzione alla dimensione
giuridica del caso347, e servendosi all’uopo dell’eventuale precedente.348
Pertanto secondo questa logica l’attività del Giudice non è creativa, ma
solamente rivelatrice di un diritto attraverso l’uso del principio quale canone
di costruzione ricavato dal caso.
Attualmente la tesi dominante nella dottrina italiana, ma anche in altri
paesi, è quella elaborata seguendo la linea di Kelsen da parte di Norberto
A. PIZZORUSSO, Una Costituzione “ottriata”, E. PACIOTTI, (a cura di), La Costituzione
europea, Roma, Meltemi, 2003, 47 ss.
346
Si veda E. GHIOZZI, Postmodernismo giuridico e giuspositivismo, in Riv. trim. di dir. e proc.
civ., 2006, 801 ss.
347
G. ZAGREBELSKY, Diritto per: valori, principi o regole?, in Quaderni fiorentini per la storia del
pensiero giuridico moderno, 2002, 865 ss.
348
182
Bobbio secondo cui i principi generali sono norme giuridiche, aventi un
carattere generale, estratti per via induttiva da regole di diritto positivo349.
È stato, così, autorevolmente affermato: “i principi sono anch'essi norme,
ma con caratteristiche diverse da quelle scritte, d’altra parte, se i principi sono
ricavati dalle norme attraverso un processo di generalizzazione e di astrazione
successiva, da norma non nasce che norma; ciò a maggior ragione, per i principi
fondamentali espressi”(ALPA).
Ed anche che i principi costituzionali “finiscono per assumere la veste di
baluardo delle concezioni che ciascuna tradizione costituzionale nazionale ha della
democrazia, e dei valori più sacri che la riempiono di contenuto: la laicità, la
solidarietà, i diritti fondamentali, e così via, quasi una versione contemporanea,
(neo)costituzionalistica, della vecchia idea liberale dei checks and balances”350.
Alla luce dell’assunto che dipende dagli obiettivi che gli interpreti
vogliono raggiungere attraverso un determinato postulato giuridico,
potendo lo stesso essere in linea astratta considerato o come regola, o come
principio, si ritiene condivisibile il pensiero secondo il quale è la logica
N. BOBBIO, (voce) “Principi generali di diritto”, in Novis Dig. It., vol. XIII, Torino, Utet,
1966, 893; G. ALPA, I principi generali, Trattato di diritto privato, G. IUDICA e PAOLO ZATTI
(a cura di), Milano, Giuffrè, 2006, 3 ss.: “La problematica inerente i principi generali manifesta
l’esigenza di una ricognizione dei valori che fondano l’ordinamento e avvicinano sistemi giuridici che
appartengono a famiglie e tradizioni differenti. Nello stile del Giurista, così come nella cultura del
Giurista, il principio generale, il principio di diritto, il principio tout court sembra sussidio
ineliminabile di espressione linguistica e di tecnica argomentativa o retorica. I principi generali, ora
espressi con brocardi, ora con terminologia moderna, ora formulati ex novo dal Legislatore o creati
dall’interprete attraverso un procedimento induttivo dalle fonti, appaiono una componente essenziale
del pensiero e della struttura del diritto: in particolare del diritto privato, che è terreno di elezione dei
principi generali. La definizione di principio si ricava anche per differentiam rispetto agli altri
strumenti della logica giuridica: ad es., si distingue il principio dallo standard (quale la diligenza del
buon padre di famiglia, la diligenza del professionista etc.) e dalla clausola generale (quale la buona
fede, l’ordine pubblico, il buon costume etc.) che sono altrettante tecniche espressive del Legislatore (le
prime per commisurare un comportamento rispetto ad un modello prefigurato, le seconde per
valutarlo alla stregua di valori precostituiti)”.
349
G. PINO, “La lotta per i diritti fondamentali”, Europa Integrazione europea, diritti fondamentali e
ragionamento giuridico, Identità, diritti, ragione pubblica in Europa, I. TRUJILLO e F. VIOLA (a
cura di), Bologna, Il Mulino, 2007, 109-141.
350
183
tecnica del bilanciamento a poter costituire il modo di applicazione dei
principi351.
Differentemente dall’argomento di Dworkin352, i principi sono valori
positivizzati e non differiscono dalle regole, se non per la gradazione.
Essi, difatti, sono norme generiche e generali: così, ad esempio, il
principio di uguaglianza è connotato di maggiore indeterminatezza rispetto
alle regole che vietano il licenziamento senza giusta causa.
Per altro verso i principi hanno un peso minore delle regole, perché il
loro contributo all’argomentazione giuridica è tendenzialmente variabile,
mentre il contributo delle regole è tendenzialmente stabile353.
Di poi il peso di una norma può dipendere da una serie di fattori
attinenti alla gerarchia delle fonti, alle gerarchie assiologiche accreditate nella
cultura giuridica di riferimento, e alle circostanze rilevanti nel contesto di
applicazione della norma354.
Rispetto alla formulazione dei principi si può inoltre rilevare come
essi possano risultare in modo esplicito o possano essere dedotti
implicitamente dalla norma.
“Se le precisazioni svolte sono corrette, allora la categoria dei principi non
può essere considerata una scatola vuota, e la conseguenza più immediata è che, per
mantenere la propria capacità esplicativa, il positivismo giuridico deve riconoscere il
ruolo dell’argomentazione morale nel ragionamento del diritto”355.
L. MENGONI, I principi generali del diritto e la scienza giuridica, in AA. VV., I principi generali
del diritto, in Atti del convegno dei Lincei, Roma, 1992, 325.
351
352
R. DWORKIN, Law’s Empire, Fontana Press, London, 1986, 40 ss.
Così G. PINO, Principi e argomentazione giuridica, disponibile al sito internet
http://www.unipa.it/gpino/Pino,%20Principi%20e%20argomentazione%20giuridica.pdf.
353
354
Così G. PINO, ult. op. cit.
355
Così G. PINO, ult. op. cit.
184
Il momento dell’interpretazione e applicazione della norma è inteso
sempre più come un “momento interno al processo di produzione della regola”,
sicché “l’imperativo astratto nella legge diventa positivo, cioè regola positiva di una
comunità storicamente positiva, solo grazie all’incarnazione operata da maestri,
giudici, operatori”356.
Quanto detto esige l’elaborazione “di principi, di ampie cornici
ordinatrici, di robusti schemi teorici valevoli a trattenere una attualità sfasciata”357,
ed un nuovo impulso del codice civile attraverso il coordinamento con la
normativa costituzionale.
Ed invero all’interno di una cultura giuridica che si va sempre più
costituzionalizzando, l’uso di questo argomento interpretativo induce ad un
ripensamento del rapporto tra diritto e morale, ed anche di quello tra diritto
e politica.
Mediare tra la dicotomia della politica e del diritto risulta
indispensabile nello studio della materia dei diritti fondamentali: essi pur
potendo esser considerati come l’espressione di scelte politiche per la tutela
di alcuni valori della società, al tempo stesso rappresentano norme del
sistema giuridico.
Difatti, è solo attraverso un’analisi che prende in considerazione tali
elementi estranei al diritto in senso stretto che si può comprendere l'intensità
dell'impatto dei diritti fondamentali nell’ambito della disciplina privatistica.
Qualificando i diritti fondamentali come principi si può render
possibile la loro applicabilità orizzontale.
356
G. VETTORI, Il diritto dei contratti fra Costituzione, codice civile e codici di settore, op. cit.
P. GROSSI, Introduzione, Tradizione civilistica e complessità sistema, F. MACARIO e N.
MILETTI (a cura di), Milano, Giuffrè, 2006, XIII.
357
185
L’art. 51, par. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea sancisce la distinzione fra “diritti” e “principi”: i diritti soggettivi
sono rispettati, i principi sono osservati.
Anche in ambito europeo può valere il discorso che precede, nel senso
di riconoscere rilevanza ai principi, attuati mediante atti legislativi ed
esecutivi, attraverso la loro interpretazione.
Di poi vi sono casi in cui la Carta non ha enucleato solamente il
principio, come ad esempio la tutela dell’ambiente o il diritto dei disabili, ma
ha regolato nella stessa disposizione sia il principio che il diritto, come nel
caso della parità fra uomini e donne358.
La distinzione in parola ha, pertanto, il pregio di precisare la rilevanza
dei principi, rendendo auspicabile l’applicazione orizzontale della Carta nei
rapporti tra privati359.
In ultimo l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea riproduce un principio generale vigente in Europa: la creazione di
effettivi rimedi a disposizione dei privati360.
Si tratta di un principio che potrebbe consentire una nuova lettura
della funzione del diritto dei contratti, ossia quella di attuare principi e valori
attraverso la costruzione di regole.
358
Cfr. G. VETTORI, La lunga marcia della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, op. cit.
Sulla rilevanza dei principi si veda L. MENGONI, I principi generali del diritto e la scienza
giuridica, op. cit., 318 ss.
359
N. TROCKER, L’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e l’evoluzione
dell’ordinamento comunitario in materia di tutela giurisdizionale dei diritti, G. VETTORI (a cura
di), Carta europea e diritti dei privati, Padova, Cedam, 2002, 381 ss.; G. VETTORI, Giustizia e
rimedi nel diritto europeo dei contratti, in Eur. dir. priv., 2006, 59.
360
186
§5 I DIRITTI FONDAMENTALI NELL’OTTICA DEL RIMEDIO
Come è stato autorevolmente affermato “non è possibile ottenere alcuna
conoscenza del contenuto di una situazione soggettiva prescindendo dall’analisi dei
concreti remedies a disposizione del suo titolare” (MATTEI).
Il tema dei rimedi deve essere osservato attraverso l’ottica
comparativa, in grado di assegnare soluzioni diverse a problemi che
similmente si pongono nei vari contesti normativi, al fine di rispondere alla
domanda se, in punto di tutela dei diritti, una prospettiva differente da
quella che si basa tradizionalmente sulla categoria del diritto presenti un
grado di maggiore effettività.
La questione richiama necessariamente il confronto tra il sistema di
Civil Law e quello di Common Law.
Nel primo ordinamento alla individuazione di una norma attributiva
di un diritto segue il riconoscimento dello strumento processuale più
consono alla tutela, eccezion fatta per quei metodi attraverso cui il rimedio
precede il diritto, come ad esempio nell’ordinamento italiano la cognitio extra
ordinem361.
Il metodo c.d. essenzialistico, che ha caratterizzato la scienza giuridica
dell’Europa continentale, non ha tradizionalmente definito il concetto di
rimedio autonomamente da quello di diritto, suscettibile, pertanto, di essere
impiegato secondo una molteplicità di significati362.
Si veda in materia A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, Milano, Giuffrè, 2003 e Il
linguaggio dei rimedi, in Eur. e dir. priv, 2005, I, 341-363.
361
Cfr. P. SIRENA, La prospettiva dei rimedi nel diritto privato europeo, disponibile al sito
internet
http://works.bepress.com/cgi/viewcontent.cgi?article=1020&context=yehuda&
seiredir=1&referer=http%3A%2F%2Fwww.google.it%2Furl%3Fsa%3Dt%26rct%3Dj%26q%3
Dsirena%252C%2520%2520la%2520prospettiva%2520dei%2520rimedi%2520nel%2520diritto
%2520privato%2520europeo%2520%26source%3Dweb%26cd%3D1%26ved%3D0CCEQFjAA
%26url%3Dhttp%253A%252F%252Fworks.bepress.com%252Fcgi%252Fviewcontent.cgi%253
Farticle%253D1020%2526context%253Dyehuda%26ei%3DBF2hUODG9Dbsga_9oDoCQ%26u
362
187
Differentemente nel sistema di Common Law, in cui la nozione di
rimedio è comune e familiare al linguaggio, si può approssimativamente dire
che esso è la concreta risposta che l’ordinamento assicura contro un torto
ricevuto, costituendo questi cures for wrongs363.
La ragione della netta contrapposizione tra i due sistemi, in tema di
diritti e rimedi, dipende dalla c.d. form of action della tradizione medievale
inglese che presupponeva una distinta procedura (writ) per ogni pretesa.
Così come il concetto di wrong è utilizzato in senso ampio nel
linguaggio giuridico inglese per indicare la lesione di un interesse protetto,
anche quello di remedy, pur largamente usato, non è mai stato definito in
termini chiari ed univoci364, dovendosi intendere con tale nozione qualsiasi
azione giudiziale e qualsiasi strumento di tutela.
Ragionare in termini di rimedi significa anteporre la disponibilità del
rimedio all’interesse protetto, che sarà poi individuato dal Giudice, e non più
dal Legislatore.
La prospettiva rimediale è connotata da un netto rifiuto delle forme, e
le
operazioni
volte
al
riconoscimento
del
rimedio
si
sostanziano
nell’individuazione della antigiuridicità del comportamento del soggetto
responsabile365.
Punto comune tra i due criteri di ragionamento sta nel giudizio di
rilevanza riconosciuto agli interessi che sono protetti.
sg%3DAFQjCNFMS7xdC48TonZSVjiJyuiLYHDaiw#search=%22sirena%2C%20la%20prospet
tiva%20dei%20rimedi%20nel%20diritto%20privato%20europeo%22.
363
F. H. LAWSON, Remedies of English Law, Butterworths, 1980.
D. LAYCOCK, Modern American Remedies — Cases&Materials, 1 a ed., 1985, A.
BURROWSS, Remedies for Torts and Breach of Contract, 1987; D. HARRIS, Remedies in Contract
and Tort, 1 a ed., 1988; M. TLBURY, Civil Remedies, Sydney, 1990.
364
Si veda G. VETTORI, Il diritto dei contratti fra Costituzione, codice civile e codici di settore, op.
cit.
365
188
Di poi quale sia la tutela più efficiente in termini di effettività dipende
da quale delle due modalità di protezione di un dato interesse sia più rapida
rispetto alle esigenze in gioco: comunque in entrambi i casi l’approccio non
incide sull’an della protezione366.
L’attenzione ai rimedi tende a “saltare taluni passaggi del diritto delle
obbligazioni e dei contratti, accorciando, per così dire, le distanze del mezzo di tutela
rispetto all’interesse e/o al bene che si intende tutelare”367.
In questa distinzione assumono particolare rilievo i principi
costituzionali: “la necessaria corrispondenza (biunivoca) tra interesse protetto e
rimedio”368 esige la costruzione di una regola che sia rispettosa delle norme
ordinarie e dei principi ordinatori della materia che debbono, nella sentenza
o nei provvedimenti legislativi, essere rigorosamente individuati e precisati
come premessa di una soluzione controllabile in base ai parametri offerti
dalla legge e dalla Carta costituzionale369.
Nel Draft common frame of reference la nozione di rimedio “perde la sua
stessa ragione dogmatica, identificandosi in qualsiasi strumento mediante il quale
l’ordinamento giuridico tutela i diritti che riconosce e attribuisce ai soggetti. Proprio
perché il diritto dei rimedi costituisce ormai un settore organicamente e
coerentemente disciplinato dall’ordinamento giuridico, esso è costituito non soltanto
da regole puntualistiche, ma anche da principi generali, i quali stanno alla sua base e
lo unificano. Se si prende in considerazione uno dei principi generali più importanti
Si veda U. MATTEI, I Rimedi, in Il diritto soggettivo, nel Trattato di diritto civile, dir. da R.
SACCO, Torino, Utet, 2001.
366
367
Così A. DI MAJO, Il linguaggio dei rimedi, op. cit.
V. da ultimo E. NAVARRETTA, La complessità del rapporto fra interessi e rimedi nel diritto
europeo dei contratti, intervento al convegno svolto a Firenze il 30 marzo 2007 “Remedies in
contract. The common rules for a european law”, Padova, Cedam, 2008.
368
Così G. VETTORI, Diritto contrattuale europeo, rimedi di «terza generazione» e diritto del
lavoro, in Giorn. di dir. del lav. e di rel. ind., 2008.
