L`ANELITO DI OETZI

Transcript

L`ANELITO DI OETZI
L’ANELITO DI OETZI
Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo
Associazione di Enti Locali per l’Educational e la Cultura - Ente Formatore per Docenti
Istituzione Promotrice della Staffetta di Scrittura Bimed/Exposcuola in Italia e all’Estero
Partendo dall’incipit di Alessandra Liverani e con il coordinamento dei propri
docenti, hanno scritto il racconto gli studenti delle scuole e delle classi appresso
indicate:
Liceo Scientifico “Alfonso Gatto” di Agropoli – Classe III C Indirizzo Classico
Liceo Scientifico “E. Majorana” di Isernia - Classi III C/E
Liceo Scientifico Statale “Giancarlo Siani” di Aversa – Classi III D, IV, IV D, IV I
Liceo Artistico “Sabatini-Menna” di Salerno - Classe III F
ITCA “Fabio Besta” di Ragusa – Classe IV A
Liceo Statale “Lucrezia della Valle” di Cosenza - Classe IV A Linguistico
I.I.S.S. “Einaudi” di Manduria - Classe IV A Turistico
Istituto di Istruzione Superiore “T. Confalonieri” di Campagna - Classe IV A Linguistico
Liceo Scientifico Statale “G. Rummo” di Benevento - Classe III G
Istituto Secondario Superiore Statale “Mazzini - Da Vinci” di Savona - Classe III
Ipsia “Da Vinci”
Editing a cura di: Marie Christine Marzano
Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo Associazione di Enti Locali
Ente Formatore per docenti accreditato MIUR
Il racconto è pubblicato in seno alla Collana dei Raccontiadiecimilamani
Staffetta Bimed/Exposcuola 2014
Istituzione Promotrice della Staffetta di Scrittura Bimed/Exposcuola in Italia e all’Estero
Direzione e progetto scientifico
Andrea Iovino
Monitoraggio dell’azione
e ottimizzazione delle procedure
Ermelinda Garofano
Segreteria di Redazione
e responsabili delle procedure
Valentina Landolfi
Margherita Pasquale
Francesco Rossi
Staff di Direzione
e gestione delle procedure
Angelo Di Maso
Adele Spagnuolo
Responsabile per l’impianto editoriale
Marisa Coraggio
Grafica di copertina:
l’Istituto Europeo di Design, Torino
Docente: Sandra Raffini
Impaginazione
Tullio Rinaldi
Ermanno Villari
Relazioni Istituzionali
Nicoletta Antoniello
Piattaforma BIMEDESCRIBA
Gennaro Coppola
Angelo De Martino
Amministrazione
Rosanna Crupi
Annarita Cuozzo
Franco Giugliano
I libretti della Staffetta non possono essere in alcun modo posti in distribuzione Commerciale
RINGRAZIAMENTI
I racconti pubblicati nella Collana della Staffetta di Scrittura Bimed/ExpoScuola 2014 si
realizzano anche grazie al contributo erogato in favore dell’azione dalle istituzioni e dai
Comuni che la finanziano perché ritenuta esercizio di rilevante qualità per la formazione
delle nuove generazioni. Tra gli Enti che contribuiscono alla pubblicazione della Collana
Staffetta 2014 citiamo: Siano, Bellosguardo, Pisciotta, Pinerolo, Moncalieri, Castellamonte,
Torre Pellice, Forno Canavese, Ivrea, Chivasso, Cuorgnè, Santena, Agliè, Favignana, Lanzo
Torinese, Sicignano degli Alburni, Petina, Piaggine, San Giorgio a Cremano, l’Associazione
in Saint Vincent e l’Associazione Turistica Pro Loco di Castelletto Monferrato.
La Staffetta di Scrittura riceve un rilevante contributo per l’organizzazione degli Eventi di
presentazione dei Racconti 2014 dai Comuni di Moncalieri, Salerno, Pinerolo e dal Parco
Nazionale del Gargano/Riserva Naturale Marina Isole Tremiti.
Si coglie l’occasione per ringraziare i tantissimi uomini e donne che hanno operato per il
buon esito della Staffetta 2014 e che nella Scuola, nelle istituzioni e nel mondo delle associazioni promuovono l’interazione con i format che Bimed annualmente pone in essere in
favore delle nuove generazioni. Ringraziamenti e tanta gratitudine per gli scrittori che annualmente redigono il proprio incipit per la Staffetta e lo donano a questa straordinaria
azione qualificando lo start up dell’iniziativa. Un ringraziamento particolare alle Direzioni
Regionali Scolastiche e agli Uffici Scolastici Provinciali che si sono prodigati in favore dell’iniziativa. Infine, ringraziamenti ossequiosi vanno a S. E. l’On. Giorgio Napolitano che ha insignito la Staffetta 2014 con uno dei premi più ambiti per le istituzioni che operano in ambito
alla cultura e al fare cultura, la Medaglia di Rappresentanza della Repubblica Italiana giusto dispositivo SGPR 01/10/2013 0102715P del PROT SCA/GN/1047-1
Partner Tecnico Staffetta 2014
Si ringraziano per l’impagabile apporto
fornito alla Staffetta 2014:
i Partner tecnici
UNISA – Salerno, Dip. di Informatica;
Istituto Europeo di Design - Torino;
Cartesar Spa e Sabox Eco Friendly
Company;
il partner Must
Certipass, Ente Internazionale Erogatore
delle Certificazioni Informatiche EIPASS
By Bimed Edizioni
Dipartimento tematico della Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo
(Associazione di Enti Locali per l’Educational e la Cultura)
Via della Quercia, 64 – 84080 Capezzano (SA), ITALY
Tel. 089/2964302-3 fax 089/2751719 e-mail: [email protected]
La Collana dei Raccontiadiecimilamani 2014 viene stampata in parte su carta
riciclata. È questa una scelta importante cui giungiamo grazie al contributo di
autorevoli partner (Sabox e Cartesar) che con noi condividono il rispetto della
tutela ambientale come vision culturale imprescindibile per chi intende contribuire alla qualificazione e allo sviluppo della società contemporanea anche attraverso la preservazione delle risorse naturali. E gli alberi sono risorse ineludibili per
il futuro di ognuno di noi…
Parte della carta utilizzata per stampare i racconti proviene da station di
recupero e riciclo di materiali di scarto.
La Pubblicazione è inserita nella collana della Staffetta di Scrittura
Bimed/Exposcuola 2013/2014
Riservati tutti i diritti, anche di traduzione, in Italia e all’estero.
Nessuna parte può essere riprodotta (fotocopia, microfilm o altro mezzo)
senza l’autorizzazione scritta dell’Editore.
La pubblicazione non è immessa nei circuiti di distribuzione e commercializzazione e rientra tra i prodotti formativi di Bimed destinati
unicamente alle scuole partecipanti l’annuale Staffetta di Scrittura
Bimed/ExpoScuola.
La Staffetta 2013/14 riceve:
Medaglia di Rappresentanza della Presidenza della Repubblica Italiana
Patrocini:
Senato della Repubblica, Camera dei Deputati, Ministero della Giustizia,
Ministero per le Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Ministero dell’Ambiente
PRESENTAZIONE
Quante attenzioni, quanta positiva tensione e quanto straordinario e felice impegno
nella Staffetta di quest’anno. L’emozione che abbiamo provato quando il Presidente
della Repubblica ha conferito alla Staffetta la Medaglia di Rappresentanza è
stata grande ma ancora e di gran lunga maggiore è stata, l’emozione, nel vedere
gli occhi dei nostri ragazzi in visita al Quirinale. Ho avvertito in quegli occhi
l’orgoglio di chi sentiva di essersi impegnato in un’attività che le istituzioni gli stavano
riconoscendo … È quello che vorrei vedere negli occhi di quei tanti giovani che
dopo la scuola, a conclusione del proprio ciclo d’istruzione, invece, in questo tempo
sentono l’apprensione di un contesto che, probabilmente, dovrebbe sancire la
Staffetta come buona prassi da adottare in funzione del divenire comune. Cos’è, in
fondo la Staffetta? E’ un format educativo, un esercizio imperdibile per l’acquisizione
gli strumenti necessari a affrontare LA VITA sentendo lo straordinario dono della vita.
La Staffetta è una sfida in cui tutti si mettono insieme stando dalla stessa parte,
sentendo anche le entità lontane come i compagni di un cammino comune …
L’altro che diventa te stesso … Questo è la Staffetta un momento che dura un intero
anno e che alla fine ti mette nella condizione di sentirti più forte e orgoglioso per
quello che è stato fatto, insieme a tanti altri che hanno concorso a realizzare un
prodotto che alla fine è la testimonianza di un impegno che ci ha visti UNITI (!)
in funzione di un obiettivo … Si tratta di quello di cui ha bisogno il Paese e di
quello che appare indispensabile per qualificare il tempo e lo spazio che stiamo attraversando.
Andrea Iovino
L’innovazione e la Staffetta: una opportunità per la Scuola italiana.
Questo è il secondo anno che operiamo in partnership con Bimed per la realizzazione
della “Staffetta di scrittura Creativa e di Legalità”. Siamo orgogliosi di essere
protagonisti di questa importante avventura che, peraltro, ci consente di raggiungere
e sensibilizzare un così grande numero di persone sull’attualissimo, quanto per
molti ancora poco conosciuto, tema che attiene la cultura digitale.
Sentiamo spesso parlare di innovazione, di tecnologia e di internet: tutti elementi
che hanno rivoluzionato il mondo, dalle amicizie, al tempo libero,lo studio, il lavoro
e soprattutto il modo di reperire informazioni. L’innovazione ha travolto il mondo
della produzione, dei servizi e dell’educazione, ma non dobbiamo dimenticare
che “innovare” significa, prima di tutto, porre la dovuta attenzione alla cultura.
Da un punto di vista tecnico, siamo tutti più o meno esperti, ma quanti di noi
comprendono realmente l’essenza, le motivazioni, le opportunità e i rischi che
ne derivano?
La Società è cambiata e la Scuola, che è preposta alla formazione di nuovi
individui e nuove coscienze, non può restare ferma di fronte al cambiamento che
l’introduzione delle nuove tecnologie e internet hanno portato anche nella
didattica: oggi gli studenti apprendono in modo diverso e questo implica
necessariamente un metodo di insegnamento diverso.
Con il concetto di “diffusione della cultura digitale” intendiamo lo sviluppo del
pensiero critico e delle competenze digitali che, insieme all’alfabetizzazione,
aiutano i docenti e i nostri ragazzi a districarsi nella giungla tecnologica che
viviamo quotidianamente.
L’informatica entra a Scuola in modo interdisciplinare e trasversale: entra perché
i ragazzi di oggi sono i “nativi digitali”, sono nati e cresciuti con tecnologie di cui
non è più possibile ignorarne i vantaggi e le opportunità e che porta inevitabilmente
la Scuola a ridisegnare il proprio ruolo nel nostro tempo.
Certipass promuove la diffusione della cultura digitale e opera in linea con le
Raccomandazioni Comunitarie in materia, che indicano nell’innovazione e
nell’acquisizione delle competenze digitali la vera possibilità evolutiva del
contesto sociale contemporaneo. Poter anche soltanto raccontare a una comunità
così vasta com’è quella di Bimed delle grandi opportunità che derivano dalla
cultura digitale e dalla capacità di gestire in sicurezza la relazione con i contesti
informatici, è di per sé una occasione imperdibile. Premesso che vi sono indagini
internazionali da cui si evince l’esigenza di organizzare una forte strategia di
ripresa culturale per il nostro Paese e considerato anche che è acclarato il dato
che vuole l’Italia in una condizione di regressione economica proprio a causa del
basso livello di alfabetizzazione (n.d.r. Attilio Stajano, Research, Quality,
Competitiveness. European Union Technology Policy for Information Society IISpringer 2012) non soltanto di carattere digitale, ci è apparso doveroso
partecipare con slancio a questo format che opera proprio verso la finalità di
determinare una cultura in grado di collegare la creatività e i saperi tradizionali
alle moderne tecnologie e a un’idea di digitale in grado
di determinare confronto, contaminazione, incontro, partecipazione e condivisione.
Promuoviamo, insieme, la cultura digitale e la certificazione delle I-Competence
per garantire competenze indispensabili per acquisire a pieno il ruolo di cittadino
attivo nella società della comunicazione e dell’ informazione.
Partecipiamo attivamente alla diffusione della cultura digitale, perché essa diventi patrimonio di tutti e di ciascuno, accettando la sfida imposta dalle nuove
professioni che nascono e dai vecchi mestieri che si trasformano, in modo profondo
e radicale.
Tutti noi abbiamo bisogno di rigenerare il pensiero accettando nuove sfide e
mettendo in gioco tutto quanto imparato fino adesso, predisponendoci al
cambiamento per poter andare sempre più avanti e un po’ oltre.
Il libro che hai tra le mani è la prova tangibile di un lavoro unico nel suo genere,
dai tantissimi valori aggiunti che racchiude in sé lo slancio nel liberare futuro
collegando la nostra storia, le nostre tradizioni e la nostra civiltà all’innovazione
tecnologica e alla cultura digitale. Certipass è ben lieta di essere parte integrante
di questo percorso, perché l’innovazione è cultura, prima che evoluzione tecnologica!
Il Presidente
Domenico PONTRANDOLFO
INCIPIT
ALESSANDRA LIVERANI
L’uomo nel ghiaccio
Correva lungo il sentiero già da un’ora e si era spinto a tal punto
oltre i limiti della spossatezza fisica che provava una sorta di bizzarro distacco dal suo corpo, come se stesse osservando la sua
ascesa stando a qualche metro di altezza da terra.
Non era verde di erba e alberi la montagna che gli si parava di
fronte né in alcun modo pittoresca, assolutamente nulla c’era che
consolasse quella nudità, che ricordasse le dolci cose della vita.
Eppure, come la sera prima dal fondo della gola, fermatosi a prender fiato, la guardava ipnotizzato e un semplice piacere gli entrava nel cuore.
L’alba era limpida e luminosa, con una visibilità perfetta. Il sole si
stava levando dalle grandi cime e faceva rilucere le ghiaie
bianche che fasciavano le montagne, illuminando anche il sentiero che si stava facendo sempre più incerto e sottile, scomparendo ogni volta che incrociava i piccoli nevai che
costellavano il pendio.
16
Lo aveva percorso altre volte quel sentiero, ma ora era diverso,
ora ogni minuto era prezioso, il tempo correva, non ci si poteva
fermare neanche un attimo, neppure per un’occhiata indietro.
Non c’era tempo per perdersi a contemplare quelle incredibili
cime, come aveva fatto tante volte in passato.
Quando aveva lasciato la sua capanna nella vallata non
aveva neppure avuto il tempo di finire le frecce che stava costruendo; le aveva comunque portate con sé, le sentiva ballonzolare nella faretra di pelle mentre avanzava sul terreno
accidentato, in previsione di poterle completare nei pochi momenti in cui si fermava e si concedeva un po’ di riposo. Il lungo
arco di legno lo intralciava, ma era necessario portarlo, non
solo per nutrirsi uccidendo qualche animale ma anche per difendersi.
Sapeva fin dal primo momento della sua fuga che lo avrebbero
seguito. Anche in montagna.
A un certo punto però aveva sperato che se ne fossero andati,
che avessero rinunciato. Aveva deciso di vedere se lo stavano
ancora seguendo. Prima aveva corso, per guadagnare terreno
e arrivare a un alto costone la cui sommità permetteva di vedere lontano sul pendio sottostante; poi aveva strisciato fino
17
al margine della piattaforma rocciosa e aveva atteso fino a
che il sole non si era alzato un po’ nel cielo.
E a un certo punto erano comparsi. Due punti neri in lontananza,
si intravedevano anche gli archi che portavano. Salivano lentamente ma senza fermarsi, uno dietro l’altro.
