Nirvana – “Nevermind”

Transcript

Nirvana – “Nevermind”
Recensioni Fuori Tempo Massimo: Nirvana – “Nevermind”
Pubblicato su Talassa il 1 maggio 2016
di Gabriele Naddeo
Quando ascoltai per la prima volta “Nevermind” dei Nirvana puzzavo ancora
abbondantemente di adolescenza. Ora, parlare di adolescenza senza cercare
di cadere nel ridicolo è un’impresa che non avrebbe davvero alcun senso,
dal momento che uno dei suoi aspetti più significativi è quel suo essere
così
fottutamente
ridicola.
Ridicola,
proprio
come
l’aggettivo
‘fottutamente’. Meravigliosa e ridicola, complicata e ridicola, banale,
presuntuosa, dolceamara, ridicola. Succede più o meno la stessa cosa
quando si comincia a parlare dei Nirvana: sei lì che cerchi di costruire
un discorso sensato, addirittura originale, su uno dei gruppi più
importanti e influenti della storia della musica moderna e, quasi senza
rendertene conto, cadi nelle grinfie del commento scontato. Perciò, messe
le dovute mani avanti, posso accostare più o meno senza vergogna i
termini ‘fottutamente’ e ‘bello’ in relazione a un disco che non ha certo
bisogno di ulteriori presentazioni. O recensioni. “Nevermind”, come
l’adolescenza, è tutto un cortocircuito: le melodie pop schiaffeggiate
dalla voce di Kurt Cobain e dal grunge; l’uomo che in Lithium si aggrappa
alla religione dopo la morte della ragazza e il ‘God is gay!’ a chiudere
Stay Away; le urla incazzate e la versione sgolata e paranoica di
Territorial Pissing; Polly, la storia di una quattordicenne rapita e
stuprata, raccontata dalla prospettiva del criminale.
Sarà per questo che quando mi specchio sul fondo della piscina in
copertina del disco, oltre al bambino col cazzetto più famoso del globo e
al dollaro fluttuante aggiunto in post-produzione, ci vedo una serie di
scazzottate tenerissime e terribili tra un ragazzino che mi somiglia in
modo impressionante e una versione antropomorfa della Crescita. Quel
ragazzino sfigato, capace di trasformare il divano di casa in un
palcoscenico e una vecchia chitarra classica perennemente scordata in una
Fender Jaguar o Mustang che sia, giuro che saprebbe spiegarvi molto
meglio del sottoscritto il perché vale la pena riascoltare per l’ennesima
volta questo secondo album dei Nirvana. Magari userà le parole sbagliate,
vi passerà la cuffietta destra del lettore cd mentre lui tiene la
sinistra, quella mezza scassata, che tanto i pezzi li conosce quasi tutti
a memoria. Magari vi chiederà di cantare a squarciagola, persino di
imitare la voce di Cobain. Paura di sembrare degli idioti, dite? Paura di
stonare? ‘Sti cazzi, vi risponderebbe lui. Ah no, un momento, com’è che
si diceva? Nevermind.