L`ANELITO DI OETZI
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L`ANELITO DI OETZI
L’ANELITO DI OETZI Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo Associazione di Enti Locali per l’Educational e la Cultura - Ente Formatore per Docenti Istituzione Promotrice della Staffetta di Scrittura Bimed/Exposcuola in Italia e all’Estero Partendo dall’incipit di Alessandra Liverani e con il coordinamento dei propri docenti, hanno scritto il racconto gli studenti delle scuole e delle classi appresso indicate: Liceo Scientifico “Alfonso Gatto” di Agropoli – Classe III C Indirizzo Classico Liceo Scientifico “E. Majorana” di Isernia - Classi III C/E Liceo Scientifico Statale “Giancarlo Siani” di Aversa – Classi III D, IV, IV D, IV I Liceo Artistico “Sabatini-Menna” di Salerno - Classe III F ITCA “Fabio Besta” di Ragusa – Classe IV A Liceo Statale “Lucrezia della Valle” di Cosenza - Classe IV A Linguistico I.I.S.S. “Einaudi” di Manduria - Classe IV A Turistico Istituto di Istruzione Superiore “T. Confalonieri” di Campagna - Classe IV A Linguistico Liceo Scientifico Statale “G. Rummo” di Benevento - Classe III G Istituto Secondario Superiore Statale “Mazzini - Da Vinci” di Savona - Classe III Ipsia “Da Vinci” Editing a cura di: Marie Christine Marzano Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo Associazione di Enti Locali Ente Formatore per docenti accreditato MIUR Il racconto è pubblicato in seno alla Collana dei Raccontiadiecimilamani Staffetta Bimed/Exposcuola 2014 Istituzione Promotrice della Staffetta di Scrittura Bimed/Exposcuola in Italia e all’Estero Direzione e progetto scientifico Andrea Iovino Monitoraggio dell’azione e ottimizzazione delle procedure Ermelinda Garofano Segreteria di Redazione e responsabili delle procedure Valentina Landolfi Margherita Pasquale Francesco Rossi Staff di Direzione e gestione delle procedure Angelo Di Maso Adele Spagnuolo Responsabile per l’impianto editoriale Marisa Coraggio Grafica di copertina: l’Istituto Europeo di Design, Torino Docente: Sandra Raffini Impaginazione Tullio Rinaldi Ermanno Villari Relazioni Istituzionali Nicoletta Antoniello Piattaforma BIMEDESCRIBA Gennaro Coppola Angelo De Martino Amministrazione Rosanna Crupi Annarita Cuozzo Franco Giugliano I libretti della Staffetta non possono essere in alcun modo posti in distribuzione Commerciale RINGRAZIAMENTI I racconti pubblicati nella Collana della Staffetta di Scrittura Bimed/ExpoScuola 2014 si realizzano anche grazie al contributo erogato in favore dell’azione dalle istituzioni e dai Comuni che la finanziano perché ritenuta esercizio di rilevante qualità per la formazione delle nuove generazioni. Tra gli Enti che contribuiscono alla pubblicazione della Collana Staffetta 2014 citiamo: Siano, Bellosguardo, Pisciotta, Pinerolo, Moncalieri, Castellamonte, Torre Pellice, Forno Canavese, Ivrea, Chivasso, Cuorgnè, Santena, Agliè, Favignana, Lanzo Torinese, Sicignano degli Alburni, Petina, Piaggine, San Giorgio a Cremano, l’Associazione in Saint Vincent e l’Associazione Turistica Pro Loco di Castelletto Monferrato. La Staffetta di Scrittura riceve un rilevante contributo per l’organizzazione degli Eventi di presentazione dei Racconti 2014 dai Comuni di Moncalieri, Salerno, Pinerolo e dal Parco Nazionale del Gargano/Riserva Naturale Marina Isole Tremiti. Si coglie l’occasione per ringraziare i tantissimi uomini e donne che hanno operato per il buon esito della Staffetta 2014 e che nella Scuola, nelle istituzioni e nel mondo delle associazioni promuovono l’interazione con i format che Bimed annualmente pone in essere in favore delle nuove generazioni. Ringraziamenti e tanta gratitudine per gli scrittori che annualmente redigono il proprio incipit per la Staffetta e lo donano a questa straordinaria azione qualificando lo start up dell’iniziativa. Un ringraziamento particolare alle Direzioni Regionali Scolastiche e agli Uffici Scolastici Provinciali che si sono prodigati in favore dell’iniziativa. Infine, ringraziamenti ossequiosi vanno a S. E. l’On. Giorgio Napolitano che ha insignito la Staffetta 2014 con uno dei premi più ambiti per le istituzioni che operano in ambito alla cultura e al fare cultura, la Medaglia di Rappresentanza della Repubblica Italiana giusto dispositivo SGPR 01/10/2013 0102715P del PROT SCA/GN/1047-1 Partner Tecnico Staffetta 2014 Si ringraziano per l’impagabile apporto fornito alla Staffetta 2014: i Partner tecnici UNISA – Salerno, Dip. di Informatica; Istituto Europeo di Design - Torino; Cartesar Spa e Sabox Eco Friendly Company; il partner Must Certipass, Ente Internazionale Erogatore delle Certificazioni Informatiche EIPASS By Bimed Edizioni Dipartimento tematico della Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo (Associazione di Enti Locali per l’Educational e la Cultura) Via della Quercia, 64 – 84080 Capezzano (SA), ITALY Tel. 089/2964302-3 fax 089/2751719 e-mail: [email protected] La Collana dei Raccontiadiecimilamani 2014 viene stampata in parte su carta riciclata. È questa una scelta importante cui giungiamo grazie al contributo di autorevoli partner (Sabox e Cartesar) che con noi condividono il rispetto della tutela ambientale come vision culturale imprescindibile per chi intende contribuire alla qualificazione e allo sviluppo della società contemporanea anche attraverso la preservazione delle risorse naturali. E gli alberi sono risorse ineludibili per il futuro di ognuno di noi… Parte della carta utilizzata per stampare i racconti proviene da station di recupero e riciclo di materiali di scarto. La Pubblicazione è inserita nella collana della Staffetta di Scrittura Bimed/Exposcuola 2013/2014 Riservati tutti i diritti, anche di traduzione, in Italia e all’estero. Nessuna parte può essere riprodotta (fotocopia, microfilm o altro mezzo) senza l’autorizzazione scritta dell’Editore. La pubblicazione non è immessa nei circuiti di distribuzione e commercializzazione e rientra tra i prodotti formativi di Bimed destinati unicamente alle scuole partecipanti l’annuale Staffetta di Scrittura Bimed/ExpoScuola. La Staffetta 2013/14 riceve: Medaglia di Rappresentanza della Presidenza della Repubblica Italiana Patrocini: Senato della Repubblica, Camera dei Deputati, Ministero della Giustizia, Ministero per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Ministero dell’Ambiente PRESENTAZIONE Quante attenzioni, quanta positiva tensione e quanto straordinario e felice impegno nella Staffetta di quest’anno. L’emozione che abbiamo provato quando il Presidente della Repubblica ha conferito alla Staffetta la Medaglia di Rappresentanza è stata grande ma ancora e di gran lunga maggiore è stata, l’emozione, nel vedere gli occhi dei nostri ragazzi in visita al Quirinale. Ho avvertito in quegli occhi l’orgoglio di chi sentiva di essersi impegnato in un’attività che le istituzioni gli stavano riconoscendo … È quello che vorrei vedere negli occhi di quei tanti giovani che dopo la scuola, a conclusione del proprio ciclo d’istruzione, invece, in questo tempo sentono l’apprensione di un contesto che, probabilmente, dovrebbe sancire la Staffetta come buona prassi da adottare in funzione del divenire comune. Cos’è, in fondo la Staffetta? E’ un format educativo, un esercizio imperdibile per l’acquisizione gli strumenti necessari a affrontare LA VITA sentendo lo straordinario dono della vita. La Staffetta è una sfida in cui tutti si mettono insieme stando dalla stessa parte, sentendo anche le entità lontane come i compagni di un cammino comune … L’altro che diventa te stesso … Questo è la Staffetta un momento che dura un intero anno e che alla fine ti mette nella condizione di sentirti più forte e orgoglioso per quello che è stato fatto, insieme a tanti altri che hanno concorso a realizzare un prodotto che alla fine è la testimonianza di un impegno che ci ha visti UNITI (!) in funzione di un obiettivo … Si tratta di quello di cui ha bisogno il Paese e di quello che appare indispensabile per qualificare il tempo e lo spazio che stiamo attraversando. Andrea Iovino L’innovazione e la Staffetta: una opportunità per la Scuola italiana. Questo è il secondo anno che operiamo in partnership con Bimed per la realizzazione della “Staffetta di scrittura Creativa e di Legalità”. Siamo orgogliosi di essere protagonisti di questa importante avventura che, peraltro, ci consente di raggiungere e sensibilizzare un così grande numero di persone sull’attualissimo, quanto per molti ancora poco conosciuto, tema che attiene la cultura digitale. Sentiamo spesso parlare di innovazione, di tecnologia e di internet: tutti elementi che hanno rivoluzionato il mondo, dalle amicizie, al tempo libero,lo studio, il lavoro e soprattutto il modo di reperire informazioni. L’innovazione ha travolto il mondo della produzione, dei servizi e dell’educazione, ma non dobbiamo dimenticare che “innovare” significa, prima di tutto, porre la dovuta attenzione alla cultura. Da un punto di vista tecnico, siamo tutti più o meno esperti, ma quanti di noi comprendono realmente l’essenza, le motivazioni, le opportunità e i rischi che ne derivano? La Società è cambiata e la Scuola, che è preposta alla formazione di nuovi individui e nuove coscienze, non può restare ferma di fronte al cambiamento che l’introduzione delle nuove tecnologie e internet hanno portato anche nella didattica: oggi gli studenti apprendono in modo diverso e questo implica necessariamente un metodo di insegnamento diverso. Con il concetto di “diffusione della cultura digitale” intendiamo lo sviluppo del pensiero critico e delle competenze digitali che, insieme all’alfabetizzazione, aiutano i docenti e i nostri ragazzi a districarsi nella giungla tecnologica che viviamo quotidianamente. L’informatica entra a Scuola in modo interdisciplinare e trasversale: entra perché i ragazzi di oggi sono i “nativi digitali”, sono nati e cresciuti con tecnologie di cui non è più possibile ignorarne i vantaggi e le opportunità e che porta inevitabilmente la Scuola a ridisegnare il proprio ruolo nel nostro tempo. Certipass promuove la diffusione della cultura digitale e opera in linea con le Raccomandazioni Comunitarie in materia, che indicano nell’innovazione e nell’acquisizione delle competenze digitali la vera possibilità evolutiva del contesto sociale contemporaneo. Poter anche soltanto raccontare a una comunità così vasta com’è quella di Bimed delle grandi opportunità che derivano dalla cultura digitale e dalla capacità di gestire in sicurezza la relazione con i contesti informatici, è di per sé una occasione imperdibile. Premesso che vi sono indagini internazionali da cui si evince l’esigenza di organizzare una forte strategia di ripresa culturale per il nostro Paese e considerato anche che è acclarato il dato che vuole l’Italia in una condizione di regressione economica proprio a causa del basso livello di alfabetizzazione (n.d.r. Attilio Stajano, Research, Quality, Competitiveness. European Union Technology Policy for Information Society IISpringer 2012) non soltanto di carattere digitale, ci è apparso doveroso partecipare con slancio a questo format che opera proprio verso la finalità di determinare una cultura in grado di collegare la creatività e i saperi tradizionali alle moderne tecnologie e a un’idea di digitale in grado di determinare confronto, contaminazione, incontro, partecipazione e condivisione. Promuoviamo, insieme, la cultura digitale e la certificazione delle I-Competence per garantire competenze indispensabili per acquisire a pieno il ruolo di cittadino attivo nella società della comunicazione e dell’ informazione. Partecipiamo attivamente alla diffusione della cultura digitale, perché essa diventi patrimonio di tutti e di ciascuno, accettando la sfida imposta dalle nuove professioni che nascono e dai vecchi mestieri che si trasformano, in modo profondo e radicale. Tutti noi abbiamo bisogno di rigenerare il pensiero accettando nuove sfide e mettendo in gioco tutto quanto imparato fino adesso, predisponendoci al cambiamento per poter andare sempre più avanti e un po’ oltre. Il libro che hai tra le mani è la prova tangibile di un lavoro unico nel suo genere, dai tantissimi valori aggiunti che racchiude in sé lo slancio nel liberare futuro collegando la nostra storia, le nostre tradizioni e la nostra civiltà all’innovazione tecnologica e alla cultura digitale. Certipass è ben lieta di essere parte integrante di questo percorso, perché l’innovazione è cultura, prima che evoluzione tecnologica! Il Presidente Domenico PONTRANDOLFO INCIPIT ALESSANDRA LIVERANI L’uomo nel ghiaccio Correva lungo il sentiero già da un’ora e si era spinto a tal punto oltre i limiti della spossatezza fisica che provava una sorta di bizzarro distacco dal suo corpo, come se stesse osservando la sua ascesa stando a qualche metro di altezza da terra. Non era verde di erba e alberi la montagna che gli si parava di fronte né in alcun modo pittoresca, assolutamente nulla c’era che consolasse quella nudità, che ricordasse le dolci cose della vita. Eppure, come la sera prima dal fondo della gola, fermatosi a prender fiato, la guardava ipnotizzato e un semplice piacere gli entrava nel cuore. L’alba era limpida e luminosa, con una visibilità perfetta. Il sole si stava levando dalle grandi cime e faceva rilucere le ghiaie bianche che fasciavano le montagne, illuminando anche il sentiero che si stava facendo sempre più incerto e sottile, scomparendo ogni volta che incrociava i piccoli nevai che costellavano il pendio. 