Pet Therapy: il valore della relazione con l`animale
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Pet Therapy: il valore della relazione con l`animale
TITOLO PET THERAPY: IL VALORE DELLA RELAZIONE CON L’ANIMALE Presentazione Di Progetti, Di Attivita’ Assistite Dagli Animali PREMESSA INTRODUZIONE ALLA ZOOANTROPOLOGIA CARTA DI REGGIO EMILIA SU OBBLIGHI UMANI E INTERESSI DEGLI ANIMALI IL VALORE DELLA RELAZIONE CON L’ANIMALE RELAZIONE DI SABRINA TONUTTI: “INTRODUZIONE ALLA ZOOANTROPOLOGIA: DALL’ANIMALE COSA ALL’ANIMALE PARTNER” IL BAMBINO E L'ANIMALE: SIGNIFICATI FORMATIVI DELLA RELAZIONE CON L'ANIMALE D'AFFEZIONE IL VALORE ASSISTENZIALE E TERAPEUTICO DELLA PET-RELATIONSHIP NUOVI FONDAMENTI DEL PET-TRAINING E DIMOSTRAZIONI DI PET-TRAINING LE ATTIVITA’ DI PET-RELATIONSHIP NEI PROGETTI DI PET-THERAPY E DI ZOOANTROPOLOGIA DIDATTICA ANALISI DELLA PET-OWNERSHIP MODIFICAZIONI DEL RAPPORTO UOMO -ANIMALE BIOETICA E RAPPORTO UOMO--ANIMALE PRESENTAZIONE DI PROGETTI DI PET-THERAPY REALIZZATI SUL TERRITORIO DELLA ROVINCIA DI RE DA PARTE DEI SEGUENTI ENTI: AUSL DEL DISTRETTO DI SCANDIANO OSPEDALE PSICHIATRICO GIUDIZIARIO DI RE ISTITUTO AGRARIO "A.MOTTI" DI RE LABORATORIO LESIGNOLA PRESENTAZIONE DI PROGETTI DI PET-THERAPY REALIZZATI SUL TERRITORIO NAZIONALE: ASSOCIAZIONE CULTURALE CAVE CANEM CENTRO DI PET-THERAPY DI PADOVA CENTRO CINOFILO EUROPEO DI ALDO LA SPINA MILANO AMICI DELL’IPPOTERAPIA ASSOCIAZIONE ONLUS DI PESARO PREMESSA Sappiamo bene come le radici del pensiero occidentale sono profondamente segnate dalla visione antropocentrica - siamo anche consapevoli che del tutto antropocentrica è la visione della politica italiana. Soprattutto poi se il piano della discussione si sposta sulle altre specie, addirittura sul loro diritto alla vita, al benessere, alla libertà! E’ duro fare i conti con la convinzione che l’uomo sia naturalmente e di diritto dominante, all’apice di una gerarchia che vede le altre forme di vita puramente strutturali, anzi, finalizzate alla nostra esistenza. E’ altrettanto difficile vincere il pregiudizio che la razionalità sia il valore primario e assoluto. Questo pregiudizio si accompagna sempre alla negazione di sensibilità e autocoscienza delle altre specie. Noi siamo convinti del contrario! Sappiamo che gli animali provano gioia e dolore, sappiamo quanto gli animali possano dare all’uomo come comunicazione di emozioni, come la relazione con gli animali debba essere considerata prima di tutto un valore : diamo cure perché chiediamo cure, il bambino che si è preso cura di un animale, da grande sarà soggetto attivo di una società giusta e solidale. Su queste basi abbiamo fortemente voluto il convegno tenutosi a Reggio Emilia in data 18 – 19 ottobre 2003 dal titolo “ Pet – therapy : il valore della relazione con l’animale”, i cui atti oggi presentiamo e da Reggio Emilia vogliamo che parta la Carta di Reggio in allegato, proposta a tutte le istituzioni come impegno di civiltà. Maggiore sarà la sua diffusione e il consenso che intorno ad essa sapremo creare, più grande sarà il nostro contributo alla valorizzazione della relazione uomo - animale. L’ASSESSORE ALLE POLITICHE AMBIENTALI Margherita Bergomi INTRODUZIONE ALLA ZOOANTROPOLOGIA Di Roberto Marchesini La zooantropologia nasce tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ‘80 come disciplina di analisi della relazione uomo-animale e delle implicazioni referenziali e produttive di questo rapporto, partendo da presupposti assolutamente innovativi rispetto al panorama precedente e, di concerto, sviluppando una metodologia operativa, di ricerca e di applicazione del tutto nuova. La zooantropologia non è pertanto semplicemente un’area tematica o un campo di studio (il rapporto uomo-animale) poiché presenta un’epistemologia - ossia una struttura organizzativa della conoscenza e dei processi acquisitivi - assai differente rispetto alle impostazioni classiche. Per comprendere la zooantropologia occorre perciò rifarsi a una nuova concezione della relazione uomo-animale che ovviamente non è estensibile ad ogni tipo di rapporto con gli animali, ma che comunque offre coordinate più specifiche per decodificare quelle situazioni dove uomo e animale si pongono in una situazione attiva di relazione. In altre parole, la zooantropologia distingue due tipi di interazione uomo-animale: a) l’interazione reattiva (o interazione semplice), dove l’uomo risponde essenzialmente allo stimolo animale - in modo appetitivo, o di tropismo positivo, oppure in modo avversativo, o di tropismo negativo - attraverso variabili che dipendono dalla tipologia di animale (un serpente piuttosto che un gattino) e dalla tendenza della persona (zoomania piuttosto che zoointolleranza); b) l’interazione relazionale, (o interazione dialogica) dove si instaura un dialogo, un processo affiliativo reciprocante, una relazione di soglia, ovvero un evento di incontro/confronto che è in grado di esprimere una propria produttività. L’interesse della zooantropologia è focalizzato soprattutto sulle interazioni relazionali - anche se l’analisi zooantropologica si offre come ambito interpretativo dotato di propri strumenti ermeneutici per la valutazione delle tendenze e delle reazioni verso lo stimolo animale. La zooantropologia applicata, in particolare, utilizza la produttività relazionale in progetti specifici che offrono all’ipotetico fruitore servizi di tipo consulenziale (migliorare e valorizzare questo rapporto) oppure di tipo interventistico (offrire occasioni di rapporto con l’animale). In zooantropologia l’animale ha il ruolo di alterità e come parte in gioco di un complesso processo di incontro/confronto svolge una parte da protagonista (attiva), molto differente dalla semplice sollecitazione stimolativa oppure elicitativa. Questa attenzione per la relazione come processo biunivoco, dotato di intersoggettività, realizzato attraverso una partecipazione attiva dell’interlocutore non-umano, riporta in zooantropologia l’animale al centro del discorso e riconosce la specificità pulsionale dell’uomo verso l’eterospecifico nella sua complessità. Secondo l’epistemica zooantropologica l’animale non partecipa all’interazione solo come stimolo o in virtù del suo valore mediale o simbolico, ma diviene un partner relazionale in grado cioè di dire