Energia: un futuro solare? - Camera di Commercio Italiana per la

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Energia: un futuro solare? - Camera di Commercio Italiana per la
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Rivista
Anno 102 - n. 6 - Giugno 2011
Energia:
un futuro
solare?
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Insuperabile
per le vostre “Maxi”
insalate.
Santa Lucia, questa è mozzarella.
Editoriale
di Giangi Cretti
Un’alternativa è possibile? Ragionevolmente parrebbe addirittura necessaria. Più che un’opzione per il futuro, potrebbe essere il futuro stesso. Che qualcuno si augura solare.
Ideologici ed emotivi versus pragmatici e razionali? Un po’ come gli apocalittici opposti agli
integrati: è in questi termini che la sfida si sta profilando.
Tutta colpa (merito?) di Fukushima. Che nel giro di poche settimane è riuscita a far saltare il
banco di chi era pronto al rilancio, non necessariamente consapevole che la posta in gioco fosse
costituita dall’energia nucleare.
Improvvisamente, quel che ieri era la certezza senza il dubbio, è diventato, oggi, la certezza del
dubbio. E, oggi più di ieri, le opinioni si contrappongono:
le centrali nucleari, previo magari qualche intervento, sono sicure – no, non lo sono, Fukushima,
come ultimo eclatante esempio, docet; ogni fonte di energia comporta rischi che vanno controllati e contenuti – i pericoli connessi al nucleare e alle scorie che ne derivano sono di gran
lunga superiori, imprevedibili e duraturi; le energie alternative al nucleare e quelle rinnovabili
non sono sufficienti a garantire il nostro standard di vita e per giunta sono (tranne, si concede,
in caso di catastrofe) meno inquinanti– invece sì, basterebbe consumare in modo più responsabile; abbandonare in modo unilaterale (come annuncia di voler fare la Svizzera entro il 1934)
l’energia nucleare è inutile se non è una decisione condivisa perlomeno dall’intera Europa – se
qualcuno, inteso come stato, non inizia, è impossibile che altri vi si conformino; i costi e le ricadute sull’economia sarebbero in sopportabili – non è vero, testimonianze di green economy
lo dimostrano.
E via di questo passo, con un’unica reciproca concessione: è saggio e persino lungimirante investire su energie sempre più pulite e meno rischiose, sostenendo ricerche e tecnologie d’avanguardia, che, a determinate condizioni, potrebbero rivelarsi anche redditizi.
Oltre anacronistici steccati e utopiche prospettive di rinuncia (che comunque si spera riguardino gli altri da noi) gli inquietanti risvolti ambientali e il drammatico problema delle risorse
energetiche sono indiscutibilmente sotto gli occhi di tutti. Se non è proponibile puntare ad una
decrescita all’insegna di un dogmatico “fermate il mondo voglio scendere”, non è sufficiente declinare le varie forme di crescita, qualificandola come compatibile, per ridarle indistinta legittimità.
Da qualsiasi punto di vista la si voglia guardare, la sfida per il futuro è lanciata: i consumatori,
le imprese le istituzioni pubbliche non possono evitare di raccoglierla. In essa c’è il presupposto
di quel cambiamento nell’antropologia del consumo e di stili di vita che potrebbe aiutarci ad
uscire dall’equivoco che ben-avere (che di per sé non è male) corrisponda automaticamente a
ben-essere.
Ma qui entriamo in un campo già arato con profetica, e forse non inutile, lucidità da Erich Fromm.
***
PS: in Italia la questione è (era?) posta da uno di quesiti sottoposto a referendum popolare i
prossimi 12 e 13 giugno (noi italiani residenti all’estero votiamo per corrispondenza, con scadenza anticipata - vedi informazioni a pag. 23). Il decreto “omnibus” (in nomen omen!), approvato dal Parlamento e promulgato dal Capo dello stato lo scorso 25 maggio, contenendo sostanzialmente una moratoria relativamente alle scelte in materia di energia nucleare, ha di fatto (in
attesa che la Cassazione decida anche de jure) disintossicato (per gli uni, intossicato per gli altri)
la votazione, vanificando verosimilmente o depennando (fa testo, come detto, la decisione della
Cassazione) il parere espresso dai cittadini.
Ma al di là del fatto che il quesito sia o no cancellato, diffusa è la percezione che nel Belpaese il
confronto non avvenga solo nel merito. D’altro canto, va ricordato che sull’abbandono del nucleare il popolo italiano si era già chiaramente pronunciato una trentina d’anni fa. Se quella decisione può oggi essere rimessa in discussione, conferma che anche in politica nulla è per sempre.
Maggior rilevanza - speculando (gli uni, temendo gli altri) anche sull’onda emotiva sollevata dalla catastrofe giapponese - sembra rivestire l’effetto trainante che il quesito sul nucleare
avrebbe (potuto?) avere per quanto riguarda la partecipazione al voto. Che nel caso dei referendum abrogativi in Italia è determinante. Infatti, solamente se il quorum (il 50% + 1 degli aventi
diritto esprime il voto) viene raggiunto i risultati emersi dal referendum sono validi.
[email protected]
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n. 6 - Giugno 2011
1
Sommario
n. 6 Giugno 2011
1
Cultura
Editoriale
Primo Piano
15
49
La Tunisia tra grandeur francese
e gallofobia italiana
54
Ai posteri l’ardua sentenza
Con Beppe Severgnini parlando
del suo nuovo libro
Oro – l‘unica moneta veramente eterna
17 Un’Europa ad alta velocità
A colloquio con Danuta Hübner:
economista e parlamentare europeo
23 Al voto per i quesiti referendari
Anche i cittadini italiani residenti all’estero
concorrono alla definizione del quorum
58Progetto reti: Italia e Svizzera si danno
la mano nel segno della collaborazione
A un anno dall’avvio il primo bilancio
è positivo
25
Il consumo di elettricità è cresciuto del 4%
In Svizzera nel 2010
60
Italiani sulla Croisette
26Lo sviluppo sostenibile vent’anni dopo Rio
Abbandonare la crescita incontrollata
64
L‘alchimia fra due grandi
Lo stato libero dei Litfiba
28Italia e pannelli solari:
la corsa agli incentivi più alti d’Europa
Incontri
66 Piena soddisfazione per il corso
realizzato a Basilea
“Sole e Pepe”: progetto di formazione alla
ristorazione
47
69
La regina del fioretto
Donne in carriera: Valentina Vezzali
I vini (e il territorio) del Piceno
presentati a Zurigo
rubriche
In breve
4
ItalChe
Europee
Angolo Fiscale
39
7
Angolo legale
41
9
Convenzioni Internazionali
42
L’elefante invisibile
47
Scaffale
57
Internazionali
11
Oltrefrontiera
13
Eticamente
33
Benchmark
35
Burocratiche
36
In copertina: Turbine - (foto di Michele Caracciolo di Brienza).
2
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n. 6 - Giugno 2011
Sequenze
61
Diapason
63
Convivio
72
Motori
77
70
Ciro: da un giovane immigrato del 1898
un ristorante nel solco della tradizione
famigliare
86
Marmomacc : Verona, 21 - 24 settembre
Sempre più internazionale
87
Abitare il Tempo: Verona,15 - 19 ottobre
Guardare al presente e immaginare
il futuro
DOLCE VITA
72
Nella galleria grande la reggia
di Venaria si rende omaggio
alla cucina italiana
Cene regali
78
Automotonews
79
Subaru Trezia: pratica e comoda
Impressioni di guida
IL MONDO IN FIERA
84
Macef: Milano Rho-Pero, 8-11 settembre
Salone Internazionale della Casa
85
AbitaMI: Milano Rho-Pero 8-11 settembre
Prodotti tendenze ed emozioni
per l’abitare
Editore
Camera di Commercio Italiana
per la Svizzera
Direttore - Giangi CRETTI
Comitato di Redazione
G.M. BONADA, A.G. LOTTI,
C. NICOLETTI, S. SGUAITAMATTI
Collaboratori
Ph. BERNASCONI, C. BIANCHI PORRO,
M. CALDERAN, G. CANTONI,
M. CARACCIOLO DI BRIENZA, V. CESARI LUSSO,
M. CIPOLLONE, P. COMUZZI, D. COSENTINO,
A. CROSTI, L. D’ALESSANDRO, F. FRANCESCHINI
T. GATANI, G. GUERRA, F. Macrì, G. MERZ,
A. ORSI, G. SORGE, N. TANZI, I. WEDEL
IL MONDO IN CAMERA
90
Educational tour al Vinitaly 2011
e Modena
Il Quartetto di Modena
92
Abbigliamento e cucina made in Italy
Mangiare alla Moda
93
La CCIS diventa
il tuo consulente legale
Servizio di recupero Iva
italiana e svizzera
94
Contatti commerciali
96
Servizi camerali
La Rivista
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n. 6 - Giugno 2011
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In breve
Zurigo ringrazia gli immigrati
italiani e spagnoli
Studio Ocse:
Svizzera ben piazzata
Se la città di Zurigo è diventata un polo d’attrazione economico e culturale non solo elvetico, ciò si deve anche
all’apporto di migliaia di immigranti negli anni del Dopoguerra. Per questo, nell’ambito di un’esposizione sulla
storia della città, il sindaco Corinne Mauch ha voluto ringraziare pubblicamente, lo scorso 21 maggio, le migliaia
di italiani e spagnoli della prima generazione che vivono
ancora nel Cantone. Per l’occasione, Zurigo ha fatto le
cose in grande invitando alla festa tutti gli abitanti di origine spagnola o italiana di oltre 70 anni. Quasi 700 persone hanno risposto all’invito. Queste persone, ha detto
la Mauch, non sono più soltanto tollerate, «ma sono ormai
parte integrante ed apprezzata della nostra società». «La loro
integrazione – ho sottolineato - non è stata un percorso in
discesa: è stata infatti contraddistinta da sforzi individuali
di adattamento, da privazioni e da dibattiti dai toni xenofobi». L’invito e la manifestazione, ha concluso la signora
Mauch vuol essere «un segno di rispetto e di stima verso
queste persone».
Gli Svizzeri vivono a lungo, sono lavoratori, hanno reddito,
occupazione e qualità ambientale elevati, la corruzione è
bassa, ma la partecipazione alle votazioni lascia a desiderare. Questo il quadro che emerge da un confronto tra i
Paesi dell’OCSE presentato nel mese di maggio. Per quanto riguarda la speranza di vita, la Svizzera, con 82,2 anni
è seconda dietro il Giappone (82,7). La media dell’OCSE
è di 79,3. In Estonia, Ungheria e Turchia è inferiore a 74
anni. Gli Svizzeri spendono il 10,7% del PIL per la salute;
solo USA e Francia fanno meglio. Per la formazione, con
una spesa di 12.000 dollari per scolaro, è superata solo dal
Lussemburgo (16.000), mentre la media OCSE è di poco
superiore agli 8.000. Il reddito medio si fissa a 27.000 dollari, 8.000 in più della media. Fanalino di coda sono Turchia
e Messico, con rispettivamente 6 e 5.000 dollari. Nel confronto reddito/povertà, in Svizzera la proporzione di chi
vive al di sotto della soglia di povertà (8,7%) è più elevata
che nei Paesi nordici e in Austria. Nessun altro Paese ha
una quota maggiore di popolazione attiva: 79,2%.
Libera circolazione:
nessun effetto su salari e disoccupazione
L’Accordo sulla libera circolazione delle persone (ALC) non ha
prodotto alcun effetto rilevante sui salari e la disoccupazione della popolazione attiva svizzera, lo rileva uno studio dell’Università
di Basilea pubblicato lo scorso mese di maggio, le cui conclusioni alimenteranno un dibattito già infuocato, in un anno elettorale.
Secondo lo studio del Centro di ricerca sul mercato del lavoro e
l’economia industriale (FAI) dell’ateneo renano, realizzato su mandato dell’Ufficio federale della migrazione (UFM), l’ALC in Svizzera
ha pregiudicato esclusivamente la manodopera straniera scarsamente qualificata proveniente da Paesi non appartenenti allo spazio
UE-17/AELS. Secondo le statistiche dei ricercatori basilesi il loro stipendio è diminuito di circa l’1% all’anno, attribuendo il fenomeno a
una concorrenza limitata a questi segmenti del mercato del lavoro.
L’effetto positivo sui salari delle persone qualificate di nazionalità
svizzera, che hanno registrato un incremento dell1%, per il FAI va attribuito a una complementarità con gli stranieri,
che invece non esercitano direttamente concorrenza. Gli economisti basilesi mostrano anche che i cittadini dell’Unione europea (UE) e dell’Associazione europea di libero scambio (AELS) sono estremamente ben integrati nel mercato
del lavoro svizzero: sono altamente qualificati, con un debolissimo tasso di disoccupazione e nel caso in cui dovessero
perdere il lavoro, ritrovano rapidamente un impiego.
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n. 6 - Giugno 2011
STARTUPS.CH AWARDS 2011
Premi del valore di 250‘000 franchi per le migliori
idee imprenditoriali della Svizzera
Lo STARTUPS.CH AWARD 2011 sostiene idee imprenditoriali nuove ed innovative in tutta la Svizzera. Nella
Svizzera Tedesca, Romanda e in Ticino verrà eletto per
ciascuna regione un progetto vincitore. Questi tre vincitori
ottengono ciascuno un premio di 50‘000 franchi per il loro
tuffo nell’indipendenza professionale. In totale tra tutti i
partecipanti vengono ripartiti 250‘000 franchi in contanti,
in valori reali e in prestazioni. Il premio per i giovani imprenditori ha luogo quest’anno per la seconda volta. Gli
oltre 100 business plan inoltrati lo scorso anno mostrano come la Svizzera sia un ottimo ambiente per giovani
imprenditrici ed imprenditori coraggiosi e innovativi. Lo
STARTUPS.CH AWARD 2011 tiene conto di questa realtà
ed elegge quest’anno ancora una volta i tre progetti migliori della Svizzera per la costituzione di una ditta. Tutti i
partecipanti hanno l’opportunità, prima della costituzione
della propria ditta, di vincere ciascuno un premio sotto forma di capitale di partenza e di buoni per oggetti di valore
e prestazione del valore totale di CHF 50‘000. I candidati
con i loro business plan devono soddisfare due premesse:
L’idea imprenditoriale è attuabile secondo il business plan
inoltrato con al massimo 250‘000 franchi – e la società non
è ancora stata costituita. Lo STARTUPS.CH AWARD 2011
è un premio che valorizza esclusivamente una buona idea
imprenditoriale: non ha importanza se si tratta di un’innovazione tecnica o semplicemente solo del miglior concetto gastronomico. Ogni partecipante può vincere se saprà
convincere sia la giuria durante la presentazione come
pure il pubblico durante il voto online – gli STARTUPS.CH
AWARDS 2011 sono del resto l’unico premio in Svizzera
per giovani imprenditori, nel quale il pubblico può determinare il vincitore.
Fino al 30 giugno 2011 giovani imprenditori hanno la possibilità in tutta la Svizzera di inoltrare a STARTUPS.
CH il loro business plan in tedesco, francese, italiano o
inglese. Una giuria presidiata da esperti inviterà a metà
agosto i partecipanti con le migliori idee imprenditoriali a
presentare il loro business plan e il loro progetto. Verranno
organizzate due giornate per la giuria, una a Winterthur
per i candidati dalla Svizzera Tedesca e dalla Svizzera Romanda e una a Lugano per i progetti dal Ticino. I vincitori
di questi turni di presentazione saranno sottoposti in seguito alla votazione online su www.startups.ch/award. La
votazione onlineavrà inizio il 5 settembre e durerà dieci
giorni. Per il risultato finale il voto della giuria conta due
terzi e il voto del pubblico un terzo.
A metà settembre saranno resi noti i tre vincitori.
Informazioni: www.startups.ch/award
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“Juni prickelt in Zürich”
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11.00 bis 21.00 Uhr
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Italiche
di Corrado Bianchi Porro
Un Paese duale
Nel documento dell’11 maggio scorso che il Fondo Monetario Internazionale ha dedicato all’Italia dopo la tradizionale missione ufficiale ai Paesi
membri, si mette in risalto il fatto che la ripresa in
Italia (come in Europa) sia pilotata soprattutto dalla
vivacità delle esportazioni, mentre la domanda interna rimane tuttora debole. In Italia l’andamento
insufficiente della domanda interna è legato al fatto che l’impiego migliora solo lievemente, anche a
motivo di un tasso di disoccupazione che rimane
al di sopra della media europea, in quanto soffre
dei persistenti vincoli sul mondo del lavoro legati
in parte all’utilizzo tuttora elevato della Cassa Integrazione e guadagni. Nel mese di Marzo 2011 sono
state richieste e autorizzate 102,5 milioni di ore di
cassa integrazione (Cig), contro i 70,6 milioni di
Febbraio 2011 (+45,1%) e i 121,8 milioni del marzo
2010 (-15,8%).
Questo istituto previsto dalla normativa italiana
consiste in una prestazione economica a favore
dei lavoratori sospesi temporaneamente dal lavoro, venendo incontro alle aziende che si trovano in
momentanea difficoltà, sgravandole dal costo del
lavoro, ma preservandone il posto in attesa della
ripresa. A seguito della crisi economica è stata effettuata una estensione della normativa che ha evitato l’emergere di una crisi sociale, ammortizzando
il costo sociale dell’eccedenza di manodopera solo
in parte riassorbita. Secondo il rapporto del FMI il
mercato del lavoro in Italia è caratterizzato da una
dualità che protegge in maniera ipergarantista alcune categorie dei lavoratori (spesso non legando
la remunerazione ridotta ad uno sforzo di riqualificazione professionale), mentre lascia scoperti coloro che non hanno occupazione e quanti appartengano al mondo dell’impiego temporaneo. Per
questo il FMI, nei suggerimenti proposti, richiede
una parziale liberalizzazione del mercato del lavoro
puntando su un’effettiva promozione delle risorse
umane e dell’innovazione, specie nel contesto esistente di una struttura sghemba, frutto della carenza di una normativa equivalente.
Armonizzare i contratti e la legislazione può favorire la coesione sociale e permettere un equilibrio
maggiore. Il tasso di impiego assai ridotto tra le
donne, l’elevato tasso di giovani disoccupati e di
lavoratori anziani dell’Italia rispetto alla media europea è infatti dovuto a ragioni strutturali assai più
che ad un puro fatto tecnico del costo del lavoro.
Bisogna poi ridurre anche la fiscalità sul costo del
lavoro, suggerisce il Fondo Monetario Internazionale, il quale sottolinea le grandi disparità regionali
che si trovano a tal proposito in Italia.
E qui veniamo ad un altro aspetto che ripreso an-
che dal ministro del Tesoro, Giulio Tremonti. Secondo il FMI, in un settore privato che vuole essere
competitivo su scala europea, bisogna riallineare la
struttura dei salari in funzione della produttività e
del relativo costo della vita. Nel pubblico settore,
azzarda l’FMI, una differenziazione regionale degli
stipendi potrebbe essere introdotta. Ciò potrebbe
favorire la moderazione degli stipendi del settore
privato in regioni con un’elevata concentrazione
dell’impiego pubblico. Varie volte quest’anno ministro Tremonti ha affrontato il discorso della territorialità. Nel nostro Paese, ha detto, il vero problema,
è il Mezzogiorno. La ripresa dell`economia italiana,
per il ministro, deve passare necessariamente per
la risoluzione della questione meridionale. Di declino infatti non si può parlare, riferendosi al Nord
Italia. «Siamo l`unico Paese in Europa - ha sottolineato Tremonti - ad avere una struttura duale e le nostre
statistiche soffrono di tale asimmetria». Ha ricordato
che «il Nord Italia è fra le regioni più ricche d`Europa,
e quindi del mondo» ed il Nord insieme al Centro
«come aggregato fanno 40 milioni di persone, la sesta
potenza economica del mondo». Per il ministro, il Centro e il Nord aggregati «sono più ricchi di Francia,
Germania e Gran Bretagna».
Su queste affermazioni si è accesa una vivace polemica. Secondo le statistiche dell’UE, la Lombardia
figurerebbe infatti solo al 29mo posto. In realtà, le
regioni nella classificazione europea sono costruite senza criteri tra loro equilibrati. Ad esempio,
al primo posto si situa la Grande Londra che naturalmente si avvale della potenza della City, con
ricchezze (oggi un po’ meno vigorose) prodotte da
capitali internazionali. Al secondo posto troviamo, per identico motivo, il Lussemburgo. Al terzo,
Bruxelles, capitale europea. Al quarto posto c’è la
regione di Gröningen, grazie alle ricchezze di gas
naturale, pur se le campagne attorno si stanno per
questo spopolando. Insomma, si paragonano mele
e pere e non si capisce perché allora Milano non sia
scorporata, ma considerata assieme ad una regione
vasta e diversificata quanto la Lombardia, popolata
da 10 milioni di abitanti. In effetti, ha commentato
Tremonti, il Nord Centro Italia ha circa 40 milioni
di abitanti, la Svezia spesso citata ad esempio, ne
conta solo 10. Anche altri indici (minore povertà e
disoccupazione, anche giovanile, ricchezza delle famiglie, ecc.) vedono il Nord Italia (e spesso anche
il Centro) ai vertici UE con Olanda e Svezia nelle
classifiche del benessere. Comunque, se non siete
convinti, non è poi così grave. Il poeta greco Callimaco giudicava i libri dalla loro dimensione in base
ad una regola che reputava infallibile: “più un libro è
grosso – diceva – più sciocchezze contiene”.
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Europee
di Philippe Bernasconi
Unità d’intenti cercasi
Non c’è limite al peggio verrebbe da dire.
Ad agitare le già travagliatissime notti
dell’Unione europea ci si è messo pure
uno scandalo istituzional-sessuale. In
perfetto stile Hollywod. Peccato che qui
di finto non ci sia proprio nulla. Tanto
che Bruxelles si è dovuta affrettare a far
sapere che la vicenda che vede coinvolto
Dominique Strauss-Kahn non avrà alcun impatto sui piani di aiuto a Grecia
e Portogallo.
Le gravi accuse al direttore del Fondo monetario internazionale sono giunte nel momento meno propizio (sempre che ce ne sia
uno), nel bel mezzo di una bufera monetaria
e politica con al centro, ancora una volta, gli
anelli deboli della catena europea. Il caso è
esploso alla vigilia di un vertice dell’Eurogruppo (al quale avrebbe dovuto partecipare
lo stesso Strauss-Kahn), chiamato ad interrogarsi nuovamente sulle misure da varare
per salvare Portogallo e Grecia (ma forse
anche Irlanda e Spagna) dalla bancarotta.
Perché, nonostante gli aiuti fin qui promessi
e concessi i cosiddetti “Pigs” faticano maledettamente a tirarsi d’impiccio.
Il loro debito non accenna a diminuire e i
mercati sono disposti a finanziarlo sono a
tassi da strozzinaggio (o quasi). Che fare
allora? Aumentare ulteriormente gli aiuti,
così da poter diminuire la necessità di dover ricorrere al mercato privato dei capitali, dicono alcuni. Obbligare i Paesi a rischio
a ristrutturare il proprio debito, così da far
partecipare al risanamento anche il settore
privato, dicono altri. Oppure, ancora, ipotizzare lo scenario peggiore (o migliore, dipende da che punto lo si guarda): rompere
il cordone ombelicale dell’euro e spingere
questi Paesi a ritornare, perlomeno transitoriamente fino a quando le acque si saranno
calmate, alla cara e vecchia moneta nazionale, senza gli strettissimi vincoli del Trattato di
Maastricht e di quelli che gli sono succeduti,
con l’arma della svalutazione a disposizione.
Uno scenario plausibile? C’è chi dietro le
quinte lo pensa e lo fomenta. Basandosi su
dati reali e tutto sommato incontrovertibili.
Come, ad esempio, la crescita economica. Se
vi sono Stati che possono fregiarsi di tassi
di crescita pre-crisi (la Germania con uno
spettacolare +4,9%, ma anche alcuni Paesi
dell’Est e del Nord Europa), le Nazioni del
Sud del Continente arrancano a fondo classifica (con addirittura Grecia e Portogallo
che ancora fanno registrare il segno negativo).
Insomma, anche da un punto di vista prettamente economico l’Unione europea non
presenta certo un quadro univoco e unitario.
E allora perché non concentrarsi su chi sta
meglio, lasciando indietro gli altri, per poi
recuperarli quando ci saranno i presupposti
per farlo? In fondo è la teoria dello sviluppo della specie che anche in economia trova
applicazione: i più forti vanno avanti e progrediscono, i più deboli si leccano le ferite e
cercano di rimettersi in sesto. Sulla carta tutto quadra. Anche perché, a dirla tutta, perlomeno Grecia e Portogallo, nell’euro non ci
dovevano finire, se non dopo aver risolto i
propri problemi strutturali. Si è invece voluto a tutti i costi allargare a più non posso
l’area euro. Di fatto indebolendola e esponendola ad ogni sorta di attacco.
Sarebbe insomma forse stato meglio cominciare con un nucleo forte di Paesi e poi
ingrandendola a poco a poco, progressivamente e coscienziosamente. Ed ora è probabilmente troppo tardi tornare indietro.
La teoria, questa volta politica, insegna però
che a volte deve contare innanzitutto la solidarietà tra Stati di uno stesso Continente,
di una stessa Confederazione o Unione che
dir si voglia.“A coloro che ostentano euroscetticismo, è bene ricordare che, varcato quel limite,
non esiste un mitico ritorno alla Nazione ma
una sterile spirale d’egoismi che trasformeranno
l’Europa in uno spazio di conquista per il resto
del mondo – ricorda ad esempio Antonio Puri
Purini sul Corriere della Sera – È una prospettiva che dovrebbe angosciare tutti, anche gli
euroscettici”.
Come uscirne allora? Tocca ai 27 trovare la
strada, a cominciare dal nocciolo duro di
Stati dell’Unione, quei soci fondatori che
oggi faticano maledettamente a trovare un
minimo comune denominatore, anche solo
ideale, che gli faccia sentire europei.
la
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Internazionali
di Michele Caracciolo di Brienza
Osama Bin Laden:
la fine di un genio del male
Lo scorso 2 maggio sulla prima pagina di tutti i
giornali del mondo appariva la notizia dell’assassinio di Osama Bin Laden. Tutti sanno che è
stato l’ispiratore degli attentati dell’11 settembre
2001 sul suolo americano, ma quali erano le motivazioni di Bin Laden? Chi era questo genio del
male che ha causato grandi sofferenze e angosce
nel mondo occidentale e non solo?
Nasce nel 1957 a Riyad (Arabia Saudita) in una
famiglia di modeste origini, proveniente dallo
Yemen e legata alla Casa Reale saudita. Il padre
di Bin Laden era diventato, infatti, un ricchissimo
costruttore con una ventina di mogli. Nel 1978
Osama Bin Laden si laurea in quella che comunemente si chiama ingegneria gestionale all’università di Gedda per poi entrare nel gruppo imprenditoriale di famiglia. Nulla lasciava presagire
che quel ventenne agiato e dai gusti occidentali
sarebbe diventato un pio e spietato organizzatore di atti terroristici. Nel 1979 è avvicinato dal
principe Turki Al Faisal, allora a capo dei servizi di
sicurezza dell’Arabia Saudita e figlio del re Faisal
ben Abdelaziz Al Saud. All’epoc, il regime dello
shah in Iran è distrutto da una rivoluzione che
porta al potere l’ayatollah Khomeini. L’Unione
Sovietica invade l’Afghanistan pochi mesi dopo.
Molti volontari arrivano per combattere contro l’URSS in Afghanistan e sono sostenuti sia
dall’Arabia Saudita sia dagli Stati Uniti. Il ruolo
di Bin Laden a quest’epoca è di organizzare in
Afghanistan questi gruppi di volontari e di fare
in modo che vengano addestrati. L’islamismo
radicale comincia ad essere una forza ideologica
importante, rimpiazzando poco a poco il marxismo e il panarabismo come principale ideologia
popolare in Medio Oriente.
Nel febbraio 1989 i sovietici annunciano il loro
ritiro dall’Afghanistan. Gli Stati Uniti e l’Arabia
Saudita interrompono i loro finanziamenti ai mujaiddin e la presa di Kabul da parte di questi ultimi non si realizza. Il rancore di Bin Laden verso
gli Stati Uniti inizia adesso. La Prima Guerra del
Golfo porta le truppe americane in Arabia Saudita e la questione palestinese rimane irrisolta. La
commistione di elementi religiosi e politici appare evidente dai seguenti stralci del messaggio
di Bin Laden dopo gli attentati dell’11 settembre
2001: “Ecco l’America colpita da Dio onnipotente in
uno dei suoi organi vitali, e i suoi edifici più grandi
sono stati distrutti. Rendiamo grazia a Dio. L’America è stata riempita di orrore da nord a sud, da est
a ovest, e ringraziando Iddio ciò che ora assaggia
l’America è solo una copia di ciò che abbiamo assag-
giato noi. La nostra nazione islamica ha assaggiato le
stesse cose per oltre 80 anni, umiliazioni e disgrazie, i
suoi figli uccisi e il loro sangue versato, i suoi luoghi
santi dissacrati.”
Un funzionario del Ministero degli Esteri commenta con La Rivista la tempistica dell’uccisione.
A suo avviso, Bin Laden è stato ucciso proprio nel
momento in cui il suo progetto politico-religioso
non era più in voga. La primavera araba e le ondate di rivolte liberali ne hanno fortemente minato l’appeal per le popolazioni del Nord Africa.
Osama Bin Laden era un terrorista internazionale con le mani macchiate dal sangue di innocenti.
Tuttavia, i festeggiamenti con fuochi d’artificio e
le folle euforiche in molte città americane sono
francamente riprovevoli. Ricordano le manifestazioni di giubilo fuori dalle carceri americane dopo
l’esecuzione di un condannato a morte. Una nazione che si sente un faro di civiltà ha gioito per
l’uccisione di un essere umano.
Tutta l’operazione per ucciderlo è stata comunicata in modo un po’ pasticciato. Numerosi dettagli irrilevanti sono stati dato in pasto alla stampa.
Il nome dell’ultima moglie yemenita, il malore
fatale di una delle tante suocere quando hanno
diffuso la notizia della sua uccisione, è stato pubblicato persino il fatto che Bin Laden usasse una
sorta di Viagra vegetale. E le foto? Perchè mai non
ci sono foto del cadavere? Perchè non si rende
pubblico il video dell’assalto al compound in Pakistan? Gli americani hanno fatto sapere che il
cadavere è stato sepolto in mare rispettando i criteri della sepoltura musulmana. Che sensibilità!
Ma perchè non l’hanno interrogato? I Navy Seals
hanno recuperato il suo computer portatile e altri
supporti digitali, dichiarando subito che il materiale era importantissimo. Ok, ma la domanda
rimane. Anziché puntare solo al computer avrebbero potuto interrogarlo come i prigionieri di
Guantanamo. Forse non si voleva aumentare il
mito dandogli ulteriore visibilità.
Ad ogni modo, il processo ad Osama Bin Laden
in territorio americano sarebbe stato l’evento del
secolo. Così come il processo ad Adolf Eichmann
fu un modo per compiere una ricostruzione giudiziaria e poi storica della Shoah, il processo a
Osama Bin Laden avrebbe ricostruito pubblicamente e avrebbe condannato il terrorismo islamista degli ultimi decenni. Forse troppo complicato.
Si chiude una pagina della storia degli Stati Uniti,
ma il problema dell’islamismo militante rimane
aperto e le sue cause non sono risolte.
la
Rivista
n. 6 - Giugno 2011
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Benvenuto sorriso.
Benvenuti nei Total Beauty Natuzzi: lo stile che nasce dall’assidua
ricerca del bello e della qualità. La tradizione e l’innovazione che si incontrano.
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Oltrefrontiera
di Fabrizio Macrì
Il Friuli non è
una regione periferica
Spesso viene percepita come una regione
periferica del Bel Paese il Friuli Venezia Giulia, finita nell’area d’opinione sociale e politica che vorrebbe una maggiore autonomia
se non una separazione dal resto dell’Italia.
In realtà leggendo i dati sull’economia della
regione con sguardo scevro da considerazioni politiche ci si rende conto che poche
altre regioni come il Friuli sono rappresentative del sistema produttivo italiano: piccole e
medie imprese in parte sorte dai processi di
deindustrializzazione e riorganizzazione industriale degli anni ’90, 4 distretti industriali
dell’Alimentare, dell’Arredamento, dell’Abbigliamento e dell’oggettistica per la casa.
3 su 4 delle famose “A del Made in Italy”,
manca solo l’Automazione che però è ben
presente sul territorio regionale con una fiorente industria meccanica ed elettromeccanica che generano un notevole indotto anche nelle regioni vicine del Nord-Italia.
Una regione che si colloca al decimo posto in
Italia ed al quindicesimo in Europa per PIL
procapite trova la sua ricchezza non solo nella sua varietà produttiva ma anche nel dualismo culturale che vede da una parte il Friuli
con le province di Pordenone, Udine e Gorizia e la Venezia Giulia dall’altra con Trieste,
il suo porto, il suo indotto ed il suo sguardo
rivolto all’Adriatico ed all’Europa dell’Est.
Le eccellenze produttive del Friuli vanno
dalla sedia (l’80% della produzione italiana si concentra nel distretto industriale
della provincia di Udine), al mobile con un
distretto che il Friuli condivide con il Veneto e che si estende sul territorio di 30 città,
all’agroalimentare con le eccellenze famose
nel mondo del Prosciutto San Daniele, il formaggio Montasio, i vini Merlot, Sauvignon e
Cabernet, fino al coltello che viene prodotto nell’ambito di un distretto collocato nella
Provincia di Pordenone.
Accanto a queste quattro aree di eccellenze
tradizionali, si sono sviluppate negli anni
nuove produzioni di punta che trovano dei
punti di forza nelle produzioni dell’impiantistica industriale e dell’ICT concentrate
nella Provincia di Udine, nella meccanica
strumentale della Provincia di Pordenone e
nell’indotto dei trasporti e della logistica cre-
ato nella Provincia di Trieste dalla presenza
del porto e dei suoi cantieri navali.
L’export regionale nel 2010 ha ripreso a crescere in tutto il mondo ed anche sui mercati
europei (+ 14% in Germania, + 11% in Francia e + 31% in Austria). Anche verso la Svizzera l’aumento è stato consistente: + 4,3%,
dopo il drastico calo del biennio 2008 – 2009
e, alla luce della specializzazione produttiva
del Friuli, il potenziale sembra grande.
La compatibilità con la domande del mercato svizzero che, a livello pro-capite è il primo
mercato di importazione di Made in Italy nel
mondo, ed il sesto in valore assoluto, rende il
potenziale di penetrazione commerciale per
i prodotti friulani molto alto.
Altro fattore vincente, la vicinanza geografica. Se teniamo conto dei dati Unioncamere
pubblicati a fine 2010 in cui risultava che
la Svizzera da sola ha importato dall’Italia
quasi quanto la somma di India e Cina, ci si
rende conto che a 50 minuti da Milano c’è
un nano demografico (8 milioni di abitanti)
che è però per noi un gigante commerciale,
capace di importare dall’Italia quasi quanto il Regno Unito (paese di ca 60 milioni di
anime).
Esportare in Svizzera inoltre non presenta
le difficoltà logistiche, culturali, linguistiche
e organizzative che comporta un’operazione
di esportazione nei paesi emergenti.
Consente di offrire dei servizi post-vendita
senza dover aprire delle filiali sul territorio
del cliente e garantisce un’affidabilità nei pagamenti e nei rapporti di business che altri
mercati non offrono.
L’export friulano in Svizzera ammontava nel
2010 a 170 milioni di Euro rispetto ai 162 del
2009 senza che si siano registrate su questo
territorio significative azioni della promotion friulana. Le previsioni di crescita del PIL
svizzero tra l’1 ed il 2% con tassi di crescita
delle importazioni dal Mondo tra il 3 ed il
4% nel biennio 2011 – 2012, lasciano ritenere
che la collaborazione commerciale tra queste
due “tigri alpine” presenti degli importanti
margini di miglioramento, basterebbe fare
del mercato al di là del Gottardo una scelta strategica di internazionalizzazione delle
PMI friulane ed italiane.
la
Rivista
n. 6 - Giugno 2011
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Finché Zaha Hadid non ha reinventato l’architettura, non si è fermata. Come non si è fermato Patrik Schumacher, suo socio in affari. (Londra, 1993)
Finché la mia cliente non avrà la certezza che lei viene prima di tutto.
Finché non avrò capito cosa la spinge.
E cosa la frena.
Finché non saprò cosa la fa saltare giù
dal letto al mattino.
E cosa la tiene sveglia di notte.
Finché non avrà capito che sto sempre
pensando ai suoi investimenti
(persino quando lei non ci pensa).
Non solo in ufficio.
Ma anche a teatro.
A cena.
In coda nel traffico.
Finché non sentirò le sue ambizioni come mie.
Fino ad allora…
Non ci fermeremo
ubs.com/noncifermeremo-it
Nomi o riferimenti a terze persone appaiono in questa pubblicità stampata dietro loro espressa autorizzazione. © UBS 2010. Tutti i diritti riservati.