Era una gara di velocità, poiché l’unico sentiero percorribile
sulle montagne era quello che stava seguendo, lo stesso dei
suoi cacciatori. E una gara di resistenza alla fatica e al freddo,
che mordeva e faceva martellare la testa, ogni notte, attraverso
il berretto di pelo e il mantello di pelle di capra, troppo leggeri
per le rigide temperature d’alta quota a inizio primavera. Le
scarpe imbottite di fieno invece erano perfette e sempre calde;
d’altro canto chi le aveva confezionate, al villaggio, era famoso per la sua maestria.
Al terzo giorno le forze cominciarono a mancargli; tentava di
farsi forza ma cominciava a disperare di potercela fare. Si fermava sempre più spesso. E sempre più spesso, chissà perché,
sostava e guardava le montagne, nella loro silenziosa, incredibile, distanza. Guardava, sorrideva e gli tornavano alla mente
le parole del vecchio del suo villaggio, nella valle in cui era
nato: “Tutto quanto fugge via, gli uomini, le stagioni, le nubi; e
18
non serve aggrapparsi alle pietre, resistere in cima a qualche
roccia, le dita stanche si aprono, le braccia si afflosciano inerti,
si è trascinati ancora nel fiume, che pare lento ma non si ferma
mai”.
19
CAPITOLO PRIMO
La predizione
Quella punta tagliente che frammentava il gelo dell’aria non sembrava rifulgere la rabbia delle dita che l’avevano scoccata, ma
minacciosa incombeva sulla sua preda come un’aquila delle alte
montagne. Frenò la sua picchiata la pelle di un uomo solitario intento a lavorare la legna. La freccia, foriera di morte, lo colpì. Le
membra subirono la pungente agonia di quell’istante: rapide
scosse, fiato intermittente, caldo, poi freddo; il corpo smorto sulla
neve si adagiò, trovò sollievo e un venticello sfiorò e fece vibrare
lievemente la sudicia barba.
“Aspettami, arrivo! Lì, fra le nuvole, ci rivedremo, più in alto di
quella cima, dormiremo sonni tranquilli”.
Come una fiammella che, dopo aver bruciato incessantemente
un’intera notte, si arrende, ormai fiacca, così la forza dell’uomo si
dissolse dopo aver tentato pervicacemente di resistere.
Subito dopo le ombre della notte ebbero la meglio. Iniziarono a
incombere il buio e il silenzio. Poi, a un tratto, uno spiraglio di luce
attraversò l’oscurità e il silenzio venne interrotto da una voce
20
La predizione
grave: «Sapevo che saresti venuto. Lo spirito delle madri richiama
sempre gli uccelli al nido».
Era una donna con capelli bianchi, dal viso sporco, segnato dal
passare degli anni, e dallo sguardo vitreo. Se ne stava accucciata in un angolo umido e stagnante.
L’ambiente chiuso e polveroso soffocava il giovane che, immobile,
osservava alcuni oggetti: una pentola di rame sulla brace ancora
ardente dalla quale esalava il profumo della carne di cervo, coltelli, sassi tondi e levigati, vecchi utensili metallici da cucina. Sembrava tutto così vecchio e abbandonato all’incuria del tempo.
«Sono Qetsiah, colei che vede le aquile in cielo prima che spicchino il volo, l’oceano in bufera prima che si innalzino le onde, la
padrona del destino degli uomini».
Gli venne naturale sussurrare: «Io sono…»
«Oetzi, sì lo so» lo interruppe la donna accennando un sorriso.
“Come fa a conoscere il mio nome?” pensò “Perché sono qui? Di
chi è la voce che mi ha spinto a entrare?”
La voce della donna interruppe i suoi pensieri: «Due montoni affamati si contendono un filo d’erba. L’erba sarà del montone dall’occhio di marmo. L’occhio non è un cerchio, ma una sfera. È
proprio lì dove ci si abbevera».
Capitolo primo
21
Le parole della donna condussero Oetzi in uno stato di confusione
dal quale cercò di uscire allontanandosi e incamminandosi verso il
villaggio…
Trascorsero i mesi autunnali e l’inverno si impose con prepotenza:
nevicate notturne, nubi nere gonfie di pioggia insieme con venti impetuosi componevano assordanti tempeste… Troppo sbiadito era
divenuto il ricordo dei colori sgargianti di ottobre, del sapore dei
frutti secchi raccolti nei boschi, della vitalità del suo amato villaggio alle pendici della Cima Nera. Kamak era il suo nome, in onore del
leggendario capo tribù che mille anni prima lo aveva fondato sfidando le forze misteriose e onnipotenti della natura.
Camminava a fatica; i suoi piedi sprofondavano nella neve impedendogli di proseguire speditamente verso la sua capanna. Improvvisamente Oetzi sentì riecheggiare un frastuono che proveniva
da est, in direzione di Kamak.
“No, non può essere… Cosa sta succedendo?”
Mentre percorreva il ripido sentiero, egli continuò a sperare che
quel chiasso fosse frutto dell’entusiasmo per un evento insolito o per
una festa religiosa.
Finalmente giunse al villaggio, stremato e senza più forze nelle
gambe. Gli si stagliò dinanzi uno scenario di morte e sofferenza
22
La predizione
atroce. Era l’inferno: saccheggiamenti, furti di innocenza di giovani
fanciulle, fiamme che investivano le capanne inghiottendo la gente
che vi dimorava, urla strazianti di uomini e donne depredate che
cercavano di sfuggire alla crudeltà delle lance e degli archi di
guerrieri armati, pianti disperati delle madri accanto ai corpi carbonizzati e inermi dei propri figli, la profanazione della statua di
legno del dio Sole, fumo che offuscava qualche orribile scena di
massacro, animali in fuga che si disperdevano tra le strade insanguinate in cerca di riparo. Avveniva lo sterminio di una tribù.
«Oetzi, grazie al cielo, sei vivo! Ti stavo cercando, dobbiamo andare via o moriremo!» urlò un giovane alle sue spalle.
Era Silas, suo amico di infanzia, insieme alla sorella Ilya.
Non se lo fece ripetere una seconda volta. Capì che erano in pericolo e che soltanto la fuga li avrebbe potuti salvare. Si guardò la
schiena per controllare di avere la faretra con le frecce. Non se ne
separava mai, era il suo kit di sopravvivenza.
Le gambe si mossero, prima la destra poi la sinistra e così via fino a
prendere una velocità tale da sembrare di volare. Era una gara a
chi riusciva ad arrivare prima alla salvezza. Erano giovani, ma il fiato
veniva meno anche a loro; eppure continuavano nella loro impresa.
I tumulti si stavano spostando nella loro direzione e, come una giCapitolo primo
23
gantesca macchia d’olio, si espandevano causando morte. Salirono in fretta nonostante la ripidezza delle rocce. Trovarono un
antro, una piccola bocca aperta che aspettava di dare ospitalità
a qualcuno. Erano loro gli ospiti quel giorno.
Si rifugiarono in profondità fin quando i reciproci respiri presero il
posto delle urla.
Silas, quando il suo respiro si fece meno affannoso, disse: «Non pensavo potesse accadere davvero. Da giorni mio padre era preoccupato per la contesa di un territorio vicino al fiume. Diceva di non
essere il solo a volerne il dominio».
«Chi erano quei guerrieri armati di lance e archi? Quale il loro villaggio?» domandò Oetzi.
«Wort» rispose Ilya «un insediamento a ovest. I suoi abitanti sono
spietati e senza scrupoli. Nostro padre ha tentato invano di trattare
con loro, ma hanno rifiutato dicendo che avrebbero conquistato
quel territorio con la forza. Se si fosse opposto alla loro decisione,
essi avrebbero massacrato la sua gente. E così è stato».
Oetzi ascoltava quelle parole incredulo della crudeltà del genere
umano.
Il sole calava dietro l’orizzonte. Quella terribile giornata giungeva
al termine e il sonno gravava sulle palpebre. Oetzi si addormentò.
24
La predizione
Scrosci d’acqua, il vento soffiava tra le fronde di un alto faggio; due
montoni corpo a corpo, solo uno si sarebbe impadronito di quel filo
d’erba tanto ambito. Tuttavia, il montone dall’occhio di marmo intimoriva l’altro che iniziò ad accasciarsi, stremato, come se stesse subendo l’influsso di una forza straordinaria che lo sovrastava e lo
schiacciava…
Cosa aveva generato quell’energia misteriosa capace di indebolire l’altro montone?
Immobile restava il fiero vincitore dinanzi al suo rivale morente. Il suo
occhio emanava una luce bianca, accecante che, diffondendosi
lentamente, avvolse l’ambiente circostante…
Oetzi si svegliò di colpo, il suo sussulto destò Silas.
«Cos’hai, Oetzi? Stai bene?» gli chiese «Sei pallido».
«Ho fatto un sogno strano: due montoni, un filo d’erba, un occhio di
marmo… Tutto ciò mi è familiare, è come se avessi già visto questa
scena» gli rispose.
D’un tratto un flash: una capanna, un’anziana donna dallo sguardo
vitreo, parole enigmatiche e incomprensibili; anch’esse parlavano
della contesa fra i due animali. Sicuramente alludevano a qualcos’altro. Se solo avesse saputo il loro vero significato!
“Perché Qetsiah mi ha riferito ciò?” pensò.
Oetzi era del tutto inconsapevole dell’impresa che lo attendeva
Capitolo primo
25
CAPITOLO SECONDO
All’alba di un nuovo giorno
Alle tiepide luci dell’alba i raggi accarezzavano i ripidi pendii dei
monti circostanti. Le acque del lago ai piedi della maestosa Cima
Nera erano coperte dal gelo.
Lì, sulla riva ghiacciata, Oetzi, destatosi in preda a un insopportabile tormento, era assorto ad ammirare i paesaggi della sua infanzia. Non riusciva a trovare un senso a ciò che gli stava
capitando, si sentiva confuso, turbato, ma starsene in quel silenzio lo rasserenò. Così, mentre Silas e Ilya continuavano a riposare,
sfiniti dalla fuga, si incamminò lungo la riva del lago, seguendo
con lo sguardo il volo di una maestosa aquila.
Tornò indietro nei ricordi a quando, ancora bambino, aveva quasi
sfidato la Cima Nera, l’invalicabile Montagna dalla quale si fuggiva solo a sentirla nominare. In quegli anni il disgelo aveva fatto
affiorare nuova roccia, insidiosa e oscura e, per questo, ideale rifugio della regina dei cieli. Cercava allora proprio l’animale, anzi
le sue uova appena schiuse.
Il sole era alto, quando nel silenzio delle capanne Oetzi si era incamminato verso la Montagna, lasciandosi alle spalle le colline a
26
All’alba di un nuovo giorno
lui familiari. Il nido era più in alto di quanto pensasse, ma era determinato a raggiungerlo. Era già pronto a scalare le ultime pareti, quando il vecchio eremita della Montagna, conosciuto per la
sua saggezza, gli si era mostrato e, con uno sguardo e una voce
inquieta, aveva sussurrato: «La Montagna è un’amica e una nemica terribile: non perdona chi l’affronta con leggerezza».
Sentenziato ciò, era scomparso fra le rocce, lasciando Oetzi in
preda al terrore. Quello sguardo, quelle parole lo avevano turbato, non riusciva più a muoversi o a pensare e, quasi d’impulso,
aveva deciso di tornare al villaggio.
Il grido di quei meravigliosi rapaci lo riportò su quella riva del lago,
gelida come non mai.
Decise pertanto di tornare alla grotta, nella quale aveva lasciato
i suoi compagni e di congedarsi da loro per dirigersi verso il suo
villaggio. Giunto nelle vicinanze, il giovane stentò a credere ai
propri occhi: dinanzi a lui si apriva uno scenario terrificante, di
morte e distruzione. Vedere i luoghi in cui aveva trascorso infanzia e adolescenza annientati dalla crudeltà dell’uomo lo incupirono e un’accorata tristezza si insinuò tra le sue carni come una
lama, mentre la rabbia trapassò il suo volto e la voglia di un riscatto immediato scosse il suo animo.
Capitolo secondo
27
Muovendosi cautamente tra i resti spenti dell’incendio, giunse a
quella che era stata la sua capanna. Di essa non rimanevano che
poche tracce. Lo sguardo si posò sul viso di una donna: riconobbe subito sua madre.
Oetzi versò tutte le sue lacrime nel darle l’ultimo saluto e continuò
il suo cammino, più sconsolato che mai.
Con quel pesante macigno sul cuore si avvide di un’abitazione,
che sembrava l’unica non toccata dalla distruzione. Era il rifugio
del vecchio saggio del villaggio, vicino al resto delle abitazioni
ma ben nascosto dalla collina, così da essere evitato dai saccheggiatori in fuga. Ogni suo passo aveva il sapore della sfida e
della speranza e, quando finalmente Oetzi si fu avvicinato, si convinse che all’interno vi fosse qualcuno.
Entrando, il leggero cigolio della porta annunciò la sua presenza
al vecchio Akash, che gli parve diverso da come lo ricordava. Il
tempo aveva fatto il suo corso e gli anni avevano inciso una ragnatela di rughe sul suo volto. Non appena si fu avvicinato, il vecchio lo invitò a sedersi accanto a lui, in quel luogo percorso dal
tempo come colui che vi abitava. Non gli chiese chi fosse o cosa
volesse perché lo sapeva già. Si strinsero la mano con un gesto
animato, che li ricondusse a un tempo passato e che trasmise a
28
All’alba di un nuovo giorno
entrambi tanto calore quasi da sentirsene il cuore bruciare. Oetzi
pensò che mai prima di allora aveva avuto a che fare con un
uomo del genere, dalla presenza che non incuteva imbarazzo ma
profonda fiducia.
«Tutto quanto fugge via, gli uomini, le stagioni, le nubi e non serve
aggrapparsi alle pietre, resistere in cima a qualche roccia. Le dita
stanche si aprono, le braccia si afflosciano inerti, si è trascinati
ancora nel fiume, che pare lento ma non si ferma mai.
«Il passato fa di noi quello che siamo. I ricordi ci legano a ciò che
è stato ma non dobbiamo permettere loro di ostacolarci nell’avvenire. Gli spiriti vegliano sull’uomo e in particolare su di te, Oetzi.
«Tu non sei un uomo come tanti, a te è stato dato un compito duro,
guarda al futuro con i tuoi occhi, fa’ che il presente ti conduca a
un avvenire simile al passato.
«È questo il tuo destino e io non sono l’unico a desiderarlo, ma lo
vogliono anche quelli che sono al di sopra di tutti».
Oetzi iniziava a capire ciò che gli stava accadendo, ma mancava ancora un tassello perché la sua comprensione fosse totale.
«Akash, cosa rappresentano i due montoni?» chiese.
«Sta a te comprenderlo. Comunque sappi che è il Cielo a scegliere i figli prediletti: se ha deciso che il tuo destino dovrà seguire
Capitolo secondo
29
quella strada, non puoi ribellarti, accettalo e compi la tua divina
missione».
Akash porse allora una delle sue mani rugose al giovane che gli
stava di fronte, il viso teso e al tempo stesso compiaciuto. Gli
chiese di allungarsi e lo convinse a togliersi i vestiti, mentre egli si
accingeva a imprimere su di lui il volere degli dei. Preparò una miscela nera come il carbone e, con un ago acuminato immerso nel
colore e poggiato sul corpo del giovane, impresse in lui una nuova
forza. Oetzi riusciva a percepirla, intensa, calda, divina. Linee dai
tratti marcati emersero sul corpo del ragazzo e, tra queste, quella
raffigurante un montone. Il giovane comprese l’onore di portare
ora su di sé i segni dei guerrieri. Subito dopo Akash porse al giovane degli indumenti, tra cui un paio di stivali confezionati da lui
stesso, e lo congedò.
