UNA STAMPIGLIA CON BUSTO FRONTALE VIRILE DA

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UNA STAMPIGLIA CON BUSTO FRONTALE VIRILE DA
dia occidentale paia legata all’ambito piemontese, mentre
quello bresciano influenzi le attestazioni venete (VON HESSEN
1968, pp. 39-41; VITALI 1999, p. 207; PANTÒ, c.s./b). A Brescia in particolare sono stati pubblicati due fornetti verticali
nell’area già occupata dal Capitolium che sembra producessero sia ceramiche comuni, che longobarde (GUGLIELMETTI
1996); La consistente quantità di ceramica di tradizione pannonica ritrovata a S. Giulia, in un contesto insediativo legato
a beni fiscali, e la possibile pertinenza allo stesso ambito topografico di queste due fornaci ha suggerito l’esistenza di
impianti artigianali legati alla curtis regia, che rispondevano
alle esigenze della locale nobiltà barbarica e forse alimentavano un «circuito riservato, quale poteva essere quello dei
beni fiscali regi e ducali» (BROGIOLO, GELICHI 1997, pp. 143144; BROGIOLO, GELICHI 1998, pp. 217-222). Nella stessa città, uno scavo condotto nel 1998 dalla Soprintendenza Archeologica della Lombardia, ha riconosciuto in un’area successivamente intaccata dalla fondazione romanica del Duomo vecchio, un fornetto verticale che l’associazione con ceramica longobarda, forse prodotta da questo stesso impianto
artigiano, e l’analisi alla termoluminescenza riconducono alla
prima metà del VII secolo (ex inf. Andrea Breda, che ringrazio). La collocazione di questa fornace, adiacente alla cattedrale paleocristiana e altomedievale di S. Maria Maggiore,
trova un possibile parallelo a Torino, dove indizi di varia natura suggeriscono la presenza di un impianto per la produzione di ceramiche longobarde nei pressi del complesso episcopale (PANTÒ c.s./a; PANTÒ c.s./b). L’esistenza di centri manifatturieri legati a importanti istituzioni ecclesiastiche è documentata da un’ampia casistica (cfr. MARTORELLI 1999; SAGUÌ 2002, pp. 21-24), in questi casi potrebbe anche segnalare
una produzione di ceramiche di tradizione pannonica apparentemente slegata da un contesto etnico-sociopolitico longobardo chiaramente definito.
Anche l’analisi morfologica dei reperti suggerisce una situazione abbastanza articolata. I depositi connessi a realtà insediative hanno restituito gli stessi tipi morfologici documentati nei sepolcreti (principalmente brocche, fiasche, bottiglie e
bicchieri-coppe); hanno anche individuato altre forme, come
un contenitore per liquidi di notevoli capacità, riconosciuto a
Brescia (VITALI 1999, pp. 177-179) o un’olla a corpo ovoide
presente a Torino (PANTÒ, c.s./b). Soprattutto hanno evidenziato che accanto ad una produzione più precisamente legata alle
tradizioni transalpine, esistono frequenti interferenze con le
esperienze artigianali romanze che determinano prodotti dal
carattere ibrido, sia per quanto concerne la scelta dei materiali,
la foggiatura, il trattamento delle superfici, le tecniche decorative, di rivestimento e cottura (LUSUARDI SIENA 1994, pp. 5760; GUGLIELMETTI 1996; TASSINARI, VITALI 1998, pp. 251-259;
MASSA, PORTULANO 1999, pp. 163-164).
