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Stendhal
“IL ROSSO E IL NERO”: DALLA STRONCATURA ALL’ELOGIO
Una istruttiva rassegna delle reazioni della critica al capolavoro dello scrittore
francese pubblicato nel 1830. Dalle recensioni iniziali generalmente negative o
di pura condanna dell’autore, si passa via via nel corso di oltre un secolo a
riconoscere la potenza e la bellezza letteraria del libro. Per Sainte-Beuve,
Julien era soltanto “un piccolo mostro odioso… uno scellerato somigliante a
un Robespierre”. Mentre Zola spiega che non si può capire l’opera
stendhaliana senza considerare il ruolo svolto dal mito napoleonico.
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di Stefano Lanuzza *
Romanzo precorrente la moderna narrativa psicologica e d’introspezione, Il Rosso e il
Nero (1830) di Stendhal (pseud. di Henri Beyle, 1783-1842) non ottiene, al suo apparire, il
successo popolare inseguito dall’autore. Tuttavia, non passa inosservato.
Se il pubblico francese dell’epoca, assuefatto alla lettura dei Dumas, George Sand, Eugene
Sue e Paul de Kock – narratori prolissi e talora grossolani: ben distanti dalle sottigliezze
stendhaliane –, mostra d’ignorarlo, diversa è la reazione della società letteraria. Il romanzo
(la cui lettura viene proibita da un decreto del 20 giugno 1864 della Congregazione
dell’Indice) incuriosisce, coinvolge, tocca temi significativi: così le stroncature si mescolano
agli elogi, dando luogo a un variegato dibattito (di cui si registrano, qui, alcuni interventi
pubblicati in Francia dall’anno di stampa del romanzo e che, in parte, non sono tradotti in
italiano. Relativamente agli scritti sul Rosso e il Nero più noti o tradotti nel nostro paese, si
rimanda alle varie bibliografie).
Esordisce con una stroncatura del romanzo La Revue de Paris (1), che giudica il “punto di
vista” dello scrittore “assai discutibile”; e, dopo avere identificato Stendhal col personaggio
Julien, ritenuto esecrabile, conclude affermando che “la critica è come la medicina: tutti i
giorni condanna i malati” (2). Dal canto suo, Le Globe (3) trova il titolo del libro
“incomprensibile”; mentre Le Mercure du XIXe siècle (4) lo scambia per “un romanzo
satirico […,] di un interesse abilmente dosato fino alla catastrofe”. Un articolo della Gazette
littéraire (5) condanna invece lo stile ineguale, le contraddizioni dei personaggi, delle
descrizioni e della stessa trama. Ma apprezza il resoconto perfettamente naturale dell’amore
fra Julien e Louise Rênal, esito dell’indubbio talento dello scrittore. Poi l’articolo riepiloga
in modo enigmatico: “Pochi uomini sarebbero capaci di scrivere un simile libro; ma, quando
M. de Stendhal lo vorrà, ne scriverà uno molto migliore”.
Dopo avere genericamente osservato che “le opere di transizione sono mortali per le
nuove opere”, Le Figaro (6) stima il romanzo “il più rimarchevole apparso dopo la
rivoluzione di luglio”. E Jules Janin, in uno scritto su Le Journal des débats politiques et
littéraires (7), dopo avere confessato d’ignorare chi, fra gesuiti, borghesi, liberali e
congregazionisti descritti dal romanzo appartenga alla coloritura rossa o nera, dichiara Il
Rosso e il Nero degno, dopotutto, “d’essere letto”; e Stendhal un ineffabile “facitore di
paradossi”.
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Seguono giudizi negativi su Le Temps (8) (il libro stendhaliano sarebbe nero, cioè
“lugubre”, e sarebbe rosso come il sangue che vi è sparso. Quanto a Stendhal, questi
apparirebbe un “dissacratore per eccellenza”: il suo mondo sarebbe desolato, l’amore
narrato nascerebbe dall’odio e i personaggi non sarebbero che “maschere”); su L’Artiste (9)
(che, al contrario di quanto sappiamo, prefigura per il romanzo un successo immediato
piuttosto che “duraturo”); infine su La Gazette de France (10), arrivata a consigliare
“monsieur de Stendhal” di “cambiare ancora una volta nome, e per sempre maniera e stile”.