qualcosa di nuovo all’uomo e quindi di modificare il suo stato originario. Inoltre l’approccio zooantropologico, proprio perché dotato di strumenti epistemici ad hoc, consente: 1) di operare una più raffinata differenziazione tra i fenomeni interattivi riferiti all’alterità animale e ogni altro tipo di relazione, 2) di tracciare nuovi modelli interpretativi delle diverse situazioni che hanno posto uomo e animale a confronto. Pertanto in zooantropologia il contesto e il valore relazionale specifico - ovvero riferibile all’interazione con l’animale come soggetto e alterità - non è sovrapponibile ad altre tipologie di relazione: per esempio l’interazione tra esseri umani nelle sue diverse scansioni o l’interazione con le cose. La relazione con l’alterità animale è cioè qualcosa che per la sua forte caratterizzazione merita un discorso a parte. Questo presupposto trascina con sé altre considerazioni riferibili al ruolo antropologico della relazione con l’animale, ove la zooantropologia assegna un posto ben specifico e peculiare a questa esperienza come fattore costitutivo ed essenziale e non come elemento secondario o surrogatorio. In altri termini, per la zooantropologia il rapporto con l’animale non deve essere interpretato come sostituto di altre relazioni ma occorre valutarlo nella sua specificità, ossia proprio nella differenza rispetto al rapporto interumano. Possiamo pertanto parlare di fondamenti della zooantropologia centrati sulla definizione di un ruolo specifico relazionale attribuito all’alterità animale e di un contesto altrettanto specifico di relazione. Nell’impostazione zooantropologica innanzitutto l’interazione assume il profilo dell’interscambio, vale a dire che si parte dal presupposto che la relazione uomo-animale sia un evento intersoggettivo e dialogico, ovvero che nel processo coniugativo - che mette a confronto uomo e animale - vi siano elementi di reciprocità, un passaggio a doppio flusso di contenuti, una partecipazione attiva dei due poli di interazione. L’intersoggettività della relazione, che ovviamente non significa simmetricità o pariteticità di relazione, comporta evidentemente delle riflessioni ad ampio spettro che trascendono la mera reattività nei confronti dello stimolo animale o la proiettività di tipo simbolico o medianico del segno animale. In zooantropologia l’alterità animale è un polo di dialogo, capace di agire soggettivamente e attivamente sul processo relazionale, modificando l’uomo nei suoi contenuti strutturati (rappresentazioni mentali) e nei suoi assetti (emozioni, attivazione). Come secondo aspetto fondativo della zooantropologia si ritiene che l’incontro dialogico con l’alterità animale costituisca un momento particolare - indagabile come tale e in quanto tale - unico nel suo genere e capace di operare una sorta di slittamento nell’essere umano proprio in virtù del suo potere di contaminazione. Secondo l’analisi zooantropologica l’evento relazionale con l’alterità animale rappresenta una vera e propria emergenza e, proprio per questo, merita di essere valorizzato in virtù del suo potere applicativo. Essendo un fattore emergenziale la produttività relazionale può essere applicata o trovare applicazione nelle diverse situazioni ove l’uomo desidera trascendere il suo stato attuale. Con il termine di emergenza si intende infatti un evento capace di mettere in campo e di portare in superficie contenuti/qualità non impliciti o inerenti nei due elementi di congiunzione. Nel caso specifico parlare di emergenza significa che nell’incontro dialogico scaturiscono qualità e contenuti non presenti prima della relazione, ma riferibili alla relazione stessa. Pertanto la zooantropologia non studia l’interazione tra uomo e animale considerando questi entità disgiunte e non contaminanti tra loro, ma ricerca prima di tutto la scintilla che scocca quando queste due polarità vengono poste in interazione. Secondo la zooantropologia il rapporto uomo-animale è un rapporto di soglia ossia un evento di confronto che sviluppa tutte le fasi della costruzione identitaria e dell’ospitalità, intesa quest’ultima come momento di accoglienza (ospitare qualcuno) e momento di peregrinaggio (farsi ospitare). Un rapporto di soglia è caratterizzato cioè da un processo di decentramento che mette in relazione il soggetto con l’alterità costruendo da una parte una migliore consapevolezza identitaria (il luogo dove posso ospitare) dall’altra una maggiore apertura al mondo (la voglia di intraprendere il viaggio conoscitivo). Questo perché la relazione si realizza con un ente (l’animale) che si pone come una soglia (un luogo di passaggio) tra il conosciuto (l’immedesimazione) e l’incognito (il decentramento) dove la relazione-confronto è già di per sé un evento produttivo da valorizzare e da utilizzare. In questo senso un altro fondamento della zooantropologia - da cui discende l’applicabilità dell’indagine zooantropologica ovvero l’operatività di una zooantropologia applicata - si basa sull’assunzione di una produttività riferibile alla relazione, una produttività esito della relazione, implicita e dimensionabile nei processi di interazione uomo-animale. Vale a dire che secondo l’impostazione zooantropologica nel rapporto uomo-animale accanto ad altri contenuti di produttività - per esempio lo sfruttamento reificatorio, performativo, medianico o simbolico dell’animale - esiste una produttività legata o riconducibile alla relazione. La relazione non è fine a se stessa ma dà un prodotto: in altre parole possiamo dire che quando si esamina il prodotto offerto da un animale dobbiamo considerare sia una produzione performativa (per esempio il cane che fa la guardia, ma altresì il cane da compagnia) sia una produzione relazionale. La zooantropologia è interessata a questa produttività, che non scaturisce dall’animale in quanto tale (per questo la “compagnia” può essere equivalente alla “guardia”, essere cioè una performance dell’animale che la persona utilizza) ma dalla relazione nelle sue variabili dialogiche ossia dal modo di relazione. Per questo in zooantropologia ci si riferisce all’animale come partner di un processo produttivo non come strumento-mezzo-oggetto di un utilizzo. L’animale assume il ruolo di partner e, in quanto tale, si valutano i fattori e