16 Lo aveva percorso altre volte quel sentiero, ma ora era diverso, ora ogni minuto era prezioso, il tempo correva, non ci si poteva fermare neanche un attimo, neppure per un’occhiata indietro. Non c’era tempo per perdersi a contemplare quelle incredibili cime, come aveva fatto tante volte in passato. Quando aveva lasciato la sua capanna nella vallata non aveva neppure avuto il tempo di finire le frecce che stava costruendo; le aveva comunque portate con sé, le sentiva ballonzolare nella faretra di pelle mentre avanzava sul terreno accidentato, in previsione di poterle completare nei pochi momenti in cui si fermava e si concedeva un po’ di riposo. Il lungo arco di legno lo intralciava, ma era necessario portarlo, non solo per nutrirsi uccidendo qualche animale ma anche per difendersi. Sapeva fin dal primo momento della sua fuga che lo avrebbero seguito. Anche in montagna. A un certo punto però aveva sperato che se ne fossero andati, che avessero rinunciato. Aveva deciso di vedere se lo stavano ancora seguendo. Prima aveva corso, per guadagnare terreno e arrivare a un alto costone la cui sommità permetteva di vedere lontano sul pendio sottostante; poi aveva strisciato fino 17 al margine della piattaforma rocciosa e aveva atteso fino a che il sole non si era alzato un po’ nel cielo. E a un certo punto erano comparsi. Due punti neri in lontananza, si intravedevano anche gli archi che portavano. Salivano lentamente ma senza fermarsi, uno dietro l’altro. Era una gara di velocità, poiché l’unico sentiero percorribile sulle montagne era quello che stava seguendo, lo stesso dei suoi cacciatori. E una gara di resistenza alla fatica e al freddo, che mordeva e faceva martellare la testa, ogni notte, attraverso il berretto di pelo e il mantello di pelle di capra, troppo leggeri per le rigide temperature d’alta quota a inizio primavera. Le scarpe imbottite di fieno invece erano perfette e sempre calde; d’altro canto chi le aveva confezionate, al villaggio, era famoso per la sua maestria. Al terzo giorno le forze cominciarono a mancargli; tentava di farsi forza ma cominciava a disperare di potercela fare. Si fermava sempre più spesso. E sempre più spesso, chissà perché, sostava e guardava le montagne, nella loro silenziosa, incredibile, distanza. Guardava, sorrideva e gli tornavano alla mente le parole del vecchio del suo villaggio, nella valle in cui era nato: “Tutto quanto fugge via, gli uomini, le stagioni, le nubi; e 18 non serve aggrapparsi alle pietre, resistere in cima a qualche roccia, le dita stanche si aprono, le braccia si afflosciano inerti, si è trascinati ancora nel fiume, che pare lento ma non si ferma mai”. 19 CAPITOLO PRIMO La predizione Quella punta tagliente che frammentava il gelo dell’aria non sembrava rifulgere la rabbia delle dita che l’avevano scoccata, ma minacciosa incombeva sulla sua preda come un’aquila delle alte montagne. Frenò la sua picchiata la pelle di un uomo solitario intento a lavorare la legna. La freccia, foriera di morte, lo colpì. Le membra subirono la pungente agonia di quell’istante: rapide scosse, fiato intermittente, caldo, poi freddo; il corpo smorto sulla neve si adagiò, trovò sollievo e un venticello sfiorò e fece vibrare lievemente la sudicia barba. “Aspettami, arrivo! Lì, fra le nuvole, ci rivedremo, più in alto di quella cima, dormiremo sonni tranquilli”. Come una fiammella che, dopo aver bruciato incessantemente un’intera notte, si arrende, ormai fiacca, così la forza dell’uomo si dissolse dopo aver tentato pervicacemente di resistere. Subito dopo le ombre della notte ebbero la meglio. Iniziarono a incombere il buio e il silenzio. Poi, a un tratto, uno spiraglio di luce attraversò l’oscurità e il silenzio venne interrotto da una voce 20 La predizione grave: «Sapevo che saresti venuto. Lo spirito delle madri richiama sempre gli uccelli al nido». Era una donna con capelli bianchi, dal viso sporco, segnato dal passare degli anni, e dallo sguardo vitreo. Se ne stava accucciata in un angolo umido e stagnante. L’ambiente chiuso e polveroso soffocava il giovane che, immobile, osservava alcuni oggetti: una pentola di rame sulla brace ancora ardente dalla quale esalava il profumo della carne di cervo, coltelli, sassi tondi e levigati, vecchi utensili metallici da cucina. Sembrava tutto così vecchio e abbandonato all’incuria del tempo. «Sono Qetsiah, colei che vede le aquile in cielo prima che spicchino il volo, l’oceano in bufera prima che si innalzino le onde, la padrona del destino degli uomini». Gli venne naturale sussurrare: «Io sono…» «Oetzi, sì lo so» lo interruppe la donna accennando un sorriso. “Come fa a conoscere il mio nome?” pensò “Perché sono qui? Di chi è la voce che mi ha spinto a entrare?” La voce della donna interruppe i suoi pensieri: «Due montoni affamati si contendono un filo d’erba. L’erba sarà del montone dall’occhio di marmo. L’occhio non è un cerchio, ma una sfera. È proprio lì dove ci si abbevera». Capitolo primo 21 Le parole della donna condussero Oetzi in uno stato di confusione dal quale cercò di uscire allontanandosi e incamminandosi verso il villaggio… Trascorsero i mesi autunnali e l’inverno si impose con prepotenza: nevicate notturne, nubi nere gonfie di pioggia insieme con venti impetuosi componevano assordanti tempeste… Troppo sbiadito era divenuto il ricordo dei colori sgargianti di ottobre, del sapore dei frutti secchi raccolti nei boschi, della vitalità del suo amato villaggio alle pendici della Cima Nera. Kamak era il suo nome, in onore del leggendario capo tribù che mille anni prima lo aveva fondato sfidando le forze misteriose e onnipotenti della natura. Camminava a fatica; i suoi piedi sprofondavano nella neve impedendogli di proseguire speditamente verso la sua capanna. Improvvisamente Oetzi sentì riecheggiare un frastuono che proveniva da est, in direzione di Kamak. “No, non può essere… Cosa sta succedendo?” Mentre percorreva il ripido sentiero, egli continuò a sperare che quel chiasso fosse frutto dell’entusiasmo per un evento insolito o per una festa religiosa. Finalmente giunse al villaggio, stremato e senza più forze nelle gambe. Gli si stagliò dinanzi uno scenario di morte e sofferenza 22 La predizione atroce. Era l’inferno: saccheggiamenti, furti di innocenza di giovani fanciulle, fiamme che investivano le capanne inghiottendo la gente che vi dimorava, urla strazianti di uomini e donne depredate che cercavano di sfuggire alla crudeltà delle lance e degli archi di guerrieri armati, pianti disperati delle madri accanto ai corpi carbonizzati e inermi dei propri figli, la profanazione della statua di legno del dio Sole, fumo che offuscava qualche orribile scena di massacro, animali in fuga che si disperdevano tra le strade insanguinate in cerca di riparo. Avveniva lo sterminio di una tribù. «Oetzi, grazie al cielo, sei vivo! Ti stavo cercando, dobbiamo andare via o moriremo!» urlò un giovane alle sue spalle. Era Silas, suo amico di infanzia, insieme alla sorella Ilya. Non se lo fece ripetere una seconda volta. Capì che erano in pericolo e che soltanto la fuga li avrebbe potuti salvare. Si guardò la schiena per controllare di avere la faretra con le frecce. Non se ne separava mai, era il suo kit di sopravvivenza. Le gambe si mossero, prima la destra poi la sinistra e così via fino a prendere una velocità tale da sembrare di volare. Era una gara a chi riusciva ad arrivare prima alla salvezza. Erano giovani, ma il fiato veniva meno anche a loro; eppure continuavano nella loro impresa. I tumulti si stavano spostando nella loro direzione e, come una giCapitolo primo 23 gantesca macchia d’olio, si espandevano causando morte. Salirono in fretta nonostante la ripidezza delle rocce. Trovarono un antro, una piccola bocca aperta che aspettava di dare ospitalità a qualcuno. Erano loro gli ospiti quel giorno. Si rifugiarono in profondità fin quando i reciproci respiri presero il posto delle urla. Silas, quando il suo respiro si fece meno affannoso, disse: «Non pensavo potesse accadere davvero. Da giorni mio padre era preoccupato per la contesa di un territorio vicino al fiume. Diceva di non essere il solo a volerne il dominio». «Chi erano quei guerrieri armati di lance e archi? Quale il loro villaggio?» domandò Oetzi. «Wort» rispose Ilya «un insediamento a ovest. I suoi abitanti sono spietati e senza scrupoli. Nostro padre ha tentato invano di trattare con loro, ma hanno rifiutato dicendo che avrebbero conquistato quel territorio con la forza. Se si fosse opposto alla loro decisione, essi avrebbero massacrato la sua gente. E così è stato». Oetzi ascoltava quelle parole incredulo della crudeltà del genere umano. Il sole calava dietro l’orizzonte. Quella terribile giornata giungeva al termine e il sonno gravava sulle palpebre. Oetzi si addormentò. 24 La predizione Scrosci d’acqua, il vento soffiava tra le fronde di un alto faggio; due montoni corpo a corpo, solo uno si sarebbe impadronito di quel filo d’erba tanto ambito. Tuttavia, il montone dall’occhio di marmo intimoriva l’altro che iniziò ad accasciarsi, stremato, come se stesse subendo l’influsso di una forza straordinaria che lo sovrastava e lo schiacciava… Cosa aveva generato quell’energia misteriosa capace di indebolire l’altro montone? Immobile restava il fiero vincitore dinanzi al suo rivale morente. Il suo occhio emanava una luce bianca, accecante che, diffondendosi lentamente, avvolse l’ambiente circostante… Oetzi si svegliò di colpo, il suo sussulto destò Silas. «Cos’hai, Oetzi? Stai bene?» gli chiese «Sei pallido». «Ho fatto un sogno strano: due montoni, un filo d’erba, un occhio di marmo… Tutto ciò mi è familiare, è come se avessi già visto questa scena» gli rispose. D’un tratto un flash: una capanna, un’anziana donna dallo sguardo vitreo, parole enigmatiche e incomprensibili; anch’esse parlavano della contesa fra i due animali. Sicuramente alludevano a qualcos’altro. Se solo avesse saputo il loro vero significato! “Perché Qetsiah mi ha riferito ciò?” pensò. Oetzi era del tutto inconsapevole dell’impresa che lo attendeva Capitolo primo 25 CAPITOLO SECONDO All’alba di un nuovo giorno Alle tiepide luci dell’alba i raggi accarezzavano i ripidi pendii dei monti circostanti. Le acque del lago ai piedi della maestosa Cima Nera erano coperte dal gelo. Lì, sulla riva ghiacciata, Oetzi, destatosi in preda a un insopportabile tormento, era assorto ad ammirare i paesaggi della sua infanzia. Non riusciva a trovare un senso a ciò che gli stava capitando, si sentiva confuso, turbato, ma starsene in quel silenzio lo rasserenò. Così, mentre Silas e Ilya continuavano a riposare, sfiniti dalla fuga, si incamminò lungo la riva del lago, seguendo con lo sguardo il volo di una maestosa aquila. Tornò indietro nei ricordi a quando, ancora bambino, aveva quasi sfidato la Cima Nera, l’invalicabile Montagna dalla quale si fuggiva solo a sentirla nominare. In quegli anni il disgelo aveva fatto affiorare nuova roccia, insidiosa e oscura e, per questo, ideale rifugio della regina dei cieli. Cercava allora proprio l’animale, anzi le sue uova appena schiuse. Il sole era alto, quando nel silenzio delle capanne Oetzi si era incamminato verso la Montagna, lasciandosi alle spalle le colline a 26 All’alba di un nuovo giorno lui familiari. Il nido era più in alto di quanto pensasse, ma era determinato a raggiungerlo. Era già pronto a scalare le ultime pareti, quando il vecchio eremita della Montagna, conosciuto per la sua saggezza, gli si era mostrato e, con uno sguardo e una voce inquieta, aveva sussurrato: «La Montagna è un’amica e una nemica terribile: non perdona chi l’affronta con leggerezza». Sentenziato ciò, era scomparso fra le rocce, lasciando Oetzi in preda al terrore. Quello sguardo, quelle parole lo avevano turbato, non riusciva più a muoversi o a pensare e, quasi d’impulso, aveva deciso di tornare al villaggio. Il grido di quei meravigliosi rapaci lo riportò su quella riva del lago, gelida come non mai. Decise pertanto di tornare alla grotta, nella quale aveva lasciato i suoi compagni e di congedarsi da loro per dirigersi verso il suo villaggio. Giunto nelle vicinanze, il giovane stentò a credere ai propri occhi: dinanzi a lui si apriva uno scenario terrificante, di morte e distruzione. Vedere i luoghi in cui aveva trascorso infanzia e adolescenza annientati dalla crudeltà dell’uomo lo incupirono e un’accorata tristezza si insinuò tra le sue carni come una lama, mentre la rabbia trapassò il suo volto e la voglia di un riscatto immediato scosse il suo animo. Capitolo secondo 27 Muovendosi cautamente tra i resti spenti dell’incendio, giunse a quella che era stata la sua capanna. Di essa non rimanevano che poche tracce. Lo sguardo si posò sul viso di una donna: riconobbe subito sua madre. Oetzi versò tutte le sue lacrime nel darle l’ultimo saluto e continuò il suo cammino, più sconsolato che mai. Con quel pesante macigno sul cuore si avvide di un’abitazione, che sembrava l’unica non toccata dalla distruzione. Era il rifugio del vecchio saggio del villaggio, vicino al resto delle abitazioni ma ben nascosto dalla collina, così da essere evitato dai saccheggiatori in fuga. Ogni suo passo aveva il sapore della sfida e della speranza e, quando finalmente Oetzi si fu avvicinato, si convinse che all’interno vi fosse qualcuno. Entrando, il leggero cigolio della porta annunciò la sua presenza al vecchio Akash, che gli parve diverso da come lo ricordava. Il tempo aveva fatto il suo corso e gli anni avevano inciso una ragnatela di rughe sul suo volto. Non appena si fu avvicinato, il vecchio lo invitò a sedersi accanto a lui, in quel luogo percorso dal tempo come colui che vi abitava. Non gli chiese chi fosse o cosa volesse perché lo sapeva già. Si strinsero la mano con un gesto animato, che li ricondusse a un tempo passato e che trasmise a 28 All’alba di un nuovo giorno entrambi tanto calore quasi da sentirsene il cuore bruciare. Oetzi pensò che mai prima di allora aveva avuto a che fare con un uomo del genere, dalla presenza che non incuteva imbarazzo ma profonda fiducia. «Tutto quanto fugge via, gli uomini, le stagioni, le nubi e non serve aggrapparsi alle pietre, resistere in cima a qualche roccia. Le dita stanche si aprono, le braccia si afflosciano inerti, si è trascinati ancora nel fiume, che pare lento ma non si ferma mai. «Il passato fa di noi quello che siamo. I ricordi ci legano a ciò che è stato ma non dobbiamo permettere loro di ostacolarci nell’avvenire. Gli spiriti vegliano sull’uomo e in particolare su di te, Oetzi. «Tu non sei un uomo come tanti, a te è stato dato un compito duro, guarda al futuro con i tuoi occhi, fa’ che il presente ti conduca a un avvenire simile al passato. «È questo il tuo destino e io non sono l’unico a desiderarlo, ma lo vogliono anche quelli che sono al di sopra di tutti». Oetzi iniziava a capire ciò che gli stava accadendo, ma mancava ancora un tassello perché la sua comprensione fosse totale. «Akash, cosa rappresentano i due montoni?» chiese. «Sta a te comprenderlo. Comunque sappi che è il Cielo a scegliere i figli prediletti: se ha deciso che il tuo destino dovrà seguire Capitolo secondo 29 quella strada, non puoi ribellarti, accettalo e compi la tua divina missione». Akash porse allora una delle sue mani rugose al giovane che gli stava di fronte, il viso teso e al tempo stesso compiaciuto. Gli chiese di allungarsi e lo convinse a togliersi i vestiti, mentre egli si accingeva a imprimere su di lui il volere degli dei. Preparò una miscela nera come il carbone e, con un ago acuminato immerso nel colore e poggiato sul corpo del giovane, impresse in lui una nuova forza. Oetzi riusciva a percepirla, intensa, calda, divina. Linee dai tratti marcati emersero sul corpo del ragazzo e, tra queste, quella raffigurante un montone. Il giovane comprese l’onore di