Apri - Il Bagliore

Transcript

Apri - Il Bagliore
Anno IV Numero 7
______________________________________________________________________
_______________________________________________________________
Periodico mensile dell’oratorio S. Tarcisio – Carnate (MI)
2
Editoriale
Di casa in casa
La Benedizione Natalizia alle famiglie
Con l’inizio dell’Avvento si rinnova sulle strade del nostro paese e nelle nostre
case il “segno” di Dio che “viene a visitare il suo popolo”.
E’ il segno del sacerdote che, in nome di Cristo, passa tra le famiglie per invocare
la benedizione del Signore.
Ma qual è il senso della visita alle famiglie in occasione del Natale?
1.La Benedizione di Dio
La Benedizione di Natale è la benedizione di Dio che, attraverso la mediazione del
sacerdote, giunge nel cuore della nostra famiglia e delle nostre case.
Nel sacerdote che viene è il Signore che viene. Le parole non sono sue ma quelle di
Cristo.
Il sacerdote viene a portare la Benedizione del Signore.
E’ una benedizione per tutta la famiglia, che rimane vera nella misura in cui
mantiene le sue radici in questo dono di Dio per noi.
2.Il gesto della fede
La benedizione natalizia non è un gesto magico o scaramantico! Non è un rimedio
contro il “malocchio” o tante altre assurdità in cui noi tanto spesso crediamo.
E’ un gesto di fede.
Accogliere la benedizione del Natale è credere nella presenza di Dio nella nostra
vita e nella vita delle nostre famiglie.
Dio non ci lascia mai soli. Nemmeno di fronte alle prove e alle difficoltà
dell’esistenza.
La benedizione è il segno più grande di “Dio con noi”.
Accogliere la Benedizione di Dio significa rinnovare, nella fede e nella preghiera,
la certezza di sapersi ogni giorno nelle mani di Dio, nella sua fedeltà, nel suo
cuore.
3.L’amore di Dio in mezzo a noi
La benedizione natalizia esprime l’amore e
l’affetto di Dio verso ogni famiglia.
Il nostro Cardinale Arcivescovo ci invita nel
prossimo triennio, a riflettere sulla famiglia
come realtà in cui si rinnova, in un modo del
tutto particolare, l’amore di Dio.
La benedizione di Natale è il segno dell’amore di Dio in mezzo alle nostre
famiglie.
Questo gesto di fede e di preghiera ci ricorda che la famiglia non è un prodotto
della nostra cultura o della nostra società occidentale ma frutto del cuore di Dio,
del disegno di Dio.
In questo spirito ci prepariamo a vivere il Natale di Cristo.
Buon Natale a tutti.
Don Gianluca
Comunicazione
Censura o pluralismo?
3
E’ di qualche settimana fa il dibattito riguardante la pubblicazione in Internet, su
Google.video, del filmato di un ragazzo autistico sottoposto a soprusi all’istituto superiore
di Torino. I rappresentanti di Google sono stati subito accusati di concorso in diffamazione
aggravata, e sono fioccate le argomentazioni di opinionisti che sollevavano il problema di
una Rete che trasporta messaggi sempre più fuori controllo. Il caso è emblematico di un
problema che da qualche anno ci troviamo di fronte e con il quale ci scontreremo sempre di
più in futuro. Stiamo parlando della diffusione di qualunque tipo di materiale sul Web senza
che nessun organismo possa controllare l’accessibilità ad un determinato pubblico o la
validità dei contenuti.
In effetti il problema non è da poco. Siamo in un’era in cui le tv nazionali mettono un
bollino verde, giallo o rosso a seconda dei contenuti più o meno forti di un film, in cui la
diffusione degli argomenti trattati nei giornali, nelle televisioni, nelle radio, è sempre
controllata da un direttore, da una commissione, o da qualcuno che si prende poi la
responsabilità di ciò che trasmette. In questo contesto un mezzo come la Rete, che non è
controllato da nessuno, può diventare davvero un rebus per chi vuole garantire che i
contenuti siano veicolati sotto determinate regole etiche o di altro genere.
La questione del video sul bullismo dà luogo a due problemi. Il primo riguarda il fenomeno
della criminalità giovanile: il fatto che Google sia stata accusata non ha senso in riferimento
a questo, perché è solo un modo per spostare la questione fondamentale da un’altra parte.
