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Ottobre 2015
numero 2
S IG A S C O T
HighLights
Collezione Eventi
Faccia a Faccia
Learning from gazza
Imagi..g
…da non perdere
Il legamento anterolaterale del
Spunti di traumatologia dello
I radiologi ci aiutano a leggere
Pearls of Rehab
Approfondimenti in tema di
ginocchio
PFJ Corner
sport dal “quotidiano rosa”
Meeting…Art&Decò
meglio le immagini
Tempo Libero by
Riabilitazione
Spunti riguardo alle patologie
Non solo cultura medica…
Craccon
Biomech…lights
della femoro-rotulea
Spunti con….spuntini
Un po' di biomeccanica….
REPORT DALLA XXXI OLIMPIADE DI RIO DE JANEIRO
Un socio SIGASCOT a Rio de Janerio per un pieno di emozioni e tanto lavoro
“Olympic games…olympic games…winners and losers, fortune and fame”. Cosi recitava il ritornello di una
canzone anni ottanta sul tema delle Olimpiadi. Ogni 4 anni si ripete la manifestazione sportiva per
eccellenza ed ogni volta è una storia a se stante. Ho avuto l’onore di partecipare in qualità di medico alle
ultime 3 Olimpiadi ed ogni volta le sensazioni di affrontare un evento così coinvolgente si rinnovano. La
nostra spedizione ha ottenuto nn medaglie ed in particolare le federazioni da me seguite hanno ottenuto
eccellenti risultati: la federazione Italiana Nuoto ha conquistato il maggiore numero di medaglie nella sua
storia olimpica, ben otto. Essere a bordo vasca in una finale olimpica e vedere
conquistare medaglie ad atleti che hai seguito ti ripaga di tutto il tempo
dedicato a seguirli in ogni dove, sottratto alla sala operatoria, al tuo tempo
libero e soprattuto alla famiglia. Il CONI ha predisposto in modo ottimale la
spedizione….ma non aveva fatto i conti con l’organizzazione
carioca….villaggio olimpico non terminato, stanze mancanti di finestra, servizi
igienici non funzionanti, carenza di personale addetto alla pulizia, organizzazione dei trasporti ai campi di
gara ed allenamento ed altre…marachelle. Tutti i servizi per atleti e staff sia nel villaggio che intorno ai campi
di gara sono stati organizzati in enormi tendoni. In uno di questi, all’interno del villaggio olimpico, era
posizionato il policlinico di cui abbiamo avuto modo di testarne l’efficenza. Due RMN di cui una da 3 Tesla,
radiologia convenzionale ed ecografia con specialisti, personale infermieristico e fisioterapico. Ho avuto modo
di incontrare Lars Engebretsen in qualità di medico del CIO ed il
presidente ISAKOS Moses Cohen che ha prestato la sua opera di
consulente ortopedico, durante tutto il periodo dei Giochi, come volontario! Per i traumi o malattie
da codice rosso e giallo, erano predisposti accessi preferenziali negli ospedali limitrofi ai campi di
gara ed al villaggio. Nel complesso abbiamo avuto meno traumi rispetto ai Giochi di Pechino e
Londra, segno che il cambi di regolamento in alcune discipline e la maggiore attenzione nel campo
della prevenzione, hanno dato i loro frutti. Le due aree
mediche approntate dal CONI, una all’interno del villaggio
ed una in prossimità del parco olimpico, hanno consentito
una copertura e rapidità d’intervento maggiore rispetto alle
precedenti edizioni. Tale aspetto è stato ben apprezzato dagli
atleti, tecnici e staff medici federali. Casa Italia ha accolto e
festeggiato gli atleti medaglisti e non, in una location
veramente da brivido per la sua esoticità adattata allo stile italiano. Centro nevralgico per la
propaganda a favore di Roma 2024. Chissà se ci sarà ancora un barlume di possibilità per
accogliere i Giochi del 2024, ma nel frattempo…si riparte per un nuovo quadriennio che ci porterà
a Tokyo dove rispetto a Rio…..le infrastrutture sono già pronte! Sempre forza azzurri!!!
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SPECIAL EVENTS
L’evento clou SIGASCOT di fine anno sarà sicuramente
COMBINED MEETING SIGASCOT INTERNATIONAL PATELLOFEMORAL
STUDY GROUP
4° Corso su Femoro - Rotulea
2 – 3 dicembre 2016
Salone d’Onore – Palazzo del CONI (ROMA)
Si conclude a Roma il corso sull’articolazione
femoro-rotulea di SIGASCOT!
L’evento sarà realizzato in collaborazione con
l’International Patellofemoral Study Group!
Per tutti coloro che si occupano di dolore
anteriore, instabilità rotulea e chirurgia del
ginocchio l’evento sarà di notevole rilevanza
scientifica e didattica, permettendo un confronto
tra i massimi esperti di tutto il mondo!
Presidente: Alfredo Schiavone Panni
Informazioni generali: [email protected]
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a cura di Milco Zanazzo - Comitato Riabilitazione
Barefoot running
La corsa senza scarpe sta diventando
ogni giorno più popolare (1).
Da sempre più parti viene sostenuta
l’idea che il barefoot running potrebbe
ridurre l’incidenza degli infortuni
all’arto inferiore, al contrario di quello
che è stata la tendenza negli ultimi anni
dovuta alla ricerca tecnologica
industriale e la diffusione nel mercato di
scarpe molto consistenti.
Diverse aziende hanno infatti invaso il
mercato con calzature dal differente
supporto e cushioning sempre maggiori.
Le cosiddette scarpe massimaliste, sono
nate e si sono diffuse proprio con l’idea
di proteggere i runners dall’impatto
ripetuto sul terreno e come sostegno
della volta plantare nei difetti
d’appoggio (vedi anti-pronazione). Ciò
nonostante, l’incidenza degli infortuni
nella corsa con le scarpe moderne è
sempre molto alto, circa il 79% dei
praticanti incappa ogni anno in un
infortunio (2). L’eziologia di questi
infortuni è sicuramente multifattoriale,
ma le moderne scarpe da corsa hanno
modificato completamente l’appoggio e,
di conseguenza, potrebbero avere un
ruolo
importantissimo.
L’ammortizzazione protegge il piede e
la tibiotarsica che e’ un bene per chi ha
patologie specifiche, ma induce carichi e
stress elevati alle altre articolazioni quali
ginocchio anca e colonna con relativo
overuse muscolare.
Correre a piedi nudi può essere molto
complicato ai giorni nostri per diversi e
ovvi fattori, ma il ritorno a scarpe
minimaliste che hanno solo la funzione
di proteggere la pianta del piede dal
contatto diretto sul terreno senza
alterare il feedback sensoriale, potrebbe
ave re u n a c e r t a e f fi c a c i a n e l l a
prevenzione di traumi oltre che nel
miglioramento della performance
sportiva e sembra sostenuto da discrete
evidenze scientifiche (3), evidenze invece
che non supportano l’utilizzo delle
correzioni dell’appoggio (4,5).
Ho di recente partecipato ad una
conferenza tenuta da Blaise Dubois,
fisioterapista canadese anima del
“movimento” the running clinic (6).
Questa società scientifica nata in
Canada, ma diffusa ormai in diversi
paesi, propone corsi per la prevenzione
e la riabilitazione degli infortuni tipici
del runner nonchè consigli su calzature,
alimentazione e tutto ciò che può essere
interessante per l’atleta amatoriale e
professionista.
Sono rimasto molto colpito dai dati
proposti.
Eliminare il sostegno plantare e ridurre
la consistenza della suola, porta la
muscolatura intrinseca del piede ad
eseguire un lavoro molto maggiore
(anche utilizzandolo come esercizio
costante per qualche minuto al giorno),
con un evidente rinforzo della fascia
plantare (7). Nella corsa con scarpe
massimaliste, si è spinti inoltre ad
allungare il passo ed impattare il terreno
con il tallone (8); nell’utilizzo di scarpe
minimaliste invece, proprio per
l’assenza del ammortizzatore sotto il
tallone si tende a prendere contatto con
il terreno con l’avampiede e ad
aumentare la frequenza del passo
(cadenza) (9), riducendo il carico su
ginocchio anca ed aumentando il lavoro
della fascia plantare e del polpaccio.