369
189
e più caratteristici dell’intero diritto privato, ossia quello di buona fede, si può
rilevare che esso è stato formalizzato dal DCFR in termini tali da estenderne
espressamente l’applicazione ai rimedi”370.
Allora come è stato autorevolmente affermato la civilistica è pronta
per una sorta di “rigenerazione”371, attraverso lo sviluppo degli istituti in
tema di invalidità e di riequilibrio negoziale.
In generale si tratta di spazi in cui è possibile formulare regole
concrete che siano la manifestazione dei rimedi conosciuti o da ridefinire372.
Le clausole generali giocano, da questo punto, di vista un ruolo di
grande rilievo.
§5.1 LA TUTELA DEI DIRITTI FONDAMENTALI ATTRAVERSO LE
CLAUSOLE GENERALI
Le clausole generali riescono ad esprimere la loro potenzialità e trarre
contenuto e concretizzazione da un contesto ordinamentale di livello
costituzionale o, comunque, che esprima valori stabili e condivisi;
diversamente
sarebbe
difficile
giustificare
queste
intrusioni
esterne
nell’ambito di rapporti contrattuali da parte degli interpreti qualificati, ossia i
giudici373.
370
Così P. SIRENA, La prospettiva dei rimedi nel diritto privato europeo, cit.
371
F. GALGANO, Il contratto di consumo e la libertà del consumatore, Torino, Cedam, 2012.
372
Così G. VETTORI, Il diritto dei contratti fra Costituzione, codice civile e codici di settore, op. cit.
373
C. CASTRONOVO, Autonomia privata e Costituzione europea, op. cit., 55 s.
190
Alla luce di questa fenomenologia le pattuizioni tra i contraenti non
valgono più come fondamento del contratto, ma come una parte del
regolamento sul quale il Giudice esercita il suo potere interpretativo.
Con riferimento alla struttura delle clausole generali autorevole
dottrina374 ne ha messo in luce due tipi.
Le prime sono norme formulate con una tecnica diversa da quella
casistica, generali in quanto “il nucleo centrale della fattispecie è definito
genericamente con l’ausilio di una categoria riassuntiva, per il cui concretamento il
Giudice è rinviato volta per volta a modelli di condotta o standards valutativi vigenti
nell’ambiente sociale, di talché la sua discrezionalità è integrativa della fattispecie,
non produttiva di regole concrete di decisione”.
Le seconde sono “norme incomplete, sprovviste di una propria fattispecie,
essendo destinate a concretarsi negli ambiti operativi di altre normative. Esse
impartiscono al Giudice una direttiva per la formazione della regola di decisione del
caso singolo, rinviando a standards sociali ravvisati come tipi ideali di
comportamento in senso assiologico, di talché egli argomenta la regola della decisione
da punti di vista etico-sociali esterni all’ordinamento”.
Rispetto alla funzione delle clausole generali la recente giurisprudenza
ha così statuito: “il rapporto della giurisprudenza, in specie di legittimità
nell'espletamento della funzione di nomofilachia della Corte di Cassazione, assume
sempre più rilievo nel sistema delle fonti in linea con la maggiore consapevolezza dei
giudici di operare in un sistema ordinamentale che, pur essendo di Civil Law e,
quindi, non basato su soli principi generati come avviene nei paesi di Common Law
(Inghilterra, Stati Uniti ed altri), caratterizzati dal vincolo che assume una
determinata pronuncia giurisprudenziale per le decisioni successive, si configura
come semi-aperto perchè fondato non solo su disposizioni di legge riguardanti settori
374
L. MENGONI, I principi generali, op. cit., 323.
191
e dettagliate discipline ma anche su cd. clausole generali, e cioè su indicazioni di
valori ordinamentali, espressi con formule generiche (buona fede, solidarietà,
funzione sociale della proprietà, utile sociale dell'impresa, centralità della persona)
che scientemente il Legislatore trasmette all'interprete per consentirgli, nell'ambito
di una più ampia discrezionalità, di attualizzare il diritto, anche mediante
l'individuazione (là dove consentito, come nel caso dei diritti personali, non
tassativi) di nuove aree di protezione di interessi. In tal modo, con evidente
applicazione del modello ermeneutico tipico della interessenjurisprudenz (cd.
giurisprudenza degli interessi, in contrapposizione alla begriffsjurisprudenz o
giurisprudenza dei concetti quale espressione di un esasperato positivismo giuridico),
si evita sia il rischio, insito nel cd. sistema chiuso (del tutto codificato e basato sul
solo dato testuale delle disposizioni legislative senza alcun spazio di autonomia per
l'interprete), del mancato, immediato adeguamento all'evolversi dei tempi, sia il
rischio che comporta il cd. sistema aperto, che rimette la creazione di dette norme al
Giudice sulla base anche di parametri socio-giuridici (ordine etico, coscienza sociale
etc.) la cui valutazione può diventare arbitraria ed incontrollata. La funzione
interpretativa del Giudice, i suoi limiti, la sua vis expansiva sono, dunque,
funzionalmente collegati all'assetto costituzionale del nostro ordinamento quale
Stato di diritto anch'esso caratterizzato dal Rule of law (vale a dire dal principio di
legalità).
Per il tramite di una costante dialettica con la realtà extragiuridica e il
diritto internazionale, le clausole generali, pertanto, si confrontano con gli
assiomi dogmatici e trasmettono una capacità evolutiva e una relatività
necessaria per mantenere la coerenza con l’ordinamento375.
Per quello che concerne la clausola della buona fede in particolare, si
tratta della specificazione degli inderogabili doveri di solidarietà sociale
S. RODOTÀ, Le clausole generali nel tempo del diritto flessibile, in AA. VV. , Lezioni sul
contratto, raccolte da A. Orestano, Torino, Giappichelli, 2009, 106 ss.
375
192
tutelati dall’ordinamento: il suo ruolo è quello di direttrice generale di
correttezza376.
La considerazione di questo principio involge questioni legate alla
giustizia contrattuale377: l’invito è quello di ricercare un punto di
collegamento tra i principi costituzionali e le regole private.
A tal proposito l’art. 1366 c.c. potrebbe essere considerato una norma
idonea a filtrare le esigenze del caso concreto con i diritti e le libertà
fondamentali: l’uso della buona fede consentirebbe di risalire ai principi
generali dell’ordinamento378.
Il valore in parola sta, pertanto, nella sua capacità di adattarsi alle
esigenze della realtà, conciliandosi perfettamente con la disciplina codicistica
connotata da normative speciali e radici costituzionali.
Si evidenzia, a tal proposito, il trionfo di regole volte a disciplinare in
generale il contratto piuttosto che regole rivolte partitamente a regolare
Sui i vari significati della buona fede si veda in generale P. BARCELLONA, Buona fede e
abuso del diritto di recesso ad nutum tra autonomia privata e sindacato giurisdizionale, in Giur.
comm., 2011, 295; F. GALGANO, Qui iure suo abutitur neminem laedit?, in Contr. e impr., 2011,
311; G. D’AMICO, Recesso ad nutum, buona fede e abuso del diritto, in Contr., 2010, 11, U.
NATOLI, Abuso del diritto e abuso di dipendenza economica, in Contr., 2010, 252; M.
GRONDONA, Buona fede e solidarietà; giustizia contrattuale e poteri del Giudice sul contratto:
annotazioni a margine di un obiter dictum della Corte di cassazione, in Riv. dir. comm., 2003, 242;
ID., Solidarietà e contratto: una lettura costituzionale della clausola di buona fede, in Riv. trim. dir.
proc. civ., 2004, 733.
376
Nell’esperienza tedesca la Corte Costituzionale federale ha derivato dal principio di
libertà individuale di cui all’art. 2 della Grundgesetz la necessità di tutelare
l’autodeterminazione contrattuale del soggetto più debole laddove vi sia una disparità di
potere contrattuale. E’stato così legittimato l’uso delle corti del principio generale di buona
fede e di contrarietà ai boni mores al fine di realizzare un controllo incisivo del contenuto
contrattuale fino al punto da dichiarare una sua eventuale nullità.
377
A tal proposito si veda L. BIGLIAZZI GERI, Note in tema di interpretazione secondo buona
fede, Pisa, Pacini, 1970, ed in argomento G. VETTORI, L’interpretazione di buona fede nel codice
civile e nel Draft Common Frame of Reference (DCFR), in Riv. dir. priv., 2008, 675.
378
193
singoli tipi contrattuali379, e che del contenuto del contratto si opera in primo
luogo una valutazione, non più rivolta all’elemento essenziale della volontà
contrattuale o della causa, bensì alla clausola generale di buona fede, che
consente di individuare l’effettiva posizione di potere delle parti380.
La buona fede si dimostrerebbe, pertanto, non soggetta al mercato, ma
un valido mezzo per definire il rapporto tra uso ed abuso dell’autonomia
contrattuale, in quanto capace di riflettere la complessità del contesto
giuridico e fattuale, e attenta alle esigenze dei valori fondamentali della
persona381.
Di poi il punto di raccordo tra l’ordinamento costituzionale e
l’ordinamento privatistico può esprimersi anche nelle norme del codice civile
che sanciscono l’invalidità di negozi contrari a norme imperative o all’ordine
pubblico382.
Dall’uso di tali strumenti di giudizio potrebbero conseguirne degli
effetti simili alla c.d. Drittwirkung383: la variabilità e adattabilità dei loro
P. SIRENA, La categoria dei contratti d’impresa e il principio della buona fede, in Riv. dir.
civ., 2006, 424 ss.
379
F. MACARIO, La Commissione e le “opzioni” per l’armonizzazione del diritto europeo dei
contratti: alla ricerca dei “principi comuni” (“opzione II”), in Diritto privato europeo, fonti ed
effetti, materiali del seminario dell’8-9 novembre 2002, raccolti da G. ALPA G., R. DANOVI ,
Milano, Giuffrè, 2004, 106.
380
E. NAVARRETTA, Buona fede oggettiva, contratti di impresa e diritto europeo, in Riv. dir.
civ., 2005, 537.
381
V. CRISAFULLI, Diritti di libertà e poteri dell’imprenditore, in Riv. giur. lav., 1954, 70:
secondo cui le norme imperative e come tali inderogabili dall’autonomia privata sono tutte
le norme della Costituzione che garantiscono determinate libertà agli individui, così come
dell’ordine pubblico fanno parte i principi costituzionali sui quali si fonda, nella sua unità
sistematica, l’intero ordinamento giuridico della Repubblica.
382
P. RESCIGNO, L’autonomia dei privati, in Just., 1967, 14. In tema, P. PERLINGERI, Il diritto
civile nella legalità costituzionale, Napoli, Edizioni scientifiche, 1991, 459 s. e G. OPPO, Sui
principi generali del diritto privato, in Riv. dir. civ., 1991, 477, il quale ritiene che la Drittwirkung
possa “esercitarsi soprattutto nel concorso alla determinazione dell’ordine pubblico e più in generale
nel controllo di meritevolezza e liceità dei comportamenti e così della causa del contratto e della
383
194
contenuti rispetto alle esigenze della società li innalza, infatti, alla categoria
di principi.
Nello specifico, l’ordine pubblico deve essere inteso come l’ordine
sociale, che nella concezione giusnaturalista tutela talune posizioni
fondamentali
dell’individuo
e
che
rileva
nella
sua
connotazione
individualistica, cioè nei rapporti tra cives.
Inoltre l’ordine sociale non può non richiamare l’importanza del
rispetto dei diritti fondamentali che, in quest’ottica, si eleverebbe a interesse
di portata generale nell’ambito dei rapporti tra privati, così da poter limitare
l’autonomia privata nel senso che la stessa non potrà porsi in contrasto con
detto principio.
Una
parte
della
giurisprudenza
ha
operato
una
distinzione
interessante tra l’ordine pubblico interno e l’ordine pubblico internazionale:
il primo è composto dai principi fondamentali etico sociali della comunità in
un dato momento storico e dai principi immanenti dei più rilevanti istituti
giuridici, il secondo si è detto che consiste nei principi universali di tutela dei
diritti fondamentali dell’uomo.
Sul rapporto tra ordine pubblico e buon costume384 la dottrina
minoritaria ritiene che quando il giudizio etico coinvolge anche un valore
fondamentale dell’ordinamento, la contrarietà al buon costume e all’ordine
ingiustizia del danno o dell’arricchimento”. In questo modo si ricollegherebbero, ad avviso
dell’A., i principi costituzionali con le clausole generali. Sul punto, S. RODOTÀ, Il tempo della
clausole generali, in Riv. crit. dir. priv., 1987, 721 s.
Dal punto di vista comparativo dottrina e giurisprudenza francesi, a differenza di quella
italiana, fanno dell’ordine pubblico, su base politico sociale, e del buon costume, su base
etica, un concetto unitario. Di poi il codice civile tedesco, BGB, incentra la sua attenzione
esclusivamente sul buon costume: in tale contesto i gute sitten rappresentano una sorta di
doveri di comportamento derivati da una morale che rappresenta il riflesso di una realtà che
nel cambiamento cerca sempre di adattarsi ai valori fondamentali che costituiscono
l’architettura dell’ordinamento. Nel sistema di Common Law è, invece, dubbia la possibilità di
trovare una categoria precisa idonea a descrivere il buon costume, utilizzandosi talvolta le
nozioni di illegalità e di public policy.
384
195
pubblico possono coincidere, mentre quella maggioritaria reputa che tra
buon costume e ordine pubblico sussista ancora una sostanziale differenza
ontologica e un diverso criterio di valutazione in quanto “l’uno attiene alla
nozione di morale sociale, l’altro rimane ancorato, invece, ai principi fondamentali
dell’ordinamento”385, inoltre “mentre l’ordine pubblico esprime scelte politiche del
Legislatore, i principi del buon costume sono, invece, di natura extralegale in quanto
scaturiscono dalla realtà sociale”386.
Rispetto all’incidenza nel sistema giuridico italiano dell’ordine
pubblico, la clausola in parola è richiamata in diversi articoli del codice civile:
in primis l’art.1343 c.c. dispone che la causa è illecita quando è contraria a
norm1e imperative, all’ordine pubblico o al buon costume387.
Così l’art. 1418 c.c. sancisce la nullità del contratto per contrarietà a
norme imperative o per illiceità della causa, quindi anche per contrarietà
all’ordine pubblico.
Ancora l’art. 5 c.c. dispone che: “gli atti di disposizione del proprio corpo
sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica, o
quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume”.
In ultimo l’art. 1354 c.c. prevede la nullità del contratto al quale è
apposta una condizione, sospensiva o risolutiva, contraria a norme
imperative, all’ordine pubblico o al buon costume.
Concludendo su tali aspetti, nel diritto privato italiano il luogo di
emersione dei diritti fondamentali, quali limiti all'autonomia contrattuale,
dovrebbe essere principalmente quello relativo alla comminatoria di nullità
per contrarietà a norme imperative, ordine pubblico e buon costume, ma da
385
F. DI MARZIO, I contratti in generale, Torino, Giappichelli, 2006, 249 e ss.
386
V. ROPPO, Trattato di diritto privato, Il contratto, Milano, Giuffrè, 2001, 399 e ss
A differenza delle norme imperative che hanno il vantaggio della tassatività, l’ordine
pubblico e il buon costume condividono la natura di clausole generali.
387
196
una verifica della tavola dei valori che l'ordinamento giuridico intende
promuovere attraverso tale comminatoria di impegni assunti in via
contrattuale in violazione di regole etiche, i risultati forniti sono molto
scarni388.
§5.1.1 IL CASO DELLA MATERNITÀ SURROGATA
Con riferimento all’ordine pubblico e alla contrarietà a norme
imperative, la traduzione in termini di limiti alla libertà contrattuale
derivanti da ragioni etiche ha operato, ad esempio, nelle ipotesi di maternità
surrogata, ossia quell’accordo sotto il quale delle donne si prestano ad avere
una gravidanza e a partorire un figlio non per sé, ma per un’altra donna389.