UNA STAMPIGLIA CON BUSTO
FRONTALE VIRILE DA VICENZA:
NUOVI DATI PER LA CONOSCENZA DELLA
CERAMICA LONGOBARDA IN ITALIA
MARCO
di
SANNAZARO
La ceramica longobarda italiana è stata inquadrata nelle
sue problematiche da Otto von Hessen trentacinque anni fa,
in un’opera che resta di basilare importanza per il dettaglio
dell’analisi e le lucidi intuizioni, spesso confermate dai ritrovamenti successivi (VON HESSEN 1968; cfr. anche VON HESSEN
1970; VON HESSEN 1971a, pp. 40-44; VON HESSEN 1971b). Negli
ultimi decenni il panorama delle attestazioni si è considerevolmente arricchito, grazie a nuovi ritrovamenti da contesti
funerari, ma soprattutto per le frequenti e accurate indagini
in ambiti insediativi urbani e rurali. In occasione della recente pubblicazione dei materiali recuperati nelle affidabili sequenze stratigrafiche del monastero di S. Giulia di Brescia,
Maria Grazia Vitali ha presentato la ceramica di tradizione
pannonica recuperata in quelle indagini, ma anche aggiornato il panorama delle conoscenze e offerto nuove valutazioni
critiche (VITALI 1999, aggiornamento bibliografico alle note
4-20). Sempre in contesti pluristratificati urbani, interessanti
ritrovamenti sono stati effettuati negli ultimi anni a Torino
(PANTÒ c.s./a; PANTÒ c.s./b, con aggiornamento bibliografico
per il Piemonte); mentre di prossima pubblicazione sono i
reperti veronesi dall’area del Capitolium (HUDSON c.s.) ed è
stata programmato dal nucleo operativo di Verona della Soprintendenza Archeologica del Veneto lo studio esaustivo e
la pubblicazione degli scavi del Cortile del Tribunale, che
hanno restituito un buon numero di ceramiche a stampiglia e
a stralucido (BRUNO c.s.)
L’area geografica di diffusione della ceramica di tipo
longobardo resta l’Italia settentrionale, con presenze in Piemonte, Lombardia, soprattutto orientale, Veneto e Friuli (per
segnalazioni di nuovi rinvenimenti cfr. GHIROLDI, PORTULANO, ROFFIA 2001, pp. 120-121 e fig. 12, 5; GIOVANNINI 2001,
pp. 651-652 e tav. XXV; NOBILE DE AGOSTINI et al. 2001,
pp. 300-301 e tav. LXVI, 3-4, fig. 282). L’Emilia ha restituito pochi esemplari; in Liguria, bizantina fino al 641/642, si
segnalano alcuni frammenti recuperati nel castello di
S. Antonino di Perti (MURIALDO 2001, pp. 356-359, tav. 30,
101-102); nel resto della penisola, se si escludono i due recipienti recuperati nella tomba 148 di Nocera Umbra, non
risultano in bibliografia altre attestazioni.
Restano problematiche le motivazioni e le dinamiche
che determinano la fine di questa produzione, documentata
fino alla metà del VII secolo: posto l’accertato uso domestico di questi recipienti, non è più soddisfacente ricercarne
la scomparsa nell’adesione a consuetudini funerarie romanzo-cristiane, che non implicano più la deposizione di un
corredo di recipienti nella sepoltura. È possibile che a seguito dei processi di acculturazione non si senta più la necessità di specifici contenitori di tradizione transalpina (VITALI 1999, p. 176), ma va comunque rimarcato che quella
longobarda non è l’unica tipologia ceramica che scompare
entro il VII secolo in Italia settentrionale; anche altre produzioni fini di derivazione romana, come la ceramica invetriata, le imitazioni della sigillata africana e quasi tutte le
forme depurate, non sono più attestate in un contesto di profondo impoverimento tecnologico-formale che non ha trovato ancora piene e soddisfacenti giustificazioni (BROGIOLO, GELICHI 1997; BROGIOLO, GELICHI 1998; LUSUARDI SIENA,
NEGRI, VILLA c.s.; SANNAZARO c.s./a).