Malgrado il dibattito nella comunità
scientifica siamo tuttora in corso, per
noi riabilitatori si aprono nuove
prospettive nel trattamento e nella
prevenzione delle patologie tipiche dei
runners; lavorare non solo sul rinforzo
della muscolatura del piede ma anche
sulla qualità dell’appoggio e soprattutto
sulla frequenza di corsa può consentire
di approcciare queste problematiche da
un punto di vista diverso.
Inoltre pone in evidenza l’importanza
fondamentale che il tonotrofismo e il
riequilibrio muscolare oltre ad un
adeguata programmazione e timing di
allenamenti sono fondamentali: il
muscolo non cresce con la corsa, come
con nessuno sport, ma una corretta
prevenzione parte dal rieducare la corsa
e i diversi distretti muscolari interessati
per proseguire poi con un graduale
riatletizzazione e allenamento
funzionale.
1-Barefoot Runners Society: www.barefootrunners.org
2-van Gent RN, Siem D, van Middelkoop. Incidence
and determinants of lower extremity running injuries
in long distance runners: a systematic review.
Br J Sports Med 2007;41:469-80.
3-Altman AR, Davis IS. Prospective comparison of
running injuries between shod and barefoot runners.
Br J Sports Med. 2015;o:1-6.
4- Knapnik JJ, Trone DW, Tchandia J, Jones BHSee
comment in PubMed Commons below
Injury-reduction effectiveness of prescribing running
shoes on the basis of foot arch height: summary of
military investigations.
J Orthop Sports Phys Ther. 2014;44(10):805-12.
5- Ryan MB, Valiant GA, McDonald K.
The effect of three different levels of footwear stability
on pain outcomes in women runners: a randomised
control trial.
Br J Sports Med 2011;45(9):715-21
6-the running clinic. www.therunningclinic.com
7-Brugemann GP, Potthast W, Braunstein B.
Effect of increased mechanical stimuli on foot muscles
functional capacity.
Exercise & Sport Sciences Reviews: 2012;40(2):63-72
8 -Hasegawa H, Yamauchi T, Kraemer WJ
Foot strike patterns of runners at the 15-km point
during an elite-level half marathon.
J Strength Cond Res 2007;21:888-93
9-Larson P. Comparison of foot strike patterns of
barefoot and minimally shod runners in a recreational
road race.
J Sport Health Sci 2014;3:137-42
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Con questo primo contributo sulla storia dell’Imaging in Italia inizia la collaborazione di Maurizio
Busacca, esperto radiologo del Rizzoli di Bologna, con HIGHLIGHTS: Immagini, tagli, indici, nuovi e
tradizionali criteri radiologici di valutazione spiegati all’Ortopedico, per aiutarlo a capire,
interpretare, leggere.
Nel 1983 il Prof Passariello, pioniere nelle nuove tecniche di Imaging, insieme ai suoi collaboratori,
pubblicava sul Journal of Computer Assisted Tomography, un articolo sulla tecnica di esecuzione della
Tomografia Computerizzata (TC) nello studio dell’articolazione del ginocchio (fig 1).
Fig 1
La TC veniva allora denominata anche TAC, ovvero Tomografia Assiale Computerizzata, in quanto lo studio si
effettuava mediante una serie di scansioni “assiali”. Tale denominazione riferita ad un unico piano di
scansione venne poi sostituita dalla odierna denominazione, in quanto sia in acquisizione che, soprattutto, in
fase di post processing, si iniziò a rielaborare gli esami su tutti i piani dello spazio con ricostruzioni
bidimensionali e tridimensionali.
Fu la prima tecnica di Diagnostica per Immagini a consentire di entrare dal vivo in un articolazione a cute
“integra”, permettendoci, pur con qualche limite, di comprendere meglio l’anatomia articolare e di
conseguenza riconoscere gli elementi patologici delle varie strutture articolari.
Ovviamente la comprensione dell’anatomia TC, ma soprattutto la messa a punto di tale metodica non fu
immediata. Era infatti una tecnica di difficile esecuzione, piuttosto lenta e con possibilità di artefatti
determinati dal movimento e dalla sovrapposizione di altre strutture all’interno del campo d’esame.
Per minimizzare gli artefatti conseguenti alla presenza dell’arto controlaterale, era necessario studiare il
ginocchio con un solo arto dentro il gantry della TC, ma essendoci degli intervalli di diversi secondi tra le
varie scansioni , con movimenti sia pur minimi del lettino per ogni scansione, in una posizione piuttosto
scomoda, esisteva un'alta probabilità di movimenti involontari, anche da parte dei soggetti più collaboranti.
Tali movimenti determinavano degli artefatti che inficiavano la qualità della indagine, limitando la possibilità
di ricostruire le immagini sui piani sagittale e coronale, seguendo l'obliquità dei legamenti crociati, dei
legamenti collaterali e dei menischi, essenziali per dimostrare eventuali lesioni.
A ritroso sembrano tempi lontanissimi e ci sembra incredibile, con i ritmi attuali, che per dimostrare la
efficacia diagnostica di una metodica quale la TC e la sua conseguente diffusione in ambito muscoloscheletrico trascorressero molti anni; al contrario è da sottolineare come il Prof Passariello pubblicava
questo articolo nel 1983 e nel mio ospedale, l'Istituto Ortopedico Rizzoli, la prima TC arrivò addirittura nel
1990.
Ricordo che il mio maestro, Carlo Monti, Direttore della Radiologia dell’Istituto Ortopedico Rizzoli, fece
costruire dai falegnami (allora gli Ospedali più grandi avevano anche i falegnami) una tavola di legno, che
consentisse di tenere fermo il piede fissato mediante delle strisce di velcro ed in asse il ginocchio in esame,
limitando così sia gli artefatti da movimento che quelli da non corretto posizionamento del ginocchio ed
asimmetria delle emirime articolari asimmetriche.
In tempi precedenti l’avvento di Internet e le conseguenti enormi fonti oggi disponibili in rete per qualunque
argomento, per apprendere piccole scoperte o trucchi "tecnici", esistevano solo la lettura delle pubblicazioni
scientifiche e lo scambio di informazioni tra gli operatori in meeting e congressi.
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Sempre nel 1983 venivano installate le prime Risonanze Magnetiche, come la TC inizialmente deputate agli
studi neuroradiologici e solo successivamente all'apparato muscolo-scheletrico e agli altri distretti corporei.
Anche per la Risonanza Magnetica fu necessario un lungo tempo di messa a punto, peraltro ancor più
complesso della TC, in quanto entrarono in gioco ancor più elementi di variabilità. Solo per citarne alcuni :
piani di studio ( a differenza della TC è una metodica multiplanare anche in acquisizione), posizionamento
dell'arto, scelta delle antenne di ricezione (bobine), campo di vista, grandezza del campo magnetico e
soprattutto numerosi tipi di sequenze di impulsi con conseguente “multiparametricità” della indagine RM.
Ricordo che per un lungo periodo si dibatté sui vantaggi e gli svantaggi delle due metodiche, elaborando
tabelle comparative e spesso arrivando ad una idea allora piuttosto diffusa: meglio la RM rispetto alla TC, ma
meglio una TC eseguita correttamente che una RM effettuata in maniera incorretta.
Fino a circa metà del 2000 venivano ancora richieste moltissime TC del ginocchio per la valutazione dei
menischi e dei legamenti e solo da una decina di anni, la RM è considerata la metodica d'Imaging per
eccellenza nello studio del ginocchio e delle altre articolazioni, divenendo ormai uno strumento indispensabile
sia nella diagnosi che nella valutazione dopo qualunque tipo di terapia praticata.