Si tratta, in sostanza, di un accordo in forza del quale la madre
surrogata si impegna a sottoporsi alle pratiche di fecondazione artificiale, a
condurre la gravidanza sino al termine, a dare alla luce il bambino, alla
rinuncia a vantare qualsiasi diritto genitoriale, al fine di consentire al
committente di poter acquisire con il nato un rapporto di parentela.
Per quanto concerne i committenti, questi si assumono l’impegno nei
confronti della madre surrogata di fornire il denaro necessario per affrontare
le spese nel corso della gravidanza e di versare, eventualmente, un
corrispettivo in denaro per la sua prestazione.
È proprio su quest’ultimo aspetto che è dato distinguere tra accordi di
maternità surrogata gratuiti, in cui la madre surrogata si sottopone alla
Così G. SMORTO, Autonomia contrattuale e diritto europeo, disponibile al sito internet
http://www.unipa.it/dottoratodirittocomparato/sites/default/files/20052009/file/autonomia%
20k%20e%20dr%20europeo%2007.pdf
388
389
I. CORTI, La maternità per sostituzione, Milano, Giuffrè, 2000, passim.
197
gravidanza sostitutiva con spirito altruistico, e accordi di maternità surrogata
a titolo oneroso.
Attualmente i principali paesi europei occidentali sono dotati di una
specifica disciplina in materia di maternità surrogata.
L’Inghilterra è stato il primo Paese a disporre una disciplina ad hoc
(Surrogacy Arrangements Act del 16 luglio 1985): tuttavia nessuna disposizione
concerne la legittimità di tali accordi, limitandosi l’Act a punire quelli
conclusi a titolo oneroso.
Fra gli ordinamenti che ritengono del tutto illegittimi gli accordi di
maternità surrogata, senza possibilità di distinguere tra quelli patrimoniali e
quelli aventi connotazione solidaristica, si fa riferimento alle esplicite
disposizioni legislative della Francia (legge n. 94-653 del 29 luglio 1994
relative au respect du corps humain)390 e della Spagna (legge n. 35 del 22
novembre 1988 sulle tecniche di riproduzione assistita).
In Italia un divieto di tal sorta è stato introdotto solamente nel 2004: la
questione che si è posta all’attenzione della giurisprudenza prima di tale
proibizione ha riguardato la necessità di considerare se l’accordo poteva
ritenersi un contratto391, ed eventualmente un contratto valido.
In generale si possono individuare due filoni di decisioni italiane che
si sono sviluppate in questo ambito: una parte della giurisprudenza si è
mostrata contraria alla liceità degli accordi di maternità surrogata, l’altra ha
manifestato una maggiore apertura.
Sulla natura giuridica del contratto di maternità surrogata nell’ordinamento francese si
veda R. LETTERON, Le droit de la procréation, Paris, 1997.
390
Sulla dottrina discorde nel considerare tale accordo un contratto, poiché in tali ipotesi non
sarebbe rinvenibile alcun rapporto giuridico patrimoniale si veda I. CORTI, op. cit., M.
DOGLIOTTI, Maternità «surrogata»: contratto, negozio giuridico, accordo di solidarietà?, in Fam.
dir., 2000, 159, L. ROSSI CARLEO, Maternità surrogata e status del nato, in Fam., 2002, 392.
391
198
Prescindendo dal rilievo sulla distinzione tra accordi commerciali e
accordi solidaristici, il Tribunale di Monza, con la decisione del 1989392, il
Tribunale e la Corte di Appello di Salerno con due decisioni del 1992393
hanno statuito la nullità del contratto di sostituzione di maternità, per
mancanza nell’oggetto dei prescritti requisiti di possibilità e liceità, perché in
contrasto con i principi contenuti negli artt. 2, 30 e 31 della Costituzione
(“infungibilità dei doveri personali ed economici connessi alla potestà dei genitori
cosiddetti di sangue; contrasto con il diritto del minore di crescere nella famiglia
formata da questi ultimi e di avere una famiglia sostitutiva soltanto in caso di
oggettiva incapacità o inadeguatezza dei medesimi; contrasto con il diritto di
qualunque figlio a un unico, comune status filiationis”), e con il principio di
indisponibilità degli status personali (che non possono formare oggetto di
contratto e comunque è vietato costituirli, modificarli o estinguerli
negozialmente), per contrarietà dell’art. 5 cod. civ. che vieta gli atti di
disposizione del proprio corpo contrari alla legge, all’ordine pubblico e al
buon costume394.
Nessun diritto alla procreazione è riconosciuto dalla Costituzione che
possa in qualche modo sorpassare gli argomenti che aderiscono alla nullità
dell’accordo.
Sotto altro profilo i giudici di Monza hanno ritenuto che un accordo di
tal genere fosse nullo anche per illiceità della causa (qualora la filiazione
venisse scambiata con denaro o altra utilità economica), e per frode alla legge
Trib. Monza 27 ottobre 1989, in Foro it., 1990, 298, con nota di G. PONZANELLI, in Dir.
fam. pers., 1990, 173.
392
Corte Appello di Salerno, sez. minori, decr. 25 febbraio 1992, in Nuova giur. civ. comm.,
1994, 177.
393
394
Trib. Monza 27 ottobre 1989, op. cit.
199
(qualora si dimostrasse che l’accordo fosse stato predisposto per eludere le
norme in materia di adozione).
Tuttavia in un passaggio della sentenza si legge che “sotto l’aspetto
finalistico il contratto,almeno nel caso in cui non fosse previsto alcun corrispettivo,
potrebbe sfuggire a una sanzione di illiceità, in quanto consistente nel procurare una
discendenza, realizzerebbe uno degli scopi naturali della famiglia, la procreazione”.
Per quanto concerne quella parte della giurisprudenza più aperta in
materia si segnalano le decisioni del Tribunale di Roma395, secondo cui non è
possibile sindacare le circostanze e le modalità in cui fu deciso, pattuito,
attuato e compensato il concepimento della bambina in quanto “il metodo
seguito dai coniugi (genitori committenti) non trova divieto nel diritto vigente, per
cui, da questo punto di vista, essi hanno occupato uno spazio vuoto della legge, e non
colmabile in via interpretativa”.
Con le ordinanze del 17 febbraio 2000 e del 27 marzo 2000 il Tribunale
di Roma ha ritenuto che l’accordo di maternità surrogata perseguisse
interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento ai sensi dell’art. 1322
cod. civ. e che pertanto fosse lecito, sia sotto il profilo dell’indisponibilità
degli status personali, sia sotto il profilo dell’inammissibilità degli atti di
disposizione del proprio corpo 396.
“L’aspirazione della coppia alla realizzazione come genitori” è intesa come
espressione di un “vero e proprio diritto a procreare, contribuendo le tecniche di
riproduzione assistita a rendere esplicita ed accentuare questa rivendicazione del
diritto al figlio, che peraltro, trova fondamento in quello più ampio,
395
Tribunale per i minorenni di Roma, decreto del 31 marzo 1992, in Dir. fam. pers., 1993, 188.
Cfr. in Giur. it., 2001, 300, con nota di R. NATOLI, La maternità surrogata: le dinamiche sociali
e le ragioni del diritto. Si legge nella sentenza che i due profili indicati non rilevano: il
principio di indisponibilità degli status non trova applicazione nel caso di specie poiché la
madre surrogata si limita a condurre una gravidanza di un embrione a lei geneticamente
estraneo: “la temporanea donazione d’utero, nel rispetto delle condizioni di salute della madre
surrogata, non comporta diminuzione permanente dell’integrità fisica”.
396
200
costituzionalmente garantito e protetto, di manifestazione e svolgimento della
personalità”397.
Per quanto concerne la contrarietà all’ordine pubblico, i giudici
stabiliscono che se pur la commercializzazione della funzione gestazionale
sia riprovevole per la coscienza morale e sociale, e si sostanzi in una
violazione della dignità, è necessario un bilanciamento allorquando vi sia
l’autodeterminazione e il consenso prestato all’utilizzazione dell’utero da
ragioni di solidarietà e per spirito di liberalità, bilanciamento che opererebbe
a favore di questa seconda constatazione.
L’esclusione del negozio in frode alla legge, e dunque della volontà di
eludere le norme sull’adozione e sull’indisponibilità degli status, viene poi
delineato sulla base che non vi è previsione alcuna su un eventuale
corrispettivo per le prestazioni di gestazione.
Dal quadro descritto, pur se limitato alla sola ipotesi della maternità
surrogata, emerge per le altre fattispecie che si potrebbero presentare
l’importanza delle motivazioni e delle argomentazioni dei giudici nelle loro
decisioni: alla luce del problema dell’applicabilità orizzontale della disciplina
dei diritti fondamentali nei rapporti contrattuali tale esigenza è necessaria
non solo per legittimare le soluzioni scelte, ma soprattutto per garantire la
certezza del diritto.
397
Così il Giudice nell’ordinanza del 17 febbraio 2000 sopra richiamata.
201
§5.2 LA VIOLAZIONE AL DIVIETO DI NON DISCRIMINAZIONE:
RIMEDI
Il divieto di non discriminazione racchiude in sé il rispetto di altri
valori fondamentali, come quello dell’uguaglianza, della cittadinanza, della
solidarietà, del Mercato398 e della parità di trattamento.
La sua funzione consiste nella rimozione “dall’ordinamento di quegli atti
di autonomia privata che siano il risultato di un processo formativo della volontà
viziato dal pregiudizio culturale ed ideologico”399.
In ambito comunitario ed europeo si è consolidato l’orientamento,
attraverso la giurisprudenza della Corte di Giustizia e con la Carta dei diritti
fondamentali, secondo cui il principio di non discriminazione è un risvolto
immediato del principio di uguaglianza400.
Sotto il profilo della parità di trattamento, il rapporto tra uguaglianza
e diritto privato è stato originariamente sollevato ed analizzato dal Giurista
tedesco Raiser 401: a parte i casi in cui esso costituisce un principio ordinativo
tecnico (obbligazioni plurisoggettive o comunione), la parità di trattamento
risponde all’esigenza di pretendere da colui che gode di una posizione
A. GENTILI, Il principio di non discriminazione nei rapporti civili, in Riv. crit. dir. priv., 2009,
225, secondo cui le discriminazioni diffuse riducono le possibilità di accesso al Mercato da
parte dei discriminanti.
398
Così D. LA ROCCA, Eguaglianza e libertà contrattuale nel diritto europeo. Le discriminazioni
nei rapporti di consumo, Torino, Giappichelli, 2008, 159 ss.
399
Articolo 21 Non discriminazione: È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in
particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le
caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni
politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il
patrimonio, la nascita, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali. Nell'ambito d'applicazione
del Trattato che istituisce la Comunità europea e del Trattato sull'Unione europea è vietata
qualsiasi discriminazione fondata sulla cittadinanza, fatte salve le disposizioni particolari
contenute nei Trattati stessi.
400
401
L. RAISER, Der Gleichheitsgrundsatz im Privatrech, in Zeit. Ges. Hand. Konk, 111 (1946-1948).
202
giuridica di potere di non esercitarlo in modo arbitrario (teoria c.d.
Verteilungsmacht).
Rispetto all’uguaglianza (espressione del principio di giustizia) come
limite della libertà contrattuale, un secondo schema proposto dalla dottrina
tedesca riguarda le ipotesi in cui il singolo è inserito all’interno di un gruppo
sociale orientato verso un determinato scopo402.
Il fenomeno della lotta contro la discriminazione nei rapporti di tipo
orizzontale implica l’operare di una varietà di tecniche di bilanciamento
degli interessi tra loro diversificati: sono, infatti, numerosi i valori frustrati
dall’atto discriminatorio, a parte l’uguaglianza, anche la dignità e la
solidarietà.
La positivizzazione di tali “concetti assiologici403”, può avvenire
mediante le clausole generali.
Qualora il Giudice si trovi a dirimere un conflitto tra interessi di rango
costituzionale, il grado di afferenza di ciascuno al valore della dignità
umana,
quale
principio
costituzionale
assoluto
non
passibile
di
bilanciamento, comporta la rilevanza in termini di inviolabilità e di incidenza
rispetto alle altre situazioni soggettive in gioco404.
Il principio di proporzionalità può invece rilevare qualora la condotta
sia risultata congrua, così come, in termini generali, occorre valutare la
P. PERLINGERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale, op. cit., 453, secondo cui
l’eguaglianza sostanziale è attuata non soltanto con la redistribuzione dei beni e con
discipline diversificate in ragione della disuguaglianza di fatto, ma anche con la garanzia di
un’effettiva partecipazione degli individui alla dinamica dei rapporti di diritto civile.
402
L. MENGONI, Per una dogmatica dei diritti fondamentali, in Giornate in onore di Angelo Falzea,
Milano, Giuffrè, 1993, 49.
403
F. MODUGNO, I nuovi diritti nella giurisprudenza costituzionale, Torino 1995, Giappichelli,
107, individua il denominatore dell’inviolabilità nel “riferimento, talora esplicito, talaltra
leggibile in trasparenza nella giurisprudenza costituzionale, al patrimonio irretrattabile della persona
umana intesa come totalità, ossia al principio supremo della libertà-dignità, in contrapposizione al
tradizionale principio individualistico e liberale della libertà-proprietà”.
404
203
natura dell’interesse offeso e le particolari circostanze che hanno determinato
la violazione.
“Sarà compito del Giudice porre a confronto l’interesse del soggetto
discriminato e quello del danneggiante a prendere liberamente una propria decisione,
il confronto dovrà fondarsi tenendo presente non solo gli interessi in conflitto, ma
soprattutto l’interesse della collettività a scoraggiare certi tipi di condotta lesivi, nei
casi di discriminazione, non solo della dignità dell’individuo, ma anche degli
equilibri interni alla società”405.
È stato evidenziato come vi sia “al pari delle clausole di buona fede e
correttezza, un controllo sulle modalità di esercizio di un potere privato delegando al
Giudice la formazione della norma di decisione, vincolandolo ad una direttiva
espressa attraverso il riferimento ai principi costituzionali (…) secondo un
parametro che va individuato nel ragionevole bilanciamento dei principi”406.
Benché il divieto costituzionale di compiere discriminazioni lesive
della pari dignità sociale possa, sulla base delle tecniche di bilanciamento
adoperate dal Giudice, ritenersi operativo nei rapporti tra privati, il
Legislatore è intervenuto in materia attraverso apposita legislazione di rango
primario407.
La normativa nazionale in materia di discriminazione può essere
considerata idonea ad incidere sulla autonomia contrattuale: talvolta lo status
richiede, infatti, forme di tutela dirette ad evitare che, mediante il contratto,
siano perseguibili forme discriminatorie408.
Sul punto L. CIARONI, Autonomia privata e principio di non discriminazione, in Giur. it.,
2006, 1822.
405
406
S. BORELLI, Principi di non discriminazione e frammentazione del lavoro, op. cit., 88.
407
L. SITZIA, Pari dignità e discriminazione, Napoli, Jovene, 2011, 37 ss.
Si segnalano i limiti della risalente disciplina di cui all’articolo 15 dello Statuto dei
lavorati, che disciplina la nullità degli atti discriminatori diretti a: subordinare l'occupazione
di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad una associazione sindacale
408
204
Preliminarmente
giova
richiamare
la
Direttiva
del
Consiglio
2000/43/CE del 29 giugno 2000 che, in un ambito applicativo comprensivo
dell’accesso a beni e servizi e della loro fornitura, ha attuato il principio di
parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e
dall’origine etnica, distinguendo la discriminazione diretta (quando a causa
della sua razza, origine etnica, una persona sia, sia stata o sarebbe trattata
meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata in una
situazione analoga), da quella indiretta (quando una disposizione, un criterio
o una prassi apparentemente neutri possano mettere persone di una
determinata razza o origine etnica in una posizione di un particolare
svantaggio rispetto ad altre persone, a meno che vi sia una giustificazione e i
mezzi impiegati siano appropriati e necessari) (art.2).