Oro - l’unica moneta veramente eterna
di Sandro Merino*
L’oro è splendido, carismatico, risoluto. Lo indossiamo per dar voce alla nostra joie de vivre e vi ci
aggrappiamo nei momenti di difficoltà. La quantità di denaro da mettere sul piatto per controbilanciare una pepita da un’oncia è oscillata molto
durante la storia. Anche nell’attuale contesto economico ci domandiamo se l’inflazione possa offuscare il fascino di questo metallo. Ma notiamo
come il valore dell’oro resista oltremodo.
Sui rischi della cartamoneta si espresse con una famosa citazione il fautore del libero scambio, Voltaire (1694
– 1778), «l’argent en papier retrouvera finalement sa valeur intrinsèque – zero». Anche i commenti economici di
oggi ricalcano questa sensazione, soprattutto alla luce
del contesto di espansione monetaria e debito pubblico
che caratterizza la primavera 2011. Dal 2001 il prezzo
dell’oro è salito da 270 a 1435 USD/oncia (al 1° aprile
2011). La funzione di bene-rifugio, che il metallo prezioso assolve per gli investitori, è cristallizzata dall’incertezza, alimentata dai recenti disordini in Nord Africa
e dal cataclisma in Giappone.
Cos’è l’oro?
L’oro è un metallo dalle proprietà straordinarie. È duttile: una sola oncia (31,1 g) può essere tesa in un filo
lungo ben 35 miglia. È malleabile: può essere battuto in
fogli tanto sottili da essere traslucidi. L’oro compete con
l’argento come conduttore di calore ed elettricità, ma
riflette meglio la luce. Grazie alla sua affidabile inerzia, resiste tenacemente all’ossidazione e solitamente
mantiene la sua composizione chimica senza reazioni
eccessive. Ma è per il suo valore come moneta e mezzo di scambio, più che per le sue proprietà di metallo
prezioso, che l’oro ha visto aumentare il suo prezzo
nell’ultimo decennio. Per via del peso, l’oro può non
essere proprio pratico come moneta circolante, tuttavia
è durevole e straordinariamente stabile come mezzo di
scambio. Al di là delle attrazioni effimere e dell’altalenante valore della cartamoneta, un’oncia d’oro è sempre stata sufficiente ad acquistare un elegante completo da gentleman. Questa capacità di conservare valore
rende l’oro unico e ben diverso dalla cartamoneta. L’oro
è la moneta a lungo termine per eccellenza.
L’oro è stabile sul lungo periodo
ma può comportare rischi a breve termine
Nell’attuale corsa del prezzo dell’oro, iniziata nel 2000,
si rilevano analogie con l’evoluzione del prezzo tra il
1970 e il 1980, quando un’oncia d’oro passò da USD 35
a USD 650, con un picco a USD 835 nel gennaio 1980.
Al netto dell’inflazione, nel 1980 un’oncia d’oro sarebbe costata in dollari odierni circa USD 2300. Il prezzo
dell’oro nel gennaio del 1980 si conferma il record sto-
rico in termini di potere d’acquisto economico. Gli anni
Settanta, come l’attuale decennio, furono caratterizzati
da una crescente inflazione e da incertezze sulla cartamoneta. Nel marzo del 1973 si abbandonò il sistema
Bretton Woods del cambio fisso; il franco svizzero e la
sterlina britannica furono le prime monete a muovere
verso un regime a tasso di cambio flessibile, seguite da
altre monete principali. Queste turbolenze spinsero in
alto il prezzo dell’oro. Dal 1978 al 1980, la Federal Reserve statunitense aumentò i tassi d’interesse dal 6,5%
a un picco del 20% nel marzo 1980. Ciò mise fine alla
corsa dell’oro, con conseguente riduzione del prezzo
da USD 700/oncia nell’ottobre 1980 a USD 300/oncia
nel luglio 1982.
Rialzi dei tassi d’interesse in Europa
e Stati Uniti: velenosi per l’oro?
Non corrispondendo interessi, come invece fa un conto di deposito bancario, l’oro tende a perdere fascino
quando i tassi d’interesse aumentano. Inoltre, quando
l’inflazione cala e la moneta si rinforza, poiché i governi
riducono il debito, gli investitori in oro hanno la peggio,
visto che la moneta più forte è in grado di acquistare
più oro. Al momento, in Eurozona anticipiamo i primi
aumenti dei tassi d’interesse dalla crisi finanziaria; la
Federal Reserve statunitense seguirà a inizio 2012. Si
tratta di elementi negativi per l’oro. Prevediamo tuttavia che l’inflazione aumenterà in Eurozona e Stati
Uniti, che invece è un fattore favorevole per il prezzo
dell’oro. In un primo momento, i rialzi dei tassi non ridurranno l’indebitamente accumulato negli Stati Uniti e in Eurozona. Al contrario, tassi maggiori possono
mettere a dura prova la capacità degli stati periferici
dell’Eurozona di onorare il proprio debito. Crediamo
quindi che il prezzo dell’oro possa toccare livelli oltre
quota USD 1600/oncia nei prossimi mesi e che difficilmente scenderà a breve. L’oro, quindi, non perde il suo
splendore per investitori a lungo termine perfettamente consapevoli dei rischi. E non bisogna certo trascurare
che, a prescindere dal prezzo, l’oro sarà sempre gradito
come regalo a una persona cara.
* Responsabile Wealth Management Research Europe, UBS SA
[email protected]
la
Rivista
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Il 2 aprile scorso il Castello di Coppet ha ospitato la conferenza L’Europe des Communes dans l’esprit de Coppet.
A colloquio con Danuta Hübner:
economista e parlamentare europeo
Un’ Europa ad alta velocità
di Michele Caracciolo di Brienza
Due bellissimi occhi azzurri trasparenti, una
giacca di pelle audace e le dita con uno smalto
rosso vivo denotano una femminilità molto curata. Il 2 aprile scorso al Castello di Coppet a margine della conferenza L’Europe des Communes
dans l’esprit de Coppet la Professoressa Danuta
Hübner, economista e parlamentare europeo, Presidente del Comitato per lo sviluppo regionale del
Parlamento europeo ed ex- Commissario Europeo
per lo sviluppo regionale ha raccontato in esclusiva per La Rivista il suo impegno nel grande progetto d’integrazione europea.
Lei è stata la prima cittadina polacca in assoluto
a ricoprire la carica di Commissario europeo.
Ho cominciato la mia attività nella Commissione europea con Romano Prodi. Lei si ricorderà senz’altro che
quando nel 2004 la Polonia aderì all’Unione Europea
furono accolti dei commissari dei nuovi paesi membri.
All’epoca lavoravo con Pascal Lamy [ora Segretario Generale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio
a Ginevra] su questioni commerciali. Nel 2004 Lamy
era Commissario al commercio ed io ero per così dire
il co-commissario. Poi nella prima Commissione Barroso [N.d.R. 2004-2009] sono stata per tutto il mandato
Commissario alle politiche regionali. Nel 2009 sono stata eletta al Parlamento europeo e sono ora responsabile
del Comitato per le politiche regionali del Parlamento. E
sono anche membro del Consiglio per le crisi economiche e monetarie e del Comitato del budget. Sono quindi
fortemente coinvolta nelle riforme economiche.
Oggi l’Unione Europea conta circa 500 milioni di
abitanti che rappresentano il 7% della popolazione
del pianeta e il 30% della sua economia. Quali crede siano i limiti all’allargamento dell’Unione?
500 milioni di persone non sono tante in confronto al
resto del mondo. In futuro la percentuale del 7% diminuirà poiché la popolazione mondiale sta aumentando
più rapidamente della popolazione europea. La crescita della popolazione europea è dovuta in gran parte
dall’immigrazione. Di certo l’economia dell’Unione è
per il momento il 30% di quella mondiale ed è senz’altro una quota rilevante. Tuttavia, altre economie come
quella cinese crescono più rapidamente della nostra.
L’Europa sta cercando con impegno di continuare ad
essere una parte importante dell’economia mondiale.
C’è il rischio di perdere terreno. La prima sfida per noi
è affrontare uniti il futuro, di rafforzare l’integrazione e
di proseguire con l’allargamento.
L’espansione della pace, della democrazia e della stabilità sono alcuni dei successi dell’UE. Abbiamo una lista
di paesi candidati. Stiamo negoziando con la Turchia
e con la Croazia. Quest’ultima potrebbe aderire entro quest’anno. Nel 2003 abbiamo promesso ai paesi
dei Balcani occidentali - Macedonia, Serbia, Kosovo e
Montenegro e Albania - che sarebbero diventati membri dell’Unione. I nuovi membri sono poveri, ma mol-
la
Rivista
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to dinamici. Sono mercati nuovi con una popolazione
giovane e istruita. L’allargamento quindi porta con sé
l’opportunità per l’Europa di crescere rapidamente.
La situazione con la Turchia è particolare poiché da
più di quarant’anni sta negoziando con l’Europa. Dal
2005 la sua ammissione è oggetto di discussione. È
una negoziazione aperta e non è garantita la sua ammissione all’Unione. Credo tuttavia che l’Europa oggi
debba completare il suo allargamento e cambiare la sua
politica di vicinato. Abbiamo evidentemente fallito in
Nord Africa. Sono state realizzate partnership strategiche con la Russia e l’Ucraina che ha uno status di paese
associato. L’UE ha rapporti speciali con la Bielorussia
e abbiamo proposto sanzioni per via della mancanza
di progressi democratici. L’Unione è coinvolta in vari
modi con i paesi vicini poiché riteniamo sia molto importante che mantenga buone relazioni con loro.
«Dobbiamo riuscire ad andare oltre gli aspetti
puramente economici e guardare ad altre dimensioni della nostra vita di europei»
Il PIL ha dimostrato tutti i suoi limiti in quanto indicatore del progresso civile di una nazione o come
misura indiretta della felicità di un popolo. Si cerca
un’altra misura della felicità con cui valutare anche
l’operato dei politici.
Il PIL misura il progresso economico che non è detto
coincida con l’armonia di una società. Il mercato unico
ha comportato la libera movimentazione di capitali, di
merci, di cittadini e di servizi. È da considerarsi la maggiore conquista del processo d’integrazione europea.
Oggi tuttavia dobbiamo pensare ad altre dimensioni
di integrazione come, ad esempio, la cultura. Anche
la felicità delle persone rientra in questi nuovi aspetti da considerare nell’integrazione di società diverse.
L’obiettivo è di avere società più coese ed essere più
inclini al benessere dei cittadini. Dobbiamo riuscire ad
andare oltre gli aspetti puramente economici e guardare ad altre dimensioni della nostra vita di europei. Dico
questo pensando anche alla felicità, perché le persone
felici sono anche lavoratori migliori, che contribuiscono
allo sviluppo civile dell’Europa. Si guarda alla cultura
non solo come una dimensione in cui è possibile trovare intrattenimento e soddisfazione estetica. La cultura
è anche una fonte di reddito. L’Europa e l’Italia in particolare hanno un potenziale invidiabile da sfruttare per
attirare turisti dall’estero.
La Polonia riceve il 20% dei fondi destinati alle
aree meno sviluppate fra i ventisette Stati membri.
Nel 2005 sei delle dieci regioni più povere d’Europa erano polacche. 900 milioni di euro sono stati
destinati alla Polonia per progetti infrastrutturali
quali strade, ospedali, scuole, innovazione digitale, ricerca e accesso a internet. In totale sono in corso 240 progetti per questo programma regionale di
sviluppo nel periodo 2004-2013. L’integrazione di
Stati nazione che porta avanti l’Unione Europea mi
sembra essere una sorta di “best practice” per altre
regioni del pianeta.
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la
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Due bellissimi occhi azzurri trasparenti,
una giacca di pelle audace…
Quando ero Commissario per le politiche regionali ho
iniziato una cooperazione con la Cina, il Brasile, con la
Russia e l’Ucraina. Ho firmato accordi con questi paesi
perché volevano un aiuto per progettare la loro politica
regionale dato che soffrono di profonde disparità regionali. In Cina, ad esempio, la differenza tra l’interno
e la costa è molto marcata. Quando una nazione cresce rapidamente è più probabile che queste disparità
regionali emergano prepotentemente. I cinesi erano
quindi interessati a comprendere come funziona la
politica regionale dell’Unione Europea. Abbiamo disegnato per loro una serie di politiche per organizzare gli aiuti regionali, scegliendo dei criteri specifici per
ogni regione. C’è stata una forte cooperazione a tutti
i livelli dell’amministrazione cinese sul funzionamento della loro politica regionale. Abbiamo fatto lo stesso
con il Brasile, con la Russia e l’Ucraina. In altri continenti apprezzano che l’Europa sia riuscita ad affrontare
questo tipo di politiche e a ridurre la diseguaglianza
tra regioni. In tal modo si libera il potenziale di crescita
delle regioni arretrate. L’Europa è piccola e non possiamo permetterci di lasciare una sua parte fuori dalla
crescita. Come lei ha detto prima, siamo soltanto il 7%
della popolazione mondiale e tutti devono contribuire
al progresso dell’Unione. La solidarietà significa che
chiunque, a prescindere dal luogo di residenza, ha il
diritto di beneficiare dell’integrazione. Se una zona è
molto povera, non ha accesso al commercio e non ne
trae vantaggio. Gli investitori non arrivano. Questo è il
motivo per cui dobbiamo attuare queste politiche e il
resto del mondo è interessato a sapere come facciamo.
Ci vedono come un modello da imitare per affrontare le
disparità tra regioni. Adesso anche gli Stati Uniti sono
interessati a questo tipo di politiche legate al territorio.
“A livello di governo mancano i leader con un progetto coinvolgente. Ricordo Helmut Kohl…”
Il loro approccio ricalca quello dell’Unione Europea.
Oggi il sindaco di Coppet, Pierre André Romanens, ha
detto che tutte le sfide mondiali come il riscaldamento
ambientale o la crescita demografica hanno un impatto
sulle comunità locali. Il modo migliore per affrontarle è
proprio con una coordinazione a livello locale.
«Dovremmo pensare ad un’Unione Europea che assomigli sempre di più alla Confederazione Elvetica»
La Confederazione Elvetica è una sorta di Europa
in miniatura. Non fa parte dell’Unione, anche se
ha ratificato decine di accordi bilaterali con i paesi
membri. Come convincerebbe gli svizzeri a votare
a favore dell’Unione Europea? Le chiedo ciò perché
mi sembra che essere membro dell’Unione sia un
ottimo affare per i paesi meno ricchi del “club”.
Mi permetta di dissentire da quello che ha detto. Dipende come si misurano i benefici dell’integrazione.
C’è la tendenza diffusa a misurarli con i trasferimenti di fondi strutturali del budget comunitario. E’ chiaro
che questo tipo di aiuto è importante per i paesi poveri
dell’Unione. Tuttavia, una parte di questi fondi ritorna
indietro a tutti i paesi dell’Unione perché gli investitori
partecipano nello sviluppo indotto dai fondi. Ci sono
calcoli che dimostrano che per ogni euro investito nelle
aree povere almeno i 40-50 centesimi ritornano agli altri
paesi. Inoltre, se pensiamo al mercato interno i paesi
ricchi hanno più benefici di quelli poveri. In Germania,
per esempio, i profitti dovuti al mercato unico sono superiori a quelli nei paesi meno sviluppati dell’Unione. I
Länder orientali traggono grande vantaggio dai fondi
strutturali. In Europa i benefici dell’integrazione non
sono solo legati al trasferimento di fondi strutturali, ma
si tratta di una relazione da cui tutti traggono vantaggio.
La Svizzera non ha aderito all’Unione perchè i cittadini hanno votato contro [N.d.R. Il referendum del
2001, 76% contrari]. Ci sono diverse paure al riguardo. I diversi sistemi decisionali svizzeri avrebbero reso
molto complessa l’adesione. Ma c’era anche la paura
dell’immigrazione allofona e francofona. Nonostante ciò, l’Unione ha relazioni strette con la Confederazione Elvetica. Non dimentichiamo che la Svizzera fa
comunque parte del mercato interno e contribuisce finanziariamente alla politica di coesione per i paesi più
poveri dell’Unione. La Svizzera dunque paga per i benefici che riceve dalla partecipazione al mercato unico.
Mi piacerebbe vedere un giorno la sua adesione, ma
capisco che c’è ancora bisogno di tempo. Dovremmo
semmai pensare ad un’Unione Europea che assomigli
sempre di più alla Confederazione Elvetica. Già adesso
l’Unione favorisce il potere delle realtà regionali e locali. La partecipazione dal basso della società civile è via
via crescente in Europa. La tendenza a decentralizzare
è presente e sempre più competenze stanno andando
ai municipi, per esempio. Possono rispondere in maniera più efficace alle specificità del territorio. È il principio di sussidiarietà che viene applicato. Allo stesso
tempo i cittadini aspettano le vere soluzioni dai leader
locali, vista la difficoltà di affrontare le grandi questioni
su scala sovranazionale.
«L’uso irregolare dei fondi strutturali non dipende solo dalle politiche europee, ma è anche un
problema italiano»
Alcuni anni fa ci sono stati dei seri problemi in
Calabria. I fondi strutturali non sono stati usati in
modo appropriato. Ci sono state indagini della magistratura e grazie alla cooperazione con l’OLAF,
Office Européen de lutte anti-fraude, è emersa una
situazione raccapricciante di sprechi e ruberie.
Le segnalazioni all’autorità giudiziaria italiana
ammontano a circa 320 milioni di euro. Questo
è l’ammontare delle presunte frodi ai danni dei
fondi strutturali comunitari [Fonte: dottor Paolo
Luigi Rebecchi - Vice Procuratore Generale della
Corte dei Conti]. Questi fondi sono gestiti dalle
amministrazioni locali, ma spesso sono utilizzati
in maniera clientelare e improduttiva. Come può il
governo italiano affrontare questi comportamenti
dannosi?
Mi sono recata varie volte in Calabria. Il problema è
di alcune zone del Mezzogiorno. Non lo considererei
come un blocco omogeneo dato che alcune regioni come la Puglia hanno utilizzato i fondi in maniera efficiente. L’uso irregolare dei fondi strutturali non
dipende solo dalle politiche europee, ma è anche un
problema italiano. È necessaria una buona politica che
venga da Roma. In qualità di Commissario alle politiche regionali insieme al Presidente Giorgio Napolitano [N.d.R. Parlamentare europeo dal 1999 al 2004]
abbiamo organizzato conferenze a Bruxelles su come
aiutare il Sud Italia e la Calabria in particolare per usci-
la
Rivista
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re da questa situazione stagnante. È difficile e c’è bisogno sia dell’Unione sia del governo italiano. A Bruxelles c’è tolleranza zero per tutte le truffe che riguardano
i fondi strutturali. C’è bisogno anche dell’intervento
della Chiesa e che tutti condividano quel senso di onestà che permette alla collettività di beneficiare di un
investimento, non solo a pochi privilegiati disonesti.
La giustizia non si può evitare e prima o poi queste
malversazioni vengono alla luce. La disonestà nell’uso
degli investimenti comunitari crea dei danni a tutta
l’Italia che non sta certo avendo una buona crescita
economica. Sono tutte occasioni mancate.
Sono personalmente preoccupata della situazione italiana e mi auguro di vedere l’Italia più presente in Europa. Il vostro paese ha diversi problemi: uno fra tutti
è il debito pubblico, detenuto principalmente dalle
famiglie italiane. Le piccole e medie imprese, la vera
forza della vostra economia, continueranno ad essere
appoggiate dall’Unione.
Il progetto di costruzione europea
è un cantiere aperto. Quali sono le prossime tappe?
L’Europa sta andando avanti a piccoli passi. Siamo in
un momento difficile. Purtroppo non vedo una particolare attenzione dei governi a cercare soluzioni comuni. Abbiamo quella che adesso si chiama “Europa
a due velocità”. Ci sono le riforme della zona euro da
fare. I mercati finanziari non digeriscono il fatto che ci
sia una politica monetaria e diciassette politiche fiscali.
I 17 paesi che hanno l’euro si riuniscono a porte chiuse
e gli altri dieci paesi membri dell’UE sono lasciati fuori.
In realtà, recentemente il Consiglio Europeo ha deciso
tramite il Pact for the Euro di coinvolgere nelle riforme
strutturali i paesi membri che non appartengono alla
zona euro (ad eccezione del Regno Unito, Repubblica
Ceca e Ungheria). In questo modo cerchiamo di aumentare la competitività del sistema. Ciò permette di
evitare un’Europa a due velocità. Oggi l’obiettivo principale è di avere una sola Europa ad alta velocità. Se
cosi non fosse rischieremo il fallimento del progetto
europeo.
Non trova che ci sia una grande distanza tra le istituzioni comunitarie e il grande pubblico? A volte
ho come l’impressione che la grandezza del progetto d’integrazione non sia di interesse dei cittadini europei.
Certo. L’Europa soffre di un deficit di comunicazione. Non si può pensare però che sia solo Bruxelles a
occuparsi di comunicare il progetto europeo. I media
locali vanno coinvolti per spiegare l’utilità dell’UE ai
cittadini. Allo stesso tempo la scuola è il luogo principale dove divulgare le motivazioni storiche alla base
dell’Unione. In Polonia, ad esempio,l’Unione Europea
era al centro dei dibattiti prima dell’adesione . Dopo
l’adesione non se n’è più parlato. Purtroppo oggi solo
quando c’è uno scandalo si parla dell’Unione, ma bisognerebbe trovare il tempo di dedicarle spazio anche
per riportare gli aspetti positivi. È un’esperienza sovranazionale del tutto unica.
«Percepimmo chiaramente che qualcosa di nuovo stava succedendo. L’elezione di Karol Wojtyla
20
la
Rivista
n. 6 - Giugno 2011
“Si poteva essere d’accordo o meno con il suo approccio, ma come
leader carismastico è stato straordinario in special modo con i giovani. I giovani hanno bisogno di queste figure”
al soglio di Pietro avrebbe senz’altro portato dei
cambiamenti in Polonia»
Oggi in Europa forse risentiamo la mancanza di leader carismatici e con una grande visione.
Sono d’accordo con lei. A livello di governo mancano i
leader con un progetto coinvolgente. Ricordo Helmut
Kohl quando iniziò il primo allargamento dell’Unione
Europea a Est dopo la riunificazione della Germania.
In quel caso la presenza di un leader con una visione
chiara fu indispensabile e Kohl riuscì in questo.
Il Beato Giovanni Paolo II è stato senz’altro un
leader dal carisma immenso. Si ricorda della sua
elezione? Lei era in Polonia all’epoca?
Ero a Varsavia nel mio appartamento. Nessuno poteva immaginare che un polacco ce l’avrebbe fatta.
All’epoca mia sorella abitava a Roma. Ricordo che mi
disse per telefono “Habemus Papam” in Polacco. Fu
per noi un segno di speranza nel futuro. Percepimmo
chiaramente che qualcosa di nuovo stava succedendo.
Quell’elezione avrebbe senz’altro portato dei cambiamenti in Polonia, come poi avvenne. Ho avuto l’onore
di incontrare e di dialogare diverse volte con Giovanni
Paolo II. L’ultima volta fu in Vaticano durante un’esibizione di un gruppo di ballerini polacchi di break-dance,
un’esperienza incredibile e il papa si divertì molto. Poi
andai nel 2005 al suo funerale quand’ero Commissario
europeo. Si poteva essere d’accordo o meno con il suo
approccio, ma come leader carismastico è stato straordinario in special modo con i giovani. I giovani hanno
bisogno di queste figure.
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ANCHE I CITTADINI ITALIANI RESIDENTI ALL’ESTERO
CONCORRONO ALLA DEFINIZIONE DEL QUORUM
Al voto per i quesiti referendari
Sono circa 3.300.000 i connazionali residenti
all’estero ed iscritti all’AIRE ed alle liste elettorali che, con coloro che si trovano temporaneamente
in altri Paesi per motivi di servizio (in particolare, funzionari della pubblica amministrazione o
militari in missione e professori universitari) potranno votare per i referendum di giugno. Anche
gli italiani all’estero concorrono alla definizione
del quorum (50% +1 degli aventi diritto) senza il
quale il referendum risulterebbe invalidato.
Quattro i quesiti referendari a cui sono stati chiamati a
rispondere gli elettori: il legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri a comparire
in udienza penale; il ritorno all’energia nucleare e la privatizzazione dell’acqua prevista dal decreto “Ronchi” (due
quesiti).
Il Governo ha deciso di congelare i già previsti investimenti nel settore nucleare a data da destinarsi. Il referendum
sul nucleare, è stato di conseguenza sospeso con un
emendamento, contenuto nel Decreto legge così detto
“omnibus” approvato dal Senato il 20 aprile e alla Camera
il 25 maggio scorsi, con cui vengono abrogate le norme
contenute nel quesito referendario, in teoria facendo così
venir meno tutta la materia del referendum antinucleare.
Spetta però alla Cassazione decidere sull’eventuale sospensione del referendum. Mentre scriviamo non ha ancora potuto pronunciarsi nell’attesa che il Decreto venga
firmato dal Presidente della Repubblica e infine pubblicato sulla Gazzetta ufficiale.
Il voto per i referendum dei cittadini residenti all’estero
ed iscritti all’AIRE si esprime esclusivamente per corrispondenza. Chi, a far data dallo scorso 29 maggio non
avesse ricevuto il plico elettorale, può recarsi di persona
all’Ufficio consolare di riferimento per verificare la propria
posizione elettorale.
Istruzioni per votare
All’interno del plico elettorale si trovano:
1 certificato elettorale
4 schede elettorali
2 buste, una completamente bianca e una più grande già
affrancata con l’indirizzo dell’Ufficio Diplomatico-Consolare
1 foglio informativo
Per votare si utilizza esclusivamente una penna di colore
nero o blu.
Si vota tracciando un segno sul rettangolo della scheda
che contiene la risposta prescelta (SI o NO).
Dopo aver votato bisogna inserire le schede elettorali nella
busta bianca e chiudere la busta. Poi la busta bianca va inserita nella busta già affrancata con l’indirizzo della Rappresentanza Diplomatico –Consolare, e spedita in modo
che possa essere recapitata entro le ore 16 del 9 giugno.
Il tagliando del certificato elettorale va inserito nella busta
già affrancata e non in quella busta bianca (che deve
contenere solo le schede).
La busta già affrancata va chiusa e spedita all’Ufficio Diplomatico-Consolare.
Non bisogna aggiungere il mittente.
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IN SVIZZERA NEL 2010
Il consumo di elettricità
è cresciuto del 4%
Nel 2010, il consumo di elettricità in Svizzera è
aumentato del 4,0%, attestandosi a 59,8 mia. kWh
(2009: 57,5 mia. kWh). Il maggiore fabbisogno di
elettricità, a fronte di una minore produzione indigena, ha condotto nel 2° e nel 3° trimestre 2010 a
un massiccio calo dell’eccedenza di esportazioni rispetto all’anno precedente. I principali fattori economici che influiscono sul consumo elettrico sono
la crescita economica e l’evoluzione demografica.
Nel 2010, il prodotto interno lordo (PIL) è aumentato del 2,6% (fonte: Segreteria di Stato dell’economia, SECO). Per quanto riguarda l’evoluzione
demografica, stando agli scenari stilati dall’UST,
nel 2010 la popolazione elvetica sarebbe cresciuta
di circa lo 0,9 %. Anche le temperature nettamente più rigide registrate l’anno scorso (aumento dei
gradi-riscaldamento del 12,7% rispetto al 2009)
sono all’origine di un maggiore consumo elettrico:
stando all’analisi dei consumi in funzione dello
scopo (UFE/Prognos 2010), la quota di elettricità
impiegata per riscaldare nel 2010 è stata pari al
10% del consumo globale.
Elevata produzione di elettricità nonostante
il calo della produzione delle centrali nucleari
Nel 2010, la produzione di elettricità delle centrali elettriche svizzere è diminuito dello 0,4%, ed ha raggiunto
66,3 mia di Kwh. Dopo il 2001, anno record, si tratta
del quinto valore più elevato sinora registrato. Gli impianti idroelettrici (centrali elettriche ad acqua fluente
e centrali elettriche ad accumulazione) hanno prodotto
lo 0,8% di elettricità in più rispetto al 2009. La produzione degli impianti ad acqua fluente è diminuita dello
0,5%, quella degli impianti ad accumulazione è aumentata dell’1,9%. Nell’estate 2010, la produzione delle centrali idroelettriche è diminuita dell’8,4% rispetto
all’anno precedente. Nei due trimestri invernali, invece,
è aumentata del 16,5%; in particolare nel 4° trimestre
del 2010 si è registrata una produzione di gran lunga
maggiore rispetto al 2009 (+ 30,7%). La produzione di
elettricità delle centrali ad accumulazione nel 4° trimestre è salita addirittura del 41,5%.
Nonostante il nuovo record registrato dalla centrale di Mühleberg, la produzione di elettricità delle
centrali nucleari svizzere è calata da 26,1 mia. kWh
(2009) a 25,2 mia. kWh (- 3,5%). Il grado di disponibilità delle centrali nucleari svizzere è stato pari
all’88,7% (2009: 92,4%).
L’energia elettrica complessiva prodotta in Svizzera nel
2009 proveniva per il 56,5% dalle centrali idroelettriche, per il 38,1% dalle centrali nucleari e per il 5,4% da
impianti termici convenzionali e da altri impianti.
Eccedenza delle importazioni nel 2010
Nel 2010, per sei mesi, la produzione nazionale di elettricità ha superato il fabbisogno interno (consumo nazionale). Globalmente, nel 2010, sono state effettuate
importazioni per 66,8 mia. kWh ed esportazioni per
66,3 mia. kWh, con un’eccedenza di importazioni pari
a 0,5 mia. kWh (2009: eccedenza pari a 2,2 mia. kWh).
Per la terza volta dopo il 2005 e il 2006, in Svizzera si è
dunque registrata un’eccedenza di importazioni.
Nel 2010, i proventi delle esportazioni sono ammontati a 5 064 milioni di franchi (7,65 cent./kWh), le spese
per le importazioni a 3 736 mio. (5,60 cent./kWh). Rispetto al 2009, si è pertanto registrato un aumento delle
entrate pari al 7,3%. Nel 2010, le uscite sono cresciute
del 18,0%. Il saldo positivo del commercio estero della
Svizzera è calato del 14,5%, attestandosi a 1 328 mio.
di franchi.
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Rivista
n. 6 - Giugno 2011
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LO SVILUPPO SOSTENIBILE VENT’ANNI DOPO RIO
Abbandonare la crescita incontrollata
Nel maggio 2012 si terrà a Rio la conferenza dell’ONU “Rio+20”. Vent’anni dopo il primo Vertice della
Terra, per la comunità degli Stati sarà l’occasione per redigere un bilancio dello sviluppo sostenibile.
Il pianeta ha bisogno di un’economia oltre la crescita
di Rosmarie Bär*
Nel 1992, al Vertice della Terra di Rio, la comunità internazionale si è impegnata a seguire
la via dello sviluppo sostenibile. Era la nascita
della «politica interna mondiale» e la promessa
di un nuovo paradigma dello sviluppo. L’unico
modo per “assicurare un futuro più sicuro e più
prospero” è un «approccio equilibrato ed integrato dei problemi dell’ambiente e dello sviluppo»,
si legge nell’Agenda 21, il programma d’azione
adottato dai membri dell’ONU. In questo modo
«potremo soddisfare i bisogni fondamentali, migliorare il livello di vita per tutti, meglio proteggere e meglio gestire gli ecosistemi». I paesi
industrializzati, in conformità al principio del
“chi inquina paga”, hanno accettato, allora, di
assumersi la responsabilità principale.
Sulla via dell’autodistruzione
Lo sviluppo degli ultimi 20 anni ha calpestato le
decisioni di Rio. Gli indicatori economici, sociali ed ecologici lampeggiano sul rosso. L’ecosistema
terrestre si disgrega. L’impronta ecologica dei paesi
industrializzati supera la capacità di carico e di rigenerazione della terra. La deforestazione è al culmine. La biodiversità affonda. L’acqua potabile diventa
sempre più rara. I mari si svuotano dei loro pesci. Il
numero delle persone che soffrono la fame aumenta, mentre immense superfici vengono coltivate per
produrre agrocarburanti piuttosto che alimenti. La
corsa alle risorse non rinnovabili è sempre più spietata.
I cambiamenti climatici dimostrano in modo esemplare l’insostenibilità dei nostri modi di produzione
e di consumo. I 20 anni dopo Rio sono sinonimo di
fallimento collettivo della politica. Da tempo, è oramai chiaro che non c’era la volontà d’indurre un
vero cambiamento di paradigma. Due anni dopo il
Vertice della Terra, è stata creata l’Organizzazione
mondiale del commercio (OMC), allo scopo di stabilire il primato del libero scambio. Mentre i capi di
Stato, a Rio, confermavano che il modo economico
e di sviluppo del Nord non era generalizzabile, con
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n. 6 - Giugno 2011
l’OMC lo estendevano all’intero pianeta. L’apertura
dei mercati era garantita dalle possibilità di severe
sanzioni, mentre le regole ambientali e sociali di
Rio rimanevano semplici obblighi morali e politici.
Inoltre, l’applicazione delle tre convenzioni di Rio a
carattere di diritto internazionale vincolante – come
il Protocollo di Kyoto – non ha cessato d’essere aggirata. Per accompagnare l’applicazione dell’Agenda
21, l’ONU ha creato la Commissione per lo Sviluppo
Sostenibile (CSS). Dall’inizio, è stato un organismo
debole, senza competenza decisionale. La sua influenza e le sue ambizioni si sono poi disgregate nel
corso degli anni. Se la comunità degli Stati prende
sul serio il cammino comune verso «un futuro più
sicuro e prospero», deve approfittare di “Rio+20” per
creare e rafforzare le strutture necessarie dell’’ONU.
Rotta verso l’«economia verde»
L’«economia verde», in base agli auspici dell’Assemblea generale dell’ONU, deve costituire uno dei temi
principali di “Rio+20”. Ban-Ki Moon, suo segretario
generale, in un rapporto d’inizio anno ha scritto che
le opportunità di sviluppo dei paesi poveri sono minacciate. Essi temono che i paesi ricchi non proteggano i loro mercati con standard ambientali.
Il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente
(UNEP) ha recentemente calcolato che il 2% del
prodotto interno lordo (PIL) mondiale basterebbe per innestare la transizione verso un’economia
mondiale verde. Un investimento di 1’300 miliardi
di dollari all’anno permetterebbe di mettere in piedi un’economia di mercato mondiale ecologica e di
sconfiggere la povertà. L’UNEP, tuttavia, non mette in discussione il bisogno di crescita: «È evidente
che le nostre economie debbano continuare a crescere e a
svilupparsi. Questo sviluppo non può tuttavia avvenire
a scapito dei sistemi da cui dipende la vita sulla terra,
negli oceani o nell’atmosfera e che permettono alle nostre
economie, e quindi ad ognuno di noi, di esistere», ha dichiarato il suo direttore Achim Steiner.
Gli ambienti economici hanno creato il Business Action for Sustainable Development 2012 per coordinarsi
in vista di “Rio+20”. Sono già stati coinvolti nei preparativi del Vertice. Per ora, le ONG del Nord e del
Sud non hanno nulla di paragonabile. Se la società
civile vuole influenzare i contenuti di “Rio+20”, deve
unire le forze ed entrare in scena, anche in Svizzera. Senza una visione comune di ciò che per essa è
l’«economia verde», non riuscirà a far sentire la sua
voce a Rio.
L’illusione della «crescita verde»
L’OCSE non parla di «economia verde», ma di «crescita verde». Prossimamente presenterà la sua strategia. L’OCSE vuole rafforzare la crescita economica
e al contempo lottare contro le crisi ecologiche. Da
parte sua, l’Unione europea ha adottato una strategia 2020 per una «crescita intelligente, sostenibile ed
inclusiva». Questi due esempi mostrano che i paesi industrializzati intendono combattere le crisi del
XXI secolo con ciò che le ha provocate: ancora più
crescita.
Eppure c’è una verità semplice, che non può essere
invalidata con l’aggettivo «verde»: in un mondo finito, la crescita infinita è impossibile. La terra è uno
spazio limitato. I suoli e le risorse non rinnovabili
non aumentano. La biosfera non cresce e non può
assorbire sostanze inquinanti all’infinito. Non è pos-
sibile combattere i cambiamenti climatici e far fronte
alla rarefazione delle risorse solamente aumentando
l’efficienza energetica e con le tecnologie verdi. L’ingenua credenza nell’efficienza è uno degli ostacoli
principali alla ricerca di modalità di sviluppo umane, eque ed ecologiche. Per rimanere sotto il fatidico
limite di 2 °C di riscaldamento climatico, con una
crescita economica media del 3% all’anno entro il
2015, Fred Luks, responsabile dello sviluppo sostenibile presso l’UniCredit Bank Austria, ha calcolato
che sarebbe necessario un fattore d’efficacia di 43.