Al di là delle reazioni suscitate dal libro d’un autore ancora poco noto, è dopo la morte di
Stendhal che s’assiste a una lettura più attenta e meditata del Rosso e il Nero. Un risalto
notevole per la comprensione dei temi del libro assume un lungo saggio di Auguste Bussière
(11). Dopo avere spiegato che l’intenzione principale del romanzo è di mostrare la
superiorità della “passione” sulla “vanità” e la retorica del “dovere”, Bussière individua
nella rappresentazione dei caratteri i nessi di continuità e sviluppo fra Armance (1827), il
primo romanzo pubblicato da Stendhal, e Il Rosso e il Nero. Avanzata una riserva
sull’attendibilità del carattere del personaggio Julien – troppo “falso, contraddittorio,
impossibile, incomprensibile in certe parti della narrazione” –, riserva che risente
dell’orientamento illuminista-naturalistico di Bussière, il critico riconosce “il fascino e la
novità dei dettagli” narrativi, “la bellezza autentica dei due caratteri femminili, bellezza
commovente l’una, energica e fiera l’altra”. Ne consegue che in questo libro le donne
rivestano “un ruolo più bello degli uomini, anche quando gli uomini hanno un bel ruolo, ciò
che torna a gloria di quelle” che l’autore “ha amato”.
Del 1945 è la Notice sur la vie et les oeuvres de Henri Beyle (de Stendhal) (12) del cugino
di Stendhal, Romain Colomb, che coglie nel Rosso e il Nero un “quadro” dell’alta società
francese con la sua vita opulenta e vana; in contrasto coi bisogni di “lavorare per vivere”
che assediano chi, come Julien, è povero e, per il proprio orgoglio, va incontro alla rovina:
“Triste conseguenza” – chiosa Colomb – “degli eccessi della nostra civiltà”.
Il 1° novembre 1846, La Revue nouvelle pubblica un articolo dal titolo “Du caractère et
des écrits d’Henri Beyle” (13) di Hippolyte Babou, che fa derivare il personaggio di Julien
da “un’ispirazione diabolica”: né più né meno. A Babou, Julien appare come una
“tipizzazione infernale” nella quale Stendhal proietterebbe il proprio infelice “dèmone”.
Tanto che se qualcuno chiedesse all’autore chi è Julien, potrebbe sentirsi rispondere: “Sì,
Julien sono io”; anche se, certamente, “Julien ha più di Beyle un’inesauribile forza di
volontà”. “Questo romanzo” rincara Babou “è terribile; lo si legge con un’angoscia
profonda fino alla conclusione, non osando rileggerlo per paura d’attingervi ancora
l’immenso disgusto della vita e della morte, sentimenti mille volte più strazianti di ciò che
porta al suicidio. Fortunatamente pochi lettori sono in grado di distinguere il senso
spaventoso dell’opera” (!). Dove lo scherno verso il personaggio stendhaliano si coniuga
con un paternalistico disprezzo per il lettore. Senonché Babou si dimostra un critico
contraddittorio almeno quanti certi protagonisti del testo da lui criticato. Lo rivela quando
attribuisce a Il Rosso e il Nero, che infine dichiara meritevole di “ammirazione”, il pregio
d’“una semplicità inimitabile”.
Stroncatura netta è quella apparsa su Le Moniteur nel 1854 a opera di Sainte-Beuve,
l’autore del romanzo intimista Voluttà (1834). Intanto Sainte-Beuve prende le distanze dal
libro, dichiarando di non capire perché Il Rosso e il Nero abbia tale titolo. Rimprovera poi a
Stendhal di essere uno spirito aristocratico che finge di prendere le parti dei proletari
rivoluzionari, di non possedere un vero talento di romanziere e di tratteggiare caratteri che
non sono “di esseri viventi, ma di automi ingegnosamente costruiti”. Julien? Ha solo “le due
o tre idee fisse che gli ha attribuito l’autore” e non è che “un piccolo mostro odioso,
impossibile, uno scellerato somigliante a un Robespierre gettato nella vita civile e
nell’intrigo domestico”. Quanto a Stendhal, costui sarebbe afflitto dalla magagna di “avere
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troppo visto l’Italia, avere capito troppo il quindicesimo secolo romano o fiorentino, avere
letto troppo Machiavelli”… Va ricordato che, pur conoscendosi e scambiandosi delle lettere,
Sainte-Beuve e Stendhal non si stimano.
Un ulteriore tassello nel prospetto della demolizione moralistica del Rosso e il Nero è
l’articolo di Elme Caro (14). Dopo avere frainteso il senso del titolo, Caro si palesa
“profondamente rattristato” dalla lettura del libro. Questo, è vero, rivela “una certa
giovinezza di sensazioni, perfino di sentimenti, una certa freschezza del paesaggio, qualche
verità d’osservazione”. Ma ciò non dura: presto “tutto diviene falso, impossibile, estremo.