portare ora su di sé i segni dei guerrieri. Subito dopo Akash porse al giovane degli indumenti, tra cui un paio di stivali confezionati da lui stesso, e lo congedò. Oetzi tornò alla sua capanna e rovistò tra quello che restava alla ricerca di arco e faretra. Prese anche le frecce che non aveva potuto terminare e s’incamminò verso la Montagna. Ilya Alida li guardava con ammirazione e orgoglio materno correre lungo la vallata fino alla riva del fiume. Rincorrersi era il loro 30 All’alba di un nuovo giorno gioco preferito. Silas era il più veloce, ma la piccola Ilya si impegnava ogni giorno per cercare di batterlo. Non immaginava mai che un momento così lieto di lì a poco avrebbe avuto fine. Quella tranquillità fu infatti interrotta all’improvviso dal calpestio frettoloso di zoccoli sul terreno e dalle urla spaventose degli assalitori. La donna, che fino a pochi attimi prima guardava le sue dolci creature divertirsi nella spensieratezza dell’infanzia, ora tentava di divincolarsi dalle avide e rudi braccia che la ghermivano, mentre il marito cadeva pesantemente a terra, privo di vita. Le urla della donna svegliarono Ilya di soprassalto e la riportarono al presente, fatto solo del ricordo del dolore provato per non aver potuto salvare la madre. Silas notò il suo sguardo turbato e le si avvicinò. Dopo che gli ebbe raccontato il sogno, lui le accarezzò dolcemente il viso e, nel guardarla intensamente, rivide nei suoi occhi quelli di sua madre. I due fratelli si abbracciarono e Silas sentì il calore che il suo esile corpo gli trasmetteva. «I ricordi fanno parte della nostra vita e danno forza al nostro futuro» disse Oetzi amaramente. «Pensiamo ora al presente: cosa intendi fare?» Capitolo secondo 31 «Voglio ritrovare la mia strada, voglio che i miei sonni non abbiano incubi. Voglio che il sacrificio di nostra madre abbia ora un senso. Per me e per le donne come lei» rispose con inattesa decisione Ilya. Silas Silas guardava la Valle sottostante, cogliendo ogni vibrazione della foschia, quando il primo candore dell’alba aveva già acceso le pietre all’ingresso del suo rifugio. Rincuorato dalla luce del giorno, decise allora di riprendere il cammino. Silas era stato educato in conformità all’unica opprimente autorità di Kamak che, in qualità di capo tribù, non era stato capace di scindere il suo ruolo di padre da quello di rude guerriero. In forza di ciò, aveva acquisito una personalità enigmatica ma tenace, che lo aveva portato progressivamente a svincolarsi dal dispotismo paterno e ad assumere maggiore fermezza nelle decisioni. In questo drammatico frangente si preoccupava di ciò che potesse essere accaduto nei villaggi limitrofi, in quanto gli eventuali superstiti avrebbero potuto aiutarlo a comprendere la dinamica degli avvenimenti. Silas dunque procedette immediatamente verso ovest, in direzione del villaggio ritenuto colpevole del brutale attacco inferto alla 32 All’alba di un nuovo giorno sua gente. Il giovane camminò a lungo finché scorse un villaggio in fiamme: non vi era anima viva, apparentemente. Fra i corpi sparsi al suolo si udì una voce che chiedeva aiuto. Una ragazza era imprigionata sotto il tronco di un albero. Silas accorse e liberò la donna, chiedendole preoccupato: «Qual è il tuo nome? E, per gli Dei, cosa è accaduto?» La ragazza rispose: «Sono Elsha, unica figlia di un umile pastore di nome Ahmet. Il mio villaggio è stato sterminato da una banda di carnefici assetati di sangue! Non so bene quale fosse il loro fine, o se avessero un fine, tanta è stata la loro spregevolezza… Ma tu perché ti trovi in questo luogo infernale?» «Sto cercando quanti più superstiti possibile per avere informazioni sui nostri nemici, gli stessi che hanno portato morte e distruzione nella Valle» rispose Silas. La ragazza, pur ferita e dolorante, affermò decisa: «Mio padre è riuscito a fuggire. Io verrò con te». I due si incamminarono lungo un oscuro sentiero, di cui rimanevano ancora celate le maggiori insidie. Capitolo secondo 33 CAPITOLO TERZO Sulla Montagna Una volta vi erano uomini che riversavano la loro vacuità di spirito nell’alienante lavoro manuale, nel lavoro dei campi. Eppure c’erano, tra questi uomini poveri e vacui, altri tipi di uomini gonfi di forza fisica e coraggio che, nell’animo, sentivano il peso della leggerezza, della non-conoscenza, di quella saggezza divina di cui erano stati privati. Le bisacce sulle spalle portavano pochi viveri e gli indumenti di pelle di capra erano un impaccio d’estate e inservibili d’inverno. Erano uomini bisognosi di una mano massiccia in grado non solo di stringere una pala o di tirar le redini di una vecchia giumenta, ma anche di sorreggere il petto negli spasmi e sospingere fedelmente verso un destino certo e sicuro. Essi anelavano la conoscenza sfidando, con coraggio, le sferzanti intemperie e gli infernali sudori della Montagna per assaporare il succo della sua verità. Oetzi era una briciola misera della realtà povera d’un qualunque villaggio in lotta con altre tribù. Le faccende che gli occupavano i giorni erano i consueti conflitti, futili e non degni d’interesse, riguardo alla contesa dei terreni, la suddivisione dei campi e il pa- 34 Sulla Montagna scolo delle vacche. Eppure era uno di quelli con l’anima sfiatata: in un soffio, insieme alle ceneri, il suo tutto era stato portato via dal vento e avvertiva un vorace bisogno di incontrare se stesso nei monti. Così si era allontanato dal villaggio in guerra, inseguito dalle fiamme che fendevano i campi e le capanne nude, perseguitato da uomini stolti che facevano della propria grettezza la sola forza. Il sangue che gli fluiva nei meandri della mente e che lo spingeva sin lassù, verso la Montagna, era la linfa del suo essere. Tra i monti, lo sentiva, scorreva la sorgente fresca della consapevolezza più intima e genetica. E la Montagna era proprio lì. Immersa nella purezza assoluta da secoli, muta testimone dei mali dell’uomo, rappresentava il connubio del gene divino e umano. Da lì il sapere alto, la conoscenza si librava sulle teste degli uomini; un sapere mai fine a se stesso ma bene assoluto da promulgare perché potesse diventare patrimonio di tutti. Albeggiava quando Oetzi si mise in cammino, con la faccia sporca dei fumi maligni del villaggio. Tra le nuvole lisce e sottili si stava facendo spazio un sole gelido che scintillava fiocamente e guadagnava pian piano la cima dei monti. Il suo viaggio: una scalata per il risveglio e la resurrezione! Capitolo terzo 35 Prima di iniziare la salita, si fermò alle pendici luccicanti di brina e si voltò a guardare per l’ultima volta il suo villaggio in fiamme. Le capanne ardevano della stoltezza e leggerezza d’animo di quegli uomini vuoti e ottusi. Tra le macerie s’illuse di vedere il volto pio della madre, il seno che lo aveva abbeverato e che lo aveva fatto crescere forte come il suo popolo, ma vuoto come la sua condizione di uomo. Grigio e scialbo, privo di una forma ma con un vigore imbattibile e un coraggio incommensurabile ora sputava sul passato ed era sospinto verso la sorgente della consapevolezza di sé. Oltre i monti il nulla, perché la grandezza della Montagna lo faceva cieco d’ogni realtà che essa gli teneva nascosta e conservava in sé la causa formale e l’integra essenza. La guida del saggio Akash si stagliava nel pensiero di Oetzi come caposaldo della sua avventura. Perché la guida è tale quando, pur se l’orizzonte è perso, indirizza sempre i suoi figli incontro a un chiaro avvenire. Un vecchio ciondolava nella sua capanna in attesa del rogo che avrebbe arso il suo villaggio e deviava la strada ai viaggiatori. La meta si faceva più lontana, il confine più confuso. Il giovane osava l’ascesa alle alture con la mente, al sicuro nella bugia d’una fatua guida protettrice. 36 Sulla Montagna “Perché la capanna del vecchio saggio era rimasta illesa dall’attacco nemico? Dov’era questi quando l’atroce atto veniva compiuto?” Ai suoi stessi interrogativi Oetzi rabbrividì. Il marchio del montone ardeva sulla pelle rattrappita sotto le vesti pesanti e rugose. I drappi e le pezze strofinavano, seguendo il ritmo del suo passo incessante, la superficie disegnata e infuocata. La cima era ancora distante e la Montagna serbava ancora mille supplizi per l’audace viaggiatore. Così come era sorto, dopo le ore dilatate, il sole cominciò a tramontare e le ombre degli alberi aguzzi fecero i loro meschini schizzi sulla figura di Oetzi che si proiettava nel niente. Prima di abbandonare il cielo terso, il grande astro lasciò al suo posto gruppi sparsi di nubi cariche di purezza che riversarono le loro acque sul giovane. I tendini delle gambe tiravano e pulsavano e i piedi erano sbriciolati negli stivali sporchi. Lo stomaco si contorceva in cupi moti di appetito in mezzo all’addome rigido del viaggiatore. La pioggia gelata lavò il volto di Oetzi dalla polvere volgare e ripugnante dei fuochi del villaggio. L’animo del giovane si fece puro, aperto e la pancia sembrò calmarsi senza saziarsi. L’acqua Capitolo terzo 37 ghiacciata, che gli scorreva in mezzo alle pezze pesanti sul corpo, donava frescura al marchio dolente. Si distinguevano i profili sottili del montone, sovrano in mezzo alle righe brucianti sulla pelle dura e forte di Oetzi. Non la forza che lo aveva spinto a partire per l’ignoto gli era venuta a mancare, non la nobile virtù dell’audacia lo aveva abbandonato. Il divino vegliava su di lui e lo fissava dalla cima dei monti, il saggio Akash non aveva mentito. Una cosa aveva appreso dall’esperienza: era arrivato il momento di fermarsi poiché le insidie che la foresta celava prendevano vita nelle notti più scure. S’allungava nell’eco del vento l’ululato mesto di un lupo ferito. L’aria rarefatta riempiva i suoi polmoni: bisognava accendere un fuoco per la notte che non s’era lasciata attendere. Disteso presso una quercia, Oetzi, solo ora che il calore delle fiamme lo avvolgeva, cominciò a sentire gradualmente la stanchezza coagularsi dolorosamente nelle fibre rigide del corpo. Terrificanti forme aveva preso Morfeo la notte precedente, ma immagini più lievi calavano ora al suo fianco e gli facevano compagnia: il calore vellutato delle fiamme gli riportò alla mente le tiepide sere estive, quelle sere in cui era solito accucciarsi 38 Sulla Montagna con la madre presso l’albero maestro a osservare lo spettacolo che offriva la Via Lattea. “Vedi quella stella lì in alto, Oetzi? Un tempo un uomo la ripose lì perché tu un giorno potessi raccoglierla”. Quasi sentiva la voce vivida e carezzevole della donna che lo aveva allevato e che lo aveva fatto crescere forte come il suo popolo. A questo ricordo, l’ormai grande Oetzi sorrise. Il fuoco amico parve rispondere a quell’accenno di tenerezza e nostalgia. Chiuse gli occhi e, accompagnato dal ticchettare lento del fuoco, si abbandonò a un sonno profondo. La notte parve estendersi nell’infinità dei monti e la pioggia cessò solo quando il viola albino prese di nuovo il posto dei vespri bui. Avanzava Oetzi, nel verde madido e pulito delle montagne. A quell’altezza sembrava di vedere una parte più grande di paesaggio, rispetto a quando la scalata era cominciata. S’avvicinavano l’eterno sapere e la divina consapevolezza. S’incamminò lungo un’ampia prateria dove le rondini mattutine disegnavano i loro voli tra i fili d’erba. Gli uccelli magri s’abbattevano sul terreno fresco per poi schizzare in mezzo all’arancio delicato del cielo freddo alle prime luci dell’alba. Capitolo terzo 39 L’umidità e la pioggia gli facevano galleggiare i piedi negli stivali grossi. Il vento gli gonfiava l’animo di un assaggio limpido della bramata linfa. La cima era più che vicina. Cominciò a correre in mezzo alle rondini e all’erba alta, con le braccia aperte che spezzavano l’aria. Inspirò e giunse al margine della prateria. Un precipizio alto e buio gli tagliava la strada. I piedi, lunghi negli stivali, sporgevano dall’orlo traballante e terroso. Alle sue spalle le rondini si assopirono nella selva chiara. La terra gli franò sotto le scarpe. Sotto di lui un dirupo infinito. Non le alture e la conoscenza. Un burrone, un baratro, una voragine. Un ripido buco di frustrazione e fallimento. Aveva preso la strada sbagliata. 40 Sulla Montagna CAPITOLO QUARTO Rivelazione Aveva preso la strada sbagliata. La sua forza evaporò, sentì un buco nello stomaco, questa volta non dovuto alla fame, ma alla sensazione di fallimento che provava. Aveva perso tutto, si sentiva tradito da quella grande forza che lo aveva guidato. Doveva abbandonarsi al burrone lasciandosi sconfiggere dallo sconforto? O doveva cercare di salvarsi allontanandosi da quel vortice di emozioni negative? Era immerso in una profonda frustrazione, ma pensò al suo obiettivo; doveva salvarsi. Si allontanò, lentamente, dal burrone cercando di farlo a passi lenti e corti, guardando ancora perplesso tutto ciò che lo circondava. Forse non stava facendo la scelta giusta, forse abbandonarsi a quella voragine avrebbe assopito il suo sconforto, ma non voleva tirarsi indietro, doveva tentare. I suoi occhi si caricarono di una forza sovrumana, pieni di voglia di riscatto ma la sua mente smise di pensare, abbandonandolo a un enorme senso di vuoto, pieno soltanto dei flashback terrificanti che tormentavano il suo cervello. In un istante i suoi occhi furono pieni di quella stessa 42 Rivelazione paura e sofferenza che aveva avvolto gli sguardi della sua gente. Si sentì inutile e perso. Mosse qualche altro passo in cerca di una strada praticabile, inciampò, poi franò. Si accorse che i suoi spostamenti non erano sufficienti e la terra franò nuovamente portandolo dove i suoi dubbi avevano avuto inizio. Capì che tutti i suoi sforzi erano vani e si abbandonò a quel vortice di negatività e sconforto, che lo tormentavano. Nell’esatto momento in cui cadde, disorientato, i suoi pensieri presero il sopravvento su di lui e rimasero sospesi in aria come una punta tagliente che minacciosa incombe sulla preda. Steso inerme, con gli occhi serrati, continuò a pensare che non poteva finire così; i suoi sforzi di fuga non dovevano esser vani. Oetzi riaprì gli occhi e avvinghiò le sue mani strette alla parete del burrone; riuscì ad aggrapparsi a una radice che si immergeva nella terra inconsistente: ora quella radice rappresentava la sua salvezza. Consapevole del fatto che non avrebbe resistito a lungo decise di non lasciarsi andare come una foglia trasportata via dall’aliseo. Oetzi era là, penzolante, stanco e confuso, si sentiva solo e vuoto. Capitolo quarto 43 Ormai la radice stava per cedere alla gravità e lui con lei. Mentre il suo corpo, pesante come un macigno, lo spingeva sempre più verso il basso, iniziò a osservare e a riflettere su quella bellezza così naturale e unica che lo circondava e sentì come se l’inevitabile abbandono non fosse poi così inevitabile. Come poteva abbandonare questa sua vita e questo straordinario Eden che lo circondava, come poteva minimamente pensarlo? Il suo corpo, ormai troppo stanco e dolorante, non riusciva più a tener la presa ma non si sarebbe dato per vinto; dopo tutti i dubbi che avevano annebbiato la sua mente, aveva preso una decisione: non sarebbe morto, ora. Decise di chiedere aiuto, pur consapevole che il suo salvatore poteva essere il suo inseguitore, ma provò ugualmente a gridare dal buio di quella voragine agghiacciante. Ogni tentativo di emettere un qualsiasi suono, però, fallì; le ghiandole situate in fondo alla bocca si ingrossarono impedendo che la voce uscisse. Si sentì soffocare come se il nemico gli stesse stringendo la gola. Poi in un attimo qualcosa lo colpì. Cedette. Nella caduta il senso di vuoto invase ogni millimetro del suo corpo, l’aria sul volto sembrava non farlo respirare. Adesso aveva paura: paura di morire. 