Non dobbiamo prendercela con la Rete, e cioè con il dito che la indica. Bisogna semmai
pensare ai genitori, o al contesto sociale in cui i ragazzi vivono. Dovremmo essere grati ad
un mezzo potente come Internet che permette di portare a galla questi problemi; i quali
peraltro non saranno mai risolti mettendogli il bavaglio. Il secondo riguarda la diffusione
dei contenuti. Il pluralismo e la circolazione delle idee è sempre un pregio per una società
perché permette di riflettere sul bene e sul male di ciò che avviene; ciò su cui dovremmo
concentrarci è l’educazione che noi come persone possiamo trasmettere a chi usufruisce di
questi mass-media. La società, grandi e piccoli, deve imparare a selezionare con criticismo i
contenuti e fare in modo che la Rete diventi un mezzo comune ed utile come lo sono stati a
loro tempo i giornali, le radio e le televisioni. Un mezzo che forse ora ci spaventa un po’,
ma del quale riusciremo ad apprezzare i pregi solo col tempo.
Sul Web c’è tutto ormai. Tutto, niente escluso. E’ lo specchio della nostra realtà. Della
realtà mondiale. Qualunque cosa noi vogliamo sapere, fare, imparare, in Rete lo possiamo
trovare. Che questa cosa avvenga a 10 metri da casa nostra o all’altro angolo del pianeta.
Non fa differenza. La Rete andrà a pescarla e la porterà dritta davanti ai nostri occhi, in
qualche secondo e a costo zero. Internet è come una gigantesca comunità. Con una
differenza sostanziale rispetto a qualunque comunità mai esistita. Non c’è legge. Questo è
un difetto. O un pregio. Dipende da noi. Sta di fatto che forse la Rete ci permette di
raggiungere un’utopia che l’umanità ha sempre sognato. L’uguaglianza. Il potere nella
storia dei secoli ha sempre impedito che ci fosse uguaglianza tra gli uomini. In Internet il
potere non c’è. Non può esistere. Niente ci è imposto. La Rete è un mondo virtuale che può
contenere ogni cosa. Forse con la Rete avremo davvero la possibilità di valorizzare quelli
che sono gli aspetti più semplici ma importanti della nostra vita, e di annichilire tutto quel
marasma di potere e interessi oligarchici che rendono il nostro mondo così pieno di
assurdità.


4
Storie d’Italia
Napoli come Beirut. Questa similitudine con la capitale libanese l’avevo sentita più
volte in riferimento alla Palermo degli anni ’80-’90, quando la violenza e la ferocia
mafiose rendevano il capoluogo siciliano un vero e proprio campo di battaglia con
tanto di centinaia di morti ammazzati.
Il paragone in questione si riferisce espressamente alla guerra civile che ebbe inizio in
Libano nel 1975 e che vide schierarsi da una parte i musulmani libanesi e dall’altra la
fazione della Falange, a maggioranza cristiana. In seguito a violenti combattimenti
durati fino al 1990, la capitale del Libano, Beirut, fu divisa, da est a ovest, dalla
cosiddetta "linea verde", che separava la zona nord, cristiana, da quella sud,
musulmana. Ed infatti anche a Palermo ci fu una sorta di guerra
civile che vide coinvolti mafiosi, civili e talvolta lo Stato, con
conseguenze nefande.
Ora credo, con grande tristezza, che questo paragone tocchi alla
città di Napoli. Un’altra città che come Palermo è da anni
toccata dalla criminalità organizzata e che negli ultimi giorni sta
dando veramente il peggio di sé con brutali omicidi di Camorra,
di gelosia e di pura follia. La situazione nel capoluogo campano
si è fatta a tal punto preoccupante da mobilitare politici da ogni
fronte, parlamentari e la popolazione (soprattutto i giovani della
città). Si è addirittura ipotizzato l’intervento dell’esercito.
Quello che però dà maggiormente fastidio, almeno dal mio
punto di vista, risiede nel fatto che questo forte interessamento della gente e
dell’opinione pubblica non persiste nel tempo ma si fa vivo solo nei momenti di forte
emergenza. Quello che invece credo sia giusto, e non vale solo per la “questione
napoletana”, è dimostrare una costante attenzione alle zone a rischio, senza mai
abbassare la guardia, perché l’emergenza è perenne e le organizzazioni criminali, in
particolare quelle mafiose, non fanno che attendere i silenzi e l’omertà che le
rinforzano e rendono le loro azioni impunite. Per nostra fortuna in Italia esistono delle
“voci” che si fanno sentire costantemente, laddove ce ne è bisogno; ci sono certo, ma
sono sempre troppo poche perché possano riuscire, almeno in parte, ad eliminare
questa “mancanza del senso dello Stato”.
Una di queste voci è senza dubbio l’associazione Libera presieduta da Don Luigi Ciotti
che da undici anni si propone di coordinare l’impegno della società civile contro tutte
le mafie presenti sul territorio nazionale, promuovendo la “cultura alla legalità” in
particolare tra i giovani e dando sostegno diretto a realtà dove la penetrazione mafiosa
è molto intensa. Libera è un’associazione CONTRO tutte le mafie, CONTRO la
corruzione politica ed è nata innanzitutto PER costruire percorsi di libertà, cittadinanza,
informazione, legalità, giustizia, solidarietà.