le variabili di partnership, le si manipola in vista della profondità relazionale proprio qualora e allorché s’intenda portare a eccellenza i contenuti che si desiderano far scaturire. L’animale è un partner proprio perché non è umano, perché è portatore di caratteristiche che in qualche modo decentrano nel porsi come esemplificazione di un altro modo di esistere o come elemento di problematicità e scacco alle nostre proiezioni o intuizioni. Il presupposto che legge l’interazione con l’animale come evento di soglia rende conseguente l’importanza di valorizzare l’animale proprio in quanto diverso, uscendo quindi dai modelli antropomorfici o reificatori. Parimenti diviene essenziale sottolineare - ovvero rendere possibile, dare opportunità di manifestazione, costruire contesti di sinergia, enfatizzare l’espressione delle caratteristiche attitudinali dell’animale nei processi di partnership. La visione di produttività relazionale, attribuita dalla zooantropologia all’interazione uomo-animale, consegna quindi all’animale un ruolo antropologico, una referenza specifica non surrogabile, sancendo il bisogno dell’uomo di costruire ponti di referenza con l’alterità animale per dare compimento ai predicati stessi del suo essere umano. In altre parole secondo la zooantropologia il rapporto con l’animale è fondativo per l’uomo e pertanto deve essere posto nelle migliori condizioni per poter far scaturire i propri contenuti. Il concetto di “referenza animale” sta alla base della zooantropologia, in un certo senso è il suo concetto portante, punto di confluenza della ricerca teorica, fondamento della progettualità applicativa. Per referenza animale si intende il complesso di contenuti che scaturiscono dalla relazione o dal fare riferimento all’animale come alterità. Questi contenuti o valenze relazionali sono i mattoni con cui si costruiscono i diversi progetti di zooantropologia applicata. Questi ultimi si basano, per l’appunto, sulla capacità di rendere disponibili e utilizzare al meglio i contenuti referenziali propri della relazione uomo-animale. L’analisi della referenza animale e la chiarezza sul ruolo referenziale dell’alterità animale è il punto critico che contraddistingue l’approccio zooantropologico, il carattere distintivo e di svolta apportato dalla zooantropologia. Vi è una differenza immediata e facilmente riconoscibile tra chi ha fatto propri i dettati della zooantropologia e individua il proprio focus sulla referenza animale e coloro i quali impostano ancora il loro modello di ricerca sull’animale come stimolo (tipico dell’approccio psicologico ed etologico) o sull’animale come medium (tipico dell’approccio antropologico o pedagogico). Questo perché al di fuori di una concezione intersoggettiva e di soglia inevitabilmente si cade o nella trasformazione antinomica dell’animale: a) come oggetto-strumento-stimolo capace di consentire un particolare processo attraverso la sollecitazione, l’elicitazione o la prestazione; oppure b) come prodotto della proiezione simbolica o identificativa realizzata dall’uomo e quindi svuotato di una reale presenza nel processo. Per la zooantropologia è errato individuare nell’animale il focus di utilizzo ed è altrettanto sbagliato considerare la relazione con l’animale sulle coordinate antropomorfiche o reificatorie. La zooantropologia applicata pertanto utilizza i contenuti referenziali che scaturiscono dalla relazione in quanto evento di soglia e non già l’animale in quanto tale - come oggetto, strumento, performer, medium, simbolo - e per questo l’impostazione zooantropologica nei diversi progetti applicativi - che riguardano per esempio: la consulenza, la pet therapy, la didattica - dà una connotazione molto differente rispetto al semplice utilizzo dell’animale. Non si parla di utilizzo dell’animale ma soprattutto non si interpreta la relazione con l’animale come surrogazione di altre relazioni: quest’ultima visione dà per implicito che l’uomo abbia bisogno solo di se stesso per realizzarsi e che di conseguenza l’animale possa proporsi nell’evento dialogico solo come elemento che sta per qualcos’altro. Vi è pertanto una profonda differenza tra l’impostazione classica (nelle due versioni: 1) reattiva = animale come stimolo; 2) surrogatoria = animale al posto di un altro essere umano) e la visione zooantropologica che ammette viceversa un bisogno specifico riferito alla relazione con l’animale e che assegna a quest’ultimo un ruolo referenziale. La zooantropologia quindi ha come focus di interesse la relazione uomo-animale e i contenuti di tale interazione, valutando: a) gli aspetti generali della referenza animale, come rapporto di soglia e b) gli aspetti specifici riferibili alla tipologia di relazione che si va a implementare. Ecco allora che diviene comprensibile un altro fondamento della zooantropologia: parliamo di dimensioni di relazione e non di relazione in modo aspecifico. L’analisi dimensionale è centrale nella ricerca teorica sulle diverse variabili di relazione, ma diviene ancor più pregnante nelle attività di zooantropologia applicata: in questi progetti non si propone infatti una relazione in modo aspecifico ma una matrice relazionale, capace di sviluppare contenuti particolari e ben definiti. L’idea che la relazione uomo-animale, proprio perché dotata di una referenzialità, sia dimensionale apre la strada a un nuovo continente di ricerca, per larghi tratti inesplorato. Le diverse dimensioni infatti declinano in modo unico e peculiare il rapporto di soglia, creano cioè contesti di confronto e processi di decentramento assai differenti, in grado cioè di sviluppare contenuti referenziali diversi. Vi è infatti una profonda differenza tra una relazione ludica e una di tipo affettivo, tra una relazione di cura e una di attaccamento, e le differenze riguardano proprio quali contenuti referenziali vengono declinati nel rapporto di soglia. La valutazione dimensionale è peraltro il frutto della specifica focalizzazione sulla relazione che caratterizza la zooantropologia. Ma questo significa che in zooantropologia ci si interroga e ci si preoccupa prima di tutto dell’orizzonte dimensionale della relazione, vale a dire di tarare nel modo giusto la matrice relazionale a seconda dei bisogni del fruitore di relazione. Non c’è