Oetzi tornò alla sua capanna e rovistò tra quello che restava alla
ricerca di arco e faretra. Prese anche le frecce che non aveva
potuto terminare e s’incamminò verso la Montagna.
Ilya
Alida li guardava con ammirazione e orgoglio materno correre
lungo la vallata fino alla riva del fiume. Rincorrersi era il loro
30
All’alba di un nuovo giorno
gioco preferito. Silas era il più veloce, ma la piccola Ilya si impegnava ogni giorno per cercare di batterlo. Non immaginava
mai che un momento così lieto di lì a poco avrebbe avuto fine.
Quella tranquillità fu infatti interrotta all’improvviso dal calpestio
frettoloso di zoccoli sul terreno e dalle urla spaventose degli assalitori. La donna, che fino a pochi attimi prima guardava le sue
dolci creature divertirsi nella spensieratezza dell’infanzia, ora
tentava di divincolarsi dalle avide e rudi braccia che la ghermivano, mentre il marito cadeva pesantemente a terra, privo di
vita.
Le urla della donna svegliarono Ilya di soprassalto e la riportarono al presente, fatto solo del ricordo del dolore provato per
non aver potuto salvare la madre.
Silas notò il suo sguardo turbato e le si avvicinò. Dopo che gli
ebbe raccontato il sogno, lui le accarezzò dolcemente il viso
e, nel guardarla intensamente, rivide nei suoi occhi quelli di sua
madre. I due fratelli si abbracciarono e Silas sentì il calore che
il suo esile corpo gli trasmetteva.
«I ricordi fanno parte della nostra vita e danno forza al nostro futuro» disse Oetzi amaramente.
«Pensiamo ora al presente: cosa intendi fare?»
Capitolo secondo
31
«Voglio ritrovare la mia strada, voglio che i miei sonni non abbiano
incubi. Voglio che il sacrificio di nostra madre abbia ora un senso. Per
me e per le donne come lei» rispose con inattesa decisione Ilya.
Silas
Silas guardava la Valle sottostante, cogliendo ogni vibrazione
della foschia, quando il primo candore dell’alba aveva già acceso le pietre all’ingresso del suo rifugio. Rincuorato dalla luce del
giorno, decise allora di riprendere il cammino.
Silas era stato educato in conformità all’unica opprimente autorità
di Kamak che, in qualità di capo tribù, non era stato capace di
scindere il suo ruolo di padre da quello di rude guerriero. In forza
di ciò, aveva acquisito una personalità enigmatica ma tenace,
che lo aveva portato progressivamente a svincolarsi dal dispotismo paterno e ad assumere maggiore fermezza nelle decisioni.
In questo drammatico frangente si preoccupava di ciò che potesse essere accaduto nei villaggi limitrofi, in quanto gli eventuali
superstiti avrebbero potuto aiutarlo a comprendere la dinamica
degli avvenimenti.
Silas dunque procedette immediatamente verso ovest, in direzione
del villaggio ritenuto colpevole del brutale attacco inferto alla
32
All’alba di un nuovo giorno
sua gente. Il giovane camminò a lungo finché scorse un villaggio
in fiamme: non vi era anima viva, apparentemente.
Fra i corpi sparsi al suolo si udì una voce che chiedeva aiuto. Una
ragazza era imprigionata sotto il tronco di un albero.
Silas accorse e liberò la donna, chiedendole preoccupato: «Qual
è il tuo nome? E, per gli Dei, cosa è accaduto?»
La ragazza rispose: «Sono Elsha, unica figlia di un umile pastore di
nome Ahmet. Il mio villaggio è stato sterminato da una banda di
carnefici assetati di sangue! Non so bene quale fosse il loro fine,
o se avessero un fine, tanta è stata la loro spregevolezza… Ma
tu perché ti trovi in questo luogo infernale?»
«Sto cercando quanti più superstiti possibile per avere informazioni sui nostri nemici, gli stessi che hanno portato morte e distruzione nella Valle» rispose Silas.
La ragazza, pur ferita e dolorante, affermò decisa: «Mio padre è
riuscito a fuggire. Io verrò con te».
I due si incamminarono lungo un oscuro sentiero, di cui rimanevano
ancora celate le maggiori insidie.
Capitolo secondo
33
CAPITOLO TERZO
Sulla Montagna
Una volta vi erano uomini che riversavano la loro vacuità di spirito nell’alienante lavoro manuale, nel lavoro dei campi.
Eppure c’erano, tra questi uomini poveri e vacui, altri tipi di uomini
gonfi di forza fisica e coraggio che, nell’animo, sentivano il peso
della leggerezza, della non-conoscenza, di quella saggezza divina di cui erano stati privati. Le bisacce sulle spalle portavano
pochi viveri e gli indumenti di pelle di capra erano un impaccio
d’estate e inservibili d’inverno.
Erano uomini bisognosi di una mano massiccia in grado non solo di
stringere una pala o di tirar le redini di una vecchia giumenta, ma
anche di sorreggere il petto negli spasmi e sospingere fedelmente
verso un destino certo e sicuro. Essi anelavano la conoscenza sfidando, con coraggio, le sferzanti intemperie e gli infernali sudori
della Montagna per assaporare il succo della sua verità.
Oetzi era una briciola misera della realtà povera d’un qualunque
villaggio in lotta con altre tribù. Le faccende che gli occupavano
i giorni erano i consueti conflitti, futili e non degni d’interesse, riguardo alla contesa dei terreni, la suddivisione dei campi e il pa-
34
Sulla Montagna
scolo delle vacche. Eppure era uno di quelli con l’anima sfiatata:
in un soffio, insieme alle ceneri, il suo tutto era stato portato via dal
vento e avvertiva un vorace bisogno di incontrare se stesso nei
monti.
Così si era allontanato dal villaggio in guerra, inseguito dalle
fiamme che fendevano i campi e le capanne nude, perseguitato
da uomini stolti che facevano della propria grettezza la sola forza.
Il sangue che gli fluiva nei meandri della mente e che lo spingeva
sin lassù, verso la Montagna, era la linfa del suo essere.
Tra i monti, lo sentiva, scorreva la sorgente fresca della consapevolezza più intima e genetica. E la Montagna era proprio lì. Immersa nella purezza assoluta da secoli, muta testimone dei mali
dell’uomo, rappresentava il connubio del gene divino e umano.
Da lì il sapere alto, la conoscenza si librava sulle teste degli uomini; un sapere mai fine a se stesso ma bene assoluto da promulgare perché potesse diventare patrimonio di tutti.
Albeggiava quando Oetzi si mise in cammino, con la faccia
sporca dei fumi maligni del villaggio.
Tra le nuvole lisce e sottili si stava facendo spazio un sole gelido
che scintillava fiocamente e guadagnava pian piano la cima dei
monti. Il suo viaggio: una scalata per il risveglio e la resurrezione!
Capitolo terzo
35
Prima di iniziare la salita, si fermò alle pendici luccicanti di brina e
si voltò a guardare per l’ultima volta il suo villaggio in fiamme. Le
capanne ardevano della stoltezza e leggerezza d’animo di quegli uomini vuoti e ottusi. Tra le macerie s’illuse di vedere il volto pio
della madre, il seno che lo aveva abbeverato e che lo aveva
fatto crescere forte come il suo popolo, ma vuoto come la sua
condizione di uomo. Grigio e scialbo, privo di una forma ma con
un vigore imbattibile e un coraggio incommensurabile ora sputava
sul passato ed era sospinto verso la sorgente della consapevolezza di sé. Oltre i monti il nulla, perché la grandezza della Montagna lo faceva cieco d’ogni realtà che essa gli teneva nascosta
e conservava in sé la causa formale e l’integra essenza.
La guida del saggio Akash si stagliava nel pensiero di Oetzi come
caposaldo della sua avventura. Perché la guida è tale quando,
pur se l’orizzonte è perso, indirizza sempre i suoi figli incontro a un
chiaro avvenire.
Un vecchio ciondolava nella sua capanna in attesa del rogo che
avrebbe arso il suo villaggio e deviava la strada ai viaggiatori. La
meta si faceva più lontana, il confine più confuso.
Il giovane osava l’ascesa alle alture con la mente, al sicuro nella
bugia d’una fatua guida protettrice.
36
Sulla Montagna
“Perché la capanna del vecchio saggio era rimasta illesa dall’attacco nemico? Dov’era questi quando l’atroce atto veniva compiuto?”
Ai suoi stessi interrogativi Oetzi rabbrividì.
Il marchio del montone ardeva sulla pelle rattrappita sotto le vesti
pesanti e rugose. I drappi e le pezze strofinavano, seguendo il ritmo
del suo passo incessante, la superficie disegnata e infuocata.
La cima era ancora distante e la Montagna serbava ancora mille
supplizi per l’audace viaggiatore.
Così come era sorto, dopo le ore dilatate, il sole cominciò a tramontare e le ombre degli alberi aguzzi fecero i loro meschini schizzi
sulla figura di Oetzi che si proiettava nel niente.
Prima di abbandonare il cielo terso, il grande astro lasciò al suo
posto gruppi sparsi di nubi cariche di purezza che riversarono le
loro acque sul giovane. I tendini delle gambe tiravano e pulsavano e i piedi erano sbriciolati negli stivali sporchi. Lo stomaco si
contorceva in cupi moti di appetito in mezzo all’addome rigido
del viaggiatore.
La pioggia gelata lavò il volto di Oetzi dalla polvere volgare e
ripugnante dei fuochi del villaggio. L’animo del giovane si fece
puro, aperto e la pancia sembrò calmarsi senza saziarsi. L’acqua
Capitolo terzo
37
ghiacciata, che gli scorreva in mezzo alle pezze pesanti sul corpo,
donava frescura al marchio dolente.
Si distinguevano i profili sottili del montone, sovrano in mezzo
alle righe brucianti sulla pelle dura e forte di Oetzi.
Non la forza che lo aveva spinto a partire per l’ignoto gli era
venuta a mancare, non la nobile virtù dell’audacia lo aveva abbandonato. Il divino vegliava su di lui e lo fissava dalla cima dei
monti, il saggio Akash non aveva mentito.
Una cosa aveva appreso dall’esperienza: era arrivato il momento di fermarsi poiché le insidie che la foresta celava prendevano vita nelle notti più scure. S’allungava nell’eco del vento
l’ululato mesto di un lupo ferito.
L’aria rarefatta riempiva i suoi polmoni: bisognava accendere un
fuoco per la notte che non s’era lasciata attendere.
Disteso presso una quercia, Oetzi, solo ora che il calore delle
fiamme lo avvolgeva, cominciò a sentire gradualmente la stanchezza coagularsi dolorosamente nelle fibre rigide del corpo.
Terrificanti forme aveva preso Morfeo la notte precedente, ma
immagini più lievi calavano ora al suo fianco e gli facevano
compagnia: il calore vellutato delle fiamme gli riportò alla mente
le tiepide sere estive, quelle sere in cui era solito accucciarsi
38
Sulla Montagna
con la madre presso l’albero maestro a osservare lo spettacolo
che offriva la Via Lattea.
“Vedi quella stella lì in alto, Oetzi? Un tempo un uomo la ripose
lì perché tu un giorno potessi raccoglierla”.
Quasi sentiva la voce vivida e carezzevole della donna che lo
aveva allevato e che lo aveva fatto crescere forte come il suo
popolo.
A questo ricordo, l’ormai grande Oetzi sorrise. Il fuoco amico
parve rispondere a quell’accenno di tenerezza e nostalgia.
Chiuse gli occhi e, accompagnato dal ticchettare lento del
fuoco, si abbandonò a un sonno profondo.
La notte parve estendersi nell’infinità dei monti e la pioggia
cessò solo quando il viola albino prese di nuovo il posto dei vespri bui. Avanzava Oetzi, nel verde madido e pulito delle montagne. A quell’altezza sembrava di vedere una parte più grande
di paesaggio, rispetto a quando la scalata era cominciata.
S’avvicinavano l’eterno sapere e la divina consapevolezza.
S’incamminò lungo un’ampia prateria dove le rondini mattutine
disegnavano i loro voli tra i fili d’erba. Gli uccelli magri s’abbattevano sul terreno fresco per poi schizzare in mezzo all’arancio delicato del cielo freddo alle prime luci dell’alba.
Capitolo terzo
39
L’umidità e la pioggia gli facevano galleggiare i piedi negli stivali grossi. Il vento gli gonfiava l’animo di un assaggio limpido
della bramata linfa. La cima era più che vicina.
Cominciò a correre in mezzo alle rondini e all’erba alta, con le
braccia aperte che spezzavano l’aria. Inspirò e giunse al margine della prateria.
Un precipizio alto e buio gli tagliava la strada. I piedi, lunghi
negli stivali, sporgevano dall’orlo traballante e terroso. Alle sue
spalle le rondini si assopirono nella selva chiara. La terra gli
franò sotto le scarpe.
Sotto di lui un dirupo infinito. Non le alture e la conoscenza. Un
burrone, un baratro, una voragine. Un ripido buco di frustrazione
e fallimento.
Aveva preso la strada sbagliata.
40
Sulla Montagna
CAPITOLO QUARTO
Rivelazione
Aveva preso la strada sbagliata.
La sua forza evaporò, sentì un buco nello stomaco, questa volta
non dovuto alla fame, ma alla sensazione di fallimento che provava. Aveva perso tutto, si sentiva tradito da quella grande forza
che lo aveva guidato. Doveva abbandonarsi al burrone lasciandosi sconfiggere dallo sconforto? O doveva cercare di salvarsi allontanandosi da quel vortice di emozioni negative? Era immerso in
una profonda frustrazione, ma pensò al suo obiettivo; doveva salvarsi.
Si allontanò, lentamente, dal burrone cercando di farlo a passi
lenti e corti, guardando ancora perplesso tutto ciò che lo circondava. Forse non stava facendo la scelta giusta, forse abbandonarsi a quella voragine avrebbe assopito il suo sconforto, ma
non voleva tirarsi indietro, doveva tentare. I suoi occhi si caricarono di una forza sovrumana, pieni di voglia di riscatto ma la sua
mente smise di pensare, abbandonandolo a un enorme senso di
vuoto, pieno soltanto dei flashback terrificanti che tormentavano
il suo cervello. In un istante i suoi occhi furono pieni di quella stessa
42
Rivelazione
paura e sofferenza che aveva avvolto gli sguardi della sua gente.
Si sentì inutile e perso.
Mosse qualche altro passo in cerca di una strada praticabile, inciampò, poi franò. Si accorse che i suoi spostamenti non erano
sufficienti e la terra franò nuovamente portandolo dove i suoi
dubbi avevano avuto inizio. Capì che tutti i suoi sforzi erano vani
e si abbandonò a quel vortice di negatività e sconforto, che lo
tormentavano.
Nell’esatto momento in cui cadde, disorientato, i suoi pensieri presero il sopravvento su di lui e rimasero sospesi in aria come una
punta tagliente che minacciosa incombe sulla preda.
Steso inerme, con gli occhi serrati, continuò a pensare che non
poteva finire così; i suoi sforzi di fuga non dovevano esser vani.
Oetzi riaprì gli occhi e avvinghiò le sue mani strette alla parete
del burrone; riuscì ad aggrapparsi a una radice che si immergeva
nella terra inconsistente: ora quella radice rappresentava la sua
salvezza.
Consapevole del fatto che non avrebbe resistito a lungo decise
di non lasciarsi andare come una foglia trasportata via dall’aliseo. Oetzi era là, penzolante, stanco e confuso, si sentiva solo e
vuoto.
Capitolo quarto
43
Ormai la radice stava per cedere alla gravità e lui con lei.
Mentre il suo corpo, pesante come un macigno, lo spingeva sempre più verso il basso, iniziò a osservare e a riflettere su quella bellezza così naturale e unica che lo circondava e sentì come se
l’inevitabile abbandono non fosse poi così inevitabile.