Storie d’Italia
5
Ma ritorniamo al problema di Napoli.
La città partenopea ha visto nell’ultimo anno circa 80 omicidi di stampo camorristico,
17 dei quali sono avvenuti negli ultimi mesi (ottobre-novembre). Una scia di sangue
che non vuole fermarsi, anzi, sembra voglia diventare ancora più lunga, in particolare
nei quartieri più a rischio di Napoli, il cui controllo è spartito tra i vari clan mafiosi. I
più tristemente famosi sono i quartieri di Scampìa, Secondigliano, Forcella, il Rione
Sanità, Poggioreale (dove, si guardi il caso, è presente il Palazzo di Giustizia). Questi
quartieri raggiungono un livello di degrado ai limiti del possibile, dovuto senza dubbio
ad una marcata povertà materiale e sociale, che è via via aumentata a causa della
presenza massiccia della criminalità organizzata che controlla buona parte del lavoro in
nero, del racket e del traffico di droga.
I dati numerici che si sentono sono poi la conferma di questa grave situazione. Le
persone affiliate ai 66 clan della Camorra sono ben 6500, mentre i cosiddetti
“fiancheggiatori” sono in numero molto più elevato, circa 50 mila.
Gli omicidi a cui prima ho accennato sono per la
maggior parte legati a questioni di Camorra. Le faide
che ne conseguono hanno come “mandanti” principali
la gelosia, il controllo di una determinata zona
d’influenza, il mancato rispetto da parte di una
persona nei confronti del capo-clan della zona, il
controllo di appalti, l’usura… Sono omicidi che non
colpiscono solo pregiudicati o mafiosi, ma talvolta,
anzi troppo spesso, anche persone innocenti ed oneste
la cui unica colpa è stata quella di trovarsi nel posto
sbagliato nel momento sbagliato. Uomini, donne,
bambini che hanno perso la vita a causa di chi non
conosce la convivenza civile. Non c’è che da
rimanere indignati di fronte a tutti questi avvenimenti.
Questo sentimento è condiviso anche da chi, agendo
all’interno di questa realtà, cerca non senza difficoltà
di migliorare la situazione attuale. È il caso di Don
Luigi Mérola, 33 anni, reggente della chiesa di San Giorgio ai Mannesi nel cuore di
Forcella, che mai ha avuto paura di sfidare i criminali e tutt’oggi, con i due angeli della
scorta, che da circa due anni lo accompagnano ovunque, porta avanti la sua lotta alla
criminalità con un’arma importante: la Parola.
Parlando dell’importanza delle parole, vorrei terminare questo articolo con uno slogan
che è stato protagonista nel mese di novembre di una manifestazione a livello giovanile
nei quartieri di Napoli: “Contro la Camorra, non molliamo” (vedi immagine).
Speriamo in bene…
Bea
6
Curiosità
“Con che fa rima Orione?…”
La stagione invernale è cominciata e con essa il cielo notturno presenta una delle
sue costellazioni più belle e affascinanti: Orione. La localizzazione di questa
costellazione è molto semplice sia per la grande luminosità delle sue stelle sia per
la loro caratteristica posizione: tre astri ravvicinati uno dietro l’altro, formanti la
così detta cintura di Orione, e quattro astri più distanti che compongono, con le
prime, due trapezi, uno simmetrico all’altro. Dal punto di vista scientifico questa
costellazione presenta corpi celesti molto interessanti. La stella in alto a sinistra,
denominata Betelgeuse, è una supergigante rossa di circonferenza più grande
dell’orbita di Venere (se fosse messa al posto del sole, i suoi strati più esterni
sfiorerebbero la Terra). Questa stella si distingue dalle altre, formanti questa
costellazione, perché è la più anziana. Durante notti
particolarmente limpide o grazie all’aiuto di un telescopio si
può vedere la cosiddetta nebulosa di Orione, che ci appare
come una nebbiolina colorata. Le nebulose sono, infatti,
formate da polveri che riflettono la luce proveniente dalla
stelle vicine.
Questa affascinante costellazione è stata associata a una delle
storie più belle della mitologia greca. Secondo il mito, Orione
era un bellissimo cacciatore che durante una battuta di caccia
incontrò sette bellissime sorelle, le Pleiadi. Preso da un
attacco di indecisione, si innamorò di tutte e sette e
incominciò a seguirle per terra e per mare e ad importunarle.