più solo il corretto modo di rapportarsi con un cane o con un gatto - prerequisiti questi, ma non il focus di interesse della zooantropologia - vi è la definizione di un contesto dimensionale opportuno per quell’evento relazionale. Quando faccio pet therapy non devo infatti preoccuparmi solo se la persona sta approcciando in modo corretto quell’animale. Devo prima di tutto chiedermi se il tipo di relazione, la dimensione di relazione, che sto attivando sviluppa dei contenuti positivi o negativi per quel particolare utente. Le dimensioni non sono tutte uguali anzi, operano decentramenti del tutto differenti: il che significa che elicitano sensazioni, operano contagi, creano situazioni di scacco molto caratteristiche. Alcuni di questi processi sono in linea con gli obiettivi che mi pongo, altri vanno assolutamente nella direzione opposta. In definitiva possiamo dire che ogni dimensione ha dei contenuti referenziali specifici - perché permette e sviluppa processi di soglia differenti cosicché è assolutamente indispensabile individuare le caratteristiche delle diverse dimensioni relazionali e non semplicemente le qualità dell’animale posto in relazione. Pertanto quando si costruisce un progetto di zooantropologia applicata prima di tutto ci si interroga sulle dimensioni relazionali che si intendono attivare a fronte dei bisogni espressi dalla contingenza del fruitore, sia esso un paziente di attività assistite da animali o una classe in un progetto di didattica. La zooantropologia applicata ha pertanto un compito molto delicato che possiamo riassumere nel modo seguente: dimensionare al meglio il modo relazionale attraverso l’esplicitazione delle attività e del contesto di interazione. Dimensionare al meglio significa cose differenti a seconda del tipo di rapporto con cui dobbiamo confrontarci cosicché in zooantropologia applicata dividiamo i progetti relazionali in situazioni di: 1) pet relationship, ove uomo e animale si incontrano al di fuori di un processo di affiliazione (proprietà) e in situazioni/progetti specifici come in zooantropologia didattica o in pet therapy in cui si devono implementare solo alcune dimensioni relazionali; 2) pet ownership, ossia il rapporto con l’animale di proprietà e affiliazione, ove la relazione diviene un progetto di vita in comune e pertanto si devono bilanciare le diverse componenti di relazione ossia creare un equilibrio tra le diverse dimensioni; 3) pet partnership, ove uomo e animale lavorano insieme - come nel rapporto tra operatore di zooantropologia applicata e il suo animale - e pertanto vi deve essere un accordo totale o di partnership dove la relazione diviene integrazione e i due si rappresentano come un’unica entità. Dimensionare al meglio significa pertanto a) nella pet relationship: individuare le dimensioni coerenti con l’obiettivo di progetto e le attività adeguate per implementarle; b) nella pet ownership: bilanciare le diverse componenti e costruire un equilibrio relazionale; c) nella pet partnership: costruire un percorso di integrazione e di accordo performativo. L’analisi dimensionale è pertanto il problema della zooantropologia applicata, tenendo conto che dimensioni differenti danno prodotti relazionali differenti ossia implicano valenze referenziali diverse che si rendono disponibili all’applicazione. Pertanto in zooantropologia applicata non solo si mettono in concreto le acquisizioni dell’indagine teorica ma si applica nel modo corretto la produttività relazionale, esattamente come in zootecnia si applica la produttività performativa. La differenza è che in zooantropologia il prodotto non deriva dall’animale, ma dal modo relazionale. Come abbiamo detto, una disciplina si giustifica a fronte di una precisa impostazione epistemologica, vale a dire di un’organizzazione del sapere che si basa su fondamenti, metodologie, obiettivi di conoscenza. Questi fondamenti sono il frutto di una ricerca specifica di ordine descrittivo - analizzare e denotare le caratteristiche della relazione uomo-animale e della referenza animale - e di ordine esplicativo - cercare di comprendere le cause e i moventi della relazione uomo-animale e del suo valore referenziale - al fine di individuare un impianto teorico coerente e scientificamente fondato, vale a dire sottoposto ai criteri generali di controllo e validazione. Pertanto la zooantropologia non solo ha dei presupposti di base, dei fondamenti, che la differenziano da altre tipologie di ricerca sul rapporto uomo-animale, ma altresì ha un metodo differente e degli obiettivi assolutamente innovativi sia nell’ambito della ricerca (zooantropologia teorica) sia nell’ambito dei progetti operativi (zooantropologia applicata). Per quanto concerne il metodo di studio possiamo dire che in zooantropologia l’animale non viene considerato semplicemente uno stimolo che elicita una risposta nell’uomo, pertanto si valutano: a) i processi affiliativi, ovvero come uomo e animale costruiscono processi simpatetici, di immedesimazione, di legame; b) i processi dialogici o di confronto, vale a dire come avviene il processo di decentramento, come si realizzano le situazioni di scacco e le definizioni identitarie; c) i processi di contaminazione o di passaggio, ovvero gli eventi emergenziali che modificano lo stato o l’assetto dell’uomo attraverso relazioni di soglia; d) i processi di ibridazione ossia come si costruisce l’evento integrativo, la costruzione di una nuova entità che riassume o contiene i due interlocutori. Inoltre in zooantropologia non si dà una prevalenza alla proiezione umana ossia alla trasformazione o rivisitazione dell’animale, ma al dialogo con l’animale, nelle sue caratteristiche ispirative e di scacco proprio rispetto ai processi proiettivi. Infine essendo un momento dialogico interpretato - i due interlocutori sono attori ovvero hanno una parte attiva e situata nel processo di interscambio l’evento relazionale non è chiuso in un orizzonte deterministico ma realizza processi imprevedibili ed emergenziali che vanno valutati come tendenze più che come esiti inevitabili. La zooantropologia pertanto è interessata a indagare le opportunità relazionali o referenziali come un processo aperto e in divenire, esattamente come può essere la produzione tecnologica. In zooantropologia si