Come poteva abbandonare questa sua vita e questo straordinario Eden che lo circondava, come poteva minimamente pensarlo?
Il suo corpo, ormai troppo stanco e dolorante, non riusciva più a
tener la presa ma non si sarebbe dato per vinto; dopo tutti i dubbi
che avevano annebbiato la sua mente, aveva preso una decisione: non sarebbe morto, ora.
Decise di chiedere aiuto, pur consapevole che il suo salvatore
poteva essere il suo inseguitore, ma provò ugualmente a gridare
dal buio di quella voragine agghiacciante.
Ogni tentativo di emettere un qualsiasi suono, però, fallì; le ghiandole situate in fondo alla bocca si ingrossarono impedendo che
la voce uscisse. Si sentì soffocare come se il nemico gli stesse stringendo la gola.
Poi in un attimo qualcosa lo colpì. Cedette. Nella caduta il senso
di vuoto invase ogni millimetro del suo corpo, l’aria sul volto sembrava non farlo respirare. Adesso aveva paura: paura di morire.
44
Rivelazione
L’impatto con l’acqua gelida lo stordì, mentre riemergeva ebbe appena il tempo di scorgere l’enorme dirupo da cui era caduto e la
scia di acqua rossiccia che proveniva dalla sua spalla. Sanguinava.
Una freccia lo aveva colpito, ma chi era stato? Forse gli stessi che
avevano saccheggiato e arso il suo villaggio? Aveva freddo,
troppo freddo. Era come se quelle acque gelide gli avessero immobilizzato i muscoli, mentre il dolore lancinante alla spalla era
sempre più forte. Cercò di tirarla via dalla carne, doveva sopravvivere, non poteva, non doveva finire così.
A quel punto Michelangelo interruppe la lettura. Da quando
aveva iniziato a leggere un senso di angoscia lo devastava dalla
gola fino allo stomaco.
Perché si sentiva così? Aveva sempre odiato i deja-vu; ogni volta
cercava di ricordare a quale momento passato si collegasse il
presente, ma non ci riusciva mai. Ciò lo infastidiva, ma questa volta
era diverso. Senza capire perché era convinto che il libro parlasse di lui, gli appartenesse, si sentiva protagonista e testimone
primario.
Tornò a casa di corsa correndo come non aveva mai fatto prima,
come se fosse una questione vitale. In un attimo l’ingresso della biCapitolo quarto
45
blioteca era già un miraggio; correva senza conoscerne il motivo
ma ne sentiva l’esigenza, ancora rapito da quelle pagine che lo
avevano intrappolato in una prigione senza tempo. Raggiunse la
sua camera con una falcata che inghiottiva tre scalini per volta,
con un gesto di impeto e pieno di una forza che stranì lui stesso;
liberò la tastiera del computer, sotterrata dai vestiti sulla scrivania,
e digitò “Oetzi”.
Non era convinto che la ricerca portasse a qualcosa, né in realtà
sapeva cosa stesse cercando e perché; la sua era solo una forte
sensazione accompagnata dai battiti del cuore che pulsava in
gola.
“Ecco!” pensò.
Comparve l’immagine di una mummia distesa tra la neve. Sussultò
sulla sedia, le lacrime spontaneamente gli rigarono il viso: all’improvviso gli fu tutto chiaro.
Era cattolico da sempre, la sua famiglia lo era, aveva sempre creduto in un inferno e nel paradiso dopo la morte… Ma allora perché? Chi era Oetzi? Chi era davvero lui ? Non credeva nella
metempsicosi, non vi aveva mai creduto, eppure…
Continuava a fissare il monitor del computer, mentre i suoi occhi
erano persi in uno sguardo vuoto e catatonico. Una consapevo-
46
Rivelazione
lezza si faceva sempre più spazio nella sua anima; consapevolezza cui però non riusciva a dare senso, ma che avvertiva, vera
e prepotente dentro di sé: sentiva che il corpo in quella mummia
gli era appartenuto.
Diverso nell’aspetto, diverso nel nome ma era lui, ne era certo, lo
sentiva nel profondo del suo cuore. Fu come se quel corpo abbandonato tra la neve gli avesse restituito la memoria. Una memoria vecchia migliaia di anni e all’improvviso tutto apparve
chiaro. Avvertì tutti i dolori di quel corpo straziato tra la neve, il
calore che gli regalavano le pellicce di cui era avvolto, il brivido
primitivo della caccia, le gioie, tutti i suoi ricordi.
Per alcuni minuti piombò a cinquemila anni prima, osservò le cose
con gli occhi di Oetzi, riconobbe le strade e i volti che lui conosceva. Corse allo specchio e non si riconobbe, gli fu necessario
guardare la data sul computer per capire dove fosse. Tutto gli era
chiaro, anche se non riusciva a capacitarsi di come fosse possibile. Continuava a squadrarsi dalla testa ai piedi, fissava il suo
viso allo specchio, ma il viso che stava guardando non era lo
stesso che si rifletteva nel letto del fiume nei pressi del villaggio
quando, appena sveglio, andava a lavarsi. Non sapeva più chi
fosse, ma si sentiva entrambi con la stessa intensità. Ora capiva
Capitolo quarto
47
perché gli piaceva così tanto andare in montagna in inverno, ora
capiva la passione per gli archi. Non poteva essere vero, sembrava tanto un film di fantascienza. Iniziò a guardarsi le mani e, incredulo, si sedette. L’angoscia gli spezzava le gambe in due. Si
sentiva a metà tra due mondi, fuori da tutto.
Come capire? Come scegliere? Cosa fare? Si sentiva spaesato,
disorientato, schiacciato da una consapevolezza ma incapace di
fare, come un ignavo dantesco incapace di scegliere. Il corpo in
una dimensione, l’animo in un’altra. Un vero e proprio scherzo del
tempo. Ma chi era veramente, chi doveva essere, chi era meglio
che lui fosse?
Doveva uscire, evadere, urlare, rompere quel velo di assurdità che
era calato sulla sua vita da quando aveva letto quel libro. Eppure
sentiva l’esigenza sempre più forte di tornare tra quelle montagne
che adesso sentiva sue, con il suo coltello di selce e il suo arco,
fedele compagno nella caccia. Sebbene il suo cervello, unico
ponte tra lui e l’altro sé, continuasse a ripetere come un disco incantato le parole: “Tra poco ti svegli, tra poco ti svegli!”, forse
per impedire che impazzisse, Michelangelo continuava incessantemente a chiedersi dove fosse finito l’uomo che cinquemila anni
prima aveva lottato con le unghie e con i denti per sopravvivere.
48
Rivelazione
Era davvero lui?
Si faceva sempre più incalzante una consapevolezza, una forza,
una rabbia che non gli erano mai appartenute prima: doveva aggrapparsi di nuovo a quella radice e questa volta risalire, prendere in mano le redini del destino. Non cadere, evitare la freccia,
sopravvivere. Se lui era lì, allora Oetzi era morto? Ed Elya e Silas?
Adesso voleva solo vendicarsi di chi, migliaia di anni prima, lo
aveva strappato al suo destino costringendolo a quella prigione
temporale senza uscita. Adesso aveva un presente che lentamente
non sentiva più suo e un passato cui non sapeva come tornare.
Capitolo quarto
49
CAPITOLO QUINTO
Dalla realtà al sogno
Michelangelo era un ragazzo di 17 anni e aveva sempre sognato
di giocare a basket, ma la sua corporatura esile e la sua bassa
statura lo avevano un po’ scoraggiato, così iniziò ad alimentare
la sua passione per la lettura. Aveva sempre avuto un debole per
i libri, soprattutto per quelli antichi e, sfogliandoli, fantasticava
che, magari, un giorno, avrebbe stretto tra le mani uno dei suoi
scritti. La sua curiosità lo portò a formularsi centinaia di domande
in testa alle quali non riusciva a dare una risposta. Era come se
quel maledetto libro gli fosse entrato dentro l’anima e non volesse
più abbandonarlo, e così decise che, per riorganizzare le idee,
avrebbe dovuto fare una passeggiata.
Indossava sempre i soliti vestiti: una felpa larga e comoda gli scendeva lungo i fianchi magri, che quasi si perdevano all’interno di
quest’ultima, come a nascondere un corpo che a Michelangelo
non andava a genio, un paio di jeans strappati come da moda,
che cercavano di coprire le sue esili gambe e un paio di scarpe
nere, così tanto usurate che ormai avevano perso quasi la forma.
Uscendo di casa, il vicino con il quale era solito intrattenere lun-
50
Dalla realtà al sogno
ghe conversazioni, lo salutò cordialmente, ma questa volta Michelangelo, immerso nei pensieri, non lo notò neanche. Uscì dal
cancello e si incamminò lungo la strada che percorreva quotidianamente per andare a scuola.
Un bellissimo viale alberato lo accompagnava da casa sua fino
alla fermata dell’autobus, ma questa volta decise di continuare il
cammino a piedi svoltando in direzione Piazza Grande, il punto
di incontro dei suoi coetanei. Lungo il tragitto cercava di mettere
ordine alle sue idee. Nel pomeriggio, il telefono squillò: era la
madre, che gli diceva di tornare a casa per la cena, quindi si incamminò per la strada del ritorno. Arrivato a casa la cena era già
pronta, il padre lo sgridò per essere arrivato in ritardo, ma non
aveva il coraggio di dire la verità perché nessuno gli avrebbe
creduto. Finita la cena, decise di andare in camera sua e sedersi
davanti al computer.
Una voglia irrefrenabile lo spingeva a cercare più informazioni su
quel misterioso personaggio. Doveva rilassarsi, rasserenarsi, solo
così sarebbe potuto arrivare a delle conclusioni. La sua ansia, la
sua curiosità lo portarono ad approfondire le ricerche su Oetzi.
Riaccese il computer e a mente serena rilesse ciò che aveva scoCapitolo quinto
51
perto in precedenza. Era tutto più chiaro, le sue idee incominciavano a prendere forma, non distoglieva il suo sguardo da quel
monitor, era attento a ogni singola parola, estendeva le sue ricerche a tutto ciò che potesse aiutarlo a chiarire una volta per
tutte la storia di Oetzi, ma più notizie gli giungevano e più Michelangelo sentiva l’esigenza di visitare e di esplorare i luoghi delle
vicende.
A un tratto Michelangelo si imbatté per la prima volta in qualcosa
di veramente interessante: una pagina web in cui era pubblicizzata un’escursione alpina: l’OetziGlacier Tour. Così Michelangelo,
con estrema felicità, capì che tutto ciò che lui aveva desiderato
poteva ora avverarsi: poteva finalmente compiere un’escursione
nel luogo di ritrovamento di quell’uomo che era rimasto intrappolato nel ghiaccio in Val Senales, cinquemila anni prima.
Quello sgomento, quell’ansia che aveva provato durante la lettura del libro si trasformarono subito in felicità e serenità interiore.
Michelangelo doveva a tutti i costi trovare un modo per partecipare a quell’escursione e il coraggio di spiegare ai genitori tutta
la storia, sperando di ottenere un loro consenso. Così, dopo aver
meditato tutta la notte, la mattina seguente decise di confrontarsi
con loro e, con suo stupore, i suoi genitori, che apparentemente
52
Dalla realtà al sogno
sembravano molto duri e severi, furono molto felici di autorizzarlo.
Così Michelangelo, molto contento, subito dopo pranzo corse
nella sua stanza e andò alla ricerca di un modo per raggiungere
Merano. Dopo un po’, riuscì a trovare un’ottima soluzione: due
giorni dopo un pullman sarebbe partito al mattino da Bologna per
raggiungere la cittadina sudtirolese.
Michelangelo prenotò immediatamente e così comunicò ai genitori
la decisione della sua imminente partenza. Giunta la sera si recò
serenamente a cenare, poi raggiunse la sua stanza per preparare
tutto l’occorrente per affrontare il viaggio.
Dopo essere andato a letto e aver trascorso finalmente una notte
serena, nel dormiveglia cominciò a fare mente locale. “Finalmente è
arrivato il momento” pensava tra sé e sé il nostro Michelangelo. Era
mattina, e aprendo gli occhi e guardando il suo zaino pronto capì
che era arrivato il fatidico giorno, il momento di scoprire la verità.
Ansioso si preparò e, varcando la porta di casa insieme ai suoi genitori, venne avvolto da un’incontenibile sensazione di euforia.
Arrivato alla stazione, salutò papà e mamma e salì sul bus. Si
guardò intorno e notò che l’unico posto libero era in fondo, accanto a due giovani a lui sconosciuti: una ragazza e un ragazzo.
Capitolo quinto
53
Si sedette accanto a loro e iniziò il viaggio.
Guardando dal finestrino, ammirava le vaste distese di verde che
trasmettevano tranquillità al suo stato ansioso, immergendolo in
un mondo di fantasia che lo riportava sempre al suo unico pensiero
fisso: Oetzi!
Questo suo stato di assenza venne interrotto dalla conversazione
dei due ragazzi, che sembrava avere qualcosa in comune con il libro
che aveva letto qualche giorno prima. Proprio per questo, pensò di
inserirsi nel loro discorso, anche se, inizialmente, la timidezza aveva
preso il sopravvento. Questo ostacolo fu superato dalla voce del ragazzo: «Ciao, sono Stefano e lei è mia sorella Alice».
«Piacere, Michelangelo».
«Abbiamo notato che sei solo, vuoi unirti a noi?»
A questa domanda, Michelangelo fu sollevato e rispose:
«Sarebbe una buona idea. Vi ho sentito parlare di una storia ambientata sulla Cima Nera; proprio domani ci sarà un’escursione nei
luoghi in cui è stata ritrovata la mummia di Oetzi. Vi va di venire con
me?»
Stefano e Alice si guardarono e, a quella proposta, annuirono rallegrandosi: «Volentieri, siamo contenti di unirci a te, era nostra intenzione visitare quei luoghi».
54
Dalla realtà al sogno
A quel punto, arrivati a Merano, salirono sulla coincidenza per
Naturno. Durante il viaggio, continuando la conversazione, scoprirono che avrebbero alloggiato presso la stessa struttura.
La timidezza di Michelangelo scomparve e sembrava che i tre ragazzi, pur non conoscendosi, fossero legati da sempre da un qualcosa a loro sconosciuto.
Appena scesi dall’autobus, Michelangelo insieme a Stefano e
Alice, s’incamminarono verso l’hotel.
Percepivano nell’aria i candidi fiocchi di neve che raggiungevano
la loro pelle scoperta; l’aria era gelida, tipicamente invernale.
Dopo aver percorso un breve tratto di strada si resero conto di essere giunti all’alloggio, si trattava di un classico Garni sudtirolese.
Appena entrati furono avvolti da un’accogliente suggestione: l’ambiente era rivestito di caldo legno e subito si sentirono come a
casa. Sulla destra si trovava un piccolo bancone in legno, che
dava le spalle a una piccola teca dove erano riposte le chiavi,
ottenute le quali i tre ragazzi si diressero verso le camere.
Dapprima salirono per un’angusta scala, che li portò lungo un corridoio, dove erano situate le stanze; a Michelangelo era stata assegnata la seconda camera sulla sinistra, quindi salutò i due fratelli
lasciandoli proseguire lungo il corridoio. Quando fu dentro la
Capitolo quinto
55
stanza, Michelangelo abbandonò in un angolo il pesante bagaglio e si lasciò cadere sul letto, si soffermò a osservare l’ambiente, che non gli pareva di particolare bellezza, anzi un po’
povero dato che gli unici arredi erano una piccola lampada su
di un comodino di fianco al letto e un grosso comò abbastanza
vecchio, il cui legno era stato annerito dal decorrere degli anni.