Optare per la sobrietà “felice”
È una parola che il mondo politico come pure le
organizzazioni di sviluppo ed ambientali temono
come la peste: la sobrietà “felice”. Hanno paura di
fare la figura di austeri e scorbutici apostoli della rinuncia. Certamente, è più facile ripartire con maggior equità i guadagni della crescita. Sobrietà “felice”
vuol dire un’economia del «benessere con dimensione
di giustizia e di etica» piuttosto che del «sempre più».
All’entrata del tempio di Apollo a Delfi, si può leggere: «Nulla di troppo». Forse la prima definizione di
sobrietà «felice» pervenutaci.
Per fermare lo sfruttamento abusivo delle risorse naturali ed offrire ai paesi poveri lo spazio per il loro
sviluppo, il mondo industrializzato deve mettere in
discussione la sua dipendenza dalla crescita basata
sulle energie fossili.
Un’economia sostenibile e capace di tutelare le basi
della vita non deve solo crescere, bensì anche decrescere in certi settori.
Non esiste uno scenario per una crescita al contempo continua e sostenibile in un mondo che, nel 2015,
ospiterà 9 miliardi di persone. Al suo posto, c’è bisogno di un’equa ripartizione di ciò che già c’è, per
permettere una vita degna a tutti gli esseri umani su
questa terra. Vale, quindi, la pena di scandagliare le
condizioni e possibilità di un’economia di post-crescita. Questa la sfida politica del XXI secolo che deve
accettare la prossima conferenza di Rio.
(Traduzione dall’originale: Fabio Züger)
*Alliance Sud (dal 1996 al 2010)
Comunità di lavoro Swissaid, Sacrificio Quaresimale,
Pane per tutti, Helvetas, Caritas, Aces
www.alliancesud.ch
www.earthsummit2012.org
Il problema, siamo noi
Il professore Mohan Munasinghe (Sri Lanka), vicepresidente del Consiglio mondiale del clima (GIEC),
ha fatto una proposta che merita riflessione per
Rio+20: “Dovremmo concentrarci sull’1.4 miliardi di
persone che rappresentano il 20% dei più ricchi della popolazione mondiale. Consumano l’80% della produzione
mondiale, ossia 60 volte di più rispetto al 20% dei più
poveri. Visto che questi paesi totalizzano l’80% delle emissioni di gas ad effetto serra e del consumo di risorse, piccoli cambiamenti farebbero già una grande differenza”.
(Traduzione dall’originale: Anna Rizzo Maggi)
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Italia e pannelli solari: la corsa
agli incentivi più alti d’Europa
La normativa comunitaria e nazionale.
Dal Libro Verde dell’Unione Europea al Conto Energia italiano
di Doris Reichel*
Il primo passo compiuto dall’Unione Europea verso una strategia a favore dell’energia rinnovabile
risale al 20.11.1996, quando la Commissione Europea ha adottato il Libro Verde “Energia per il futuro: le fonti energetiche rinnovabili”, che ha suscitato un vasto ed acceso dibattito incentrato sulle
misure prioritarie da attuare a livello comunitario e nazionale al fine di incentivare la produzione di
energia da fonti rinnovabili e di ridurre le importazioni di petrolio proveniente dai paesi produttori
dell’OPEC, dai cui attualmente dipende circa il 50% del nostro approvvigionamento energetico. Nel
1997 è seguita l’adozione del Libro Bianco per una strategia e un piano di azione della Comunità e nel
2001 quella del Libro Verde sulla sicurezza dell’approvvigionamento energetico, che si è occupato anche del tema della dipendenza energetica dei Paesi membri. In Italia, l’impulso maggiore alla promozione delle fonti rinnovabili è avvenuto con la direttiva 2001/77/CE a cui è stata data attuazione con
il D.lgs. n. 387/2003 (G.U. 31.01.2004 n. 25) con il quale da un lato è stata prevista la semplificazione
delle procedure amministrative per la realizzazione degli impianti nel rispetto delle competenze dello
Stato, delle Regioni e degli Enti Locali e dall’altra è stato introdotto un sistema di incentivi miranti
alla diffusione delle fonti rinnovabili nella produzione energetica.
Il recepimento nel diritto italiano.
La procedura amministrativa
In applicazione dell’art. 6 della Direttiva 2001/77/CE,
l’art. 12 del D.lgs. n. 387/2003 dispone che la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia
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n. 6 - Giugno 2011
elettrica alimentati da fonti rinnovabili, gli interventi di
modifica, potenziamento, rifacimento e riattivazione
nonché le opere e le infrastrutture indispensabili alla
costruzione e all’esercizio degli impianti stessi, sono
soggetti ad una autorizzazione unica rilasciata dalla
regione o dalle province. Il procedimento di autorizzazione deve giungere a conclusione entro un termine
massimo di 180 giorni. Il rilascio dell’autorizzazione
deve contenere l’obbligo alla rimessa in pristino dello
stato dei luoghi a carico del soggetto esercente a seguito della dismissione dell’impianto.
L’art. 12, comma 7, del D.lgs. n. 387/2003, riconosce la
possibilità di realizzare gli impianti anche in zone urbanisticamente considerate agricole, soprattutto in considerazione della finalità di protezione dell’ambiente
perseguite dalla predetta attività imprenditoriale, ampliando conseguentemente le zone e le aree del territorio abilitate a produrre energia, prima limitate alle zone
industriali e commerciali.
Gli incentivi previsti dal c.d. Conto Energia
Il vero sviluppo del settore si è avviato a seguito
dell’emanazione del decreto del 19.02.2007 del Ministero dello Sviluppo economico di concerto con il
Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e
del mare che, in attuazione dell’art. 7 del citato D.lgs.
n. 387/2003, ha introdotto la nuova disciplina del c.d.
Conto Energia.
Il Conto Energia è un programma di incentivazione
che nasce con l’obiettivo di supportare la diffusione del
fotovoltaico in Italia, ai sensi del quale l’energia prodotta da impianti fotovoltaici ha diritto ad una tariffa
incentivante che varia in considerazione della potenza
nominale e della tipologia dell’impianto (integrato, semintegrato o non integrato).
La tariffa incentivante è riconosciuta per un periodo di
vent’anni a decorrere dalla data di entrata in esercizio
dell’impianto e rimane costante per l’intero periodo di
incentivazione. Tale previsione ha notevolmente favorito lo sviluppo del settore proprio in virtù della redditività costante dell’investimento, garantita dalla tariffa
incentivante.
A partire dall’anno 2009, con decreti da emanarsi con
cadenza biennale, sono state ridefinite le tariffe incentivanti per gli impianti che entrano in esercizio negli
anni successivi al 2010.
La terza edizione del sistema incentivante è entrata ufficialmente in vigore il 01.01.2011 e scadrà il 31.12.2013.
I soggetti responsabili, ammessi a beneficiare degli incentivi, sono persone fisiche, persone giuridiche, soggetti pubblici o condomini di unità immobiliari ovvero
di edifici. Pur mantenendo invariata la struttura essenziale del meccanismo incentivante, ci sono importanti
novità a partire dal 2011 che riguardano in primis le
tariffe economiche, le classi di potenza e le tipologie
di impianti incentivati. In più vengono introdotti dei
premi per favorire l’abbinamento del fotovoltaico ad
un uso efficiente dell’energia, per incentivare la sostituzione di eternit e la loro installazione in aree particolari come discariche, cave, aree ex industriali e siti da
bonificare.
Guida agli investimenti: la qualificazione giuridica
degli impianti fotovoltaici
Il primo passo da compiere per coloro che intendono
investire in Italia è quello di valutare quale tipologia di
contratto stipulare in loco, tenendo in considerazione i
costi ed i rischi sottesi alla soluzione prescelta.
In via preliminare, al fine di poter compiere tale valutazione, è necessario qualificare giuridicamente gli impianti fotovoltaici, ovvero stabilire se essi appartengano
alla specie dei beni mobili o dei beni immobili. Tecnicamente l’impianto fotovoltaico è composto da una
serie di componenti collegati funzionalmente tra loro
tramite cavi elettrici e strutture di sostegno ed include:
a) Dei moduli o pannelli fotovoltaici, cioè i dispositivi
in grado di convertire l’energia solare direttamente in
energia elettrica; b) Un inverter, cioè il componente che
trasforma la corrente continua prodotta dai pannelli fotovoltaici in corrente alternata; c) Un misuratore, cioè il
dispositivo atto a quantificare l’energia elettrica totale
prodotta dall’impianto fotovoltaico; d) Un contatore di
rete, dispositivo atto a quantificare l’energia elettrica
effettivamente immessa in rete, al netto di eventuali
autoconsumi; e) Dei cablaggi, ossia cavi elettrici che
trasportano l’energia prodotta dai pannelli all’inverter;
f) Dei cavi elettrici che dall’inverter permettono l’immissione dell’energia elettrica, trasformata in alternata,
direttamente alla rete.
Secondo quanto dispone l’art. 2 comma 1 del D.M.
19.02.2007, l’impianto fotovoltaico può essere: non integrato, ossia con moduli ubicati al suolo; parzialmente
integrato, se i pannelli sono posizionati su elementi di
arredo urbano e viario, superfici esterne degli involucri
di edifici, fabbricati e strutture edilizie di qualsiasi funzione e destinazione; totalmente integrato, se i moduli
sono architettonicamente integrati nei predetti elementi di arredo urbano e viario, superfici e fabbricati.
Sulla base della descrizione di un impianto fotovoltaico, costituito da singoli elementi mobili, si pone la possibile configurazione dello stesso come bene immobile,
per effetto dell’incorporazione al terreno o alla costruzione cui viene installato o collocato.
La disciplina civilistica dalla quale va desunta la qualifica di un bene come immobile oppure come mobile
è contenuta nell’art. 812 cod. civ. Secondo il comma 1,
il suolo, le sorgenti, i corsi d’acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che naturalmente
o artificialmente è incorporato al suolo, costituiscono
bene immobile. Qualsiasi costruzione che sia incorporata o materialmente congiunta al suolo, anche a scopo
transitorio, è qualificata come bene immobile. La cosa
incorporata perde la sua autonomia fisica o anche giuridica quando sia impossibile procedere alla sua separazione senza causarne la contemporanea dissoluzione
o sostanziale alterazione. Secondo i criteri sopra richiamati è stato dichiarato immobile un distributore self
service di benzina; sono considerati immobili, ancorché
non organicamente fissati al suolo, i chioschi, le baracche e le capanne, i frantoi per olive, assicurati al suolo
da opere murarie, i serbatoi comunque incorporati al
suolo, considerati non isolatamente dalla massa che in
essi si raccoglie, ma un tutt’uno con essa.
La nozione di bene mobile è invece determinata in via
di esclusione, sicché sono ricompresi tra i beni mobili tutti quelli che non sono riconducibili alla categoria
degli immobili. In estrema sintesi, si può affermare che
non sono ritenute decisive le modalità tecniche con le
quali un bene mobile viene infisso in un bene immobile, al fine di stabilire se il bene mobile debba essere poi
la
Rivista
n. 6 - Giugno 2011
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considerato mobile o immobile (per incorporazione).
Ciò che rileva è che il bene mobile divenga una parte
strutturale del bene immobile con la creazione di un
bene complesso da cui consegua la perdita dell’autonomia fisica e giuridica del bene mobile.
Sulla base dei principi sopra enunciati si può affermare
che, considerando le caratteristiche tecniche e costruttive degli impianti fotovoltaici intesi come complesso
di componenti tra loro collegati mediante strutture metalliche, cavi e cablaggi elettrici, questi ultimi, anche se
fossero collocati su un edificio (quali impianti integrati
o semintegrati), non darebbero mai luogo all’incorporazione dei beni mobili che li compongono con l’immobile sul quale sono costruiti o collocati, in quanto
non incorporati al suolo, ma facilmente separabili ed
asportabili dal bene immobile medesimo.
Le disposizioni catastali e fiscali e la qualificazione
civilistica degli impianti fotovoltaici
Sul tema della qualificazione dell’impianto fotovoltaico
quale bene mobile o immobile, si evidenziano le posizioni contrastanti assunte dall’Agenzia del Territorio,
da una parte e dall’Agenzia delle Entrate, dall’altra.
L’Agenzia del Territorio, che assimila i moduli fotovoltaici alle turbine delle centrali idroelettriche, ritiene che
gli impianti in oggetto debbano essere accertati nella
categoria catastale “D/1 Opifici” e che nella determinazione della relativa rendita catastale debbano essere inclusi i pannelli fotovoltaici, in analogia alla prassi adottata in merito alle turbine delle centrali elettriche. Al
contrario, l’Agenzia delle Entrate, affrontando il tema
del trattamento fiscale dei ricavi derivanti dalla vendita
dell’energia prodotta in eccesso come componenti del
reddito d’impresa, precisa che l’impianto fotovoltaico
utilizzato costituisce bene strumentale rispetto all’attività svolta e che, con riferimento all’impianto fotovoltaico situato su un terreno, esso non costituisce impianto infisso al suolo, proprio in quanto i moduli che
lo compongono, cioè i pannelli solari, possono essere
agevolmente rimossi e posizionati in altro luogo, mantenendo inalterata la loro originaria funzionalità (circolare 46/E del 19.07.2007; circolare 38 dell’11.04.2008).
In tal senso si è espressa di recente anche la Commissione Tributaria Provinciale di Bologna, che esclude
l’assoggettabilità all’ICI dei parchi eolici, non ritenendoli assimilabili ad un opificio industriale (categoria D1
del catasto), bensì classificabili nella categoria catastale
E, perché qualificati dalla normativa vigente come opere di pubblico interesse e di pubblica utilità. La tesi sostenuta dall’Agenzia delle Entrate è stata nuovamente
confermata con la circolare n. 38/E del 23.07.2010, dove
proprio in ragione del contrasto sorto con l’Agenzia del
Territorio, la prima ribadisce che “l’impianto fotovoltaico situato su un terreno non costituisce impianto infisso al
suolo in quanto normalmente i moduli che lo compongono
(i pannelli solari) possono essere agevolmente rimossi e posizionati in altro luogo, mantenendo inalterata la loro originaria funzionalità.”.
Il contratto di locazione delle aree adibite
all’installazione di impianti fotovoltaici
Dopo aver qualificato giuridicamente in termini di
bene mobile l’impianto fotovoltaico, bisogna valutare
30
la
Rivista
n. 6 - Giugno 2011
che tipo di contratto è consigliabile stipulare al fine di
massimizzare i profitti e minimizzare i rischi. Una prima ipotesi è quella di acquistare l’area sulla quale si intende installare l’impianto fotovoltaico; diversamente,
si potrebbe optare per la costituzione di un diritto reale
di superficie, ovvero stipulare un contratto di locazione
ultranovennale. Sul tema si è acceso un forte dibattito con riferimento all’eventuale operatività, in caso di
istallazione di impianto fotovoltaico su un’area appartenente a diverso proprietario, del principio dell’accessione di cui all’art. 934 cod. civ. secondo il quale
qualunque piantagione, costruzione od opera esistente
sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario di questo, fatte salve le ipotesi particolari e salvo che risulti diversamente dal titolo o dalla legge. In ragione del fatto
che con l’installazione di un impianto fotovoltaico non
si verifica alcuna incorporazione, bisogna escludere che
nella fattispecie in esame possano ravvisarsi i presupposti in base ai quali opera l’istituto dell’accessione: ad
ogni modo, onde evitare il sorgere di qualsiasi controversia, gli effetti dell’art. 934 cod. civ. possono essere
esclusi proprio dal titolo che disciplina i rapporti tra
proprietario del suolo e proprietario della costruzione
ta in quanto espressione del diritto di godimento del
terreno, si consiglia di prevedere espressamente nelle
clausole il diritto di costruire gli impianti fotovoltaici,
specificando che la proprietà degli stessi sarà mantenuta in capo al conduttore in deroga all’accessione e
che, in ogni momento ed al termine della locazione, per
qualsiasi causa, il conduttore avrà l’insindacabile diritto
di rimuovere ed asportare tutti gli impianti e le strutture realizzate sul suolo.
o dell’opera esistente sul suolo. Il problema che sorge,
a questo punto, è quello di verificare quale possa essere
il titolo idoneo ad evitare l’operatività dell’accessione.
La dottrina ritiene che l’unico modo per escludere gli
effetti dell’accessione sia la costituzione di un diritto
reale di superficie. Secondo la giurisprudenza, invece,
è possibile derogare al principio dell’accessione anche
con semplici accordi aventi natura ed effetti obbligatori. Gli unici atti negoziali derogativi dell’accessione
ai quali la giurisprudenza nega efficacia sono quelli
stipulati in forma verbale: di conseguenza la soluzione ideale sembra quella di stipulare di un contratto di
locazione ultranovennale assoggettato a trascrizione ex
art. 2643, comma 1 n. 8) cod. civ. Il contratto di locazione ultranovennale, in quanto atto negoziale opponibile
ai terzi perché munito di data certa ex art. 2704 cod.
civ. e perché trascritto, nel momento in cui attribuisce
al conduttore il godimento del terreno e dello spazio
ad esso sovrastante, lo legittima a realizzare l’impianto
fotovoltaico, del quale quest’ultimo rimane proprietario esclusivo. Nonostante nel contratto di locazione
la legittimazione alla realizzazione dell’impianto fotovoltaico possa considerarsi implicitamente accorda-
Lo stato attuale degli investimenti
e la sfida per il 2020
Un occhio ora ai numeri della corsa al fotovoltaico.
In Italia lo stato degli investimenti ha superato ogni
aspettativa. Nel giro di un solo anno, dal 2009 al 2010, il
numero degli impianti allacciati alla rete è cresciuto del
160%, determinando una crescita della potenza prodotta dal fotovoltaico che è passata dai 1.142 megawatt
registrati a fine 2009 ai 7.000 megawatt di fine 2010. A
seguito della cosiddetta Legge salva-Alcoa, circa 55.000
nuovi impianti, con una potenza di 3.771 megawatt,
avranno diritto alle tariffe incentivanti 2010 anche se
verranno allacciati alla rete entro giugno 2011, a condizione che abbiano terminato i lavori di realizzazione
entro il 31 dicembre scorso. In sostanza, la corsa ai vecchi incentivi, più favorevoli rispetto ai nuovi entrati in
vigore all’inizio del 2011, ha provocato il balzo di fine
anno. Nel 2008 il fotovoltaico pesava sulle bollette per
80 milioni, nel 2009 per 270 milioni e nel 2010 si sarebbe fermato a 755 milioni, contando solo gli impianti
allacciati. Cifre importanti, ma di gran lunga inferiori a
quelle elargite ai produttori delle fonti fossili, che nel
2009 hanno pesato per 900 milioni. Ad ogni modo, i
55.000 nuovi impianti prima o poi verranno allacciati
alla rete elettrica e se non si qualificheranno per gli incentivi 2010, beneficeranno di quelli previsti per il 2011,
con la conseguenza che già nel corso di quest’anno si
potrebbe raggiungere la quota di 8.000 megawatt fotovoltaici per un peso complessivo di circa 3 miliardi, che
il Piano d’Adozione nazionale sulle fonte rinnovabili
aveva previsto per l’anno 2020.
Infine si segnala che proprio in questi giorni il Consiglio dei Ministri ha fatto sapere che anche in caso
di raggiungimento del tetto di 8.000 mw, non ci sarà
nessuno stop agli incentivi per il fotovoltaico, ma che i
fondi saranno tagliati già a partire dal prossimo giugno,
anche se, di contro, il ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, in seguito al disastro nucleare di
Fukushima, ha annunciato che il governo rivedrà certamente la propria strategia energetica. Al momento
in cui si scrive, la bozza del “D.M. incentivi” è passata
all’esame della Conferenza dei Presidenti di Regione.
Occorre, da ultimo, segnalare il ricorso preventivo ai
sensi dell’art. 26 del trattato sulla Carta dell’energia,
presentato contro lo stato italiano da parte di un gruppo di investitori stranieri preoccupati per la sorte dei
denari già investiti proprio in previsione di una certa
misura di incentivi.
Il consiglio: affrettatevi, prestando attenzione alle ultime novità in materia (in primis, la misura degli incentivi).
*Avvocato in Milano
la
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Eticamente
di Fabio Franceschini
Con coerenza contro il riciclaggio
La marcia del riciclaggio di denaro
sporco avanza inarrestabile e gli sforzi
compiuti in contesto internazionale e
nazionale sono ancora molto lontani dal
mettere la parola fine al fenomeno del
“Money Laundering”.
mento per l’intero sistema economico, alterando
profondamente tutti i meccanismi di mercato;
considerare l’autoriciclaggio non punibile, per
questo, sembra quantomeno discutibile.
Con la crisi finanziaria, che ha colpito il sistema bancario mondiale e con una mancanza di
liquidità che mette in crisi il sistema economico
legale, è facile supporre che chi gode di una certa disponibilità economica sia dedito ad attività
a vario titolo illegale. Nell’ultimo G-20, infatti,
i capi di governo hanno attaccato i paradisi fiscali, dove secondo il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) c’è un giro di affari di circa 2.000
miliardi di euro annui proveniente per il 40%
dalla criminalità organizzata e per il restante da
una“pianificazione fiscale”che deriva da società,
multinazionali e uomini d’affari. Fare la guerra
ai paradisi fiscali è molto complicato dato che
si tratta di Stati sovrani, dove non si può imporre nulla. Sarebbe più appropriato lottare contro
quelle società che vi operano, facendo una legge
che imponga alle società e alle persone fisiche
di tenere in Italia la contabilità dei loro redditi,
rispettando le regole fiscali nazionali.
Il riciclaggio, in Italia, pesa per il 10% del Pil,
contro il 5% a livello mondiale (come attesta il
FMI, fondo monetario internazionale): le stime
domestiche sono ancora più pessimistiche, ma
vista l’incidenza in Italia di alcune ‘multinazionali’ del crimine, non poteva essere altrimenti e
indicano dimensioni mediamente superiori al
10% del Pil e crescenti in funzione dell’apertura
internazionale dei mercati e del ricorrere delle
crisi economiche. Si tratta di flussi di denaro illecito che assumono rilevanza anche sul piano
macroeconomico e sono suscettibili di generare
gravi distorsioni nell’economia legale, alterando
le condizioni di concorrenza, il corretto funzionamento dei mercati e i meccanismi fisiologici
di allocazione del risorse, con riflessi, in definitiva, sulla stessa stabilità ed efficienza del sistema economico. Poiché il prodotto interno lordo
dell’Italia nel 2009 è stato di 1520 miliardi di
euro, l’ammontare totale del riciclaggio di denaro sporco nel nostro Paese è stimato da Banca
d’Italia in circa 150 miliardi.
In Italia il cattivo esempio viene dato da numerose società quotate in borsa (circa il 50%) e
da gruppi bancari (circa il 25%) che detengono
numerose società partecipate nei cosiddetti paradisi fiscali.
Non si spiega come mai, a fronte di dati conosciuti, una situazione del genere sia tollerata dalla Banca d’Italia, per il semplice motivo che l’art
14 comma 1 lettera f) del testo unico bancario
prevede il ritiro dell’autorizzazione qualora «sussistano, tra la banca o i soggetti del gruppo di appartenenza e altri soggetti, stretti legami che ostacolino
l’effettivo esercizio delle funzioni di vigilanza».
Nel nostro Paese la legislazione antiriciclaggio è
ancora carente, soprattutto, dove l’ordinamento
non prevede l’autoriciclaggio come reato: una
promessa d’impunità che il legislatore garantisce a chi agisce fuori dalla legge; questa scelta
appare effettivamente dubbia e in controtendenza rispetto a quello che accade nelle altre
legislazioni. Il riciclaggio di denaro, proveniente
da azioni illegali, è un grave fenomeno criminale, poiché costituisce un fattore di forte inquina-
Analizziamo nel particolare con alcuni dati alla
mano.
Inoltre, sono triplicate le segnalazioni di operazioni sospette di riciclaggio di denaro sporco. Lo
conferma il vicedirettore generale della Banca
d’Italia, Anna Maria Tarantola, secondo cui “le
segnalazioni di operazioni sospette, circa 12.500 nel
2007, si sono triplicate, divenendo oltre 37mila nel
2010. Il trend di crescita risulta in notevole accelerazione: +16% nel 2008, +44% nel 2009, +77%
nel 2010”.“Non può però considerarsi soddisfacente
- continua il vicedirettore - il fatto che l’aumento
delle segnalazioni sia dovuto quasi esclusivamente
agli intermediari bancari e finanziari e alle Poste.
Dai professionisti e dagli altri operatori sono pervenute nel 2010 solo 223 segnalazioni (erano 136
nel 2009 e 173 nel 2008), di cui un terzo dai dottori
commercialisti, ragionieri e periti commerciali, circa
un quinto dai notai”.
Per questo, in conclusione, sarebbe auspicabile
la creazione di un testo unico bancario che possa contenere tutti i decreti attuativi e le norme
precedenti in modo da rendere la legislazione
antiriciclaggio molto più coerente e organica.
la
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Benchmark
di Nico Tanzi
Quando Facebook le suonò a Google
Una lezione dalla Gran Bretagna
per la televisione che pensa al futuro
Dici Facebook, e hai l’impressione di parlare di
una roba un po’ così. Divertente, certo. Utile,
spesso. Ma senza esagerare: le cose serie sono
altre. Poi vai un po’ a scavare, e ti rendi conto che
ti sbagli.
Per esempio. Abbiamo passato gli ultimi anni
immaginando internet come un posto dove,
il più delle volte, si entra attraverso Google. E
cioè un motore di ricerca. Tu inserisci una parola
chiave per fargli capire che cosa stai cercando, e
lui in un baleno ti propone l’elenco delle pagine
che potrebbero interessarti. Il più delle volte ci
azzecca.
Da qualche tempo però, non è che non sia più
così: ma non è più solo così. C’è una data simbolo in questa storia: l’ottobre 2010. Quando, in
diversi paesi, è accaduto ciò che nessuno avrebbe
mai previsto: i motori di ricerca non sono più i
siti maggiormente cliccati. Sono stati soppiantati
dai social networks. Da Facebook, insomma.
Non c’è da stupirsi. Da tempo la potenza di Facebook si dispiega in tutta la sua evidenza. Nel
numero degli utenti, per esempio. Che hanno
superato quota mezzo miliardo. La metà di loro,
per di più, su “faccia-libro” ci va tutti i giorni. E
per quasi un’ora al giorno in media. Un “consumo” paragonabile a quello del più antico degli
oggetti di intrattenimento elettronico, la televisione.
E la televisione, non a caso, comincia a perdere colpi. Il vecchio “focolare elettronico”, che
un tempo riuniva la famiglia in una cerimonia
quotidiana che aveva un sapore rituale, oggi non
unisce più. Anzi: divide. Il suo ruolo di medium
di comunicazione – il più importante dei media
– comincia ad essere un ricordo. Il re è nudo: la
tv non è un medium, è solo uno schermo. Non
ha più un’anima in sé: l’anima gliela diamo noi,
collegando lo schermo di volta in volta con una
diversa sorgente di contenuti: la via cavo, il decoder satellitare, il lettore di dvd, la Playstation.
Nei modelli più recenti, You Tube – o addirittura
l’intera internet.
È un bel problema per le emittenti televisive. Che
fanno sempre più fatica a conquistare pubblico
fra gli “under 50” – i più importanti, fra l’altro,
per gli inserzionisti pubblicitari. Per non parlare
dei giovani e giovanissimi, ormai vere e proprie
arabe fenici davanti al teleschermo. Un problema
generazionale che va a sommarsi al mutamento
delle abitudini: sono passati per sempre i tempi
in cui era il telegiornale della sera la fonte principale di notizie. Oggi – almeno per chi trascorre la
giornata “connesso”, davanti al computer o grazie agli smartphone – le informazioni giungono
in tempo reale. E l’online acquista una rilevanza
fino a ieri impensabile, imponendosi come una
vera e propria nuova dimensione dell’esistenza
quotidiana.
Scrivevo qualche tempo fa in questa rubrica:
“scegliere quando, dove e come consumare i
contenuti audio e video che si ha voglia di guardare o ascoltare, liberandosi dalla “schiavitù”
dei palinsesti tv, è il prossimo passo della marcia verso la libertà digitale”. Come reagiscono le
televisioni a questa minaccia? Sostanzialmente,
spostando parte delle risorse sul fronte dell’online. “Go where the audience is”: vai dove si trova
il pubblico. È emblematico il caso di Channel 4,
emittente inglese di servizio pubblico di grande
qualità, che di fronte all’emorragia di spettatori fra mattina e pomeriggio (dovuta, appunto,
all’informazione che ci raggiunge online per tutto il corso della giornata) non ha esitato a mandare in soffitta il telegiornale di mezzogiorno,
sostituendolo con un breve sommario di “news”,
e reinvestendo le risorse così risparmiate per rafforzare l’offerta multimediale. Stesso discorso
per i programmi “educational” destinati a bambini più cresciuti e agli adolescenti (a proposito
dei quali parlavamo di problema generazionale:
come volevasi dimostrare). Channel 4 li ha tolti
dal palinsesto, per concentrarsi sulla produzione
di contenuti interattivi innovativi.
Un caso emblematico, quello di Channel 4. E una
conferma: per poter adempiere al loro mandato,
le tv di servizio pubblico devono poter giostrare
sull’online e poter giocare su entrambi i terreni.
Ma non per conquistare nuove posizioni e quote di mercato: per sopravvivere. Altrimenti sono
condannate, nell’arco di alcuni anni, a morte
certa. Non è una profezia sconclusionata, questa,
bensì il punto di vista dei legislatori britannici. I
quali hanno avuto la lungimiranza di formulare
un mandato“digitale”(il 2010 digital economy act)
che impone (non consente: impone) alle emittenti pubbliche di essere presenti con la loro offerta
su una “vasta gamma di reti di comunicazioni
elettroniche”. Ancora una volta, è la Gran Bretagna ad indicare la strada maestra. Siamo nel
paese della BBC, non dimentichiamolo: ovvero
della migliore tv del mondo.
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Burocratiche
di Manuela Cipollone
Referendum
Rimpasti
Immigrazione
Le ormai imminenti consultazioni referendarie e i nuovi rimpasti nel Governo
Berlusconi insieme all’immigrazione in
Italia dai Paesi del Nord Africa dominano le pubblicazioni della Gazzetta
ufficiale dell’ultimo mese, in cui comunque non mancano accenni agli accordi
internazionali ratificati dall’Italia, nuove procedure per le Camere di Commercio e per il trasporto, anche in attuazione
di alcune direttive europee.
Pluralismo nell’informazione
Archiviate le consultazioni amministrative di
maggio, il 12 e 13 di questo mese gli italiani,
compresi i residenti all’estero, ritorneranno
alle urne per i referendum. In vista di questo
appuntamento, l’Autorità garante per le telecomunicazioni si è premurata di emanare una
delibera in cui disciplina la comunicazione politica e la parità di accesso ai mezzi di informazione per i sostenitori dei diversi schieramenti.
Obiettivo, quello di “dare concreta attuazione ai
principi del pluralismo, dell’imparzialità, dell’indipendenza, dell’obiettività e della completezza del
sistema radiotelevisivo”.
La direttiva - applicata non solo alla tv, ma anche a radio e stampa quotidiana e periodica
- ha effetto fino a tutta la seconda giornata di
votazione, dunque il 13 giugno.
Quanto al Governo Berlusconi, tra la fine di
aprile e gli inizi di maggio, l’Esecutivo ha imbarcato altri 10 sottosegretari: il primo ad
entrare nella squadra di Governo è stato Sebastiano Musumeci (detto Nello) nuovo Sottosegretario di Stato al lavoro e alle politiche
sociali. Agli inizi di maggio Sonia Viale ha lasciato il Ministero dell’Economia per approdare
al Viminale, sempre da Sottosegretario. Quindi,
con un altro decreto, sono stati nominati Sottosegretari Bruno Cesario e Antonio Gentile
(Economia e finanze); Daniela Melchiorre e
Catia Polidori (Sviluppo economico); Roberto
Rosso (Politiche agricole alimentari e forestali);
36
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n. 6 - Giugno 2011
Giampiero Catone (Ambiente); Aurelio Salvatore Misiti (Infrastrutture e ai trasporti); Luca
Bellotti (Lavoro e alle politiche sociali); Riccardo Villari (Beni e attività culturali).
Due diverse ordinanze del Presidente del Consiglio hanno formalizzato altre “disposizioni
urgenti” per “fronteggiare lo stato di emergenza
umanitaria nel territorio nazionale in relazione
all’eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai
Paesi del Nord Africa”.
Con la prima, in sostanza di ridistribuiscono le
competenze alla Protezione civile, con passaggio di consegne da parte del Prefetto di Palermo che è avvenuto il 30 di maggio. La stessa
ordinanza istituisce un Comitato di coordinamento composto da membri del Viminale,
regioni, comuni e province che dovrà decidere come distribuire sul territorio nazionale gli
immigrati sbarcati a Lampedusa.
La seconda ordinanza, più tecnica, dispone
come e quando intervenire per “rimuovere le
imbarcazioni utilizzate dagli immigrati approdati
nell’isola di Lampedusa attualmente ubicate nel
porto”. Per questa attività è stato stanziato 1
milione di euro.
Connesso all’emergenza immigrazione anche
due comunicati che il Ministero dello sviluppo
economico ha rivolto rispettivamente ad Associazioni e Consorzi che avevano presentato
domanda per lo svolgimento di programmi
promozionali in Libia, Tunisia, Egitto e Giappone. Nella nota si spiega che “in considerazione dalla difficile situazione politica che di recente
ha coinvolto la Libia, la Tunisia e l’Egitto e delle
calamità naturali, e conseguenti effetti, che hanno
colpito il Giappone, si comunica che per i progetti
dei Programmi Promozionali anno 2011 relativi
ai citati Paesi, le richieste di variazione potranno
essere presentate anche oltre i termini previsti dal
decreto del 5 agosto 2010 - e comunque non oltre
il 30 giugno 2011 – fermo restando la tipologia di
progetti e azioni ammissibili”.
Accordi internazionali
Tra gli accordi internazionali pubblicati in Gazzetta nell’ultimo mese c’è anche quello – tanto
atteso – contro le doppie imposizioni fiscali tra
Italia e Canada, siglato nel 2002. Più recenti gli Accordi
con la Presidenza dell’Iniziativa centro-europea - InCE sull’istituzione del Segretariato esecutivo InCE a Trieste
(2009) e con la Slovenia sulla cooperazione transfrontaliera di polizia (2007).
Nei mesi scorsi è entrato in vigore anche il decreto attuativo della direttiva Ue sulla sicurezza delle ferrovie comunitarie e quello che contiene le norme internazionali per
la sicurezza delle navi, la prevenzione dell’inquinamento e
le condizioni di vita e di lavoro a bordo per le navi che approdano nei porti comunitari e che navigano nelle acque
sotto la giurisdizione degli Stati membri. A metà maggio è
entrato in vigore anche il decreto di attuazione di un’altra
direttiva europea sugli obblighi di comunicazione a carico
delle società di medie dimensioni e l’obbligo di redigere
conti consolidati.
Attuazione del SIOPE
Il Ministero dell’Economia, invece, ha decretato “Codificazione, modalità e tempi per l’attuazione del SIOPE per le
Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura”.
Nell’unico articolo che compone il decreto si dispone che
per “consentire il monitoraggio dei conti pubblici e verificarne
la rispondenza alle condizioni dell’art. 104 del Trattato istitutivo della Comunità europea e delle norme conseguenti”, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura devono
“indicare sui titoli di entrata e di spesa i codici gestionali previsti” dal decreto. Al secondo comma si spiega come garantire una corretta applicazione della codifica gestionale e si
annuncia che il “Glossario dei codici gestionali” verrà pubblicato sul sito internet www.siope.tesoro.it. Ogni Camera
dovrà avere un proprio “referente-Siope”, il cui nome dovrà
essere segnalato alla Ragioneria territoriale dello Stato
competente per territorio.
A più di due anni dal terremoto in Abruzzo, la Gazzetta continua a “registrare” le diverse ordinanze emanate:
l’ultima, in ordine di tempo (mentre scriviamo), non riguarda la ricostruzione, ma gli stipendi del personale di
Protezione Civile impiegato per “le attività funzionali agli
Uffici del Responsabile Unico del Procedimento e della Direzione Lavori”. Si stabilisce, in sintesi, che ciascuno di questi
dipendenti potrà fare al massimo 30 ore di straordinario
al mese,“quantificate in complessivi euro 11.274,00 mensili”.
Il secondo comma spiega che “agli oneri connessi all’applicazione del presente articolo, valutati in euro 67.644,00, si
provvede a valere sulle residue risorse dell’art. 7, comma 1, del
decreto-legge n.39/2009, nella disponibilità del Dipartimento”.
Da segnalare, infine, che grazie alle polemiche che hanno
investito – in Parlamento – il riconoscimento del 17 marzo 2011 come Festa Nazionale per celebrare degnamente
il 150° Anniversario dell’Unità d’Italia, polemiche che di
fatto hanno rallentato l’iter del provvedimento, la legge
che stabiliva la festa è entrata in vigore il 22 aprile, cioè più
di un mese dopo che tutti gli italiani – anche all’estero –
avevano reso omaggio al Paese, godendo meritatamente
di un giorno di festa in più. Almeno per quest’anno!