L’ipotesi già formulata dal von Hessen, di almeno due
distinti ambiti produttivi, il primo in area piemontese, il secondo nel circondario di Brescia, sembra confortato dalle
nuove testimonianze, che segnalano anche come la Lombar-
Sulla scia di queste problematiche va posta l’analisi di un
assai singolare frammento di ceramica recuperato a Vicenza,
nell’ambito della chiesa di S. Biagio. Lo presento in questa
occasione grazie alla proposta di studio rivoltami da Gian Pietro Brogiolo, direttore dello scavo in collaborazione con la
Soprintendenza Archeologica del Veneto, che ringrazio.
Il frammento di spalla (spessore 0,4/0,7; alt. max. 3,5)
appartiene a un recipiente a corpo ovoide che ha un diametro massimo di 16 cm ca. (Figg. 1-2); l’attribuzione ad una
forma precisa, data l’esiguità del reperto, risulta incerta, ma
il contenitore cui apparteneva, date le dimensioni abbastanza
ampie, era molto probabilmente una brocca.
L’impasto, di colore grigio-scuro, presenta massa di
fondo fine e micacea, ben depurata, in frattura sono visibili
alcuni vacuoli. All’esterno la parete non interessata dalle
stampigliature risulta accuratamente lucidata a stecca con
uno strumento che ha lasciato tracce abbastanza regolari
(larghe 0,1 ca.); sulla superficie interna, oltre ai rigonfiamenti in corrispondenza delle impressioni, sono visibili fitte e leggere solcature da tornio, che determinano un effetto
a “millerighe”.
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Un incisione che doveva impostarsi sotto l’orlo della
brocca, definisce superiormente la fascia decorata: è stato
osservato in altri casi che simili solcature, tracciate mentre
il recipiente era in movimento sul tornio, spesso si concludono con una sovrapposizione a spirale dell’incisione (VITALI 1999, p. 202), particolare che si osserva anche nel nostro frammento. Le quattro stampiglie presenti nel registro
sottostante, una integra, le altre frammentarie, rappresentano la medesima immagine di un busto frontale virile e si
dispongono su due linee sovrapposte che occupavano la
fascia del recipiente posta sopra e sotto la massima espansione del ventre (Fig. 3).
Le indagini sullo sviluppo dell’apparato ornamentale della ceramica longobarda segnalano che una decorazione fitta e
coprente pare caratterizzare le fasi produttive più antiche, ancora legate alle esperienze pannoniche, mentre i tipi più tardi
presentano decori più radi e sobri (VITALI 1999, p. 204); seguendo queste osservazioni, potremmo propendere per una
datazione alta della nostra brocca, ma il caso assolutamente
particolare e l’impossibilità di una definizione morfologica
precisa, suggeriscono grande prudenza al riguardo.
Il busto impresso presenta una testa piriforme con abbondante capigliatura, definita da trattini curvilinei paralleli interrotti da due linee radiali che costituiscono una curiosa doppia
scriminatura. Gli occhi sono circolari, con la pupilla definita
da un puntino; il naso è una linea verticale ingrossata inferiormente; il ritratto è completato da una barbetta triangoliforme a
trattini e dalla linea sinuosa dei mustacchi. Il busto è semicircolare, limitato inferiormente da un singolare smerlo e presenta una ricca decorazione di cerchielli oculati lungo il bordo e
di minute tacche romboidali all’interno.
L’impianto generale rimanda all’“immagine del longobardo”: un tipo iconografico diffuso in tutta Italia e caratterizzato, pur con varianti, da folti capelli, normalmente spartiti nel mezzo, fluente barba a punta, ricca veste, quando
delineata, che pare assumere una valenza storico-ufficiale e
che riprende il significato e le tradizioni legate all’etnonimico, così come li raccontano i miti antichi della stirpe ed
era espresso figurativamente negli affreschi del palazzo di
Monza voluti da Teodolinda.