La direttiva si applica a tutte le persone nel rapporto di lavoro, nella
formazione, nelle prestazioni sociali, nell’istruzione, nell’accesso ai servizi,
compreso l’alloggio, ma non riguarda le differenze basate sula nazionalità
(art.3)409; ammette discriminazioni a livello nazionale quando la caratteristica
ovvero cessi di farne parte o a licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di
qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti
pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione
ad uno sciopero (norma applicabile anche ai patti o atti diretti a fini di discriminazione
politica o religiosa). A tal proposito si evidenzia il suo riferimento ai soli atti giuridici e non
ai meri comportamenti materiali, alle sole ipotesi di discriminazione positiva (e non negativa
del rifiuto di adottare un atto), e al solo settore del lavoro. Si rileva, altresì, che la disciplina
suddetta esige una particolare indagine sull’elemento psicologico del datore volto a nuocere
a causa dell’atteggiamento sindacale, politico, religioso o della sua razza, lingua o sesso, in
tal modo circoscrivendo la sua portata applicativa.
Articolo 3 - Campo di applicazione. Nei limiti dei poteri conferiti alla Comunità, la
presente Direttiva si applica a tutte le persone sia del settore pubblico che del settore privato,
compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene: a) alle condizioni di accesso
all'occupazione e al lavoro sia indipendente che autonomo, compresi i criteri di selezione e le
condizioni di assunzione, indipendentemente dal ramo d'attività e a tutti i livelli della
gerarchia professionale, nonché alla promozione; b) all'accesso a tutti i tipi e livelli di
orientamento e formazione professionale, perfezionamento e riqualificazione professionale,
inclusi i tirocini professionali; c) all'occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le
condizioni di licenziamento e la retribuzione; d) all'affiliazione e all'attività in
un'organizzazione di lavoratori o di datori di lavoro o in qualunque organizzazione i cui
409
205
razziale e etnica costituisca un requisito essenziale e determinante per lo
svolgimento dell’attività lavorativa, purché l’obiettivo sia legittimo e il
requisito proporzionato (art. 4), ed assicura mezzi di tutela giurisdizionale,
amministrativa, conciliativa per la difesa di questi diritti (art. 7); la direttiva
promuove inoltre l’istituzione di organismi per perseguire questi obiettivi.
La disciplina comunitaria è stata attuata in Italia con d.lgs. 9 luglio
2003, n. 215 che prevede all’art. 4 la tutela giurisdizionale dei diritti
enunciati, richiamando la disciplina del T.U. delle disposizioni concernenti la
disciplina dell’immigrazione e la condizione dello straniero approvato con
d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286.
Per la prova del danno consente l’utilizzazione di dati statistici,
elementi di fatto, e il risarcimento del danno anche non patrimoniale, oltre
che l’inibitoria di comportamenti discriminatori, ed estende la legittimazione
ad agire alle associazioni e agli enti inseriti in un apposito elenco presso il
Ministero delle Pari opportunità.
Il
Testo
unico
delle
disposizione
concernenti
la
disciplina
dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero rileva per quanto
concerne la definizione di discriminazione (basata sulla razza, l’ascendenza o
l’origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose410), nonché per le
linee essenziali del procedimento giurisdizionale disposto dell’articolo 44,
membri esercitino una particolare professione, nonché alle prestazioni erogate da tali
organizzazioni; e) alla protezione sociale, comprese la sicurezza sociale e l'assistenza
sanitaria; f) alle prestazioni sociali; g) all'istruzione; h) all'accesso a beni e servizi e alla loro
fornitura, incluso l'alloggio.
L’articolo 43, comma 1, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 definisce come la discriminazione:
“ogni comportamento che direttamente o indirettamente comporti una distinzione, esclusione,
restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, le
convinzioni e le pratiche religiose, e che abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il
riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà
fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita
pubblica”.
410
206
d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (procedimento giurisdizionale speciale caratterizzato
da particolare informalità e speditezza, finalizzato all’accertamento e alla rimozione
del comportamento lesivo411).
L’azione civile contro la discriminazione contemplata dall’articolo 44
T. U. Immigrazione è stata anche oggetto di richiamo espresso ad opera della
l. 1 marzo 2006, n. 67412, che disciplina la “misura per la tutela giudiziaria delle
persone con disabilità vittime di discriminazione”, ed ha rappresentato il modello
del procedimento giurisdizionale introdotto dal d.lgs. 6 novembre 2007, n.
196413, di recepimento della Direttiva 2004/113/CE relativa “al principio della
parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso a beni e
servizi e la loro fornitura”414.
Mentre il primo comma dell’art. 44 T.U. Immigrazione prevede il
potere del Giudice di “adottare ogni provvedimento idoneo, secondo le circostanze,
a rimuovere gli effetti della discriminazione”415, ai sensi del quarto comma
Art. 4, comma 1, d.lgs. 9 luglio 2003, n. 215: “La tutela giurisdizionale avverso gli atti e i
comportamenti di cui all'articolo 2 si svolge nelle forme previste dall'articolo 44, commi da 1 a 6, 8 e
11, del Testo Unico, in quanto compatibili”.
411
Pubblicata in GU n. 54, 6 marzo 2006. L’art. 3, comma 1, l. 1 marzo 2006, n. 67 prevede che:
“la tutela giurisdizionale avverso gli atti ed i comportamenti di cui all'articolo 2 della presente legge è
attuata nelle forme previste dall'articolo 44, commi da 1 a 6 e 8, del testo unico delle disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286”.
412
Pubblicato in GU n. 261, 9 novembre 2007. Il d.lgs. 6 novembre 2007, n. 196 ha introdotto
nel d.lgs. 11 aprile 2006, n. 198, recante il Codice della pari opportunità tra uomo e donna, un
apposito Titolo II 2-bis, rubricato “parità di trattamento tra uomini e donne nell’accesso a beni e
servizi e loro fornitura”.
413
Direttiva 2004/113/CE del Consiglio del 13 dicembre 2004 che attua il principio della
parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi e la
loro fornitura, pubblicata in GUUE, L 373, 21 dicembre 2004.
414
Art. 44, comma 1: “quando il comportamento di un privato o della Pubblica Amministrazione
produce una discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, il Giudice però, su
istanza di parte, ordinare la cessazione del comportamento pregiudizievole e adottare ogni altro
provvedimento idoneo, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione”.
415
207
dell’art. 4 del d.lgs 9 luglio 2003, n. 215, “con il provvedimento che accoglie il
ricorso il Giudice, ordina la cessazione del comportamento, della condotta o dell’atto
discriminatorio, ove ancora sussistente, nonché la rimozione degli effetti”416.
In generale per quanto concerne i rimedi in caso di discriminazioni si
può rilevare che mentre la discriminazione nell’ambito di transazioni di
valore esiguo riguarda i profili di tutela della dignità della persona e,
pertanto, l’assetto rimediale maggiormente idoneo potrebbe essere quello
inibitorio e risarcitorio del danno non patrimoniale, l’interesse collettivo
all’efficienza dello scambio all’interno di operazioni economiche di valore
superiore renderebbe maggiormente satisfattivi i rimedi restitutori, quelli
caducatori e la tutela in forma specifica.
Nel caso ad esempio di conclusioni di contratti traslativi immobiliari o
costitutivi di rapporti di durata, ove la condotta discriminatoria si sia
tradotta nell’inserimento di condizioni più svantaggiose o nella mancata
previsione di clausole favorevoli generalmente contemplate, la vittima della
discriminazione potrebbe trovare uno strumento di tutela adeguato nella
rettifica o nell’integrazione del regolamento negoziale.
Si evidenzia, altresì, l’operatività della ripetizione dell’indebito nelle
ipotesi in cui la parte discriminata abbia dato esecuzione alle clausole
discriminatorie417.
Sotto altro profilo qualora la discriminazione abbia luogo nella fase
esecutiva di un rapporto obbligatorio preesistente, la parte lesa potrà
avvalersi dell’apparato rimediale antidiscriminatorio in aggiunta agli
“Con il provvedimento che accoglie il ricorso il Giudice, oltre a provvedere, se richiesto, al
risarcimento del danno anche non patrimoniale, ordina la cessazione del comportamento, della
condotta o dell'atto discriminatorio, ove ancora sussistente, nonché la rimozione degli effetti. Al fine
di impedirne la ripetizione, il Giudice può ordinare, entro il termine fissato nel provvedimento, un
piano di rimozione delle discriminazioni accertate”.
416
417
D. MAFFEIS, Offerta al pubblico e divieto di discriminazione, Milano, Giuffrè, 2007, 285.
208
strumenti previsti dall’ordinamento in tema di responsabilità contrattuale,
onde ottenere, ad esempio, una condanna urgente ed immediata
all’adempimento.
Prospettata la possibile qualificazione in termini di ingiustizia del
danno cagionato dal rifiuto di contrarre da parte di chi svolga una
determinata attività in modo professionale, si è ritenuto di poter raggiungere
il traguardo del contratto imposto per il tramite del risarcimento in forma
specifica, ai sensi dell’art. 2058 c.c.418.
In conclusione, lungi dall’essere funzionale alla mera depurazione del
Mercato da elementi distorsivi della libera concorrenza, i divieti di
discriminazione dovrebbero essere ricondotti al più ampio fenomeno
dell’efficacia nei rapporti tra privati dei diritti fondamentali419.
§5.3 IL DANNO NON PATRIMONIALE E I DIRITTI FONDAMENTALI
Proprio il rimedio risarcitorio rappresenta lo strumento più usato nella
logica di estendere la sfera di operatività della responsabilità civile ogni volta
in cui questa sia ricollegata ad interessi riconducibili alla Costituzione420.
Prospetta la configurabilità dell’ingiustizia del danno cagionato tramite il rifiuto di
contrarre R. SACCO e G. DE NOVA (a cura di), Il contratto, Torino, Utet, 2004, 313.
418
419
L. SITZIA, op. cit., 298 ss.
F. GALGANO, Danno non patrimoniale e diritti dell’uomo, in Contr. e impr., 2009, 891 ss.: “Fu,
entro la scuola del diritto naturale, il tedesco Samuel Pufendorf a superare il romanistico limite del
damno corpori e propugnare per primo che il danno da risarcire dovesse comprendere il ristoro dello
sofferenze dello spirito, la pecunia doloris. E fu la codificazione tedesca del 1897 a stabilire, per prima,
che al danneggiato dovesse essere risarcito il danno immateriale o non patrimoniale. L’art. 253 del
BGB, che dispone al riguardo, è collocato nella parte sulle obbligazioni in generale, e riguarda le
conseguenze di ogni torto, tanto contrattuale, quanto aquiliano, ponendo tuttavia un limite generale,
ossia che il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi stabiliti dalla legge. Dall’area culturale
tedesca, dove aveva avuto origine, il danno morale approda al diritto italiano: nel 1927, a Sezioni
Unite, la Cassazione ne aveva ancora negato la risarcibilità, ma nel 1930 compare, all’art. 185, comma
420
209
Difatti la sfera della responsabilità ha la possibilità di fornire
protezione orizzontale dei diritti umani attraverso la pretesa di risarcimento
del danno patito.
2, c.p., la norma secondo cui l’autore di un fatto costituente reato può essere condannato alle
restituzioni ed al risarcimento dei danni patrimoniale e non patrimoniali derivanti da reato. Nella
codificazione del 1942 è ripresa, alla lettera, la formula tedesca: l’art. 2059 c.c. è però collocato nel
titolo relativo ai fatti illeciti, sicché la riserva di legge assume una portata limitata alla sola
responsabilità aquiliana e non anche per la responsabilità per inadempimento delle obbligazioni. Il
danno non patrimoniale è stato sempre riconosciuto, oltre che alla vittima del reato, anche ai suoi
stretti congiunti, dandosi pertanto una lettura estensiva alla norma penale e conseguentemente a
quella civile: interpretazione giustificata dalla considerazione che il reato, quale fonte di responsabilità
aquiliana, è un illecito plurioffensivo, idoneo a cagionare il danno non patrimoniale anche a soggetti
diversi dalla vittima del reato, quali i suoi stretti congiunti. Una svolta si compie nel 1994 ad opera di
una sentenza della Corte Costituzionale (sent. 27 ottobre 1994 n. 372), il cui estensore è Luigi
Mengoni: danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. non è il solo turbamento dell’animo, sofferto dal
congiunto dal congiunto della vittima, ben potendo anche essere tale la lesione di un diritto dell’uomo
costituzionalmente protetto, quale il diritto alla salute del congiunto. Era stata sollevata questione di
costituzionalità dell’art. 2059 c.c. per asserito contrasto con la protezione costituzionale dei diritti
dell’uomo di cui all’art. 2 Cost. e, più in particolare, con la protezione costituzionale del diritto alla
salute a norma dell’art. 32 Cost. Il congiunto della vittima, nel caso di specie, non aveva lamentato
solo i turbamenti dell’animo, ma una più profonda e duratura conseguenza patologica, valutabile
come danno alla salute. La prospettata questione di costituzionalità muoveva dalla premessa che l’art.
2059 c.c. limitasse la tutela aquiliana del danno non patrimoniale al c.d. danno morale soggettivo. La
Corte giudicò non fondata la questione di legittimità costituzionale e corresse la lettura riduttiva
dell’art. 2059c.c., argomentando che la sofferenza del congiunto della vittima può degenerare in un
trauma fisico o psichico permanente, alle cui conseguenze in termini di perdita di qualità personali, e
non semplicemente al pretium doloris in senso stretto, va allora commisurato il risarcimento. Il
requisito del danno da reato ed il riferimento all’ipotesi di cui all’art. 2059 c.c. non era ancora messa
in discussione. Altro salto di qualità si compie nel 2003 ad opera della giurisprudenza della
Cassazione, sulla base di un’interpretazione evolutiva dell’art. 2059 c.c., adeguatrice di questa norma
ai principi fondamentali della Costituzione e, in particolare, all’art. 2, che protegge i diritti inviolabili
dell’uomo. Si abbandona lo schema della plurioffensività del reato, che presuppone, pur sempre, la
commissione dell’illecito penale e si statuisce che il danno non patrimoniale, derivante dalla lesione di
un diritto alla persona è risarcibile anche se il fatto non sia configurabile come reato. Secondo la
storica sentenza 233/03 della Corte Costituzionale, preceduta dalle sentenze “gemelle” 8828 e 8827
del 2003 della Suprema Corte di cassazione, il danno esistenziale sarebbe consistito nella lesione di
diritti e interessi costituzionalmente garantiti inerenti alla persona umana diversi dal diritto alla
salute, che sconvolgesse le attività a-reddituali del soggetto leso. La recezione di questo principio si è
radicata sempre più nella giurisprudenza di merito e di legittimità che ha sovente utilizzato l’assunto
secondo cui il danno esistenziale deve essere inteso come ogni pregiudizio (di natura non meramente
emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) che alteri le abitudini e gli assetti relazionali
propri del soggetto inducendolo a scelte di vita diverse, quanto all’espressione e alla realizzazione della
sua personalità nel mondo esterno, da quelle che avrebbe compiuto ove non si fosse verificato il fatto
dannoso (cfr. Cass. S.U. 24 marzo 2006 n. 6572; Cass. 6 febbraio 2007 n. 2546; Cass. 28 agosto
2007 n. 18199).
210
Pur affermandosi che la latitudine dell’apertura del danno non
patrimoniale sembri trasformare la responsabilità civile in una sorta di
guardiano dei diritti fondamentali421, permangono ancora elementi di
incertezza sulla tutela aquiliana dei diritti dell’uomo422.
Ed invero la Cassazione Civile, Sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972,
pur ammettendo che essa non è ristretta ai casi dei diritti inviolabili
espressamente riconosciuti dalla Costituzione, e preso atto dell’apertura
dell’articolo 2 Cost. ad un processo evolutivo, ritiene che debba trattarsi di
diritti di rango costituzionale, che si rivelino degni di tutela, se non sulla base
di espresse norme quanto meno alla stregua del complessivo sistema
costituzionale423.