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Foto © Adriano Heitmann
PROGETTO MARTHA ARGERICH
Lugano 8 – 30 giugno 2011
www.rsi.ch/argerich
Angolo fiscale
di Tiziana Marenco
IVA: settore finanziario
e intermediazione
Secondo la bozza dell’opuscolo informativo IVA n°
14 “Settore finanziario” pubblicata sul sito dell’amministrazione federale delle contribuzioni (AFC) alla
vigilia di Natale, il 24 dicembre 2010, l’AFC intende
modificare la prassi relativa al concetto di intermediazione nel settore finanziario con effetto a partire
dal 1° gennaio 2010, data dell’entrata il vigore della
nuova legge svizzera sull’IVA (LIVA).
In passato, e più precisamente a partire dal 1° luglio
1998, l’AFC aveva ritenuto che tutte le operazioni relative ad attività di “finders” in senso lato, ivi compresa
l’intermediazione indiretta di clientela e di assets (siano essi solo in custodia o under management), effettuate a favore di un beneficiario svizzero (per esempio
una banca svizzera o la sua succursale svizzera) non
costituivano operazioni escluse dall’imposta, bensì attività di propaganda o marketing in senso lato, quindi
prestazioni soggette ad IVA in Svizzera, e questo indipendentemente dal fatto che il finder stesso fosse
un soggetto IVA svizzero (prestazione imponibile di
un soggetto imponibile) oppure un provider straniero
(importazione di servizio assoggettata all’IVA in Svizzera in capo alla banca). Questa regola aveva da una
parte un vantaggio sostanziale (per tutti), costituito
dalla semplicità della sua applicazione e quindi dalla
sicurezza giuridica, e d’altra parte uno svantaggio per
la banca, e più precisamente l’effetto del costo definitivo perché l’attività della banca, prevalentemente
costituita da operazioni escluse dall’IVA, rendeva impossibile per l’istituto bancario recuperare l’imposta
precedente. La quota di recupero dell’imposta precedente nel settore bancario dovrebbe infatti aggirarsi
in media tra il 10% e il 20%.
Con l’annunciata modifica della prassi, l’AFC intenderebbe estendere il concetto di intermediazione esclusa dall’IVA, sinora inteso come tale solo in
caso di rappresentanza diretta del cliente, in modo
da permettere nei casi di finders fees e di retrocessioni
su commissioni per operazioni di borsa, su divise etc.
di escludere dall’imposta anche le attività immediatamente precedenti a quelle operazioni che, per loro
natura, presso la banca hanno sempre e comunque
carattere di operazione esclusa dall’imposta. Nella
tipica catena di produttività del settore finanziaria le
operazioni della banca sono precedute da attività di
intermediazione e sales di diversi providers, quali società di gestione di fondi, gestori patrimoniali, segnalatori etc. (“finders”), i quali a loro volta, nell’ambito
della normativa civile e prudenziale, possono far capo
a canali simili, che qui definiremo in modo generale
“sub-finders”. Mentre gli istituti bancari e le società
per investimenti collettivi esercitano tradizionalmente attività prevalentemente escluse dall’IVA, i gestori
patrimoniali sono tipicamente prestatori di servizi
soggetti a IVA. La modifica preannunciata dall’AFC
sembra esplicitamente volta a ridurre i costi definitivi
degli istituti finanziari, i quali faranno in modo di modificare i contratti conclusi con i loro providers, se sinora formulati in modo troppo generico (per esempio
advisor’s o finder’s fees), specificando l’intermediazione e le singole categorie di commissioni su operazioni
escluse al fine di accertare il carattere escluso della
prestazione e quindi eliminare costi dovuti all’imposta precedente non recuperabile.
Per l’anello precedente della catena invece, questa
modifica può essere vantaggiosa solo nei casi in cui la
banca, nell’ambito delle condizioni commerciali, non
era precedentemente disposta a sopportare interamente i costi dell’IVA fatturata dal gestore e calcolava
le retrocessioni “IVA inclusa”. In tutti gli altri casi, per
la società di gestione soggetta ad IVA, il cambiamento
di prassi avrà invece in primo luogo l’effetto di generare operazioni escluse dall’imposta e quindi di conseguenza un decurtamento immediato del recupero
dell’imposta precedente.
La cosa può creare problemi di costo ai gestori che
fanno capo a loro volta a risorse esterne importanti,
sia in forma di sub-finders sia in forma di altre prestazioni soggette ad imposta, per le quali il recupero
dell’imposta precedente verrebbe considerevolmente
limitato. Nei confronti dei sub-finders sembra quindi
consigliabile, nel limite del possibile, accertarsi che i
contratti conclusi con questo anello della catena rispecchino quelli con la banca, così da eventualmente
permettere l’esclusione dall’imposta anche in relazioni ai compensi pagati dal gestore.
Ricordando infine l’opuscolo informativo recentemente pubblicato dall’AFC in materia di applicabilità temporale della prassi dell’AFC (Angolo Fiscale
5/2011), non resta che rispondere alla questione se si
tratti di una nuova prassi più restrittiva, che quindi
si applicherà solo dall’inizio del semestre successivo
alla sua pubblicazione definitiva, oppure se si tratti
di una prassi più conveniente per il contribuente,
quindi applicabile dal primo gennaio 2010. Riguardo
all’annunciata modifica concernente l’intermediazione nel settore finanziario queste direttive si rivelano
ingiustiziabili, bisognerebbe infatti probabilmente
applicare la nuova prassi per le banche già dal 1° gennaio 2010 e per i gestori solo dal semestre successivo
alla sua pubblicazione definitiva. Indipendentemente
dalla valutazione astratta delle nuove regole, resta per
tutti l’enorme onere amministrativo legato a qualunque mutamento di prassi in materia di IVA.
(continua)
[email protected]
la
Rivista
n. 6 - Giugno 2011
39
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Angolo legale
di Massimo Calderan
Risvolti non-fiscali del black listing
della Svizzera in Italia
A livello mondiale, sono considerati da black
list i Paesi “non virtuosi” in merito a riciclaggio,
finanziamento del terrorismo e i “paradisi fiscali”. Dal 1999 in poi, l’Italia ha emesso quattro
black list, che prevedono quanto segue: (1) dal
1999, la prova a carico del contribuente italiano dell’effettivo trasferimento della residenza e
del domicilio nel Paese black listed; (2) dal 2001,
l’esonero o meno della disciplina CFC (controlled foreign company), ovvero il trattamento,
da parte del fisco italiano, della società estera, direttamente o indirettamente controllata
da soggetti italiani, come se fosse una società
italiana; per le società di alcuni Paesi elencati,
soltanto se svolgono certe attività elencate o
godono di certi favori fiscali; per le società di
altri Paesi elencati, senza distinzione e in modo
assoluto; (3) dal 2002, l’obbligo dell’azienda italiana di evidenziare nella dichiarazione fiscale
i costi eventualmente sospetti e di dimostrare
la natura “virtuosa” della controparte estera o
l’effetività dell’operazione estera con la relativa
convenienza commerciale; e (4) dal 2010, l’obbligo dei soggetti passivi IVA in Italia di comunicare all’Agenzia delle Entrate le operazioni
che avvengono con i soggetti residenti nei Paesi
a fiscalità privilegiata.
La Svizzera purtroppo è uno dei Paesi black
listed, come lo sono, ad esempio, Andorra, le
Bahamas, Cipro, Singapore, ma anche il Lussemburgo, membro dell’Unione Europea. Per
quanto riguarda la seconda list summenzionata,
la Svizzera lo è limitatamente alle società non
soggette alle imposte cantonali e municipali,
quali le società holding, ausiliari e “di domicilio”.
La quarta list summenzionata è applicabile, in
via generale, alle operazioni effettuate a partire
dal 1° luglio 2010. L’Agenzia delle Entrate italiana in una circolare del 2010 ha precisato che
l’obbligo di comunicazione da parte dei soggetti passivi IVA in Italia vale, senza eccezioni, per
le operazioni con tutte le aziende di Paesi indicati nelle varie black list, tra cui la Svizzera, indipendentemente dal tipo di azienda, se questa
opera in Italia direttamente, oppure per mezzo
di un rappresentante fiscale, o attraverso una
sua sede secondaria (branch) italiana. L’oggetto
della comunicazione sono le cessioni di beni,
gli acquisti di beni, la prestazione di servizi e il
ricevimento di servizi. La comunicazione deve
essere presentata entro l’ultimo mese successivo al periodo di riferimento. L’omessa presentazione della comunicazione o la trasmissione
di dati incompleti o inesatti è punita con una
sanzione amministrativa.
La corretta e tempestiva comunicazione in
Italia di operazioni con aziende elvetiche o le
loro branches italiane aumenta di fatto gli oneri
delle controparti italiane (con relativo rischio
di eventuali sanzioni in caso di mancanze). Di
conseguenza, questa quarta black list potrebbe
avere un effetto negativo per le aziende svizzere che operano o vorranno operare in Italia.
Pertanto sono e saranno obbligate a fare alcune
valutazioni dal punto di vista commerciale, legale e organizzativo, tenendo conto dei relativi
costi e rischi e della propria realtà strutturale.
Qualora la loro attività – come quella delle banche o assicurazioni - necessiti di autorizzazione
nei vari Paesi, i costi e i rischi saranno per forza
maggiori. Ad esempio, dovranno valutare:
- se informare o meno le loro controparti
italiane dell’obbligo di comunicazione di
quest’ultime;
- se aiutare (e in caso affermativo, come) o
meno le loro controparti italiane nell’ottemperare a tale obbligo, con relativi costi e rischi;
- se costituire o meno una società italiana
(subsidiary), con la quale i soggetti passivi
IVA italiani potranno condurre operazioni
senza l’obbligo di comunicazione summenzionato;
- se constituire o meno una società in un Paese dell’Unione Europea che non rientra in
una black list, la quale società poi povrà operare in Italia direttamente o attraverso una
sua branch, con le quali i soggetti passivi IVA
italiani potranno condurre operazioni senza
l’obbligo di comunicazione summenzionato; o
- in alcuni casi, se abbondonare o non entrare
nel mercato italiano.
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Rivista
n. 6 - Giugno 2011
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Convenzioni Internazionali
di Paolo Comuzzi
Aspetti pratici generali nella ricostruzione
del reddito estero e nello scomputo
del credito per imposte assolte all’estero
Nell’ambito della normativa fiscale Italiana
assume una certa importanza il processo di
determinazione del reddito che viene a prodursi all’estero e questo per poter determinare il possibile scomputo della imposta che sia
stata eventualmente assolta “all’estero”.
Di fatto questo scomputo presenta la necessità
di porre in essere alcuni precisi e determinanti
passaggi al fine di poter giungere ad una conclusione positiva e quindi allo scomputo della imposta estera da quella dovuta in Italia (il
famoso credito per imposte assolte all’estero).
Sono questi i passaggi dei quali vogliamo dare
conto (in modo certamente sintetico) in questo contributo spiegando come deve operare
un fiscalista che sia chiamato a svolgere questo lavoro nei suoi aspetti pratici.
Usciamo per una volta dal puro tema convenzionale ed entriamo in un tema di fiscalità
internazionale ma connesso principalmente ad una norma puramente interna come è
quella in merito al credito per imposte assolte
all’estero.
Commenti
Gli interventi che devono essere fatti per consentire un pieno recupero dell’imposta estera
sono di carattere contabile e quindi di carattere fiscale.
Step N.1
Il primo step che si deve porre in essere consiste nella ricostruzione di un conto economico
della branch estera che, partendo dai dati portati ai fini di pagare le imposte all’estero, dia
conto del risultato civilistico della branch (ante
imposte) ai fini Italiani.
Questo significa che si deve determinare il risultato “civilistico” della branch secondo le regole che applica la società italiana (ie ammortamenti, imputazione a periodo, trattamento
di eventuali derivati, differenze cambio).
Ovviamente si deve dare conto che le operazioni della branch sono state debitamente registrate (anche se in modo riassuntivo e
magari per saldi mensili) nella contabilità del
soggetto che oggi chiede di scomputare la imposta.
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n. 6 - Giugno 2011
Step N.2
Il secondo step consiste nella ricostruzione
del reddito della branch estera e questo step
richiede un primo passo ulteriore: quello della
imputazione dei costi centrali (costi di sede).
Nella determinazione del reddito della stabile organizzazione estera dobbiamo per forza
giungere alla allocazione dei costi di sede (costi specifici, quota di costi generali, interessi
passivi) e motivare gli oneri che non vengono
allocati e / o allocati in modo specifico (faccio
un esempio molto semplice: un bene strumentale comprato in leasing per la branch A
si alloca come costo interamente alla branch
A e non a tutti).
Sempre a questo step si deve giungere a determinare il risultato fiscale apportando al risultato (a questo punto il civile dopo la imputazione dei costi centrali come saranno definiti)
quelle che sono le variazioni in aumento ed in
diminuzione previste dalla norma fiscale italiana.
Si giunge a questo punto a determinare il reddito fiscale della stabile organizzazione estera
secondo le norme italiane.
Step N.3
Valutazione delle condizioni di scomputo della imposta estera e quindi estrema attenzione
almeno ai seguenti elementi: 1) il pagamento
deve essere un pagamento definitivo; 2) natura
della imposta; 3) rapporto tra reddito all’estero
e reddito complessivo. In questa situazione chi
svolge il lavoro deve fornire un giudizio circa il
recupero paese per paese.
Step N.4
Eventuale assistenza nella stesura dei quadri
della dichiarazione.
Possiamo affermare senza alcun timore di
smentita che a seguito della ricostruzione del
conto economico della stabile organizzazione
estera l’intervento dell’esperto fiscale viene a
sostanziarsi nei seguenti passaggi principali
(da replicare per ogni singola stabile organizzazione estera):
Assistenza alla società nella ricostruzione del reddito
della branch estera:
• Assistenza alla società nella valutazione dei pro e contro in merito alla scelta dei diversi criteri con cui possono essere imputati i costi centrali e di costi non specificamente imputabili alla singola branch (si pensi agli
interessi passivi) e quindi che si verifichi la coerenza
della ripartizione con quello che è il criterio scelto dalla
società; si deve precisare che non esiste un criterio legislativo per la imputazione di questi oneri ma si deve
controllare: 1) obiettività del criterio; 2) coerenza dello
stesso con la prassi; 3) coerenza con eventuali documenti di Transfer pricing che il contribuente abbia proceduto a predisporre al fine di garantirsi da potenziali
sanzioni;
• Assistenza alla società nella valutazione di quelli che
sono oneri da riportare come di “competenza della
branch” in modo specifico (si pensi a utili e perdite su
contratti derivati che sono sorti nell’ambito della commessa “imputata” alla branch);
• Assistenza nel lavoro del management circa la determinazione del reddito della branch estera in ossequio
alle regole fiscali vigenti in Italia (di fatto assistenza al
management per la determinazione di quelle che sono
le variazioni in aumento ed in diminuzione previste
dalla norma fiscale italiana e quindi valutazione della
loro correttezza legale).
Nel suo lavoro l’esperto fiscale non deve fare alcuna valutazione del cd Transfer pricing ma non può escludere
che una simile valutazione potrebbe essere fatta dalla
Amministrazione Finanziaria.
Assistenza nella determinazione della scomputabilità
della imposta estera dalla imposta IRES:
• Valutazione della natura della imposta estera
• Assistenza nella determinazione del rapporto previsto
dalla legge
Eventuale assistenza nella stesura dei quadri della dichiarazione.
• Revisione del lavoro del management circa la compilazione materiale del documento.
Potrebbe essere che la società richieda anche un documento finale (una vera e propria lettera) circa la situazione ed il documento potrebbe sostanziarsi nel modo di cui
all’esempio che segue:
Facciamo riferimento al nostro incarico ... in cui ci avete
chiesto di svolgere una serie di procedure concordate al fine
di determinare se le imposte assolte all’estero nell’esercizio
chiuso al … possano essere oggetto di scomputo dalla imposta
complessivamente dovuta. Con riferimento a quanto sopra le
nostre procedure sono state le seguenti:
Procedura N.1
Verifica della corretta ricostruzione del risultato civilistico
della branch estera prima delle imposte dovute all’estero
e prima della imputazione dei costi di sede e / o di specifici oneri connessi ad acquisti compiuti dalla sede ma
a vantaggio della stabile organizzazione (in particolare
abbiamo verificato che i dati sui quali avete determinato
questo risultato sono riportati nella contabilità della società denominata ...).
Procedura N.2
Verifica circa la applicazione dei criteri di ripartizione dei
costi centrali e quindi assistenza nella determinazione del
risultato della branch dopo questi addebiti e verifica anche della spiegazione data in merito ai costi oggetto di
imputazione specifica e / o non ripartiti il tutto unitamente ad una verifica della conformità ai contratti in essere.
Questa procedura ha consentito la determinazione del
risultato civilistico della stabile organizzazione come se la
stessa fosse una società autonoma. Precisiamo che non è
nostro compito valutare se i riaddebiti siano avvenuti nel
rispetto del principio di valore normale.
Procedura N.3
Verifica di quanto fatto per la determinazione del risultato fiscale (quindi esame delle ragionevolezza delle variazioni apportate al risultato ottenuto sub procedura N.2)
della stabile organizzazione estera e ovviamente verifica
delle condizioni per poter considerare come scomputabile la imposta estera. A quanto indicato si deve aggiungere
anche una verifica del calcolo di scomputo (riconciliazione con la dichiarazione dei redditi)
Procedura N.4
Verifica circa la correttezza dei dati inseriti in dichiarazione.
Al termine di quanto sopra possiamo attestare che i seguenti crediti di imposta che devono essere determinati
per ogni singolo paese il cui il contribuente italiano viene
ad operare
Paese
Importo
sono da riferire a: 1) imposte sul reddito; 2) imposte pagate a titolo definitivo e non ripetibili e possiamo dare
conto che: a) esistono le condizioni teoriche per lo scomputo; b) il calcolo posti in essere per lo scomputo, per
quanto visto in ragione delle procedure poste in essere,
sono scevri da errori materiali.
Conclusioni
In sostanza la lettera deve garantire che l’operato della società sia corretto dal punto di vista sostanziale (determinazione dell’importo) e concettuale (natura della imposta).
Resta a carico della Amministrazione Finanziaria l’attività di verifica anche in collaborazione con la autorità
estera al fine di poter meglio determinare la posizione del
contribuente ed ovviamente il suo diritto nel procedere
allo scomputo della imposta estera.
la
Rivista
n. 6 - Giugno 2011
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Donne in carriera
di Ingeborg Wedel
Realizzare
i sogni delle donne
Incontrare Anna Molinari, grande stilista, creatrice del
marchio BLUMARINE, nata a Carpi in provincia di Modena dove vive tuttora, è stato un vero piacere.
Carpi è definita anche “il distretto della maglieria”. Lì, i
suoi genitori gestivano un maglificio e realizzavano capi
per le più importanti griffe: normale per Anna – attratta
dalla moda e da grande amore per la storia dell’arte studiata all’università – scoprire e valorizzare il lato estetico
delle cose.
“Ho sempre mantenuto le mie radici a Carpi. – confida Anna
- Pur viaggiando spesso per lavoro: l’essere ancorata ai valori
della mia terra, l’aver puntato all’eccellenza dei prodotti Made
in Italy, l’aver creato un modello di impresa familiare flessibile, dinamica, centrata sui valori delle persone, credo abbiano
contribuito al successo di BLUMARINE. Questo marchio, il cui
nome rispecchia l’amore mio e di mio marito Giampaolo per
il mare, è nato nel 1977. Il mio desiderio più grande ed il mio
obiettivo era quello di poter essere considerata un’innovatrice
nel panorama della moda, creando un marchio ed apportando
uno stile che fosse il frutto del mio gusto e della mia sensibilità
e che rispecchiasse il mio modo di essere. In seguito alla prematura scomparsa di mio marito nel 2006. Mio figlio Gianguido
ha assunto l’incarico di Amministratore Unico dell’Azienda,
mentre mia figlia Rossella ha sempre avuto una grande passione per la moda.
Credo che le stiliste, nel loro modo di interpretare la creatività
abbiano una sensibilità particolare nel saper cogliere i desideri,
le aspettative e le esigenze delle donne che scelgono di vestire i
loro capi. Prima di ogni altro aspetto le stiliste desiderano realizzare i sogni delle donne ed il loro desiderio di sentirsi belle e
femminili, di esprimere realmente la loro personalità. Rispetto
agli anni ’70 quando i grandi couturiers erano uomini, molte
cose sono cambiate ed ora si è creato un certo equilibrio nel
mondo della moda fra uomini e donne.
La donna, tuttavia, necessita di molto più tempo di un uomo
per farsi apprezzare, per riuscire a veder riconosciuto il proprio
ruolo, per ottenere rispetto e autorevolezza. Una volta raggiunta
una posizione di vertice, la donna è in grado di dare continuità
non solo al proprio operato, ma anche di mantenere le relazioni
con i collaboratori o i dipendenti, sapendo alternare in maniera
sapiente la componente istintuale ed emozionale con quella razionale e progettuale. La donna, se lo desidera con convinzione,
è in grado di instaurare la vera leadership, quella relazionale.
A mio giudizio, l’aspetto più difficile per una donna è riuscire
a controllare certe forme di sensibilità ed insicurezza. È altrettanto diffusa una certa attitudine ad analizzare le situazioni
secondo un approccio troppo psicologico e personale che può far
sfuggire di vista gli obiettivi da raggiungere”.
Anna ritiene che le intuizioni femminili siano superiori a
quelle maschili per l’attitudine maggiormente creativa che
contraddistingue le donne, per il loro modo di saper risolvere situazioni critiche in maniera tempestiva e costrut-
tiva, per un certo istinto innato a prevedere situazioni e
cogliere relazioni.
Non crede che la donna in carriera goda di privilegi particolari. Il privilegio vero, spesso, è quello di poter svolgere
un lavoro realmente amato e gestito con passione e determinazione: “se una donna raggiunge posizioni al vertice nella
maggior parte dei casi ha una forte motivazione interiore che
la porta a svolgere un lavoro come una “missione” con tutte le
ricadute positive del caso”.
Non nega l’importanza della seduzione: “indubbiamente,
nella nostra società, è innegabile che unire competenze e conoscenza a doti di prestanza fisica può avere una certa influenza
da parte di chi deve scegliere un candidato donna per ricoprire
determinati incarichi.”
La soddisfazione maggiore consiste nell’essere apprezzata
per i risultati conseguiti senza sentirsi dire la frase più banale: “Ti sei comportata come avrebbe fatto un uomo”.
Verso dipendenti femminili la donna dirigente è in grado
di alternare un atteggiamento autoritario ad un atteggiamento complice. “La donna sa realmente ascoltare e, se non
subentrano invidie può instaurare relazioni sincere anche con
dipendenti donna”.
Fra le rinunce che ha dovuto metter in conto, Anna, dal
momento in cui ha deciso di crearsi una famiglia, annovera la necessità di conciliare vita lavorativa e vita privata,
non senza sacrifici e con i classici sensi di colpa.
Pochi gli Hobby che riesce a coltivare. Si rilassa occupandosi dei fiori del suo giardino. “Ma ho anche una vocazione
di collezionista. Amo i dipinti impressionisti, i gioielli e le auto
sportive!”
Concludiamo segnalando un particolare importante della
sua vita lavorativa che Anna Molinari non ci ha raccontato (l’abbiamo appreso da altra fonte): 17 Novembre 2010,
è stata insignita del prestigioso titolo di cavaliere del lavoro. L’onorificenza che viene assegnata alle personalità
dell’imprenditoria che si sono distinti nel loro lavoro.
la
Rivista
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mio ultimo progetto sia
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con il successivo.»
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L’Elefante invisibile1
di Vittoria Cesari Lusso
Matrimonio del secolo?
Non è difficile indovinare a quale matrimonio mi
riferisco. In queste ultime settimane tutti i media del
pianeta hanno dato grande spazio alle fastose nozze
di William e Kate. È sembrato di assistere a una sorta
di concorso mediatico mondiale su chi pubblicava le
immagini più seducenti e attrattive, i commenti romanticamente più stuzzicanti, i giudizi più competenti
in fatto di moda e costume, le riflessioni sociologicamente più acute sul significato di un tale avvenimento.
Se ne è talmente parlato che in un primo tempo il“matrimonio del secolo” non mi è sembrato un soggetto
adatto per una rubrica che porta il titolo “L’elefante invisibile”. Cosa c’è di invisibile ormai?! Tutto è già stato
detto e scritto. Senonché, in un secondo tempo mi è
sorta una domanda e con essa la motivazione a cercare
lembi di risposta: perché tutti parlano di matrimonio
del secolo? Cosa avrà mai di tanto speciale?
1
Una vecchia
leggenda indiana
narra di un elefante
che pur muovendosi
tra le folle con
la sua imponente
mole passava
comunque
inosservato.
Come se fosse
invisibile…
Che sia perché due miliardi di persone (ci dicono) sono rimaste incollate davanti al televisore per
seguire la cerimonia? Ma (mi dico) saranno stati effettivamente due miliardi? Come fanno a contarli
in questi casi? C’è qualche specialista che impiega
metodi affidabili per fare una stima corretta, oppure
i vari media riprendono la cifra che un primo giornalista ha sparato così, tanto per impressionare? Ad
ogni modo, quand’anche l’audience non fosse stata
di due miliardi, ma solo della metà, o di un quarto, già
si tratterebbe di un bel fenomeno! Sarebbe poi interessante sapere come gli spettatori si suddividevano
per sesso e fasce di età. Visto che è ragionevolmente
impossibile avere dati validi universalmente su questo punto, potremmo modestamente limitarci a commentare cosa è successo nel microcosmo di ciascuno
di noi. Dalle osservazioni che ho raccolto intorno a me
risulta che le donne erano in maggioranza in prima
linea davanti ai teleschermi. Non che i maschi fossero
assenti, ma si tenevano nelle retrovie e giocavano a
mostrarsi poco interessati. Mentre la mattina del 29
aprile (tra parentesi, chissà perché i“regali sposi”hanno scelto il venerdì? Un tempo si diceva “di venere e
di marte né si sposa né si parte”!) la moglie, la figlia
o l’amica erano incollate davanti allo schermo, loro si
aggiravano con ostentata indifferenza, ma seguendo
comunque lo spettacolo ed esprimendo commenti
critici sull’anacronismo della monarchia, sullo spreco
di risorse, sullo charme delle invitate. Il che non mancava di suscitare reazioni irritate delle signore o delle
signorine in questione, del tipo: “Ma lasciami guardare
in pace! Vai a farti un giro!”
Che sia perché la sposa non è nobile? Non credo, poiché siamo ormai da tempo abituati a vedere
principi o principesse che convolano con cosiddetti(e)
borghesi, siano essi(e) guardie del corpo, personal
trainer, hostess, presentatrici, ballerine, attrici, et cetera. Da questo punto di vista abbiamo dunque una
molteplicità di matrimoni del secolo. In fondo, i matrimoni reali socialmente misti non sono soltanto l’esito
di romantiche storie d’innamoramento e amore, ma
rappresentano per le monarchie occidentali un modo
per rinnovarsi, per mostrarsi aperte, per accrescere insomma il numero dei “tifosi”.
Che sia per quell’addobbo “ecologico” nella
Westminster Abbey? Addobbo fatto di alberi e non
di fiori recisi. L’idea mi sembra carina. Direi da copiare
subito. Ma non comunque sufficiente per qualificare
l’evento come “matrimonio del secolo”.
Che sia perché tra gli invitati c’erano non pochi
esempi di coppie che testimoniavano l’attuale epocale cambiamento di costumi in termini di modelli
matrimoniali? Forse sì. C’erano, ad esempio, i tre figli
maggiori della regina a ricordare con le loro (prime?)
infelici storie coniugali come il divorzio rappresenti
oggi la via normale e sempre più diffusa (tra i reali e
tra i sudditi) per inseguire la mitica promessa del “…e
vissero felice e contenti”. C’era poi il cantante Elton John
che, cito il Corriere della Sera di sabato 30 aprile,“si presenta con David Furnish, marito molto premuroso”. Il termine marito mi ha molto incuriosito. Niente di strano
oggi che il celebre cantante si sia unito in matrimonio
con un altro signor, quel che mi intriga è il fatto che
questi venga definito suo marito. Come funziona nei
matrimoni omosessuali: ci sono due mariti o due mogli? Oppure ci si mette d’accordo su chi, in occasione
delle presentazioni, viene definito marito e chi moglie?
A dire il vero mi sembra questo un matrimonio degno
dell’appellativo “del secolo”. (La mia è una constatazione antropologica e non un giudizio morale).
Che sia perché viene esaltato il valore simbolico
del ritoe dell’impegno assunto pubblicamente e
responsabilmente in vista della creazione di una
nuova famiglia? Spero di sì. Da questo punto di vista
Kate e William assomigliano a molte coppie moderne che mi è capitato di incontrare, ad esempio della
generazione di mio figlio. Si sperimentano dapprima
una serie di relazioni che non comportano vincoli, né
di convivenza né tanto meno progetti comuni a lungo
termine. Poi quando i genitori cominciano a chiedersi “questo benedetto figlio(a) si accaserà mai?”, ecco che
arriva l’annuncio di una joint venture con l’eletto(a)
del momento. A volte la relazione sotto lo stesso tetto
dura, a volte no. Quando il legame si mostra solido, a
un certo punto gli amanti iniziano a pensare all’avventura genitoriale. L’idea del matrimonio comincia
allora a essere presa in considerazione. Il desiderio
di una celebrazione solenne e pubblica del legame e
dell’impegnativo progetto familiare guadagna terreno. Il giorno del sì, l’abito della sposa spesso è oggi
ancora candido come in passato. Ovviamente non è
più un simbolo di verginità, ma piuttosto –penso –
quello di pagina bianca che evoca un impegnativo
percorso familiare ancora tutto da scrivere.
Se avete commenti o reazioni in merito al tema trattato non esitate a contattarmi [email protected]
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n. 6 - Giugno 2011
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La Tunisia tra grandeur francese
e gallofobia italiana
Di Tindaro Gatani
I recenti dissapori tra Italia e Francia sulla
questione dei profughi tunisini ci ricordano
tutta una serie di dissidi, di guerre doganali, di
reciproche accuse, che hanno portato i due Paesi
a sconvenienti e reiterati scontri. Un brutto film
che dura da otto secoli: dal tempo dei Vespri
Siciliani, con la Tunisia quasi sempre convitata
di pietra, la cui assenza-presenza ha influenzato,
suo malgrado, le relazioni tra i due Stati.
Il francese Carlo d’Angiò re di Napoli e di Sicilia
Federico II di Svevia, imperatore del Sacro Romano
Impero, lo stupor mundi, che con la sua febbrile attività
politica e il suo amore per l’arte, le scienze e la letteratura aveva fondato la Scuola poetica siciliana; il reparator orbis (salvatore del Mondo), che si era posto alla
testa dei ghibellini italiani e tedeschi; il sovrano illuminato che lottava contro i vizi del Papato, invocando
la purezza della Chiesa primitiva; il re che era riuscito
a far convivere in perfetta armonia l’anima cristiana e
quella islamica della Sicilia, dove aveva stabilito la sua
Corte, morì per sospetto avvelenamento a Fiorentino di
Puglia (Foggia) il 17 dicembre 1250. Sul trono di Sicilia
gli successe allora il figlio naturale Manfredi, che manifestò la ferma intenzione di riunire sotto il suo scettro
tutta l’Italia.
Quello che fu il primo vero e proprio tentativo dell’unità della Penisola, si scontrò però con le mire di re Luigi
IX di Francia, che era riuscito a imporre sul soglio di
Pietro il suo connazionale Jacques Pantaléon, nato intorno al 1200 a Troyes, regione Champagne-Ardenne,
che fu papa, con il nome di Urbano IV, dal 1261 al 1264.
Luigi IX, che poi sarà canonizzato e fatto santo, fece
scomunicare Manfredi e assegnare il suo regno al fratello Carlo d’Angiò, che concordò con il nuovo papa
Clemente IV la sua discesa in Italia, impegnandosi nella lotta contro i ghibellini e la casa di Svevia. Il Papa
indisse allora una crociata contro Manfredi, investendo
Carlo re di Sicilia e nominandolo capo della stessa crociata (14 maggio 1265). Lo scontro tra Angioini e Svevi
avvenne il 26 febbraio 1266 a Benevento. Carlo d’An-
Carlo d’Angiò come segno del suo dominio fece ergere a Napoli
il Maschio angioino, ancora oggi simbolo della città Pubblica e
Universitaria.
giò, battendo Manfredi che morì nel corso di quella
battaglia, si assicurava il possesso del Regno di Napoli
e di Sicilia, segnando il trionfo dei guelfi in tutta Italia,
ad esclusione di Verona e Pavia che rimasero filo-imperiali. Come segno del suo dominio fece ergere a Napoli
il Maschio angioino, ancora oggi simbolo della città. «Il
nostro diletto figlio Carlo — scriveva papa Clemente IV il
6 maggio 1266 al suo legato in Inghilterra — è padrone
incontrastato di tutto il regno, poiché ha in suo potere il
cadavere putrefatto di quell’uomo pestifero, la moglie, i figli
e il suo tesoro».
Carlo aveva grandi progetti, voleva fare della Sicilia
la base di partenza per la conquista dei Balcani, della Grecia, dell’Impero bizantino, ma prima dovette
seguire a malincuore il fratello alla crociata di Tunisi.
Arrivò sul suolo africano il 25 agosto 1266, appena in
tempo per salutare il fratello che, colpito da dissenteria,
morì lo stesso giorno, seguendo la sorte dell’altro fra-
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Il primo ministro italiano, Benedetto Cairoli, promotore
della politica delle mani nette, a quanti lo accusarono di
essere rinunciatario, rispose allora con fermezza che il
popolo italiano, uscito dal Risorgimento, dopo dure lotte
contro la dominazione straniera, non doveva a sua volta
sottomettere altri popoli
tello, Alfonso, morto quattro giorni prima dello stesso
male. Carlo fu costretto allora ad assumere il comando
dell’esercito cristiano, concludendo ben presto, contro
il volere di tutti gli altri crociati, un accordo con l’emiro locale. Poteva così tornare in Sicilia e dedicarsi alle
prossime spedizioni verso Oriente. Nel 1271 occupò
Durazzo e l’anno dopo si autoproclamò re d’Albania,
stabilendo alleanze con Serbi e Bulgari contro l’imperatore cristiano ortodosso di Costantinopoli, Michele
VIII Paleologo.
Tra Guelfi e Ghibellini
La preparazione della guerra contro Bisanzio, per le
implicazioni internazionali politico-religiose fu lunga
e minuziosa. I preparativi furono bloccati da Gregorio
X (Tebaldo Visconti), Papa dal 1271 al 1276, che stava
trattando con Michele VIII, la riunificazione dei cristiani
sotto la “superiorità” della Chiesa di Roma. Quelle del
Paleologo erano però solo delle finte promesse, per allontanare la minaccia angioina e continuare la sua lotta
per la supremazia nei Balcani. Dopo i brevi pontificati
di Adriano V (1276), di Giovanni XXI (1276-1277), di
Niccolò III (1277-1280), salì sul soglio, «per volontà di
Carlo d’Angiò», Martino IV (Simon di Brion), papa dal
1281 al 1285. Uno dei primi atti del nuovo pontefice
francese fu quello della scomunica dei Bizantini e della
loro Chiesa, un chiaro appoggio alla crociata personale di Carlo contro quell’Impero. Ma intanto in buona
parte dell’Italia settentrionale, a partire da Genova e da
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alcune città lombarde, i ghibellini avevano conquistato
il potere alleandosi con Alfonso X di Castiglia, facendo mancare così forti appoggi a Carlo e precludendo il
passaggio via terra di truppe amiche provenienti dalla
Francia. Quando Carlo decise di spostare la capitale
del suo Regno da Palermo a Napoli, i baroni siciliani,
che si erano visti anche colpiti nei loro antichi privilegi,
trasformarono il loro malumore e la loro insofferenza
verso il re francese in opposizione aperta, rivolgendosi a Pietro III d’Aragona, che aveva sposato Costanza,
figlia di Manfredi e di Beatrice di Savoia, unica discendente legittima della casa sveva. Un diritto ereditato
dopo che il giovane cugino Corradino, sceso in Italia
per riconquistare il regno dei suoi avi, era stato battuto
da Carlo nella battaglia di Tagliacozzo (L’Aquila), il 23
agosto 1262, e barbaramente decapitato nell’odierna
Piazza del Mercato di Napoli il 29 ottobre dello stesso
anno. Nel 1276, Costanza era stata incoronata con il
marito regina d’Aragona, senza mai rinunciare ai suoi
diritti sul trono di Sicilia. Re Pietro, supplicato dai baroni siciliani, decise di riconquistare il trono della moglie.