Queste povere fanciulle, stanche di fuggire continuamente, chiesero aiuto a Giove
il quale, per salvarle, le pose in cielo a formare la costellazione omonima. Ma nel
frattempo si consumava un’altra piccola tragedia: Orione era convinto di essere
talmente bravo come cacciatore da riuscire ad uccidere qualunque animale della
Terra. Venendo a conoscenza della sua convinzione, Diana, dea della Caccia,
decise di punire la sua arroganza creando un piccolo animale, lo scorpione, che
avrebbe ucciso il grande cacciatore. Orione, infatti, fu punto dal piccolo artropode
e morì a causa del veleno. Dopo la morte finì in cielo proprio dietro alle amate
Pleiadi. Queste, spaventate dalla presenza del cacciatore, si rivolsero nuovamente a
Giove che decise di proteggerle con un Toro. Ma Giove non si dimenticò neanche
dello Scorpione che decise di posizionare il più lontano possibile da Orione. Infatti
quando vediamo lo Scorpione non vediamo Orione e viceversa. Le due
costellazioni, però, continuano a sfidarsi attraverso la luminosità delle loro stelle: a
Betelgeuse lo Scorpione contrappone un’altra supergigante rossa: Antares.
Robi
Curiosità
7
GRASSI PENSIERI
Dovunque siamo nel mondo, è praticamente certo che prima o poi ci
imbatteremo in lei: la scintillante “M” gialla, logo della catena di fast food più
diffusa al mondo, Mc Donald’s®.
La storia dell’icona della “cultura” e del capitalismo americani iniziò in
California negli anni ’50, quando Richard McDonald decise di inventare un
sistema per permettere alle persone di mangiare in modo rapido ed economico
senza dovere neanche scendere dalle loro auto. Ed ecco che nacque il fast
food. La società presto si allargò fino ad arrivare alle enormi dimensioni di
oggi: i suoi ristoranti possono essere trovati in ben 96 Paesi di tutto il mondo!
Ma McDonald’s® è stato molto di più che una fortunatissima intuizione
commerciale: ha praticamente cambiato la concezione di pasto. Prima
dell’avvento del fast food l’unica opzione se si voleva mangiare fuori casa era
il ristorante, dove occorreva un certo tempo prima che venisse servito ciò che
veniva ordinato e dove il pasto era un momento di condivisione. Ora, dovendo
aspettare solo pochi secondi per ottenere il menù scelto, si ha sempre meno
l’occasione di parlare con gli altri. Questo aspetto si è sicuramente aggiunto a
tutti gli altri che hanno contribuito a creare l’atteggiamento sospettoso nei
confronti degli ”sconosciuti” che è tipico della nostra società.
McDonald’s® ha avuto anche conseguenze più visibili sul
piano pratico: ci ha abituato a cibi di scarsissima qualità,
che è ovviamente diretta conseguenza dei bassi costi dei
prodotti. Si calcola che ogni giorno 32 milioni di persone
ingurgitino le 560 kcal di un Big Mac©, per non parlare
delle 700 kcal della versione con doppio formaggio di un
sandwich detto “Double quarter pounder” (che
“sfortunatamente” è disponibile solo negli Stati Uniti) o delle 400 kcal
contenute in una porzione da 10 crocchette di pollo. Le alternative che a prima
vista sembrerebbero più “dietetiche” in realtà differiscono poco dai prodotti in
cima alla classifica: il contenuto calorico medio di un’insalata è di quasi 200
kcal, e le sorprese non sono ancora finite, perché ANCHE l’insalata contiene
zucchero! E’ stato calcolato che un bicchiere di Coca Cola Super Size (cioè un
gallone di bevanda) contenga l’equivalente di ben 48 cucchiai di zucchero.
A questo punto ci chiederemo perché tutti continuiamo a mangiare al fast food.
La risposta è semplice: non sappiamo esattamente cosa sia quello che
mangiamo ma conosciamo il suo sapore. E, accontentandoci di essere certi che
un panino mangiato a Londra sarà esattamente uguale ad uno di Nuova Delhi,
diventiamo ogni giorno sempre più grassi.
Noe
8
Giochi
1
2
3
4
9
5
6
7
10
13
14
11
15
8
12
16
17
18
20
21
19
22
23
24
25
29
30
26
27
32
28
31
33
ORIZZONTALI
1-Una musa, 9-Acido ribonucleico, 10-Dispari nel Louvre, 11-Nome di
donna, 13-Una caratteristica di Dio, 17-Popolo del Sahara, 18-Bordo del
vestito, 20-Tipo di farina, 21-Una mossa degli scacchi, 23-Aste allo
specchio, 24-Un Pokémon, 26-Un ramo della matematica, 27-Caserta, 28Dispari in nome, 29-Indossa la corona, 30-Torino senza tono, 32-Omaggio
primaverile, 33-Ilaria in famiglia
VERTICALI
1-Provincia calabrese, 2-Detto di evento ripetuto ogni dodici mesi, 3-Quella
merinos è pregiata, 4-Immagine irreale, 5-Mettere in inglese, 6-Epoche
geologiche, 7-Raduni, incontri, 8-Bari sulle auto, 12-Preposizione
articolata, 14-Arrabbiate, alterate, 15-Costituiscono la folla, 16-Nuocere per
il poeta, 19-Dodici sul quadrante, 22-Strumenti a corde, 23-Re greco che
diede il nome ad un mare, 25-Conte inglese, 27-Il cloro del chimico, 31-Le
vocali della vita.