Michelangelo chiuse gli occhi e subito prese atto di ciò che gli
stava succedendo, era lì spossato sul letto, pochi chilometri lo
separavano dal suo obbiettivo, mille pensieri gli passavano per
la testa; la fatica, però, si fece sentire e senza quasi neanche
accorgersene, cadde in un sonno profondo.
A un tratto sentì alcuni colpi sulla porta e si alzò di botto: era
Alice, che era passata per andare a cena. Prendendo coscienza
della realtà, velocemente indossò la sua giacca e si accinse a
uscire dalla stanza.
I tre ragazzi scesero al piano inferiore e raggiunsero la sala da
pranzo. Mentre cenavano continuavano a fantasticare sull’escursione del giorno dopo, così la serata passò in un baleno
e si accorsero che si era fatto già tardi.
56
Dalla realtà al sogno
Stefano raccomandò a Michelangelo di essere puntuale il mattino
successivo, augurandogli di trascorrere una notte serena.
Dopoaver raggiunto la sua stanza, il ragazzo si sdraiò sul letto,
ma quella sera Morfeo tardava a venire e Michelangelo nell’attesa
pensava al magnetismo di quel luogo, per lui era la prima volta, ma
era tutto cosi familiare.
Aprì gli occhi e si trovò davanti un’enorme distesa ghiacciata, sentì
delle urla portate da quel vento gelido, il suo istinto lo avvisò del
pericolo imminente, quindi provò a scappare come un alce dal
suo predatore, in quell’occasione si accorse che era inutile perché fu un attimo.
L’eternità dei ghiacci lo aveva imprigionato.
Capitolo quinto
57
CAPITOLO SESTO
L’escursione rimandata
L’immagine deformata di un ragazzino smilzo, dai capelli biondo
scuro e arruffati, si rifletteva su una delle lastre di ghiaccio che circondavano la sua persona. Le pupille, intrappolate nelle iridi cerulee, erano due fessure. Le labbra sottili erano schiuse, conferendo
al volto un’espressione sorpresa.
Il petto si alzava e abbassava meccanicamente e velocemente,
mentre i polmoni chiedevano una sempre maggiore quantità di ossigeno da immettere nel corpo e il cuore accelerava i suoi battiti
per non rimanere indietro in quella corsa senza un’apparente fine.
Era rimasto in trappola. A quanto pareva la storia si stava per ripetere. E ancora una volta non avrebbe scoperto chi sarebbe
stato a tagliare il filo rosso che rappresentava la sua vita.
Michelangelo trasse un respiro profondo, cercando di annullare la
paura che si era impossessata del suo corpo, per sostituirla col
coraggio e la determinazione. Non si sarebbe fatto colpire alle
spalle, avrebbe affrontato il suo nemico a testa alta, guardandolo dritto negli occhi e imprimendo nella sua mente il volto che
avrebbe visto, sperando di custodirlo come un ricordo sopito
58
L’escursione rimandata
quando sarebbe rinato nel corpo di un altro giovane valoroso.
Ruotò il suo corpo di centottanta gradi, le mani chiuse a pugno
lungo i fianchi con le unghie affondate nella carne, lo sguardo rivolto dritto davanti a sé dove scorse una figura alta e snella avvolta in un lungo ed esteso mantello nero che si muoveva
accarezzato dalla brezza del vento glaciale.
Il volto della figura era coperto da un ampio cappuccio dal quale
si intravedeva un mento appuntito dalla pelle così chiara da sembrare bianca come la neve che li circondava. Appena sopra il
mento c’erano due labbra crudelmente incurvate verso l’alto. Due
labbra che non dovevano essere affatto umane, avendo il tipico
colore dei fiordaliso.
«Morire una volta non ti è forse bastato, Oetzi?»
Una voce profonda e gutturale riempì la sua mente e riecheggiò in
tutto lo spazio circostante.
Michelangelo stava per rispondere, ma il terreno sotto i suoi piedi
si infranse, lasciando che il suo corpo cadesse in un baratro
oscuro dal quale non c’era una via di fuga.
La sua bocca era aperta e immetteva nel suo corpo tutta l’aria e
l’ossigeno di cui aveva bisogno, producendo dei rumori abbastanza forti e raccapriccianti. Michelangelo sentiva il petto in
Capitolo sesto
59
fiamme, la gola secca e dal collo scendevano lungo la schiena
della fredde gocce di sudore.
Quando si era accoccolato tra le braccia di Morfeo? E per
quanto tempo, poi?
Il suo cellulare sul comodino stava squillando e la suoneria non
era certo quella snervante della sveglia. Spostò con violenza le
lenzuola, rendendo più liberi i suoi movimenti.
Il nome sullo schermo del cellulare diceva “Mamma”.
Non la sentiva da quando la sera prima era arrivato in hotel, avvertendola che il viaggio era andato per il meglio e che si sentiva
un po’ stanco. Congedandosi le aveva promesso che l’avrebbe richiamata il mattino successivo prima che l’escursione avrebbe
avuto inizio. Doveva essere in ritardo, pensò.
Fece scorrere le dita affusolate sullo schermo del cellulare, premendo poi il tasto verde per accettare la chiamata.
«Pronto?» la sua voce risultò roca e ancora impastata dal sonno.
«Buongiorno!» lo accolse la voce dinamica e allegra della madre
dall’altro capo del telefono «Ti disturbo?»
Michelangelo diede una veloce occhiata al suo orologio da
polso: le 10.38. Era troppo tardi per raggiungere il gruppo degli
escursionisti.
60
L’escursione rimandata
Rammaricato si lasciò cadere sul materasso, col braccio libero sugli
occhi. C’era ancora l’escursione di quel pomeriggio. Certo non sarebbe stata la stessa cosa senza Stefano e Alice, ma non gli importava più di tanto, lui era arrivato fin lassù per scoprire il suo passato
e colui che aveva messo fine alla sua vita precedente.
«No, tranquilla mamma. Mi sono svegliato adesso, in ritardo» le rispose, lasciando trasparire nella voce tutta la rabbia che provava verso se stesso e la sveglia che non aveva mai messo.
«Hai dimenticato di impostare la sveglia, vero?» Immaginò la
madre sorridere, mentre indovinava il motivo del suo ritardo.
«La mamma, sempre la mamma».
Gli scappò una risatina, sua madre non aveva tutti i torti.
«Miky, al tg ho sentito che sta venendo giù parecchia neve, lì il
tempo com’è?»
«Mamma!» protestò il ragazzo al suono di quel nomignolo «Neve?
Ma no, c’è…»
Michelangelo si rialzò dal letto e con due falcate raggiunse la finestra. Spostò le tende che la sera precedente aveva chiuso in
modo che il sole non disturbasse il suo sonno.
Ciò che vide lo lasciò sorpreso: grandi fiocchi candidi scendevano dal cielo impedendo di vedere qualsiasi cosa a una distanza
minima.
Capitolo sesto
61
Jack Frost non gli era d’aiuto: se quella tempesta non si fosse interrotta, l’escursione sarebbe stata annullata e i suoi piani sarebbero saltati. E chissà per quanto tempo avrebbe dovuto aspettare
prima di tornare tra quelle montagne e scoprire la verità.
Alice e Stefano erano nella hall dell’hotel, seduti sui divanetti con
un grande broncio dipinto sui loro volti. Indossavano ancora i loro
giubbotti imbottiti e le loro sciarpe per proteggersi dal freddo.
Stefano era seduto in modo scomposto, con le mani dentro le tasche dei pantaloni e le gambe aperte. Era un ragazzo alto; con i
capelli corti con un doppio taglio che ricordava i soldati dei film
di guerra, neri come la pece; gli occhi nocciola sempre seri e qualche lentiggine sul naso. I tratti del volto erano dolci e le mascelle
non erano molto pronunciate, probabilmente li aveva ereditati
dalla madre.
Sua sorella Alice gli somigliava molto: aveva gli stessi capelli neri
e lisci, lunghi fino ai reni, spesso raccolti in una coda alta o in una
treccia; e gli stessi occhi nocciola. Lei però non aveva le lentiggini sul naso, e Stefano la invidiava per questo.
«Hai visto Michelangelo per caso?» gli chiese dopo un silenzio infinito, la sorella.
62
L’escursione rimandata
Stefano si era perso per qualche minuto nei suoi pensieri, rimuginando sul ragazzo che aveva appena menzionato la sorella e su
quello che aveva detto loro a proposito del libro sulla mummia
che era stata trovata in una zona là vicino.
«No» rispose apatico «Tu hai fatto qualche altro sogno?»
Alice affondò nel divano e abbassò notevolmente il suo tono di
voce, per paura che qualcuno ascoltasse la loro conversazione.
Da tempo faceva degli strani sogni, sogni in cui lei e suo fratello
non avevano le loro sembianze attuali e vivevano in un periodo
di storia molto lontano da quello presente. Facendo delle ricerche
erano arrivati a Oetzi e la notte stessa Alice aveva scoperto che
lei e suo fratello erano una sorta di reincarnazione, erano i migliori
amici di Oetzi, due fratelli, figli del capo villaggio: Ilya e Silas.
La donna che le aveva raccontato tutto non si era presentata,
ma ricordava che aveva degli occhi vitrei, delle rughe profonde
e delle vesti in pelle. Inoltre, non le aveva rivelato soltanto ciò che
erano stati, ma anche che dovevano trovare Oetzi e aiutarlo nella
sua missione. Le aveva rivelato che, purtroppo, non erano loro gli
unici a essere rinati, insieme in quella nuova epoca c’erano coloro
che avevano attaccato i villaggi vicino al fiume e il responsabile
della morte del loro amico; e che bisognava fermarli prima che la
Capitolo sesto
63
storia si ripetesse e dovessero aspettare altri secoli prima che potessero rigenerarsi.
«Qualcosa…» rispose vaga.
Entrambi sospettavano che Michelangelo fosse Oetzi. Non ne
erano sicuri, ma quando l’avevano visto salire sul loro pullman,
dapprima avevano pensato che non dovesse essere una coincidenza: un adolescente come loro che aveva voglia di visitare
da solo un luogo come Val Senales non era usuale, a meno che
non ci fosse qualcosa sotto. E poi, quando si era avvicinato, entrambi avevano provato una strana sensazione, come se conoscessero quel ragazzo, appena visto, da molto tempo.
Alice e Stefano si erano scambiati un’occhiata e poi avevano iniziato a chiacchierare su Oetzi e la mummia ritrovata, cercando di
attirare la sua attenzione.
«Sii più precisa!» la esortò Stefano, agitando la gamba destra
convulsamente. Era sempre nervoso quando si trattava dei sogni
di sua sorella.
«Ho sognato Oetzi» rivelò Alice, sedendosi in modo più composto
sul divano.
«La sua morte, per essere più precisa. Il momento esatto in cui ha
urlato aiuto, mentre cercava di reggersi disperatamente a quella
64
L’escursione rimandata
radice. E poi è arrivata la freccia. E con lei la caduta del nostro
amico nel fiume, e la successiva morte».
«Ma…» insistette il fratello «doveva esserci dell’altro».
«Il volto di Oetzi, la sua corporatura. Non erano quelle consuete:
era Michelangelo» aggiunse a denti stretti.
L’interessato scese le scale in quel momento, come se fosse stato
chiamato da qualcuno.
Indossava un maglioncino, una felpa aperta e un paio di jeans.
L’abbigliamento non era importante, se non fosse stato per quella
stampa sulla maglietta: un montone.
Michelangelo li scorse poco dopo e agitò la mano salutandoli
per poi avvicinarsi.
I due fratelli si scambiarono un’occhiata.
Capitolo sesto
65
CAPITOLO SETTIMO
Il cerchio della vita
66
Nell’attraversare la hall per raggiungere Stefano e Alice, Michelangelo inciampò nel trolley di uno sconosciuto, il cui aspetto lo
colpì, anche se non avrebbe saputo dire il perché. Quando li raggiunse, la ragazza gli chiese come mai avesse tardato e, mentre
guardava sovrappensiero il suo maglioncino, lo informò che
l’escursione era saltata a causa della bufera.
Cercava di ricordare dove avesse visto quella stampa e non si
era accorta di fissarla insistentemente, fino a quando Michelangelo non glielo fece notare.
«Cosa ho di strano?» domandò questo, guardandosi.
«No, niente, pensavo» rispose Alice distrattamente.
La risposta della ragazza voleva essere convincente, ma Michelangelo avvertì nell’aria qualcosa che non andava, una strana
tensione causata da quell’atteggiamento incomprensibile.
«Dai Alice, dimmi cos’hai! Mi sono perso qualcosa?»
«Non so, ho come la sensazione che, pur conoscendoci da poco,
ci sia un filo che ci leghi» disse lei e, dopo una breve pausa, riprese: «Mi ha colpito molto la stampa sul tuo maglioncino perché
proprio stanotte ho fatto uno strano sogno».
Il cerchio della vita
A quel punto Alice ripeté il racconto che aveva già fatto al fratello,
aggiungendo altri dettagli: una donna dagli occhi vitrei le aveva
parlato di una contesa tra due montoni, una specie di profezia.
«Ragazzi miei, qui si tramandano moltissime leggende simili a questa. Ci troviamo in luoghi magici, dove non c’è confine tra presente e passato».
Così un’anziana signora interruppe il racconto di Alice e poi, come
un fiume in piena, iniziò a narrare antichi miti e saghe locali che lei
tante volte, sin da bambina, aveva ascoltato. In molti racconti favolosi si conservava la memoria di ancestrali credenze secondo
cui le rocce si animavano, assumevano forme strane e condizionavano la vita degli uomini. In quei luoghi così aspri e difficili, dove
la morte e la vita dipendevano dalla capacità dell’uomo di dominare la natura per renderla sua alleata e amica, la fantasia
aveva trasformato le montagne e le rocce in divinità.
Gli antichi abitanti credevano che tutto avesse un’anima e che la
sopravvivenza degli esseri viventi, fossero essi uomini o animali,
dipendesse da continue e feroci lotte. Così dicendo Helga sorrideva ma i suoi occhi chiari, ancora limpidi e vivaci nonostante
l’età, sembravano fissare in realtà un punto nel vuoto.
I ragazzi, incuriositi dalla narrazione accattivante della simpatica nonnina, le chiesero chi fosse.
Capitolo settimo
67
68
«Oh, che sbadata! Non mi sono nemmeno presentata. Io sono
Helga, la madre di Hans, il proprietario di questo Garni. Scusate
la mia intromissione, sono una vecchia ficcanaso lo so, ma non
ho potuto fare a meno di ascoltare la vostra conversazione».
«Non si preoccupi, anzi, ci farebbe piacere ascoltare altre storie del posto» la rassicurò Stefano che, per la prima volta, dava
voce ai suoi pensieri.
Michelangelo e Alice si mostrarono d’accordo con il loro coetaneo e invitarono Helga a proseguire i racconti. Lei promise
che li avrebbe accontentati e avrebbe fatto anche di più:
avrebbe mostrato loro alcuni oggetti, preziosi ricordi di famiglia, legati ad antiche leggende. Prima però volle invitarli al
bar, per offrire loro qualcosa di caldo.
Si accomodarono a un tavolo vicino al bancone e la loquace
signora dagli occhi celesti chiese alla cameriera di portare
quattro cioccolate calde e qualche pasticcino. Mentre venivano servite le bevande, lei continuò a chiacchierare piacevolmente con i suoi giovani ospiti.
A un certo punto l’attenzione di Michelangelo fu attratta da una
discussione animata tra il figlio di Helga, proprietario del Garni, e
lo sconosciuto incontrato nella sala d’ingresso. Il ragazzo riuscì a
Il cerchio della vita
captare solo poche frasi, ma si accorse che anche Helga aveva
l’orecchio teso verso quella conversazione.