E' però essenziale che la RM, come per gli RX e la TC, indipendentemente dalle apparecchiature in uso e dalla
diversa potenza del campo magnetico espressa in Tesla, sia eseguita tecnicamente in modo corretto. A
cominciare dall'utilizzo delle bobine specifiche e dal posizionamento ottimale dell'articolazione in esame, che
deve essere più vicino possibile al centro del magnete (isocentro), con l'atteggiamento atto alla valutazione
delle varie strutture articolari da esaminare, sempre su due o ancor meglio tre piani e con un mix di sequenze,
comprendenti tutti i parametri più importanti ed in particolare la cosiddetta "pesatura" in T1, DP, T2 e le
essenziali sequenze con soppressione dei tessuti adiposi, enfatizzanti soprattutto l'edema osseo.
Sfruttando in tal modo le caratteristiche, da subito considerate peculiari della RM, ovvero la multiplanarietà e
la muliparametricità, necessarie per discriminare in modo incomparabile le diverse strutture articolari.
Ormai nella gran parte dei centri dove vengono eseguiti routinariamente studi RM delle articolazioni, vengono
utilizzati dei protocolli di studio che seguono queste semplici regole e consentono di valutare tutte le diverse
strutture articolari e di conseguenza differenziare il normale dal patologico, con sequenze di impulsi mirate
all'esame dell’osso spongioso e compatto, della cartilagine articolare, della membrana sinoviale, dei menischi,
dei legamenti e della capsula articolare, delle componenti muscolo-tendinee ecc, strutture che spesso
vengono evidenziate in modo differente nelle varie sequenze, rendendo necessari degli “adattamenti” ai
diversi protocolli di studio in corso d'opera, in base alla patologia sospettata o rilevata durante l’esame.
Questa miriade di variabili nelle indagini RM, è alla base delle notevoli differenze che nella pratica quotidiana
vengono riscontrate dai clinici nelle immagini RM e nei relativi referti , portate in visione dai pazienti, con
risultati talvolta inaspettati ed incongruenti con l’esame clinico e con l’anamnesi, a volte difformi negli
eventuali controlli, se eseguiti in due distinti centri di Risonanza Magnetica. Differenze determinate da esami
che spesso sono condotti in maniera non adeguata al quesito clinico e per questo, nell’ottica di limitare tali
incongruenze, è buona norma specificare nella richiesta d’esame un preciso quesito diagnostico con gli
elementi clinici più importanti, per agevolare il radiologo nella esecuzione e nella interpretazione delle
indagini RM.
Maurizio Busacca
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Comitato Formazione
Tenodesi del tendine rotuleo secondo Neyret nel
trattamento dell’ instabilità rotulea obiettiva
Paolo Ferrua, Francesco Mattia Uboldi
SSD Chirurgia Articolare del Ginocchio
Istituto Ortopedico Gaetano Pini Milano
Fig 1
Fig 2
Inquadramento
L’ altezza rotulea eccessiva è uno dei fattori primari di instabilità descritta dalla Scuola
Lionese (1). Per convenzione l’altezza rotulea viene considerata patologica in presenza
di un indice di Caton-Deschamps o di Insall-Salvati maggiore di 1.2. Negli ultimi anni
il concetto di altezza rotulea patologica è stato ulteriormente integrato da nuove misure
tra cui l’engagement sagittale (2) e la lunghezza del tendine rotuleo. L’aumentata
prevalenza di tendini rotulei lunghi all’interno della popolazione affetta da instabilità
rotulea obiettiva era già stata descritta da Reider et al. (3) e Kujala et al. (4) ma si deve
la sua caratterizzazione come fattore di instabilità associata a Neyret et al. (5) nel 2002.
Gli Autori descrivevano una specifica popolazione in cui l’abbassamento della
tuberosità tibiale anteriore non era sufficiente a limitare il cosiddetto effetto
“windshield wiper” proprio in presenza di un tendine rotuleo di lunghezza patologica.
Comparando i dati ottenuti nella popolazione instabile e paragonandoli con una
popolazione di controlli veniva descritta una soglia patologica di 52 mm (misura
ottenuta con RMN). (Fig.1)
Alla luce di questi risultati veniva anche descritta una tecnica di
tenodesi del tendine rotuleo da associare all’ abbassamento della
tuberosità tibiale in questa particolare tipologia di pazienti:
Una volta distaccata completamente la bratta ossea della tuberosità
tibiale anteriore vengono infisse due ancore di sutura vicino all’ origine
della bratta sulla tibia (approssimativamente 3 cm dall’emirima
articolare).
Si procede poi alla fissazione della bratta ossea con due viti corticali da
4.5 mm all’altezza programmata per ottenere la normalizzazione
dell’indice di Caton Deschamps. A questo punto il tendine viene adeso
alla superficie tibiale e solidarizzato a essa con le suture dell’ancora
ottenendo una tenodesi stabile della porzione distale del tendine rotuleo.
(Fig.2)
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Comitato Formazione
In presenza di un tendine rotuleo di larghezza non eccessiva è anche possibile
utilizzare una cambra metallica posta a cavaliere del tendine in sostituzione delle due
ancore. (Fig.3)
Fig 3
La procedura può essere poi completata dalla ricostruzione del MPFL.
Il protocollo riabilitativo standard è analogo a quello della distalizzazione isolata e
prevede la deambulazione in carico parziale con ausilio di due bastoni canadesi e un
tutore in estensione durante la deambulazione per le prime 4-6 settimane. La ripresa
del ROM passivo completo può cominciare fin dall’immediato postoperatorio anche
con CPM mentre va evitata per i primi tre mesi l’estensione attiva contro resitenza. Il
ritorno all’attività fisica con cambi di direzione è generalmente concesso dopo 6-8
mesi dall’ intervento.
In un lavoro successivo (6) venivano descritti i risultati della procedura su un gruppo di
27 pazienti rivisti clinicamente e radiograficamente a un follow-up medio di 9.6 anni
(range 6-14). I risultati clinici erano molto soddisfacenti con un IKDC medio di
75.6±9.5, indici di altezza rotulea normalizzati e soprattutto con nessun caso di
recidiva a distanza.
Nella valutazione di un’instabilità rotulea è fondamentale un’analisi accurata di tutti i
fattori di instabilità che andranno poi trattati utilizzando un’appropriata associazione di
procedure secondo il principio della “chirurgia à la carte”. In quest’ottica la tenodesi
sec. Neyret rappresenta un intervento efficace da associare alla distalizzazione della
tuberosità tibiale anteriore nei pazienti che presentino un’altezza rotulea patologica
(Caton-Deschamps >1.2) e un tendine rotuleo di eccessiva lunghezza (> di 52 mm alla
RMN)
Bibliografia
1.
2.
3.
4.
5.
6.
Dejour H, Walch G, Nove-Josserand L et al. Factors of patellar instability: an anatomic radiographic
study. Knee Surg Sports Traumatol Arthrosc 1994;2(1):19-26
Dejour D, Ferrua P, Ntagiopoulos PG et al. The introduction of a new MRi index to evaluate sagittal
patellofemoral engagement Orthop Traumatol Surg Res 2013 Dec;99(8 Suppl):S391-8
Reider B, Marshall JL, Koslin B et al. The anterior aspect of the knee joint- an anatomical study. J Bone
Joint Surg (Am) 1981; 63-A:351-356
Kujala UM, Osterman K, Kormano M et al. Patellofemoral relationships in recurrent patellar dislocation J
Bone Joint Surg (Br) 1989;71- B: 788-792
Neyret P, Robinson AH, Le Coultre B et al. Patellar tendon length – the factor in patellar instability? Knee
2002;9(1):3-6
Mayer C, Magnussen RA, Servien E et al. Patellar tendon tenodesis in association with tibial tubercle
distalization for the treatment of episodic patellar dislocation with patella alta. Am J Sports Med 2012
Feb;40(2):346-51
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Parlando di tensioni e
deformazioni non si è ancora tenuto conto di cosa succede
quando le forze vengono applicate in tempi molto brevi o molto
lunghi. Nel primo caso si hanno sollecitazioni impulsive che
possono favorire nel materiale un comportamento fragile, come
discusso nel precedente numero, nel secondo caso si possono
avere comportamenti anelastici. Pertanto rimuovendo la
sollecitazione, qualsiasi essa sia (compressione, trazione,
torsione), il materiale non ritorna allo stato iniziale ma rimane
deformato. Il tempo, che compariva già nei problemi di fatica
attraverso la durata sotto sollecitazioni con carichi variabili, è
un parametro fondamentale in quanto mezzi di sintesi e protesi
devono funzionare in modo efficace per lunghi periodi
prefissati, prima della eventuale rimozione.