Andrea
Mondo quiz
9
Dopo qualche mese di assenza, ritorna il nostro amico Martino con uno dei
suoi intriganti enigmi…
I BISCOTTINI NEI SACCHETTI
Isacco ha 127 biscottini da dividere in un certo numero di
sacchetti.
Quando lo zio gli chiederà una quantità precisa di biscottini,
compresa tra 1 e 127, lui dovrà
dargliela senza aprire i sacchetti
ma semplicemente con una
combinazione di questi. Qual è il
numero minimo di sacchetti che
Isacco deve usare per accontentare lo zio fornendogli ogni
possibile quantità di biscottini tra 1 e 127?
Inviate le vostre risposte entro e non oltre il 25
dicembre alla nostra casella e-mail
[email protected].
Claudio e Martino
10
Curiosità
È solo un gioco
C’è un nuovo gioco multimediale in circolazione; in realtà è antico, vecchio
come il mondo, ma lo riperfezionano ogni anno. Sembra esserci una gran
competizione per accaparrarsene la versione più aggiornata. Nessuno vuole
rimanere indietro, è chiaro. La moda è la moda, non essere considerati
“superati” è importantissimo; presto, datemi subito il nuovo modello!!
Preoccupante.
Questo gioco, come ogni altro, ha un nome: si chiama Violenza.
Da un po’ di tempo rifletto sui videogiochi che circolano in commercio
ultimamente. Lo scopo di ognuno di essi – con rarissime eccezioni – è
uccidere, distruggere, spargere sangue in generale. Il nemico varia,
naturalmente: ma che si tratti di alieni, di zombie, di lupi mannari, di
criminali organizzati o meno, il trattamento è lo stesso. No, in effetti
occorre operare un’altra distinzione: lo scopo
del trattamento è lo stesso, i metodi sono
svariati: spade, asce, pistole, mitragliatrici,
bombe, incantesimi, calci rotanti ed ogni
genere di arti marziali… la lista si allunga di
continuo, come anche le identità che si
possono assumere: ninja, poliziotti, supereroi,
vendicatori, conquistatori assetati di potere, et
cetera.
D’accordo, lo ammetto. Dopo una giornata di scuola particolarmente
avvilente, od una discussione con “quella persona così insopportabile”,
dedicarsi a falciare brutalmente gli arti di qualche mostro può far sentire
meglio. Ed è piuttosto normale sentirsi gratificati per aver appena
completato un livello particolarmente difficile, anche se i vostri genitori
penseranno di aver allevato degli idioti quando vi sentiranno gridare:
“Evvai! Ho attraversato le Paludi Appestate e trovato il Cristallo delle
Tenebre, ora posso vedere il filmato bonus e ottenere munizioni infinite!”.
Tuttavia ci sono vari livelli di crudezza (in alcuni giochi, quando si vibra un
colpo con la spada, si vede chiaramente in quanti pezzi si divide la parte
tagliata, con annessa fontana di sangue) e vari gradi di “giocodipendenza”.
Un conto è usare i videogames come passatempo per un’oretta. Ma ci sono
ragazzi – e quel che è peggio, bambini – che trascorrono interi pomeriggi
bloccati davanti agli schermi compiendo massacri virtuali, senza la
supervisione dei genitori.
Curiosità
11
Alcune persone rimangono così affascinate da questi giochi che addirittura
li antepongono ai sani svaghi all’aria aperta, con gli amici. Inoltre è già
successo che il giocatore si immedesimasse troppo nell’azione del roleplay,
e capita tanto più spesso quanto più è giovane chi regge il joystick… i
bambini, si sa, sono influenzabili. Basta pensare a quello che, qualche anno
fa, convinto di essere un Pokémon e di saper volare, si buttò giù dal
balcone. È ovvio: i personaggi dei videogiochi, come quelli dei film
(anch’essi sempre più violenti… e la stessa cosa purtroppo accade nei
cartoni animati) non si fanno mai male davvero. Se muoiono, si può
ricominciare da una partita salvata. Se invece a morire sono dei personaggi
minori… beh, poco male. Si vede che se lo meritavano, si meritavano la
violenza loro inflitta. Cosa succederà quando i piccoli apprendisti killer
cominceranno ad identificarsi anche coi videogiochi più violenti, come il
recentissimo “Rule of Rose”, in cui una comunità di bambini malvagi in
pieno stile “Signore delle Mosche” si diverte a fare cose orribili, come
rinchiudere una ragazzina viva in una bara? Di certo dei giovani e innocenti
fanciulli non si divertirebbero MAI torturando qualcuno! …Sbagliato. Sta
già succedendo.