44 Rivelazione L’impatto con l’acqua gelida lo stordì, mentre riemergeva ebbe appena il tempo di scorgere l’enorme dirupo da cui era caduto e la scia di acqua rossiccia che proveniva dalla sua spalla. Sanguinava. Una freccia lo aveva colpito, ma chi era stato? Forse gli stessi che avevano saccheggiato e arso il suo villaggio? Aveva freddo, troppo freddo. Era come se quelle acque gelide gli avessero immobilizzato i muscoli, mentre il dolore lancinante alla spalla era sempre più forte. Cercò di tirarla via dalla carne, doveva sopravvivere, non poteva, non doveva finire così. A quel punto Michelangelo interruppe la lettura. Da quando aveva iniziato a leggere un senso di angoscia lo devastava dalla gola fino allo stomaco. Perché si sentiva così? Aveva sempre odiato i deja-vu; ogni volta cercava di ricordare a quale momento passato si collegasse il presente, ma non ci riusciva mai. Ciò lo infastidiva, ma questa volta era diverso. Senza capire perché era convinto che il libro parlasse di lui, gli appartenesse, si sentiva protagonista e testimone primario. Tornò a casa di corsa correndo come non aveva mai fatto prima, come se fosse una questione vitale. In un attimo l’ingresso della biCapitolo quarto 45 blioteca era già un miraggio; correva senza conoscerne il motivo ma ne sentiva l’esigenza, ancora rapito da quelle pagine che lo avevano intrappolato in una prigione senza tempo. Raggiunse la sua camera con una falcata che inghiottiva tre scalini per volta, con un gesto di impeto e pieno di una forza che stranì lui stesso; liberò la tastiera del computer, sotterrata dai vestiti sulla scrivania, e digitò “Oetzi”. Non era convinto che la ricerca portasse a qualcosa, né in realtà sapeva cosa stesse cercando e perché; la sua era solo una forte sensazione accompagnata dai battiti del cuore che pulsava in gola. “Ecco!” pensò. Comparve l’immagine di una mummia distesa tra la neve. Sussultò sulla sedia, le lacrime spontaneamente gli rigarono il viso: all’improvviso gli fu tutto chiaro. Era cattolico da sempre, la sua famiglia lo era, aveva sempre creduto in un inferno e nel paradiso dopo la morte… Ma allora perché? Chi era Oetzi? Chi era davvero lui ? Non credeva nella metempsicosi, non vi aveva mai creduto, eppure… Continuava a fissare il monitor del computer, mentre i suoi occhi erano persi in uno sguardo vuoto e catatonico. Una consapevo- 46 Rivelazione lezza si faceva sempre più spazio nella sua anima; consapevolezza cui però non riusciva a dare senso, ma che avvertiva, vera e prepotente dentro di sé: sentiva che il corpo in quella mummia gli era appartenuto. Diverso nell’aspetto, diverso nel nome ma era lui, ne era certo, lo sentiva nel profondo del suo cuore. Fu come se quel corpo abbandonato tra la neve gli avesse restituito la memoria. Una memoria vecchia migliaia di anni e all’improvviso tutto apparve chiaro. Avvertì tutti i dolori di quel corpo straziato tra la neve, il calore che gli regalavano le pellicce di cui era avvolto, il brivido primitivo della caccia, le gioie, tutti i suoi ricordi. Per alcuni minuti piombò a cinquemila anni prima, osservò le cose con gli occhi di Oetzi, riconobbe le strade e i volti che lui conosceva. Corse allo specchio e non si riconobbe, gli fu necessario guardare la data sul computer per capire dove fosse. Tutto gli era chiaro, anche se non riusciva a capacitarsi di come fosse possibile. Continuava a squadrarsi dalla testa ai piedi, fissava il suo viso allo specchio, ma il viso che stava guardando non era lo stesso che si rifletteva nel letto del fiume nei pressi del villaggio quando, appena sveglio, andava a lavarsi. Non sapeva più chi fosse, ma si sentiva entrambi con la stessa intensità. Ora capiva Capitolo quarto 47 perché gli piaceva così tanto andare in montagna in inverno, ora capiva la passione per gli archi. Non poteva essere vero, sembrava tanto un film di fantascienza. Iniziò a guardarsi le mani e, incredulo, si sedette. L’angoscia gli spezzava le gambe in due. Si sentiva a metà tra due mondi, fuori da tutto. Come capire? Come scegliere? Cosa fare? Si sentiva spaesato, disorientato, schiacciato da una consapevolezza ma incapace di fare, come un ignavo dantesco incapace di scegliere. Il corpo in una dimensione, l’animo in un’altra. Un vero e proprio scherzo del tempo. Ma chi era veramente, chi doveva essere, chi era meglio che lui fosse? Doveva uscire, evadere, urlare, rompere quel velo di assurdità che era calato sulla sua vita da quando aveva letto quel libro. Eppure sentiva l’esigenza sempre più forte di tornare tra quelle montagne che adesso sentiva sue, con il suo coltello di selce e il suo arco, fedele compagno nella caccia. Sebbene il suo cervello, unico ponte tra lui e l’altro sé, continuasse a ripetere come un disco incantato le parole: “Tra poco ti svegli, tra poco ti svegli!”, forse per impedire che impazzisse, Michelangelo continuava incessantemente a chiedersi dove fosse finito l’uomo che cinquemila anni prima aveva lottato con le unghie e con i denti per sopravvivere. 48 Rivelazione Era davvero lui? Si faceva sempre più incalzante una consapevolezza, una forza, una rabbia che non gli erano mai appartenute prima: doveva aggrapparsi di nuovo a quella radice e questa volta risalire, prendere in mano le redini del destino. Non cadere, evitare la freccia, sopravvivere. Se lui era lì, allora Oetzi era morto? Ed Elya e Silas? Adesso voleva solo vendicarsi di chi, migliaia di anni prima, lo aveva strappato al suo destino costringendolo a quella prigione temporale senza uscita. Adesso aveva un presente che lentamente non sentiva più suo e un passato cui non sapeva come tornare. Capitolo quarto 49 CAPITOLO QUINTO Dalla realtà al sogno Michelangelo era un ragazzo di 17 anni e aveva sempre sognato di giocare a basket, ma la sua corporatura esile e la sua bassa statura lo avevano un po’ scoraggiato, così iniziò ad alimentare la sua passione per la lettura. Aveva sempre avuto un debole per i libri, soprattutto per quelli antichi e, sfogliandoli, fantasticava che, magari, un giorno, avrebbe stretto tra le mani uno dei suoi scritti. La sua curiosità lo portò a formularsi centinaia di domande in testa alle quali non riusciva a dare una risposta. Era come se quel maledetto libro gli fosse entrato dentro l’anima e non volesse più abbandonarlo, e così decise che, per riorganizzare le idee, avrebbe dovuto fare una passeggiata. Indossava sempre i soliti vestiti: una felpa larga e comoda gli scendeva lungo i fianchi magri, che quasi si perdevano all’interno di quest’ultima, come a nascondere un corpo che a Michelangelo non andava a genio, un paio di jeans strappati come da moda, che cercavano di coprire le sue esili gambe e un paio di scarpe nere, così tanto usurate che ormai avevano perso quasi la forma. Uscendo di casa, il vicino con il quale era solito intrattenere lun- 50 Dalla realtà al sogno ghe conversazioni, lo salutò cordialmente, ma questa volta Michelangelo, immerso nei pensieri, non lo notò neanche. Uscì dal cancello e si incamminò lungo la strada che percorreva quotidianamente per andare a scuola. Un bellissimo viale alberato lo accompagnava da casa sua fino alla fermata dell’autobus, ma questa volta decise di continuare il cammino a piedi svoltando in direzione Piazza Grande, il punto di incontro dei suoi coetanei. Lungo il tragitto cercava di mettere ordine alle sue idee. Nel pomeriggio, il telefono squillò: era la madre, che gli diceva di tornare a casa per la cena, quindi si incamminò per la strada del ritorno. Arrivato a casa la cena era già pronta, il padre lo sgridò per essere arrivato in ritardo, ma non aveva il coraggio di dire la verità perché nessuno gli avrebbe creduto. Finita la cena, decise di andare in camera sua e sedersi davanti al computer. Una voglia irrefrenabile lo spingeva a cercare più informazioni su quel misterioso personaggio. Doveva rilassarsi, rasserenarsi, solo così sarebbe potuto arrivare a delle conclusioni. La sua ansia, la sua curiosità lo portarono ad approfondire le ricerche su Oetzi. Riaccese il computer e a mente serena rilesse ciò che aveva scoCapitolo quinto 51 perto in precedenza. Era tutto più chiaro, le sue idee incominciavano a prendere forma, non distoglieva il suo sguardo da quel monitor, era attento a ogni singola parola, estendeva le sue ricerche a tutto ciò che potesse aiutarlo a chiarire una volta per tutte la storia di Oetzi, ma più notizie gli giungevano e più Michelangelo sentiva l’esigenza di visitare e di esplorare i luoghi delle vicende. A un tratto Michelangelo si imbatté per la prima volta in qualcosa di veramente interessante: una pagina web in cui era pubblicizzata un’escursione alpina: l’OetziGlacier Tour. Così Michelangelo, con estrema felicità, capì che tutto ciò che lui aveva desiderato poteva ora avverarsi: poteva finalmente compiere un’escursione nel luogo di ritrovamento di quell’uomo che era rimasto intrappolato nel ghiaccio in Val Senales, cinquemila anni prima. Quello sgomento, quell’ansia che aveva provato durante la lettura del libro si trasformarono subito in felicità e serenità interiore. Michelangelo doveva a tutti i costi trovare un modo per partecipare a quell’escursione e il coraggio di spiegare ai genitori tutta la storia, sperando di ottenere un loro consenso. Così, dopo aver meditato tutta la notte, la mattina seguente decise di confrontarsi con loro e, con suo stupore, i suoi genitori, che apparentemente 52 Dalla realtà al sogno sembravano molto duri e severi, furono molto felici di autorizzarlo. Così Michelangelo, molto contento, subito dopo pranzo corse nella sua stanza e andò alla ricerca di un modo per raggiungere Merano. Dopo un po’, riuscì a trovare un’ottima soluzione: due giorni dopo un pullman sarebbe partito al mattino da Bologna per raggiungere la cittadina sudtirolese. Michelangelo prenotò immediatamente e così comunicò ai genitori la decisione della sua imminente partenza. Giunta la sera si recò serenamente a cenare, poi raggiunse la sua stanza per preparare tutto l’occorrente per affrontare il viaggio. Dopo essere andato a letto e aver trascorso finalmente una notte serena, nel dormiveglia cominciò a fare mente locale. “Finalmente è arrivato il momento” pensava tra sé e sé il nostro Michelangelo. Era mattina, e aprendo gli occhi e guardando il suo zaino pronto capì che era arrivato il fatidico giorno, il momento di scoprire la verità. Ansioso si preparò e, varcando la porta di casa insieme ai suoi genitori, venne avvolto da un’incontenibile sensazione di euforia. Arrivato alla stazione, salutò papà e mamma e salì sul bus. Si guardò intorno e notò che l’unico posto libero era in fondo, accanto a due giovani a lui sconosciuti: una ragazza e un ragazzo. Capitolo quinto 53 Si sedette accanto a loro e iniziò il viaggio. Guardando dal finestrino, ammirava le vaste distese di verde che trasmettevano tranquillità al suo stato ansioso, immergendolo in un mondo di fantasia che lo riportava sempre al suo unico pensiero fisso: Oetzi! Questo suo stato di assenza venne interrotto dalla conversazione dei due ragazzi, che sembrava avere qualcosa in comune con il libro che aveva letto qualche giorno prima. Proprio per questo, pensò di inserirsi nel loro discorso, anche se, inizialmente, la timidezza aveva preso il sopravvento. Questo ostacolo fu superato dalla voce del ragazzo: «Ciao, sono Stefano e lei è mia sorella Alice». «Piacere, Michelangelo». «Abbiamo notato che sei solo, vuoi unirti a noi?» A questa domanda, Michelangelo fu sollevato e rispose: «Sarebbe una buona idea. Vi ho sentito parlare di una storia ambientata sulla Cima Nera; proprio domani ci sarà un’escursione nei luoghi in cui è stata ritrovata la mummia di Oetzi. Vi va di venire con me?» Stefano e Alice si guardarono e, a quella proposta, annuirono rallegrandosi: «Volentieri, siamo contenti di unirci a te, era nostra intenzione visitare quei luoghi». 54 Dalla realtà al sogno A quel punto, arrivati a Merano, salirono sulla coincidenza per Naturno. Durante il viaggio, continuando la conversazione, scoprirono che avrebbero alloggiato presso la stessa struttura. La timidezza di Michelangelo scomparve e sembrava che i tre ragazzi, pur non conoscendosi, fossero legati da sempre da un qualcosa a loro sconosciuto. Appena scesi dall’autobus, Michelangelo insieme a Stefano e Alice, s’incamminarono verso l’hotel. Percepivano nell’aria i candidi fiocchi di neve che raggiungevano la loro pelle scoperta; l’aria era gelida, tipicamente invernale. Dopo aver percorso un breve tratto di strada si resero conto di essere giunti all’alloggio, si trattava di un classico Garni sudtirolese. Appena entrati furono avvolti da un’accogliente suggestione: l’ambiente era rivestito di caldo legno e subito si sentirono come a casa. Sulla destra si trovava un piccolo bancone in legno, che dava le spalle a una piccola teca dove erano riposte le chiavi, ottenute le quali i tre ragazzi si diressero verso le camere. Dapprima salirono per un’angusta scala, che li portò lungo un corridoio, dove erano situate le stanze; a Michelangelo era stata assegnata la seconda camera sulla sinistra, quindi salutò i due fratelli lasciandoli proseguire lungo il corridoio. Quando fu dentro la Capitolo quinto 55 stanza, Michelangelo abbandonò in un angolo il pesante bagaglio e si lasciò cadere sul letto, si soffermò a osservare l’ambiente, che non gli pareva di particolare bellezza, anzi un po’ povero dato che gli unici arredi erano una piccola lampada su di un comodino di fianco al letto e un grosso comò abbastanza vecchio, il cui legno era stato annerito dal decorrere degli anni. Michelangelo chiuse gli occhi e subito prese atto di ciò che gli stava succedendo, era lì spossato sul letto, pochi chilometri lo separavano dal suo obbiettivo, mille pensieri gli passavano per la testa; la fatica, però, si fece sentire e senza quasi neanche accorgersene, cadde in un sonno profondo. A un tratto sentì alcuni colpi sulla porta e si alzò di botto: era Alice, che era passata per andare a cena. Prendendo coscienza della realtà, velocemente indossò la sua giacca e si accinse a uscire dalla stanza. I tre ragazzi scesero al piano inferiore e raggiunsero la sala da pranzo. Mentre cenavano continuavano a fantasticare sull’escursione del giorno dopo, così la serata passò in un baleno e si accorsero che si era fatto già tardi. 