Un comportamento tipico dei materiali metallici ad alta
temperatura, e dei polimeri a temperature di interesse
biologico, è quello di manifestare in presenza di una
sollecitazione meccanica costante una deformazione ε che
non è costante ma prosegue nel tempo con effetti reversibili o
irreversibili, addirittura fino alla rottura del manufatto. E' il
fenomeno dell'anelasticità e dello scorrimento viscoso
(Creep), che può avvenire, con effetti opposti, sia sotto una
sollecitazione di trazione che di compressione. Quando la
sollecitazione esterna viene tolta, il materiale può ritornare in
un tempo più o meno lungo alle condizioni iniziali o mantenere
una deformazione permanente ed irreversibile. Avevamo gia
sottolineato come il creep sia un parametro importante da
valutare negli impianti legamentosi i quali sono sottoposti in
maniera costaste ad un carico di trazione non sempre ciclico e
puntuale (massimale). Vari tipi di comportamento sotto
sollecitazione costante sono rappresentati in modo schematico
nella figura seguente, che riporta tre casi tipici di scorrimento in
funzione del tempo.
Nella figura1, il
comportamento del materiale
A, mostra uno scorrimento
viscoso (Creep) nullo, quindi
all'applicazione del carico c'è
una deformazione che si
mantiene costante nel tempo
e scompare, non appena il
carico viene tolto, purché non
si sia superato il campo delle
deformazioni elastiche. Nel
caso B, invece, la deformazione aumenta nel tempo anche se la
forza applicata non varia. Quando il carico viene tolto, si ha
una deformazione permanente che può annullarsi più o
meno lentamente e riportare il sistema nelle condizioni iniziali.
Nel caso C, infine, il fenomeno è più rapido e si arriva più o
meno velocemente alla rottura finale: la rottura è una
condizione di "fuori sevizio" di un impianto, ma per un
cattivo funzionamento basta una deformazione incompatibile
con i movimenti previsti come può avvenire già nel caso B. Dal
a cura di Gianluca Camillieri
punto di vista ingegneristico è necessario, quindi, sapere quali
sono le condizioni di lavoro di un pezzo in modo da poterne
prevedere la durata in servizio con un buon margine di
attendibilità. Ma le situazioni molto comuni di ambiguità tra
un comportamento di tipo B ed uno di tipo C possono portare
a scelte troppo conservative, se si vuole comunque evitare il
pericolo di rottura, o troppo rischiose, se si ha comunque
fiducia che la deformazione prosegua indeterminatamente
senza rottura finale. In questo caso, in laboratorio, conviene
testare tutte e due le possibilità.
I fenomeni di scorrimento viscoso, a differenza di quelli di
fatica, avvengono anche sotto sollecitazioni di sola
compressione. Uno degli effetti più deleteri del
comportamento anelastico è la possibile modifica nel
tempo del disegno originale, come nel caso di uno strato di
UHMWPE che costituisce la componente acetabolare in
contatto con la testa di femore metallica o ceramica in una
protesi totale d'anca. La presenza di scorrimento viscoso può
modificarne i profili rendendo lasco l’accoppiamento ed
ostacolando o impedendo i movimenti,e quindi togliere
funzionalità al mezzo stesso che dovrà essere rimosso( figura 2).
I fenomeni di scorrimento viscoso interferiscono con quelli di
fatica rendendo estremamente complesso il quadro tensionale e
quindi la previsione sul comportamento per la presenza di
effetti sia sinergici che additivi. E il caso ad esempio di alcune
protesi articolari della mano nelle quali il movimento di
flessione ed estensione delle dita è vincolato alla flessibilità di
una linguetta di materiale polimerico. Ad ogni piegamento
corrisponde una sollecitazione di fatica ed una piccola
deformazione anelastica.
Fenomeni di scorrimento viscoso e di fatica si manifestano
anche nei cementi ossei a base di Polimetilmetacrilato
(PMMA) con affondamento degli steli protesici e fratture del
cemento.
In conclusione, i modi di deformazione (ad esempio
rilassamento e scorrimento viscoso) dipendono dal tempo,
mentre i tipi di deformazione dipendono dal tipo di sforzo
applicato (ad esempio estensione monoassiale, taglio semplice,
compressione). Ne consegue che si può applicare qualunque
modo di deformazione a qualunque tipo di deformazione.
Nel prossimo numero affronteremo cosa comporta la
deformazione dei materiali soprattutto in caso di superfici
protesiche con interfaccia ad accoppiamento di materiali.
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Dopo le semifinali tenutesi a Verona, sono 3 i
Colleghi che si sfideranno al Congresso di Firenze
per il titolo di Primo MasterArthroscopist!
Enrico Bonacci, Walter Salustri
e Filippo Familiari
ISCRIVITI
HOL for Young:
cartilagine
13 novembre
2° edizione
2016
SCADENZA BANDI: 30 settembre
Scadenza dei bandi per la Fellowship SIGASCOT
DJO Reaction –Femoro-rotulea e per
MasterArthroscopist 2016/2017
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Una rubrica a domande e risposte “flash” che, aiutando a focalizzare il
pensiero e l’approccio dei più importanti Opinion Leaders SIGASCOT su topics
chirurgici comuni, possa servire da guida ai più giovani o ai meno esperti.
Giacomo Zanon
Legamento
Antero-laterale
Facts or fiction
Vincenzo
Madonna
Esiste un legamento antero-laterale, un compartimento antero-laterale, o esistono tutti e due?
Esistono entrambi. ALL è un componente del
compartimento antero laterale. Mentre
del compartimento antero-laterale sappiamo
molto, del ALL sappiamo abbastanza ma non tutto
Il ALL esiste ed è parte di un sistema capsulo
legamentoso anterolaterale
In che percentuale, nella vostra esperienza, la lesione del LCA si associa ad una lesione antero-laterale?
La sensazione è che possa essere elevata. La realtà
è che fino a che non saranno standardizzati
protocolli di ecografia o di RMN non avremo una
diagnosi di certezza
Circa il 15% nella nostra casistica ma credo sia
sottostimata
La lesione antero-laterale secondo voi è acuta o è dovuta ad un progressivo cedimento capsulare?
La lesione del ALL è acuta.
Acuta sicuramente, forse potrebbe peggiorare
col persistere della lassità
Come fate diagnosi di lesione antero-laterale (legamento o capsula)?
Frattura di Segond quando presente,
visualizzazione ecografica o di RMN quando è
possibile la stretta collaborazione con il proprio
pool radiologico: non sempre la diagnosi è così
immediata .
In presenza di jerk test 3+ e con:
Frattura di segond; ecchimosi ed algia in regione
antero-laterale; importante intrarotazione
tibiale al jerk test
Come distinguete una lesione antero-laterale da una postero-laterale?
Dal punto di vista clinico il dial test è dirimente per
lesione postero-laterale, il cassetto rotatorio può
essere fuorviante.
Dal punto di vista strumentale le rx sotto stress ed
in appoggio monopodalicoco possono essere utili
per identificare una lesione postero-laterale
Nelle instabilità rotatorie di 3° grado è
sicuramente associata una lesione antero e/o
posterolaterale, i test clinici non ci permettono
con buona attendibilità di distinguere, ma
dirimente può essere la diagnostica artroscopica
dove il drive through sign in posizione a 4, se
positivo, indica una lesione posterolaterale
Quando ricostruite, se lo fate, la lesione antero-laterale?