Attualmente il risarcimento del danno rappresenta la forma minima di
tutela
offerta
dai
moderni
sistemi
giuridici,
pertanto
il
mancato
riconoscimento del rimedio risarcitorio nei casi di lesione di valori della
persona equivale senza dubbio a negare la rilevanza giuridica a tali diritti.
Venutasi a creare la giusta dilatazione del concetto di danno non
patrimoniale ex art. 2059 del Codice Civile italiano a tal punto da
ricomprendere non solo il danno morale subiettivo, ma anche ulteriori danni
non patrimoniali diversi dal danno morale, inclusi quelli aventi una
copertura costituzionale diversa dall’art. 32 Cost. su cui si fonda invece il
danno biologico, l’approccio sistematico sull’integrale risarcibilità del danno
non patrimoniale ha subito un conseguente naturale assestamento424.
421
G. COMANDE’, Diritto Privato Europeo e diritti fondamentali, op. cit.
422
F. GALGANO, Danno non patrimoniale e diritti dell’uomo, op. cit., 891 ss.
423
Così Cass., Sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972.
Così F. BRAVO, Risarcibilità del danno patrimoniale alla luce della sentenza n. 26972/08 della
Corte di Cassazione a Sezione Unite e della successiva giurisprudenza di merito, disponibile al sito
internet http://www.vittimologia.it/rivista/articolo_bravo_2009-01.pdf.
424
211
La sentenza n. 26972 del 2008 delle Sezioni Unite della Cassazione
Civile è stata un punto di traguardo e costituisce oggi l’attuale orientamento
consolidatosi in materia di responsabilità civile con riferimento al danno non
patrimoniale,
tanto
nella
sfera
contrattuale,
quanto
in
quella
extracontrattuale.
L’ orientamento della Corte può essere scandito in tre punti.
Il primo riguarda il significato della rilettura costituzionale del sistema
del danno con il richiamo alla tipicità della categoria dei diritti inviolabili,
riconoscibili attraverso le disposizioni normative (ad esempio in materia di
illecito
trattamento
dei
dati
personali),
oppure
mediante
l’attività
ermeneutica del Giudice sulla base dell’art. 2 della Costituzione che consente,
ad esempio, un richiamo diretto al diritto alla salute, alla dignità, ai diritti
inviolabili della famiglia, al diritto all’uguaglianza.
Alla luce del fatto che l’art. 2 non costituisce un catalogo chiuso, la
Corte anticipa che sarà possibile per il Giudice incrementare le ipotesi tipiche
di danno non patrimoniale risarcibile, andando ad individuare nuovi
interessi di volta in volta emergenti dalla realtà sociale425.
Il secondo punto riguarda il concetto di danno esistenziale nella sua
evoluzione, e la sua perdita di autonomia nel nuovo sistema binario di danno
patrimoniale e danno non patrimoniale: la sua risarcibilità è riconosciuta
secondo la Corte “solo entro il limite segnato dalla ingiustizia costituzionalmente
qualificata dell’evento di danno. Se non si riscontra lesione di diritti
costituzionalmente inviolabili della persona non è data tutela risarcitoria”.
È “immaginario” ogni riferimento al diritto “alla qualità della vita, allo
stato di benessere, alla serenità: in definitiva il diritto ad essere felici”.
425
F. BRAVO, op. cit.
212
Le singole voci di danno non patrimoniale utilizzate sino a questo
momento dalla giurisprudenza italiana, rilevano, secondo la Corte,
solamente a fini descrittivi, senza dover comportare sovrapposizioni
risarcitorie.
Il terzo punto riguarda il riconoscimento del danno non patrimoniale
da inadempimento, allorquando vi sia stata una lesione di diritti inviolabili
della persona.
Si tratta di ipotesi che assumono un rilievo particolare nel settore del
lavoro, dell’istruzione, della sanità, rilievo in quest’ultimo caso esteso sino a
ricomprendere il contatto sociale.
Il coordinamento sistematico tra la responsabilità contrattuale e l’art.
2059 c.c. secondo la Corte, così come già anticipato dalle sentenze gemelle del
2003, deriva espressamente dal dato normativo dell’art. 1174 c.c..
A tal proposito assume importanza il riferimento alla causa concreta
del contratto e agli interessi in gioco nella dinamica contrattuale.
Così le Sezioni Unite distaccandosi da quelle teorie che distinguono la
disciplina
dei
danni
non
patrimoniali
in
ambito
contrattuale
ed
extracontrattuale426, sottopongono l’art. 1223 e l’art. 1218 del c.c. ad
un’interpretazione adeguatrice rispetto alla Costituzione.
L’opinione più risalente tendeva ad escludere la risarcibilità del danno
non patrimoniale facendo leva, soprattutto, sui seguenti rilievi: collocazione
dell’art. 2059 c.c., complessivo sistema della responsabilità debitoria da cui si
dedurrebbe un modello di danno rigorosamente patrimoniale (l’art. 1223
c.c.), indole patrimoniale dell’obbligazione e del rapporto contrattuale427.
426
G. BONILINI, Il danno non patrimoniale, Milano, Giuffrè, 1983, 213 ss.
427
V. DE CUPIS, Il danno. Teoria generale della responsabilità civile, Milano, Giuffrè, 1951, 56 ss.
213
Si tratta di argomentazioni che sono state superate attraverso la
smentita dell’importanza del mero dato della collocazione topografica della
disposizione sul danno non patrimoniale, alla luce di una concezione ben più
ampia di esso rispetto al passato e, pertanto, idonea a ricomprendere la
compromissione dei valori della persona.
Ulteriore superamento si è compiuto attraverso il dato normativo di
cui all’art. 1174 c.c. sulla corrispondenza della prestazione (comunque
suscettibile di valutazione economica) anche ad interessi non patrimoniali.
Il danno non patrimoniale contrattuale è riconosciuto e, pertanto,
risarcito, in Francia, in Germania e in Inghilterra.
A livello europeo il danno non patrimoniale da inadempimento è
espressamente sancito nel Principi Unidroit, nei PECL ed ancora nel Draft
common frame of reference.
In quest’ottica escludere o limitare fortemente questa voce di danno
sarebbe significato porsi in contrasto con la tendenza sovranazionale nei
confronti del problema della tutela della persona in ambito contrattuale.
Di poi le Sezioni Unite hanno dettato ulteriori criteri, o meglio
requisiti, di risarcibilità del danno non patrimoniale “il diritto deve essere inciso
oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio”, per cui la tutela
viene assicurata solo laddove la lesione ecceda “una certa soglia di offensività,
rendendo il pregiudizio tanto serio da essere meritevole di tutela in un sistema che
impone un grado minimo di tolleranza”, “i pregiudizi connotati da futilità ogni
persona inserita nel complesso contesto sociale li deve accettare in virtù del dovere
della tolleranza che la convivenza impone”.
I due parametri selettivi di ipotesi non gravi, ovvero di pregiudizi
futili, pur se sembrano non godere di alcun riscontro normativo, appaiono in
linea con l’attuale necessità di lasciare alcuni di essi allo sviluppo della
complessità sociale.
214
Si opera in tal modo il richiamo al principio di tollerabilità, così come
secondo l’insegnamento di autorevole dottrina428 per l’art. 2043 c.c. rileva il
principio di solidarietà.
S. RODOTÀ, Il problema della responsabilità civile, Milano, Giuffrè, 1964, 107 ss.: “la
considerazione primaria delle posizioni del danneggiato richiama immediatamente il principio di
solidarietà, inteso come limite generale dell’operare dei soggetti, e di cui l’ingiustizia si palesa come
diretta manifestazione nell’ambito della responsabilità civile”.
428
215
CAPITOLO IV
AUTONOMIA PRIVATA E DIRITTI FONDAMENTALI DELLA
PERSONA
§1 INTRODUZIONE
“È dubbio se lo Stato sia legittimato a sovrapporre i propri valori etici ufficiali
alla condotta dei privati cittadini. Per porre la questione più concretamente, ci si deve
chiedere se il diritto privato ed in particolare quello civile come realtà giuridica nella
quale liberi individui agiscono ognuno per proprio conto secondo il proprio libero
arbitrio, sia il contesto adatto nel quale conseguire il tanto agognato mondo
moralmente migliore. Perché se le finalità proposte fossero attuate nel diritto civile,
prima di tutto si creerebbe in queste aree un obbligo, come quello cui sono soggetti i
pubblici poteri, ad assicurare l’uguaglianza e l’uguale trattamento per tutti. La
libertà di agire secondo il proprio libero arbitrio sarebbe allora eliminata: il diritto
civile, in tal modo, non si occuperebbe più soltanto di apprestare i limiti legali alle
attività del cittadino. Le riempirebbe anche, direttamente, di contenuto, indebolendo
concretamente l’autodeterminazione contrattuale e probabilmente la libertà
dell’individuo. Ma nessuna libertà può esistere senza limitazioni, ed infatti
l’autonomia privata trova la propria eteronomia nell’ordinamento giuridico come
correlativo logico della propria esistenza”429.
E. PICKER, L’antidiscriminazione come programma per il diritto privato, in Riv. crit. del dir.
priv., 2003, 687 ss.
429
216
Nel disegno di razionalizzazione ed eticizzazione del Mercato430, si
reputa essenziale in vista di un nuovo orizzonte per il diritto dei contratti,
ridefinire l’autonomia negoziale nel sistema europeo, ispirandosi in prima
battuta al rispetto della dignità.
Le questioni principali riguardano la possibilità di ospitare o meno
istanze guidate dalla persona431, oltre che quelle legate a finalità di profitto ed
efficienza, e come si risolve il problema della gerarchia tra questi diversi
valori ed interessi in gioco432.
A questo proposito uno dei compiti più difficili dell’interprete consiste
nel cercare una convergenza valoriale tra i diversi ordinamenti.
Si tratta di un obiettivo arduo, ma possibile: vi sono ordinamenti che
pongono a loro fondamento la persona, come quello tedesco ed italiano, ed
altri che la presuppongono, senza esplicitarla, come ad esempio i paesi di
Common Law.
Di sicuro il percorso evolutivo del diritto privato in ciascuno Stato
membro dell’Unione europea non si è realizzato senza un più o meno
esplicito riferimento ai diritti scolpiti nelle Carte costituzionali e negli altri
testi che li esaltano433.
Pertanto la dimensione costituzionale dei rapporti tra privati è pronta
ad incidere sull’auspicata armonizzazione della disciplina contrattuale, non
solo attraverso il contenuto, ma anche attraverso l’uso dell’interpretazione,
Cfr. Introduzione di P. LAGHI, L’incidenza dei diritti fondamentali sull’autonomia negoziale,
Introduzione, Padova, Cedam, 2012.
430
Sul punto G. ALPA, Il codice civile europeo: “e pluribus unum”, in Contr. e Impr. Eur.,
1999.
431
Sul punto si veda G. ALPA e M. ANDENAS, Fondamenti del diritto privato europeo, in
Trattato di diritto privato, G. IUDICA e P. ZATTI (a cura di), Milano, Giuffrè, 2005, 183 SS.
432
433
G. COMANDE’, Diritto Privato Europeo e diritti fondamentali, Torino, Giappichelli, 2004, 21
ss.
217
ove le regole si plasmano ai principi, e ove la Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea potrebbe svolgere un ruolo utile alla ricerca di valori
unitivi per ridefinire i rapporti fra privati.
§2 I LIMITI DELL’AUTONOMIA PRIVATA ALLA LUCE DELLA
TUTELA DELLA PERSONA
Con riguardo al significato di dignità e ai vari “usi” a cui il principio è
sottoposto434, sembrerebbe, che il valore richiamato sia in grado di esplicare
la sua incidenza sull’autonomia privata.
Aldilà del fatto che tale influenza possa compiersi direttamente o
indirettamente attraverso l’intermediazione di altre clausole generali ed
istituti giuridici, il nucleo del problema è quello di stabilire quali debbano
essere le direzioni e i confini di tale “controllo”, e chi possa svolgere le
funzioni di Giudice della dignità, ossia quel ruolo di verifica di compatibilità
tra il principio in parola e gli atti di autonomia privata435.
Da questo punto di vista, parrebbe, peraltro, che pur nella diversità
dei richiami del concetto da parte degli ordinamenti dal punto di vista
normativo-costituzionale e assiomatico, comparando le soluzioni date alla
questione sopra evidenziata sussista, in qualche modo, una convergenza436.
Di poi preliminare alla soluzione del problema risulta essere
l’indagine sulle connotazioni civilistiche proprie del principio della dignità;
434
Cfr. cap. I, par. 4.
Cfr. G. RESTA, La disponibilità dei diritti fondamentali e i limiti della dignità, in Riv. dir. civ.,
2002, 801 ss.
435
P. RÄDLER, Die Unverfügbarkeit der Menschenwürde in Deutschland und Frankreich. Die
Urteile des französichen Conseil d’État zum ‘Zwergenweitwurf’, in DöV, 1997, 109 ss.
436
218
la giurisprudenza tedesca si è occupata della tematica della disponibilità
della dignità da parte del suo titolare nell’ambito dei contratti relativi allo
sfruttamento economico di attributi della persona.
Il caso più noto, che ha costituito un precedente importante in
materia437,
è
stato
quello
della
Peep-Show
Fall,
deciso
dal
Bundesverwaltungsgericht nel 1981438: si trattava di stabilire se l’apertura di tali
locali potesse essere vietata ai sensi del § 33 del Gewerbeordnung.
L’articolo citato richiede, difatti, il rilascio di una licenza dell’autorità
amministrativa per quelle attività che prevedono l’esposizione in pubblico di
persone per scopi estranei da quelli artistici o scientifici.
L’autorizzazione, secondo la normativa tedesca, può essere non
concessa quando le attività siano contrarie al buon costume, e pertanto, alla
dignità dell’uomo.
Anche in questo caso la divergenza di opinioni dipendeva dal fatto
che vi fosse un consenso informato della persona soggetta a tali attività, e
dunque
un
altro
importante
principio
da
tutelare,
quello
dell’autodeterminazione, che poteva sostanziarsi come l’espressione della
dignità della persona di deliberare la propria scala di valori.
Il Giudice tedesco ha ritenuto, tuttavia, sussistere una sorta di priorità
valoriale della dignità da intendersi in senso assoluto e oggettivo,
insuscettibile di bilanciamento, la cui violazione ben poteva esser dedotta
dall’atmosfera di scambio impersonale ed automatizzato (il sistema delle
cabine) che permette l’acquisto dell’immagine della donna, a nulla rilevando
Condividono la stessa ratio della decisione in oggetto quelle relative alla proibizione del
lancio dei nani o quelle che ai sensi § 138 BGB hanno considerato nulli i contratti relativi a
chat lines erotiche.
437
Il Peep-Show è uno spettacolo che consiste nell’esibizione di spogliarelliste, che sono
osservabili attraverso cabine individuali, i cui pannelli si aprono mediante l’inserzione di
gettoni.
438
219
il suo consenso preventivo439: si tratta, sostanzialmente della tutela da parte
dell’ordinamento non tanto della dignità della persona singola, bensì della
protezione della dignità del genere umano, dunque della persona intesa in
senso ampio440.
Alla luce di queste osservazioni emergono altri spunti di dubbia
soluzione, tra cui quello se la dignità, considerata in questa veste
indisponibile, assurga a limite, oppure come garanzia dell’autonomia dei
soggetti, ed anche se in materia contrattuale la violazione della dignità
potrebbe essere causa di inadempimento contrattuale quando ad esempio la
prestazione di lavoro diventi impossibile in una condizione di disprezzo
della persona che la rende.