56 Dalla realtà al sogno Stefano raccomandò a Michelangelo di essere puntuale il mattino successivo, augurandogli di trascorrere una notte serena. Dopoaver raggiunto la sua stanza, il ragazzo si sdraiò sul letto, ma quella sera Morfeo tardava a venire e Michelangelo nell’attesa pensava al magnetismo di quel luogo, per lui era la prima volta, ma era tutto cosi familiare. Aprì gli occhi e si trovò davanti un’enorme distesa ghiacciata, sentì delle urla portate da quel vento gelido, il suo istinto lo avvisò del pericolo imminente, quindi provò a scappare come un alce dal suo predatore, in quell’occasione si accorse che era inutile perché fu un attimo. L’eternità dei ghiacci lo aveva imprigionato. Capitolo quinto 57 CAPITOLO SESTO L’escursione rimandata L’immagine deformata di un ragazzino smilzo, dai capelli biondo scuro e arruffati, si rifletteva su una delle lastre di ghiaccio che circondavano la sua persona. Le pupille, intrappolate nelle iridi cerulee, erano due fessure. Le labbra sottili erano schiuse, conferendo al volto un’espressione sorpresa. Il petto si alzava e abbassava meccanicamente e velocemente, mentre i polmoni chiedevano una sempre maggiore quantità di ossigeno da immettere nel corpo e il cuore accelerava i suoi battiti per non rimanere indietro in quella corsa senza un’apparente fine. Era rimasto in trappola. A quanto pareva la storia si stava per ripetere. E ancora una volta non avrebbe scoperto chi sarebbe stato a tagliare il filo rosso che rappresentava la sua vita. Michelangelo trasse un respiro profondo, cercando di annullare la paura che si era impossessata del suo corpo, per sostituirla col coraggio e la determinazione. Non si sarebbe fatto colpire alle spalle, avrebbe affrontato il suo nemico a testa alta, guardandolo dritto negli occhi e imprimendo nella sua mente il volto che avrebbe visto, sperando di custodirlo come un ricordo sopito 58 L’escursione rimandata quando sarebbe rinato nel corpo di un altro giovane valoroso. Ruotò il suo corpo di centottanta gradi, le mani chiuse a pugno lungo i fianchi con le unghie affondate nella carne, lo sguardo rivolto dritto davanti a sé dove scorse una figura alta e snella avvolta in un lungo ed esteso mantello nero che si muoveva accarezzato dalla brezza del vento glaciale. Il volto della figura era coperto da un ampio cappuccio dal quale si intravedeva un mento appuntito dalla pelle così chiara da sembrare bianca come la neve che li circondava. Appena sopra il mento c’erano due labbra crudelmente incurvate verso l’alto. Due labbra che non dovevano essere affatto umane, avendo il tipico colore dei fiordaliso. «Morire una volta non ti è forse bastato, Oetzi?» Una voce profonda e gutturale riempì la sua mente e riecheggiò in tutto lo spazio circostante. Michelangelo stava per rispondere, ma il terreno sotto i suoi piedi si infranse, lasciando che il suo corpo cadesse in un baratro oscuro dal quale non c’era una via di fuga. La sua bocca era aperta e immetteva nel suo corpo tutta l’aria e l’ossigeno di cui aveva bisogno, producendo dei rumori abbastanza forti e raccapriccianti. Michelangelo sentiva il petto in Capitolo sesto 59 fiamme, la gola secca e dal collo scendevano lungo la schiena della fredde gocce di sudore. Quando si era accoccolato tra le braccia di Morfeo? E per quanto tempo, poi? Il suo cellulare sul comodino stava squillando e la suoneria non era certo quella snervante della sveglia. Spostò con violenza le lenzuola, rendendo più liberi i suoi movimenti. Il nome sullo schermo del cellulare diceva “Mamma”. Non la sentiva da quando la sera prima era arrivato in hotel, avvertendola che il viaggio era andato per il meglio e che si sentiva un po’ stanco. Congedandosi le aveva promesso che l’avrebbe richiamata il mattino successivo prima che l’escursione avrebbe avuto inizio. Doveva essere in ritardo, pensò. Fece scorrere le dita affusolate sullo schermo del cellulare, premendo poi il tasto verde per accettare la chiamata. «Pronto?» la sua voce risultò roca e ancora impastata dal sonno. «Buongiorno!» lo accolse la voce dinamica e allegra della madre dall’altro capo del telefono «Ti disturbo?» Michelangelo diede una veloce occhiata al suo orologio da polso: le 10.38. Era troppo tardi per raggiungere il gruppo degli escursionisti. 60 L’escursione rimandata Rammaricato si lasciò cadere sul materasso, col braccio libero sugli occhi. C’era ancora l’escursione di quel pomeriggio. Certo non sarebbe stata la stessa cosa senza Stefano e Alice, ma non gli importava più di tanto, lui era arrivato fin lassù per scoprire il suo passato e colui che aveva messo fine alla sua vita precedente. «No, tranquilla mamma. Mi sono svegliato adesso, in ritardo» le rispose, lasciando trasparire nella voce tutta la rabbia che provava verso se stesso e la sveglia che non aveva mai messo. «Hai dimenticato di impostare la sveglia, vero?» Immaginò la madre sorridere, mentre indovinava il motivo del suo ritardo. «La mamma, sempre la mamma». Gli scappò una risatina, sua madre non aveva tutti i torti. «Miky, al tg ho sentito che sta venendo giù parecchia neve, lì il tempo com’è?» «Mamma!» protestò il ragazzo al suono di quel nomignolo «Neve? Ma no, c’è…» Michelangelo si rialzò dal letto e con due falcate raggiunse la finestra. Spostò le tende che la sera precedente aveva chiuso in modo che il sole non disturbasse il suo sonno. Ciò che vide lo lasciò sorpreso: grandi fiocchi candidi scendevano dal cielo impedendo di vedere qualsiasi cosa a una distanza minima. Capitolo sesto 61 Jack Frost non gli era d’aiuto: se quella tempesta non si fosse interrotta, l’escursione sarebbe stata annullata e i suoi piani sarebbero saltati. E chissà per quanto tempo avrebbe dovuto aspettare prima di tornare tra quelle montagne e scoprire la verità. Alice e Stefano erano nella hall dell’hotel, seduti sui divanetti con un grande broncio dipinto sui loro volti. Indossavano ancora i loro giubbotti imbottiti e le loro sciarpe per proteggersi dal freddo. Stefano era seduto in modo scomposto, con le mani dentro le tasche dei pantaloni e le gambe aperte. Era un ragazzo alto; con i capelli corti con un doppio taglio che ricordava i soldati dei film di guerra, neri come la pece; gli occhi nocciola sempre seri e qualche lentiggine sul naso. I tratti del volto erano dolci e le mascelle non erano molto pronunciate, probabilmente li aveva ereditati dalla madre. Sua sorella Alice gli somigliava molto: aveva gli stessi capelli neri e lisci, lunghi fino ai reni, spesso raccolti in una coda alta o in una treccia; e gli stessi occhi nocciola. Lei però non aveva le lentiggini sul naso, e Stefano la invidiava per questo. «Hai visto Michelangelo per caso?» gli chiese dopo un silenzio infinito, la sorella. 62 L’escursione rimandata Stefano si era perso per qualche minuto nei suoi pensieri, rimuginando sul ragazzo che aveva appena menzionato la sorella e su quello che aveva detto loro a proposito del libro sulla mummia che era stata trovata in una zona là vicino. «No» rispose apatico «Tu hai fatto qualche altro sogno?» Alice affondò nel divano e abbassò notevolmente il suo tono di voce, per paura che qualcuno ascoltasse la loro conversazione. Da tempo faceva degli strani sogni, sogni in cui lei e suo fratello non avevano le loro sembianze attuali e vivevano in un periodo di storia molto lontano da quello presente. Facendo delle ricerche erano arrivati a Oetzi e la notte stessa Alice aveva scoperto che lei e suo fratello erano una sorta di reincarnazione, erano i migliori amici di Oetzi, due fratelli, figli del capo villaggio: Ilya e Silas. La donna che le aveva raccontato tutto non si era presentata, ma ricordava che aveva degli occhi vitrei, delle rughe profonde e delle vesti in pelle. Inoltre, non le aveva rivelato soltanto ciò che erano stati, ma anche che dovevano trovare Oetzi e aiutarlo nella sua missione. Le aveva rivelato che, purtroppo, non erano loro gli unici a essere rinati, insieme in quella nuova epoca c’erano coloro che avevano attaccato i villaggi vicino al fiume e il responsabile della morte del loro amico; e che bisognava fermarli prima che la Capitolo sesto 63 storia si ripetesse e dovessero aspettare altri secoli prima che potessero rigenerarsi. «Qualcosa…» rispose vaga. Entrambi sospettavano che Michelangelo fosse Oetzi. Non ne erano sicuri, ma quando l’avevano visto salire sul loro pullman, dapprima avevano pensato che non dovesse essere una coincidenza: un adolescente come loro che aveva voglia di visitare da solo un luogo come Val Senales non era usuale, a meno che non ci fosse qualcosa sotto. E poi, quando si era avvicinato, entrambi avevano provato una strana sensazione, come se conoscessero quel ragazzo, appena visto, da molto tempo. Alice e Stefano si erano scambiati un’occhiata e poi avevano iniziato a chiacchierare su Oetzi e la mummia ritrovata, cercando di attirare la sua attenzione. «Sii più precisa!» la esortò Stefano, agitando la gamba destra convulsamente. Era sempre nervoso quando si trattava dei sogni di sua sorella. «Ho sognato Oetzi» rivelò Alice, sedendosi in modo più composto sul divano. «La sua morte, per essere più precisa. Il momento esatto in cui ha urlato aiuto, mentre cercava di reggersi disperatamente a quella 64 L’escursione rimandata radice. E poi è arrivata la freccia. E con lei la caduta del nostro amico nel fiume, e la successiva morte». «Ma…» insistette il fratello «doveva esserci dell’altro». «Il volto di Oetzi, la sua corporatura. Non erano quelle consuete: era Michelangelo» aggiunse a denti stretti. L’interessato scese le scale in quel momento, come se fosse stato chiamato da qualcuno. Indossava un maglioncino, una felpa aperta e un paio di jeans. L’abbigliamento non era importante, se non fosse stato per quella stampa sulla maglietta: un montone. Michelangelo li scorse poco dopo e agitò la mano salutandoli per poi avvicinarsi. I due fratelli si scambiarono un’occhiata. Capitolo sesto 65 CAPITOLO SETTIMO Il cerchio della vita 66 Nell’attraversare la hall per raggiungere Stefano e Alice, Michelangelo inciampò nel trolley di uno sconosciuto, il cui aspetto lo colpì, anche se non avrebbe saputo dire il perché. Quando li raggiunse, la ragazza gli chiese come mai avesse tardato e, mentre guardava sovrappensiero il suo maglioncino, lo informò che l’escursione era saltata a causa della bufera. Cercava di ricordare dove avesse visto quella stampa e non si era accorta di fissarla insistentemente, fino a quando Michelangelo non glielo fece notare. «Cosa ho di strano?» domandò questo, guardandosi. «No, niente, pensavo» rispose Alice distrattamente. La risposta della ragazza voleva essere convincente, ma Michelangelo avvertì nell’aria qualcosa che non andava, una strana tensione causata da quell’atteggiamento incomprensibile. «Dai Alice, dimmi cos’hai! Mi sono perso qualcosa?» «Non so, ho come la sensazione che, pur conoscendoci da poco, ci sia un filo che ci leghi» disse lei e, dopo una breve pausa, riprese: «Mi ha colpito molto la stampa sul tuo maglioncino perché proprio stanotte ho fatto uno strano sogno». Il cerchio della vita A quel punto Alice ripeté il racconto che aveva già fatto al fratello, aggiungendo altri dettagli: una donna dagli occhi vitrei le aveva parlato di una contesa tra due montoni, una specie di profezia. «Ragazzi miei, qui si tramandano moltissime leggende simili a questa. Ci troviamo in luoghi magici, dove non c’è confine tra presente e passato». Così un’anziana signora interruppe il racconto di Alice e poi, come un fiume in piena, iniziò a narrare antichi miti e saghe locali che lei tante volte, sin da bambina, aveva ascoltato. In molti racconti favolosi si conservava la memoria di ancestrali credenze secondo cui le rocce si animavano, assumevano forme strane e condizionavano la vita degli uomini. In quei luoghi così aspri e difficili, dove la morte e la vita dipendevano dalla capacità dell’uomo di dominare la natura per renderla sua alleata e amica, la fantasia aveva trasformato le montagne e le rocce in divinità. Gli antichi abitanti credevano che tutto avesse un’anima e che la sopravvivenza degli esseri viventi, fossero essi uomini o animali, dipendesse da continue e feroci lotte. Così dicendo Helga sorrideva ma i suoi occhi chiari, ancora limpidi e vivaci nonostante l’età, sembravano fissare in realtà un punto nel vuoto. I ragazzi, incuriositi dalla narrazione accattivante della simpatica nonnina, le chiesero chi fosse. Capitolo settimo 67 68 «Oh, che sbadata! Non mi sono nemmeno presentata. Io sono Helga, la madre di Hans, il proprietario di questo Garni. Scusate la mia intromissione, sono una vecchia ficcanaso lo so, ma non ho potuto fare a meno di ascoltare la vostra conversazione». «Non si preoccupi, anzi, ci farebbe piacere ascoltare altre storie del posto» la rassicurò Stefano che, per la prima volta, dava voce ai suoi pensieri. Michelangelo e Alice si mostrarono d’accordo con il loro coetaneo e invitarono Helga a proseguire i racconti. Lei promise che li avrebbe accontentati e avrebbe fatto anche di più: avrebbe mostrato loro alcuni oggetti, preziosi ricordi di famiglia, legati ad antiche leggende. Prima però volle invitarli al bar, per offrire loro qualcosa di caldo. Si accomodarono a un tavolo vicino al bancone e la loquace signora dagli occhi celesti chiese alla cameriera di portare quattro cioccolate calde e qualche pasticcino. Mentre venivano servite le bevande, lei continuò a chiacchierare piacevolmente con i suoi giovani ospiti. A un certo punto l’attenzione di Michelangelo fu attratta da una discussione animata tra il figlio di Helga, proprietario del Garni, e lo sconosciuto incontrato nella sala d’ingresso. Il ragazzo riuscì a Il cerchio della vita captare solo poche frasi, ma si accorse che anche Helga aveva l’orecchio teso verso quella conversazione. Passarono alcuni minuti e lo sconosciuto, sbattendo i