Passarono alcuni minuti e lo sconosciuto, sbattendo i pugni sul
bancone del bar, si allontanò imprecando. Helga rivolse uno
sguardo allarmato al figlio, che le disse di non preoccuparsi, per
cui lei cercò di mascherare la tensione che si era creata, invitando
i ragazzi a seguirla in soffitta.
Si avviarono entusiasti verso le scale e, giunti all’ultimo piano, si
trovarono davanti a una piccola porta con le cerniere arrugginite,
che quasi si confondevano con il legno. Helga prese la chiave
che portava appesa al collo, come un ciondolo, e la inserì nella
serratura logorata.
Varcata la soglia, l’odore acre di muffa li travolse, tanto che Helga
si affrettò a spalancare l’unica finestra della soffitta; la luce entrò
nella stanza e la illuminò. Si ritrovarono così circondati da oggetti
accatastati e coperti dalla polvere: vecchi tronchi, tante foto ingiallite, un paio di tipiche pantofole di feltro, un cassettone, delle
sculture in legno, alcune solo abbozzate, antiche maschere appese alle pareti.
Un oggetto in particolare catturò l’attenzione di Stefano che
esclamò: «Guardate un po’ qui!»
Capitolo settimo
69
I ragazzi si avvicinarono e rimasero senza parole nel vedere una
sfera di marmo sulla quale era incisa una scena di caccia; in primo
piano due montoni si fronteggiavano.
Helga, notando lo stupore dei ragazzi, si avvicinò e disse: «Ecco
dov’era finita! Bella eh? A questo oggetto sono molto legata perché è un caro ricordo dei nonni ed è legata a un’antica profezia,
che affonda le sue radici nella notte dei tempi».
I ragazzi ancora più impressionati si scambiarono uno sguardo d’intesa, perché le parole di Helga sembravano creare un ulteriore
collegamento tra i sogni di Alice e le sensazioni di Michelangelo.
Guardando più attentamente i tre notarono che sulla base circolare della sfera era riportata questa frase: “L’eternità se non ha fine
non può avere un principio, è quindi un cerchio”.
«Ma qual è il senso di queste parole?» chiesero in coro, rivolgendosi alla loro ospite.
Helga rimase per un attimo in silenzio, mentre sul suo volto compariva un’espressione di crescente turbamento.
«Oddio! Com’è tardi!» esclamò guardando l’orologio «Devo dare
una mano ad Hans».
I ragazzi percepirono con chiarezza il disagio di Helga e per questo non insistettero oltre.
70
Il cerchio della vita
Poco dopo i tre si ritrovarono, intorno al tavolo da pranzo, a commentare le vicende e le sensazioni di quell’insolita mattinata; erano
tutti d’accordo sul fatto che l’atteggiamento di Helga, alla fine,
fosse stato piuttosto evasivo e che le coincidenze e i misteri cominciassero a essere troppi. Bisognava abbandonare le fantasie
e tornare alla realtà, fare il punto della situazione e cercare di
capirne di più; forse internet poteva aiutarli.
Michelangelo, che aveva intravisto un internet-point nella hall dell’albergo, propose di rivedersi lì nel tardo pomeriggio, dopo aver
riflettuto un po’ sull’intera faccenda. Alice e Stefano acconsentirono e i giovani si diressero nelle rispettive camere.
Una volta arrivato in stanza, Michelangelo si buttò sul letto, esausto, ma non riusciva a riposare perché cercava inutilmente di trovare il nesso tra Oetzi, i suoi sogni, quelli di Alice e quella sfera che
aveva tanto colpito la loro immaginazione.
Nel frattempo Alice faceva notare al fratello che forse i suoi sospetti erano fondati e che lei, in qualche modo, poteva aver ragione: Michelangelo era la reincarnazione di Oetzi.
Arrivata l’ora dell’appuntamento Michelangelo, sveglio e con un
gran mal di testa, decise di fare una veloce doccia, prima di scendere e incontrare gli amici.
Capitolo settimo
71
Alice e Stefano erano già pronti da mezz’ora e lo aspettavano
giù, all’internet point.
Digitarono freneticamente le parole che avrebbero potuto fornire loro delle risposte ma, dopo vari tentativi, si resero conto
che la tecnologia non li avrebbe aiutati e che l’unica che poteva far luce sulla faccenda era Helga. La cercarono, chiedendo anche al figlio dove fosse, ma non la trovarono.
Decisero a questo punto di separarsi: Alice e Stefano andarono
a cenare, mentre Michelangelo si scusò perché non poteva far
loro compagnia, a causa del forte mal di testa, e tornò in camera.
Dopo un lungo rigirarsi tra le coperte, prese sonno.
A un certo punto venne svegliato da un forte tonfo, seguito da
altri lievi rumori che lo incuriosirono e preoccuparono. Si alzò
di scatto, dopo aver capito che probabilmente provenivano
dalla soffitta. Salì in fretta le scale e trovò la porta socchiusa.
Senza pensarci due volte, entrò e fu colpito da una folata
d’aria gelida; istintivamente si diresse verso la finestra per chiuderla. Il suo sguardo fu subito catturato da un panorama così
bello da togliere il fiato: aveva smesso di nevicare, il cielo era
ormai limpido, un venticello leggero aveva spazzato via le ul-
72
Il cerchio della vita
time nubi e si vedevano nitidamente, alla luce delle prime stelle,
le cime delle montagne coperte di neve.
Da lontano la superficie ghiacciata del piccolo lago, che era
stata la culla di Oetzi per millenni, sembrava quasi chiamarlo a
sè con i riflessi iridescenti creati dalla luce lunare. Rapita da
quel meraviglioso scenario la sua mente si perse ma, a un tratto,
un nuovo rumore attirò la sua attenzione e lo riportò alla realtà.
Si girò di scatto ma non fece in tempo a vedere le mani che,
con violenza, lo afferravano spingendolo e facendolo precipitare giù dalla finestra.
Cadendo, Michelangelo, avvertì che quella tremenda sensazione di vuoto non era nuova: un misto di paura e di sgomento
si impadronirono ancora una volta di lui.
Capitolo settimo
73
CAPITOLO OTTAVO
Il passato ritorna
Qualche istante dopo Michelangelo riprese conoscenza, il freddo
avvolgeva il suo corpo.
In un primo momento tentò di alzarsi e di scrollarsi la neve di dosso,
ma un dolore lancinante alla spalla gli bloccò i movimenti. Rimase
disteso e il suo sguardo fu ancora una volta catturato dal cielo e
in particolare dalla costellazione dell’Ariete che sembrava gli sorridesse e gli trasmetteva la stessa dolce sensazione che provava
inspiegabilmente quando guardava il volto di Alice, della sua
Alice.
Riuscì ad alzarsi e barcollando ritornò in albergo. Aperta la porta
della sua stanza e data un’occhiata veloce al rossore presente
sulla sua spalla, si adagiò sul letto, lasciandosi avvolgere dal calore delle lenzuola di flanella. Nonostante il dolore, Morfeo non
tardò ad arrivare. È stupefacente quanto si possa apprendere dal
mondo onirico.
Riaprì gli occhi.
Alle pareti scorse un affresco raffigurante due montoni che gli ricordò tanto le pitture rupestri della grotta di Altamira, visitata du-
74
Il passato ritorna
rante una gita scolastica. Guardandosi rapidamente, si accorse
che la pelle di un montone cingeva le sue spalle e le sue mani
erano diventate quelle di un uomo adulto. Non ebbe il tempo di
capire cosa gli stesse succedendo, quando all’improvviso sentì,
da lontano, la voce rauca di una vecchia donna che, mostrandosi, disse: “Oetzi, Oetzi… Posso fornirti le spiegazioni di cui hai
bisogno”. Nel sogno Michelangelo ebbe la strana sensazione di
essere Oetzi e, senza alcuna ragione plausibile, si voltò come un
felino, ma con l’animo perplesso e trepidante verso la voce tremolante dell’anziana sconosciuta la quale aggiunse:
“Le parole che sentirai
in inganno potranno trarti,
ma se il velame dai miei versi toglierai
il tutto potrà aiutarti“.
Oetzi capì che doveva prestare maggiore attenzione per comprendere il linguaggio sibillino di quella signora.
“Il villaggio è stato distrutto
Il litigio, tra i due fratelli, questo ha causato.
Capitolo ottavo
75
L’inganno, il possibile legame tra le tribù ha rotto,
la modernità ha causato la vendetta del fato”.
76
La signora continuò a riferire messaggi di difficile comprensione, di
cui Oetzi capì solo che due gemelli, Baruch e Snah, avevano
avuto un litigio causato da opinioni discordanti. La madre, l’ambigua signora, alla morte del marito aveva preferito affidare le
sorti del clan al figlio Snah sebbene fosse nato un minuto dopo
Baruch. Snah, di carattere più volubile, era stato convinto dal popolo ad aprire le porte della città.
Di notte, però, la sua fiducia fu tradita, infatti alcuni uomini del popolo nomade, animati dalle peggiori intenzioni, iniziarono a uccidere gli abitanti e appiccarono vari incendi alle povere case,
radendo al suolo il villaggio.
Michelangelo si svegliò di soprassalto, chiedendosi il senso di
quel sogno antico e per certi versi molto familiare; era turbato e
madido di sudore. Il dolore alla spalla aumentava tanto da causare uno stato di concitazione in Michelangelo il quale scese dal
letto e indossò gli abiti del giorno prima, tra cui la maglietta con
su la stampa del montone.
Ci teneva molto a quella maglia, ogni volta che l’indossava provava una forte sensazione di benessere, di familiarità. In realtà ciò
Il passato ritorna
che veramente gli infondeva benessere era l’immagine di un montone che gli ricordava luoghi lontani, ma cosa ancora più strana,
tale immagine in passato l’associava a una dolce figura femminile.
Ora, invece, quando vedeva il montone, inspiegabilmente, pensava alla ragazza che aveva conosciuto nei giorni precedenti,
Alice.
Il ragazzo scese nella hall e notò con molto piacere che la neve
era diminuita, ma era ancora troppa per poter salire in montagna,
però niente gli impediva di scendere al villaggio. Si incamminò per
il sentiero. Il paesaggio boschivo era mozzafiato, il freddo tagliente e gli alberi innevati gli davano una sensazione di pulizia e
di candore che lui associava comunque ad Alice, la ragazza che
gli era entrata nei pensieri e che era decisa a restarci.
Arrivato nel villaggio, chiese dove fosse la farmacia più vicina e
notò con piacere che gli autoctoni erano molto cortesi e gentili.
Non ci mise molto a comprare i medicinali che avrebbero alleviato
il dolore che lo affliggeva.
Uscito dalla farmacia notò i vicoli del paesino, caldi e accoglienti,
con negozi di vario tipo, ma quello che lo colpì maggiormente fu
un piccolo negozio di oggettistica. La vetrina sfavillante era un
trionfo di colori e di oggetti lignei tipici della zona.
Capitolo ottavo
77
78
Incuriosito e con la voglia di comprare un souvenir per i genitori
che gli avevano regalato per premio la vacanza sulla neve tanto
desiderata, entrò e, con immenso stupore, ammirò gli scaffali ricolmi di oggetti intagliati con sapienza dai maestri intagliatori altoatesini; ma un oggetto attirò la sua attenzione, era un piccolo
montone, che sebbene fosse stato prodotto con meno cura rispetto agli altri, era l’unico oggettino che veramente valesse la
pena acquistare. Era di dimensioni ridotte, di sette centimetri d’altezza, dipinto con estrema cura, anche se lo stare molto tempo su
uno scaffale ne aveva deteriorato la bellezza primordiale.
Era un piccolo ariete in posa di attacco con il vello grossolanamente lavorato; brillava di colori dorati che si riverberavano dalla
lanugine del corpo che sembrava avere la stessa forma delle
onde del mare increspato.
La bellezza di questo oggetto stava tutta nel fatto che era stato
plasmato da un pezzo di palissandro insolito per quei luoghi, che
è più comunemente chiamato Legno di Rosa; gli occhi dell’animaletto erano di un tenue colore azzurro, forse per questo aveva
colpito Michelangelo: anche gli occhi di Alice erano chiari.
Michelangelo prese delicatamente l’oggetto e si diresse verso la
cassa per poterlo acquistare. La cassiera con fare gentile, tipico
Il passato ritorna
delle persone di quella zona, chiese al ragazzo: «Ciao, è un regalo?» e lui ironicamente: «Sì, ma non per lei…», la signora sorrise
e rispose: «No, mi sono espressa male, lo devo incartare?»
Michelangelo fece un cenno con la testa e lei gli preparò un bel
pacchetto e come omaggio gli diede una bustina con dentro una
poesia d’amore, in caso questo regalo fosse destinato a una persona cara.
Michelangelo pagò, salutò la cordiale proprietaria e uscì velocemente dal negozio.
Fuori l’aria era gelida, tanto gelida da rallentare i movimenti di Michelangelo, ma la felicità di aver acquistato un regalo per Alice
lo spinse a tornare velocemente all’albergo.
Nella hall trovò lei con Stefano. I due erano visibilmente preoccupati in quanto lo avevano cercato invano, ma quando lo videro la
tensione si sciolse e gli chiesero ragione della sua scomparsa.
Il ragazzo, con risposte evasive, riuscì a cambiare discorso e disse:
«Alice, dovrei parlarti in privato» e Stefano: «Ok ragazzi, vi lascio
soli».
Appena furono realmente soli, Michelangelo estrasse il piccolo pacchetto dalla tasca del suo giubbino e lo diede ad Alice dicendo:
«Sai, prima ti ho pensato e ti ho preso un pensierino» e la ragazza
Capitolo ottavo
79
con un leggero imbarazzo lo ringraziò e lentamente, delicatamente
si accinse ad aprire il pacchetto. Scartò con attenzione l’involucro,
aprì la scatolina e… dolcemente con le dita sollevò il piccolo
ariete di palissandro non nascondendo la meraviglia per un oggetto che le sembrò subito ricordarle qualcosa; poi con un leggero
tremolio aprì la bustina e incominciò a leggere la poesia:
«L’amore vero, tu lo sai, è volere
la gioia di chi non ci appartiene.
È questo uscire, traboccare
da se stessi, come il sangue dalle vene
per un taglio, è l’irrinunciabile,
amore energia mutabile eterno bene…» (G. Conte)
Il momento topico di infinita dolcezza fu interrotto da Helga, quella
vecchia signora misteriosa e minuta dai capelli lunghi e logorati
dal passare degli anni, raccolti delicatamente da una spilla di
legno intarsiato raffigurante un ariete. Il suo viso era sempre coperto da un velo, ma quando lo scopriva si vedevano i segni del
passato e le rughe che le accarezzavano il volto.
La vecchia li invitò a bere del vin brulé.
80
Il passato ritorna
Inebriata, cominciò a parlare con i ragazzi del più e del meno poi,
a un tratto, cambiò colore, arrochì la voce, le sue mani iniziarono
a tremare e, rivolgendosi a Michelangelo, raccontò: «Sai, nell’età
della mia giovinezza esisteva un vecchio Maso chiuso che è stato
ristrutturato cinque anni fa e da cui abbiamo ricavato questo albergo. Tanti anni fa fui costretta a sposare mio cugino Humm per
mantenere “pura la razza”; da quest’unione nacquero i due gemelli Hans e Fritz. Non ero mai stata attratta da Humm perché era
un uomo rozzo e violento, aveva l’abitudine di alzare il gomito e
poi sfogare la sua rabbia repressa su di me coprendomi di insulti
e a volte anche…
Fu proprio così che, una sera, il mio volto fu rovinato a causa di
una violenta lite».
Aveva difficoltà a parlare: aveva un peso di cui liberarsi, qualcosa che la turbava dal profondo dell’anima.