È questo il nuovo gioco di cui parlavo all’inizio: si svolge nell’ambiente
ingannevolmente tranquillo di una scuola superiore in Piemonte. I
protagonisti sono dei ragazzini che si divertono.
Si divertono. È il “come”, ciò su cui bisognerebbe soffermarsi. Derisioni,
scherzi umilianti e percosse. E, naturalmente, c’era anche un bersaglio. Solo
che in questo caso il “nemico” è semplicemente una vittima inerme: un
ragazzo autistico, che non aveva fatto niente di male a nessuno. Per il
semplice fatto che era lì, che era come era, è diventato oggetto di questi
“giochi” che rivoltano lo stomaco. Sulla lavagna, il simbolo delle SS. Ah,
com’è bello imparare dagli errori della Storia. Naturalmente c’era anche un
bonus: un filmato girato col cellulare per testimoniare quell’impresa
gloriosa e degna di nota: picchiare un ragazzo, anzi un bambino, che non
poteva difendersi. Quel che è peggio, è presumibile che l’increscioso
episodio non resterà isolato; questi ragazzi quasi certamente non
riceveranno una punizione adeguata, e non si renderanno mai conto
autonomamente della gravità del loro gesto: dopotutto, ehi, è solo un gioco!
E allora, passiamo al livello successivo: stupri, aggressioni, omicidi… c’è
l’imbarazzo della scelta, e le munizioni sono sempre infinite.
Violenza. Soltanto un gioco.
Ambra
12
Musica
Domenica 19 novembre, ore 20.45. Al Teatro Smeraldo di Milano torna in
scena La Febbre del Sabato Sera, il musical ambientato a Brooklyn nei mitici
anni settanta che si svolge principalmente in una discoteca.
Tony Manero è l’idolo delle ragazze e dai sui amici viene considerato l’eroe.
Lui lavora in un negozio di vernici, ma ha la grande passione per la danza e
infatti passa il sabato sera, la giornata più frizzante della settimana, in
discoteca con i suoi amici. Come tutti i sabati Tony con i Baroni (questo è il
nome della compagnia di amici) si reca in discoteca all’Odissey. Qui la serata è
accompagnata dalla calda voce di
Dj Monty, il quale annuncia che a
distanza di due settimane vi
sarebbe stata una gara di ballo: il
Disco Dance Contest. Durante la
serata in discoteca Tony nota una
ragazza molto brava a ballare (e
oltretutto molto carina) con cui gli
piacerebbe partecipare. Quella sera, però, è presente anche Annette, una
ragazza del gruppo dei Baroni che è follemente innamorata di Tony, la quale
decide di chiedergli di gareggiare in coppia con lei: ovviamente il tutto per
cercare di conquistarlo. Nei giorni seguenti, Tony decide di utilizzare la
palestra di dj Monty per le prove di ballo. Mentre si allena con Annette nota
che nella sala accanto prova Stephanie Mangano: la stessa ragazza che aveva
visto il sabato precedente in discoteca. Tony decide allora di gareggiare con lei
scaricando così Annette. Giunti alla serata della gara si presentano molte
coppie, ma solo una di queste riuscirà a primeggiare. Alla fine restano in gara
una coppia portoricana e Tony con Stephanie, i quali risultano alla fine essere i
vincitori della gara. Purtroppo, però, Tony si accorge che dj Monty aveva
truccato la sfida per fare in modo che lui risultasse il vincitore, e per correttezza
cede il premio ai portoricani i quali avevano effettivamente ballato meglio di
lui. Questo è un musical molto bello e affascinate, con un finale sorprendente.
Le musiche sono dei Bee Gees in pieno stile anni ’70. Di questo gruppo
ricordiamo la celebre canzone “Stayin’Alive”, che è presente nella colonna
sonora dello spettacolo. Vi consiglio di andare a vederlo, anche per il
coinvolgimento creato dagli attori. Quindi non mi resta che augurarvi buona
visione!!!!