Fu per questo che, nel 1281, indisse, contro il volere di
papa Martino IV, una crociata contro la Tunisia, primo
terreno di scontro con Carlo. La Tunisia era solo una
scusa per poter poi da lì invadere più facilmente la Sicilia e minacciare Carlo in casa. Intanto il governo di
Carlo si era fatto sempre più spietato e vessatorio. In vista della sua spedizione contro Bisanzio imponeva gravosi balzelli, requisiva cavalli e vettovaglie, attirandosi
l’odio dei sudditi. L’imperatore Michele VIII Paleologo
fece di tutto per impedire quella partenza, alleandosi
con i ghibellini genovesi e con i baroni siciliani che, approfittando di nuovi e gravi soprusi perpetrati dai soldati francesi che, con la scusa di perquisire le donne
palermitane, alla ricerca di armi, si sarebbero messi a
palpeggiarle davanti ai mariti, ai padri e ai fratelli.
I Vespri siciliani
Era la sera del 31 marzo 1282, martedì dopo la Pasqua
di Resurrezione, e la sollevazione dei Palermitani contro i Francesi sarebbe passata alla storia, per l’ora in cui
era scoppiata, con il nome di Vespri siciliani. Da Palermo, la rivolta si propagò in tutta l’Isola e si concluse
con il massacro di migliaia di francesi. «Con le loro sole
forze i Siciliani avevano portato a termine la strage di Palermo e stavano eroicamente difendendo Messina. La loro
sollevazione era stata però il risultato di una grande congiura contro l’odiato re francese: se è probabile che abbiano
ricevuto armi da Genova e dall’Aragona; è — comunque —
certo che ricevettero oro da Bisanzio» (Steven Runciman,
I Vespri siciliani). Mentre Carlo, costretto dalla rivolta di
Palermo a rimandare la sua partenza contro Bisanzio,
era inchiodato a Messina, nell’agosto dello stesso anno
1282, Pietro d’Aragona sbarcò a Trapani con 600 armigeri e oltre 8.000 almugaveri, soldati di fanteria divenuti poi famosi per la loro crudeltà. Aragona (Spagna) e
Francia si preparavano al primo loro grande scontro per
il predominio sull’Italia e sul Mediterraneo. E i Siciliani
avevano fatto una scelta netta a favore della Spagna. I
ricordi dei Vespri avrebbero alimentato lo spirito antifrancese del popolo siciliano in molte altre occasioni. E
all’odio dei Siciliani per la Francia ha fatto, quasi sempre, riscontro la loro devozione a Spagna e Inghilterra,
ne sono testimonianza anche alcuni modi di dire ancora oggi popolari in Sicilia: «Non mettere insieme Francia
e Spagna», per dire di due cose diverse: una brutta e
l’altra bella; e ancora: «Con tutti faccio guerra, ma non
con l’Inghilterra», anche per le comuni origini normanne dei due Parlamenti.
E intanto lo spirito gallofobo dalla Sicilia si era propagato a quasi tutta l’Italia. Se ne sarebbe avuta una
palese dimostrazione in occasione della calata nella
Penisola del re di Francia Carlo VIII, che in base a un
vago diritto ereditario sul trono di Napoli, entrò in Italia
nel 1494 con un potente esercito e raggiunse Napoli
il 22 febbraio 1495. Ma una coalizione di Stati italiani,
compresi anche quelli che avevano appoggiato la sua
venuta, lo costrinsero a far ritorno in Francia nel luglio
del 1495.
La lotta tra Francia e Spagna per il predominio sull’Italia continuò con la salita sul trono francese di Luigi XII
che, rifacendosi ai diritti ereditati dalla nonna Valentina
Visconti, nel 1500 conquistò il Ducato di Milano e marciò verso Napoli, ma fu sconfitto nel 1503 dagli Spagnoli nella battaglia di Garigliano. In quei frangenti si
inquadra la celebre Disfida di Barletta (Bari), presentata
dagli storici risorgimentali italiani come un momento
di lotta per la libertà e l’indipendenza della Penisola,
almeno così si evince dal romanzo di Massimo d’Azeglio dedicato, nel 1833, a Ettore Fieramosca, capo dei
13 Italiani che sfidarono e vinsero i tredici Francesi (13
febbraio 1503). I nostri storici risorgimentali hanno dimenticato comunque di dire che in quell’occasione, i
tredici eroi capeggiati da Ettore Fieramosca non si batterono per la libertà d’Italia, ma per sostenere le pretese della Spagna. Per i Siciliani fu particolare motivo
di orgoglio che tra i tredici compagni del Fieramosca ci
fossero due valorosi loro corregionali: Francesco Salomome e Guglielmo Albimonte.
Il Congresso di Berlino e l’azione del Bismarck
L’odio antifrancese ebbe un ruolo determinante anche
nella famosa rivolta palermitana del 1647. Quando
Giuseppe d’Alesi che, seguendo l’esempio di Masaniello a Napoli, si era messo alla testa dei rivoltosi palermitani, era riuscito a controllare la città e a esportare
la ribellione in tutta l’Isola, i nobili, che avevano finto
di assoggettarsi ai suoi voleri, per distruggerne il mito,
sparsero la voce che lo scopo di quel capopopolo era
quello di cacciare gli Spagnoli per consegnare poi la Sicilia alla Francia. E quella falsa notizia, messa in giro ad
arte, segnò la fine del rivoltoso d’Alesi.
Nel Settecento sembrò per un certo tempo che i Siciliani avessero dimenticato l’antica gallofobia. La cultura, l’arte e la moda parigine e la stessa lingua francese,
parlata correntemente dalla nobiltà locale, esercitarono
grande influsso sugli usi e sui costumi anche del popolo. Ma quando nell’Isola giunsero le notizie della Rivoluzione del 1789 e degli eccessi che ne seguirono, ecco
allora che il vecchio spirito antifrancese, fomentato dai
nobili, ebbe di nuovo il sopravvento. L’odio non era più
però per tutta la Francia «quella nobile e meschina», ma
solo per «gli sfrenati suoi figli» che si erano «spinti a tanti vili atti rivoluzionari». E la nobiltà siciliana fu allora
generosa di aiuti ai nobili francesi, che trovarono asilo nell’Isola. Mentre dopo la prima campagna d’Italia
II cancelliere Otto von Bismarck brigò inducendo i Francesi
ad intraprendere l’avventura africana e a raccogliere «la
pera tunisina ormai matura».
di Napoleone Bonaparte, tutta la Penisola finiva sotto
l’occupazione o l’influenza francese, la Sicilia, grazie
soprattutto all’interessata protezione inglese, era diventata un caposaldo antifrancese di primaria importanza. Per rinfocolare lo spirito gallofobo dei Siciliani,
la Francia ritornò a essere sinonimo di miseria: “c’è
Francia”, ancora oggi, significa“c’è fame”, disoccupazione;
francisi diventò sinonimo di miserabile e panni francisi
di situazione ingarbugliata; nfrancisato di contagiato di
malattia venerea, per i Siciliani notorio male francese!
Ma fu con l’annessione francese della Tunisia che la furia gallofoba avrebbe alimentato una vera e propria rivolta nell’Isola, con ripercussione anche su tutta l’Italia.
Dopo che la Prussia aveva invaso e battuto la Francia
(luglio 1870-maggio 1871), togliendole l’Alsazia e la
Lorena, il cancelliere Otto von Bismarck cercò con ogni
mezzo di allontanare da sé lo spettro della riconquista
francese delle due ricche regioni. L’occasione si presentò nel 1878, quando si tenne in casa sua il Congresso di
Berlino. Con la mediazione del cancelliere di ferro, le
grandi potenze europee, seguendo l’esempio del Congresso di Vienna del 1815, si spartirono tutto quello che
ancora restava da spartirsi. Russia, Prussia, Inghilterra,
Austria e la stessa Turchia vennero ricompensate con
concessioni territoriali ai danni dei popoli più deboli.
Per riportare pieno successo su tutti i fronti al Bismarck
restava soltanto di accontentare in qualche modo la
Francia per distoglierla dai desideri di riconquista dei
territori perduti sulla sinistra del Reno.
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Napoli, il Maschio angioino.
Lo schiaffo di Tunisi
Ancora una volta, l’astuto cancelliere, con abili mosse
diplomatiche, riusciva nel suo intento, appoggiando le
mire colonialiste di Parigi sulla Tunisia, ben sapendo
che una simile politica avrebbe portato la Francia a un
conflitto aperto con l’Italia, che era l’unico Stato a uscire dal Congresso di Berlino senza aver ottenuto nulla.
Il primo ministro italiano, Benedetto Cairoli, promotore della politica delle mani nette, a quanti lo accusarono
di essere rinunciatario, rispose allora con fermezza che
il popolo italiano, uscito dal Risorgimento, dopo dure
lotte contro la dominazione straniera, non doveva a sua
volta sottomettere altri popoli. E intanto il Bismarck
non cessava di incoraggiare i Francesi a intraprendere l’avventura africana e a raccogliere «la pera tunisina
ormai matura». La Francia, temendo giustamente che il
colpo contro la Tunisia, avrebbe suscitato la dura reazione dell’Italia, tentò di spostare l’attenzione di Roma
verso la Libia.
I Prussiani avrebbero aiutato i Francesi a conquistare
la Tunisia, e i Francesi avrebbero aiutato gli Italiani a
prendersi la Libia. Il gioco era facile e in tal senso ci
furono trattative dirette tra gli Stati europei interessati.
Ma non si potevano fare i conti senza considerare le
migliaia di Italiani immigrati in Tunisia e il pacifismo
di Benedetto Cairoli, che a quanti gli volevano imporre
quella soluzione rispose: «Meglio la sconfitta di un Ministero che quella della giustizia. Preferiamo cadere con la
nostra bandiera, piuttosto che vivere disonorandola».
Anche in Francia si formò un partito anticolonialista
capeggiato da Albert De Broglie e Georges Clemance-
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au. Quando la Francia, nel 1881, ottenne il protettorato
sulla Tunisia, tutta l’Italia insorse contro l’odiato vicino
d’Oltralpi. Lo schiaffo di Tunisi era un’umiliazione insopportabile. L’ondata antifrancese costrinse Benedetto Cairoli alle dimissioni, facilitando il ritorno al governo di Agostino Depretis, che formò il suo quarto ministero tutto con ministri gallofobi. Era proprio quello
che voleva il Bismarck per attirare l’Italia nella sua sfera
d’influenza. Alle penose scene di tanti immigrati italiani che lasciavano in fretta la Tunisia fecero riscontro quelli di altri nostri immigrati malmenati, il 19 e 20
giugno 1881, a Marsiglia per aver manifestato contro i
soldati francesi di ritorno dalla conquista di Tunisi.
Nota, tra l’altro, Pierre Milza: «Qualsiasi individuo sospettato d’essere italiano si vede assalito a pugni o a sassate
e spesso sfugge agli aggressori soltanto grazie all’intervento
della polizia o di qualche passante coraggioso... Bilancio
ufficiale di queste giornate di sommossa, che saranno battezzate Vespri marsigliesi dalla stampa transalpina: 3 morti
e 21 feriti in ospedale di cui 15 italiani». La situazione si
era intanto complicata dopo che erano corse voci di
un impegno francese per la promozione di una guerra
santa per la liberazione di Roma e il suo ritorno alla
Chiesa.
Alla notizia dei fatti di Marsiglia si tennero manifestazioni di protesta in tutta Italia. A Palermo, dove erano
in corso i preparativi per il VI centenario dei Vespri del
1282, quelle manifestazioni assunsero quasi il carattere di rivolta. Dal 23 al 25 giugno 1881, la città fu percorsa da cortei che scandivano slogan non solo contro
la Francia, ma anche contro lo stesso governo italiano
Barletta.
che, seguendo la linea del disimpegno, aveva compromesso gli interessi italiani e siciliani in particolare in
Tunisia.
Triplice Alleanza e guerra doganale
Al Depretis non restava che inaugurare una nuova linea di politica estera che avrebbe gettato l’Italia nelle
braccia della Germania. Ma un’alleanza con la Germania non era possibile senza quella con la tanto odiata
Austria. Il 20 maggio del 1882 a Vienna sarebbe stato
firmato il trattato della Triplice Alleanza tra la Germania,
l’Austria e l’Italia. Era la vittoria più completa di Otto
von Bismarck. La politica antifrancese del Depretis fu
continuata da Francesco Crispi, che gli successe come
primo ministro nel 1887, accentuando anche l’intransigenza verso il Vaticano, allora guidato dal segretario di
Stato Mariano Rampolla del Tindaro, suo corregionale
e feroce avversario.
L’Austria non dimenticherà mai l’azione svolta dal cardinale siciliano e quando, dopo la morte di Leone XIII
(1903), il Rampolla stava per essere proclamato papa dal
conclave, l’imperatore Francesco Giuseppe d’Austria
pose, tramite il cardinale Kniaz de Kolziesko Puzyna,
arcivescovo di Cracovia, il veto alla sua elezione a Pontefice. Al posto di Mariano Rampolla del Tindaro salì allora sul soglio di Pietro il cardinale Giuseppe Sarto, che
assunse il nome di Pio X. Uno dei primi provvedimenti
del nuovo Papa fu proprio l’abolizione dell’istituto del
veto dell’imperatore nell’elezione dei pontefici.
I contrasti con la Francia dovevano avere ben più gravi conseguenze economiche soprattutto per la Sicilia e
l’Italia meridionale. In un momento di forte crisi agraria si stava assistendo non solo al peggioramento delle
nostre classi rurali, i quattro quinti della popolazione,
ma anche alla rovina di un gran numero di piccoli e
medi proprietari terrieri. Per tutelare il nostro mercato,
l’Italia, dichiarando una vera e propria guerra doganale,
cercò di ostacolare l’importazione di prodotti francesi.
Ma il risultato fu catastrofico.
Per effetto della reciprocità, le nostre esportazioni verso
la Francia, che negli anni 1881-1887 avevano raggiunto
una media annuale di 444 milioni di lire, 2/5 delle nostre esportazioni totali, scesero negli anni 1888-1890 a
una media annua di solo 165 milioni di lire. Particolarmente colpita fu la Sicilia, da dove la Francia importava
vino, zolfo e agrumi.
Le migliaia di disoccupati per la grave crisi si organizzarono allora nei famosi Fasci siciliani dei lavoratori, il
più grande movimento popolare fino allora visto in Italia. Ma le loro richieste furono soffocate nel sangue con
l’intervento dell’esercito mandato da Francesco Crispi
a sparare sugli operai della sua stessa terra.
Ai Siciliani non restava che partire verso terre lontane, a seguire i Veneti, i Lombardi, i Toscani e tutti gli
altri connazionali che li avevano preceduti sulla via
dell’emigrazione.
I contrasti, gli equivoci e i dissapori tra Italia e Francia, nonostante gli eventi che le hanno portato a combattere e vincere le due guerre mondiali stando dalla
stessa parte e la loro stretta collaborazione nell’ambito
dell’integrazione europea, vengono, di tanto in tanto,
ancora a galla, per seri e talvolta anche per futili motivi.
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CON BEPPE SEVERGNINI PARLANDO DEL SUO NUOVO LIBRO
Ai posteri l’ardua sentenza
Quale percentuale di Berlusconi c’é in ognuno di noi?
di Margherita Réan
Beppe Severgnini continua la sua personale inchiesta sull’anatomia del corpo degli italiani.
Dopo La testa degli italiani é uscito, da poco tradotto in tedesco, La pancia degli italiani con un
sottotitolo molto significativo: Berlusconi spiegato ai posteri. Grazie alla sua capacità di comprendere nel profondo gli abitanti del Bel Paese,
Berlusconi (che con un certo distacco Severgnini
chiama B.), si é imposto sulla scena politica per
17 anni. Il giornalista tenta di spiegare il successo e l’ascesa politica di un italiano medio, che
meglio di chiunque altro ha saputo parlare alla
pancia dei suoi elettori e che più di chiunque altro
fa rivoltare lo stomaco dei suoi detrattori. La sua
approvazione o disapprovazione é viscerale e totalmente irrazionale. Cinque anni dopo e qualche
capello bianco in più sulla famosa zazzera, Severgnini é tornato a Zurigo. In una saletta dell’Hotel
Savoy, si é prestato a rispondere a molte domande
sul suo libro non sempre comode. Mantenendo la
sua proverbiale gentilezza ed ironia ma lasciando
un’immagine del paese alquanto scoraggiante.
Perché questo interesse a spiegare Berlusconi
alle generazioni future?
Perché non si capisce niente dai giornali. Ognuno di
noi é convinto di avere l’interpretazione autentica di
B.: alla destra italiana basta applaudirlo e alla sinistra
condannarlo. Il libro é destinato a due categorie da una
parte ai giovani che vorranno capire cosa é successo in
Italia e dall’altra agli stranieri. Non quegli stranieri che
dell’Italia hanno l’idea di un inferno dantesco o di un
luogo irrecuperabile e neanche per quelli che hanno
dell’Italia l’idea di un luogo pittoresco, per i quali é totalmente irrilevante che a Palazzo Chigi ci sia un angelo
o un demonio. Ci sono altri stranieri ed il libro é rivolto
a loro, che hanno capito i punti deboli e i punti di forza
dell’Italia e che vogliono capire come e quanto ci sia di
B. negli italiani. Perché se non capisci Berlusconi non
capisci l’Italia fino in fondo e non capisci l’Italia fino in
fondo se non capisci Berlusconi.
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É da qui che é nata l’idea del Berluscometro?
É nata partendo dalla frase di Giorgio Gaber: «Non
ho paura di Berlusconi in sé, ma di Berlusconi in me».
Durante un’intervista con Veltroni gli ho detto: - Onorevole Veltroni ho qui uno strumento che si chiama berluscometro, posso provarlo su di lei? Stabilisce quale
percentuale di Berlusconi c’é in ognuno di noi - Ho
visto come un leggero timore passare nei suoi occhi.
Fatto sta che non ho potuto utilizzarlo, se vuole provo
con lei... (ride n.d.r.)
L’idea del libro é proprio che ci sia un Berlusconi
in ognuno di noi...
C’é qualcosa di B. in ognuno di noi! Lei mi può dire:Non c’é niente di Berlusconi in me! - Io le chiedo di
parlare con suo marito, con suo figlio, con il suo dietologo, il suo fiscalista e con il suo confessore... e poi
vediamo.
Il fatto di accomunarlo ad ognuno di noi, non é banalizzare un fenomeno, un anomalia che resta unica in Europa?
Berlusconi é un’anomalia. Non si tratta di banalizzare,
ma cercare di dipingerlo come una sorta di mostro extraplanetario calato con il disco volante sull’Italia é una
sciocchezza! Nel libro é detto in maniera chiarissima
che un capo di governo non deve possedere i media,
che é soggetto alla giustizia, che non deve farsi le leggi
da solo, che non può circondarsi di ragazzine pagandosi il loro corteggiamento. Non offro attenuanti, ma
cerco di capire perché molti italiani gliene trovano e
in che modo lui prenda alcune caratteristiche nostre e
le porti fino al parossisimo. Berlusconi ha un sensore
molto sofisticato per capire come si muove la pancia
degli italiani.
Anche le altre forze politiche dovrebbero quindi
imparare a parlare alla pancia, ma non si sfocia nella demagogia?
Alcuni esponenti della sinistra, parlano alla pancia, ma
la capacità di B. di vendere il prodotto é infinitamente
superiore. Ricordiamoci però che viene votato solo da
3 italiani su 10.
Una forza politica deve pensare che se conquistasse
soltanto metà dei voti degli altri sette vuol dire che
vince le elezioni. Nella politica italiana c’é una patologia dell’egocentrismo per cui ognuno pensa di essere
il sale della terra. Non capendo che gli italiani danno
un valore alla stabilità di una coalizione. Berlusconi la
tiene insieme regalando seggi in parlamento come un
signore del rinascimento distribuiva titoli nobiliari ed
ha la capacità di illuminazione o di spegnimento del
faro televisivo di un personaggio, ma la maggioranza
degli italiani é disposta a pagare un prezzo per l’unità
della propria forza politica. A sinistra preferiscono essere perdenti protagonisti, che vincenti di gruppo.
Fino a quando Berlusconi può tirare la corda
del consenso cattolico?
Nelle parrocchie lui ha già perso moltissimo. I sacerdoti
nelle parrocchie italiane hanno ricordato per decenni
l’importanza del comportamento e dell’esempio. È difficile additare Berlusconi ad esempio per i giovani. Al
contrario le gerarchie cattoliche preferiscono una buona legislazione ai buoni comportamenti.
Nello scandalo escort esponenti politici per giustificarlo, vanno in trasmissioni a dire:- Ma se potessi
lo faresti anche tu...
Quando esce la storia del Bunga Bunga e dice:- Ho un
lavoro stressante e ho bisogno di rilassarmi.- ha fornito
un alibi a milioni di maschi italiani da usare il giorno
in cui dovesse essere necessario. Magari nella pancia
degli italiani esistono tentazioni fino a ieri inconfessabili e oggi confessate. La tentazione per alcuni politici
di sdoganare quello che esiste nella pancia dei paesi
esiste dovunque. Il vero leader é quello che non avalla
qualsiasi istinto del suo paese per avere qualche voto
in più...
Del «5 Million Cub», definizione che lei ha ideato,
fanno parte quegli italiani che si tengono informati quotidianamente e che guardano programmi di
qualità. Sono davvero cosi pochi?
I 45 milioni di italiani maggiorenni che sono fuori dal
«5 Million Club» ne sono esclusi spesso per mancata
informazione. Le notizie non arrivano o arrivano depotenziate, in modo da essere disinnescate e poter
trasformare vicende gravi in una sorta di piccole debolezze umane o ridotte a gossip. Talvota si é riusciti
ad andare oltre il «5 Million Club»: quando Benigni a
Sanremo dice che l’Italia é giovanissima quasi una minorenne o quando Saviano viene visto da 10 milioni di
telespettatori.
Quindi la tv come fulcro del potere
sull’opinione pubblica...
Certo, infatti si guarda bene dal mollarla...
Il rapporto di Berlusconi con internet?
Ha un rapporto totalmente disinteressato. Ha una conoscenza profonda della pubblicità e della televisione,
sa vendere un prodotto meglio di chiunque altro ma
internet non l’ha capito. Ha un’incapacità di lettura
culturale.
Nel suo libro, facendone un’analisi quasi epica,
ci si dimentica del come é arrivato al potere?
Nel libro parlo anche di questo. Berlusconi é un individualista che ha alternato autostrade e scorciatoie. La
sua vera abilità sta nel saper presentare e vendere il
prodotto unita al fatto di avere la proprietà ed il controllo dei mezzi di informazione. Oltretutto l’italiano
ha un’istintiva simpatia per l’imputato, forse frutto di
secoli in cui il giudice ed il potere erano la stessa cosa.
Certo, davanti a molti scandali che sono successi in
Italia negli ultimi anni, molti paesi d’Europa avrebbero
reagito perché hanno una sensibilità democratica maggiore di noi...
Non é un’immagine rosea...
Il mio é un libro ironico, divertente ma anche amaro.
Chi vuole una visione rosea, vada a leggere CHI...
la
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HSBC Private Bank (Suisse) SA
Accesso privilegiato ai mercati emergenti ?
I nostri contatti sono anche i vostri.
Quando uno dei nostri clienti ha deciso di aprire un’attività in Asia, gli abbiamo
presentato i nostri team di specialisti di Hong Kong. Grazie a questi referenti
bancari in loco, la sua impresa è oggi quotata alla Borsa di Hong Kong.
In Svizzera, HSBC Private Bank conta oltre 2000 collaboratori,
dedicati alla gestione patrimoniale per clienti svizzeri ed internazionali.
Ovunque nel mondo, oltre che a Ginevra, Zurigo, Lugano, St. Moritz e Gstaad.
www.hsbcprivatebank.com
Scaffale
di Liber
Alessandro
Perissinotto
Giorgio
Montefoschi
Lorenzo
Del Boca
Semina
il vento
Eva
Polentoni
Piemme
pp. 275; € 16,50
Rizzoli
pp. 276; € 18,50
Piemme
pp. 196; € 16,50
Forse è stato il caso o forse l’amore a
condurre Giacomo Musso, maestro di
trentacinque anni, al Braccio 6, nel reparto di massima sicurezza di un carcere
del Nord Italia. Sulle labbra, la dichiarazione di innocenza; tra le mani, il giornale che ritrae in prima pagina il corpo
senza vita di sua moglie. Su consiglio
del proprio avvocato, Giacomo decide
di raccontare la propria vicenda, l’inevitabile serie di eventi che lo ha condotto
in quella cella. E così torna all’epoca in
cui, per riuscire a sopravvivere a Parigi,
alternava il lavoro di curatore di mostre
per bambini, a quello di cameriere. Era
in quel periodo che aveva conosciuto
Shirin. Non l’aveva trovata subito bella,
almeno non nel senso consueto del termine; era stato attratto piuttosto dalla
storia che i suoi occhi sembravano celare, da quel profondo distacco verso chi
le stava accanto, come se per lei la vita
vera fosse altrove. Ci sono amori che
iniziano all’improvviso, con notti memorabili, il loro invece era nato con la
lentezza inesorabile delle cose fatte per
durare. L’innamoramento, il matrimonio
e poi la decisione che avrebbe cambiato
le loro vite per sempre: lasciare Parigi
per trasferirsi a Molini, sulle montagne
piemontesi, nel paese dove lui era nato.
Lontano dalla frenesia della Capitale, tra le vecchie case di pietra e i rituali semplici di un posto che pareva
essere rimasto indenne al trascorrere
del tempo, Giacomo aveva rinsaldato il legame con la propria tradizione
e Shirin aveva trovato una terra in cui
far crescere quelle radici che le erano
sempre mancate, quelle radici che i
suoi genitori avevano reciso fuggendo
dall’Iran e dalla rivoluzione islamica.
Ma nessun luogo è al riparo dal vento
dell’odio, dal fanatismo delle religioni,
dall’arroganza del potere, dall’intolleranza strisciante.
Alessandro Perissinotto.
Docente presso l’Università di Torino e
autore di diversi saggi e dal 1997 anche
di numerosi romanzi polizieschi.
Colpevole o vittima? Una controversa, indimenticabile figura di donna
nell’atteso romanzo di uno dei maggiori scrittori italiani.
Un uomo e una donna sono a letto,
in un caldo pomeriggio romano di
giugno. Sono amanti. Sono clandestini, ma presto sentono che la loro
non è più una relazione fondata solo
sull’attrazione fisica e sulla passione
cieca che li travolge. Giovanni, giornalista cinquantenne vorrebbe Eva
tutta per sé e sostituirsi al marito in
casa di lei. Eva capisce di non poter più mentire al marito Fabrizio. E
prende una decisione coraggiosa: lo
lascia. Fabrizio, però, non si arrende. E, come accade allorché l’amore precipita nella prigione del puro
possesso, la vicenda si fa aspra. Eva,
quindi, dapprima resiste, smaschera
l’egoismo del marito che la perseguita, e vive mesi di una smemorata, possibile felicità. Ma il destino ha
scarti imprevedibili e sconvolge tutti
i piani. Fabrizio scopre di essere gravemente malato e si rifà vivo con la
moglie. Eva ama Giovanni, ma vede
dall’altro lato un uomo debole, sofferente, insidiato dalla morte: capisce
di non poterlo abbandonare e decide
di tornare sui propri passi. Ma il sacrificio, che rende così umana la sua
figura, e al quale stavolta è Giovanni
a non rassegnarsi, è più duro di quel
che sembra, comporta una perdita di
sé. Per tornare ad amare davvero Eva
dovrà intraprendere un lungo cammino. Eppure, quando tutti i protagonisti sembrano sul punto di perdere, o di perdersi, le loro vite sapranno
ricomporsi in un disegno imprevedibile di redenzione.
Giorgio Montefoschi (1946) è autore di quindici romanzi. Tra i suoi libri
ricordiamo: La casa del padre (1994,
Premio Strega), Il segreto dell’estrema
felicità (2001), La sposa (2003), L’idea
di perderti (2006) e Le due ragazze con
gli occhi verdi (2010).
Perché la Sicilia ha ventisettemila dipendenti pubblici se in Lombardia sono
nove volte di meno? E perché una sacca
di sangue costa tre euro al Nord ma al
Sud arriva a dieci? Ci sono tante cose
che ci fanno arrabbiare: gli sprechi, le
inefficienze, le sperequazioni e ognuna
delle mille male-qualcosa che popolano le cronache quotidiane. Perché? La
risposta non viene da differenze culturali o caratteriali che, con facile qualunquismo, si potrebbero individuare.
La ragione affonda le radici nella storia:
giusto quella di 150 anni fa. Non un’Italia unita e nuova ma un regno sabaudo
allargato, che annette, conquista, impone ferocemente le sue regole e le sue
misure. Un tradimento degli accordi e
dello spirito originario. Se oggi ci si lamenta per le troppe tasse che gravano
sul contribuente, diventa inevitabile
rammentare che l’andazzo prese il via
giusto un secolo e mezzo fa, quando si
inventarono imposte con troppa fantasia e nessuna logica. E se adesso tutti
parlano di federalismo è perché si riconosce implicitamente che sono stati
commessi errori imperdonabili che diventa urgente rettificare. Fra gli sconfitti
del Risorgimento ci sta a buon diritto
il Nord. Il Nord vero, quello dei campi
e delle fabbriche, che non soltanto si
mantenne estraneo ma in qualche passaggio si dimostrò assolutamente ostile
a ciò che si andava profilando. E che,
a guerre d’Indipendenza terminate, si
accorse che di vantaggi non ne esistevano, che i bilanci dello stato erano in
rosso e che qualcuno – loro – li doveva
ripianare. I conti sono ancora aperti, e i
polentoni continuano a pagare.
Lorenzo Del Boca, Giornalista e saggista, è stato presidente dell’Ordine
Nazionale dei Giornalisti dal 2001 al
2010. Laureato in filosofia e scienze politiche, ha incentrato la sua occupazione di divulgatore storico e scrittore in
particolare sul periodo risorgimentale.
Tra i suoi titoli ricordiamo Maledetti Savoia e Indietro Savoia!, editi da Piemme.
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A UN ANNO DALL’AVVIO IL PRIMO BILANCIO È POSITIVO
Progetto reti: Italia e Svizzera si danno
la mano nel segno della collaborazione
Dall’invenzione tecnologica ai trasporti,
dalla fine arte cineraria alla consulenza, ecco i progetti sviluppati
di Giovanna De Mango e Silvia Migliaccio
Dopo un anno di incontri e formazione è tempo di bilanci per il Progetto Reti che in un mercato sempre più aperto e competitivo e in profonda
trasformazione, ha basato le proprie fondamenta sulla collaborazione
tra imprese e tra territori. Proprio partendo dall’importanza delle interazioni Ch.It Network, in collaborazione con CNA Como e con il
coordinamento e la direzione del dottor Giovanni Moretti, ha sviluppato un programma che ha coinvolto la Svizzera e l’Italia. L’obiettivo
di questo ambizioso progetto, finanziato dal Ministero del Lavoro, è stato quello di aiutare 14 cittadini
italiani residenti in Ticino a diventare piccoli imprenditori o, se già lo erano, a migliorare la propria
attività, attraverso la promozione di una rete di collaborazione con artigiani di Como e di Varese.
Chiediamo al dottor Moretti:
come si è svolta l’attività in questi 12 mesi?
“I partecipanti hanno messo a punto un proprio
progetto imprenditoriale con il sostegno di esperti nel fare impresa. Hanno preso parte a corsi sulla
gestione di un’azienda e amministrativi. Successivamente ciascuno di loro è stato messo in contatto
col sistema delle imprese artigiane rappresentato da
CNA. Nella maggior parte dei casi i contatti sono stati con un artigiano di Como o Varese del medesimo
settore o di un settore complementare. Sono partiti
in 14, 10 hanno raggiunto un risultato positivo. In
questo rapporto a due tra imprenditore del Ticino e
imprenditore italiano sono state ricercate le sinergie
e le collaborazioni possibili
per gestire una realizzazione
vincente dei propri progetti
imprenditoriali. Ch.It Network, promuovendo l’incontro tra imprese dei due Paesi
confinanti, si è impegnata a
favorire la nascita di alleanze e collaborazioni capaci di
unificare i rispettivi punti di
forza, permettendo loro di
presentarsi sul mercato come
aziende affidabili, creative e
flessibili, più forti e credibili”.
Le aziende che hanno aderito al progetto
• Armeno Fabiano - Azienda: Trasporti e servizi Fates
• Dott. Arch. Paolo Cenci – Studio di architettura, arredamento e design
• Crimi Francesco - Azienda: Privauto Occasioni CF, vendita e riparazione automobili e macchine agricole
• Guarascio Salvatore - Azienda: Guarascio Consulenze & Servizi
• Raccagni Emilio - Azienda: Profumi&Saponi Saponificio Sessa
• Sabbatini Maurizio- Azienda: Webspider, Infografia Webdesign Computer grafica 3D animations
• Sassi Biagio - Attività: oreficeria, orologeria
• Scanzano Tiziano - Azienda: Elettrofacile, Forniture di materiale elettrico e illuminazione
• Sguanci Giorgio – Attività: Modelleria, realizzazione dime e cartoni, consulenza su materiali, assistenza nello
studio di prototipi e nella loro realizzazione
• Zimerman Jorge Rafael - Azienda: Patagonia leather rugs, Commercializzazione di prodotti in cuoio per
arredamento
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ABBIAMO RACCOLTO LE IMPRESSIONI DI ALCUNI PARTECIPANTI AL TERMINE DEL PROGETTO
BIAGIO SASSI
Avevo un’attività di oreficeria e orologeria in Ticino, ma a causa della concorrenza dei
prodotti a basso costo del mercato cinese, la mia azienda ha subito una pesante crisi
e attualmente è ferma. Ho saputo di questo progetto e ho aderito mettendo a frutto
questo “sosta”, spero temporanea, della mia attività per studiare altre opportunità. Il
Progetto Reti mi ha permesso di mettermi in contatto con il Consorzio Orafo di Varese,
con il quale ho avviato una collaborazione per la ricerca di mercato e la distribuzione di
urne cinerarie disegnate da importanti designer, realizzate con materiali semi preziosi
e decorate con argento e oro.
Per il mercato italiano si tratta di un prodotto nuovo perché la legge che permette di
conservare in casa le ceneri dei defunti è relativamente recente. Per il momento, grazie
a reti, ho sviluppato una sinergia con il Consorzio orafo che altrimenti non avrei avuto
la possibilità di approfondire. Ora si tratta di capire come può evolversi questa collaborazione ma comunque posso dirmi soddisfatto di questa esperienza.
FABIANO ARMENO
Ho 33 anni e dal 2009 sono il titolare di un’azienda di Trasporti e servizi con sede
a Breganzona. Attualmente mi occupo di trasporto persone a Lugano con i trenini
turistici.
Grazie al Progetto Reti ho lavorato con l’azienda comasca di arredamenti Canobbio
per la quale ho effettuato trasporto mobili.
Devo dire che le aspettative sono state soddisfatte; è stata un’esperienza comunque
positiva che mi ha permesso di acquisire diverse utili informazioni sulla gestione della
mia impresa, anche scambiando esperienze vissute con gli altri colleghi del gruppo.
La speranza è che ora tutto quello che abbiamo fatto si possa tradurre in contatti concreti. Il mio auspicio è di poter stabilire contatti con le agenzie di viaggio italiane per
offrire servizi di collegamento con gli aeroporti.
SALVATORE GUARASCIO
Sono un Consulente in materia di diritto del lavoro e assicurazione sociale. Mi occupo
dei temi che in Italia vengono trattati abitualmente dai Patronati.
Con Reti ho avuto un proficuo contatto con il Patronato di Cna con il quale spero di
poter collaborare, anche se in Italia le regole che reggono la materia sono sostanzialmente diverse da quelle svizzere.
Questa esperienza di Reti potrebbe servire; intanto abbiamo gettato le basi per una
collaborazione, ora spero di poter avere maggiore visibilità in Italia anche attraverso il
sito chit network che mi sembra un ottimo strumento di comunicazione.
PAOLO CENCI
Io sono un architetto e ho avuto un’idea che rivoluzionerà il mondo delle comunicazioni. Senza entrare nel merito posso dire che si tratta di un utilizzo dell’i-phone
legato a un pezzo d’arredamento. Resto volutamente sul vago perché si tratta di un’innovazione. Con questa invenzione in mano, sinceramente, non sapevo come fare a
realizzarla. Il Progetto Reti mi ha aiutato a trovare un partner degno della mia idea. E
l’ho trovato proprio nel cuore della Brianza, culla del design. Ecco, il Progetto Reti mi
ha dato la possibilità di mettermi in contatto con il meglio della produzione di arredamento Made in Italy. A me è servita moltissimo questa esperienza per sviluppare il mio
progetto imprenditoriale e, spero, per tradurlo in un prodotto concreto da immettere
sul mercato internazionale.
Stabilito il contatto, ora posso camminare con le mie gambe.