cercano continuamente nuovi ambiti referenziali e nuove occasioni applicative dei contenuti referenziali stessi, migliorando l’interscambio tra uomo e animale. CARTA DI REGGIO EMILIA SU OBBLIGHI UMANI E INTERESSI DEGLI ANIMALI Articolo 1 CARATTERISTICHE DEGLI ANIMALI Gli animali non sono cose, bensì esseri senzienti, vale a dire capaci di soffrire, provare soddisfazione o frustrazione, nonché avere emozioni quali gioia o paura - naturalmente in relazione alle diverse caratteristiche di specie - pertanto l’uomo deve tenere conto di queste qualità intrinseche ogni volta che si relaziona con un animale. L’animale è capace di comunicare all’uomo sentimenti ed emozioni , pertanto la relazione con gli animali dev’essere considerata prima di tutto un valore. Articolo 2 BENESSERE ANIMALE E BISOGNI Il benessere di un animale è commisurato alle caratteristiche fisiologiche e comportamentali di specie e razza, pertanto non è possibile valutarlo e/o promuoverlo in modo intuitivo o proiettivo, ma è necessario conoscerne le caratteristiche nei termini sopra specificati e adeguare le azioni ai rispettivi bisogni. Articolo 3 L’ANIMALE COME PAZIENTE MORALE L’animale è quindi un’ alterità, vale a dire un’entità degna della nostra considerazione etica ma al tempo stesso profondamente diversa dall’essere umano, pertanto per promuoverne il rispetto è necessario partire da una prospettiva di tipo biocentrico ossia riconoscere interessi diversi. Articolo 4 IL VALORE DELLA RELAZIONE CON L’ANIMALE Il rapporto con l’ animale rappresenta uno dei più importanti stimoli formativi, espressivi e assistenziali per l’uomo cosicché si riconosce un valore di relazione ossia una referenza animale specifica e non sostituibile che va conosciuta, promossa, tutelata e indirizzata attraverso progetti di zooantropologia applicata, in didattica come in pet therapy, onde farne emergere il valore. Articolo 5 IL PROCESSO DI DOMESTICAZIONE COME PATRIMONIO DELL’ UMANITA’ Gli animali domestici hanno accompagnato l’uomo nel suo cammino di civiltà, pertanto il processo di domesticazione deve essere considerato patrimonio dell’umanità e parimenti il rapporto con tali animali deve essere improntato sul concetto di collaborazione. Questo significa altresì che l’uomo deve riconoscere un debito storico verso gli animali domestici da tradursi in termini di responsabilità. Articolo 6 RELAZIONE CON L’ANIMALE E QUALITA’ DELLA VITA La relazione con l’animale d’affezione ha un’importanza fondamentale nella promozione della qualità della vita, nell’assistenza delle persone anziane e nella formazione dei ragazzi; l’animale d’affezione ci aiuta a esprimere la parte migliore di noi e ci sostiene nei momenti difficili attraverso quell’autenticità e disponibilità affettiva e relazionale che sa donare senza riserve. Articolo 7 LA SOFFERENZA DEGLI ANIMALI Il benessere di un animale non si ottiene esclusivamente e semplicemente valutando i parametri di spazio, ma facendo attenzione alle specifiche motivazioni e attitudini dell’animale, ai suoi bisogni sociali e relazionali, alle sue necessità formative e cognitive, alle sue peculiarità percettive, espressive, performative e comunicative. Non tener conto della capacità dell’animale di sentire il dolore, mettere in atto azioni lesive o provocargli un danno fisico, sottoporlo a stimoli avversivi capaci di provocare paura o angoscia, mantenerlo reiteratamente in uno stato di costrizione significa provocare sofferenza all’animale. Non tener conto delle sue caratteristiche fisiologiche e comportamentali significa sottoporre l’animale a uno stato di frustrazione che inibisce il suo stato di benessere. Articolo 8 LA RESPONSABILITA’ DELL’ADOZIONE DI UN ANIMALE Adottare un animale domestico significa assumersi una precisa responsabilità di custodia da tradursi in specifici obblighi di cura, accudimento, protezione, soddisfazione dei bisogni di benessere; tale responsabilità coinvolge non solo il soggetto in quanto tale ma altresì gli eventuali cuccioli che egli dovesse generare. L’adozione è per sempre: chi intende adottare un animale deve prima di tutto commisurare le proprie disponibilità con le esigenze dell’animale in termini fisiologici e comportamentali, facendosi sempre consigliare da un esperto prima di prendere la decisione finale. Articolo 9 IMMORALITA’ DELL’ABBANDONO DI UN ANIMALE Abbandonare un animale adottato è un atto immorale e lesivo di tutta la comunità umana, pertanto deve essere perseguito con il massimo rigore al fine di scoraggiarne il verificarsi e intervenire su tutta la filiera dell’abbandono nonché sui costi che esso implica. Chi possiede un animale ne è responsabile anche nei termini della gestione, conduzione e custodia, evitando di arrecare danni o fastidi al prossimo umano o animale a causa della sua negligenza, incapacità o addirittura volontà in tal senso. Articolo 10 CARATTERISTICHE DEL RAPPORTO UOMO ANIMALE Il rapporto con gli animali deve essere equilibrato e rispettoso; la convivenza tra uomo e animale deve essere improntata sul senso civico e sulla tolleranza, mantenendo atteggiamenti di moderazione improntati sulla conoscenza scientifica delle esigenze animali e degli equilibri ecologici del contesto antropico. Articolo 11 UOMINI E ANIMALI IN CITTA’ Gli animali selvatici e sinantropici devono essere tutelati favorendo un buon equilibrio ecologico nelle città, aumentando gli spazi verdi e la cura della vegetazione, inibendo atteggiamenti di degrado e inquinamento, vigilando su ogni forma di maltrattamento o rilascio di sostanze che potrebbero compromettere la salute degli stessi, vigilando sull’evoluzione delle popolazioni e sugli andamenti epidemiologici. Articolo 12 LA PROMOZIONE DI UNA CORRETTA RELAZIONE CON L’ANIMALE Le amministrazioni locali devono promuovere un adeguato connettivo zooantropologico all’interno delle città attraverso corsi di formazione sul corretto rapporto con l’animale, convegni e incontri pubblici, tavoli tecnici tra i diversi attori sociali, sviluppando materiale informativo per la cittadinanza, attivando un’efficace sorveglianza sui maltrattamenti, favorendo progetti educativi da attivare all’interno delle scuole, organizzando corsi di formazione per il volontariato zoofilo, facendosi parte diligente per la realizzazione di