Certo è che il rispetto di questo valore dovrebbe rivestire un ruolo
decisivo, per il tramite del controllo di meritevolezza, nella valutazione degli
atti di autonomia privata, tanto sotto il profilo dell’invalidità negoziale441,
Tra i molti che in dottrina hanno criticato tale pronuncia cfr. H. V. OLSHAUSEN,
Menschenwürde im Grundgesetz: Wertabsolutismus oder Selbstbestimmung?, in NJW, 1982, 2221
ss.; W. HÖFLING, Menschenwürde und gute Sitten, in NJW, 1983, 1582 ss.; R. STOBER, Die
Entwicklung des Gewerberechts in den Jahren 1982/1983, in NJW, 1984, 2499-2500; in senso
contrario v. invece A. GERN, Menschenwürde und gute Sitten, in NJW, 1983, 1585 ss.; nonché
l’analisi di M. REIMANN, Prurient Interest and Human Dignity: Pornography Regulation in
West Germany and the United States, in U. Mich. J. L. Ref., 21 (1988), 201 ss., 235-241.
439
440
Cfr. sull’argomento della indisponibilità della dignità umana G. RESTA, op. cit., 801 ss.
Sulla invalidità degli elementi accidentali del negozio giuridico nelle ipotesi in cui
impongano ad una delle parti, ovvero al beneficiario, un comportamento contrario alla
propria dignità ex art. 2 Cost., si veda la recente sentenza Cass. Civ., sez. II, del 15 aprile 2009
n. 8941 disponibile al sito internet http://www.altalex.com/index.php?idnot=46250: “la
condizione, apposta ad una disposizione testamentaria, che subordini la efficacia della stessa alla
circostanza che l'istituito contragga matrimonio, è ricompresa nella previsione dell'art. 634 c.c., in
quanto contraria alla esplicazione della libertà matrimoniale, fornita di copertura costituzionale
attraverso gli art. 2 e 29 cost. Pertanto, essa si considera non apposta, salvo che risulti che abbia
rappresentato il solo motivo ad indurre il testatore a disporre, ipotesi nella quale rende nulla la
disposizione testamentaria”; sempre in materia di successione testamentaria, si rileva un
risalente orientamento giurisprudenziale secondo cui “la condizione sospensiva, apposta a una
disposizione testamentaria, di contrarre matrimonio con persona appartenente alla stessa classe sociale
dell'istituito, è lecita, e, quindi, perfettamente valida ed efficace, in quanto lascia al beneficiario un
ampio margine di scelta e di libera autodeterminazione e non importa alcuna limitazione psichica
441
220
quanto dal punto di vista dell’individuazione dell’an e del quantum del
rimedio risarcitorio: sotto questi aspetti il contenuto della Costituzione
italiana dovrebbe essere colto nella direzione che offre un vasto campo alle
clausole generali del codice civile.
Di poi un’altro spunto di dubbia soluzione è se alla luce della libertà
contrattuale e con riguardo ad altri principi fondamentali, diversi dalla
dignità, le parti possono scegliere di derogare o comunque di restringere i
loro diritti inviolabili: certo è che il significato di libertà contrattuale deve
contestualizzarsi in quanto si tratta di un concetto necessariamente
relativo442.
L’autonomia contrattuale non può spingersi a tal punto da oscurare il
rispetto di valori costituzionalmente sanciti, ma non è neanche aperta con
estrema facilità a cambiamenti traumatici443.
Più che di costituzionalizzazione del contratto, si può parlare allora di
controllo dell’atto di autonomia privata secondo i valori costituzionali al fine
di tutelare il contraente che subisce la lesione di quei diritti attraverso
intollerabile, come tale contraria all'ordine pubblico. Né detta condizione contrasta con gli art. 3 e 29
cost., perché di tali norme, quella dell'art. 29, la quale stabilisce che il matrimonio è fondato sulla
eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, ha esclusivo riguardo alla posizione dei medesimi
nell'ambito della famiglia, mentre l'art. 3, il quale sancisce il principio dell'eguaglianza, tende a una
finalità (compenetrazione delle classi sociali) estranea alla questione dei limiti di validità della
condizione testamentaria” (Cass. Civ., sez. , II, del 11 gennaio 1986, n. 102). Sul punto si veda la
nota a sentenza di P. LAGHI, La condizione testamentaria di contrarre matrimonio: illiceità dedotta
sulla base di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 634 c. c., disponibile al sito
internet http://www.diritto.it/pdf/27956.pdf.
B. LURGER, The future of European Contract Law Between Freedom of Contract, Social Justice
and Market Rationality, in ERCL, 2005, 442 ss.
442
443
N. LIPARI, Diritto privato, una ricerca per l’insegnamento, Bari-Roma, Laterza, 1972, 463 e ss.
221
l’accettazione del contratto: è in altri termini la prospettiva nota come la
legalità costituzionale444.
Nel sintagma contratto-diritti fondamentali, la specificità del rapporto
deve essere riconosciuta proprio per la sua “speciale attitudine a
metabolizzare” i diritti della persona nelle relazioni obbligatorie, dove il
carattere assoluto e indisponibile delle situazioni esistenziali si salda con il
carattere imperativo e inderogabile di alcune norme445.
Una trasformazione del diritto privato in questi termini sembrerebbe
incidere in modo drastico sulla portata del bilanciamento di interessi propri
del diritto privato tradizionale.
Alla contrapposizione tra modello garantista (nel quale l’ordinamento
- cioè “lo Stato”- si pone al servizio dei privati per rendere vincolanti le loro
pattuizioni e renderle coercibili, senza tuttavia interferire con le libere scelte e
l’autonormazione) e modello paternalista (nel quale lo Stato interferisce nelle
scelte, ma soprattutto offre, per ragioni di interesse pubblico, tutela a
categorie di interessi deboli, e disciplina per così dire nella dimensione
pubblicistica il rapporto instauratosi tra le parti), si è proposta una sorta di
crasi, che qualifica il contratto come un accordo “regolato”- piuttosto che
governato completamente ab externo, nel quale l’autonomia non confligge ma
si armonizza con l’intervento riequilibratore, che tiene conto appunto degli
interessi tutelati dalla sfera pubblica446.
P. PERLINGIERI, Nuovi profili del contratto, in Riv. crit. dir. priv., 2001, 223; G. VETTORI, Il
diritto dei contratti fra Costituzione, codice civile e codici di settore, in Diritto privato e ordinamento
comunitario, Giuffrè, Milano, 2009.751.
444
445
R. DEL PUNTA, Diritti della persona e contratto di lavoro, DLRI, 2006, 195 ss.
Così G. ALPA, Autonomia delle parti e libertà contrattuale oggi, disponibile al sito internet
http://studium.unict.it/dokeos/2011/courses/1001645C0/document/Alpa_Liberta_contrattuale
.pdf
446
222
Così l’ottica rimediale diventa di tipo correttivo, permettendo al
Giudice di interporsi sul contratto cercando di riequilibrarlo alla luce di
quanto doveva esser convenuto secondo buona fede.
Si tratta di una novità che segna la frontiera tra la giustizia
contrattuale e la giustizia sociale447.
In questi termini rileva l’importanza della solidarietà, come regola
della correttezza, riscontrabile in alcune clausole generali del codice civile.
Secondo autorevole dottrina (RODOTÀ) sarebbe idoneo agganciare la
formula normativa dell’ingiustizia del danno del codice civile italiano al
limite della solidarietà (art. 2 e art. 3, comma 2 della Costituzione), al fine di
attribuire alla formula un significato rispondente alla finalità di offrire, e al
tempo stesso di imporre, al Giudice un filtro flessibile, ma non arbitrario, che
funga da ponte con i principi costituzionali448.
In questa prospettiva il contratto parrebbe riflettere qualcosa di più della
semplice libertà individuale.
Se lo scopo del principio della libertà contrattuale è quello di
proteggere l’autonomia delle parti, il ruolo dei diritti fondamentali è quello
di limitare tale principio attraverso le clausole generali, pur nella
consapevolezza che vi sia una maggiore ambiguità dei diritti in parola
rispetto alle clausole civilistiche, e, pertanto, una loro incerta coincidenza e
compatibilità in termini assoluti.
Come è stato autorevolmente osservato “il contratto giusto è quello che
non viola i diritti fondamentali” (ALPA).
S. CATANOSSI, La giustizia contrattuale, in P. G. MONATERI, Il nuovo contratto, Bologna, Il
Mulino, 2007.
447
Cfr. G. VETTORI, La disciplina generale del contratto nel tempo presente, Riv. dir. priv., 2004,
324; secondo l’A. se il valore della solidarietà è divenuto un fondamentale canone
ermeneutico che vivifica e innerva il sistema del diritto civile, l’autonomia privata, che nella
prospettiva dei diritti fondamentali può chiamarsi libertà negoziale, non riceve
contemplazione specifica e esplicita nella Costituzione.
448
223
Ed ancora “l’intangibilità del contratto è un mito e i modelli di giustizia
sociale prevalsi in ambito europeo impongono di considerare i valori sociali, a
cominciare dalla persona e dai diritti fondamentali”449.
“Il contratto in sé è uno strumento eterno e buono per tutte le stagioni,
capace di adeguarsi alle nuove esigenze (…), come diceva SANTORO-PASSARELLI
quarantanni fa mentre il contratto nelle sue inesauste e inesauribili possibilità di
adattamento sembra eterno, come è eterna la necessità di un’intesa tra uomini, non è
eterno, ma caduco, il diritto contrattuale, e così i valori che esso racchiude”450.
§3 I DIRITTI FONDAMENTALI NELL’OTTICA DEL DIRITTO PRIVATO
EUROPEO
La discussione sulle sorti della libertà contrattuale riflette la
complessità della situazione economico-sociale attuale: la rilevanza giuridica
attribuita alla Carta europea dei diritti fondamentali, la necessità di difendere
i diritti dell’uomo, le
iniziative
comunitarie
sulla
armonizzazione,
uniformazione, unificazione e codificazione delle regole del diritto comune
dei contratti hanno contribuito a tale complessità451.
L'odierno dibattito s’incentra in particolare sulla nuova funzione
assunta dalla giustizia contrattuale in Europa, e, pertanto, sulla verifica della
relazione, all'interno del contratto, tra libertà e giustizia.
449
G. ALPA, Le stagioni del contratto, Collana Percorsi, Milano, Giuffrè, 2012, 127 ss.
450
Così si legge in G. ALPA, Le stagioni del contratto, op. cit., 186 ss.
451
G. ALPA, Autonomia delle parti e libertà contrattuale oggi, op. cit.
224
La ragione economica ha una valenza notevole con riguardo alla
libertà contrattuale in generale, che assume l'orizzonte di riferimento anche
in relazione alla dimensione europea452.
Si ritiene, tuttavia, che indipendentemente dai limiti all'autonomia
privata per ragioni di efficienza e di Mercato, l'aspetto più problematico
riguardi l'individuazione dei limiti dettati da ragioni di giustizia sociale, da
dover intendersi in Europa come giustizia in grado di mediare tra la
massima dell’autonomia privata e quella della solidarietà453.
Sotto questo profilo, ossia quello dei limiti all’autonomia privata in
nome dei valori, si registra un’indubbia convergenza all’interno dei paesi
membri454.
452
G. SMORTO, op. cit.
M.W. HESSELINK, The horizontal effect of social rights in European contract law, in Eur. e dir.
priv., 2003.
453
G. ALPA, I principi generali, Trattato di diritto privato, G. IUDICA e P. ZATTI (a cura di),
Milano, 2006, 40 ss.: “nel 1962 si tenne ad Amburgo un grande convegno sui valori dell’occidente e
sui principi generali. Le ricerche che si sono susseguite in questo cinquantennio, gli approfondimenti
dei caratteri di somiglianza tra diversi ordinamenti, hanno portato ad una conclusione molto
rilevante: vi sono valori che compongono una base comune tra gli ordinamenti occidentali; questi
valori sono espressi correntemente dai principi. I principi quindi non solo superano fasi storiche e
tradizioni culturali, ma consentono trapianti, osmosi, connessioni, omologazioni. Il diritto generale
della personalità nei suoi tipi quali l’immagine, il decoro, la riservatezza è un valore principio accolto
in tutti gli ordinamenti occidentali. Anche il principio dell’autonomia contrattuale è considerato uno
dei valori fondamentali: in tutti gli ordinamenti ove si osserva il principio pacta sunt servanda,
anche se poi in ciascuno di essi si attua in modo diverso. Ciascuno può liberamente contrarre e
autovincolandosi compie un atto di autodeterminazione. Aldilà dell’ambiguità del termine europeo, è
possibile ravvisare in esso un filo comune di collegamento sui valori comuni dell’Occidente. In sintesi
si può rintracciare, nella costruzione di una tavola di valori comuni agli ordinamenti occidentali, una
sorta di progressione, o di ramificazione, che procede della persona, ai gruppi, alle attività da svolgere
all’interno della società in modo ordinato, al fine di contemperare gli interessi privati tra loro e questi
con l’interesse della collettività. Alla base della raffigurazione sta il principio di tutela della persona,
con le libertà fondamentali; tra le persone, così tutelate, si istituisce un rapporto di uguaglianza nel
trattamento, che comporta il rispetto della differenza (uguaglianza nella differenza); al fine di
sopravvivere, il singolo abbisogna di beni, e quindi di poter esercitare su tali beni un diritto di
proprietà; in alcuni ordinamenti il diritto di proprietà è collegato direttamente con la tutela della
persona, ed appare quasi come un diritto naturale; in altri è temperato, nella sua dimensione egoisticaindividuale, dalla funzione sociale e dai limiti derivanti dalle esigenze collettive; il principio di tutela
del lavoratore; il principio di libertà economica, di libertà dell’esercizio professionale, di libertà di
concorrenza (in qualche ordinamento si individua quale corollario il principio di libertà contrattuale
454
225
Preliminarmente, perché si possa parlare di limiti effettivi è necessario
un loro riconoscimento formale che tanto più è elevato, tanto più è in grado
di incidere in termini di autonomia455.
L’agenda della giustizia sociale richiede che le norme di diritto privato
siano integrate nella più ampia aspirazione dell’Europa a trovare un
duraturo assetto costituzionale, così risultando necessario allineare i principi
di giustizia sociale nel diritto contrattuale europeo ai principi costituzionali
riconosciuti in Europa.
All’Action Plan del 2003 su una maggiore coerenza del diritto
contrattuale europeo è stato criticato di tacere in ordine alle importanti scelte
politiche da operare con riferimento alla giustizia sociale.
Il rimprovero all’interno del manifesto sulla giustizia sociale nel diritto
contrattuale europeo elaborato nel 2004 da un gruppo di studiosi456 è stato
espresso in un appello rivolto alla Commissione, al Consiglio dei ministri e al
Parlamento europeo “a favorire un dialogo politico, mediante il quale le raggiunte
conclusioni su come conciliare i valori fondamentali vengano accettate mediante
meccanismi di legittimazione democratica”457.
A tal proposito è stato, così, autorevolmente affermato: “l’intervento
degli Organi comunitari in materia di armonizzazione del diritto contrattuale
che tuttavia, nel nostro ordinamento, non trova copertura costituzionale); la tutela della famiglia; la
libertà di associazione”.
455
G. SMORTO, op. cit.
Giustizia sociale nel diritto contrattuale europeo: un manifesto, pubblicato in Riv. crit. del. dir.
priv., 2005, 99 ss..
456
Il manifesto ha promosso un Mercato regolamentato che dia soddisfazione ai bisogni più
essenziali dei cittadini, e gli studiosi che ne condividono l’impostazione non hanno mancato
di sottolineare la loro preferenza per una regolamentazione del diritto privato connotata
dalla dimensione politico-pubblica, tradizionalmente rappresentata dalle mandatory rules,
piuttosto che da clausole generali postulanti un controllo giudiziale dell’autonomia privata.
La suddetta posizione, che ha suscitato diverse perplessità, esprime un sentimento di scarsa
fiducia nell’apporto dei giudici all’edificazione del diritto vivente.