♫sam♫
Sport
13
UNA SCHIACCIATA DOPO L’ALTRA
In questi giorni in Giappone di palloni gialli e blu se ne vedono tanti; si stanno
infatti svolgendo i campionati del mondo maschili di pallavolo, quelli
femminili si sono invece gia conclusi e hanno visto la vittoria della Russia e il
quarto posto della nostra nazionale. Per quanto riguarda le gare tuttora in corsa,
gli azzurri si stanno dimostrando veramente all’altezza di questo campionato
del mondo: dopo il successo dello scorso anno agli Europei c’è tanta voglia di
combattere e vincere punto dopo punto, partita dopo partita. Lo sa bene Gian
Paolo Montali, l’allenatore della nazionale che ha saputo costruire una grande
squadra che dentro di sé contiene dei grandi campioni del Volley; per citarne
alcuni spiccano i nomi di Cisolla, Fei, Vermiglio e Mastrangelo. Loro sono i
più famosi ma a questi nomi se ne dovrebbero aggiungere altri; infatti, se
provate a vedere una partita, ciò che colpisce maggiormente l’attenzione è tutta
la squadra che gioca insieme: ascoltando la telecronaca i giocatori vengono
tutti nominati almeno una volta e durante la partita lo spirito di squadra è al
massimo.
Forse ciò è anche merito della pallavolo in sé. È uno
sport che si insinua nel dna e dal quale non si guarisce
più; questa frase l’ho trovata su uno dei numerosi siti
dedicati al volley e, secondo me, ne rende molto bene
l’idea. La pallavolo inoltre sa regalare emozioni uniche e
permette di abbinare la forza pura all’intelligenza (è
importante avere un buon allenamento ma anche una
buon schema di gioco). Non dimentichiamo poi che
questo sport è indistintamente praticato sia al maschile
che al femminile e trova continuità tutto l’anno; nel
periodo di pausa estivo, infatti, si trasforma in beach volley, pieno di
divertimento e spettacolo. In Italia questo sport è ormai divenuto molto
popolare ed apprezzato, e lo dimostra il fatto che il pubblico è in costante
aumento negli anni. Inoltre, le vittorie della nazionale, hanno dato un grande
impulso all’intero movimento, grazie soprattutto agli anni ‘90 che sono stati
indubbiamente un grande salto di qualità rispetto al periodo precedente, in cui
la pallavolo era un fenomeno circoscritto a qualche regione come l’Emilia
Romagna, la Toscana, il Veneto, la Sicilia e poco più
Oggi questo sport è maturo, ma ha ancora ampi margini di miglioramento
davanti a sé. E questo sviluppo può avvenire soltanto con un maggiore
interesse da parte dei giovani che vogliono intraprendere uno sport e dai più
grandi a lasciarsi conquistare dalla passione per la pallavolo.
Davide
14
Attualità
MODA E MALATTIA
Tutte le volte che leggo notizie del genere sto male: mi si stringe lo stomaco,
mi lacrimano gli occhi e una rabbia indomabile mi prende. Lo so, non dovrei
agire così, dovrei essere più razionale, più calma, anche perché con l’impeto e
la forza non si ottiene nulla; ma è più forte di me. Sarà perché ci sono passata,
sarà perché so cosa si prova, in ogni caso non appena sento di una ragazza
morta a causa dell’anoressia non riesco più a controllarmi.
Ana Carolina Reston Macan, Carol per tutti, modella di 21 anni, è morta il 15
Novembre scorso stroncata dall’anoressia. Era alta 1,74 e pesava meno di 40
chili. Ormai ridotta a pelle ossa, attaccata alle flebo in un letto, Carol si
riteneva troppo grassa per poter sfilare sulle passerelle; ed è così che ha iniziato
la sua battaglia con la bilancia, o meglio con la morte. Battaglia che ha perso,
dopo aver ammesso, sottovoce, di aver un’immagine distorta di sé e del proprio
corpo.
La notizia della sua morte ha sconvolto tutto il Brasile, un
Paese da anni nel grande circuito mondiale della moda, e dove
l’anoressia fa notizia quanto la fame. Al tg è apparsa la madre
che con voce struggente gridava “State più vicino ai vostri
figli, vi scongiuro”.
La morte di Carol si aggiunge alle tante che negli ultimi mesi
hanno fatto notizia e che hanno spinto la ministro Giovanna
Melandri a vietare sulle passerelle romane la taglia 38.
Ma quello che mi chiedo io è: basta veramente vietare la taglia
38 sulle passerelle per fermare il fenomeno dell’anoressia? O
forse dietro a questo si nasconde qualcosa di più? La causa di
questo male è veramente la società e i suoi modelli impossibili
o c’è anche qualcos’altro?
L’anoressia consiste in una estrema e intenzionale perdita di
peso, che in taluni casi può condurre anche alla morte. È un
disturbo alimentare sorto alla fine del XIX secolo che interessa
quasi esclusivamente soggetti femminili tra i 12 e i 25 anni
circa. Pur rifiutando il cibo e pur esercitando nei suoi confronti
forme esagerate di controllo, i soggetti anoressici vi dedicano
molta attenzione, parlandone in continuazione e preparandolo
con impegno per altre persone. Hanno un’immagine corporea
distorta, all’insegna dell’ideale sociale della magrezza; pur essendo
particolarmente magri, continuano a percepirsi grassi. Per questa ragione sono
propensi a praticare l’esercizio fisico in modo compulsivo.