1) Lesione accertata di ALL
2) importante instabilità rotatoria
3) pivoting sport (calcio, basket, volley)
3) revisioni
In realtà non è così corretto interpretare questo
gesto come una ricostruzione vera e propria: si
tratta per lo più di un gesto di "rinforzo e
protezione" alla nuova ricostruzione, con evidenze
biomeccaniche ben dimostrate di efficacia tra i 20
ed i 60 gradi di flex che rappresentano il range
angolare traumatico più frequente nello sport
- Jerk test 3+
- hi pivoting sports
- lateral notch sign positivo
- revisioni
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Ottobre 2015
numero 2
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HighLights
I più recenti articoli dei
Soci SIGASCOT apparsi sulle riviste
di settore con impact factor!
IF: 3.053
IF: 0.756
IF: 3.206
Il KSSTA dedica i numeri di maggio e di giugno all’ Early Osteoarthritis.
Numerosi Soci SIGASCOT hanno partecipato con articoli originali e di commento!
[Knee Surgery Sport Arthroscopy. Vol. 24, Issue 5 e 6, May and June 2016]
Soft tissue contribution to hip joint kinematics and biomechanics.
Zaffagnini S, Signorelli C, Bonazinga T, Lopomo N, Raggi F, Di Sarsina TR, Grassi A; Marcheggiani
Muccioli GM, Marcacci M
[Hip Int. 2016 may 14; 26 Suppl 1:23-27]
Elmslie-Trillat, Maquet, Fulkerson, Roux Goldthwait, and other distal realignment procedures
for the management of patellar dislocation: review and quantitative synthesis of the
literature.
U.G. Longo, G. Rizzello, M. Ciuffreda, M. Loppini, A. Baldari, N. Maffulli, V. Denaro
[Arthroscopy. 2016. (32)5;]
Surgical versus nonoperative treatment in patients up to 18 years old with traumatic shoulder
instability: a systematic review and quantitative synthesis of the literature.
U.G. Longo, J.A. van der Linde, M. Loppini, V. Coco, R.W. Poolman, V. Denaro
[Arthroscopy. 2016. (32)5;]
Prevalence of articular cartilage lesions and surgical clinical outcomes in football (soccer)
players’knees: a sistematic review.
Andrade R, Vasta S, Papalia R, Pereira H, Oliveira JM, Reis RL, Espregueira-Mendes J
[Arthroscopy. 2016 Apr 16; OnLine first]
IF: 3.053
Anterior cruciate ligament reconstruction in adolescents (Tanner stages 2 and 3).
F. Falciglia, A. Schiavone Panni, M. Giordano, A.G. Aulisia, V. Guzzanti
[Knee Surgery Sport Arthroscopy. 2016;(24)3:807-814]
IF: 4.362
Effect of medial patellofemoral ligament reconstruction method on patellofemoral contact
pressures and kinematics.
Stephen JM, Kittl C, Williams A, Zaffagnini S, Marcheggiani Muccioli GM, Fink C, Amis AA
[Am J Sports Med. may 2016; 44:1186-1194]
IF: 0.783
Homologous platelet-rich plasma for the treatment of knee osteoarthritis in selected elderly
patients: an open-label, uncontrolled, pilot study.
C. Bottegoni, L. Dei Giudici, S. Salvemini, E. Chiurazzi, R. Bencivenga, A. Gigante
[Therapeutic Advances in Musculoskeletal Disease April 2016 8: 35-41]
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HighLights
Lights on… 2016 SIGASCOT events!
22
ott
ottobre
Sassari (Struttura Didattica S.Pietro)
Corso di Tecnica Infiltrativa
28
ott
4-5
nov
13
nov
Torino
101° SIOT – incontro SIA/SIGASCOT
Spalla e ginocchio: a confronto
novembre
Arezzo - ICLO
Le osteotomie di ginocchio
Sigasc-Ost: Cadaver-Lab
Arezzo
Hands-on Lab for Young Surgeon
Cartilage
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Research Center San
Francesco di Sales Via A.
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1° gruppo: 10.00-14.30
2° gruppo: 11.30-16.00
19
nov
Genova
SigascoTime-Out (Liguria)
Allograft nella ric. legamentosa
dicembre
2-3
dic
Roma
4° Corso Formaz. femoro-rotulea
Combined Meeting with Internationa
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2017
Rinnova la QUOTA SOCIALE per il 2017
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numero 2
S IG A S C O T
HighLights
Tratto da: La Gazzetta dello Sport del 3 febbraio 2016
La notizia pubblicata dalla “Gazzetta”, come spunto di approfondimento
per conoscere di più e meglio una patologia, una tecnica chirurgica, un
percorso riabilitativo. Una nuova rubrica di HIGHLIGHTS in grado di
regalare, partendo dal quotidiano, un aggiornamento scientificamente
serio e approfondito sulla traumatologia dello sport.
ROTTURA DELL’ACHILLEO
NELL’ATLETA DI ALTO LIVELLO:
PRINCIPI DI TRATTAMENTO
Epidemiologia e sport ad alto livello
In ambito sportivo professionistico la rottura del tendine
d’Achille ha un forte impatto nella carriera di un atleta, a tal
punto da essere responsabile in taluni casi anche di un
definitivo abbandono dell'attività agonistica.[1-3] Questo
dato emerge da uno studio pubblicato nel 2006 da Parekh
et al, in cui analizzavano 31 rotture complete del
terzo medio dell'achilleo (tra il 1997 ed il 2010) trattate
chirurgicamente tra gli atleti iscritti alla National Football
League (NFL), valutando come a fronte di una tempistica di
riabilitazione lunga ed impegnativa (7-11 mesi per ritornare
alle competizioni) ben il 32,3% degli atleti avrebbe
abbandonato definitivamente l’attività agonistica a seguito
dell’infortunio. Inoltre, il ruolo ricoperto dall'atleta durante il
gioco sarebbe predisponente sull'incidenza di questa
patologia: nel caso specifico dei giocatori di football, più del
45% delle rotture tendinee complete si è verificato in
difensori o in quarterback. Contrariamente a quanto ci si
possa aspettare, gli autori non hanno riportato, invece,
alcuna significativa differenza tra la frequenza di infortunio
su terreno sintetico e su quello in erba naturale. Nel 45,4%
dei casi l’evento avverso è avvenuto durante una
competizione ufficiale, e non in fase di pre-training o
riscaldamento, a testimonianza del fatto che la specifica
preparazione atletica durante tutta la stagione agonistica
non sia in taluni casi sufficiente per preparare il tendine al
forte stress biomeccanico a cui è sottoposto durante una
competizione di alto livello al fine di prevenirne la rottura.
Simili risultati anche in una più recente case series di
Jallageas et al del 2013, rivalutando a distanza 31 suture
dell’achilleo a seguito di rottura completa eseguite in atleti
nel periodo compreso tra il 2006 ed il 2009. Dato
significativo riportato dagli stessi autori è come il 71% dei
casi la rottura sia avvenuta a seguito di un eccessivo stress
durante la contrazione eccentrica del tendine. [4]
Trattamento chirurgico vs trattamento conservativo:
dalla letteratura internazionale alla nostra esperienza
Non esiste a oggi un consenso circa la scelta del miglior
approccio terapeutico. Wilkins R. e Bisson LJ nel 2012 [5]
hanno riportato una revisione sistematica della letteratura
per creare una meta-analisi dagli studi comparativi fra
trattamento chirurgico e conservativo. Da sette studi con
livello di evidenza I, per un totale di 677 pazienti, ne
risultava che il trattamento chirurgico era associato
significativamente a una ridotta incidenza di ri-rottura,
rispetto al trattamento conservativo (3,6% contro 8,8%).