«Mio marito Humm era uno dei discendenti della più importante
tribù della Cima Nera e aveva ereditato, alla morte del padre,
questo Maso chiuso. La sua morte precoce mi mise davanti a una
difficile scelta: decidere a quale dei due gemelli affidare la proprietà del Maso. Purtroppo, per il mio istinto protettivo nei confronti di Hans, molto gracile e indifeso, decisi di trasgredire le leggi
Capitolo ottavo
81
della tradizione e affidare la proprietà al secondo figlio, convinta
che insieme avremmo potuto trasformare il vecchio edificio e migliorare le risorse della famiglia. Fritz non è mai riuscito a perdonare
questa mia scelta e ora dopo cinque anni di viaggio è tornato. Da
allora tutto è cambiato…»
E fu così che la anziana signora Helga cedette alla forza incontrastabile del vino assopendosi.
Con questa rivelazione a Michelangelo, fu subito chiaro lo stretto
legame che congiungeva Snah e Baruch a Hans e Fritz. Il passato
stava ritornando…
I ragazzi si guardavano teneramente, le loro mani si toccavano e
una piacevolissima sensazione li accomunò; bruscamente il loro
idillio fu interrotto da urli, parole concitate e violente provenire
dall’ingresso. I due fratelli…
82
Il passato ritorna
CAPITOLO NONO
La meraviglia
I due fratelli Hans e Fritz stavano discutendo: parole aspre riecheggiavano nella stanza. Il fulcro della discussione era ancora la contesa dell’albergo.
Fritz era pieno di rancore per la scelta della madre che aveva lasciato la completa gestione dell’albergo ad Hans, tutto solo per un
minuto, quel minuto, che da sempre li aveva resi avversari! La discussione degenerò in una rissa e i due iniziarono a picchiarsi con
rabbia e…
Ora il vento sferzava la pelle di Michelangelo, il corpo sembrava
inerme, avvolto solo da quell’aria gelida. Ebbe solo il tempo di guardare per un’ultima volta il cielo grigio di Merano e la finestra da cui
era caduto e poi un tonfo sordo gli inibì i sensi e un respiro profondo lo allontanò da quella realtà.
Poi un altro respiro profondo, ma questa volta un respiro di vita. Il rumore del pestello nella ciotola, il crepitio del fuoco e un odore di
erbe medicinali fecero sì che il ragazzo aprisse gli occhi.
Si sentiva indolenzito, la schiena gli faceva male e gambe e braccia erano livide. Iniziò a guardarsi intorno e si rese conto di trovarsi
84
La meraviglia
in una casa, una casa vecchia e familiare. Sulla sinistra scrutò l’immagine di un uomo vicino al fuoco che stava preparando un unguento e riconobbe in lui una figura conosciuta, ma era confuso e
non riusciva a ricordare.
L’uomo si alzò e andò vicino al ragazzo dicendo: «Ti sei svegliato
finalmente!»
Il giovane non rispose, ma era intento a capire chi fosse costui e a
un tratto un flashback lo riportò indietro nel tempo e il giovane capì:
quell’uomo era il vecchio saggio del villaggio e lui era Oetzi! Ma
come era arrivato in quella capanna? Perché era tutto dolorante?
Nessuno lo sapeva, nemmeno il vecchio saggio o forse non voleva
dirglielo.
Il giovane venne curato per diversi giorni dentro quella capanna e
si rimise in sesto! Il fatto di essere chiusi senza poter uscire lo aveva
stremato e la voglia di andare in giro a esplorare era tanta. Oetzi
voleva capire cose stesse succedendo. Per tutti questi giorni aveva
provato a chiedere spiegazioni all’uomo, ma questi non gliene
aveva fornite, quasi come se i fatti da raccontare fossero così cruciali da mettere i brividi anche a un vecchio saggio.
Passarono altri giorni e Oetzi si sentiva sempre meglio, sempre più
pieno di vita. Una mattina, affacciato alla finestra, scorse un’alta
Capitolo nono
85
86
montagna, quella montagna che fin da piccolo lo aveva accompagnato e la stessa di cui ora non si ricordava.
Il vecchio entrò nella capanna con della legna per ardere il fuoco
e trovò il ragazzo in piedi ma con il viso dubbioso: «Buongiorno»
disse «dormito bene? Cos’è che ti turba? Lo leggo sul tuo volto».
Il ragazzo si sedette accanto al fuoco e chiese al vecchio la storia di quell’alta montagna che sembrava tanto benevola quanto
minacciosa.
Il vecchio rispose: «Quella montagna è la Cima Nera, la più antica
di questo luogo e la più insidiosa. Funge da barriera agli attacchi
nemici, ma se questi ultimi riescono a oltrepassarla diventa difficile
scappare e si va incontro alla distruzione. È così che successe per
il tuo villaggio, ricordi?»
Oetzi ebbe un giramento di testa e la sua mente sembrava piena di
messaggi confusi. Il vecchio intanto continuava a parlare e quando
pronunciò le parole «Ilya e Silas» il ragazzo sussultò e nella sua mente
apparvero scene di fuoco, di uomini che uccidevano la sua gente e
quei due ragazzi, Ilya e Silas, con cui era sempre stato fin da piccolo.
Con parole chiare la voce del vecchio risuonava nella sua mente:
«Al termine del tempo le forze dell’ordine e del disordine si scontreranno e si annienteranno a vicenda. Dalle ceneri di questa lotta,
La meraviglia
tuttavia, risorgerà una nuova coppia originaria e regnerà la pace».
Ora ricordava, ma non riusciva ancora a capire il senso di quelle
parole e dopo tutto ciò la voglia di uscire fuori ed esplorare crebbe
ancora di più. Indossò dei vestiti che gli diede il vecchio, aprì violentemente la porta, ma si fermò di scatto: una scena raccapricciante si mostrava ai suoi occhi!
Vide le macerie delle antiche capanne, armi che con premura gli
uomini adulti del suo antico villaggio avevano forgiato, alcuni resti
di corpi carbonizzati si intravedevano sotto lo strato nevoso. Passò
lentamente tra quei mucchi di materiale bruciato ed era invaso solo
da sentimenti di forte dolore. E poi, alzando lo sguardo, si trovò di
fronte l’alta montagna. D’istinto corse verso di lei con la voglia di gridare a quella maestosa altura tutta la rabbia che aveva dentro
poiché la riteneva colpevole della devastazione del suo villaggio.
Ma quando vi arrivò davanti e iniziò a scalarla, la montagna sembrò abbracciarlo con i rami degli alberi che tendevano verso di lui
e un lieve venticello gli accarezzava la pelle.
Così Oetzi si lasciò andare e respirò profondamente. Si addentrò tra
le fronde degli alberi e d’un tratto scorse un piccolo fuocherello intorno al quale c’erano due ragazzi: lei aveva le mani al viso e singhiozzava, lui la consolava.
Capitolo nono
87
88
Oetzi si avvicinò cercando di non fare troppo rumore per non spaventare i due ma questi, vedendolo arrivare, rimasero stupiti e immobili. Riconobbero il viso del giovane e la ragazza corse ad
abbracciarlo. All’altro giovane uscirono lacrime di gioia. Erano
Ilya e Silas e finalmente i tre si erano ritrovati!
Oetzi e Ilya si scambiarono delle occhiate affettuose e furono travolti
da un forte sentimento d’amore. Non si sarebbero mai più separati!
I tre avevano tante cose da raccontarsi e si incamminarono verso
il loro vecchio villaggio. Ma sulla sinistra, in lontananza, scorsero
una nube di fumo che li incuriosì e si avviarono verso questa. Arrivati quasi vicini, videro due uomini che stavano lottando tra loro:
dovevano essere fratelli, perché nelle veemenza della lotta si notava nelle parole di uno dei due il rancore che provava verso la
madre che aveva favorito l’altro. Oetzi si sentì pervaso da una
strana sensazione come se quella scena l’avesse già vissuta, ma il
suo pensiero venne interrotto da Silas che corse verso questi due
uomini per fermare la lotta. Oetzi e Ilya lo seguirono di scatto. Con
molta calma, tra piccole fiamme e macerie, si avvicinarono ai due
uomini e cercarono di farli calmare e ragionare.
Oetzi aveva capito il punto focale della discussione e facendo
credere ai due di aver vissuto un’esperienza simile disse loro: «PerLa meraviglia
ché litigate? Non siete forse fratelli? I fratelli non litigano, ma sono
uniti in tutte le situazioni, si aiutano a vicenda e non discutono per
cose futili. Vostra madre non ha colpe, ma solo il suo istinto ha fatto
sì che questo villaggio fosse affidato al fratello maggiore perché
pensava che potesse essere guida per il secondo!»
I due fratelli si guardarono e all’improvviso riscoprirono l’affetto che
l’uno provava per l’altro e si abbracciarono.
Non ci sarebbero state più lotte e discussioni, ma ognuno avrebbe
aiutato l’altro in qualsiasi circostanza. Oetzi, Ilya e Silas decisero di
incamminarsi nuovamente verso il villaggio stanchi e soddisfatti per
quanto accaduto, ma i due fratelli li fermarono, li ringraziarono per
il loro aiuto e si presentarono: erano Snah e Baruch, proprio come
Oetzi aveva intuito! Per ringraziarli i due uomini vollero portare i tre
ragazzi in un luogo stupendo, dove il tempo sembrava fermarsi e
dove i riflessi della luce sulla neve creavano una strana atmosfera.
Si diressero tutti verso nord fino ad arrivare a una valle. Meraviglia!
Oetzi, Ilya e Silas rimasero fatalmente stupiti e si immersero in quel
fantastico spettacolo! I due uomini guardarono i ragazzi con un
lieve sorriso e si abbracciarono! Ora tutto era finito, non ci sarebbero state più liti, niente più distruzioni e tra tutti i villaggi a sud della
valle non ci sarebbe stata più discordia poiché ormai i due fratelli
Capitolo nono
89
si erano riconciliati. Oetzi provava una bellissima sensazione sulla
pelle e aveva accanto la ragazza che amava i cui capelli erano
scompigliati dal vento. Silas invece si divertiva a correre spensierato
sulla neve.
La sera intanto si avvicinava e i giovani decisero di tornare al villaggio dal vecchio saggio. Ringraziarono Snah e Baruch che li esortarono a tornare quando volevano in quella valle incantata e i
giovani furono felici. Fecero ritorno al villaggio e ormai era calata
la sera.
Le stelle erano così belle e la luna era alta e grande nel cielo. Oetzi
portò Ilya e Silas nella capanna e il vecchio li accolse con un sorriso. I quattro mangiarono e chiacchierarono davanti al fuoco, narrandosi storie di quei luoghi. Poi decisero di andare a dormire. Si
stesero sotto le coperte e Ilya abbracciò Oetzi e cadde in un sonno
profondo. Oetzi però stentava a prender sonno e pensava: “È davvero tutto finito? Il tempo dell’odio e del rancore è terminato?”
Ripensò poi alle parole del vecchio e tutto gli fu chiaro: dalla discordia si genera l’armonia.
Poi si addormentò cullato dal crepitio del fuoco e dal respiro calmo
e rilassato dei suoi compagni.
90
La meraviglia
CAPITOLO DECIMO
Addio al passato
Nella testa di Michelangelo tornò la tranquillità, ma la situazione
nell’albergo non era affatto risolta; Fritz aveva abbandonato
l’hotel e le cose non stavano andando bene.
Michelangelo insieme ad Alice e Stefano decise di andare a trovare la Signora Helga che si trovava nel suo rifugio ai piedi della
montagna.
L’imponenza della Cima Nera dominava il paesaggio e catalizzava l’attenzione di Michelangelo che non riusciva a distaccarne
lo sguardo: ricordi lontani lo riportarono indietro nel tempo, un intenso profumo di terra e di pino poi un vento forte, gelido, sferzò
il suo viso subito dopo un rombo di tuono che lo fece trasalire, nonostante il cielo fosse limpido e terso, sgombro da nuvole; un senso
d’angoscia e di panico lo accolse, non comprendeva cosa potesse essere, quand’ecco sentì una carezza sul viso da una ruvida
mano, una mano callosa, abituata al lavoro che non conosceva
creme o linimenti, di fronte a lui un uomo barbuto gli sorrideva; non
fece nemmeno in tempo a chiedergli chi fosse che già era sparito.
92
Addio al passato
Alice e Stefano avevano preceduto Michelangelo all’interno del
rifugio e lo stavano guardando con aria impaziente dai vetri appannati. Michelangelo, ancora scosso dall’incontro inquietante
e misterioso avvenuto poco prima, venne accolto nella casa con
gran festa da parte di Helga che si accinse subito a offrir loro
cioccolata calda e paste di meliga.
Pur nella gioia di rivedere i tre ragazzi, il viso di Helga non riusciva a nascondere un velo di tristezza: Hans non voleva saperne di riappacificarsi. Non si poteva lasciare Helga nel dolore
di sapere che i due figli non si volevano né vedere né parlare.
Alice ebbe l’idea: si sarebbe potuta organizzare una gita sulla
Cima Nera, per il giorno dopo era prevista una giornata di sole
con temperatura al di sopra della media stagionale.
Avrebbero invitato sia Hans che Fritz, ma l’uno all’insaputa dell’altro. Quali sarebbero state le reazioni da parte dei due fratelli
nel rivedersi? Helga decise di affrontare l’incognita e approvò
l’idea;
insistette affinché i ragazzi rimanessero a dormire nel rifugio.
Il giorno dopo le previsioni si rivelarono azzeccate: il cielo sereno era illuminato dai caldi raggi di un sole infuocato.
Capitolo decimo
93
Il primo a giungere col mattino fu Fritz, era stato contento dell’invito e riabbracciò volentieri la madre, poco dopo giunse anche
Hans; i due fratelli compresero il trabocchetto nel quale erano caduti, si incrociarono i loro sguardi carichi di stupore e di durezza,
iniziarono a insultarsi, a tirar fuori tutte le questioni passate rimaste
sommerse, si buttarono addosso parole forti, pronunciate ancor
prima di essere pensate; Michelangelo, Alice e Stefano non sapevano cosa fare, ma Helga non sopportò oltre e prese in mano
la situazione, iniziò a sgridarli come se fossero ancora bambini e
li obbligò a tacere; quell’intervento deciso e autoritario li zittì, ritrovarono le buone maniere, salutarono i tre giovani e iniziarono
la scalata alla Cima Nera.
Il percorso non era agevole, ma tutti restarono stupiti dall’agilità
di Helga che li precedeva con passo deciso e costante, sembrava non sentire né la stanchezza né il peso degli anni, il suo fisico asciutto e muscoloso dotato di gambe con imponenti
polpacci, un po’ troppo pronunciati in una donna, si era forgiato
nelle frequenti camminate in quei sentieri montuosi.
Dopo il mutismo iniziale le lingue si sciolsero in confidenze e racconti spensierati, ritrovando così uno stato d’animo sereno. Arrivati quasi alla sommità della Cima Nera la loro attenzione fu
94
Addio al passato
attirata da una cavità nella roccia, Michelangelo vi entrò per
primo, il pensiero di Oetzi affiorò in modo quasi ossessionante nella
sua mente, già durante il percorso aveva percepito una presenza
misteriosa invisibile che lo seguiva, ma la forza che sentiva era benevola e lo rendeva allegro e felice, sentimenti rinforzati dal sole
ora alto nel cielo che riscaldava l’aria e illuminava il suo cammino.
Sapeva che Oetzi era stato in quella grotta, anche Helga sembrava conoscerla, indicò ai ragazzi una parete: era bellissima,
tutta disegnata, i graffiti sembravano rappresentare la vita di
Oetzi. Michelangelo era il più attento, osservava la parete con
sguardo curioso e indagatore, in particolare fu attratto dal disegno che rappresentava due uomini stretti in un affettuoso abbraccio al centro di un villaggio. Helga lo indicò, richiamando
l’attenzione dei propri figli.