Ho trattato più diffusamente in altra sede la questione
(SANNAZARO, c.s./b), qui mi limito a ricordare che rientrano
in questa casistica i ritratti sulle crocette di Lavìs (TN) (Fig. 4)
e Beinasco (TO) (FUCHS 1938, nn. 32 e 104; ROTH 1973,
pp. 156-160, 204-205, tavv. 17, 3 e 21,2), accompagnati da
testi epigrafici che dovrebbero indicare Clefi nel primo caso,
ma la cosa è assai dubbia, e Agilulfo nella seconda; la rappresentazione di Agilulfo sulla lamina della Valdinievole
(K URZE 1980; VON H ESSEN 1981); gli anelli sigillari di
Marchebadus (prima metà del VII secolo) da S. Ambrogio
di Milano; delle tombe 2 e 4 di Trezzo d’Adda (MI), rispettivamente di Rodchis v(ir) ill(uster) (metà del VII secolo) e
di Ansvaldo (secondo quarto del VII secolo); quello di Palazzo Pignano (CR) di Arichis; un altro da Udine di Audoin;
quello di Faolfus da Chiusi (SI) e infine quello di Aufret
(forse degli inizi del VII secolo), da Bagnoregio (VT) (VON
HESSEN 1982; KURZE 1986; LUSUARDI 1989) (Fig. 5).
A queste testimonianze si è aggiunta recentemente quella
della bulla plumbea rinvenuta a Roma, negli scavi della
Crypta Balbi, che presenta su un lato una croce greca potenziata, sull’altro un volto ellittico dalla capigliatura a
caschetto sino alle tempie che si congiunge alla barba a
punta, la legenda ricorda Anso, v(ir) i(lluster) dux (MARAZZI
2001, p. 263).
Nella monetazione longobarda, solo le emissioni di tipo
bizantino coniate a Ravenna dopo la presa della capitale
esarcale (751-756) presentano, accompagnato dalla legenda d(omi)n(us) Aistulf rex, un ritratto en face del sovrano
che ripropone con molta accuratezza formale, dovuta forse
ai monetieri locali, l’iconografia del longibarba (ARSLAN
1984, p. 430; KURZE 1986, pp. 418-419). Anche nella caotica e disordinata decorazione di una crocetta aurea rinvenu-
ta a Rodano (LO) è possibile riconoscere un busto con le
consuete caratteristiche, che non è però accompagnato da
un testo epigrafico (FUCHS 1938, n. 71; ROTH 1973, pp. 172
e 194; DE MARCHI, 1988, pp. 48-50; per l’identificazione
del motivo SANNAZARO c.s./b).
La stampiglia di Vicenza presenta dettagli stilistici che
l’avvicinano ulteriormente ad alcuni di questi ritratti: la veste
è decorata da cerchietti oculati anche nel ritratto di Aufret,
nell’anello sigillare di Bagnoregio, e in quello di Agilulfo
nella lamina del Bargello, dove le rotae sono definite con
un puntinato (una semplice decorazione a cerchielli compare anche sulla veste del cavaliere crucifero rappresentato
sul reliquiario a borsa di Ennabeuren, della fine del VII secolo: Die Alamannen 1997, fig. 526). La singolare acconciatura spartita da una doppia scriminiatura è forse ravvisabile nel ritratto posto al centro della croce di Lavìs, dove
due fasce radiali si frappongono tra i tratti curvilinei dei
capelli e il testo epigrafico (Fig. 4); nel manufatto trentino
compaiono anche gli occhi tondi con puntino, l’assenza di
sopracciglia e la barbetta triangolare a trattini.
Una considerazione particolare invece meritano altre divergenze dal tipo consueto. I mustacchi, definiti con una linea sinuosa, non hanno riscontri nelle altre rappresentazioni
di Longibarbae ricordate, dove i baffi, quando compaiono,
hanno un’enfasi minore. Il motivo però ha diversi precedenti
nell’arte germanica e prima ancora celtica; di quest’ultima,
anzi, il lungo baffo arcuato è un elemento caratterizzante.