pugni sul bancone del bar, si allontanò imprecando. Helga rivolse uno sguardo allarmato al figlio, che le disse di non preoccuparsi, per cui lei cercò di mascherare la tensione che si era creata, invitando i ragazzi a seguirla in soffitta. Si avviarono entusiasti verso le scale e, giunti all’ultimo piano, si trovarono davanti a una piccola porta con le cerniere arrugginite, che quasi si confondevano con il legno. Helga prese la chiave che portava appesa al collo, come un ciondolo, e la inserì nella serratura logorata. Varcata la soglia, l’odore acre di muffa li travolse, tanto che Helga si affrettò a spalancare l’unica finestra della soffitta; la luce entrò nella stanza e la illuminò. Si ritrovarono così circondati da oggetti accatastati e coperti dalla polvere: vecchi tronchi, tante foto ingiallite, un paio di tipiche pantofole di feltro, un cassettone, delle sculture in legno, alcune solo abbozzate, antiche maschere appese alle pareti. Un oggetto in particolare catturò l’attenzione di Stefano che esclamò: «Guardate un po’ qui!» Capitolo settimo 69 I ragazzi si avvicinarono e rimasero senza parole nel vedere una sfera di marmo sulla quale era incisa una scena di caccia; in primo piano due montoni si fronteggiavano. Helga, notando lo stupore dei ragazzi, si avvicinò e disse: «Ecco dov’era finita! Bella eh? A questo oggetto sono molto legata perché è un caro ricordo dei nonni ed è legata a un’antica profezia, che affonda le sue radici nella notte dei tempi». I ragazzi ancora più impressionati si scambiarono uno sguardo d’intesa, perché le parole di Helga sembravano creare un ulteriore collegamento tra i sogni di Alice e le sensazioni di Michelangelo. Guardando più attentamente i tre notarono che sulla base circolare della sfera era riportata questa frase: “L’eternità se non ha fine non può avere un principio, è quindi un cerchio”. «Ma qual è il senso di queste parole?» chiesero in coro, rivolgendosi alla loro ospite. Helga rimase per un attimo in silenzio, mentre sul suo volto compariva un’espressione di crescente turbamento. «Oddio! Com’è tardi!» esclamò guardando l’orologio «Devo dare una mano ad Hans». I ragazzi percepirono con chiarezza il disagio di Helga e per questo non insistettero oltre. 70 Il cerchio della vita Poco dopo i tre si ritrovarono, intorno al tavolo da pranzo, a commentare le vicende e le sensazioni di quell’insolita mattinata; erano tutti d’accordo sul fatto che l’atteggiamento di Helga, alla fine, fosse stato piuttosto evasivo e che le coincidenze e i misteri cominciassero a essere troppi. Bisognava abbandonare le fantasie e tornare alla realtà, fare il punto della situazione e cercare di capirne di più; forse internet poteva aiutarli. Michelangelo, che aveva intravisto un internet-point nella hall dell’albergo, propose di rivedersi lì nel tardo pomeriggio, dopo aver riflettuto un po’ sull’intera faccenda. Alice e Stefano acconsentirono e i giovani si diressero nelle rispettive camere. Una volta arrivato in stanza, Michelangelo si buttò sul letto, esausto, ma non riusciva a riposare perché cercava inutilmente di trovare il nesso tra Oetzi, i suoi sogni, quelli di Alice e quella sfera che aveva tanto colpito la loro immaginazione. Nel frattempo Alice faceva notare al fratello che forse i suoi sospetti erano fondati e che lei, in qualche modo, poteva aver ragione: Michelangelo era la reincarnazione di Oetzi. Arrivata l’ora dell’appuntamento Michelangelo, sveglio e con un gran mal di testa, decise di fare una veloce doccia, prima di scendere e incontrare gli amici. Capitolo settimo 71 Alice e Stefano erano già pronti da mezz’ora e lo aspettavano giù, all’internet point. Digitarono freneticamente le parole che avrebbero potuto fornire loro delle risposte ma, dopo vari tentativi, si resero conto che la tecnologia non li avrebbe aiutati e che l’unica che poteva far luce sulla faccenda era Helga. La cercarono, chiedendo anche al figlio dove fosse, ma non la trovarono. Decisero a questo punto di separarsi: Alice e Stefano andarono a cenare, mentre Michelangelo si scusò perché non poteva far loro compagnia, a causa del forte mal di testa, e tornò in camera. Dopo un lungo rigirarsi tra le coperte, prese sonno. A un certo punto venne svegliato da un forte tonfo, seguito da altri lievi rumori che lo incuriosirono e preoccuparono. Si alzò di scatto, dopo aver capito che probabilmente provenivano dalla soffitta. Salì in fretta le scale e trovò la porta socchiusa. Senza pensarci due volte, entrò e fu colpito da una folata d’aria gelida; istintivamente si diresse verso la finestra per chiuderla. Il suo sguardo fu subito catturato da un panorama così bello da togliere il fiato: aveva smesso di nevicare, il cielo era ormai limpido, un venticello leggero aveva spazzato via le ul- 72 Il cerchio della vita time nubi e si vedevano nitidamente, alla luce delle prime stelle, le cime delle montagne coperte di neve. Da lontano la superficie ghiacciata del piccolo lago, che era stata la culla di Oetzi per millenni, sembrava quasi chiamarlo a sè con i riflessi iridescenti creati dalla luce lunare. Rapita da quel meraviglioso scenario la sua mente si perse ma, a un tratto, un nuovo rumore attirò la sua attenzione e lo riportò alla realtà. Si girò di scatto ma non fece in tempo a vedere le mani che, con violenza, lo afferravano spingendolo e facendolo precipitare giù dalla finestra. Cadendo, Michelangelo, avvertì che quella tremenda sensazione di vuoto non era nuova: un misto di paura e di sgomento si impadronirono ancora una volta di lui. Capitolo settimo 73 CAPITOLO OTTAVO Il passato ritorna Qualche istante dopo Michelangelo riprese conoscenza, il freddo avvolgeva il suo corpo. In un primo momento tentò di alzarsi e di scrollarsi la neve di dosso, ma un dolore lancinante alla spalla gli bloccò i movimenti. Rimase disteso e il suo sguardo fu ancora una volta catturato dal cielo e in particolare dalla costellazione dell’Ariete che sembrava gli sorridesse e gli trasmetteva la stessa dolce sensazione che provava inspiegabilmente quando guardava il volto di Alice, della sua Alice. Riuscì ad alzarsi e barcollando ritornò in albergo. Aperta la porta della sua stanza e data un’occhiata veloce al rossore presente sulla sua spalla, si adagiò sul letto, lasciandosi avvolgere dal calore delle lenzuola di flanella. Nonostante il dolore, Morfeo non tardò ad arrivare. È stupefacente quanto si possa apprendere dal mondo onirico. Riaprì gli occhi. Alle pareti scorse un affresco raffigurante due montoni che gli ricordò tanto le pitture rupestri della grotta di Altamira, visitata du- 74 Il passato ritorna rante una gita scolastica. Guardandosi rapidamente, si accorse che la pelle di un montone cingeva le sue spalle e le sue mani erano diventate quelle di un uomo adulto. Non ebbe il tempo di capire cosa gli stesse succedendo, quando all’improvviso sentì, da lontano, la voce rauca di una vecchia donna che, mostrandosi, disse: “Oetzi, Oetzi… Posso fornirti le spiegazioni di cui hai bisogno”. Nel sogno Michelangelo ebbe la strana sensazione di essere Oetzi e, senza alcuna ragione plausibile, si voltò come un felino, ma con l’animo perplesso e trepidante verso la voce tremolante dell’anziana sconosciuta la quale aggiunse: “Le parole che sentirai in inganno potranno trarti, ma se il velame dai miei versi toglierai il tutto potrà aiutarti“. Oetzi capì che doveva prestare maggiore attenzione per comprendere il linguaggio sibillino di quella signora. “Il villaggio è stato distrutto Il litigio, tra i due fratelli, questo ha causato. Capitolo ottavo 75 L’inganno, il possibile legame tra le tribù ha rotto, la modernità ha causato la vendetta del fato”. 76 La signora continuò a riferire messaggi di difficile comprensione, di cui Oetzi capì solo che due gemelli, Baruch e Snah, avevano avuto un litigio causato da opinioni discordanti. La madre, l’ambigua signora, alla morte del marito aveva preferito affidare le sorti del clan al figlio Snah sebbene fosse nato un minuto dopo Baruch. Snah, di carattere più volubile, era stato convinto dal popolo ad aprire le porte della città. Di notte, però, la sua fiducia fu tradita, infatti alcuni uomini del popolo nomade, animati dalle peggiori intenzioni, iniziarono a uccidere gli abitanti e appiccarono vari incendi alle povere case, radendo al suolo il villaggio. Michelangelo si svegliò di soprassalto, chiedendosi il senso di quel sogno antico e per certi versi molto familiare; era turbato e madido di sudore. Il dolore alla spalla aumentava tanto da causare uno stato di concitazione in Michelangelo il quale scese dal letto e indossò gli abiti del giorno prima, tra cui la maglietta con su la stampa del montone. Ci teneva molto a quella maglia, ogni volta che l’indossava provava una forte sensazione di benessere, di familiarità. In realtà ciò Il passato ritorna che veramente gli infondeva benessere era l’immagine di un montone che gli ricordava luoghi lontani, ma cosa ancora più strana, tale immagine in passato l’associava a una dolce figura femminile. Ora, invece, quando vedeva il montone, inspiegabilmente, pensava alla ragazza che aveva conosciuto nei giorni precedenti, Alice. Il ragazzo scese nella hall e notò con molto piacere che la neve era diminuita, ma era ancora troppa per poter salire in montagna, però niente gli impediva di scendere al villaggio. Si incamminò per il sentiero. Il paesaggio boschivo era mozzafiato, il freddo tagliente e gli alberi innevati gli davano una sensazione di pulizia e di candore che lui associava comunque ad Alice, la ragazza che gli era entrata nei pensieri e che era decisa a restarci. Arrivato nel villaggio, chiese dove fosse la farmacia più vicina e notò con piacere che gli autoctoni erano molto cortesi e gentili. Non ci mise molto a comprare i medicinali che avrebbero alleviato il dolore che lo affliggeva. Uscito dalla farmacia notò i vicoli del paesino, caldi e accoglienti, con negozi di vario tipo, ma quello che lo colpì maggiormente fu un piccolo negozio di oggettistica. La vetrina sfavillante era un trionfo di colori e di oggetti lignei tipici della zona. Capitolo ottavo 77 78 Incuriosito e con la voglia di comprare un souvenir per i genitori che gli avevano regalato per premio la vacanza sulla neve tanto desiderata, entrò e, con immenso stupore, ammirò gli scaffali ricolmi di oggetti intagliati con sapienza dai maestri intagliatori altoatesini; ma un oggetto attirò la sua attenzione, era un piccolo montone, che sebbene fosse stato prodotto con meno cura rispetto agli altri, era l’unico oggettino che veramente valesse la pena acquistare. Era di dimensioni ridotte, di sette centimetri d’altezza, dipinto con estrema cura, anche se lo stare molto tempo su uno scaffale ne aveva deteriorato la bellezza primordiale. Era un piccolo ariete in posa di attacco con il vello grossolanamente lavorato; brillava di colori dorati che si riverberavano dalla lanugine del corpo che sembrava avere la stessa forma delle onde del mare increspato. La bellezza di questo oggetto stava tutta nel fatto che era stato plasmato da un pezzo di palissandro insolito per quei luoghi, che è più comunemente chiamato Legno di Rosa; gli occhi dell’animaletto erano di un tenue colore azzurro, forse per questo aveva colpito Michelangelo: anche gli occhi di Alice erano chiari. Michelangelo prese delicatamente l’oggetto e si diresse verso la cassa per poterlo acquistare. La cassiera con fare gentile, tipico Il passato ritorna delle persone di quella zona, chiese al ragazzo: «Ciao, è un regalo?» e lui ironicamente: «Sì, ma non per lei…», la signora sorrise e rispose: «No, mi sono espressa male, lo devo incartare?» Michelangelo fece un cenno con la testa e lei gli preparò un bel pacchetto e come omaggio gli diede una bustina con dentro una poesia d’amore, in caso questo regalo fosse destinato a una persona cara. Michelangelo pagò, salutò la cordiale proprietaria e uscì velocemente dal negozio. Fuori l’aria era gelida, tanto gelida da rallentare i movimenti di Michelangelo, ma la felicità di aver acquistato un regalo per Alice lo spinse a tornare velocemente all’albergo. Nella hall trovò lei con Stefano. I due erano visibilmente preoccupati in quanto lo avevano cercato invano, ma quando lo videro la tensione si sciolse e gli chiesero ragione della sua scomparsa. Il ragazzo, con risposte evasive, riuscì a cambiare discorso e disse: «Alice, dovrei parlarti in privato» e Stefano: «Ok ragazzi, vi lascio soli». Appena furono realmente soli, Michelangelo estrasse il piccolo pacchetto dalla tasca del suo giubbino e lo diede ad Alice dicendo: «Sai, prima ti ho pensato e ti ho preso un pensierino» e la ragazza Capitolo ottavo 79 con un leggero imbarazzo lo ringraziò e lentamente, delicatamente si accinse ad aprire il pacchetto. Scartò con attenzione l’involucro, aprì la scatolina e… dolcemente con le dita sollevò il piccolo ariete di palissandro non nascondendo la meraviglia per un oggetto che le sembrò subito ricordarle qualcosa; poi con un leggero tremolio aprì la bustina e incominciò a leggere la poesia: «L’amore vero, tu lo sai, è volere la gioia di chi non ci appartiene. È questo uscire, traboccare da se stessi, come il sangue dalle vene per un taglio, è l’irrinunciabile, amore energia mutabile eterno bene…» (G. Conte) Il momento topico di infinita dolcezza fu interrotto da Helga, quella vecchia signora misteriosa e minuta dai capelli lunghi e logorati dal passare degli anni, raccolti delicatamente da una spilla di legno intarsiato raffigurante un ariete. Il suo viso era sempre coperto da un velo, ma quando lo scopriva si vedevano i segni del passato e le rughe che le accarezzavano il volto. La vecchia li invitò a bere del vin brulé. 