L’inverosimile e l’odioso irritano a poco a poco e respingono lo spirito del lettore. L’ultima
parte del libro è decisamente insopportabile per esagerazione e bizzarria”. Non manca la
stoccata per la figura di Julien, “scellerato da salotto, spirituale ateo, irresistibile per le
donne del gran mondo, bello e fiero”: “Quale ideale per questo povero Stendhal, che non fu
mai se non un ateo bruttissimo, un millantatore di vizi, e un mediocre Don Giovanni”! E,
invece d’attenersi a quanto più conta nel lavoro critico – che è sempre l’opera di cui si tratta
–, Caro insiste nell’esorcismo del diabolico autore: “Sappiamo che egli ha sognato per tutta
la vita di spaventare le persone oneste con la bassezza dei suoi vizi e la sua raffinata
immoralità. Niente lo incantava quanto l’assumere atteggiamenti satanici e recare in fronte
la sinistra maestà dell’abisso”.
D’altro tenore è l’ermeneutica di Hippolyte Taine su La Nouvelle Revue de Paris (15). “Io
cerco” esordisce “una parola per esprimere il genere di spirito di Beyle; e questa parola, mi
sembra, è spirito superiore […]. Nell’infinito mondo, l’artista sceglie il proprio mondo.
Quello di Beyle non include che i sentimenti, i tratti del carattere, le vicende passionali, cioè
la vita dell’anima […]. I suoi personaggi sono del tutto reali, molto originali, del tutto
lontani dalla folla, al pari dell’autore stesso. Sono uomini notevoli, e non grandi uomini,
personaggi da ricordare, non modelli da imitare”.
Sobrio e puntuale è l’intervento di Émile Zola, caposcuola del naturalismo, nella raccolta
di saggi I romanzieri naturalisti (1881); includente, con Stendhal, anche Balzac e Flaubert.
Zola spiega l’importante ruolo svolto dal mito napoleonico nell’opera stendhaliana: non si
può capire Il Rosso e il Nero se non riferendosi “all’epoca in cui il romanzo è stato
concepito e se non si tiene conto dello stato psicologico in cui la prodigiosa ambizione
soddisfatta dell’imperatore aveva lasciato la generazione di Stendhal. Questo scettico,
questo freddo ironista, questo moralista senza pregiudizi, questo scrittore che si guarda da
ogni entusiasmo, freme e s’inchina solo al nome di Napoleone […]. Da tale punto di vista,
occorre guardare il suo Julien Sorel come la personificazione dei sogni ambiziosi e dei
rimpianti di tutta un’epoca […]. Restaurazione, governo di preti e cortigiani; le sacrestie e i
salotti sostituivano i campi di battaglia, l’ipocrisia stava per diventare l’arma onnipotente
dei risaliti. Questa è la chiave del carattere di Julien, all’inizio del libro”. Zola evidenzia,
ancora, un aspetto di Stendhal, vale a dire il “bonheur”, la ‘felicità’ di scrivere: una frase
dietro l’altra, senza troppo curarsi dello stile. Perché “questo logico delle idee è un arruffone
dello stile e della composizione letteraria”. Ma a Stendhal importa – questa “la caratteristica
vera e nuova del romanzo” – nient’altro che “lo studio dell’uomo quale esso è, spogliato dei
drappeggi della retorica e visto al di fuori delle convenzioni letterarie e sociali. Stendhal ha
osato per primo questa verità”.
Le capacità di analisi psicologica di Stendhal vengono rimarcate da Paul Bourget su La
Nouvelle Revue de Paris (16): “La sua potenza d’analisi, la sua fremente sensibilità, la
molteplicità delle sue esperienze, portano a concepire ed esprimere alcune verità profonde
sulla Francia del XIX secolo”. Bourget considera Il Rosso e il Nero un “libro straordinario”,
il cui dato saliente è il tema della “solitudine” dell’individuo: per meglio dire del soggetto
dal talento superiore ma povero; che, in una società ostile, non trova mai il proprio posto.
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Magari, “se ha i nervi delicati” potrà sognare il “lusso”; se li ha “robusti” vorrà il potere.
Oppure potrà aspirare al “lavoro letterario e artistico”.
Ma quale può essere il destino di Julien che non è letterato né artista e nemmeno troppo
amante del lusso e del potere? Un destino drammatico, fatto di cocenti delusioni e sventure;
sino alla tragedia finale. Questo figlio del proprio secolo, sopraffatto dalla storia, resta un
“malinconico in rivolta” contro la società, afflitto dalla nostalgia di una vita migliore che sa
di non potere raggiungere…
Anche Émile Faguet, nel volume Politiques et moralistes du XIXe siècle (17), afferma il
valore del Rosso e il Nero dove i particolari di talune scene superano, “nella loro sobrietà,
nel loro disegno netto e secco, nella loro energica e un po’ tesa precisione”, la concezione
generale di romanzo: essi sono “delle meraviglie di analisi psicologica e come di dissezione
morale”, col protagonista divenuto tramite della “verità universale” che l’autore ha voluto
mostrare.