specifici tavoli tecnici, favorendo lo sviluppo di progetti di pet therapy e l’adozione responsabile di animali. IL VALORE DELLA RELAZIONE CON L’ANIMALE DI ROBERTO MARCHESINI Il rapporto uomo-animale ha vissuto negli ultimi trent'anni una profonda modificazione, riconducibile a un variegato spettro di fenomeni socio-culturali, che da una parte hanno allontanato l’uomo dalla consuetudine con il mondo animale, dall’altra hanno sottoposto tale relazione a una rivisitazione globale. Con l’affermarsi della cultura urbana, a partire dal secondo dopoguerra, si è perduta la frequentazione concreta e continua con l’animale, in altre parole quella familiarità con le specie domestiche che ha caratterizzato la storia dell’uomo. Di colpo l’incontro con l’animale viene ad assumere connotati di vera e propria straordinarietà: a partire dagli anni Sessanta il filo della relazione si mantiene solo con il cane e il gatto, ma in un ambito che ha ben poco del naturale. Di conseguenza si assiste alla progressiva sedimentazione di una visione iconica – ossia mediata da stereotipi culturali – dell’animale stesso, una prospettiva che ne misconosce le caratteristiche più pregnanti. In altre parole, l’allontanamento dal contesto rurale ha messo una seria ipoteca sulle possibilità dell’uomo di sperimentare e conoscere la natura e i tratti della diversità animale, a partire dalle peculiarità proprie di ciascuna specie. Si è cominciato perciò a interpretare l’animale attraverso modelli proiettivi, ovvero prescindendo dalla reale conoscenza del carattere di speciespecificità: talvolta antropomorfizzandolo, vale a dire ritenendolo assimilabile in tutto e per tutto all’uomo e alle sue categorie comportamentali, oppure, viceversa, reificandolo ossia trasformandolo in un feticcio a cui applicare i modelli consumistici, esattamente come se si trattasse di un oggetto o una macchina. Di concerto, soprattutto a partire dalla metà degli anni Settanta, ha preso vita una nuova cultura tesa ad affermare l’importanza del rispetto di alcune esigenze fondamentali dell’animale, come la libertà dalla fame e dal dolore. Paradossalmente, mentre si avvertiva l’esigenza di tutelare il benessere animale, erano venuti meno i principi guida per assicurare in modo concreto uno stato di welfare alle altre specie. Non vi è dubbio che solo la conoscenza delle caratteristiche di specie-specificità possa informare le prassi corrette volte al benessere di un animale: infatti non basta voler bene agli animali per ottenere effettivamente il loro bene. E tuttavia, a partire dagli anni Ottanta, complice per l’appunto la straordinarietà dell’esperienza urbana con l’animale, si assiste al vertiginoso fenomeno della “pet ownership”. Con tale denominazione, di matrice anglosassone, si intende una situazione di proprietà dai forti contenuti di affiliazione familiare applicata all’animale da compagnia. L’incremento di cani, gatti e altri piccoli pet nelle case degli italiani e la situazione di stretta convivenza che si verifica nel contesto metropolitano – intorno alla metà degli anni Novanta una famiglia su due arriva a possedere un animale d’affezione – pone l’urgenza di una conoscenza adeguata del comportamento specie-specifico e del modo corretto di interazione. L’acquisizione di una preparazione di base si rende indispensabile per una serie di ragioni: 1) assicurare il benessere degli animali ospitati, evitare i maltrattamenti e prevenire alterazioni comportamentali negli animali; 2) prevenire gli incidenti con animali, soprattutto con i cani, dando informazioni adeguate su come ci si deve comportare con questi animali; 3) prevenire il malcostume dell’abbandono degli animali, fenomeno che si ritiene comunque riconducibile a un basso livello di consapevolezza nell’adozione e nella gestione della proprietà. Nasce così l’esigenza di istituire progetti educativi che si pongano come obiettivo quello di accrescere la conoscenza delle caratteristiche generali degli animali e, in particolare, di quelle specie d’affezione sempre più presenti nel tessuto urbano. Questi progetti didattici dapprima vengono sviluppati soprattutto sugli aspetti igienico-sanitari – la gestione della proprietà e della salute, la prevenzione delle malattie trasmissibili – per poi assumere un più significativo taglio etologico, e rispondere al bisogno di informazioni pratiche sul corretto modo di approcciare gli animali e di costruire la relazione di pet ownership. Di concerto un altro fenomeno, emerso nell’ultimo ventennio del XX secolo, ha rafforzare in qualche modo l’esigenza di progetti didattici riguardanti l’interazione uomo-animale: la nascita della zooantropologia. Intorno alla metà degli anni Settanta, in molti paesi europei e nordamericani hanno preso avvio specifiche esperienze di interazione uomo-animale applicate al recupero di ragazzi che presentavano difficoltà di tipo didattico o semplicemente di integrazione all’interno del gruppo classe o più in generale di adattamento socio-ambientale. Queste ricerche fanno capo a due esperienze pilota realizzate negli Stati Uniti d’America che hanno modificato per sempre il nostro modo di interpretare la relazione uomo-animale. La prima esperienza è stata condotta dallo psicologo Bernard Ross, che sulla finire degli anni Cinquanta ha avviato una comunità per ragazzi con difficoltà di inserimento sociale basata sul prendersi cura dell’animale come palestra per incrementare processi di attaccamento e responsabilità. La comunità di Bernard Ross, chiamata Green Chimneys, ha dato avvio a una stagione di ricerca sul valore formativo e didattico della relazione con l’animale. La seconda esperienza, avviata all’inizio degli anni Sessanta dallo psichiatra Boris Levinson, ha messo in luce come la semplice presenza di un cane durante le sedute terapeutiche migliorava in modo consistente la relazionalità e la risposta cognitiva di un bambino autistico suo paziente. La scoperta di Levinson in seguito troverà conferme nelle ricerche di molti studiosi – Ange Condoret, i coniugi Corson, Erika Friedmann, solo per citarne alcuni – che nell’insieme hanno dimostrato come l’interazione con l’animale possa avere un ruolo assistenziale, ossia coadiuvante nei processi terapeutici. Levinson battezzò questo fenomeno con il termine “pet