Ovviamente le complicanze associate a un’aggressione
chirurgica non sono associate al trattamento incruento, ma
l’incidenza di TVP non era significativamente differente tra i
due gruppi. Il ritorno alle attività quotidiane risultava essere
anticipato con il trattamento chirurgico, con significatività
statistica però solo in uno studio.[6] Simili conclusioni sono
state raggiunte da un'altra review di maggior spessore
scientifico eseguita da Erickson et al nel 2015, includendo
un totale di 5842 pazienti.[7-9] Gli autori osservavano che
un tasso maggiore di recidiva per ri-rottura in caso di
trattamento conservativo rispetto a quello chirurgico è stato
riportato in 7 dei 9 studi analizzati, con un ritorno all'attività
lavorativa più rapido per questi ultimi in 3 lavori. Di contro
invece, il trattamento chirurgico sembrerebbe esporre i
pazienti a maggiori rischi di complicanze, quali per esempio
deiscenza di ferita e infezioni. Una possibile spiegazione al
maggior tasso di recidiva di rottura in caso di trattamento
conservativo, può essere correlata alla composizione del
tessuto del tendine riparato: alla guarigione della lesione
concorrono infatti sia meccanismi intrinseci sia estrinseci,
che giocano ruolo in entrambe le scelte di trattamento. È
probabile però che la guarigione intrinseca sia
preponderante nel trattamento chirurgico, mentre in quello
incruento, a causa del gap tendineo in sede di lesione,
siano maggiori i fenomeni riparativi estrinseci, con
aumentato rischio di ipertrofia cicatriziale tale da poter
compromettere il normale scorrimento del tendine [8] e le
fisiologiche caratteristiche biomeccaniche di tensione ed
elasticità. Già Cetti et al. nel 1994 [9] avevano riportato
effettivi benefici del trattamento chirurgico, dimostrando che
i pazienti trattati chirurgicamente erano più propensi a
riprendere l’attività sportiva (57% contro 29%) e a dodici
mesi di follow-up mostravano minore difficoltà a camminare
o indossare scarpe (29% contro 49%).
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Una recente review effettuata da Holm et al.[10], invece,
non individua differenze statisticamente significative circa il
tasso di ri-rottura tra trattamento cruento o incruento, anche
se due, dei sette studi esaminati, [11, 12] osservano
evidenze cliniche per un maggior tasso di recidiva nel
trattamento non chirurgico (10-12% contro il 2-4%). Anche
Holm et al. riportavano di fatto un ritorno all’attività in tempi
inferiori dopo trattamento chirurgico, con qualità
biomeccaniche tissutali apparentemente superiori, rispetto
al trattamento conservativo, proponendo come possibile
fattore favorevole l’inizio precoce della riabilitazione e il
corretto ri-tensionamento tendineo mediante la sutura. A
tale proposito Suydam et al. hanno approfondito con una
case series di livello di evidenza IV un aspetto molto
importante in ambito di recupero funzionale a seguito di
lesione completa. [13] Un vantaggio del trattamento
chirurgico cruento risiede, infatti, nella possibilità di
ripristinare una corretta tensione del tendine riparato,
riportandola il più vicino possibile a quella fisiologica.
Mettendo a confronto la lunghezza tendinea residua postprocedura chirurgica misurata con esame ecografico e i
dati EMG del tricipite surale registrati al momento della sua
attivazione durante la cinetica del passo (a 6 e 12 mesi
dall'inizio del percorso riabilitativo), Ravanolo et al [14]
hanno dimostrato come ci sia una correlazione
statisticamente significativa tra un aumento della lunghezza
totale (3,0-3,5 cm in più del normale) con l'incremento dell'
attivazione muscolare. Ciò si è verificato, infatti, per tutti i
pazienti sottoposti a sutura tendinea dopo lesione completa
dell'achilleo se confrontati sia con il lato indenne
controlaterale che con soggetti completamente sani. Una
perdita del fisiologico pre-tensionamento dell'achilleo, che
si può verificare anche nonostante una procedura
chirurgica di sutura specie per quanto riguarda il gemello
laterale(p<0,05), implica la necessità di una maggior
potenza muscolare, espressa come intensità di attivazione,
per poter ottenere una biocinetica del passo efficace e
pertanto paragonabile ad una gamba sana. Gli stessi
autori, in accordo con la letteratura internazionale, hanno
anche riportato come possa essere sufficiente un minimo
accorciamento tendineo di circa 0,5 cm per generare una
differente risposta muscolare, specie per quanto concerne il
muscolo soleo. Dopo un excursus delle review
sull’argomento, si potrebbe pertanto generalizzare
l’opinione comune dicendo che il trattamento chirurgico è
preferibile per pazienti con richieste funzionali elevate, a
maggior ragione se sportivi professionisti; mentre la cura
conservativa è preferita per pazienti sedentari, soprattutto
se in presenza di fattori di rischio e comorbilità non
trascurabili. La scelta del trattamento è quindi ancora
oggetto di discussione, anche se esistono elementi a favore
del trattamento chirurgico per raggiungere un accelerato
ritorno alle attività quotidiane e sportive, senza dimenticare
l'evidente riduzione del rischio di ri-rottura.
numero 2
HighLights
tecnica open piuttosto che con approccio percutaneo. Con
l'avvento di quest'ultima tecnica, infatti, si é cercato di
assicurare i medesimi risultati di una chirurgia open, con
l’intento di ridurre notevolmente alcune tra le principali
complicanze associate a un atteggiamento più aggressivo,
riguardanti la guarigione delle ferite e il maggior discomfort
per il paziente. [15, 16] L’approccio chirurgico open sembra
rimanere la prima scelta per molti chirurghi ortopedici,
poiché consentirebbe di ottenere un miglior e più efficace ritensionamento
tendineo,
scongiurando
quasi
completamente l'eventuale rischio intra-operatorio di
incarceramento del nervo surale durante la sutura e
riducendo ulteriormente il tasso di ri-rottura. [17] In
letteratura si possono trovare lavori scientifici con risultati
assai discordanti. Il motivo che potrebbe portare, secondo
la nostra esperienza, il trattamento aperto a tecnica di
prima scelta rispetto ad un trattamento percutaneo,
specialmente in atleti professionisti di alto livello, è la
possibilità di poter associare eventuali gesti accessori in
tutta sicurezza, quali ad esempio il release della fascia
crurale o una augmentation con il tendine plantar gracile (in
caso di scarsa stoffa residua). Senza dimenticare poi che
cosi facendo è possibile un ri-tensionamento efficace del
tendine durante la sutura dei monconi sotto gli occhi ed in
pieno controllo diretto del chirurgo stesso. In ambito di
chirurgia open esistono poi due principali scuole di pensiero
in merito alla via chirurgica utilizzabile. Alcuni autori
preferiscono infatti l'impiego di
un accesso posteromediale, poiché offre il vantaggio di minimizzare i rischi di
lesione nervosa, consentendo anche un più facile accesso
al tendine plantare, qualora fosse necessario.[18] Altri
invece preferiscono l’accesso postero-esterno, o l’accesso
longitudinale posteriore, anche se più soggetto a cicatrici
dolorose e di difficile guarigione per le forze tensive cui la
cute è sottoposta. [19] Le tecniche di sutura descritte in
letteratura sono molteplici, come numerosi i tipi di fili a
disposizione, riassorbibili o-non riassorbibili. Una review
sistematica condotta da Sadoghi et al. [20] su studi
sperimentali condotti su cadavere, ha confrontato tecniche
chirurgiche aperte, mini-invasive e percutanee (sutura di
Kessler, Bunnell, e Krackow, il metodo AchillonÒ, la tecnica
di Ma-Griffith, del triplo fascio e la tecnica “gift-box”) con lo
scopo di valutarne la resistenza alle forze di tensione. La
resistenza alla trazione media ponderata delle sette diverse
tecniche, con differenti fili di sutura, variava da 81 N a 453
N (media 222,7 N), rivelando il valore più alto con la tecnica
Triple Bundle utilizzando Ethibond # 2. Diversi autori
riportano l’utilizzo di augmentation nella riparazione aperta
della rottura acuta del tendine d’Achille, principalmente
attraverso l’utilizzo dell’aponeurosi [21], una treccia di
polipropilene [22], mesh di polietilene [23] o con il tendine
plantare. [24] N
Trattamento chirurgico: perchè tecnica open?