Sui rapporti tra Stendhal e il proprio libro, una specifica importanza hanno le osservazioni
di Léon Blum, autore del singolare Stendhal e il beylismo (18): che definisce il romanzo “un
giornale della giovinezza raccordato cronologicamente”, ovvero il referto del disagio di un
giovane alle prese con la società francese durante la Restaurazione. “Sapere in quale misura
Stendhal ha voluto ritrarsi in questo personaggio è la più vecchia tra le controversie
stendhaliane”. Giacché lo stesso autore dichiara “ai suoi amici parigini che Julien Sorel altri
non era che Henri Beyle”: anche se, dato il suo noto gusto per la mistificazione, non viene
creduto. Ma – azzarda Blum – gli amici non riconoscono Beyle per la semplice ragione
che… “non lo conoscevano”. Il cerchio si chiude sull’identificazione Julien-Stendhal: ma
quanto diversa, questa, da quella azzardata, invero molto superficialmente, da Babou nel
1846 e da Caro nel 1855.
Un illuminante esame di Julien è quello di Henri Martineau: “Si può forse dire che Julien
Sorel sia un giovane abile? No, certo […]. Egli si esercita all’ipocrisia”, ma non è “un
ipocrita. È un impulsivo, un impulsivo molto intelligente che ha capito il danno della
sincerità nella vita sociale” (19).
Circa le valenze politiche del Rosso e il Nero, Louis Aragon pone l’accento sul
“giacobinismo di Stendhal” e sull’attualità sempiterna del romanzo; che non a caso - si può
aggiungere - rimane un classico. Da cui non potranno staccarsi “né i lettori, né gli scrittori
futuri”: perché, “se per illuminare la storia s’inventa un’altra sorgente di luce, la luce resta
sempre luce” (20).
Relativamente alla “fantasia cromatica” di Stendhal, Michel Butor (21) connota la
funzione del titolo del romanzo e una prevalenza, nello stesso, del nero sul rosso. Anche
Julien, che si tenderebbe a interpretare in chiave ‘rossa’, è contaminato dal ‘nero’: che
s’emblematizza nei neri occhi del giovane.
Tra gli scritti relativamente recenti sul romanzo stendhaliano, sono da ricordare En lisant
en écrivant di Julien Gracq, che vede nel Rosso e il Nero non “un mondo trasfigurato, ma
semplicemente repassioné” (22); e Snob (23) di Jasper Griffin, che chiama Julien “uno dei
grandi snob sessuali della letteratura”: qualcuno che “prova non solo la gioia pura e
semplice dell’inferiore amato da una nobildonna, ma anche quella di averla costretta a
mostrare le proprie emozioni senza tradire minimamente le sue”. Questo è un parere che
sfiora la poco indagata connessione fra sesso e snobismo (connessione intesa come
dialettica fra desiderio, orgoglio, vanità, ‘moda’ e, buon ultimo, l’amore), da Stendhal
precorsa nel trattato Dell’Amore (1822).
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5
1. Novembre 1830, pagg. 258-260.
2. La traduzione dei testi originali in lingua francese, citati in questo capitolo, sono opera
dell’autore del presente scritto.
3. 28 novembre 1830.
4. Dicembre 1830, pagg. 458-465.
5. 2 dicembre 1830.
6. 20 dicembre 1830.
7. 26 dicembre 1830.
8. 26 gennaio 1831.
9. Febbraio 1831, pag. 13.
10. 16 febbraio 1831.
11. “La Revue des Deux Mondes”, 15 gennaio 1843, pagg. 250-299.
12. Poi in Stendhal, Mélanges, Genève, Cercle du Bibliophile, 1971, 5 voll., pagg. 117-123.
13. Poi in Les sensations d’un juré, Paris, Lemerre, 1875, pagg. 117-123.
14. «La Revue contemporaine », 1855, XX, pagg. 209-241.
15. 1° marzo 1864.
16. 15 agosto 1882. Poi in Essais de psychologie contemporaine, Paris, Plon, 1901, tomo I, pagg. 319-330.
17. Paris, Boivin & Cie, 1903.
18. Paris, Ollendorf, 1914.
19. Le Coeur de Stendhal. Histoire de sa vie et de ses sentiments, Paris, Albin Michel, 1953.
20. La Lumière de Stendhal, Paris, Denoel, 1954, pagg. 53-54 e pagg. 98-99.
21. Repertoire, V, Paris, Editions de Minuit, 1982, pagg. 171-199.
22. Librairie José Corti, Paris, 1980, pagg. 23-46.
23. (1982). Trad. it. di F. Pellizzi e G. Arborio Mella, Milano, Adelphi, 1983, pag. 144.
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* (Questo testo è compreso nel volume inedito Una perenne giovinezza. “Il Rosso e il
Nero” di Stendhal)