therapy”. In breve in molti Paesi prendono avvio progetti di studio sul valore referenziale dell’alterità animale e sulle corrette modalità di interazione capaci di far scaturire tali valenze. Il nuovo modo di considerare la relazione con l’animale – in termini di partnership e non di mero utilizzo – nonché la specifica attenzione verso le valenze referenziali dell’animale giustifica la nascita di un nuovo impianto teorico e metodologico definito zooantropologia. La zooantropologia è pertanto la disciplina che non solo studia le dimensioni della relazione con l’animale, ma altresì il significato referenziale dell’alterità animale, vale a dire il valore espressivo, formativo e assistenziale di tale interazione. Oggi, dopo vent’anni di esperienze e di studi su questo ambito, possiamo disporre di una notevole mole di lavori scientifici che dimostrano l’importanza della relazione con l’animale sia nell’ambito educativo-didattico che in quello assistenziale-terapeutico. Le ricerche condotte dai pionieri della zooantropologia negli anni Settanta dimostrarono come i bambini con difficoltà di apprendimento e di comunicazione, o con disturbi di ordine psicologico o di inserimento sociale vengono aiutati dall’interazione con l’animale. In seguito si è potuto appurare che anche i bambini che apparentemente non dimostrano situazioni di disagio ricevono importanti benefici di ordine sia educativo che didattico all’interno di progetti di interazione con l’animale. Ma a questo punto una riflessione diventa obbligatoria. Con la separazione dell’uomo dagli animali domestici, dovuta al superamento della cultura rurale, è plausibile ipotizzare una carenza effettiva di tale relazione. Di questa deprivazione ne hanno sofferto soprattutto le giovani generazioni che hanno visto diminuire le loro possibilità di avvalersi dei benefici educativi e didattici propri dell’interazione con l’animale. Ecco allora che i progetti di pet relationship, che dalla metà degli anni Ottanta si sono andati profilando anche nel nostro Paese, sempre più hanno fatto riferimento a quel valore di relazione che caratterizza la pet relationship, cercando di individuare le migliore procedure per far emergere quei contenuti referenziali di ordine educativo o assistenziale di cui sembra aver bisogno l’uomo. Senza dubbio sono le categorie più vulnerabili a manifestare in modo eclatante tale bisogno, ma non per questo possiamo ritenere che la pet relationship esprima le proprie plusvalenze solo nell’ambito della pet therapy o della zooantropologia didattica. Riconoscere il valore della relazione con l’animale significa assegnargli uno spazio ben definito, non utilizzare l’animale in modo surrogatorio e questo è il grande merito della zooantropologia, il cui compito è proprio quello di profilare la referenza animale. In altre parole, possiamo dire che con la zooantropologia si ribadisce un concetto – dato per scontato talvolta, misconosciuto il più delle volte – molto importante: vale a dire che l’uomo non è autosufficiente nei suoi processi ontogenetici e che la relazione con l’animale è in grado di far emergere ciò che di meglio c’è in noi. RELAZIONE DI SABRINA TONUTTI: “INTRODUZIONE ALLA ZOOANTROPOLOGIA: DALL’ANIMALE COSA ALL’ANIMALE PARTNER” Un nodo gordiano antropologico. Fin dai primordi l’uomo si è dovuto confrontare con altre specie animali che, come lui, abitano questo pianeta e ne condividono le sorti. La presenza accanto a noi umani di altri esseri viventi e animati ha costituito e continua a rappresentare un vero e proprio interrogativo esistenziale vivente che richiama il grande mistero di essere qui e del senso ultimo dell’esistenza. Dal confronto con l’alterità animale e dalle diverse tipologie di interazione e rapporto che gli umani hanno istituito con le altre specie hanno preso l’avvio catene simboliche, universi rappresentativi, sistemi classificatori e modelli più strettamente operativi che rappresentano certamente un nucleo tematico imprescindibile per la comprensione di quel macro fenomeno che è la cultura. Il rapporto fra uomini e animali1 rappresenta un nodo gordiano dell’antropologia culturale: esso si situa nel punto di intersezione fra grandi aree tematiche di interesse antropologico, come il binomio natura-cultura, la rappresentazione del mondo fra uso pratico e uso simbolico, l’elaborazione di griglie interpretative della realtà, e addirittura costituisce parte costitutiva di quello stesso processo di “costruzione” e definizione dell’identità umana (proprio dell’antropologia implicita di ogni gruppo umano) che chiamiamo antropopoiesi (Remotti 2000). La relazione uomo-animale, con i suoi aspetti strutturali e le variabili del rapporto etnograficamente rilevabili sul campo, è uno degli snodi attraverso i quali deve passare l’indagine dell’antropologo. Le ricerche etnografiche. L’antropologia culturale ha riservato attenzione nelle sue speculazioni epistemologiche e ha dato spazio nelle sue ricerche sul campo ora all’intreccio di questi fattori (riflessione sulle polarità oppositive natura/cultura, uomo/animale, domestico/selvatico, ecc.), ora ad alcuni ruoli – e status ricoperti dagli animali in diversi contesti (animali sacrificali, animali da compagnia, animali da reddito, ecc.), ora ai differenti livelli (utilitaristico, simbolico, euristico, ecc.) di fruizione dell’animale da parte dell’uomo. Molti sono gli autori che hanno indagato più o meno ampiamente gli aspetti economici e sociali di questo rapporto, presso società di caccia e raccolta, di pesca, di agricoltori e allevatori: fra questi, ricordiamo Rappaport con la sua ricerca sul ruolo dei maiali presso gli Tsembaga della Nuova Guinea (Rappaport 1980), Evans Pritchard che descrisse i tratti “bovini” della cultura Nuer nell’opera “I Nuer. Un’anarchia ordinata” (Evans Pritchard 1979), e ancora Crocker sul rapporto metaforico fra uomini bororo (Brasile) e arara rossi (Crocker 1975) e Geertz sulla “migrazione della gerarchia di status” sociali attraverso il combattimento di galli a Bali (Geertz 1987: 428). Oltre agli aspetti strettamente utilitaristici del rapporto uomo animale, in tali studi emergono spesso altri fattori – valenze affettive, usi simbolici, ricadute sociali - con i primi interagenti, riferibili a fenomeni quali