Cito ad esempio i mascheroni bronzei che guarniscono il carro
rinvenuto a Dejbjerg, in Danimarca, del I secolo a. C., di
netta influenza celtica, ma realizzati nello Jütland germanico
(KAUL 1991). Raffronti cronologicamente più vicini si possono riconoscere nel mascherone che decora la testata della
fibula rinvenuta a Bifrons, nel Kent (GB), in quello sulla placca di una fibbia da Éprave, Croix Rouge (F), sempre realizzate in Danimarca nel VI secolo (HASELOFF 1981, pp. 86, 265266 e figg. 53, 27 e 181), e nella placchetta rinvenuta a
Valsgärde, nello Uppland (SV), assegnata anch’essa al VI
secolo, con una maschera che presenta baffi di questo genere, barba, e occhi resi con tondi cerchiati (HAUCK 1980, pp.
512-515, tav. 56 e fig. 41) (Fig. 6).
Curioso appare anche lo smerlo che chiude inferiormente il busto, sostituendo la più consueta terminazione rettilinea o semicircolare; possiamo riscontrare lontani antecedenti in alcune monete di età imperiale, dove in alcuni ritratti di
profilo il taglio del collo assume talora andamenti similari
(cfr., indicativamente un sesterzio di Caracalla: BREGLIA 1968,
pp. 172-173, ringrazio Anna Gannon per la segnalazione),
ma ci sembra assai più probabile che in questo caso si risponda a una specifica esigenza ornamentale della ceramica longobarda che predilige terminazioni angolate. In effetti, nel
repertorio delle decorazioni a stampiglia, i motivi con terminazione acuta o smussata trovano un certo favore, la losanga
soprattutto, ma anche forme ellittiche disposte verticalmente
(HESSEN 1968, tav. f. t.; VITALI 1999, figg. alle pp. 209-219),
anche il sistema dispositivo delle impressioni sul corpo del
recipiente si organizza frequentemente a creare motivi triangolari con il vertice disposto in basso, formando un motivo a
frangia (VITALI 1999, p. 204); disposizione obliqua presenta
anche il motivo cruciforme attestato su una fiaschetta del
Museo Civico di Bergamo (HESSEN 1968, n. 74, p. 13, fig. 9 e
tav. 21; LUSUARDI SIENA 1994, tav. 1, 7). Segnalo un’altra fiasca stampigliata, recentemente recuperata negli scavi del
Monte Barro e inquadrabile nel VI secolo: non rientra, per
caratteristiche di impasto e peculiarità decorativa, nella tipologia canonica della ceramica longobarda, tuttavia presenta
un motivo decorativo costituito da croci greche disposte su
più registri, definite da un cerchiello mediano e bracci a reticolo, che non sono impresse in posizione verticale, ma obliqua (DE MARCHI 2001, pp. 185-186, tav. LXVI, 18).
La stampiglia attestata sul frammento vicentino presenta
un elemento figurativo originale, mediato probabilmente da
raffigurazioni con l’“immagine del longobardo” utilizzate
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tro linee verticali; il secondo presenta entro un tondo, un busto
umano en face fortemente stilizzato, con una testa caratterizzata sostanzialmente da grandi occhi e da un accenno di bocca; dal busto triangoliforme, paiono spuntare due alucce o due
braccia nel gesto dell’orante (VITALI 1999, p. 205 e tavv.
LXXXVIII, 2 e CXLVII, 5) (Fig. 7); per questa raffigurazione,
in aggiunta ai rimandi iconografici proposti dall’editore, mi
sembra meritino di essere segnalate le maschere e i busti impressi su alcuni recipienti in Derivate delle Sigillate Paleocristiane, prodotte prevalentemente in Languedoca, con schematizzazioni estreme che rendono in taluni casi praticamente impercettibile il soggetto (RIGOIR 1997, fig. 8).
Chi è il personaggio rappresentato sulla stampiglia vicentina? Qual è il significato da assegnare a questa peculiarità ornamentale?