Individuato come argomento a sfavore del trattamento
chirurgico la possibile insorgenza di complicanze, come
detto i vantaggi di una riparazione cruenta in caso di rottura
del tendine d’Achille sono molteplici, e consistono per lo più
sia nel ridotto tasso di ri-rottura sia in un recupero più
precoce rispetto al trattamento conservativo: fattori non
trascurabili in caso di pazienti atleti professionisti. Tema
attuale di discussione internazionale in merito alla scelta di
un trattamento chirurgico, riguarda poi la scelta di una
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S IG A S C O T
on ci sono tuttavia prove sufficienti a sostegno dell’utilizzo
di augment per rotture acute, rispetto alle tecniche semplici
di raffia termino-terminale, come dimostrato anche dagli
studi di Aktal et al. [25] e Pajala et al. [26] che hanno posto
a confronto la tecnica Krackow del locking-loop con
tenorrafie utilizzando come augment rispettivamente il
tendine plantare o aponeurosi. Griffith et al [15] sono stati i
primi autori a descrivere una tecnica chirurgica percutanea
per le rotture del tendine d’Achille. La loro tecnica prevede
una sutura di Bunnel per il moncone prossimale e un
passaggio nel moncone distale, attraverso sei piccole
incisioni longitudinali ai lati mediale e laterale del tendine,
tre per lato, senza esporre il tendine nel sito di lesione. Gli
ideatori hanno riferito nessuna ri-rottura o infezione. Studi
successivi hanno però dimostrato recidive e lesioni
nervose, con frequenza fino all'8% [27] e 13%.[28, 29]
Webb e Bannister [30] hanno sviluppato una propria
variante percutanea, con lo scopo di ridurre l’incidenza di
danni al nervo surale: si distingue per il numero e sedi di
incisioni. Dal punto di vista biomeccanico si pone il sospetto
che le tecniche percutanee offrano una tenuta alle forze di
tensione e trazione inferiore rispetto alle tecniche a cielo
aperto. In un'analisi sperimentale, usando il punto di
Bunnell, Hockenbury e Johns [31] hanno dimostrato che la
riparazione percutanea garantiva il 50 % della forza rispetto
alla tecnica aperta. In uno studio che esamina la forza
isocinetica e la resistenza, condotto da Goren et al., non è
stata riscontrata invece alcuna differenza tra le due
tecniche. La preoccupazione resta per quanto riguarda i
tassi di lesioni nervose e ri-rottura. Per escludere questa
complicanza, Kakiuchi introdusse una tecnica che
associava sia l’approccio mini-invasivo sia il percutaneo,
agendo quindi in un campo protetto da possibili
complicanze di origine nervosa. Su questo principio è stato
creato poi uno strumento che potesse ovviare alle difficoltà
di reperire sottocute i fili, rendendo più facile e pratica la
tecnica di Kakiuchi, il sistema Achillon.
RIABILITAZIONE
La rottura acuta del tendine d’Achille è un infortunio severo
che richiede per lo sportivo un lungo periodo di stop
dall’attività agonistica. La chirurgia è solo il primo atto
terapeutico e l’inizio di un prolungato percorso di recupero.
Per questo motivo la riabilitazione è determinante nel
favorire un precoce e completo recupero funzionale, in
particolar modo per lo sportivo di alto livello. Non esiste ad
oggi un consenso univoco sul protocollo riabilitativo
ottimale. Le recenti evidenze della letteratura suggeriscono
tuttavia che il tradizionale approccio di prolungata
protezione post-chirurgica (ad oggi ancora largamente
utilizzato con scarico completo dell’arto e immobilizzazione
in tutore per diverse settimane) possa essere rivisto a
favore di un precoce e progressivo approccio riabilitativo. A
numero 2
HighLights
tal riguardo una recente revisione [32] ha analizzato
differenti trials in letteratura che mettevano a confronto la
ripresa precoce del carico completo rispetto allo scarico
dell’arto e la precoce mobilizzazione di caviglia rispetto
all’immobilizzazione. I pazienti sottoposti a carico
immediato e precoce mobilizzazione presentavano un
livello di soddisfazione superiore, un precoce ritorno alla
deambulazione ed in seguito all’attività sportiva, una
riduzione dell’atrofia muscolare ed un maggior recupero di
forza, in associazione ad un complessivo minor ricorso a
risorse riabilitative ed in assenza di complicanze
significative o percentuali di ri-rottura differenti dal
protocollo tradizionale. Questo studio conclude suggerendo
dopo tenorrafia achillea la ripresa immediata del carico e
dalla seconda settimana postoperatoria una mobilizzazione
di caviglia controllata (con mobilità libera in flessione
plantare e limitata a 0° in flessione dorsale). Un’altra
recente meta-analisi della letteratura [33] confrontando i
risultati di 6 studi randomizzati e 3 studi quasi-randomizzati
su un totale di 402 pazienti, conclude che il precoce carico
dopo l’intervento associato ad esercizi di mobilizzazione
articolare permettono un recupero funzionale migliore e più
rapido in associazione ad una minor frequenza di
complicanze
minori,
rispetto
alla
convenzionale
immobilizzazione postchirurgica. Pochi vantaggi sono stati
evidenziati tuttavia se veniva applicata la sola
mobilizzazione precoce.
Si evidenzia quindi come un approccio di ripresa funzionale
e di riabilitazione precoce possano fare la differenza per un
recupero migliore e anticipato anche in termini di rientro
sportivo. La metodologia e la progressione dei carichi
riabilitativi rimangono a nostro avviso il cardine principale in
riabilitazione per favorire il recupero della funzione
attraverso un graduale adattamento dei tessuti e per
prevenire le complicanze. Gli ambienti della riabilitazione
diventano quindi fondamentali. Una volta guarita la ferita
chirurgica le sedute di idrokinesiterapia favoriranno il
precoce recupero del cammino , la ripresa di articolarità, la
riduzione del gonfiore locale e la ripresa progressiva del
tono muscolare. Parallelamente le sedute riabilitative in
palestra permetteranno con i trattamenti manuali e le
terapie fisiche le riduzione dell’edema locale e favoriranno
la guarigione dei tessuti. Il lavoro controresistenza viene
introdotto
gradualmente
in
associazione
ad
elettrostimolazione nelle prime fasi riabilitative per arrivare
poi ad eseguire esercizi concentrici ed eccentrici
controresistenza progressiva fino al carico naturale. Una
volta completata la ripresa di articolarità, risolta la fase
infiammatoria post-operatoria e ripreso un adeguato
schema del cammino in assenza di ausili o compensi, si
potrà progredire verso lavori funzionali in carico via via più
intensi e associati ad esercitazioni propriocettive e di
controllo neuromotorio in associazione a rinforzo con
sovraccarichi. Quando il paziente è in grado di correre per
almeno 10 minuti su tapis in assenza di zoppia o compensi
e presenta valori di forza superiori all’80% rispetto al
controlaterale è pronto per l’inizio della rieducazione
motoria sul campo sportivo per favorire la graduale ripresa
dei gesti specifici. La fine del percorso riabilitativo assistito
e la ripresa degli allenamenti con la squadra avviene –
previo consenso ortopedico - a completamento del lavoro
riabilitativo sul campo sportivo in assenza di complicanze,
con un recupero di forzo il più possibile vicino al 100% e
con un soddisfacente recupero di
condizione atletica e metabolica in funzione dell’attività
sportiva praticata.
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HighLights
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Brumann M et al. Accelerated rehabilitation following Achilles tendon repair after acute rupture.