Una folata di vento mosse i capelli di Michelangelo che sentì un piacevole tepore sulla sua guancia e una voce suadente e amichevole
che voleva comunicargli qualcosa ma in una lingua a lui sconosciuta.
Non volle dir nulla agli altri, avrebbero creduto che fosse pazzo e poi
stavano ancora lì a guardare quel graffito sul muro.
Un urlo di dolore a stento trattenuto attirò l’attenzione del gruppo:
la gamba di Michelangelo aveva scontrato un ariete di legno le
Capitolo decimo
95
cui corna acuminate gli avevano trafitto la gamba. Sembrava
un manufatto molto antico, forse l’aveva costruito Oetzi perché
si sentiva solo. Michelangelo lo prese. Helga stava spiegando
ai ragazzi che un’azienda, così come un antico villaggio, non
può essere costruita se nei soci c’è odio e discordia. Fritz e Hans,
la cui rabbia era andata placandosi già durante la salita, si
commossero e si strinsero in un forte abbraccio, circondati dagli
applausi di Helga, Alice, Stefano e Michelangelo.
Finalmente la tranquillità era arrivata nella famiglia.
La discesa dalla Cima Nera per i due fratelli riappacificati fu più
rapida e piacevole del previsto.
Helga era felice ed era certa che la ritrovata armonia tra i due
fratelli avrebbe portato l’albergo a essere uno tra i più richiesti
per l’ospitalità e la qualità del cibo.
Michelangelo però, non era ancora soddisfatto, molti interrogativi non avevano ancora avuto risposta.
Decise di ritornare sulla Cima Nera, ma questa volta da solo; superò la grotta e una volta raggiunta la vetta, emise un forte
grido liberatorio: «Oetzi!!! Oetzi!!!» non si aspettava una risposta, si arrese e decise di ritornare giù.
96
Addio al passato
Una nuvola attirò la sua attenzione: aveva le somiglianze di un
uomo sorridente, lo stesso viso degli anni passati.
Michelangelo prese l’ariete di legno, lo baciò e lo lanciò nel cielo
dove sparì lentamente e con l’ariete si dissolse anche la nuvola.
Michelangelo lanciò un urlo, finalmente si era liberato da un peso.
Ora era sereno e stava bene.
Capitolo decimo
97
APPENDICE
1. La predizione
Liceo Scientifico “Alfonso Gatto” di Agropoli – Classe III C Indirizzo Classico
Dirigente Scolastico
Pasquale Monaco
Docente referente della Staffetta
Angelo Mantione
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Angelo Mantione
Gli studenti/scrittori della classe III C
Alessandro Abbruzzese, Lisa Barone, Andrea Campanile, Filomena Caruccio,
Giusy Cerino, Chiara Di Luccio, Maria Pia Garofalo, Paola Giordano, Mariachiara
Guarino, Gerardo Lembo, Martina Lionetti, Arianna Mazza, Matteo Mitrano, Angela Noce, Maddalena Paparello, Alessandro Pecoraro, Adriana Pepe, Filomena
Rispoli, Anna Virginia Russo, Francesca Sarnicola,Simone Strianese, Alex Sventola, Serena Vitolo
Hanno scritto dell’esperienza:
“… Siamo al secondo anno di esperienza di scrittura creativa… e anche quest’anno abbiamo accolto la proposta di partecipazione alla staffetta con entusiasmo e desiderio di cimentarci nella ideazione e costruzione del racconto.
Siamo convinti che le squadre degli altri studenti/scrittori che, in questa ineguagliabile esperienza di scrittura collettiva, continueranno il racconto da noi
iniziato sapranno portare il lavoro ad una conclusione interessante e accattivante”.
APPENDICE
2. All’alba di un nuovo giorno
Liceo Scientifico “E. Majorana” di Isernia - Classi III C/E
Dirigente Scolastico
Eugenio Silvestre
Docente referente della Staffetta
Ida Di Ianni
Docenti responsabili dell’Azione Formativa
Ida Di Ianni, Olimpia Testa, Andrea Cacciavillani (scrittore)
Gli studenti/scrittori delle classi III C/E
Francesca Amicone, Vittoria Cimorelli Belfiore, Anna Forte, Silvia Di Menna, Serena Delli Carpini, Roberta Scungio, Roberta Cimorelli Belfiore, Mario Capretta,
Ludovica Serricchio, Paolo Colizzi
Hanno scritto dell’esperienza:
“… Il capitolo è stato redatto da studenti (due gruppi classe) che sinora non si
erano mai confrontati in un’esperienza di scrittura a più mani. Divisi in tre gruppi
di lavoro ed individuate le linee della narrazione entro cui incanalare la trama,
nel raccordo con quanto proposto dal primo capitolo e soprattutto con l’incipit, gli studenti hanno poi continuato la stesura del racconto in forme autonome,
utilizzando tutte le potenzialità dei mezzi informatici a loro disposizione e pervenendo ad un capitolo tripartito, che è stato quindi sottoposto al docente. In
tale operazione gli studenti sono stati supportati da uno scrittore, che ha fornito
loro orientamenti ed utili indicazioni operative. Esperienza di fatto molto significativa sia negli esiti della scrittura realizzata sia nella valenza aggregativa dei
gruppi e dei gruppi-classe”.
APPENDICE
3. Sulla Montagna
Liceo Scientifico Statale “Giancarlo Siani” di Aversa – Classi III D, IV, IV D, IV I
Dirigente Scolastico
Rosaria Barone
Docente referente della Staffetta
Stefania Febbraro
Docenti responsabili dell’Azione formativa
Luigia Ebraico, Stefania Febbraro
Gli studenti/scrittori delle classi III D, IV D/I
Giovanna Balivo, Attilio Cangiano, Maria Caserta, Giovanna Comparone, Emanuele d’Aniello Raffaella Dalessandro, Nicola De Simone, Martina di Martino,
Paola Grande, Silvia Graziano, Anna Mirate, Michele Schiavone, Benedetta Tagliafierro, Salvatore Tessitore.
Hanno scritto dell’esperienza:
“… Partecipare alla staffetta ha rappresentato un’esperienza coinvolgente: dalla
lettura dell’incipit, primo motore di tante e diverse idee, ai capitoli successivi,
che hanno rinnovato di volta in volta le storie già pensate. All’analisi testuale
per individuare personaggi, ambientazioni e messaggi, è seguita la fase d’ideazione,fondata sul tema della staffetta la contemplazione.
È stato un momento significativo di confronto non solo del modo in cui proseguire la storia, ma anche delle diverse visioni interiori degli studenti. Non è stato
semplice scrivere a più mani una piccola parte di un racconto, muoversi in uno
spazio limitato cercando di cogliere, vedere e suggerire relazioni, ma certamente
ha favorito la collaborazione e la condivisione. Lo spirito sotteso alla scrittura è
stato quello di raccontare, con un numero limitato di parole e di conseguenti immagini, il senso dei propri pensieri, il senso del proprio racconto che per tutti doveva essere di formazione. Perciò si tornati a Oetzi e alla montagna, al desiderio
di conquistare un orizzonte”.
APPENDICE
4. Rivelazione
Liceo artistico “Sabatini-Menna” di Salerno - Classe III F
Dirigente Scolastico
Ester Andreola
Docente referente della Staffetta
Angela Visone
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Angela Visone
Gli studenti/scrittori della classe III F
Serena Apicella, Lucia Aprile, Pio Maria Bisogno, Danilo Candela, Giulia Capolupo, Chiara Cerasuolo, Jessica D’Auria, Francesca D’Urso, Ilaria Del Vecchio,
Matteo Eulogio, Ines Lambiase, Valeria Masullo, Angela Pantò, Maria Maddalena Pappalardo, Alessia Petrillo, Silvia Polidoro, Alessandro Polverino, Francesco Rispoli, Manuel Romano, Silvia Maria Russo, Rosalia Santo, Annamaria
Senatore, Giovanni Sorrentino, Gerardo Tedesco, Francesco Troisi, Michela Vassallo, Sara Vicinanza
Hanno scritto dell’esperienza:
“… L’incipit che abbiamo affrontato ha destato il nostro interesse per la sua originalità. Insieme ci siamo divertiti molto fantasticando sul proseguimento della
storia. Nel nuovo anno scolastico per noi ricco di cambiamenti questo lavoro di
gruppo ci ha aiutato ad essere più uniti e a creare un clima di organizzazione e
aiuto reciproco”.
APPENDICE
5. Dalla realtà al sogno
Itca “Fabio Besta” di Ragusa – Classe IV A
Dirigente Scolastico
Antonella Rosa
Docente Referente della Staffetta
Rosanna Massari
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Rosanna Massari
Gli studenti/scrittori della classe IV A
Salvatore Battaglia, Alessio Bellina, Benedetta Cascone, Eliano Corallo, Carmelo Distefano, Melissa Distefano, Alberto Firrito, Adriano Guastella, Chiara La
Rosa, Adriano Lucifora, Roberta Mantello, Leonardo Marcinnò, Roberta Monello,
Daniele Piccitto, Damiano Spadaro, Enrico Ucchino
Hanno scritto dell’esperienza:
“… L'esperienza è stata coinvolgente e appassionante, visto che ci ha portato
anche a ricercare informazioni su un caso non del tutto noto e a scoprire un
mondo per noi nuovo e affascinante come la montagna.
La collaborazione tra gli alunni è stata stimolante, in uno spirito di competizione
positivo e proficuo, che ha messo in luce le capacità e l'estro di ogni singolo”.
APPENDICE
6. L’escursione rimandata
Liceo Statale “Lucrezia della Valle” di Cosenza - Classe IV A Linguistico
Dirigente Scolastico
Loredana Giannicola
Docente referente della Staffetta
Lidia Fusaro
Docenti responsabili dell’Azione Formativa
Lidia Fusaro, Silvia Vitale
Gli studenti/scrittori della classe IV A Linguistico
Marco Bernaudo, Sahamar Bessiud, Carolina Bilotta, Rita Bonanno, Arianna Bria,
Anna Chiara Calabria, Eugenio Capparelli, Anna Maria Castiglione, Simone Coscarella, Mattia DeGaetano, Azzurra Di Biase, Daniele Fiorillo, Giada Folino, Simone Gualtieri, Maria Chiara Iacovino, Elena Lepore, Sara Imbrogno, Vittoria
Librandi, Elisa Grazia Mauro, Mattia Milano, Roberta Motta, Cristiana Natalizio,
Rita Ponti, Desirée Runco, Marica Sacco, Sofia Spadafora, Romina Stabile, Irene
Viola, Matteo Vizza
Hanno scritto dell’esperienza:
“… Essendo la nostra seconda esperienza con questo progetto abbiamo notato
alcuni miglioramenti: non eravamo più i ragazzini fomentati e presi dall’emozione,
ci siamo comportati quasi da professionisti. Le idee contrastanti come in qualsiasi
confronto tra più persone, non sono mancate ma le abbiamo risolte in breve
tempo. La staffetta, inoltre, ancora una volta ci ha dato l’opportunità di esprimere
la nostra creatività e dare sfogo alla nostra fantasia”.
APPENDICE
7. Il cerchio della vita
I.I.S.S. “Einaudi” di Manduria - Classe IV A Turistico
Dirigente Scolastico
Elena Silvana Cavallo
Docente referente della Staffetta
Cosima Saracino
Docenti responsabili dell’Azione Formativa
Cosima Saracino, Anna Maria Marotta, Anna Saracino
Gli studenti/scrittori della classe IV A Turistico
Iacopo Bruno, Virginia Chiloiro, Stefania Dipalmo, Nico Di Maglie, Sara Massari,
Viola Vassallo, Federico Tarentini, Federica Mingolla, Antonia Scialpi, Giovanna
Monachello, Gabriella Frascina, Rebecca Desantis, Alessia Lippolis
Hanno scritto dell’esperienza:
“… Le ricerche su Oetzi, la sua storia, i luoghi del suo ritrovamento e la loro cultura, eseguite a margine dell’attività, hanno ampliato le nostre conoscenze, mentre il lavoro di gruppo ha migliorato notevolmente il nostro rapporto con
compagni e docenti, insegnandoci ad ascoltare e rispettare il parere degli altri
e, in molti casi, a condividerlo”.
APPENDICE
8. Il passato ritorna
Istituto di Istruzione Superiore “T. Confalonieri“ di Campagna - Classe IV A Linguistico
Dirigente Scolastico
Italo Cernera
Docente referente della Staffetta
Liberato Taglianetti
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Liberato Taglianetti
Gli studenti/scrittori della classe IV A linguistico
Hanno scritto dell’esperienza:
“… Ci teniamo a sottolineare che scrivere per la staffetta è stata un’esperienza
molto stimolante per gli alunni che hanno avuto modo di far leva sulla propria sensibilità e abilità di scrittori in erba per contribuire alla realizzazione del proprio
libro”.
APPENDICE
9. La meraviglia
Liceo Scientifico Statale “G. Rummo” di Benevento - Classe III G
Dirigente Scolastico
Teresa Marchese
Docente referente Della Staffetta
Domenico Zerella
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Domenico Zerella
Gli studenti/scrittori della classe III G
Miriana Bovino, Emilio Calligaro, Serena Cocca, Gianmarco De Ieso, Stefano Di
Rubbo, Daniela Ferravante, Aurora Intorcia, Rebecca Lisella, Federica Lidia Marchitto, Luca Mignone, Federica Mirra, Annarita Morelli, Annarita Parente, Federica Pepe, Davide Principe, Piero Sauchella, Francesca Silvano, Pio Tedesco,
Noemi Tufo, Serafino Zullo
Hanno scritto dell’esperienza:
“… Poiché è l’ultimo capitolo bisognerebbe adesso fare chiarezza sulla storia di
Michelangelo. Ormai quella di Oetzi è conclusa e la meraviglia che doveva essere alla base della sua storia è stata scoperta. Quindi bisognerebbe tornare
nuovamente alla vita del ragazzino facendo risvegliare Oetzi come Michelangelo che potrebbe far riappacificare i due fratelli Hans e Fritz e scoprire anch’egli le meraviglie del luogo. È stato un vero piacere condividere questa
esperienza ed, inoltre, ci siamo divertiti molto”.
APPENDICE
10. Addio al passato
Istituto Secondario Superiore Statale “Mazzini - Da Vinci” di Savona - Classe III
Ipsia “Da Vinci”
Dirigente Scolastico
Domenico Buscaglia
Docente referente della Staffetta
Maria Paola Topasso
Docente responsabile dell’Azione Formativa
Maria Paola Topasso
Gli studenti/scrittori della classe III Ipsia Da Vinci
Harold Trivino Caicedo, Stefano Battistutta e Matteo Cosenza.
Hanno scritto dell’esperienza:
“… È stata una buona opportunità per noi alunni di un istituto professionale poterci impegnare nello scrivere un racconto insieme ad altri istituti, anche se siamo
dispiaciuti di non poter partecipare all’incontro finale a Salerno”.
NOTE
NOTE
INDICE
Incipit di ALESSANDRA LIVERANI..................................................................pag
16
Cap. 1 La predizione ..............................................................................................»
20
Cap. 2 All’alba di un nuovo giorno ....................................................................»
26
Cap. 3 Sulla Montagna ..........................................................................................»
34
Cap. 4 Rivelazione ..................................................................................................»
42
Cap. 5 Dalla realtà al sogno ................................................................................»
50
Cap. 6 L’escursione rimandata ............................................................................»
58
Cap. 7 Il cerchio della vita ..................................................................................»
66
Cap. 8 Il passato ritorna ........................................................................................»
74
Cap. 9 La meraviglia ..............................................................................................»
84
Cap. 10 Addio al passato ....................................................................................»
92
Appendici ..................................................................................................................»
98
Finito di stampare nel mese di aprile 2014
da Tipografia Fusco, Salerno