457
226
europeo ha reso evidenti le complesse valenze politiche di un processo di elaborazione
che, originariamente, si voleva mantenere, forse un po’ ingenuamente, su di un piano
meramente tecnico. Si è arrivati ad uno stadio di questo processo, ove si avverte la
forte mancanza di una definita architettura costituzionale, che si è finora realizzata
perlopiù in via silenziosa attraverso la prassi giudiziaria e la giurisprudenza della
Corte di giustizia, o quantomeno di un definito indirizzo politico. È davvero difficile
pensare di poter pervenire ad una regolamentazione comune dei rapporti
interpersonali in cui sono coinvolti i cittadini europei avendo alle spalle un quadro
politico istituzionale incerto. Fin quando non si potrà contare su un quadro di valori
costituzionali, difficilmente si potranno operare le numerose scelte c.d. tecniche che
coinvolgono questioni di estrema rilevanza sul piano politico-sociale”458.
L’idea di una disciplina comune europea in materia contrattuale ha
cominciato ad avviarsi all’inizio degli anni ottanta del secolo scorso,
concretizzandosi nel lavoro di due distinti gruppi di studio, ossia quello
della Commissione per un diritto europeo dei contratti, che ha dato vita ai
PECL, e quello dell’Accademia dei Giusprivatisti europei, con sede a Pavia,
con la quale ha visto la luce il Code européen des contrats.
In un secondo momento e successivamente alla Comunicazione della
Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo dell’11 luglio 2001 sul
diritto contrattuale, è stato elaborato nel 2003 il Piano d’azione per un diritto
europeo dei contratti più coerente (Action Plan), con l’intento di delineare un
Quadro comune di riferimento (CFR), che si è poi concretizzato nel progetto
elaborato dal Gruppo di studio per un codice civile europeo: la prima
versione del Draft Common Frame of reference risale al 2008 e prende il titolo di
G. ALPA e G. CONTE, Dal progetto generale di Common Frame alla revisione dell’acquis
communitaire, in Diritto contrattuale europeo, Materiali per il corso di Diritto Civile I (ANNO
ACC. 2011/2012).
458
227
“Principi, definizioni e norme-modello di diritto privato europeo”, la seconda
versione riveduta e modificata è stata pubblicata nel 2009.
Di poi nel 2010 la Commissione europea ha nominato un Gruppo di
esperti con il compito di produrre uno studio di fattibilità che procedesse
nello sviluppo del testo di un possibile futuro diritto europeo dei contratti.
Nella relazione che illustra il lavoro la Commissione riferisce che il
gruppo di esperti deve assisterla nella preparazione di una proposta relativa
a un quadro comune di riferimento nel settore del diritto contrattuale,
selezionando le parti del Progetto di Quadro comune di riferimento che
siano di immediata rilevanza nel diritto dei contratti, semplificando,
riformulando, aggiungendo e aggiornando459.
Sembrerebbe che sia lo studio di fattibilità, sia l’attuale Proposta di
regolamento (CESL) siano, però, al di sotto del livello indicato dalle parole
della Commissione.
“La lacuna più grave della versione più recente del Draft, frutto dello
Feasibility Groupe, pubblicata nel maggio del 2011 dalla Commissione europea, e
antecedente della proposta di regolamento, è data dall’assenza di previsioni in ordine
alla violazione dei diritti fondamentali e alle discriminazioni”460.
A tal proposito è stato valutato in termini negativi il rapporto tra
questa versione del Draft, idonea a divenire un regolamento opzionale, e gli
ordinamenti dei singoli stati membri, per l’assenza degli istituti non previsti
dai redattori (come la nullità per contrarietà all’ordine pubblico e al buon
costume), o per l’assenza di quelli che il DCFR nella sua prima versione
459
http://ec.europa.eu/justice/contract/files/feasibility_study_final.pdf
G. ALPA, Il diritto contrattuale comunitario: un cantiere aperto, in Diritto contrattuale europeo,
Materiali per il corso di Diritto Civile I (ANNO ACC. 2011/2012).
460
228
aveva introdotto rispetto agli ordinamenti vigenti, ossia le ipotesi di
violazione di principi fondamentali461.
L’idea di tornare indietro, ma anche l’idea di non andare avanti in
questo delicatissimo ambito, non è accettabile alla luce delle attuali
dinamiche sociali e delle istanze universali.
Ed invero la precedente versione del Draft aveva introdotto in materia
di diritti fondamentali talune discipline generali, che se pur talvolta di
ambigua portata, sono connotate da una importante valenza in tale ambito:
in particolare nell’ambito dell’interpretazione teleologica si dispone che le
regole del Draft siano intese alla luce degli strumenti che garantiscono i diritti
dell’uomo in virtù di ogni legge costituzionale applicabile (art. I.-1:102).
Nelle pagine dell’Introduzione si precisa poi che le regole contrattuali,
oltre all’efficienza, devono promuovere i diritti fondamentali, la solidarietà, e
la responsabilità sociale.
Nel libro II è sancito il principio secondo cui ogni pattuizione delle
parti, deve essere interpretata in modo da non contraddire “human rights” e
“fundamental freedoms”462.
Di poi i limiti alla autonomia delle parti sono evidenti nel Capitolo VII
del libro II, in cui tra le cause di invalidità si contempla la violazione di
principi fondamentali o di regole “mandatory”.
Ai sensi della versione originaria del Draft la libertà contrattuale non è
tutelata quando si risolve in una discriminazione fondata sul genere, sulla
razza o sulla religione.
A questo proposito il secondo capitolo del libro II ha quale limite il
fatto che il rimedio non è la invalidità del contratto, come si potrebbe
461
G. ALPA, Il diritto contrattuale comunitario: un cantiere aperto, op. cit.
Il DRAFT Common Frame of Reference del diritto privato europeo, G. ALPA, G. IUDICA, U.
PERFETTI, P. ZATTI, (a cura di), Padova, Cedam, 2009.
462
229
supporre se le regole antidiscriminatorie fossero considerate “mandatory”, ma
il risarcimento del danno, precontrattuale o contrattuale.
La disposizione indica quali sanzioni si applicano per la violazione del
principio medesimo: se l’inadempimento non è scusabile si può chiedere
anche la “specific performance” (art. III. 3.101), ovvero il risarcimento del
danno, compreso il danno morale (non economic loss: III.3.701).
Le sanzioni previste hanno quale scopo da una parte la repressione
delle discriminazioni in atto, dall’altra la loro prevenzione.
La linea direttiva è che il sistema rimediale, in caso di discriminazioni,
deve essere effettivo e proporzionato al pregiudizio o al danno, e
dissuasivo463.
È in base a questi parametri che si possono valutare anche i soggetti
che hanno diritto a chiedere il risarcimento (generalmente dovrebbe trattarsi
di un contraente, o almeno un potenziale partner contrattuale), ed è inoltre
prevista l’inversione dell’onere della prova, in quanto spetta alla controparte
del soggetto che si ritiene discriminato dover provare l’assenza della
discriminazione (art. II.-2.101)464.
463
Il DRAFT Common Frame of Reference del diritto privato europeo, op. cit.
Capitolo 2 - Non discriminazione II. - 2:101: Diritto di non essere discriminati. Una
persona ha il diritto di non essere discriminata in base al sesso o l'origine etnica o razziale in
relazione ad un contratto o un altro atto giuridico il cui scopo è quello di fornire l'accesso a, o
di forniture, beni, altrI servizi che sono a disposizione del pubblico. II. - 2:102: Significato di
discriminazione (1) "discriminazione": qualsiasi comportamento attraverso il quale: (A) una
persona è trattata meno favorevolmente di un'altra persona, è stata o sarebbe trattata IN
un'altra situazione analoga, o (B) un apparentemente neutra disposizione, un criterio o una
prassi di posizionare un gruppo di persone in una situazione di particolare svantaggio
rispetto a un gruppo diverso di persone. (2) La discriminazione comprende anche le molestie
per motivi come quelli di cui al precedente articolo sulle molestie significa indesiderata
condotta (compreso quella di natura sessuale), che offende la dignità di una persona, in
particolare quando siffatti comportamenti creino un clima intimidatorio, ostile, degradante,
umiliante o offensivo, o che intende perseguire tali obiettivi. (3) Ogni ordine di discriminare
equivale anche alle discriminazioni. II. 2:103: Eccezione. Una disparità di trattamento che è
giustificata da una finalità legittima non costituisce una discriminazione se i mezzi utilizzati
per raggiungere tale finalità siano appropriati e necessario. II. - 2:104: Rimedi (1) Se una
persona viene discriminata in contrasto con II. - 2:101 (Diritto a non essere discriminati) si
464
230
Rispetto alle ipotesi di discriminazione previste dall’originaria
versione del Draft, è stato rilevato che il loro ambito fosse limitato in
confronto a quelle previste dalla Carta dei diritti fondamentali465, in cui il
divieto compare in calce all'affermazione del principio di uguaglianza in
senso formale (art. 20): “è vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in
particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le
caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni
politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il
patrimonio, la nascita, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali”(art. 21).
Un’ulteriore domanda è salita alla mente sempre rispetto al contenuto
originario del Draft, ossia perché quando si legge nel testo il riferimento ai
“human
rights”,
“fundamental
freedoms”,
“fundamental
principles”,“non-
discrimination”, non si è richiamata esplicitamente la Carta dei diritti
fondamentali466, soprattutto alla luce della sua valenza giuridica post Lisbona.
Tale riferimento avrebbe, senz’altro, consentito alla Carta di incidere
direttamente nei rapporti contrattuali, anche con riguardo all’operare dei
limiti di libertà contrattuale alla luce del valore della solidarietà che questo
documento europeo proclama solennemente per la prima volta in Europa.
farà applicazione di ogni rimedio disponibile al Libro VI (Responsabilità extracontrattuale
per i danni subiti da un'altra), i rimedi per l'inadempimento di un obbligo cui al Libro III,
capitolo 3 (compresi i danni per la perdita economica e non economica) sono disponibili. (2)
Tutti i rimedi concessi devono essere proporzionati al pregiudizio, l'effetto dissuasivo dei
rimedi può essere preso in considerazione. II. - 2:105: Onere della prova (1) Se una persona
che considera se stesso discriminato da uno dei motivi di cui al II. - 2:101 (Diritto di non
essere discriminati) stabilisce, dinanzi a un Tribunale o a un'altra autorità competente, fatti
dai quali si può presumere che ci sia stata discriminazione, spetta alla controparte
dimostrare che non vi è stata non discriminazione. (2) Il paragrafo (1) non si applica ai
procedimenti in cui spetta al Giudice o altra autorità competente indagare sui fatti del caso.
G. ALPA, Towards a European Contract Law, in Towards a European Contract Law Edited by
Reiner Schulze, Jules Stuyck, Sellier, 2011.
465
466
G. ALPA, Towards a European Contract Law, op.cit.
231
Così, se prima dell’avvento della Carta ci si poteva chiedere, quasi con
un senso di sofferta rassegnazione se “la solidarietà in senso giuridico sia ormai
giunta alla fine della parabola”, il suo imprevisto recupero al livello di principio
autorizza a chiedersi se si è in presenza di una “pietra miliare per la giustizia
sociale in Europa” (GIJZEN).
Contraria agli obiettivi di giustizia sociale, una parte della dottrina ha
sostenuto che gli innumerevoli richiami ai principi e alle clausole generali
nella precedente versione del Draft rischiava di sortire fraintendimenti,
sollecitando l’uso del contratto per fini ad esso ultronei, rischiando, così
facendo, di confondere la dimensione contrattuale del rapporto tra pari da
quella statuale che concerne la relazione tra il cittadino e lo Stato: mentre la
giustizia dei diritti fondamentali nel primo assume i connotati specifici dati
dalla relatività del rapporto obbligatorio, nel secondo la garanzia dei diritti
fondamentali assume una vocazione generale e astratta legata al dovere
statuale di mantenimento dell’equilibrio sociale467.
“Il rapporto tra persona e contratto coinvolge due piani di normatività: quella
espressa dalla lex contractus, e quella manifestata dalla rilevanza dei diritti
fondamentali dell’individuo quali valori primari dell’ordinamento giuridico. Sul
piano della normatività contrattuale, la persona acquista rilievo in quanto implicata
nel regolamento contrattuale o sotto il profilo della promozione della personalità
individuale che il contratto abbia eventualmente di mira. In questo contesto, la buona
fede in funzione integrativa può intervenire per colmare o correggere il regolamento
contrattuale là dove esso non sia in grado di perseguire appieno una o entrambe le
finalità ora segnalate. La seconda dimensione della rilevanza della persona può
acquisire rilievo nel contratto soltanto là dove si generi un contrasto tra le due
S. MAZZAMUTO, I contratto di diritti europeo, Giappichelli, Torino, 2012, ove l’A.
evidenzia che il lavoro connesso all’interpretazione e applicazione del testo non verrebbe
certo meno, se poi si trattasse di un modello opzionale in più, tutti ne sarebbero beneficiati.
467
232
dimensioni in discorso, ossia qualora il rapporto contrattuale divenga luogo in cui il
nucleo intangibile della personalità umana risulti in qualche modo intaccato o non
trovi piena esplicazione. In quest’ultimo caso, i margini per l’integrazione ex fide
bona del contratto appaiono assai scarsi e coincidono con l’ipotesi in cui la mancata
valorizzazione dei diritti fondamentali sia legata a qualche carenza del regolamento
contrattuale da colmare, altrimenti non vi è altra soluzione che la declaratoria di
nullità per contrasto con l’ordine pubblico. Secondo una siffatta impostazione, non si
può non riconoscere che l’orizzonte dell’azione della buona fede si colloca nell’ambito
del rapporto obbligatorio, in quanto volta a regolare rapporti paritari tra soggetti
portatori di interessi simmetrici468, mentre la politica di tutela dei diritti sociali non è
nella disponibilità dell’individuo, giacché essa concerne la posizione di socius, ed è
dunque all’apice della società che bisogna guardare per rintracciare la fonte delle
relative garanzie”469.
Questa stessa dottrina470 ha confermato, però, che il diritto europeo
non incentiva l’idea dell’individuo astratto dalla società la cui attività deve
essere improntata al liberismo e al Mercato, piuttosto rivela un’insospettata
sensibilità per le istanze sociali sia sul piano costituzionale, valorizzando i
diritti fondamentali, sia sul piano degli strumenti di policy.
La protezione dei diritti fondamentali nell’ambito dell’attività privata
non è di certo estranea all’assetto normativo post Lisbona, traendo origine
dall’insegnamento
che
i
diritti
fondamentali
costituiscono
rispetto
all’autonomia privata i parametri di interpretazione e concretizzazione delle
clausole generali del diritto civile471.
L. MENGONI, Fondata sul lavoro: la repubblica tra diritti inviolabili e doveri inderogabili di
solidarietà, in JU, 1998, 49.
468
469
S. MAZZAMUTO, op. cit.
470
S. MAZZAMUTO, op. cit.
471
S. MAZZAMUTO, op. cit.
233
Solo abbandonando le logiche riduzionistiche degli ultimi tempi, e
auspicando in una esplicita iniziativa politica forte, si potrà uscire da questa
impasse nella quale si trova attualmente il diritto contrattuale europeo.
È pur vero che la dottrina più autorevole ha sostenuto che l’idea di
realizzare un codice civile europeo necessita di tempo, e soprattutto di tappe
intermedie, codificando via via e in modo progressivo i singoli istituti del
diritto privato: da tale prospettiva le recenti iniziative in materia non
desterebbero più preoccupazione per la loro portata limitata e soprattutto per
il mancato riferimento alle regole già elaborate in materia di rimedi in caso di
violazioni di diritti fondamentali.
L’auspicio è che il prossimo step sia un intervento in grado far luce e
chiarezza sul rapporto tra solidarietà e autonomia contrattuale e in generale
sul tema fin qui ricercato.
Sicuramente sarebbe necessario, in questa direzione, riaprire la
discussione sul processo costituente europeo che risulta necessario nella
prospettiva della codificazione, in cui il paradigma diritto privato europeo e
diritti fondamentali sembrerebbe trovarsi in una fase intermedia.
“Tutto questo può apparire poco realistico, ma esiste anche un realismo
regressivo, che impedisce l’apertura di prospettive nuove”472.