Development of an evidence-based treatment protocol. Injury 2014 Nov; 45(11): 1782-90
Dalla Redazione SIGASCOT: Giacomo Zanon, Alberto Combi, Marco Bargagliotti, Lorenzo Boldrini (Riabilitazione)
1/2016
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Ottobre 2015
numero 2
S IG A S C O T
HighLights
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Ottobre 2015
numero 2
S IG A S C O T
By Madame Vannini
TEMPO LIBERO
MEETING(S) … WITH ARTS & DECO’
Carissimi soci,
Per chi fosse stato (o peggio ancora non fosse stato) a Barcellona all’ESSKA
Meeting, ecco una piccola serie di cose che avreste dovuto fare e forse non
avete fatto e che magari saranno da tenere presenti per i prossimi giri nella
capitale catalana.
A parte, infatti, i grandi must di Barcellona, quali la visita alla Sagrada Familia,
ormai ad ottimo punto ed alla quale le vetrate, finalmente completate, danno una
suggestione straordinaria, la casa Batlò, la casa Milà, il parco Guell ed il museo
Picasso, che forse tutti, durante una visita e l’altra avranno visto, Barcellona offre
anche altre perle di tutto rispetto.
Vagate per il mercato della Boqueria, uno dei mercati coperti più affascinanti di
Barcellona la cui presenza è documentata già dal 1200, godetevi le divertenti
porzioni da passeggio di salumi iberici o di frutta già preparata e fatevi largo tra la
folla (fig 1).
Poche strade oltre andando verso il mare, abbondantemente rifocillati, troverete
l’indicazione per il Palau Guell. Pur meno noto di altre, quest’opera giovanile di
Anton Gaudì spicca a mio avviso per la straordinaria eleganza. Il genio del grande
artista si manifesta già in toto, pure il legame ancora presente con un certo rigore
stilistico proprio del periodo, ne fanno un’opera peculiare di estrema eleganza e,
personalmente, la mia impresa architettonica preferita tra quelle del maestro
catalano. Tra le caratteristiche architettoniche vanno menzionati gli archi di
catenaria che qui Gaudì usa per la prima volta e che saranno un elemento
costante della sua poetica architettonica.
In bellissima posizione panoramica, soprattutto se si ha la fortuna di non recarvisi
sotto la pioggia battente come ho fatto io, c’è poi la fondazione Mirò. La
fondazione, costruita sul Montjuic da Joseph Lluìs, amico personale di Mirò, vanta
una collezione brillante dell’opera dell’artista, completa anche di sculture e lavori
di tappezzeria. Assolutamente da vedere, per appassionati e non (fig 2).
1
2
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numero 2
S IG A S C O T
HighLights
By Miss Vannini
Avventurandosi, dopo queste visite, nel Barrio gotico, non si può evitare di
ammirare le stupende chiese di Santa Maria del Mar e Santa Maria del Pi, il
cui stupendo rosone toglie il fiato ed i mercatini di prodotti tipici che quasi
sempre le circondano. Perdersi nelle stradine del Barrio gotico è sempre un
divertimento. Se, vagando, si è abbastanza fortunati da riuscire a ritrovarla, a
fianco di un negozio di produzione artigianale di ventagli, oltrepassato un
portone, si finisce con l’incontrare la piccola ma suggestiva Sant’Anna.
Questa chiesetta di origine templare, la più antica di Barcellona, secondo
quanto mi dice il custode e il suo chiostro delizioso offrono un’isola di silenzio
ai viaggiatori nel pieno centro della città ad un passo dalla Rambla (fig 3).
3
Non può mancare una visiti al Palau della Musica Catalana. Progettato da
Lluis Domènec i Montaner, il palau fu considerato all’unanimità il simbolo
della nuova architettura modernista catalana e vale assolutamente una
visita anche all’interno, oltre che una serie di foto ai magnifici capitelli in
ceramiche che ne decorano la facciata. Imperdibile!
Infine, stanchi dopo la giornata, non resta che fermarsi a riposare nella
magnifica Placa reial e cogliere l’occasione per bere qualcosa al
visionario Cafe Ocana, per me uno dei locali più affascinanti di
Barcellona, ambiente eccentrico ed artistico, con i sui baristi tatuatissimi.
Affidatevi ad una delle drag queen che gestiscono la sala per trovare il
tavolino perfetto per voi.
Al prossimo Meeting!
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numero 2
S IG A S C O T
TEMPO LIBERO
HighLights
By Craccon
Partecipare ad un Congresso vuole anche dire, nei piccoli ritagli di tempo, conoscere una
nuova localita’, scoprirne, guidati da chi la conosce , gli angoli nascosti , gli aspetti piu’
caratteristici, gustarne i sapori e gli odori. In questa rubrica di puro intrattenimento
,HIGHLIGHTS, vuole fornire ai Congressisti le indicazioni di un ristorante, di un albergo ,di
un luogo di cultura poco conosciuto dai circuiti turistici tradizionali , da frequentare se per
Congresso o per diletto vi capitasse di transitare da quel posto.
MEETING(S) … WITH FOOD
17° ESSKA Congress – Barcellona (ESP)
4-7 maggio 2016, Barcellona – Spagna.
Andare a Barcellona significa immergersi nella Spagna più vivace e
divertente: cultura, mare, divertimento. Questa volta l’evento a cui partecipare è
stato il congresso ESSKA, francamente tinto del nostro tricolore per la presidenza
di Matteo Denti.
Relazioni e sessioni vivaci, interessanti, dibattute, per consolidare od allargare
l’orizzonte delle proprie conoscenze. Ma appena finiscono le sessioni, Barcellona
si rivela in tutte le sue sfaccettature: allegria, vivacità, gioia…..voglia di
compagnia. E dove meglio che a Barceloneta o nella Ramblas?
Impossibile non cedere alla tentazione di sedere su uno sgabello per una
cerveza…..che richiama una tapas….che richiama un’altra cerveza: inizia un
circolo vizioso a cui si può metter fine, con coraggio, solo quando si è esausti.
Le migliori tapas sono al porto della Barceloneta: appagato sia il gusto che
l’occhio. Bei piatti, bella gente, tanti sorrisi…..birra a fiumi.
La selezione di tapas è infinita con delle portate impossibili da lasciare.
Ovviamente si comincia con un
piatto di jamon. Attenzione però
ad essere pretenziosi nella
richiesta.
Seppure
abbiano
un’origine simile, il jamon iberico
è molto più pregiato del jamon
serrano poiché derivato da maiali
più selezionati ed alimentati con
grande cura. L’aspetto è simile
ma il pregio, ed il gusto al palato,
sono differenti. E qui, assieme ad
una bella bruschetta di
pomodoro, se na va la prima
birra…
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numero 2
S IG A S C O T
HighLights
E’ tempo di ordinarne un’altra, ma
con cosa la accompagniamo?
Assolutamente con una croquetas de
bacalao: baccala, un modesto trito
di aglio, il tutto avvolto in pastella
e fritto. Semplicemente sublime. La
prosecuzione è sempre con piatto di
mare: acciughe del Cantabrico la cui
sapidità del mare del Nord della
Spegna è meravigliosa al palato ed
aiuta subito ad ordinare…..un’altra
birretta….
Come aperitivo non c’è male. A
questo punto però non si sa bene che
fare: continuare cosi ancora un
pochino, magari con un altro paio di
tapas, o alzarsi ed andare a cena?
Sono le 10, orario normale per uscire a cena a Barcellona, la voglia di una buona
paella mi fa alzare dal mio sgabello.
La migliore paella della Bracelloneta di mangia al 7 Portes, storico locale
catalano datato 1836 (!), cioè con oltre 180 anni di storia culinaria alle spalle.
Ogni tavolo ha il nome di un personaggio della storia della musica, il servizio
forse un po’ ingessato ma non imbarazzante. La paella meravigliosa. Riso nero
(molto meglio del riso bianco, come giustamente consigliato dai catalani), pesce
freschissimo, mantecatura impeccabile, gusto intenso: ogni aspettativa è stata
ben ripagata. L’ultimo cucchiaio resta in padella (paella appunto), ma per poco:
ancora tiepido è un attimo finirlo…..con l’ultimo sorso dell’ennesima birra…..
?
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