L’uso dell’immagine umana su prodotti ceramici risulta
ancora ben documentato in epoca tardoantica, nella decorazione soprattutto di lucerne, Sigillate africane, Derivate delle
Sigillate Paleocristiane (TORTORELLA 1981, tavv. LXIII-LXIV;
RIGOIR 1997, figg. 6-7). È invece un fatto assolutamente sporadico nel repertorio tradizionale ceramologico delle varie popolazioni germaniche, dove sono normalmente documentate
decorazioni geometriche o astratte (CSALLANY 1961, pp. 254258; MYRES 1977; Die Alamannen, pp. 84-85, 233-236 figg.
65 ss.; Riflessi di Roma, pp. 153-156, il n. 408 presenta una
maschera umana a rilievo); quando attestato viene in genere
ricondotto a peculiari funzioni rituali o di distinzione dei recipienti (BANTELMANN 1981; BUGAJ, MAKIEWICZ 1995).
Oggetti di particolare pregnanza sono anche alcuni contenitori potori in metallo prezioso danesi, come due bicchieri
argentei da Brokjæe e Himlingøje, ornati da maschere umane dorate, di fine II-III secolo (VON CARNAP-BORNHEIM 1998,
pp. 137-138) o i famosi corni d’oro di Gallehus (DK), oggi
perduti, di V secolo; decorati da complesse scene mitologiche (Riflessi di Roma, p. 147).
Il punzone di Vicenza, nella sua originalità, rivela
senz’altro un’intenzione non puramente decorativa ed assegna alla brocca su cui è ripetutamente impresso un significato particolare, che risulta tuttavia di difficile decifrazione. Il ventaglio delle opzioni varia dalla sfera magico-religiosa a quella pubblicistica.
Il famoso episodio di Rosmunda che è costretta a bere dal
cranio del padre esplicita un’evidente connessione tra testa/
cranio e recipiente potorio (Paul. Diac. Hist. Lang., II, 28; sull’episodio GASPARRI 1983, pp. 41-44; MELI 2000, pp. 349-350);
la lugubre coppa di Alboino che, stando alla testimonianza di
Paolo, esisteva ancora all’epoca di Ratchis, rimanda ad altre
consimili ricordate dalle saghe nordiche: il cranio, che è quanto resta della testa, sede della mente e dello spirito umano,
trasformato in recipiente rende in qualche modo possibile assumere, con il liquido in esso contenuto, anche l’originario
vigore del defunto (CHIESA ISNARDI 1997, p. 601).
Possiamo pensare che la brocca vicentina intenda riprendere in qualche modo queste tematiche, seppure in
maniera decisamente meno macabra?
Saremmo certo aiutati nella comprensione del significato
del recipiente, se potessimo identificare con certezza il personaggio rappresentato e decifrare meglio la sua particolare acconciatura. Si è molto discusso, a proposito degli anelli sigillo,
se l’immagine effigiata rappresentasse il sovrano, come pensava il von Hessen, o il dignitario menzionato nell’epigrafe,
come sostenuto dal Kurze, né il recente riesame della questione pare aver determinato soluzioni univoche e conclusive (I
signori degli anelli). Anche la presenza di ritratti dell’imperatore romano o bizantino su crocette e manufatti di altro genere,
direttamente ricavate da monete, o copiate con esiti diversi di
resa o stilizzazione, ha posto problemi interpretativi ed evidenziato come il significato attribuito all’immagine potesse
variare, sino a indicare divinità pagane, eroi mitici o Cristo
(DEÈR 1955; HASELOFF 1975, p. 70). Possiamo ritenere comunque che il ritratto avesse valore di “icona” (indicativamente LA
ROCCA 2000) e in tal senso conservare un riflesso della virtus
Fig. 1 – Vicenza, S. Biagio. Frammento di ceramica stampigliata
(Foto di F. Airoldi).