80 Il passato ritorna Inebriata, cominciò a parlare con i ragazzi del più e del meno poi, a un tratto, cambiò colore, arrochì la voce, le sue mani iniziarono a tremare e, rivolgendosi a Michelangelo, raccontò: «Sai, nell’età della mia giovinezza esisteva un vecchio Maso chiuso che è stato ristrutturato cinque anni fa e da cui abbiamo ricavato questo albergo. Tanti anni fa fui costretta a sposare mio cugino Humm per mantenere “pura la razza”; da quest’unione nacquero i due gemelli Hans e Fritz. Non ero mai stata attratta da Humm perché era un uomo rozzo e violento, aveva l’abitudine di alzare il gomito e poi sfogare la sua rabbia repressa su di me coprendomi di insulti e a volte anche… Fu proprio così che, una sera, il mio volto fu rovinato a causa di una violenta lite». Aveva difficoltà a parlare: aveva un peso di cui liberarsi, qualcosa che la turbava dal profondo dell’anima. «Mio marito Humm era uno dei discendenti della più importante tribù della Cima Nera e aveva ereditato, alla morte del padre, questo Maso chiuso. La sua morte precoce mi mise davanti a una difficile scelta: decidere a quale dei due gemelli affidare la proprietà del Maso. Purtroppo, per il mio istinto protettivo nei confronti di Hans, molto gracile e indifeso, decisi di trasgredire le leggi Capitolo ottavo 81 della tradizione e affidare la proprietà al secondo figlio, convinta che insieme avremmo potuto trasformare il vecchio edificio e migliorare le risorse della famiglia. Fritz non è mai riuscito a perdonare questa mia scelta e ora dopo cinque anni di viaggio è tornato. Da allora tutto è cambiato…» E fu così che la anziana signora Helga cedette alla forza incontrastabile del vino assopendosi. Con questa rivelazione a Michelangelo, fu subito chiaro lo stretto legame che congiungeva Snah e Baruch a Hans e Fritz. Il passato stava ritornando… I ragazzi si guardavano teneramente, le loro mani si toccavano e una piacevolissima sensazione li accomunò; bruscamente il loro idillio fu interrotto da urli, parole concitate e violente provenire dall’ingresso. I due fratelli… 82 Il passato ritorna CAPITOLO NONO La meraviglia I due fratelli Hans e Fritz stavano discutendo: parole aspre riecheggiavano nella stanza. Il fulcro della discussione era ancora la contesa dell’albergo. Fritz era pieno di rancore per la scelta della madre che aveva lasciato la completa gestione dell’albergo ad Hans, tutto solo per un minuto, quel minuto, che da sempre li aveva resi avversari! La discussione degenerò in una rissa e i due iniziarono a picchiarsi con rabbia e… Ora il vento sferzava la pelle di Michelangelo, il corpo sembrava inerme, avvolto solo da quell’aria gelida. Ebbe solo il tempo di guardare per un’ultima volta il cielo grigio di Merano e la finestra da cui era caduto e poi un tonfo sordo gli inibì i sensi e un respiro profondo lo allontanò da quella realtà. Poi un altro respiro profondo, ma questa volta un respiro di vita. Il rumore del pestello nella ciotola, il crepitio del fuoco e un odore di erbe medicinali fecero sì che il ragazzo aprisse gli occhi. Si sentiva indolenzito, la schiena gli faceva male e gambe e braccia erano livide. Iniziò a guardarsi intorno e si rese conto di trovarsi 84 La meraviglia in una casa, una casa vecchia e familiare. Sulla sinistra scrutò l’immagine di un uomo vicino al fuoco che stava preparando un unguento e riconobbe in lui una figura conosciuta, ma era confuso e non riusciva a ricordare. L’uomo si alzò e andò vicino al ragazzo dicendo: «Ti sei svegliato finalmente!» Il giovane non rispose, ma era intento a capire chi fosse costui e a un tratto un flashback lo riportò indietro nel tempo e il giovane capì: quell’uomo era il vecchio saggio del villaggio e lui era Oetzi! Ma come era arrivato in quella capanna? Perché era tutto dolorante? Nessuno lo sapeva, nemmeno il vecchio saggio o forse non voleva dirglielo. Il giovane venne curato per diversi giorni dentro quella capanna e si rimise in sesto! Il fatto di essere chiusi senza poter uscire lo aveva stremato e la voglia di andare in giro a esplorare era tanta. Oetzi voleva capire cose stesse succedendo. Per tutti questi giorni aveva provato a chiedere spiegazioni all’uomo, ma questi non gliene aveva fornite, quasi come se i fatti da raccontare fossero così cruciali da mettere i brividi anche a un vecchio saggio. Passarono altri giorni e Oetzi si sentiva sempre meglio, sempre più pieno di vita. Una mattina, affacciato alla finestra, scorse un’alta Capitolo nono 85 86 montagna, quella montagna che fin da piccolo lo aveva accompagnato e la stessa di cui ora non si ricordava. Il vecchio entrò nella capanna con della legna per ardere il fuoco e trovò il ragazzo in piedi ma con il viso dubbioso: «Buongiorno» disse «dormito bene? Cos’è che ti turba? Lo leggo sul tuo volto». Il ragazzo si sedette accanto al fuoco e chiese al vecchio la storia di quell’alta montagna che sembrava tanto benevola quanto minacciosa. Il vecchio rispose: «Quella montagna è la Cima Nera, la più antica di questo luogo e la più insidiosa. Funge da barriera agli attacchi nemici, ma se questi ultimi riescono a oltrepassarla diventa difficile scappare e si va incontro alla distruzione. È così che successe per il tuo villaggio, ricordi?» Oetzi ebbe un giramento di testa e la sua mente sembrava piena di messaggi confusi. Il vecchio intanto continuava a parlare e quando pronunciò le parole «Ilya e Silas» il ragazzo sussultò e nella sua mente apparvero scene di fuoco, di uomini che uccidevano la sua gente e quei due ragazzi, Ilya e Silas, con cui era sempre stato fin da piccolo. Con parole chiare la voce del vecchio risuonava nella sua mente: «Al termine del tempo le forze dell’ordine e del disordine si scontreranno e si annienteranno a vicenda. Dalle ceneri di questa lotta, La meraviglia tuttavia, risorgerà una nuova coppia originaria e regnerà la pace». Ora ricordava, ma non riusciva ancora a capire il senso di quelle parole e dopo tutto ciò la voglia di uscire fuori ed esplorare crebbe ancora di più. Indossò dei vestiti che gli diede il vecchio, aprì violentemente la porta, ma si fermò di scatto: una scena raccapricciante si mostrava ai suoi occhi! Vide le macerie delle antiche capanne, armi che con premura gli uomini adulti del suo antico villaggio avevano forgiato, alcuni resti di corpi carbonizzati si intravedevano sotto lo strato nevoso. Passò lentamente tra quei mucchi di materiale bruciato ed era invaso solo da sentimenti di forte dolore. E poi, alzando lo sguardo, si trovò di fronte l’alta montagna. D’istinto corse verso di lei con la voglia di gridare a quella maestosa altura tutta la rabbia che aveva dentro poiché la riteneva colpevole della devastazione del suo villaggio. Ma quando vi arrivò davanti e iniziò a scalarla, la montagna sembrò abbracciarlo con i rami degli alberi che tendevano verso di lui e un lieve venticello gli accarezzava la pelle. Così Oetzi si lasciò andare e respirò profondamente. Si addentrò tra le fronde degli alberi e d’un tratto scorse un piccolo fuocherello intorno al quale c’erano due ragazzi: lei aveva le mani al viso e singhiozzava, lui la consolava. Capitolo nono 87 88 Oetzi si avvicinò cercando di non fare troppo rumore per non spaventare i due ma questi, vedendolo arrivare, rimasero stupiti e immobili. Riconobbero il viso del giovane e la ragazza corse ad abbracciarlo. All’altro giovane uscirono lacrime di gioia. Erano Ilya e Silas e finalmente i tre si erano ritrovati! Oetzi e Ilya si scambiarono delle occhiate affettuose e furono travolti da un forte sentimento d’amore. Non si sarebbero mai più separati! I tre avevano tante cose da raccontarsi e si incamminarono verso il loro vecchio villaggio. Ma sulla sinistra, in lontananza, scorsero una nube di fumo che li incuriosì e si avviarono verso questa. Arrivati quasi vicini, videro due uomini che stavano lottando tra loro: dovevano essere fratelli, perché nelle veemenza della lotta si notava nelle parole di uno dei due il rancore che provava verso la madre che aveva favorito l’altro. Oetzi si sentì pervaso da una strana sensazione come se quella scena l’avesse già vissuta, ma il suo pensiero venne interrotto da Silas che corse verso questi due uomini per fermare la lotta. Oetzi e Ilya lo seguirono di scatto. Con molta calma, tra piccole fiamme e macerie, si avvicinarono ai due uomini e cercarono di farli calmare e ragionare. Oetzi aveva capito il punto focale della discussione e facendo credere ai due di aver vissuto un’esperienza simile disse loro: «PerLa meraviglia ché litigate? Non siete forse fratelli? I fratelli non litigano, ma sono uniti in tutte le situazioni, si aiutano a vicenda e non discutono per cose futili. Vostra madre non ha colpe, ma solo il suo istinto ha fatto sì che questo villaggio fosse affidato al fratello maggiore perché pensava che potesse essere guida per il secondo!» I due fratelli si guardarono e all’improvviso riscoprirono l’affetto che l’uno provava per l’altro e si abbracciarono. Non ci sarebbero state più lotte e discussioni, ma ognuno avrebbe aiutato l’altro in qualsiasi circostanza. Oetzi, Ilya e Silas decisero di incamminarsi nuovamente verso il villaggio stanchi e soddisfatti per quanto accaduto, ma i due fratelli li fermarono, li ringraziarono per il loro aiuto e si presentarono: erano Snah e Baruch, proprio come Oetzi aveva intuito! Per ringraziarli i due uomini vollero portare i tre ragazzi in un luogo stupendo, dove il tempo sembrava fermarsi e dove i riflessi della luce sulla neve creavano una strana atmosfera. Si diressero tutti verso nord fino ad arrivare a una valle. Meraviglia! Oetzi, Ilya e Silas rimasero fatalmente stupiti e si immersero in quel fantastico spettacolo! I due uomini guardarono i ragazzi con un lieve sorriso e si abbracciarono! Ora tutto era finito, non ci sarebbero state più liti, niente più distruzioni e tra tutti i villaggi a sud della valle non ci sarebbe stata più discordia poiché ormai i due fratelli Capitolo nono 89 si erano riconciliati. Oetzi provava una bellissima sensazione sulla pelle e aveva accanto la ragazza che amava i cui capelli erano scompigliati dal vento. Silas invece si divertiva a correre spensierato sulla neve. La sera intanto si avvicinava e i giovani decisero di tornare al villaggio dal vecchio saggio. Ringraziarono Snah e Baruch che li esortarono a tornare quando volevano in quella valle incantata e i giovani furono felici. Fecero ritorno al villaggio e ormai era calata la sera. Le stelle erano così belle e la luna era alta e grande nel cielo. Oetzi portò Ilya e Silas nella capanna e il vecchio li accolse con un sorriso. I quattro mangiarono e chiacchierarono davanti al fuoco, narrandosi storie di quei luoghi. Poi decisero di andare a dormire. Si stesero sotto le coperte e Ilya abbracciò Oetzi e cadde in un sonno profondo. Oetzi però stentava a prender sonno e pensava: “È davvero tutto finito? Il tempo dell’odio e del rancore è terminato?” Ripensò poi alle parole del vecchio e tutto gli fu chiaro: dalla discordia si genera l’armonia. Poi si addormentò cullato dal crepitio del fuoco e dal respiro calmo e rilassato dei suoi compagni. 90 La meraviglia CAPITOLO DECIMO Addio al passato Nella testa di Michelangelo tornò la tranquillità, ma la situazione nell’albergo non era affatto risolta; Fritz aveva abbandonato l’hotel e le cose non stavano andando bene. Michelangelo insieme ad Alice e Stefano decise di andare a trovare la Signora Helga che si trovava nel suo rifugio ai piedi della montagna. L’imponenza della Cima Nera dominava il paesaggio e catalizzava l’attenzione di Michelangelo che non riusciva a distaccarne lo sguardo: ricordi lontani lo riportarono indietro nel tempo, un intenso profumo di terra e di pino poi un vento forte, gelido, sferzò il suo viso subito dopo un rombo di tuono che lo fece trasalire, nonostante il cielo fosse limpido e terso, sgombro da nuvole; un senso d’angoscia e di panico lo accolse, non comprendeva cosa potesse essere, quand’ecco sentì una carezza sul viso da una ruvida mano, una mano callosa, abituata al lavoro che non conosceva creme o linimenti, di fronte a lui un uomo barbuto gli sorrideva; non fece nemmeno in tempo a chiedergli chi fosse che già era sparito. 92 Addio al passato Alice e Stefano avevano preceduto Michelangelo all’interno del rifugio e lo stavano guardando con aria impaziente dai vetri appannati. Michelangelo, ancora scosso dall’incontro inquietante e misterioso avvenuto poco prima, venne accolto nella casa con gran festa da parte di Helga che si accinse subito a offrir loro cioccolata calda e paste di meliga. Pur nella gioia di rivedere i tre ragazzi, il viso di Helga non riusciva a nascondere un velo di tristezza: Hans non voleva saperne di riappacificarsi. Non si poteva lasciare Helga nel dolore di sapere che i due figli non si volevano né vedere né parlare. Alice ebbe l’idea: si sarebbe potuta organizzare una gita sulla Cima Nera, per il giorno dopo era prevista una giornata di sole con temperatura al di sopra della media stagionale. Avrebbero invitato sia Hans che Fritz, ma l’uno all’insaputa dell’altro. Quali sarebbero state le reazioni da parte dei due fratelli nel rivedersi? Helga decise di affrontare l’incognita e approvò l’idea; insistette affinché i ragazzi rimanessero a dormire nel rifugio. Il giorno dopo le previsioni si rivelarono azzeccate: il cielo sereno era illuminato dai caldi raggi di un sole infuocato. Capitolo decimo 93 Il primo a giungere col mattino fu Fritz, era stato contento dell’invito e riabbracciò volentieri la madre, poco dopo giunse anche Hans; i due fratelli compresero il trabocchetto nel quale erano caduti, si incrociarono i loro sguardi carichi di stupore e di durezza, iniziarono a insultarsi, a tirar fuori tutte le questioni passate rimaste sommerse, si buttarono addosso parole forti, pronunciate ancor prima di essere pensate; Michelangelo, Alice e Stefano non sapevano cosa fare, ma Helga non sopportò oltre e prese in mano la situazione, iniziò a sgridarli come se fossero ancora bambini e li obbligò a tacere; quell’intervento deciso e autoritario li zittì, ritrovarono le buone maniere, salutarono i tre giovani e iniziarono la scalata alla Cima Nera. Il percorso non era agevole, ma tutti restarono stupiti dall’agilità di Helga che li precedeva con passo deciso e costante, sembrava non sentire né la stanchezza né il peso degli anni, il suo fisico asciutto e muscoloso dotato di gambe con imponenti polpacci, un po’ troppo pronunciati in una donna, si era forgiato nelle frequenti camminate in quei sentieri montuosi. Dopo il mutismo iniziale le lingue si sciolsero in confidenze e racconti spensierati, ritrovando così uno stato d’animo sereno. Arrivati quasi alla sommità della Cima Nera la loro attenzione fu 94 Addio al passato attirata da una cavità nella roccia, Michelangelo vi entrò per primo, il pensiero di Oetzi affiorò in modo quasi ossessionante nella sua mente, già durante il percorso aveva percepito una presenza misteriosa invisibile che lo seguiva, ma la forza che sentiva era benevola e lo rendeva allegro e felice, sentimenti rinforzati dal sole ora alto nel cielo che riscaldava l’aria e illuminava il suo cammino. Sapeva che Oetzi era stato in quella grotta, anche Helga sembrava conoscerla, indicò ai ragazzi una parete: era bellissima, tutta disegnata, i graffiti sembravano rappresentare la vita di Oetzi. Michelangelo era il più attento, osservava la parete con sguardo curioso e indagatore, in particolare fu attratto dal disegno che rappresentava due uomini stretti in un affettuoso abbraccio al centro di un villaggio. Helga