472
S. RODOTÀ, Il Codice civile e il processo costituente europeo, in Riv. crit. del dir. priv., 2005.
234
§4 LE PROSPETTIVE DEL FUTURO DIRITTO CONTRATTUALE
EUROPEO, CONFERENZA UNIVERSITÀ DI OSLO DICEMBRE 2012: IS
EUROPE BUILDING ITS OWN PRIVATE LAW ?
La ricerca in oggetto si è conclusa, infine, con una serie di interrogativi
che sono stati raccolti in occasione della partecipazione alla conferenza
informale sulle prospettive del futuro del diritto contrattuale europeo
organizzata dal Professor Mads Andenas (NORVEGIA), che si è tenuta
all’Università di Oslo nel dicembre del 2012.
La prima parte dell’incontro è stata dedicata interamente alla
disamina del legame che intercorre tra la concezione “tradizionale” del
diritto privato europeo e i principi classici di civil law, e il diritto privato
attuativo dell’Europa post-moderna.
Il Professor Hans Micklitz (GERMANIA) ha aperto la conferenza
esponendo la sue tesi secondo cui l’Unione Europea starebbe producendo, a
poco a poco, una nuova tipologia di diritto privato, che esula da quanto
stabilito nei codici degli stati membri così come dal diritto privato europeo
“classico”.
Un nuovo insieme di norme, dunque, strumentali al raggiungimento
di “scopi particolari”.
Il nuovo diritto privato europeo andrebbe dunque configurandosi
come ordinamento legale autonomo, attraverso una trasformazione volta ad
una visione funzionale dello stesso.
Funzionale principalmente alla costruzione e conservazione del
mercato interno, nell’ambito del quale le parti possano eventualmente
accordarsi
in
modo
autonomo
e
sottoscrivere
un
contratto.
Micklitz si sofferma sul concetto di autonomia ponendovi dei limiti precisi:
egli parla di “embedded or regulated autonomy”, portando l’esempio dei
235
regolamenti in materia finanziaria, nell’ambito dei quali gli stati nulla
possono se non adeguarsi alle leggi dettate dal mercato interno e non hanno
alcuna autonomia nel poter difendere o rivendicare i principi democratici
contenuti nella loro Costituzione.
Si configura dunque uno stadio post-moderno anche nel processo
regolamentare, dove un’entità nazionale si trova ad “agganciare” i propri
principi di diritto privato all’Unione Europea, un’istituzione sopra-nazionale,
un quasi-Stato, che pure è caratterizzata da alcuni degli elementi tipici che
negli ultimi duecento anni hanno portato alla definizione dello StatoNazione.
Il passaggio dall’autonomia al funzionalismo in questa fase postmoderna, porterebbe dunque in evidenza la nascita di un diritto privato
dell’Unione Europea del tutto autosufficiente, che andrebbe a confliggere con
le norme dei singoli stati per sostituirle gradualmente, fino a raggiungere
una sorta di convergenza dei due ordinamenti dopo una fase ibrida (
“hybridisation”).
Staremmo dunque assistendo a un processo di europeizzazione del
diritto privato, accanto a istituti più tradizionali e “nazionali” di questo,
sebbene queste forme classiche tendano a sparire.
Il contesto nel quale vengono applicate, quello europeo, è infatti in
continuo mutamento.
Nel corso dell’esposizione della tesi di Hans Micklitz si colloca
l’intervento di Alexander Trunk (GERMANIA), il quale parla di una “new
conservative ideology” che si muoverebbe in senso contrario rispetto
all’europeizzazione delle leggi nazionali.
A tal proposito viene citato il caso del Regno Unito, che starebbe
cercando di riportare i settori dell’energia e dei trasporti sotto l’ombrello
dell’autorità nazionale, sottraendo tali materie alla legislazione europea.
236
Ma è veramente possibile pensare a un tale processo di reversibilità?
Micklitz si dice scettico.
Rinazionalizzare la cornice istituzionale nella quale si collocano certe
materie significherebbe immaginare uno Stato che si disconnetta dal resto del
mondo applicando la propria concezione di “energia”, “trasporti”, o
addirittura “internet”.
Tania Iossifova (BULGARIA) pone invece il problema della
“attuabilità” delle direttive e dei regolamenti europei, a suo avviso adottabili
solo per quelle materie in cui gli stati trovino vantaggioso rinunciare alla
propria sovranità delegando all’Unione.
“Ma”, continua, “ogni stato è ancora vulnerabile rispetto a specifiche
tematiche ritenute più sensibili”.
Ciò sarebbe conseguenza del fatto che molte tematiche relative al
diritto privato europeo vengono discusse secondo categorie intellettuali che
si riferiscono ai singoli stati membri, e non al contesto europeo, nel quale
invece nascono e hanno efficacia. “you cannot understand European Private Law
without understanding European Law”, afferma Micklitz.
I contratti stipulati all’interno delle norme contenute nella CESL
(Common European Sales Law), norme cosiddette oggettive e distaccate, come
ad
esempio
i
contratti
commerciali,
porterebbero
a
un’eccessiva
discrezionalità nell’applicazione ad opera delle parti coinvolte, osserva
Giuditta Cordero (ITALIA).
Ma in questo caso e in caso di conflitti verrebbe in supporto la
Convenzione di Vienna in aiuto delle parti, conflitti che peraltro verrebbero
risolti tramite arbitrato, senza perciò coinvolgere le corti nazionali rischiando
interpretazioni tendenziose da parte di questo o quello Stato coinvolto.
La fase ibrida e la convergenza di cui parla Micklitz non
riguarderebbero poi tanto le materie eventualmente contenute nella CESL,
237
ma in particolar modo i mercati finanziari, il settore dell’energia e quello dei
trasporti.
La necessità di sviluppare una legislazione che vada a sostituire
sempre più il diritto contrattuale degli stati membri porterebbe a uno
sbilanciamento del rapporto nazione/Europa, osserva Mads Andenas.
Interferire troppo nei contratti commerciali potrebbe urtare l’emotional
attachment che ciascun ordinamento ha nei confronti delle proprie norme.
Legame questo che spesso porta al nazionalismo, che nel corso della
storia è talvolta sfociato in sanguinosi conflitti.
Dal
punto
di
vista
ideologico
bisogna
accettare
come
la
globalizzazione abbia portato una tale crescita del diritto privato.
“Private legal thinking will become the order governing the relationship
between private parties and states”.
§5 LE PROSPETTIVE DEL FUTURO DIRITTO CONTRATTUALE
EUROPEO, CONFERENZA UNIVERSITÀ DI OSLO DICEMBRE 2012:
PLURALISMO COSTITUZIONALE O COSTITUZIONALIZZAZIONE
DEL DIRITTO PRIVATO?
La seconda parte della conferenza ha riguardato più specificamente
l’interazione tra il diritto nazionale dei contratti e i più generali principi di
diritto dell’Unione Europea.
Chantal Mak (OLANDA) si sofferma in particolare sul legame tra il
Costituzionalismo e il diritto privato, e approfondisce il già affrontato tema
della “hybridisation”.
Rispetto al legame suddetto la relatrice individua un clash of the titans
difficilmente superabile: quello che nascerebbe dall’incontro-scontro tra i
238
diritti fondamentali garantiti dalle carte costituzionali degli stati membri e lo
sviluppo dei medesimi diritti a livello europeo.
Lavorando affinché l’Europa sviluppi sempre tali diritti fondamentali,
è necessario evitare che i diversi approcci (costituzionale ed europeo) portino
ad un rovinoso conflitto.
Da ciò nascerebbe il problema su come concettualizzare l’ordinamento
costituzionale europeo laddove vi fossero principi confliggenti con gli
ordinamenti nazionali.
È necessario tener conto delle resistenze persistenti a livello nazionale
nei confronti di alcuni tipi di europeizzazione di tali principi fondamentali.
Nazionalismo, identità nazionale e ruolo del diritto privato europeo
sono caratteristiche principali del dibattito per accordare l’UE con i diversi
principi nazionali.
Accordo che può essere trovato attraverso un lavoro teorico sulle
istituzioni e le filosofie politiche di ciascuno Stato membro, lavorando di più
sulla dimensione valoriale di questi diritti fondamentali.
Il pluralismo costituzionale non deve essere tuttavia confuso con la
costituzionalizzazione del diritto privato, rispetto alla quale Mak assume una
posizione sfavorevole.
Il tema principale, quando si parla di diritti fondamentali, è la
necessità di una maggiore armonizzazione tra gli stati membri dell’UE, come
accade per la Corte Europea dei Diritti Umani.
È possibile immaginare un intervento vero e proprio solo riguardo
materie limitate, prosegue Micklitz, materie cruciali che possano essere
considerate di rilevanza costituzionale.
Ma i principi che sottendono tali materie sono flessibili e relativi a
ordinamenti e interpreti diversi, perciò è difficile averne un’interpretazione
univoca, proseguono Andenas e Cordero.
239
Un altro nodo principale consiste nel definire il tipo di approccio che
si voglia avere nei confronti del diritto privato internazionale, se non sia
quindi opportuno stabilire rigide regole da applicare meccanicamente
piuttosto che adottare una “linea flessibile”.
A tal proposito neanche la Corte di Giustizia Europea è riuscita a
prendere una posizione: da ciò la preoccupazione relativa all’operato di una
Corte centralizzata che dica l’ultima parola sull’interpretazione autonoma
degli stati membri, che potrebbe non deliberare su basi completamente
autonome.
Sussiste poi il problema relativo alla produzione normativa e alla sua
interpretazione, come nota giustamente Iossifova.
Il riferimento è alla Convenzione di Roma, alla legge sui contratti, al
regime del diritto commerciale sulle transazioni, all’e-commerce act, e alle
norme a tutela dei consumatori, oltre alla già citata Convenzione di Vienna e
al diritto privato internazionale.
Come accordare, ad esempio, le norme più generiche contenute nella
Convenzione di Vienna con quelle restrittive della CESL o del PECL (Principi
di diritto europeo dei contratti)?
E quanta sovranità saranno disposti a cedere gli stati membri?
Le nuove norme dovranno riguardare solo i punti di conflitto tra
legislazione statale ed europea, o sarebbe opportuno avere una codificazione
uniforme soltanto in materie veramente indispensabili?
L’Unione Europea e l’applicazione dei progetti nati in seno ad essa
sarebbero notevolmente agevolati se l’UE si concentrasse sulle materie e le
aree di interesse che potrebbero davvero fare la differenza, rispetto alle quali
cioè imprese e parti coinvolte avrebbero maggior bisogno di un’azione a
livello europeo.
240
Se la CESL venisse accettata indiscriminatamente ciò potrebbe causare
il rischio di un’applicazione normativa di tipo approssimativo, sostiene
Trunk, per il quale non c’è una vera distinzione tra approssimazione e
unificazione.
Conclude Micklitz asserendo come la CESL, nel momento in cui
dovesse essere attuata e alla luce di quanto dibattuto, potrebbe avere
successo solo se applicata in aree specifiche.
241
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DOCUMENTAZIONE EUROPEA
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esperti in materia di diritti fondamentali, Bruxelles - febbraio 1999,
disponibile al sito internet static.luiss.it/semcost/europa/materiali/simitis.rtf
Conclusioni del Consiglio europeo di Colonia del 3 e 4 giugno 1999,
disponibili
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sito
internet
http://www.europarl.europa.eu/summits/kol2_it.htm.
Dichiarazioni allegate all'atto finale della conferenza intergovernativa che ha
adottato il Trattato di Lisbona disponibili al sito internet
http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2008:115:0335:03
59:IT:PDF.
Feasibility Study- European Commission - Europa 2011 disponibile al sito
internet http://ec.europa.eu/justice/contract/files/feasibility_study_final.pdf
Per le interrogazioni parlamentari del Parlamento europeo si veda il sito
internet
http://www.europarl.europa.eu/plenary/it/parliamentaryquestions.html
292
CONVEGNI
Convegno “La salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
La celebrazione dei LX anni dalla firma della Convenzione europea”, CNF,
giugno 2010.
Lectio magistralis del Prof. Hans Micklitz “New perspectives for effective
enforcement of consumer rights?”, Università degli studi di Roma La Sapienza,
marzo 2011.
Corso di eccellenza sui diritti universali e il pluralismo dei sistemi giuridici,
Prof. Paolo Carrozza, Università degli studi di Macerata, marzo 2011.
Seminario “Il libro verde sul common frame of reference”, tavola rotonda “Temi
e problemi di diritto privato europeo”, CNF, novembre 2011.
Convegno “L’incidenza della giurisprudenza delle corti europee
(Strasburgo e Lussemburgo) sull’ordinamento italiano”, Università degli
Suor Orsola Benincasa, novembre 2011.
Seminario di studi su “La Convenzione europea dei diritti dell’uomo tra
effettività delle garanzie e integrazione degli ordinamenti”, Università degli
Perugia, novembre 2011.
Seminario “Il feasibility study e la prospettiva di uno strumento opzionale sul
diritto europeo dei contratti”, CNF, settembre 2011.
Convegno sul diritto privato europeo, Università degli studi di Roma Tre,
maggio 2012.
Corso di alta formazione in etica, legalità e best practices, Ateneo Pontificio
Regina Apostulorum, giugno 2012/ luglio 2012.
Conferenza sulle prospettive del futuro diritto contrattuale europeo,
Università degli studi di Oslo, dicembre 2012.
293
TAVOLA DEGLI ATTI NORMATIVI
Data di
adozione
Convenzione contro la
tortura e altre pene o
trattamenti crudeli,
inumani o degradanti
Convenzione sui diritti
dell’infanzia
Convenzione europea
sulla partecipazione degli
stranieri alla vita pubblica
Convenzione europea per
la protezione dei diritti
dell’uomo e della dignità
dell’essere umano
riguardo all’applicazione
della biologia e della
medicina (Convenzione
sui diritti dell’uomo e la
biomedicina)
Carta sociale europea
riveduta
Convenzione europea
sull’esercizio dei diritti
del bambino
Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione
europea
Convenzione sui diritti
delle persone con
disabilità
Dichiarazione universale
dei diritti dell’uomo
Convenzione per la
salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà
fondamentali
I Protocollo
New York, 10
dicembre 1984
New York, 20
novembre 1989
Strasburgo, 5
febbraio 1992
Oviedo, 4
aprile 1997
Data di entrata
in vigore per
l’Italia
11 febbraio 1989
Numero
degli Stati
aderenti
147
5 ottobre 1991
193
1 maggio 1997
8
Strumento di
ratifica non
ancora
depositato
27
Strasburgo, 3
maggio 1996
Strasburgo, 25
gennaio 1996
1 settembre
1999
1 novembre
2003
30
Nizza, 7
dicembre 2000
-
-
New York, 13
dicembre 2006
14 giugno 2009
99
Parigi, 10
dicembre 1948
Roma, 4
novembre 1950
-
-
26 ottobre 1995
47
Parigi, 20
marzo 1952
294
16
Convenzione sullo statuto
dei rifugiati
Convenzione sullo statuto
degli apolidi
Convenzione
supplementare
sull’abolizione della
schiavitù, del commercio
di schiavi e sulle
istituzioni e pratiche
assimilabili alla schiavitù
Convenzione
internazionale
sull’eliminazione di ogni
forma di discriminazione
razziale
Patto internazione sui
diritti civili e politici
Patto internazione sui
diritti economici, sociali e
culturali
Convenzione
sull’eliminazione di tutte
le forme di
discriminazione contro le
donne
Ginevra, 28
luglio 1951
New York, 28
settembre 1954
Ginevra, 7
dicembre 1956
13 febbraio 1955
144
3 marzo 1965
65
12 febbraio 1958
123
New York, 21
dicembre 1965
4 febbraio 1976
174
New York, 16
dicembre 1966
New York, 16
dicembre 1966
15 dicembre
1978
15 dicembre
1978
167
New York, 18
dicembre 1979
10 luglio 1985
186
295
160