Fig. 2 – Vicenza, S. Biagio. Frammento di ceramica stampigliata
(Disegno di R. Rachini).
Fig. 3 – Vicenza, S. Biagio. Ceramica stampigliata, ipotesi ricostruttiva del sistema decorativo (Disegno di R. Rachini).
in ateliers di orefici, ma probabilmente anche in raffigurazioni celebrative monumentali perdute, come in quelle del
palazzo di Monza.
Nelle modalità con cui si rappresentavano busti frontali
virili, l’influenza della tradizione e della tecnica romano-bizantina è stata certo forte, anche per la diffusione di ritratti
imperiali su monete, né sembra improbabile in molti casi l’intervento diretto di artigiani romanzi, al servizio della corte e
dell’aristocrazia barbarica. In questo caso però l’artefice del
punzone, non si limita ad una riproposizione più o meno adeguata di modelli, ma manifesta una sensibilità barbarica nell’introdurre elementi, come i baffi sinuosi, che appartengono
a un bagaglio immaginifico di antica tradizione celtico-germanica, o nel rispondere, con lo smerlo, a un’esigenza ornamentale che è specifica della ceramica longobarda.
Al momento, è stato segnalato solo un altro caso esplicito
di rappresentazione umana su ceramica di tradizione pannonica: un frammento da S. Giulia presenta una decorazione composita, nella quale accanto a impressioni a piccoli rombi e circolari, compaiono due stampi particolari. In uno, grosso modo,
quadrangolare, è rappresentato un ovale, da cui scendono quat42
Fig. 4 – Crocetta aurea di Lavìs, particolare (da ROTH 1973).
Fig. 5 – Anelli sigillo longobardi: 1) da Milano; 2) da Udine; 3-4)
da Trezzo d’Adda; 5) da Palazzo Pignano; 6) da Chiusi; 7) da
Bagno Regio; 8) da Bergamo (da LUSUARDI 1989).
Fig. 6 – Maschere umane con mustacchi in manufatti scandinavi
di VI secolo: a) fibula di Bifrons (Kent, GB), tomba 41; b) fibbia di
Éprave, Croix Rouge (F) da HASELOFF 1981); c) placchetta di
Valsgärde, Uppland (SV) (da HAUCK 1980).
Fig. 7 – Brescia, S. Giulia. Frammento di ceramica stampigliata
(da VITALI 1999).
Fig. 8 – Maschere e busti umani impressi su Derivate delle Sigillate
43Paleocristiane (da RIGOIR 1997).
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dell’effigiato e assumere una valenza almeno apotropaica; se
si trattasse poi del sovrano, potremmo pensare a un intento
anche propagandistico, teso o diffondere l’istituto monarchico
presso una popolazione non particolarmente leale. Anche in
ambito bizantino, a partire in particolare dall’età giustiniana,
le iconografie ispirate all’ideologia imperiale trovano un particolare incremento nei gioielli dell’aristocrazia (MANIÈRELÉVÊQUE 1997, pp. 103-104). Una recente ricerca sui motivi
decorativi presenti sugli scudi da parata longobardi ha riconosciuto la possibilità che decorazioni ispirate alla tradizione figurativa romano-bizantina segnalassero un rapporto anche ideologico con l’entourage reale, mentre iconografie germaniche
rifletterebbero «il legame con le tradizioni originarie e forse
indirizzi politici, visualizzati in segni, diversi da quelli professati a corte» (DE MARCHI 2000, p. 286).
In una realtà sostanzialmente indifferente alla comunicazione scritta, quale quella della prima età longobarda
(SANNAZARO c.s./c), il linguaggio delle immagini è un fattore significativo nella conservazione di una memoria collettiva e nell’affermazione di nuovi significati simbolici
(SANNAZARO c.s./b). Il caso di Vicenza segnala che anche
l’“archeologia dei cocci” offre spunti per una riflessione
sulla mentalità dell’uomo altomedievale.
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