lo indicò, richiamando l’attenzione dei propri figli. Una folata di vento mosse i capelli di Michelangelo che sentì un piacevole tepore sulla sua guancia e una voce suadente e amichevole che voleva comunicargli qualcosa ma in una lingua a lui sconosciuta. Non volle dir nulla agli altri, avrebbero creduto che fosse pazzo e poi stavano ancora lì a guardare quel graffito sul muro. Un urlo di dolore a stento trattenuto attirò l’attenzione del gruppo: la gamba di Michelangelo aveva scontrato un ariete di legno le Capitolo decimo 95 cui corna acuminate gli avevano trafitto la gamba. Sembrava un manufatto molto antico, forse l’aveva costruito Oetzi perché si sentiva solo. Michelangelo lo prese. Helga stava spiegando ai ragazzi che un’azienda, così come un antico villaggio, non può essere costruita se nei soci c’è odio e discordia. Fritz e Hans, la cui rabbia era andata placandosi già durante la salita, si commossero e si strinsero in un forte abbraccio, circondati dagli applausi di Helga, Alice, Stefano e Michelangelo. Finalmente la tranquillità era arrivata nella famiglia. La discesa dalla Cima Nera per i due fratelli riappacificati fu più rapida e piacevole del previsto. Helga era felice ed era certa che la ritrovata armonia tra i due fratelli avrebbe portato l’albergo a essere uno tra i più richiesti per l’ospitalità e la qualità del cibo. Michelangelo però, non era ancora soddisfatto, molti interrogativi non avevano ancora avuto risposta. Decise di ritornare sulla Cima Nera, ma questa volta da solo; superò la grotta e una volta raggiunta la vetta, emise un forte grido liberatorio: «Oetzi!!! Oetzi!!!» non si aspettava una risposta, si arrese e decise di ritornare giù. 96 Addio al passato Una nuvola attirò la sua attenzione: aveva le somiglianze di un uomo sorridente, lo stesso viso degli anni passati. Michelangelo prese l’ariete di legno, lo baciò e lo lanciò nel cielo dove sparì lentamente e con l’ariete si dissolse anche la nuvola. Michelangelo lanciò un urlo, finalmente si era liberato da un peso. Ora era sereno e stava bene. Capitolo decimo 97 APPENDICE 1. La predizione Liceo Scientifico “Alfonso Gatto” di Agropoli – Classe III C Indirizzo Classico Dirigente Scolastico Pasquale Monaco Docente referente della Staffetta Angelo Mantione Docente responsabile dell’Azione Formativa Angelo Mantione Gli studenti/scrittori della classe III C Alessandro Abbruzzese, Lisa Barone, Andrea Campanile, Filomena Caruccio, Giusy Cerino, Chiara Di Luccio, Maria Pia Garofalo, Paola Giordano, Mariachiara Guarino, Gerardo Lembo, Martina Lionetti, Arianna Mazza, Matteo Mitrano, Angela Noce, Maddalena Paparello, Alessandro Pecoraro, Adriana Pepe, Filomena Rispoli, Anna Virginia Russo, Francesca Sarnicola,Simone Strianese, Alex Sventola, Serena Vitolo Hanno scritto dell’esperienza: “… Siamo al secondo anno di esperienza di scrittura creativa… e anche quest’anno abbiamo accolto la proposta di partecipazione alla staffetta con entusiasmo e desiderio di cimentarci nella ideazione e costruzione del racconto. Siamo convinti che le squadre degli altri studenti/scrittori che, in questa ineguagliabile esperienza di scrittura collettiva, continueranno il racconto da noi iniziato sapranno portare il lavoro ad una conclusione interessante e accattivante”. APPENDICE 2. All’alba di un nuovo giorno Liceo Scientifico “E. Majorana” di Isernia - Classi III C/E Dirigente Scolastico Eugenio Silvestre Docente referente della Staffetta Ida Di Ianni Docenti responsabili dell’Azione Formativa Ida Di Ianni, Olimpia Testa, Andrea Cacciavillani (scrittore) Gli studenti/scrittori delle classi III C/E Francesca Amicone, Vittoria Cimorelli Belfiore, Anna Forte, Silvia Di Menna, Serena Delli Carpini, Roberta Scungio, Roberta Cimorelli Belfiore, Mario Capretta, Ludovica Serricchio, Paolo Colizzi Hanno scritto dell’esperienza: “… Il capitolo è stato redatto da studenti (due gruppi classe) che sinora non si erano mai confrontati in un’esperienza di scrittura a più mani. Divisi in tre gruppi di lavoro ed individuate le linee della narrazione entro cui incanalare la trama, nel raccordo con quanto proposto dal primo capitolo e soprattutto con l’incipit, gli studenti hanno poi continuato la stesura del racconto in forme autonome, utilizzando tutte le potenzialità dei mezzi informatici a loro disposizione e pervenendo ad un capitolo tripartito, che è stato quindi sottoposto al docente. In tale operazione gli studenti sono stati supportati da uno scrittore, che ha fornito loro orientamenti ed utili indicazioni operative. Esperienza di fatto molto significativa sia negli esiti della scrittura realizzata sia nella valenza aggregativa dei gruppi e dei gruppi-classe”. APPENDICE 3. Sulla Montagna Liceo Scientifico Statale “Giancarlo Siani” di Aversa – Classi III D, IV, IV D, IV I Dirigente Scolastico Rosaria Barone Docente referente della Staffetta Stefania Febbraro Docenti responsabili dell’Azione formativa Luigia Ebraico, Stefania Febbraro Gli studenti/scrittori delle classi III D, IV D/I Giovanna Balivo, Attilio Cangiano, Maria Caserta, Giovanna Comparone, Emanuele d’Aniello Raffaella Dalessandro, Nicola De Simone, Martina di Martino, Paola Grande, Silvia Graziano, Anna Mirate, Michele Schiavone, Benedetta Tagliafierro, Salvatore Tessitore. Hanno scritto dell’esperienza: “… Partecipare alla staffetta ha rappresentato un’esperienza coinvolgente: dalla lettura dell’incipit, primo motore di tante e diverse idee, ai capitoli successivi, che hanno rinnovato di volta in volta le storie già pensate. All’analisi testuale per individuare personaggi, ambientazioni e messaggi, è seguita la fase d’ideazione,fondata sul tema della staffetta la contemplazione. È stato un momento significativo di confronto non solo del modo in cui proseguire la storia, ma anche delle diverse visioni interiori degli studenti. Non è stato semplice scrivere a più mani una piccola parte di un racconto, muoversi in uno spazio limitato cercando di cogliere, vedere e suggerire relazioni, ma certamente ha favorito la collaborazione e la condivisione. Lo spirito sotteso alla scrittura è stato quello di raccontare, con un numero limitato di parole e di conseguenti immagini, il senso dei propri pensieri, il senso del proprio racconto che per tutti doveva essere di formazione. Perciò si tornati a Oetzi e alla montagna, al desiderio di conquistare un orizzonte”. APPENDICE 4. Rivelazione Liceo artistico “Sabatini-Menna” di Salerno - Classe III F Dirigente Scolastico Ester Andreola Docente referente della Staffetta Angela Visone Docente responsabile dell’Azione Formativa Angela Visone Gli studenti/scrittori della classe III F Serena Apicella, Lucia Aprile, Pio Maria Bisogno, Danilo Candela, Giulia Capolupo, Chiara Cerasuolo, Jessica D’Auria, Francesca D’Urso, Ilaria Del Vecchio, Matteo Eulogio, Ines Lambiase, Valeria Masullo, Angela Pantò, Maria Maddalena Pappalardo, Alessia Petrillo, Silvia Polidoro, Alessandro Polverino, Francesco Rispoli, Manuel Romano, Silvia Maria Russo, Rosalia Santo, Annamaria Senatore, Giovanni Sorrentino, Gerardo Tedesco, Francesco Troisi, Michela Vassallo, Sara Vicinanza Hanno scritto dell’esperienza: “… L’incipit che abbiamo affrontato ha destato il nostro interesse per la sua originalità. Insieme ci siamo divertiti molto fantasticando sul proseguimento della storia. Nel nuovo anno scolastico per noi ricco di cambiamenti questo lavoro di gruppo ci ha aiutato ad essere più uniti e a creare un clima di organizzazione e aiuto reciproco”. APPENDICE 5. Dalla realtà al sogno Itca “Fabio Besta” di Ragusa – Classe IV A Dirigente Scolastico Antonella Rosa Docente Referente della Staffetta Rosanna Massari Docente responsabile dell’Azione Formativa Rosanna Massari Gli studenti/scrittori della classe IV A Salvatore Battaglia, Alessio Bellina, Benedetta Cascone, Eliano Corallo, Carmelo Distefano, Melissa Distefano, Alberto Firrito, Adriano Guastella, Chiara La Rosa, Adriano Lucifora, Roberta Mantello, Leonardo Marcinnò, Roberta Monello, Daniele Piccitto, Damiano Spadaro, Enrico Ucchino Hanno scritto dell’esperienza: “… L'esperienza è stata coinvolgente e appassionante, visto che ci ha portato anche a ricercare informazioni su un caso non del tutto noto e a scoprire un mondo per noi nuovo e affascinante come la montagna. La collaborazione tra gli alunni è stata stimolante, in uno spirito di competizione positivo e proficuo, che ha messo in luce le capacità e l'estro di ogni singolo”. APPENDICE 6. L’escursione rimandata Liceo Statale “Lucrezia della Valle” di Cosenza - Classe IV A Linguistico Dirigente Scolastico Loredana Giannicola Docente referente della Staffetta Lidia Fusaro Docenti responsabili dell’Azione Formativa Lidia Fusaro, Silvia Vitale Gli studenti/scrittori della classe IV A Linguistico Marco Bernaudo, Sahamar Bessiud, Carolina Bilotta, Rita Bonanno, Arianna Bria, Anna Chiara Calabria, Eugenio Capparelli, Anna Maria Castiglione, Simone Coscarella, Mattia DeGaetano, Azzurra Di Biase, Daniele Fiorillo, Giada Folino, Simone Gualtieri, Maria Chiara Iacovino, Elena Lepore, Sara Imbrogno, Vittoria Librandi, Elisa Grazia Mauro, Mattia Milano, Roberta Motta, Cristiana Natalizio, Rita Ponti, Desirée Runco, Marica Sacco, Sofia Spadafora, Romina Stabile, Irene Viola, Matteo Vizza Hanno scritto dell’esperienza: “… Essendo la nostra seconda esperienza con questo progetto abbiamo notato alcuni miglioramenti: non eravamo più i ragazzini fomentati e presi dall’emozione, ci siamo comportati quasi da professionisti. Le idee contrastanti come in qualsiasi confronto tra più persone, non sono mancate ma le abbiamo risolte in breve tempo. La staffetta, inoltre, ancora una volta ci ha dato l’opportunità di esprimere la nostra creatività e dare sfogo alla nostra fantasia”. APPENDICE 7. Il cerchio della vita I.I.S.S. “Einaudi” di Manduria - Classe IV A Turistico Dirigente Scolastico Elena Silvana Cavallo Docente referente della Staffetta Cosima Saracino Docenti responsabili dell’Azione Formativa Cosima Saracino, Anna Maria Marotta, Anna Saracino Gli studenti/scrittori della classe IV A Turistico Iacopo Bruno, Virginia Chiloiro, Stefania Dipalmo, Nico Di Maglie, Sara Massari, Viola Vassallo, Federico Tarentini, Federica Mingolla, Antonia Scialpi, Giovanna Monachello, Gabriella Frascina, Rebecca Desantis, Alessia Lippolis Hanno scritto dell’esperienza: “… Le ricerche su Oetzi, la sua storia, i luoghi del suo ritrovamento e la loro cultura, eseguite a margine dell’attività, hanno ampliato le nostre conoscenze, mentre il lavoro di gruppo ha migliorato notevolmente il nostro rapporto con compagni e docenti, insegnandoci ad ascoltare e rispettare il parere degli altri e, in molti casi, a condividerlo”. APPENDICE 8. Il passato ritorna Istituto di Istruzione Superiore “T. Confalonieri“ di Campagna - Classe IV A Linguistico Dirigente Scolastico Italo Cernera Docente referente della Staffetta Liberato Taglianetti Docente responsabile dell’Azione Formativa Liberato Taglianetti Gli studenti/scrittori della classe IV A linguistico Hanno scritto dell’esperienza: “… Ci teniamo a sottolineare che scrivere per la staffetta è stata un’esperienza molto stimolante per gli alunni che hanno avuto modo di far leva sulla propria sensibilità e abilità di scrittori in erba per contribuire alla realizzazione del proprio libro”. APPENDICE 9. La meraviglia Liceo Scientifico Statale “G. Rummo” di Benevento - Classe III G Dirigente Scolastico Teresa Marchese Docente referente Della Staffetta Domenico Zerella Docente responsabile dell’Azione Formativa Domenico Zerella Gli studenti/scrittori della classe III G Miriana Bovino, Emilio Calligaro, Serena Cocca, Gianmarco De Ieso, Stefano Di Rubbo, Daniela Ferravante, Aurora Intorcia, Rebecca Lisella, Federica Lidia Marchitto, Luca Mignone, Federica Mirra, Annarita Morelli, Annarita Parente, Federica Pepe, Davide Principe, Piero Sauchella, Francesca Silvano, Pio Tedesco, Noemi Tufo, Serafino Zullo Hanno scritto dell’esperienza: “… Poiché è l’ultimo capitolo bisognerebbe adesso fare chiarezza sulla storia di Michelangelo. Ormai quella di Oetzi è conclusa e la meraviglia che doveva essere alla base della sua storia è stata scoperta. Quindi bisognerebbe tornare nuovamente alla vita del ragazzino facendo risvegliare Oetzi come Michelangelo che potrebbe far riappacificare i due fratelli Hans e Fritz e scoprire anch’egli le meraviglie del luogo. È stato un vero piacere condividere questa esperienza ed, inoltre, ci siamo divertiti molto”. APPENDICE 10. Addio al passato Istituto Secondario Superiore Statale “Mazzini - Da Vinci” di Savona - Classe III Ipsia “Da Vinci” Dirigente Scolastico Domenico Buscaglia Docente referente della Staffetta Maria Paola Topasso Docente responsabile dell’Azione Formativa Maria Paola Topasso Gli studenti/scrittori della classe III Ipsia Da Vinci Harold Trivino Caicedo, Stefano Battistutta e Matteo Cosenza. Hanno scritto dell’esperienza: “… È stata una buona opportunità per noi alunni di un istituto professionale poterci impegnare nello scrivere un racconto insieme ad altri istituti, anche se siamo dispiaciuti di non poter partecipare all’incontro finale a Salerno”. NOTE NOTE INDICE Incipit di ALESSANDRA LIVERANI..................................................................pag 16 Cap. 1 La predizione ..............................................................................................» 20 Cap. 2 All’alba di un nuovo giorno ....................................................................» 26 Cap. 3 Sulla Montagna ..........................................................................................» 34 Cap. 4 Rivelazione ..................................................................................................» 42 Cap. 5 Dalla realtà al sogno ................................................................................» 50 Cap. 6 L’escursione rimandata ............................................................................» 58 Cap. 7 Il cerchio della vita ..................................................................................» 66 Cap. 8 Il passato ritorna ........................................................................................» 74 Cap. 9 La meraviglia ..............................................................................................» 84 Cap. 10 Addio al passato ....................................................................................» 92 Appendici ..................................................................................................................» 98 Finito di stampare nel mese di aprile 2014 da Tipografia Fusco, Salerno