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Italiani sulla Croisette
di Augusto Orsi
Habemus Papam di Nanni Moretti e This Must
be the Place di Paolo Sorrentino, pur esclusi dal
Palmares di Cannes 2011, testimoniano la creatività, la vitalità e la ripresa della cinematografia
italiana. Il primo è già sui nostri schermi, il secondo dovrebbe arrivare in autunno.
Habemus Papam, è un lungometraggio dal soggetto originale, paradossale, (la fuga dell’eletto alla successione
di Pietro) e dalla fattura cinematografica che sfiora la
perfezione. Il film eccelle sia nella coralità delle scene
d’insieme, reali più del reale, sia nell’analisi dei personaggi, in particolare dei “principi della Chiesa”. Moretti
da fine osservatore li filma più come uomini che come
cardinali e ne sa cogliere la loro diversità e i loro tic in un
contesto multietnico folcloristico. Altra qualità essenziale di Habemus Papa è il sapiente dosaggio delle vicende
pubbliche sulle quali si innestano quelle umane e le sue
osservazioni umoristiche ed esilaranti su tutti e su tutto. Però le osservazioni, che non sono mai dissacratorie,
mettono ben in evidenza l’umanità e le debolezze degli
anziani uomini di chiesa. Sublime fotograficamente tutto l’apparato ludico del torneo di pallavolo, che accumuna i cardinali proveniente da tutte le parti del mondo più
che il conclave stesso e anche la danza liberatoria.
Nel lungometraggio di Moretti il titubante pontefice, un
eccellente e umanissimo Michel Piccoli che vuole cercare nell’abdicazione e nella fuga la soluzione dei suoi
problemi ha il sostegno non di un “padre spirituale”, ma
di uno psicanalista, non credente, ma eccellente nella
professione, il professore Brezzi, interpretato con brio,
umorismo e bravura da Moretti stesso. Con il suo intervento e quello di sua moglie, la psicanalista affetta dal
complesso del “deficit di accudimento”, il credo di Freud
cerca di sostituirsi a quello millenario di “Santa Madre
Chiesa”, ma invano.
Un film da manuale
This Must Be the Place è un film da manuale che narra in
modo esemplare una storia d’oggi. Omaggio all’omonimo brano dei Talking Heads conta sulla colonna sonora di David Byrne. Il primo lungometraggio in inglese,
originale, complesso e ben strutturato è una riuscita. Lo
sguardo della macchina da presa del regista di L’amico di
Famiglia ha scrutato a lungo la realtà di luoghi: Dublino bella e malinconica, New Mexico New York, il deserto
americano, le pompe di benzina ,i bar dalle atmosfere
riservate, l’anziano indiano vestito impeccabilmente che
si avventura nel deserto come se andasse in città e gli
sterminati remoti orizzonti, e li riproduce come splendide icone di un mondo sognato a lungo prima di averlo visto, in un “dream” sull’America fuori del tempo. Su
queste immagini, parte essenziale e animo del film si innesta in modo immaginifico, e senza sbavature la singolare storia di Cheynne, personaggio lunare, che nel suo
incedere, nei suoi modi, nel suo parlare biascicato più
che nel suo aspetto gotico di cantante rock démodé ricorda i personaggi surreali ed esistenziali di Samuel Beckett. Sean Penn è in ogni momento del film insuperabile nella caratterizzazione del personaggio. Il suo viaggio
nell’America profonda alla ricerca dell’ufficiale tedesco
che durante la seconda guerra mondiale era stato l’aguzzino di suo padre è un insieme di scoperte e di incontri
affascinanti che sorprendono continuamente. Cheyenne,
è un re del rock degli anni ottanta ormai in declino. Ritiratosi a vita privata a Dublino insieme alla compagna
Jane, viene spesso spinto dai fan a tornare sulle scene,
ma lievemente depresso non crede più che la musica
possa farlo stare bene. Alla notizia che suo padre, con il
quale non ha più contatti da anni sta morendo, decide
di partire per gli Stati Uniti alla ricerca di Aloise Lange,
l‘ufficiale nazista che ha perseguitato il genitore durante
la seconda Guerra Mondiale. Conoscerà così Mordecai
Levy, un cacciatore di nazisti che decide di aiutarlo.
Sopra: Nanni Moretti in una scena di Habemus Papam.
A sinistra: Sean Penn è il protagonista del film di Sorrentino.
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Sequenze
di Jean de la Mulière
LA PRIMA COSA BELLA
di Paolo Virzì
THE TREE OF LIFE
di Terrence Malick
Bruno Michelucci è infelice. Insegnante di lettere a Milano, si
addormenta al parco, fa uso di droghe e prova senza riuscirci
a lasciare una fidanzata troppo entusiasta. Lontano da Livorno, città natale, sopravvive ai ricordi di un‘infanzia romanzesca e alla bellezza ingombrante di una madre estroversa,
oggi malata terminale, ricoverata alle cure palliative. Valeria,
sorella spigliata di Bruno, è decisa a riconciliare il fratello col
passato e con la genitrice. Lo convince a seguirla a Livorno
e in un lungo viaggio a ritroso nel tempo. Le stazioni della
sua “passione” rievocano la vita e le imprese di Anna, madre esuberante e bellissima, moglie di un padre possessivo
e scostante, croce e delizia degli uomini a cui si accompagna
senza concedersi e a dispetto delle comari e della provincia.
Domestica, segretaria, ragioniera, figurante senza mai successo, Anna passa attraverso i marosi della vita col sorriso e
l‘intenzione di essere soltanto la migliore delle mamme. A un
giro di valzer dalla morte, sposerà “chi la conosceva bene” e riconcilierà Bruno alla vita. Il film, con attori efficaci nel sapere
stare dentro e fuori i personaggi, dà forma a una felice e insieme scriteriata idea di famiglia: tra ironia e malinconia che
sono la cifra di una commedia colma di sentimenti e spoglia
di sentimentalismi.
Vittorioso a Cannes, il film racconta la storia di una famiglia
del Midwest negli anni Cinquanta attraverso lo sguardo del
figlio maggiore, Jack, nel suo viaggio personale dall’innocenza dell’infanzia alle disillusioni dell’età adulta in cui cerca di tirare le somme di un rapporto conflittuale con il padre
(Brad Pitt). Jack - che da adulto è interpretato da Sean Penn
- si sente come un’anima perduta nel mondo moderno che
vaga nel tentativo di trovare delle risposte alle origini e al significato della vita, tanto da mettere in discussione anche la
sua fede. La vita, la morte, l’origine, la destinazione, la grazia di contro alla natura. Un film tanto esteso, per la natura
dei temi indagati, quanto essenziale. Popolato persino da
frasi quasi fatte, che la genialità del regista riesce a spogliare
di ogni banalità e a restituire al senso. Una comunicazione
composta di immagini (tante, in quantità e qualità) e di parole (molte meno) in una combinazione unica, senza mai
cedere alla tentazione di pontificare. L’impressione che alla
fine prende corpo è di trovarsi di fronte ad un film, quasi
imprigionato in una crisi mistica di arduo fascino, che parla a tutti, universalmente, senza comunicare per forza con
nessuno, se non soprattutto con sé stesso.
WHIP IT di Drew Barrymore
Per il suo esordio dietro la macchina da presa, l’attrice americana Drew Barrymore sceglie la storia di Bliss
Cavendar, adolescente che vive a Bodeen, il più piccolo
paesino dello stato più grande degli Stati Uniti, il Texas.
La sua vita scorre tra la scuola, il lavoro in un fast food
e i concorsi di bellezza a cui partecipa spinta dalla madre, che sogna per sua figlia un futuro da reginetta del
ballo. Bliss non è molto convinta della cosa, ma non ha
altri interessi particolari.
Fino a quando non viene a conoscenza del Roller derby, uno sport acrobatico sui pattini per sole donne che
se le danno di santa ragione per avere la meglio sulla
squadra avversaria. Bliss, all’insaputa della madre, entra nella squadra e fa faville.
Tratto da un romanzo di Shauna Cross (anche sceneggiatrice della pellicola), Whip it è un film di sole donne,
con le loro paure e il loro coraggio, ossessionate dallo
sport o dai concorsi di bellezza, dall‘amore o dai figli,
che mirano ad affrancarsi da un femminismo vacuo ed
istupidito dalla televisione, verso un femminismo che
ha il coraggio di affrontare di petto il proprio alter ego.
La metafora della commedia sportiva, diventa così una
riflessione sulla femminilità nell‘America moderna.
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Diapason
di Luca D’Alessandro
RAF - NUMERI (Sony)
A metà aprile RAF si è presentato al pubblico con il singolo Un’emozione
inaspettata, un inno all’amore che rispecchia lo stile profondo dell’autore;
un brano innovativo negli arrangiamenti costruiti su un tappeto d’archi che
esalta la sua grande interpretazione e amplifica l’emozione della melodia. Il
brano è subito entrato a far parte delle rotazioni nelle emittenti in tutta Italia. L’otto maggio poi il menu completo: Numeri, l’album d’inediti che segue
a Metamorfosi, uscito due anni fa. Nel suo complesso un’opera ricca di emozioni e riflessioni come soltanto l’autore di Gente di Mare ci sa dare. Riflessioni che si estendono su undici brani che evidenziano aspetti e prospettive
dei nostri tempi. Con quest’approccio verso l’attualità, quindi, non possono
mancare due esponenti importanti nella musica italiana contemporanea: il
DJ e rapper Frankie hi-nrg e la vincitrice di X-Factor Nathalie che nell’album
intervengono nel brano d’entrata.
Paolo di Sabatino - VOICES (Irma)
Al grande pubblico Paolo di Sabatino è un musicista piuttosto sconosciuto.
Tuttavia sta sconvolgendo moltissimi amanti della musica leggera, del jazz
e del soul italiano – in termini brevi: della musica di qualità. Ha collaborato con artisti di fama nazionale e internazionale, quali Paola Turci, Michele
Placido o Billy Cobham, insegna jazz presso il Conservatorio Alfredo Casella
di L’Aquila e produce album per album, tra i quali Voices, un capolavoro –
scusate il nostro entusiasmo – che racchiude le voci di grandissimi cantanti
come Gino Vannelli, Wendy Lewis, Grazia Di Michele, Fabio Concato e Linda Valori. I brani sono stati scritti e arrangiati da Sabatino in stretta collaborazione con gli artisti summenzionati. Le performances creano un’atmosfera
leggera, malinconica. Nel loro complesso sanno di Mario Biondi. Un fatto
che non stupisce poiché Sabatino nel passato ha collaborato con il cantante
catanese, tra l’altro nella produzione dell’album If.
Jolaurlo - MECCANICA E NATURA (Irma)
Il titolo del terzo album degli Jolaurlo è stato scelto dagli ascoltatori attraverso un contest sul sito della band. Un disco che dopo l’esordio D’Istanti
del 2005 e Mediatamente del 2007 si dedica ad un sound fantascientifico,
dove la band fa convivere l’attitudine nervosa ed istintiva del punk rock con
la programmatica dell’elettronica. Sul piano dei contenuti gli Jolaurlo costruiscono un microcosmo, dove convivono la natura e la meccanica, due
elementi che per natura difficilmente si lasciano combinare. Storie di un
mondo estraneo che vengono interpretate dalla cantante Marzia Stano. I
Jolaurlo nel loro passato hanno aperto i concerti di Iggy Pop, Siouxie and
the Banshees e Franco Battiato – esperienze che li hanno portati all’elaborazione di un genere elettronico che miscela una forte esperienza rock e
punk-wave con quella new rave.
Gianni Morandi - RINASCIMENTO (Sony)
Nei libri di storia, il Rinascimento viene definito come era del risveglio. Una
rinascita dopo un’epoca disegnata dall’epidemia di peste che imperversò
in tutta Europa tra il 1347 e il 1352 uccidendo almeno un terzo della popolazione del continente. Il titolo dell’ultimo album di Gianni Morandi in
senso lato potrebbe insinuare l’intenzione di porre fine a un’epoca nera in
italia – dal punto di vista culturale ovviamente ... Chissà, comunque sia,
sono speculazioni queste. Certo è che Gianni Morandi in Rinascimento fa
riferimento alle canzoni del suo repertorio che nel passato erano significative per l’interprete italiano. Fa rinascere Il tempo migliore, La storia mia con
te, Sei bella vita e Solo chi si ama veramente, e reinterpreta dei brani composti
da alcuni dei più importanti autori del panorama musicale italiano, che di
tanto in quanto hanno collaborato con Morandi: da Pacifico, a Tricarico, da
Eros a Luca Madonia.
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LO STATO LIBERO DEI LITFIBA
L’alchimia fra due grandi
di Salvatore Pinto
Si erano separati dopo la pubblicazione dell’album Infinito nel 1999. Hanno tentato la carriera
da solisti, senza grande successo. Nel 2009 finalmente si sono riuniti. Oggi, Piero Pelù e Ghigo
Renzulli dei Litfiba, sono di nuovo in tournée. In
tasca: il loro ultimo disco Lo Stato Libero di Litfiba – presentato tra l’altro al Volkshaus di Zurigo.
La Rivista ha colto l’occasione di incontrare Ghigo Renzulli, il chitarrista di questo gruppo cult
del rock italiano, per saperne di più sui veri motivi di questa riunione.
Ghigo Renzulli, i Litfiba sono ritornati insieme.
Come mai?
Sicuramente per la voglia di fare musica insieme. Erano
dieci anni che non salivamo sul palco. Nel momento in
cui ci siamo rincontrati, non eravamo ancora sicuri su
come procedere. Nel frattempo, però, abbiamo trovato lo spirito giusto, quello dello Stato Libero di Litfiba;
lo slogan che riassume l’anima e il pensiero di questo
nostro tour in tutta Europa. Un tour che ci sta dando
soddisfazioni superiori alle nostre attese. Meglio di così
non potrebbe andare.
Quali sono i Paesi che vi acclamano di più?
Il bello è scoprire che in ogni città, come Londra, Berlino, Amsterdam o Ginevra, il pubblico è assolutamente
partecipe. Non ci aspettavamo un’accoglienza così calorosa.
Perché no?
Non credevamo che in una città come Londra, dove
fino in quel momento non avevamo mai suonato, o
Amsterdam, dove quindici anni fa suonavamo davanti
a trenta persone, ci fosse un entusiasmo talmente grande. Gli anglosassoni sono rimasti sconvolti dalla potenza dei Litfiba.
Il vostro modo di fare rock è stato – e lo è tuttora –
molto innovativo: almeno in Italia.
A noi piace sempre sperimentare e metterci in discussione. Per questa ragione ogni nostro disco è diverso
dagli altri, contiene altre sonorità e altri temi. E per
questa varietà la gente ci ama e ci segue. Inoltre c’è
da aggiungere che il nostro background è diverso da
quello degli anglosassoni: la nostra musica contiene
influenze mediterranee e nordafricane.
I vostri orizzonti musicali da sempre erano orientati in diversi stili, come il blues, il rock latino, il
punk e addirittura lo psichedelico. È una sfida o
una vostra esigenza?
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Tutt’e due. È una cosa naturale. Come ho accennato,
abbiamo questo background, queste radici mediterranee che ci vengono fuori quando scriviamo le nostre
canzoni.
Che cosa fate per ispirarvi?
Compriamo musica. Durante i nostri viaggi in Europa
abbiamo fatto un rifornimento pazzesco di CD che ci
serviranno per allargare gli orizzonti per il prossimo
disco.
Che impatto ha avuto il vostro ritorno sul territorio
italiano?
È stato fortissimo. Ci ha stupito molto … a dire il vero,
però, abbiamo iniziato con la reunion tour all’estero.
Abbiamo suonato in Svizzera e in Germania, facendo
delle “serate di riscaldamento” prima di arrivare a Firenze e Roma.
Facciamo un salto nel passato: nel 1999 esce l’album Infinito che vende quasi un milione di copie.
Un anno che segna anche la crisi dei Litfiba. Come
mai vi siete separati proprio in quel momento di
successo? Di solito i gruppi, quando hanno successo, rimangono insieme …
… hai perfettamente ragione. Significa che i Litfiba non
sono fatti per questo tipo di viaggio. Forse era anche
per via dell’influenza della casa discografica di allora
che, bene o male, ci ha condizionato in certi punti di vista. Se paragoniamo Infinito con le nostre opere precedenti, ci accorgiamo che ci troviamo davanti all’album
più pop dei Litfiba.
Ciò non vuol dire intendiamo seguire questo percorso,
quindi in quegli anni lì sono accadute tante cose che ci
hanno portato alla separazione. Un peccato, perché rimettendoci insieme, ci siamo accorti che la nostra pelle
è diversa da quella che ci era stata imposta – la nostra
pelle è rock cioè musica aggressiva con tensione, che
può essere anche dolce … ma in linea di massima sempre sotto tensione.
Ritorniamo ai giorni nostri con i due inediti Barcollo e Sole Nero. Mi sbaglio se dico di sentirci le
sonorità dei Litfiba di qualche anno fa?
Non ti sbagli. Qualche giorno fa ho parlato di questo
aspetto con Piero. A volte nei rapporti tra le persone
si verificano delle strane reazioni chimiche ovvero delle alchimie. Questo è ciò che viene fuori quando Pelù
ed io suoniamo insieme. Ci conosciamo da trent’anni
e abbiamo vissuto tante cose: umanamente e musicalmente. È una cosa che non segue delle regole precise.
La conseguenza è quindi quella di non avere uno stile
particolare o un’alchimia unica che usiamo per scrivere
le nostre canzoni. Il nostro repertorio è talmente variegato che da una canzone forte come Spettacolo, Ora
D’Aria e Barcollo, arriviamo a una tranquilla.
Quanto è importante l’amicizia nel vostro lavoro
tra voi due?
Sai, questa alchimia o amicizia rimane anche nel momento in cui non si suona insieme. Siamo legati a un
doppio filo insomma. Posso dire tranquillamente che
ho passato più tempo della vita con Piero che con altri.
Per concludere voglio darti la possibilità di fare un
saluto ai lettori de La Rivista.
A tutti voi un grande abbraccio dai Litfiba e mi raccomando – spaccate il mondo!
I LITFIBA
I Litfiba sono un gruppo musicale di rock italiano,
formatosi a Firenze nel 1980. Il nome nasce dall’indirizzo telex della storica sala prove utilizzata dalla
band sin dagli esordi, situata nella fiorentina via de’
Bardi al civico 32: “L” (prefisso telex),“IT” (Italia),“FI”
(Firenze),“BA” (via de’ Bardi).
Negli anni novanta i Litfiba si propongono con un
rock latineggiante, successivamente con un poprock riscuotendo ampio successo. Nel 1999 la storica voce di Piero Pelù si allontana dalla band per
una carriera solista. Dieci anni dopo, nel dicembre
del 2009, viene annunciata la reunion tra Ghigo
Renzulli e Piero Pelù tramite un comunicato sul sito
ufficiale del gruppo.
Discografia (selezione)
1985: Desaparecido
1990: El diablo
1993: Terremoto
1994: Spirito
1997: Mondi sommersi
1999: Infinito
2010: Stato Libero Di Litfiba
Info: www.litfiba.net
“SOLE E PEPE”: PROGETTO DI FORMAZIONE ALLA RISTORAZIONE
Piena soddisfazione
per il corso realizzato a Basilea
Stefano Biondini
Realizzare un progetto, destinato ad italiani, che ha come soggetto la formazione nella ristorazione
è una sfida non da poco. In primo luogo perché ci sentiamo, a ragione, depositari di una tradizione
gastronomica importante per varietà e qualità. Siamo portati poi, per natura pratica, a volere ritorni
pressoché immediati, mentre tutti i processi formativi richiedono tempo, costanza e pazienza per far
“fiorire” dei risultati. Insomma, per parlar schietto, non consideriamo la formazione come un investimento, ma più spesso come una perdita di tempo. Eppure la FOPRAS, assieme ad altri 5 partner
italiani, CFF, CNIPA, IAL, INFOR e Università degli Studi di Udine ha raccolto la sfida. Il progetto è
stato approvato dal Ministero del Lavoro e per questo finanziato. La realizzazione ha tenuto occupata
la FOPRAS nel periodo che va dal dicembre 2009 all’aprile 2011. Durante questi 16 mesi di attività
sono realizzati 5 corsi, sono state erogate 250 ore di formazione, 48 allievi hanno potuto frequentare
gratuitamente i corsi e conseguire l’attestato di frequenza.
I corsi che sono stati realizzati sono stati quelli a
tema enogastronomico: “Il vino conoscerlo abbinarlo
e servirlo” e “Alterazioni alimentari e cucina tipica”. A
questi corsi, che sono stati realizzati in due edizioni
all’interno del progetto, se ne è aggiunto un terzo sul
tema marketing, sempre più centrale in un sistema
economico globale dal titolo “Strategie di Marketing
per la ristorazione”. Per rendere più fruibili i corsi e più
efficace il percorso formativo sono stati utilizzati que-
Durante il seminario di chiusura sono stati consegnati dal
Console di Basilea, Gaetana Farruggio, gli ultimi attestati
di frequenza.
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stionari di rilevazione delle conoscenze iniziali di ogni
partecipante. Assieme a questi, al termine del corso,
sono stati somministrati questionari per capire cosa
eventualmente, non aveva soddisfatto i discenti.“Tutti
i corsi sono stati monitorati con strumenti che hanno consentito un’analisi dei fabbisogni e dei risultati: questo ci ha
reso consapevoli dei punti di forza e di debolezza di ogni
corso e sarà utile alla nostra Fondazione anche in progetti
futuri”questo il pensiero di Roger Nesti, direttore della
FOPRAS.
Per i corsi realizzati i gradimenti dei docenti oscillano,
in media, tra 5.35 e 5.85 su un massimo di 6.
Il raggiungimento di questi risultati è dovuto a insegnanti che non hanno solamente un’ottima formazione, ma anche un’altra caratteristica: una passione
vera, profonda e carnale per quello che insegnano.
Nicola Mattana, Luca D’Aloja e Giorgio Martone
solo per citare i docenti di Vino e Cucina hanno saputo soddisfare non solo le conoscenze tecniche delle
materie che insegnavano, ma anche le curiosità che
ognuno di noi ha. Gustare un bicchiere di vino, non è
più la stessa cosa, così come creare pietanze che possono sorprendere i nostri conviviali con assonanze o
dissonanze volute.
Non privatevi del ‘primo naso’
“Non ringraziate il cameriere che gentilmente, ma in modo
errato, agita il bicchiere di vino per voi, perché vi sta privando del “primo naso” una componente importante per
gustare appieno un vino“ ripeteva Nicola Mattana du-
rante il suo corso. E gli fanno eco sia Giorgio Martone
che Luca D’Aloja con altrettanti consigli. “Abituatevi
ad assaggiare crude le materie prime che utilizzate in cucina: solo così ne potrete apprezzare la reale qualità” ripeteva Giorgio Martone durante le sue lezioni.“Valutate un
vino al momento dell’esame gustativo, per le promesse che
ha fatto alla vostra vista ed al vostro olfatto” chiosava di
frequente D’Aloja durante le sue lezioni.
A far da bilancia alle soddisfazioni generate dall’attività didattica, non sono comunque mancate le difficoltà
di gestione del progetto. La fase di promozione si è
protratta fino a novembre del 2010, ben oltre le aspettative, e questo ha costretto a rimodulare la gestione
complessiva del progetto. Inoltre la gratuità dei corsi
ha fatto sì che molte persone si siano iscritte e poi non
abbiano frequentato, un problema non da poco per un
progetto come questo in cui ogni corso poteva partire
da un minimo di 10 partecipanti.
Soddisfazione duplice
Proprio per questa ragione non è stato possibile attuare la seconda parte del progetto “Sole e Pepe” che
prevedeva la realizzazione di un corso di 200 ore per
persone non occupate. Il numero minimo di partecipanti era di 12 mentre le persone disponibili a partecipare, al momento dell’inizio del corso, assommavano
a 8, a fronte di 20 di contatti complessivi. Questo ha
spinto la FOPRAS a delle riflessioni approfondite sul
contesto in cui ha avuto luogo l’offerta formativa. Sicuramente la mobilità del lavoro in Svizzera rispetto a
quella di un contesto italiano assieme alla diminuzione della disoccupazione nella seconda parte del 2010
rispetto al 2009 hanno giocato un ruolo fondamentale.
Ma fatti tutti i conti le parole che meglio descrivono lo
stato d’animo di tutti sono quelle del presidente della Fondazione, Alessandro Calaprice “La soddisfazione,
al termine di una esperienza come questa, è duplice: fare
formazione per le persone e contemporaneamente consolidare il senso d’identità della comunità italiana. Per questo
ringrazio tutto il personale della FOPRAS che l’ha resa
possibile”. Parole dette durante il seminario di chiusura
del progetto durante il quale sono stati consegnati dal
Console di Basilea, Gaetana Farruggio, gli ultimi attestati di frequenza.
Un’esperienza completa insomma che ha visto l’utilizzo di soluzioni tecnologiche attuali come le videolezioni via internet con gli altri partner, ma che non ha trascurato l’aspetto più importante, quello umano. Perché
se per i controllori del Ministero del Lavoro, come è
giusto che sia, i registri contengono nomi, numeri e
firme, per noi sono ben altro: momenti passati assieme
a persone vere che si sono portate dietro un’umanità
d’altri tempi.
E se lo dice uno che è in Svizzera
da neanche due anni…
È IL MARCHIO CHE DISTINGUE
LA MIGLIORE OSPITALITÀ ITALIANA.
CERCATELO E TROVERETE
ACCOGLIENZA DI QUALITÀ.
Lo espongono alberghi, ristoranti, agriturismo, camping
e stabilimenti balneari che hanno ottenuto la certificazione
rilasciata dalle Camere di Commercio d’Italia.
Nicola Mattana, con Giorgio Martone e Luca D’Aloja,
è stato un dei docenti del corso.
Per saperne di più cliccate su www.10q.it
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SSSSSSssst!
Il riposo fa bene al sapore.
Stagionato da 9 a 15 mesi
Stagionato oltre 16 mesi
Stagionato oltre 20 mesi
La sua pasta già granulosa ha un gusto
delicato: ecco il Grana Padano D.O.P.
più giovane, il formaggio da pasto per
eccellenza.
Formaggio da grattugia o da tavola? Il Grana
Padano D.O.P. oltre 16 mesi risolve ogni dubbio,
con il suo gusto pieno, pronunciato ma mai
piccante.
Grana Padano RISERVA: la stagionatura
prolungata lo rende di assoluta eccellenza.
Perfettamente idoneo tanto al consumo da
pasto che da grattugia, è una scelta da veri
intenditori.
Grana Padano, tre stagionature, tre sapori.
I vini (e il territorio) del Piceno
presentati a Zurigo
Queste le aziende del Consorzio Picenos: che hanno preso parte alla presentazione di Zurigo sono state: Cantina dei Colli Ripani, Cantina
Offida, Carassanese, Carminucci, Cherri, Ciù Ciù, Collevite La Canosa, La Fontursia, Le Caniette, Maria Pia Castelli, Santa Liberata,
Tenuta Cocci Grifoni, Tenuta De Angelis, Velenosi, Villa Grifoni e Vini Costadoro. I cui rappresentanti troviamo in questa foto di gruppo
scattata da Roland P. Poschung, di Bronschhofen.
È nei saloni del ristorante Carlton nel centro di Zurigo,
che il Consorzio Picenos ha presentato i suoi vini. Una
presentazione condotta dal Presidente del Consorzio
Massimiliano Bartolomei e dal prof. Gabriele Micozzi
docente di marketing all’Università Luiss di Roma e alla
Politecnica delle Marche, che hanno intelligentemente
posto il vino al centro di un territorio, compreso fra la
provincia di Ascoli Piceno e quella neonata di Fermo;
che ha molto da offrire, ma che, a nord delle Alpi, non
ha ancora un’identità ben definita.“Abbiamo voluto fortemente – ha detto il presidente Bartolomei – far conoscere
i nostri luoghi descrivendo le eccellenze della nostra regione”. Infatti, i vini del Consorzio Picenos sono soprattutto
l’espressione di un territorio “nel quale il contadino artista riesce in modo armonico a cristallizzare e interpretare la
poesia, il senso estetico e musicale del territorio “ come ha
evidenziato Gabriele Micozzi.
Il Piceno non è soltanto vino: sono molti i sapori e le tipicità che questa terra, racchiusa tra l’Adriatico e i Sibillini, sa offrire. Si tratta di gusti semplici e intensi, che sembrano fatti apposta per essere gustati e degustati nella
loro più completa purezza, anche se alcuni di essi, talvolta abbinati tra loro o con altri prodotti di questa terra,
sanno restituire al palato sensazioni ancora più vive e
intense. È il modo migliore per assaporare il Piceno e per
costruire un ricordo indelebile di questo territorio.
Il Piceno, infatti, è una terra generosa di cibi e vini, ma
anche ricca di contrasti in questi suoi opposti così vicini
da confondersi: la montagna che degrada rapidamente
nella collina e scende verso il mare, i caldi borghi in cot-
to e il biancore lunare del travertino, la vivacità operosa
delle cittadine e la quiete delle campagne, tutto concorre
a fondersi in un’armonia particolare che merita assolutamente una visita.
Magari prendendo il via, o avendo come traguardo,
l’Enoteca Regionale delle Marche che si trova a Offida: gestita dall’Associazione dei Produttori Viticoli della
Provincia Picena, è un importante centro per la conoscenza del vino e del territorio. È ospitata all’interno
dell’ex-monastero di San Francesco, nel centro storico
del paese, e in questa sua magnifica cornice vengono
organizzate iniziative legate alla conoscenza del vino e
del territorio. Qui si possono degustare i vini della zona
e della regione da accompagnare ai piatti tipici della cucina locale. Nel caso specifico se non di solo vino è fatto
il Piceno, è soprattutto della produzione enologica che,
nell’attesa di un salto ad Offida, si è parlato e gustato a
Zurigo. Tre sono i principali vitigni a bacca rossa: Montepulciano, Sangiovese e Cabernet Sauvignon. Altrettanti
quelli a bacca bianca: Passerina, Trebbiano e, la riscoperta degli ultimi anni, Pecorino.
Sono alla base delle principali doc della regione: Rosso
Piceno (Montepulciano fra il 35 e il 70% e Sangiovese,
fra 30 e 50%), Offida rosso (Montepulciano minimo 50%
e Cabernet Sauvignon minimo 30%); Offida Passerina
(Passerina minimo 85%); Offida Pecorino (Pecorino per
almeno l’85%); Falerio (Trebbiano in percentuale variabile dal 20% al 50%, Passerina dal 10% al 30%, Pecorino
dal 10% al 30% con, fino a un massimo del 20%, altre
varietà a bacca bianca).
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CIRO: DA UN GIOVANE IMMIGRATO DEL 1898
Un ristorante nel solco
della tradizione famigliare
Diciott’anni da poco compiuti e un impiego da minatore nella Galleria del Sempione. Inizia da lì, nel
1898 l’avventura elvetica di Ciro Foiera, originario di Forlì. Dopo il Sempione, il Lötschberg. La disgrazia che nel luglio 1908 costerà la vita a suoi 24 compagni di lavoro, dalla quale lui scampa perché
destinato ad un altro turno, i polmoni che cedono all’incedere della ‘polvere’ e l’intuizione, con l’apprezzamento dei minatori, di aprire a Kandersteg, proprio all’imbocco del tunnel, una mensa operaia in cui
proporre i piatti tipici della sua terra: tagliatelle, lasagne e spaghetti alla bolognese.
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Sono questi le tappe che porteranno Ciro e la moglie
Irene, dapprima a gestire un’altra mensa operaia al
Grenchenbergtunnel, poi, dopo una pausa di 2 anni
durante la 1° guerra mondiale, in cui è costretto a rientrare in Italia, a Sciaffusa al Gasthof Gottardo, infine
a Zurigo dove, trascorso un periodo sulla Langstrasse,
nel 1931 ritirerà la gestione di quello che, al nr. 16 della
Militärstrasse, si chiamava Bellevue ed era un ritrovo
per i soldati della vicina caserma. Lo ribattezza con il
nome di Ciro e, l’anno successivo, scomparso prematuramente, lo lascia in eredità alla moglie al figlio Oberdan poco più che ventenne. La tradizione continuerà
quando ad Oberdan subentrerà Claudio Pollazzi, che,
assunto come cameriere, gestirà il ristorante durante 26
anni. Un’esperienza che non s’interrompe neppure con
il passaggio di consegne da Pollazzi a Pasquale Viola,
che, al Ciro c’era arrivato all’inizio degli anni 90 anche
lui come cameriere e oggi gestisce il ristorante affiancato dalla compagna Desanka.
Al pari di Ciro Foiera, anche Pasquale Viola è romagnolo: di Cesenatico. Nelle sue corde culinarie gli aromi
ei sapori di una terra che, al netto di qualche sapiente
innovazione (vedi, per esempio, la presenza in carta di
alcune gustose interpretazioni a base di bottarga) ha
dettato la linea gastronomica durante 80 anni di un locale che, ancora oggi, dei suoi primi piatti di pasta fatta
in casa, fa la sua cifra distintiva.
Dietro questa che, nelle alterne vicissitudini che segnano un’epoca, ha il pieno di diritto di considerarsi una
storia di successo, c’è il percorso di uomo e della sua
Tutto iniziò con Ciro Foiera.
Oberdan Foiera con la moglie Jole sulla Langstr. di Zurigo a metà
del secolo scorso.
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Jole Foiera oggi con i nipoti Tiziano e Ruben.
famiglia. Che vanta lontane origini spagnole (“il ceppo
risale al 1500 e i Follera, poi italianizzato in Foiera, sono
segnalati a Toledo”), come mi segnala con la cortesia che
le è propria la signora Jole, oggi lucida novantenne, che
subito puntualizza “ma con chiaro senso di patriottismo
italiano, che il vecchio Ciro ha voluto sottolineare chiamando mio marito Oberdan, in onore dell’irredentista Guglielmo Oberdan”.
Mentre il ristorante Ciro festeggia i suoi 80 anni, la signora Jole guarda con orgoglio ai propri nipoti, Tiziano
e Ruben, convinta che sapranno valorizzare quell’esperienza che i suoi figli Roger e Irene, hanno mantenuto
salda in famiglia. Roger si occupa, da esterno per così
dire, delle pubbliche relazioni; Irene, amministra quella
che nei piani superiori dell’immobile sito al nr. 16 della
Militärstr. è diventata una sorta di casa degli studenti di
lingua italiana, continuando nel solco che nel 1975 avevano iniziato a tracciare la madre Jole e il padre Oberdan. Anche in questo caso, come per il Ciro, operando
sotto il segno dell’ospitalità.
Pasquale e Desanka sono il presente del Ristorante Ciro.
Roger Foiera con la moglie Yvonne e la sorella Irene, che porta
il nome della nonna, in posa a Zurigo.
RISTORANTE CIRO
Militärstrasse 16, 8004 Zürich,
044 241 78 41, [email protected]
www.ristorante-ciro.ch
La sala del Ciro al civico nr. 16 della Militärstr.
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Convivio
di Domenico Cosentino
La Reggia di Venaria con i giardini. Veduta aerea.
Cene regali
Nella galleria grande la reggia di Venaria
si rende omaggio alla cucina italiana
“Nel centenario della morte di Pellegrino Artusi (1911-2011),
l’unificatore dell’Italia a tavola e padre della cucina italiana,
Forlimpopoli (FC), sua città natale, ha organizzato un ricco e
prestigioso calendario di iniziative per tutto il 2011, per onorarne la figura. A nome dell’Ente che compone il Comitato
delle Celebrazioni, che inizieranno il 30 di marzo, dove giornalisti, gastronomi ed appassionati possono avere l’occasione
di confronti e dibattiti che termineranno con una cena “artusiana”, La invito, Sig. Cosentino, a partecipare ai lavori”.
È quanto avevo letto a firma di Carlo Romito, Segretario Nazionale Ordine Maestro di Cucina, “spulciando”
tra la mia posta elettronica, affiancato da un secondo
email, proveniente questo da Venaria Reale (TO): “Caro
Domenico, i migliori chef delle cucine regionali italiane propongono le loro specialità nella meravigliosa galleria Grande della Reggia. S’inizia l’8 aprile con cena dedicata alla
regione Sardegna, seguirà la Toscana, l’Emilia e Romagna,
la Sicilia e, via via tutte le altre regioni per concludere, nel
mese di novembre, con il Piemonte. Ti aspetto a Venaria,
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dove potrai visitare la Reggia, la mostra”Bella Italia” (300
capolavori d’arte italiana) e gustare insieme alcuni piatti della cucina piemontese e berci una buona bottiglia di
“Barolo 2007” che, secondo gli esperti, sembra sia stata una
grande annata. Dovresti, però, arrivare prima che inizino le
“Cene Regali. Dopo ci sarà troppa gente. Saluti Vincenzo”.