Attualità
15
Sicuramente il contesto culturale e i suoi modelli hanno un peso importante;
diciamo che sono il pretesto per lo scoppio della malattia. Non a caso nei Paesi
del terzo mondo l’anoressia è un fenomeno inesistente. Spesso le anoressiche
diventano tali dopo aver seguito una dieta o in seguito a un periodo di forte
digiuno causato da una malattia.
Si instaura a questo punto un circolo vizioso che interessa sia la mente che il
fisico: meno mangio, più forte mi sento e meglio sto. Dal punto di vista
mentale le anoressiche si sentono forti e superiori perché, a differenza degli
altri, riescono a vivere anche non mangiando; dal punto di vista fisico, invece,
dopo un lungo periodo di digiuno, si instaurano automaticamente dei processi
ormonali votati per la sopravvivenza che creano un senso di
forza e resistenza.
Naturalmente questo può durare un po’ di mesi, non di più. E
allora cosa spinge le anoressiche ad andare avanti, anche anni,
senza voler riconoscere la loro malattia? Spesso alla base
dell’anoressia si osservano imponenti giochi disfunzionali nella
famiglia di appartenenza, che riguardano l’amore e il sentirsi
amate. L’anoressia traduce un bisogno di amore e di affetto. È
quello che Freud chiama il tornaconto secondario della malattia:
il malato ha un vantaggio a essere tale da parte di chi lo
circonda, perché sollecita l’attenzione dei suoi parenti e dei suoi
amici e li obbliga a stargli vicino.
Ora, la madre di Carol aveva ragione a fare quell’appello in
televisione, bisogna stare più vicino ai propri figli, sia che siano
malati, sia che siano sani. Ma nel caso dell’anoressia (come di
molte altre malattie psichiche) spesso questo non basta. Bisogna
avere il coraggio in certe situazioni di imporsi, di prendere il toro per le corna.
Le anoressiche da sole non ce la fanno a riconoscere di essere malate, è più
forte di loro. Bisogna veramente aspettare che siano sul punto di morte per fare
loro capire questo?
I genitori di oggi, purtroppo, tendono sempre di più ad adottare metodi soft
nell’educazione dei propri figli e gli permettono quasi sempre di fare quello
che vogliono. La maggior parte delle persone è convinta che per crescere bene
un figlio e per farlo diventare al più presto indipendente bisogna permettergli di
fare i propri errori. Io sono perfettamente d’accordo, ma ci sono alcune
situazioni estreme in cui questo non è possibile, e l’anoressia è una di queste.
Bisogna avere il coraggio di imporsi, di prendere la propria figlia e portarla in
un centro specializzato nella cura di questa malattia. Vedrete che poi vi
ringrazierà.
Vale
16
APPUNTAMENTI DI DICEMBRE
DATA
Mar 5
Gio 7
Mar 12
Gio 14
Ven 15
Mar 19
Gio 21
Ven 22
ORA ADOLESCENTI
21.00
18.30
21.00
21.00
18.30 Incontro formativo
21.00
21.00
18.30 Incontro formativo
GIOVANISSIMI
Incontro formativo
GIOVANI
Incontro formativo
Incontro formativo
Incontro formativo
Incontro formativo
Incontro formativo
PER TUTTI
- Dal venerdì 15 a venerdì 22, tutti i giorni tranne sabato e domenica,
alle ore 16.45 in chiesa parrocchiale, si svolgerà la Novena di Natale.
- Sabato 16, a partire dalle 15, i giovani dell’oratorio passeranno a
portare i consueti auguri di Natale agli anziani e ai malati della parrocchia.
- Sabato 16, alle ore 21.00, in chiesa parrocchiale si terrà un concerto di
campanari.
- Domenica 17 si svolgerà il ritiro di avvento del gruppo Giovani.
- Domenica 31 si svolgerà in oratorio la ormai tradizionale “Festa della
Comunità”.
Soluzione del cruciverba dello scorso numero:
H
A
L
L
O
W
E
E
N
E
V
A
N
G
E
L
I
S
R
I
O
M
E
S
O
A
S
I
K
E
M
E
T
T
O
R
M
E
N
T
O
R
I
U
N
D
O
R
E
N
N
E
M
O
I
L
A
O
M
T
A
O
C
V
I
N
I
T
A
C
A
O
A
G
A
L
A
P
P
I
L
E
O
R
T
O
L
T
A
R
E
ATTENZIONE:Il prossimo numero de “Il Bagliore” verrà distribuito Domenica 14 gennaio.
La redazione
Per commenti e osservazioni scrivete alla casella e-mail de “Il Bagliore”: [email protected]