Coraggiosa e sofferta decisione
Gli inviti ricevuti e inaspettati, avevano trovato il viaggiatore goloso, in una giornata di “early spring”che bruciava dal sole, impreparato e, quindi anche indeciso se
andare in Romagna o in Piemonte. Fosse stato per lui,
gli sarebbe piaciuto essere presente in entrambi i posti
e nello stesso tempo. Riconoscendo, però, di non essere munito di poteri spirituali, da buon realista, si è
fatto coraggio e, dopo una lunga e sofferta riflessione,
ha deciso di andare a Venaria Reale, preferendo, così,
le cene Regali a quelle “artusiane” e il grande Barolo al
Sangiovese di Romagna.
Non che il viaggiatore goloso avesse qualcosa contro
Forlimpopoli, in verità, è che negli ultimi mesi, al viaggiatore goloso è sembrato di aver scritto per la Rivista
più di una volta di Pellegrino Artusi. Aveva scritto che
“era nato a Forlimpopoli, che è stato il Padre della cucina
italiana, autore del risorgimento gastronomico italiano con
la pubblicazione di quel suo famoso libro che porta, ancora
oggi, il titolo di ”la Scienza e l’arte di Mangiare bene” e che,
seconda lo scrittore Piero Camporesi, ha fatto per l’unificazione nazionale più di quanto non siano riusciti a fare i Promessi sposi” e, infine, avevo anche scritto “che era morto
a Firenze, dove era vissuto per 60 anni”. Dunque, curioso
com’è, oltre che goloso, il viaggiatore, e non si è viaggiatori se non si è curiosi, ha scelto di andare a visitare
la Grande Reggia (La Venaria Reale), voluta da Carlo
Emanuele II di Savoia e realizzata a partire dal 1659-60
su progetto dell’architetto Amedeo di Castellamonte.
Venaria Reale, una città imbandierata a festa
E così, una settimana prima che iniziassero le “Cene Regali”, il viaggiatore goloso, ha lasciato la città di Zurigo,
dove era ospite della figlia, e, nel primo pomeriggio,
viaggiando con la propria auto, ha raggiunto Venaria
Reale, dove, ha trovato una città imbandierata, fasciata, tappezzata da enormi tricolori: palazzi, monumenti,
chiese, negozi, bar, ristoranti, lampioni, balconi, terrazze, finestre (mai viste tante bandiere italiane tutte insieme). Ovunque era appesa o sventolava la bandiera
tricolore italiana, bianco, rosso e verde. A dimostrazione, forse, che gli italiani non sono poi quel popolo che
“appende” il tricolore solo quando gioca e vince la nazionale di calcio o, la Ferrari in formula 1, ma anche in
occasioni come il 150° Anniversario dell’Unità d’Italia.
L’amico Vincenzo, che avrebbe fatto da guida, aspettava il viaggiatore goloso nella sala consiliare del palazzo municipale. Una passeggiata nel centro storico, una
visita al mercato ricco di eccellenze enogstronomiche
allestito negli spazi vicini alla Reggia, un aperitivo al
Wine-Bar (Bocconcini di pane salume di turgia e burro, acciughe, mortadella ossolana, tomine e un bicchiere di vino:
Arneis e fresco o Dolcetto d’Alba ), situato nella storica
via A. Mensa che porta alla Reggia e, poi, come da programma, a pranzo.
Alla Locanda Storica “De Filippi”
A pochi chilometri da Venaria Reale, a Rivalba di Gassino Torinese, nello storico Ristorante “De Filippi”, Vincenzo aveva prenotato un tavolo per l’ora di pranzo.
Ambiente curato e tavoli apparecchiatati con semplicità, ma eleganti. Al viaggiatore goloso, una volta seduto, è piaciuto ritrovare, oltre la carta, una serie di menù
degustazione, secondo la tradizione piemontese. Non
avendo potuto conoscere lo chef di cucina, il viaggiatore si è lasciato consigliare e “viziare” da Sandro, attento
e preparato Sommrlier. E la fiducia non è stata tradita!
L’amico e assessore di Venaria Russo Vincenzo che ha fatto da guida.
Sandro ha voluto iniziare dagli antipasti freddi: Salame
cotto e crudo, terrina di spinaci in salsa rosa, terrina di pollo
e insalata russa, carne cruda albese su rucola e tartare di
uova sode, lingua di manzo lesso e salsa verde. Come vino,
Sandro ha proposto e servito un Dolcetto di Dogliani
2010, Azienda Agricola “San Luigi”. È passato, poi, a servire gli antipasti caldi: Bagna Cauda (con le sue verdure,
Cardo gobbo di Nizza Monferrato, Peperone a corno di bue
di Carmagnola, teste d’aglio e acciughe salate di Spagna),
Cotechino e purè di patate, fonduta di formaggi (fontina)
su crostoni di pane. Come primi piatti – e non potevano mancare –agnolotti con il plin e Tajarin agli asparagi
verdi di Vinchio, detti anche “Asparagi saraceni”. Prima di
passare ai secondi piatti, Vincenzo ha ordinato e fatto
stappare una bottiglia di Barolo 2007 “Bric del Fiasc” di
Enrico Scavino, che il viaggiatore goloso ha trovato austero, affascinante con il quale ha accompagnato a una
sola fetta di Brasato di manzo al barolo e patate alle erbette. Al carrello dei dolci tradizionali, il viaggiatore goloso
ha rinunciato, anche se Panna Cotta, Bonnet e la Torta
della Nonna, solo a guardarli, erano vere tentazioni.
La Venaria Reale, Patrimonio mondiale
dell’Umanità
L’appuntamento per la visita alla Reggia e alla mostra,
era stata programmata da Vincenzo per domenica mattina alle ore 10.00 in piazza ella Repubblica. Il viaggia-
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Menù tricolore fotografato all’ingresso di un ristorante nel centro storico di Venaria.
tore goloso si è fatto trovare puntuale alla biglietteria
Centrale. Costruita come residenza di piacere e di
caccia dei Savoia (così ha spiegato, al viaggiatore, la
guida D’Alessandro che lo ha accompagnato per tutta la mostra), la monumentale Reggia di Venaria si inserisce all’interno del più vasto progetto urbanistico
voluto nel Seicento dal duca Carlo Emanuele II, per
completare il sistema di residenza di corte che i suoi
predecessori avevano progressivamente edificato nei
dintorni di Torino.
La Reggia (allora detta Diana), vide la luce tra il 1658
e il 1671. Ad attribuirle un aspetto ancor più imponente sulla scia di influenze francesi, oltre al Castelmonte, ci pensarono Michelangelo Garove, e nel
1716 Filippo Juvarra, a cui si devono la Grande Galleria, la Cappella di Sant’Umberto, la Citroniera e le
Scuderie. Tanto fu fatto che, a metà del Settecento, i
viaggiatori francesi ne parlavano come una delle più
grandi e importante residenza di campagna del Re.
Ma non furono sempre rose e fiori per la Reggia.
Con l’occupazione napoleonica, che l’aveva spogliata
e trasformata in caserma, è iniziata una fase di declino, protrattasi per tutto l’Ottocento e il Novecento,
quando la Reggia di Venaria è finalmente risorta, grazie al poderoso restauro conclusosi nel 2007.
Oggi, gli 80mila metri quadrati della Reggia restaurati e gli 80 ettari dei giardini, rappresentano uno
dei cuori in cui si celebra il Centocinquantenario
dell’Unità d’Italia e, dal 1997, per volontà dell’UNESCO, la Venaria Reale, con le altre residenze sabaude
del Piemonte, è stata dichiarata Patrimonio mondiale
dell’Umanità.
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La Bella Italia(360 Opere).
Arte e Identità delle Città Capitali
Ed, infatti, è questa meravigliosa Reggia d’Italia che
ospita una grande esposizione d’arte, curata da Antonio Paulucci, che costituisce un percorso culturale
dall’Antichità all’Unificazione. Le splendide gallerie settecentesche della Scuderia e della Citroniera,
progettate da Filippo Juvarra, accolgono le 360 opere
d’arte (presenti fino all’11 di settembre) in un progetto scenografico ideato da Luca Ronconi. Il percorso di
visita – che il viaggiatore curioso e attento – ha seguito in silenzio mistico, si snoda in dieci sezioni: Roma
é l’Antico e la Religione. Il Romolo e Remo di Rubens
introducono al mito e alla storia. Firenze è la capitale
delle arti e la culla della lingua nazionale, in letteratura
nel segno di Dante, in pittura con le forme e i colori di
Giotto. Torino è la Corte, le Scienze e il paesaggio alpino. Le Alpi, crocevia e confine, ispirano gli artisti nella
rappresentazione della natura. Genova è la finanza e il
collezionismo. Dalla finanza derivano così i palazzi che
Rubens addita all’intera Europa, mentre gli splendidi
ritratti dei loro proprietari di Van Dick, ne esaltano gli
interni. Palermo è la corte normanno-sveva e la multiculturalità di città di mare, è la bellezza del paesaggio, della ricchezza dei monumenti che testimoniano
visitatori e viaggiatori dal Medioevo a Goehte. Napoli, per secoli la città più popolosa d’Italia, capitale di
un regno legato allo scenario europeo mediterraneo.
Napoli, con le immagini celebrative dei sovrani e della
plebe urbana fino alla rivolta di Masaniello. Bologna, è
il classicismo dell’arte. Sono Annibile Carracci e Guido
Reni, senza nulla togliere al genio di Raffaello, presente
LA RICETTA
TAJARIN CON ASPARAGI VERDI DI VINCHIO
(asparago saraceno)
Ingredienti per 4 persone
350 g di tajarin (taglierini freschi)
600 g di asparagi verdi di Vinchio
40 g di burro
2 scalogni (in assenza vanno bene i cipollotti freschi)
in mazzetto di nepitella (in assenza va bene il prezzemolo)
sale, pepe
Formaggio parmigiano grattugiato a piacere.
Come li preparo:
Pulisco gli asparagi e li taglio a rondelle. Sciolgo il
burro in una padella e faccio “sudare” i cipollotti affettati. Aggiungo gli asparagi e faccio cuocere, a fuoco lento, per alcuni minuti. Aggiungo anche alcuni
cucchiai d’acqua calda e faccio cuocere ancora dieci
minuti. A parte faccio lessare i taglierini in acqua
bollente e salata. Li scolo e unisco agli asparagi.
Aggiusto di sale, spolvero con pepe nero e, per ultimo, aggiungo foglioline di nepitella spezzettata o
del prezzemolo tritato. Il formaggio lo servo a parte!
Il Vino: Dolcetto di Dogliani 2010
www.molino.ch
LA GASTRONOMIA ITALIANA IN SVIZZERA
alla mostra con l’Estasi di santa Cecilia e quattro santi. Parma e Modena sono il collezionismo degli Este
e dei Farnese. La grazia del Correggio e di Raffello è
alla base dello stile della scuola di Parma, rappresentato
da La Schiava Turca di Francesco Mazzola detto il Parmigianino. Milano è i grandi cantieri. Apre istituzioni
prestigiose e presenta utopistici progetti urbanistici. Il
Bacio di Hayez incarna Il risorgimento. Venezia, infine,
è presentata nel ritratto urbano con le vedute di Canaleto e Guardi, mentre Veronese e Tiepolo la raffigurano
in allegorie e virtù. La Giustizia, la pace, l’Abbondanza
con il Leone di san Marco sintetizzano questi concetti
in immagini.
Un viaggio a Venaria Reale con le sue opere, dunque,
secondo il viaggiatore goloso, è stato, una scelta giusta!
È stato un viaggio interessante, eccitante, stupefacente,
emozionante come sempre sono i viaggi che il viaggiatore fa – e non solo per la gola - in Italia.
Viva Italia
Cucina tradizionale!
Da noi apprezzerete la vera italianità con le nostre
specialità tipiche, che normalmente solo in Italia potete apprezzare.
Lasciatevi incantare dal nostro ambiente mediterraneo e da un
servizio impeccabile, dalle nostre eccellenti pizze, preparate
secondo le ricette originali del campione del mondo di pizzaioli e
con il marchio «Vera Pizza napoletana DOC», alle tipiche pietanze a
base di carne o di pesce, nonché dalla nostra prelibata pasta
fresca e ai succulenti dolci. E se amate le tradizioni culinarie
del bel Paese, da noi troverete consigli sui migliori, eccellenti vini
selezionati da tutte le regioni italiane.
«Buon appetito!»
Il team Molino si farà piacere di accoglierla
alla sua prossima visita con un cordiale «benvenuto»!
Nei 17 Ristoranti MOLINO in Svizzera,
Lei è un’ospite sempre gradito durante tutti
i 365 giorni dell’anno:
MOLINO Berna
Waisenhausplatz 13
3011 Berna
Telefono 031/ 311 21 71
MOLINO Vevey
Rue du Simplon 45
1800 Vevey
Telefono 021/ 925 95 45
MOLINO Dietikon
Badenerstrasse 21
8953 Dietikon
Telefono 044 / 740 14 18
MOLINO Winterthur
Marktgasse 45
8400 Winterthur
Telefono 052 / 213 02 27
MOLINO Friborgo
93, rue de Lausanne
1700 Friborgo
Telefono 026 / 322 30 65
MOLINO Zermatt
Bahnhofstrasse 52
3920 Zermatt
Telefono 027/ 966 81 81
MOLINO Ginevra-Thônex
106, Rue de Genève
1226 Thônex
Telefono 022 / 860 88 88
MOLINO Zurigo-Wallisellen
Glattzentrum
8304 Wallisellen
Telefono 044 / 830 65 36
MOLINO Ginevra
Place du Molard 7
1204 Ginevra
Telefono 022/ 307 99 88
MOLINO Zurigo
Stauffacherstrasse 31
8004 Zurigo
Telefono 044 / 240 20 40
MOLINO Ginevra-Carouge
Centre La Praille
1227 Carouge
Telefono 022 /307 84 44
MOLINO Zurigo
Limmatquai 16
8001 Zurigo
Telefono 044 / 261 01 17
LE LACUSTRE Ginevra
Quai Général-Guisan 5
1204 Ginevra
Telefono 022 / 317 40 00
MOLINO Frascati Zurigo
Bellerivestrasse 2
8008 Zurigo
Telefono 043 / 443 06 06
MOLINO Montreux
Place du Marché 6
1820 Montreux
Telefono 021/ 965 13 34
MOLINO S. Gallo
Bohl 1
9000 S. Gallo
Telefono 071/ 223 45 03
MOLINO Uster
Poststrasse 20
8610 Uster
Telefono 044 / 940 18 48
la
Rivista
n. 6 - Giugno 2011
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Ernst & Young,
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competente per:
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Motori
di Graziano Guerra
Solo motori Euro 5 per il nuovo Ducato
Meno consumi e più prestazioni
Al Centro Sperimentale Fiat di Balocco, i dirigenti di Fiat Professional hanno presentato
alla stampa internazionale il nuovo Ducato.
Le novità hanno riguardato motori e allestimenti interni. Immutata l’estetica del vincente veicolo commerciale. I tecnici del gruppo
hanno messo in risalto gli sviluppi fatti nella
riduzione dei consumi e nel miglioramento
della cabina di guida. Chi con New Ducato
lavora, lo farà meglio e con più soddisfazione.
Sia dal punto di vista pratico, alla guida del
mezzo intendo, sia per quanto concerne la
redditività aziendale.
48.000 chilometri fra un servizio e l’altro,
motori Euro 5 (con prezzi in linea con gli EU
4, ma il listino non è dato a conoscere). Propulsori più potenti che consumano meno: un
due litri da 115 Cv e 280 Nm; due 2.3, da 130
e 148 CV, con 320 Nm e un 3.0 da 180 CV e
400 Nm di coppia, che profittano della tecnologia Common Rail più avanzata, con Multijet di seconda generazione. Tutti i propulsori
sono caratterizzati da 4 cilindri in linea, con
4 valvole per cilindro e doppio albero a camme in testa. Tranne il 2.0 litri, che è con cambio a 5 rapporti, tutti sono accoppiati a un 6
marce manuale; per il 3.0 anche un Comfortmatic. Per tutti i nuovi c’è la possibilità dello
start&stop.
Sul circuito di Balocco lo spasso è stato garantito dalle prestazioni. Se il 3.0 da 180 Cv
ha incantato, il 2.0 (consumi sul misto di 6,4
litri per 100 Km; emissioni di C02 pari a 169
gr) ha convinto anche i più scettici della compagnia (giornalisti svizzero tedeschi spesso
ipercritici, fra questi anche uno appartenente
alla giuria Van of the Year, trofeo dei commerciali corrispondente al titolo Auto dell’Anno).
Il comportamento è stato sempre all’altezza,
con gli 800 Kg di zavorra a bordo ha dimostrato di cavarsela senza difficoltà in ripresa,
nello stop&go e in frenata.
La pista di Balocco propone tutte le situazioni di asfalto, di curve e passaggi che si possono incontrare sulle strade europee. La tenuta
di strada di Ducato può dirsi proverbiale: sul
nuovo mezzo commerciale è stato introdotto
l‘innovativo sistema di controllo della trazio-
ne Traction +, che incrementa la motricità del
veicolo su terreni difficili e a scarsa aderenza.
Per Ducato sono disponibili software (frutto
di collaborazioni prestigiose, da Microsoft a
Tom Tom) come Blue&Me Nav ed ecoDrive
Fiat Professional, che suggeriscono il percorso ottimale e una guida economica. EcoDrive
è utilizzato da più di 1.200.000 unità viaggianti, che hanno riportato un risparmio medio di carburante pari a circa il 15%, particolarmente interessante per i titolari di aziende
di spedizione e consegne. Grande l’attenzione rivolta al confort acustico, climatico e
vibrazionale: il nuovo propone una cabina di
guida comoda e modulare. Considerando gli
abbinamenti scocca-motore-meccanica, gli
ingegneri hanno previsto circa 2000 varianti
su versioni trasporto merci, veicoli trasporto persone e basi per trasformazioni e allestimenti. La gamma furgoni propone ben 8
differenti volumetrie. New Ducato sarà dai
concessionari ufficiali svizzeri dal prossimo
autunno.
la
Rivista
n. 6 - Giugno 2011
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Abarth School of Racing
Scuola piloti accessibile
L’Abarth School of Racing offre agli appassionati del marchio dello scorpione un corso di guida su pista. Esperienza
aperta anche a quanti non possiedono una vettura Abarth.
Le Abarth 500 135 CV, 500 esseesse (160 CV) e Abarth
Punto Evo (163 CV) permetteranno di mettere alla prova le proprie capacità di pilota. Con i loro brillanti motori
turbo ed il loro comportamento sportivo renderanno la
partecipazione al corso un’esperienza del tutto particolare. Le giornate con l’Abarth School of Racing avranno
luogo sui noti circuiti di Formula 1 a Hockenheim e SpaFrancorchamps (Belgio), sul Salzburgring (Austria). La
partecipazione prenotabile su Internet costa 349 Euro se
si partecipa con la propria Abarth, con vetture in prestito
(disponibili in numero limitato) costa 649 Euro. I contenuti dei corsi sono incentrati sulla guida in pista e vanno ben
oltre un convenzionale training di guida sicura. Durante le
esercitazioni di cambio corsia i partecipanti conosceranno le reazioni della loro vettura in situazioni limite e si
alleneranno sulle corrette manovre da eseguire in caso di
comportamento sovrasterzante o sottosterzante. Uno slalom servirà per migliorare la propria capacità di reazione al
volante. Durante il training di traiettoria ideale sul circuito,
gli istruttori, tutti piloti esperti, forniranno spiegazioni sulle particolarità della pista e sulla migliore tecnica di guida.
Affiancati da un istruttore, i partecipanti conosceranno il
circuito in dettaglio e potranno mettere in pratica, durante
dei giri liberi, le nozioni acquisite. A conclusione di ogni
giornata di training la “Race of Champions”, in cui verrà
individuato il campione del giorno nel corso di uno slalom.
Appuntamenti Abarth School of Racing 2011
29 luglio Salzburgring (Austria)
17 ottobre Spa-Francorchamps (Belgio)
Informazioni e registrazione su internet:
www.abarth-fans.de/abarth_school_of_racing/training
Raduno europeo di Opel GT
per la prima volta in Svizzera
150 orgogliosi proprietari di una Opel GT provenienti da
tutta Europa si incontreranno nella Svizzera Centrale a
Hochdorf dall’11 al 13 giugno prossimo. È prevista la presenza di diverse rarità. Per molti fan, la GT costruita dal
1968 al 1973 è la più bella Opel di sempre. Ancora oggi i
fari a scomparsa e la caratteristica silhouette sottile entusiasmano giovani e nati prima. In occasione del 20° anniversario, il GT-Plausch-Club organizza, con il sostegno
dell‘Opel GT Club Svizzera, il raduno europeo di Opel GT
che si terrà per la prima in Svizzera. Tra le rarità si potranno ammirare due versioni da gara e la Opel GT Aero.
Tutte le informazioni sul 19° Raduno Europeo Opel GT di
Hochdorf sono disponibili sul sito www.europatreffen.ch.
Ducati Speeddays: le Ducati sul circuito Red Bull
Il nuovo circuito della Red Bull di Spielberg nella Stiria è
stato costruito secondo la filosofia „solo il meglio è abbastanza”. Si tratta della pista più moderna d’Europa. L’ideale per ogni Ducati! Dal 21 al 24 luglio 2011, il motto in
quel di Spielberg sarà: Achtung, fertig, Ducati Speeddays!
Un festival con molte attrazioni, anche per neofiti e accompagnatori o accompagnatrici, che attirerà fan da Italia,
Germania, Austria e naturalmente dalla Svizzera. Partecipazione aperta ai ducatisti più sfegatati in sella a 1198 e ai
Desmo-racer, ma anche ai domatori di Monster.
Per informazioni su costi, iscrizioni e quant’altro:
www.ducati.ch
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Rivista
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Impressioni di guida
Subaru Trezia: pratica e comoda
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telecamera di retromarcia, fari automatici, sensore di pioggia, climatizzatore automatico, vetri laterali posteriori e
lunotto oscurati, pulsante d’avviamento e Keyless Access.
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La nuova vettura, frutto della collaborazione fra Toyota e
Subaru si presenta in un segmento nuovo per il marchio
stellato. Quel segmento B delle Compact Van, molto ricco
di clienti che non prediligono la trazione integrale. Lunga
solo 3,995 m, offre spazio a sufficienza a cinque passeggeri e nell’evenienza, abbassando i sedili posteriori, il piano di carico diventa spazioso. Si presenta bene, massiccia
e di qualità, gli interni rivelano rifiniture di buon livello
e materiali piacevoli al tatto. Due i motori in linea con le
attuali norme eco sostenibili. Un 1.3 a benzina da 99 CV,
manuale a 6 marce che consuma nel ciclo misto 5,5 l per
100 km (emissioni di CO2 dichiarate: 127 g/km), e un brillante quanto parsimonioso 1.4 turbodiesel dall’eccellente
ripresa (90 CV, con cambio manuale a 6 rapporti, 4,3 l/100
km nel ciclo misto ed emissioni dichiarate di 113 g/km di
CO2), che può essere abbinato a un cambio automatico a
sei marce, con comandi al volante. Proposta con un ventaglio prezzi da CHF 22’500 a 25’300 in cinque colori Super
Red, Silver Metallic, Satin Blue Metallic, Black Mica e Gray
Metallic, ha di serie airbag frontali, laterali, a tendina e per
il conducente uno per le ginocchia. Interessante la versione
Swiss con il pacchetto Luxury (CHF 3’500): tetto panoramico di vetro, alzacristalli elettrici posteriori, sistema audio
con monitor a colori e comandi iPod, vivavoce Bluetooth,
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Rivista
n. 6 - Giugno 2011
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Starbene
Sempre più internauti over 65
Gli ottimisti campano meglio
e più a lungo
Facebook elisir di memoria quando comincia ad abbandonarci: è questo l’effetto che il popolare social network
ha fra gli over 65, dove continua a raccogliere fan. Sono
infatti oltre un milione e mezzo gli anziani con un profilo
facebook, e a questi si aggiungono un altro milione di internauti dai capelli bianchi che si tengono in contatto con
parenti e amici via Skype, o guardano i video dei nipotini
lontani su Youtube. Il tutto con positivi effetti sulla salute.
Uno studio condotto in due residenze sanitarie assistite, in provincia di Cremona e di Brescia, ha dimostrato
che collegarsi quotidianamente a Facebook per un’ora
ha un effetto benefico sulla memoria, conservandola
attiva perché stimolata, e migliora l’umore. Negli ultimi anni il numero di anziani che si è avvicinato al web
è cresciuto dell’80%. Gli over 65 iscritti a Facebook o
MySpace sono circa l’8% del totale. Un fenomeno in
parte spiegabile, perché si avvicina alla rete una quota
sempre maggiore di anziani con un più elevato livello
di istruzione. Quattro su 10 si fanno insegnare i segreti
della rete dai nipoti, cosa che contribuisce a rinsaldare
i rapporti. Internet e le nuove tecnologie tengono viva
la curiosità culturale degli anziani, migliorano le prestazioni cognitive e mantengono giovane il cervello.
Inoltre l’uso della rete riduce i sintomi di ansia, stress e
depressione ed è un valido aiuto nel creare reti di supporto per gli anziani con disabilità che avrebbero altrimenti relazioni sociali molto limitate. Il mondo virtuale
è per loro un’occasione di condivisione, di trasmissione,
di scambio e di aggiornamento, un mezzo per interagire
con gli altri ed essere più autonomi.
Lo chiamano Benessere Soggettivo - in sigla SWB, dall’inglese Subjective Well Being – ha delle ricadute benefiche
sulla nostra salute. e quantifica il giudizio che ognuno
dà alla sua vita, il grado di soddisfazione esistenziale
e professionale. Un elevato SWB pare abbia un effetto
diretto sulla salute e sulla longevità, facendola aumentare addirittura del 14%. È quanto sostiene il professor
Ed Diener, del Dipartimento di psicologia dell’Università
dell’Illinois, che ha pubblicato sul Journal of Applied Psychology, Health and Well-Being la più ampia revisione mai
effettuata su questo argomento, prendendo in considerazione ben 160 ricerche. Diener, che da decenni studia
la felicità e i suoi effetti, ritiene che a questo effetto“salutare” concorrano soprattutto quattro fattori: soddisfazione nella vita, assenza di emozioni negative, ottimismo e
presenza di emozioni positive. Che, però, devono essere
moderate, perché se sono eccessive o troppo repentine
hanno paradossali effetti negativi. Stiano attenti, per
intenderci, i vincitori delle lotterie miliardarie. Un po’ di
humour può sempre aiutare. Lo ha dimostrato lo studio
norvegese HUNT 2, seguendo 53.500 persone per oltre 7
anni: prendere le cose con ironia allunga la vita. In un’altra ricerca (presa in esame da Diener nella sua revisione)
su 4.989 persone seguite dalla giovinezza per oltre 40
anni, è risultato che chi era un musone pessimista già da
giovane, si ritrovava più malconcio da anziano o addirittura campava di meno. Diener si è accorto che, facendo i
debiti confronti, il legame fra ridotta aspettativa di vita e
infelicità risulta addirittura più forte di quello con l’obesità, la cui pericolosità è arcinota.
L’happy hour ammazza la dieta
È una débâcle per la dieta, che si consuma a un tavolo di fronte ad un vassoio con rustici, pizzette e tartine. Lo hanno confessato gli italiani a un sondaggio di melarossa.it
sui momenti più difficili da superare per chi ha deciso di buttar giù qualche chilo prima
della prova costume. Dai risultati ottenuti in base alle risposte dei partecipanti è emerso
che per 1 italiano su 4 il momento dell’happy hour – quando ci si rilassa con le amiche
(o gli amici) al bar con la testa al fine settimana – è il momento in cui si alza bandiera
bianca, e il prosecco con le olive ascolane prende il sopravvento. Un resa che ricorda un
po’ il dopo caffè per chi ha deciso di smettere di fumare: a generare lo “sgarro” è un mix
in cui gli assaggi si mischiano alla compagnia, allo stare un po’ in serenità con gli amici.
Ma anche la solitudine fa la sua parte di tentatore, e accade specialmente quando in Tv c’è il programma preferito della
settimana. Questo momento costituisce per il 18% degli utenti quello in cui le tentazioni si fanno più irresistibili, magari
con la voglia di dolce. «Da sempre lo “sgarro” fa parte della regola – spiega Luca Piretta, SISA, Società Italiana di Scienza
dell’Alimentazione – è importante vivere dei momenti trasgressivi anche nell’alimentazione per salvaguardare il proprio diritto
alla autodeterminazione. Questa trasgressione può essere rappresentata dal dolce (più frequente tra i single) o dal salato (più frequente in compagnia di amici). Ma questo è lecito solo per chi segue una dieta dimagrante e non per motivi di salute (per esempio
diabetici o celiaci) e vale comunque fino a quando questa eccezione resta tale e non va piano piano a sostituire la regola».
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L’inquinamento
danneggia il cuore
La nicotina come la cocaina: colpisce
le stesse zone del cervello
Il rischio di ricovero per malattie cardiache aumenta dell’1%
nei giorni in cui i livelli di polveri sottili nelle città sono elevati.
Emerge dai risultati dello studio Epiair, condotto in 9 città italiane, presentato a Roma durante un convegno su ambiente
e salute organizzato dall’Istituto Superiore di Sanità. L’analisi si è concentrata sugli effetti a breve termine dell’inquinamento delle città, rilevando conseguenze anche per le malattie respiratorie, per le quali i ricoveri salgono dello 0,63% (ma
dell’1% se si considerano solo bronchiti e polmoniti) ogni
10 unità di Pm10 che eccedono i valori massimi consentiti.
Percentuali fino a sette volte maggiori se si considerano di
pazienti con precedenti ricoveri per patologie cardiovascolari o respiratorie. All’interno della popolazione ci sono poi dei
segmenti più a rischio e la probabilità di ricovero in giorni
con valori di Pm10 molto alti è maggiore per le donne e per
gli anziani sopra i 65 anni.
La nicotina agisce come la cocaina sul cervello, andando a interferire con le stesse regioni neurali. Emerge da uno studio
della University of Chicago sul cervello di roditori e pubblicato
sul Journal of Neuroscience. I risultati suggeriscono che la nicotina e la cocaina dirottano simili meccanismi della memoria, creando cambiamenti a lungo termine nel cervello di una persona.
Gli esperti Usa hanno studiato in provetta come una quantità
di nicotina comparabile a quella di una prima sigaretta, vada a
«stuzzicare» le aree neurali della gratificazione e del piacere, le
stesse cioè influenzate dal consumo di droga. A livello molecolare la nicotina crea una memoria di sé nel cervello, ed è per
questo che dopo la prima sigaretta viene voglia di una seconda.
Sebbene gli effetti sull’organismo di nicotina e cocaina siano
molto diversi, le somiglianze tra le due droghe nel loro effetto
sul sistema nervoso potrebbero spiegare perché entrambe sono
così potenti nel dare dipendenza.
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Con la forza del leone.
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Mondo in fiera
Macef: Milano Rho-Pero, 8-11 settembre
Salone Internazionale della Casa
Marmomacc: Verona, 21 - 24 settembre
Sempre più internazionale
AbitaMI: Milano Rho-Pero, 8-11 settembre
Prodotti tendenze ed emozioni
per l’abitare
Abitare il Tempo: Verona,15 - 19 ottobre
Guardare al presente e immaginare
il futuro
Fiere
Macef: Milano Rho-Pero, 8-11 settembre
Salone Internazionale della Casa
Tutto pronto per la novantunesima edizione di Macef , Salone Internazionale della Casa - che si terrà al polo fieristico di Rho dall’8 all’11 settembre
2011. Questo appuntamento vedrà, come da tradizione, Fiera Milano palcoscenico nel quale sarà
in mostra tutto il meglio dell’home design e della
produzione italiana, oltre a quella internazionale.
Molte le novità che faranno di Macef un evento come
sempre irrinunciabile per espositori e buyer attenti alle
nuove tendenze del momento.
A sottolineare lo spirito innovativo, quest’anno, anche
una nuova immagine, ideata, pensata e realizzata da
Alessandro Mendini. E’ al noto architetto milanese infatti che i vertici di Macef hanno pensato per completare l’iter di restyling già avviato nelle ultime edizioni.
Una nuova immagine a conferma degli sforzi compiuti
al fine di consolidare il ruolo chiave che il Salone Internazionale della Casa svolge per l’intero comparto
dell’home design.
Sul fronte strettamente espositivo Macef riconferma la
suddivisione merceologica in 4 grandi macro settori Arredo e Decorazione; Tavola, Argenti & Cucina; Oggetti da regalo, Trade & Big Volume; Bijoux, Oro, Moda
& Accessori– ai quali si aggiungono, per l’edizione di
Settembre, i padiglioni di AbitaMi. AbitaMi è un Salone-Laboratorio per le nuove tendenze creative pensato
per far pensare. Un “teatro di creatività” dove aggiornarsi e confrontarsi sulle nuove tendenze dell’abitare
moderno. Dove architetti e designer insieme a imprenditori, rivenditori, giornalisti, analisti e trend setter saranno pronti a testare con mano le migliori produzioni
creative pensate per il sistema casa.
Tra gli eventi della prossima edizione di Macef invece,
una serie di workshop per idettaglianti: dal 9 maggio
fino alla seconda metà di giugno Macef sarà presente
a Torino, Catania,Roma e Verona con gli Educational
Casastile organizzati in collaborazione con ART (associazione nazionale distributori, produttori, rivenditori di
prodotti per la tavola, la cucina, il regalo e la decorazione della casa). Un momento di incontro importante
pensato per il punto vendita. Macef darà inoltre il proprio contributo a DComeDesign, l’associazione fondata da Anty Pansera, Luisa Bocchietto, Loredana Sarti e
Patrizia Scarzella volta alla valorizzazione della creatività femminile. Molti i progetti in cantiere e tra questi:
“Milano vs The World for Social Design” che vede come
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n. 6 - Giugno 2011
partner principale la Fondazione Good Shepherd ONLUS, oltre al supporto di Barclays e la mostra “Donne
in bottega, L’artigianato artistico nelle Regioni Italiane”.
Oltre alle novità, Macef per settembre ha già confermato alcune iniziative che ne hanno consolidato il successo
già nelle passate edizioni. E’ il caso del progetto di Creazioni - in collaborazione con Artex, Centro per l’Artigianato Artistico e Tradizionale della Toscana – e Creazioni
Designer, due importanti momenti espositivi, entrambi
dedicati all’innovazione e all’artigianato di qualità. E
ancora, Macef incontrerà il vasto pubblico in città grazie
alle numerose iniziative che costituiranno il calendario
di “Macef in Town”, vero e proprio punto d’incontro tra
la community espositiva e la città di Milano.
PER INFORMAZIONI
Camera di Commercio Italiana per la Svizzera
Seestrasse 123, CH - 8027 Zürich
Tel +41 44 289 23 23 Fax +41 44 201 53 57
e-mail: [email protected] www.ccis.ch
AbitaMI: Milano Rho-Pero 8-11 settembre
Prodotti tendenze ed emozioni per l’abitare
La qualità, lo stile, la creatività e l’innovazione espressi
nella sfera della casa e dell’abitare trovano in Italia le
loro vette d’eccellenza e, a Milano, il loro centro di diffusione su scala mondiale. Perciò, a Milano, nasce un
progetto fieristico nuovo e distintivo, un originale salone-laboratorio organizzato da Fiera Milano che avrà
luogo in concomitanza con il Macef d’Autunno nel polo
espositivo di Rho-Pero.
L’obiettivo è quello di creare un nuovo appuntamento
di livello internazionale con l’abitare e i suoi temi nel
secondo semestre dell’anno, particolarmente centrato
sul binomio ‘decor & design’, ossia sul dialogo virtuoso
fra tradizione e innovazione, sulla convergenza tra discipline progettuali e mestieri artigiani capace di fornire
validi spunti di ricerca e di sperimentazione a tutto il
settore e ai suoi attori di riferimento.
Un laboratorio, dunque, ma anche un’esposizione commerciale che sappia rappresentare un’offerta integrata
ampia e trasversale al mondo del “living”. Ideata e diretta da Carlo Amadori, che è anche Direttore strategico
del Macef, la manifestazione avrà cadenza annuale e si
chiamerà significativamente AbitaMI, ponendo l’enfasi sulla personalizzazione dell’abitare, prerogativa data
dalla ricchezza e varietà dei linguaggi che ne declinano
le espressioni a misura del gusto e delle esigenze del
pubblico, e sul ruolo cardine di Milano in quanto epicentro del sistema casa italiano.
AbitaMI sarà una raffinata rassegna di prodotti, tenden-
ze ed emozioni capace di esprimere un diverso e innovativo modo di rappresentare la cultura dell’abitare al
più alto livello. AbitaMI sarà un’opportunità unica per
aggiornarsi, confrontarsi, fare il punto sulle novità e sugli scenari che animano i vari settori dell’abitare, rivolta
a rivenditori qualificati, architetti e designer, trendsetter
e analisti, esponenti del mondo della comunicazione e
della stampa specializzata.
La partecipazione degli espositori, ne sono previsti circa
500, sarà attentamente vagliata da un’apposita commissione di selezione e spazierà, nei vari settori merceologici in cui è articolata la rassegna, dall’alto artigianato fino
all’alta decorazione e oltre, privilegiando le espressioni
d’eccellenza nell’ambito del made in Italy e un ristretto
numero di marchi rappresentativi della qualità europea.
AbitaMi occuperà quattro padiglioni contigui al Macef: il 9, l’11, il 13 e il 15. Gli spazi, le aree comuni e gli
stand avranno un’identità d’immagine e d’allestimento
armonica ed elegante, oltre che una segnaletica di grande impatto visivo, sia all’interno che all’esterno di ogni
padiglione.
Ampie aree longitudinali di ciascuno di questi padiglioni saranno dedicate al progetto dell’abitare, in interni
ed esterni, con mostre e contributi speciali di architetti,
designer, artigiani e creativi che indagheranno il passato, il presente e il futuro della casa, dell’accoglienza e
dell’ospitalità, offrendo un’opportunità unica ed esclusiva per approfondire questi temi.
AbitaMi, Alessandro Mendini firma
il logo della nuova fiera dell’abitare
Il logo, ideato da Alessandro Mendini, illustra un paesaggio, vibrante di
energia e colori. Un paesaggio stilizzato, in cui artificio e natura si intrecciano e si confondono armonicamente, testimoniando quella suggestiva
bellezza che la multiforme creatività italiana ha saputo declinare e promuovere nel mondo.
In primo piano, un segno inconfondibile e universale: la casa, l’abitare,
intesi come parte integrante e qualificante di questo paesaggio.
L’idea di paesaggio e l’idea di abitare si rispecchiano dunque l’una nell’altra, in quanto espressioni di una civiltà, di una cultura e di un saper fare
che, nell’architettura, nel design e nella decorazione ‘made in Italy’, trovano da sempre un punto di riferimento d’eccellenza. Alla casa e al suo
contesto, all’abitare e alla sua evoluzione, Fiera Milano dedica ABITAMI,
una fiera-laboratorio per tracciare nuovi percorsi, per disegnare nuovi paesaggi, tra interni ed esterni.
la
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Fiere
Marmomacc: Verona, 21 - 24 settembre
Sempre più internazionale
Marmomacc cambia le date e torna a settembre: la 46^ edizione della Mostra Internazionale di Pietre, Tecnologie Design, (www.marmomacc.com) si svolgerà a Veronafiere da
mercoledì 21 a sabato 24 settembre 2011.
Rassegna leader nel mondo con oltre 1500 espositori da 56
Paesi e 56 mila operatori professionali di cui il 48,5% da 132
Paesi nell’edizione 2010 su una superficie netta di 77.782
metri quadrati, Marmomacc si conferma come il più importante e qualificato appuntamento internazionale per la
commercializzazione e l’aggiornamento professionale per i
comparti del settore: dalla pietra grezza, alle realizzazioni
di design in pietra, dai macchinari, ai prodotti strumentali
e agli accessori.
L’aumento pari al 12,5% degli operatori esteri nel raffronto
2010/2009 è un buon segnale che anticipa l’attesa anche per
il 2011 di visitatori stranieri dalle aree geografiche economicamente più dinamiche, quali Asia e Sud America.
Prosegue con successo anche il processo di internazionalizzazione della rassegna, e, con esso, del sistema imprese afferente, attraverso una linea di radicamento sui mercati esteri,
enti aziende che hanno registrato significativi ritorni commerciali.
Focus architettura e design
Al fine di promuovere le opportunità di crescita del mercato
attraverso gli eventi culturali e le sperimentazioni di alto livello, Marmomacc propone numerose iniziative nelle quali
operatori, architetti e designer fanno conoscere la pietra e le
sue molteplici applicazioni nella progettazione, nell’arredo
di interni ed esterni, frutto di un profondo connubio tra sviluppo della tecnologia e un materiale duttile come la pietra,
da sempre presente nella storia delle costruzioni dell’uomo.
Tra tutte spicca sicuramente la 12a edizione del Premio Internazionale Architetture di Pietra, la cui giuria, composta da
esperti di settore di livello mondiale, assegnerà il riconosci-
86
la
Rivista
n. 6 - Giugno 2011
mento agli autori di una serie di interventi sulle grandi istituzioni di importanti città europee, su piccoli spazi urbani
o su piccolissime strutture educative, situate in remote aree
rurali. Di notevole interesse sarà poi lo spazio dedicato a
Marmomacc Meets Design, il cui tema, per questa edizione,
sarà “Spirito Mutante”.
Su Irregolare Eccezionale, tema di design proposto nella precedente edizione, Marmomacc ha presentato, come ormai
di consueto, da tre anni a questa parte, una mostra alla
Triennale di Milano che si è svolta nel mese di aprile.
Sul fronte della formazione rimane forte l’impegno di Marmomacc nel promuovere una vera“cultura litica”, sia a livello internazionale che nazionale. Anche l’Italia è fortemente
impegnata nell’attività formativa che porta avanti attraverso
la collaborazione e il sostegno delle università. Ne sono un
esempio il master di 2° livello organizzato dal dipartimento
di progettazione del Politecnico di Milano e la collaborazione ai corsi di progettazione con la pietra realizzati insieme al
Politecnico di Milano, polo regionale di Mantova; la facoltà
di Architettura di Ferrara, la facoltà di Ingegneria di Trento, quelle di Architettura di Pescara e del Politecnico di Bari,
D.I.C.E.A. Dipartimento di Ingegneria Civile Edile ed Ambientale dell’Università degli Studi di Roma La Sapienza.
I risultati della formazione verranno presentati a Marmomacc nell’ambito di una mostra allestita nell’area espositiva
all’interno del padiglione 7B, vicino all’Agorà, spazio dedicato ai convegni e agli incontri didattici.
PER INFORMAZIONI
Camera di Commercio Italiana per la Svizzera
Seestrasse 123, CH - 8027 Zürich
Tel +41 44 289 23 23 Fax +41 44 201 53 57
e-mail: [email protected] www.ccis.ch
Abitare il Tempo: Verona,15 - 19 ottobre
Guardare al presente e immaginare il futuro
Abitare il Tempo, mostra internazionale per le SOLUZIONI d’interni, giunta alla ventiseiesima edizione, si svolgerà a Verona dal 15 al 19 ottobre 2011 (i primi due giorni,
sabato e domenica, saranno aperti anche al pubblico; gli
altri tre saranno riservati agli operatori). Il progetto della
mostra, che per la circostanza compie un sensibile riposizionamento strategico e organizzativo (la mostra viene
organizzata direttamente da Veronafiere), si svilupperà su
5 padiglioni per una superficie lorda di circa 50mila metri
quadrati. Tre le aree merceologiche: Soluzioni d’arredo, Rifiniture d’interni e Decorazione d’interni.
La prima di queste (Soluzioni d’arredo) (16mila metri
quadrati) sarà un contenitore di cucine, camere, camerette, sistemi d’arredo per la zona giorno e la zona notte. I
prodotti e le aziende saranno selezionati non tanto sulla
base della fascia di mercato o sullo stile ma sulle scelte
produttive/distributive di essere partner dell’arredatore.
In altre parole produrre gli ingredienti (prodotti e servizi)
per cucinare piatti straordinari (soluzioni d’arredo uniche
e inimitabili) dove la differenza la fa la qualità della materia prima (prodotti) la ricetta (il progetto) e la capacità del
cuoco (arredatore, architetti…), e non è detto che un piatto straordinario debba necessariamente essere costoso.
Nell’area Rifiniture d’interni troveranno spazio tutte quelle produzioni selezionate (dalle piastrelle ai pavimenti, dai
materiali – come i marmi – ai parquet, dalle scale alle porte,
agli infissi…) che, viste dalla parte del progetto e del progettista, rappresentano un complemento assolutamente
fondante del progetto d’arredo e che per questo motivo
sono prospettate insieme.Lo spazio Decorazione d’interni sarà destinato all’esposizione del prodotto/oggetto,
di qualità, ricercato e raffinato, organizzato attraverso le
sue determinazioni stilistiche. Questo spazio è destinato
a presentare una attenta selezione di prodotti straordinari
che dal classico ricercato spaziano fino al tappeto, al tessile
per la casa , al pezzo d’antiquariato o di design vendibili
dal punto vendita di arredamento magari sperimentando
partnership con specialisti.
In tutte e tre le aree, comunque, si troveranno le tracce delle tre “promesse” della mostra, che sono Market,
Emotion, Innovation, e cioè momenti dedicati ai prodotti
(Market), momenti dedicati al progetto/soluzione (Emotion) e momenti dedicati all’informazione/formazione
(Innovation), cioè alla capacità degli attori della filiera di
crescere nella propria potenzialità di business attraverso
un rafforzamento delle proprie competenze distintive. “In
ciascuna delle tre aree espositive – dice Stefano Bezzetto, coordinatore del progetto – realizzeremo un’agorà, uno spazio
destinato a workshop e incontri formativi per l’innovazione e
lo sviluppo del normal trade inerenti le politiche di comuni-
cazione, l’organizzazione, la
gestione, le vendite del negozio
di arredamento, con contenuti
concreti e pratici. In quest’area
troveranno spazio anche le imprese che producono servizi di
montaggio o comunicazione o
allestimento o ancora particolari lavorazioni ricercate dal
punto vendita di progetto e
dagli arredatori”. Quali sono
gli obiettivi di Abitare il Tempo? “Sono tre – dice Giovanni
Mantovani, direttore generale di Veronafiere -: il primo è
diventare una piattaforma di sviluppo di sistema, alimentando dinamiche di crescita imprenditoriale e di innovazione per
gli operatori del settore, orientata alla distribuzione, partendo
dalle esigenze dell’imprenditore del punto vendita di progetto e
del progettista”.
“Un altro obiettivo è quello di rifocalizzare la manifestazione
su arredamento e rifiniture d’interni, e diventare il momento
di vendita delle campionature per il rinnovo dei layout espositivi della distribuzione tradizionale. Il terzo e ultimo obiettivo
– dice ancora Mantovani – è quello di far diventare Abitare
il Tempo un momento di vendita per il grande cliente contract accompagnato dal professionista che ricerchi una soluzione particolare, in quello che sarà il più grande temporary store
del mondo”.
PER INFORMAZIONI
Camera di Commercio Italiana per la Svizzera
Seestrasse 123, CH - 8027 Zürich
Tel +41 44 289 23 23 Fax +41 44 201 53 57
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la
Rivista
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Il
Mondo in Camera
Educational tour al Vinitaly 2011 e Modena
Il Quartetto di Modena
Servizio di recupero Iva
italiana e svizzera
Abbigliamento e cucina made in Italy
Mangiare alla Moda
Contatti Commerciali
Servizi camerali
La CCIS diventa il tuo consulente legale
Il mondo in camera
Educational tour al Vinitaly 2011 e Modena
Il Quartetto di Modena
Aceto Balsamico Tradizionale, Lambrusco,
Prosciutto e Parmigiano Reggiano
Su invito di Promozione Modena Economica azienda speciale della CCIAA di Modena - la
CCIS ha organizzato una delegazione di 3 giornalisti svizzeri accompagnati in visita a Verona
in occasione dell’ultima edizione del Vinitaly e, a
seguire, in alcune aziende della provincia di Modena. Al Vinitaly il gruppo dei giornalisti è stato
ospite del Padiglione Emilia Romagna e ha avuto
la possibilità di prendere parte a delle degustazioni guidate nonché intervistare le varie aziende
espositrici. Lunedì 11 aprile il gruppo - che era
anche composto da giornalisti provenienti dalla
Francia, Germania, Austria e Spagna - si è trasferito a Modena.
Le aziende visitate sono state le seguenti: La Castelnovese produzione di Parmigiano Reggiano http://
coopcastelnovese.altervista.org/, Cantina Formigine
Pedemontana – casa vinicola e produzione Lambrusco www.lambruscodoc.it, Cà Montanari-Opera 02
– vino, aceto balsamico e agriturismo www.opera02.
it, Prosciuttificio Nini Gianfranco Srl – prosciutto crudo di Modena http://www.prosciuttificionini.it, Museo
del Balsamico Tradizionale a Spilimberto e la cantina
Chiarli 1860-Cleto Chiarli di Castelvetro MO – www.
charli.com dove il gruppo è stato ospite per il Pranzo.
Il gruppo svizzero di giornalisti era composto da Luigi Bosia di Ticino online, Claude-Yves Reymond della
rivista Wellness & Santé di Gland e Beat Kölliker, della
Kölliker Verlagsberatung GmbH di Worb, a cui dobbiamo questo resoconto.
“Appoggiati al muro, sono curioso di sapere se senti un
odore particolare”. Dal sole cocente mi sposto all’ombra
del tetto, dove sono investito da un effluvio di profumi.
Speziato, dolce, stimolante, ma anche acido e morbido:
una cascata di aromi si riversa su di me. “È il profumo
dell’Acetaia”. Anselmo Chiarli sorride contento, la sorpresa gli è riuscita.
Sopra, in solaio, le piccole botti di Aceto Balsamico Tradizionale riposano da oltre un centinaio di anni sotto
il tetto. Anselmo mi fa strada. Le chiavi della piccola
acetaia di famiglia le conserva lo zio e noi abbiamo il
privilegio poter varcare la soglia di questo sacrario.
In inverno qui fa un freddo pungente, mentre in estate
90
la
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n. 6 - Giugno 2011
Testo* e foto di Beat Kölliker
Il mosto d’uva matura per almeno 12 anni, in botticelle, di formato
e legni diversi, disposte in batterie dalla più grande alla più piccola,
prima di trasformarsi in aceto
un caldo rovente. Le vecchissime botticelle sono disposte in fila polverose e disordinate, ciò nonostante
aleggia un’atmosfera religiosa che, improvvisamente ci
induce a moderare la voce.
Il mosto d’uva matura per almeno 12 anni, in botticelle,
di formato e legni diversi, disposte in batterie dalla più
grande alla più piccola, prima di trasformarsi in aceto.
Sin dal 1983, la produzione di Aceto Balsamico Tradizionale di Modena è regolamentata da una legge rigorosa, e solamente coloro che rispettano i controlli e le
strette prescrizioni, hanno il diritto di imbottigliare il
loro prodotto nelle piccole bottiglie con l’etichetta che
ne certifica l’autenticità. Il risultato è una sorta di Solitario gastronomico.
Da nessuna parte del mondo c’è qualcosa in grado di
eguagliare questo nettare in termini di sapore, aroma,
gusto e versatilità.
Durante il pranzo ne abbiamo avuto la prova: come antipasto, poche gocce sul prosciutto cosparso di piccole
scaglie di parmigiano; a seguire, la scaloppina di vitello
al balsamico e, infine, fragole all’Aceto... Il candidato ha
superato brillantemente la prova.
Anselmo Chiarli non è comunque del tutto contento:
nella gastronomia internazionale, l’Aceto prende piede
molto lentamente. In ogni caso, l’attività principale e la
vera passione del nostro ospite sono i vini della zona,
in particolare il “Lambrusco”. Quest’ultimo è come la
bell’addormentata: una volta baciata non la si dimentica più.
Un tempo il maiale veniva macellato in inverno, e il prosciutto
veniva appeso al freddo a maturare, in primavera veniva salato e
in estate si lasciava asciugare all’aria. Allo stesso modo si procede
oggi, secondo lo steso ritmo, indipendentemente dalle stagioni, nelle
celle di raffreddamento e negli spazi adibiti all’essicazione.
Le forme di Parmigiano vengono immagazzinate, per almeno 12
mesi con punte di 24 o più mesi, in appositi enormi magazzini.
Non c’è un vino rosso fruttato, fresco e gustoso e al
contempo delicato e fragrante.
Il Lambrusco è il nome collettivo che racchiude tre diversi tipi di vini: l’elegante e raffinato Sorbara, il popolare Salamino e, infine, il più corposo, scuro e tannico
Grasparossa. Tutti nelle versioni di Secco e Amabile.
Ciò che lo rende unico è la vinificazione come spumante. Le bollicine presenti nel vino rendono il sapore della
frutta pressoché esplosivo.
Chi lo apprezza si lascia sedurre. Coloro a cui di
prim’acchito non piace, dovrebbero riprovarlo.
Una cosa è sicura: questo vino favorisce la digestione
dei piatti della cucina locale, tradizionalmente, piuttosto pesanti, come Tortellini, Cotechini e Zampone.
L’abbiamo sperimentato e ne siamo riconoscenti.
Nel Quartetto di Modena, Aceto e Lambrusco, rappresentano grosso modo strumenti di accompagnamento,
come la viola o il violoncello. Il ruolo di primi violini
spetta al Prosciutto e al Parmigiano Reggiano. Sono
loro che impongono lo spartito.
Per il Prosciutto mediamente vengono macellati 80.000
maiali l’anno; 160.000 Prosciutti vengono salati e posti
in maturazione per almeno 14 mesi con punte di 16.
Tutto è minuziosamente regolamentato: le razze, le
zone d’allevamento, il nutrimento, l’età della macellazione, e i processi di produzione. In ogni caso, tutto è
basato sul sapere che viene dalla tradizione.
Un tempo il maiale veniva macellato in inverno, e il
prosciutto veniva appeso al freddo a maturare, in primavera veniva salato e in estate si lasciava asciugare
all’aria. Allo stesso modo si procede oggi, secondo lo
steso ritmo, indipendentemente dalle stagioni, nelle
celle di raffreddamento e negli spazi adibiti all’essicazione.
Lo si taglia in fette più spesse, rispetto al San Daniele
o al Prosciutto di Parma, e lo si lascia sciogliere sulla
lingua, come fosse burro. Lasciamo aperta la discussione su chi fra Parmigiano e Prosciutto debba assumere
il rango di primo violino. Una cosa è certa: su nessuna
tavola d’Italia può mancare il Parmigiano.
Il non plus ultra per antonomasia è servire un risotto
in una mezza forma scavata di parmigiano, con l’aggiunta di un paio di fiocchi di burro. È così che il risotto
diventa quasi il contorno alla sapidità del parmigiano
ammorbidito dal calore.
Le forme di Parmigiano vengono immagazzinate, per
almeno 12 mesi con punte di 24 o più mesi, in appositi enormi magazzini. Se il formaggio viene stagionato per 12 mesi non si presta ad essere grattugiato, ma
ad essere gustato in piccoli pezzi; se la stagionatura si
prolunga per 24 mesi o oltre, si ottiene un formaggio
compatto, dal gusto forte e delicato pronto per essere
grattugiato.
Il Quartetto di Modena è un piccolo Ensemble, che
suona un intero universo musicale.
Ci sono volute centinaia di anni per conferirgli la conformazione attuale. L’arte e l’intera conoscenza sulle
ultime tecnologie, vi hanno contribuito tanto quanto
l’esperienza derivata dalla tradizione.
Per informazioni sul territorio
Promozione Modena Economica
Azienda Speciale della Camera di Commercio IAA
di Modena
Via Granaceto 113 I - 41121 Modena
Tel. 0039/059/20 8888 - Fax 0039/059/20 8520
e-mail: [email protected]
www.modenaemiliaromagna.it
*nostra traduzione dal tedesco
la
Rivista
n. 6 - Giugno 2011
91
Il mondo in camera
Abbigliamento e cucina made in Italy
Mangiare alla Moda
Si è svolto venerdì 29 aprile l’evento “Mangiare alla
Moda” organizzato dalla Camera di Commercio Italiana per la Svizzera in collaborazione con il negozio
di abbigliamento SMLXL Fashion Store di Zurigo e
Italia&Amore. L’iniziativa si proponeva quale opportunità unica per promuovere l’italianità, presentando e
abbinando due grandi eccellenze italiane: la moda e il
cibo.
Alessio Ballerini, imprenditore toscano, ha messo a disposizione per l’evento il suo negozio di abbigliamento alla Bäckerstrasse 51 di Zurigo, offrendo ai presenti
uno sconto sui capi esposti dei migliori stilisti italiani.
Al centro del negozio su una lunga tavolata al posto
delle magliette e camice vi erano prelibatezze della
cucina nostrana. L’offerta alimentare era composta da
prodotti di alta qualità realizzati da aziende di gestione
familiare con manifattura artigianale in tutte le regioni
d’Italia ed importati in Svizzera da Italia&Amore, che
ha collaborato con la CCIS alla realizzazione dell’evento. Norbert Kier, direttore di Italia&Amore ci ha parlato dei suoi prodotti: “Sono un ardente sostenitore del cibo
autentico, di quei piatti preparati dalle nonne con il raccolto
dell’orto. Oggi, purtroppo, ci si trova sempre più spesso a
mangiare prodotti industriali che hanno poco a che fare con
quella tradizione genuina e quindi ho deciso di riportare
92
la
Rivista
n. 6 - Giugno 2011
di Bruno Indelicato
quei sapori veri sulle tavole dei buongustai.” Alla manifestazione erano presenti molto soci della Camera di
Commercio Italiana per la Svizzera e sostenitori della
buona cucina e della moda italiana.
La CCIS diventa
il tuo consulente legale
La Camera di Commercio Italiana per la Svizzera informa che sin da subito ha la possibilità di offrire tra
le sue molteplici attività, anche un servizio completo di
consulenza legale.
Grazie, infatti, ad una stretta collaborazione con un
pool di legali professionisti è riuscita ad ideare, per tutti
coloro che si trovano ad affrontare situazioni giudiziali
o ad essere coinvolti direttamente in contesti ai quali
bisogna far fronte legalmente, un servizio che possa garantire un’assistenza diretta.
Per meglio definire le opportunità offerte da questo
nuovo servizio, elenchiamo gli ambiti in cui lo stesso
può trovare efficace applicazione:
1. Dispute resolution stragiudiaziale: mediazione,
conciliazione, arbitrato internazionale (Italia-Svizzera) e recupero crediti;
2. Diritto del lavoro: accordi bilaterali, con particolare
attenzione al tema della gestione dei permessi di lavoro italiani per lavoratori svizzeri e viceversa: il tema
riguarda da vicino le aziende che devono gestire delle
operazioni di investimento nei due paesi;
3. Diritto penale legato agli “White collar crimes”:
reati societari, reati penali quali riciclaggio, abusi edilizi, insider trading, reati bancari e finanziari, infortunistica sul lavoro;
4. Diritto commerciale internazionale: contratti legati alle transazioni import-export tra Italia e Svizzera;
5. Diritto societario: controversie derivanti da creazione d’impresa, acquisizioni, cessazione, joint-ventures, fusion e partecipazioni azionarie;
6. Diritto fiscale;
7. Diritto immobiliare: compravendita di immobili,
successioni, fondi immobiliari;
8. Diritto delle assicurazioni, della circolazione e
dei trasporti;
Per richiedere maggiori informazioni, presentare una
formale richiesta riguardante una qualsiasi tematica appena citata, quindi ottenere un’offerta per avere più da
vicino un’assistenza completa, basta mettersi in contatto con la Camera di Commercio Italiana per la Svizzera al numero di telefono +41 44 289 23 23, o all’e-mail
[email protected]. Il team della CCIS sarà a disposizione per
un supporto immediato o fornire i dati completi dei relativi professionisti, garantendo in tal modo:
✧ un servizio di informazione e prima consulenza;
✧ un attento esame con il supporto dei suoi consulenti
di qualsiasi problematica
✧ l’individuazione di rapide ed efficaci vie risolutive
La CCIS è, come sempre, a disposizione.
Camera di Commercio Italiana per la Svizzera
Consulenza Legale
Seestrasse 123 • Ch-8027 Zurigo
Tel. +41 44 289 23 23 • Fax +41 44 201 53 57
[email protected] • www.ccis.ch
SERVIZIO DI RECUPERO IVA ITALIANA E SVIZZERA
La Camera di Commercio Italiana per la Svizzera ha
attivato da oramai oltre 15 anni il servizio di recupero
IVA italiana per imprese elvetiche e reciprocamente il
servizio di recupero IVA svizzera per imprese italiane.
Oltre 50 aziende si rivolgono ogni anno alla Camera di Commercio Italiana per la Svizzera per ricevere
assistenza nel recupero dell’IVA versata per le spese
sostenute all’estero soprattutto per quanto riguarda i
costi relativi alle fiere, ai servizi alberghieri (affitto sale
per organizzazione meeting aziendali, pernottamenti), agli affitti di automezzi, ai corsi di formazione, ai
trasporti e per il rifornimento di carburante e pedaggi autostradali, consulenza aziendale e di marketing
oppure per inserzioni pubblicitarie in riviste o quoti-
diani. La CCIS si offre perciò alle varie aziende come
partner competente per un’assistenza nella presentazione della pratica di recupero iva presso gli enti
pubblici preposti sia svizzeri che italiani. Inoltre per
ciò che riguarda il recupero IVA italiana, le modalità
e i tempi di rimborso da parte dell’amministrazione
italiana sono spesso lunghi e farraginosi (massimo di
legge 8 mesi, ma nella realtà dei fatti si protrae fino ad
1 anno mediamente) per cui è di notevole importanza
l’assistenza fornita dal nostro consulente in Italia che
opera direttamente nel centro nevralgico dove le varie
domande di rimborso vengono valutate ed evase, cosa
che permette di avere in ogni momento un controllo
sullo stato d’avanzamento della pratica in essere.
la
Rivista
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93
Contatti commerciali
DAL MERCATO ITALIANO
Offerte di merci e servizi
Pesce surgelato
Skalo Spa
Via dell’Industria, 8
I - 60028 Ancona
Tel. 0039 071 781027
Fax 0039 071 781615
E-mail: [email protected]
www.skalo.it
Arredosanitari
Eurosanitari srl
Loc. Mandro, 17
I - 25060 Lodrino BS
Tel. 0039 030 8950117
Fax 0039 030 8950118
E-mail: [email protected]
www.eurosanitari.com
Valvole in ottone ed acciaio
Enolgas Bonomi spa
Via Europa 227
I – 25062 Concesio BS
Tel. 0039 030 2184311
E-mail: [email protected]
www.enolgas.it
Raccorderia idraulica
Frabo spa
Via Benedetto Croce 21/23
I – 250275 Quinziano d’Oglio BS
Tel: 0039 030 9925711
Fax 0039 030 9924127
E-mail: [email protected]
www.frabo.net
Automazione industriale
Proteo Engineering srl
Via S. Vito 693
I – 41057 Spilamberto MO
Tel. 0039 059 789611
Fax 0039 059 789666
E-mail: [email protected]
www.proteoeng.com
Tappeti
Indikon
via Roma 25
I – 25060 Collebeato BS
94
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Tel. 0039 030 25 11 965
Fax 0039 030 25 19 938
E-mail: [email protected]
www.indikon.it
Macchine per
la trasformazione della plastica
01 Machinery srl
Via Bettisi 12
I - 48018 Faenza (RA)
Tel. 0039 0546 662625
Fax: 0039 0546 662625
E-mail:[email protected]
www.01machinery.com
Pavimentazioni in cotto
Kamares snc
Via Meucci 6
I – 41028 Serramazzoni MO
Tel. 0039 0536 955205
Fax. 0039 0536 950055
E-mail: [email protected]
www.kamares.net
Stampi per pressofusione materie plastiche
SPM s.p.a.
Via Bargnani, 7
I - 25132 S.Eufemia BS
Tel: 0039 030 3363211
Fax: 0039 030 3363226
E-mail: [email protected]
www.spm-mould.com
Lamiere forate
SCHIAVETTI Lamerie forate srl
Viale della Vittoria 4
I – 15060 Stazzano AL
Tel. 0039 0143 607911
Fax 0039 0143 61297
E-mail: massimo.pescarolo@
schiavetti.it
www.schiavetti.it
Complementi
di arredo urbano
SMEC
Via Vivaldi 30
I – 41019 Soliera MO
Tel. 0039 059 566612
Fax 0039 059 566999
E-mail: [email protected]
www.smec-onweb.it
Arti grafiche
Leva Spa
Piazza Amendola 12
I – 20149 Milano
Tel. 0039 02 24127.1
Fax 0039 02 24127130
E-mail: [email protected]
www.leva.it
Specialità alimentari
altoatesine
Knodus srl
Via San Giovanni 8
I – 39030 Valle Aurina BZ
Tel. 0039 0474 402096
Fax 0039 0474 401984
E-mail: [email protected]
www.knodus.it
Vini altoatesini
Josef Brigl spa
Via Madonna del Riposo 3
39057 San Michele/Appiano BZ
Tel. 0039 0471 662419
Fax 0039 0471 660644
[email protected]
www.brigl.com
Richieste di ricerca
agenti-rappresentanti
• La ditta Montanari Engineering Constructions S.r.l. è presente sul mercato dai primi anni
’50 e in particolare da più di 30
anni progetta e realizza Sistemi
Manuali ed Automatici per Lavanderie Industriali. La ditta è
alla ricerca in Svizzera di aziende interessate alla distribuzione
dei propri prodotti all’ingrosso
con cui avviare una collaborazione di lungo termine.
• L’ Azienda Agricola Borghesi Erika è una affermata realtà
della provincia di Pistoia dedita
alla produzione di un olio extravergine di oliva di altissima
qualità Il Macchia Palmane.
Negli oliveti posti in legge-
ra collina il Lazzero oggi è unito
a Moraiolo, Leccino, Frantoio e
Maurino. Le olive sono raccolte a
mano all‘ invaiatura e subito frante, separatamente, con sistema
a ciclo continuo. L‘ Extravergine
Macchia Palmane (IGP Toscano)
si offre alla vista di un colore giallo con bei riflessi verdi, al naso fa
correre la mente all‘ oliva ed all‘
erba, in bocca è ampio, persistente e con un buon equilibrio tra l‘
amaro ed il piccante caratteristici.
La ditta è alla ricerca in Svizzera
di importatori e grossisti specializzati nella distribuzione di olio
extravergine d’oliva con cui avviare una collaborazione di lungo
termine.
• La ditta International Innovation Pala GmbH (www.innovazionipala.it) è una impresa
di diritto svizzero che possiede
proprietà industriali e brevetti
internazionali per lo sfruttamento e la realizzazione di impianti di energia rinnovabile e
per lo sviluppo sostenibile è alla
ricerca di soci collaboratori e finanziatori per acquisto e sfruttamento del diritto di priorità
dei brevetti in proprio possesso.
Per le richieste di cui sopra rivolgersi a:
Camera di Commercio Italiana
per la Svizzera, Seestr. 123
casella postale, 8027 Zurigo
Tel. 044/289 23 23, Fax 044/201 53 57
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DAL MERCATO SVIZZERO
Ricerca di merci e servizi
Vasi per confetture
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CH – 9547 Wittenwil
Tel. 0041 79 567 16 26
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Eichstrasse 3
CH – 5417 Untersiggenthal
Tel: +41 56 288 20 66
Fax +41 56 288 26 41
E-mail: [email protected]
www.galmag.ch
Per ulteriori informazioni rivolgersi alla:
Camera di Commercio Italiana
per la Svizzera, Seestr. 123
casella postale, 8027 Zurigo
Tel. 044/289 23 23, Fax 044/201 53 57
e-mail: [email protected], www.ccis.ch
Offerte di merci e servizi
Trasporti internazionali
Huber Transport AG
Riedstrasse – PF
CH – 6343 Rotkreuz
Tel.: ++41 417901188
Fax: ++41 417901061
[email protected]
www.hubertransport.ch
Trasporti internazionali
Planzer Transport AG
Lerzenstrasse 14
CH - 8953 Dietikon
Tel: +41 447446222
E-mail: [email protected]
www.planzer.ch
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la
Rivista
n. 6 - Giugno 2011
95
ATTIVITÀ E SERVIZI
Con i suoi circa 800 Soci la Camera di Commercio Italiana per
la Svizzera, fondata nel 1909, è un‘associazione indipendente
ai sensi del Codice Civile Svizzero. Il suo compito precipuo
consiste nella assistenza alle imprese dedite all‘interscambio
tra Italia, Svizzera ed il Principato del Liechtenstein. La gamma dei suoi servizi, certificati ISO 9001, è molto variegata e
comprende tra l‘altro:
- Ricerche su banche dati di produttori, importatori, grossisti,
commercianti, agenti/rappresentanti dei seguenti Paesi: Italia e Svizzera
- Informazioni riservate su aziende italiane: visure, bilanci,
assetti societari, protesti, bilanci, rapporti commerciali, ecc.
(disponibili on-line in giornata)
- Segnalazioni di potenziali fornitori ed acquirenti
- Ricerca e mediazione di partners commerciali italiani e svizzeri
- Organizzazione di incontri e workshop tra operatori, con
l‘ausilio di servizi di interpretariato e segretariato
- Recupero di crediti commerciali, con particolare riguardo
alla ricerca di soluzioni amichevoli e extragiudiziali
PUBBLICAZIONI
-
La Rivista periodico ufficiale mensile (11 edizioni all‘anno)
Calendario delle Fiere italiane
Annuario Soci
Indicatori utili Italia-Svizzera
Agevolazioni speciali per i Soci
Seestrasse 123, Casella postale, 8027 Zurigo
Tel. ++41 44 289 23 23, Fax ++41 44 201 53 57
http://www.ccis.ch, e-mail: [email protected]
IVA-Nr. 326 773
- Recupero dell‘IVA svizzera in favore di operatori italiani,
nonché dell‘IVA italiana per imprese elvetiche
- Consulenza ed assistenza legale in materia di diritto commerciale, societario e fiscale
- Assistenza e consulenza in materia doganale
- Informazioni statistiche ed import/esport
- Informazioni finanziarie e riservate sulla solvibilità di imprese italiane e svizzere
- Ricerca di prodotti, marchi di fabbricazione e reperimento
di brevetti
- Azioni promozionali e di direct marketing
- Arbitrato internazionale
- Informazioni relative all‘interscambio, normative riguardanti gli insediamenti in Svizzera ed in Italia
- Seminari e manifestazioni su temi specifici di attualità
- Traduzioni
- Viaggi di Studio
- Certificato di Italiano Commerciale rilasciato in collaborazione con la Società Dante Alighieri di Roma
- Swiss Desk Porti italiani
- La CCIS fornisce informazioni su Fiere e Mostre italiane.
Rappresentanza ufficiale di Fiera Milano e di VeronaFiere
- Recupero crediti in Svizzera
- Regolamento di Arbitrato e di Conciliazione
della Camera Arbitrale della CCIS
- Compra-vendita di beni immobili in Italia
- Costituzione di società affiliate di imprese estere in Italia
- Il nuovo diritto societario italiano
- Servizi camerali
Rue du Cendrier 12-14, Casella postale, 1211 Ginevra 1
Tel. ++41 22 906 85 95, Fax ++41 22 906 85 99
e-mail: [email protected]
IVA-Nr. 326 773
RECUPERO IVA ITALIANA
RECUPERO IVA SVIZZERA
Il servizio, offerto a condizioni
molto vantaggiose, è rivolto sia
alle imprese svizzere che recuperano l’IVA pagata in Italia che
alle imprese italiane che recuperano l’IVA pagata in Svizzera.
Grazie agli accordi di reciprocità tra Italia e Svizzera la
legislazione svizzera consente agli imprenditori italiani
il rimborso dell’IVA svizzera.
Grazie agli accordi di reciprocità tra l’Italia e la Svizzera, la
legislazione italiana consente agli imprenditori svizzeri di
ottenere il rimborso dell’IVA italiana. La CCIS:
• fornisce la necessaria documentazione;
• esamina la documentazione compilata;
recapita l’istanza di rimborso in Italia all’Autorità fiscale
competente;
• avvia e controlla l’iter della Vostra pratica tramite il suo ufficio di Pescara;
• fornisce assistenza legale
La CCIS:
• fornisce un servizio di informazione e prima consulenza;
• diventa il Vostro rappresentate fiscale;
• esamina la completezza della Vostra documentazione;
• invia la documentazione alle autorità svizzere e segue l’iter
della vostra pratica.
Informazioni più dettagliate contattare
la Camera di Commercio Italiana per la Svizzera
+41 (0)44 289 23 23
RICERCA DI PARTNER COMMERCIALI
Grazie alla propria rete di contatti e alla conoscenza delle esigenze e dei bisogni del mercato elvetico e di quello italiano, la Camera di Commercio offre ad imprese sia svizzere
che italiane intenzionate ad esportare i propri servizi e prodotti all’estero un’accurata
ricerca di controparti commerciali. Attraverso un’analisi sistematica del mercato obiettivo ed identificati i partner commerciali ritenuti più idonei per le imprese a diventare
affidabili interlocutori nel settore di riferimento, viene organizzato un incontro presso le
aziende target così selezionate permettendo alle imprese italiane o svizzere un rapido ed
efficace ingresso sui rispettivi mercati di riferimento.
Per ulteriori informazioni ed un preventivo sul servizio, potete contattarci al seguente indirizzo mail [email protected]
Tomorrow
needs
commitment
Proteggere, far fruttare e trasmettere il suo patrimonio.
Oggi come ieri, il nostro impegno è guidato dalla trasparenza e da una visione
a lungo termine. È con questi valori dettati dal buon senso che intratteniamo
con lei una relazione duratura, basata sulla fiducia.
Affrontiamo il futuro con serenità.
www.ca-suisse.com
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