pratiche sacrificali (in cui l’animale viene caricato di una valenza di mediazione con il sovrannaturale – per il sacrificio cfr. Cartry 1991, Girard 1980, Grottanelli 1988), codici comportamentali e rituali di caccia (pre e post venatori, connessi soprattutto alla denegazione dell’uccisione, cfr. Lanternari 1976, Tonutti 1999a), ricorrenza di proibizioni (come i tabù alimentari, cfr. Harris 1992, Simoons 1991, Douglas 1993), ecc.. Questo intreccio di fattori è quantomai evidente se riferito allo sfaccettato fenomeno della domesticazione, intesa sia come processo, indagabile nel suo percorso diacronico, sia come macrocategoria, o sistema a più livelli (appropriazione dell’animale, familiarizzazione, utilizzazione, cfr. Tonutti 1999b), che include tanto lo sfruttamento dell’animale come risorsa e materia manipolabile, quanto la sua elezione a “compagno” dell’uomo, e questo non solo nelle società occidentali, ma pure presso culture tradizionali (Serpell 1996). In Tristi tropici, l’antropologo francese Claude Lévi-Strauss ha dedicato una breve ma affascinante chiosa alla presenza di animali all’interno della comunità Nambikwara, popolazione di cacciatori raccoglitori nomadi del Mato Grosso, Amazzonia (Lévi-Strauss 1970 e 1999: 269). Presso i Nambikwara, infatti, gli animali domestici “vivono con loro in grande intimità e sono anch’essi trattati come bambini: partecipano ai pasti, ricevono le stesse espressioni di tenerezza e di interesse – spidocchiamento, giuochi, conversazioni e carezze – come gli esseri umani. I Nambikwara hanno molti animali domestici: cani anzitutto, poi galli e galline (…), scimmie, pappagalli, uccelli di specie diverse e, all’occasione, porci e gatti selvatici o coati. Solo il cane sembra avere un ruolo utilitario presso le donne, per la caccia col bastone (…). Gli altri animali vengono allevati per passatempo. Non si mangiano, né si consumano le uova delle galline, le quali del resto le depongono nella boscaglia. (…). In viaggio, fatta eccezione per gli animali capaci di camminare, tutto il serraglio viene trasportato insieme ai bagagli. Le scimmie, aggrappate ai capelli delle donne, le incappucciano di un grazioso casco vivente prolungato dalla coda attorcigliata attorno al collo della portatrice. I pappagalli e le galline si appollaiano in cima alle 1 L’espressione “rapporto uomo/ini-animale/i” è impropria e rimanda a una distinzione categoriale che meriterebbe di essere criticizzata alla luce dei retaggi filogenetici. Essa è qui utilizzata come tale per motivi di sintesi esplicativa, ma gerle, altri animali sono tenuti in braccio. Nessuno riceve un abbondante nutrimento ma anche nei giorni di scarsezza ciascuno ha la sua razione. In cambio, sono motivo di distrazione e di divertimento per il gruppo”. Come dicevamo in apertura, l’animale, oltre a poter rappresentare una risorsa economica, o una presenza affettiva, è un’alterità con cui l’uomo deve necessariamente confrontarsi, ora tramite la ricognizione delle differenze, ora attraverso il potere empatico dell’analogia. In ogni caso, l’animale si rivela una presenza evocatrice, fonte di elaborazioni simboliche, segno polisemico, simbolo che anima l’immaginario collettivo umano. Nel ricco universo simbolico generato dall’alterità animale, per spiegare il “mistero” degli animali l’uomo è spesso ricorso alle categorie del sacro, del sovrannaturale, del divino e, viceversa, l’animale è stato veicolo di espressione di tali categorie. Gli animali sono spesso stati interpretati come manifestazione della divinità, come ierofanie naturali, e in molte religioni troviamo divinità sia interamente zoomorfe (si pensi alla dea-gatta Bastet degli Egizi) che antropomorfe e zoomorfe assieme (sempre nell’antico Egitto, la dea Hathor, raffigurata ora in aspetto di vacca, ora in forma umana, ma con corna bovine sul capo), o, ancora, animali come attributi di figure religiose (si vedano, per esempio, San Rocco e il cane, Sant’Antonio e il maiale). In altri casi ancora, gli animali, oltre a essere luogo di manifestazione del sacro, divengono, agli occhi dell’uomo, messaggeri dell’aldilà, entità depositarie di un prezioso sapere sul futuro, sapere altrimenti precluso alla conoscenza umana. Ricordiamo, a questo proposito, che fra le pratiche accreditate nell’antichità per divinare il futuro, c’era l’oionistica, o ornitomanzia, cioè l’interpretazione del volo e del canto degli uccelli. A Roma si ricorreva agli auguria, cioè alle divinazioni basate sull’interpretazione del comportamento degli uccelli (direzione del volo, verso, modo di mangiare, scelta di alberi e rami per la sosta, tutte chiavi di interpretazione dei messaggi degli dei) per ottenere gli auspici2, prima di ogni evento pubblico (Marchesini e Tonutti 2000). Nella prima scena, secondo atto dell’Asinaria di Plauto (Le commedie di M. Accio Plauto 1847), queste sono le parole che rimandano alla tecnica zoomantica di cui sopra: “E’ fatta già la grazia: son presi già gli auguri: m’invitano gli uccelli da per tutto. Il picchio e la cornacchia l’ho a dovremmo sempre chiederci di quali uomini e di quali animali parliamo. La parole deriva significativamente da avis, uccello, e specio, osservo. 2 sinistra, ed ecco il corvo a destra; tutti e tre son d’accordo a darmi insieme la pinta. Risolvo di seguir il voler vostro”. Gli animali sono quindi sono depositari di un sapere che altrimenti rimarrebbe sconosciuto agli uomini e attraverso l’osservazione del loro comportamento e delle loro azioni contingenti è addirittura possibile intuire le trame di una realtà altra: il futuro imperscrutabile. Ma se, in questo caso, le antiche tecniche divinatorie, e il sistema di significati che ne sta alla base, ci parlano di un sapere ottenuto attraverso gli animali (osservati, decodificati, letti, in quanto segni di un cosmo semiotizzato), in altri contesti culturali rinveniamo la memoria di un sapere diverso, che deriva da una intima e ancestrale comunione di uomini e animali, un sapere, che, come sottolineano alcune popolazioni tradizionali, la cultura occidentale ha perduto per sempre. Un sapere quindi condiviso, nato dal connubio fra uomo e animale, così come era all’origine, un sapere non scevro da sentimento, da empatia, da un comune sentire, ma non per questo meno concreto. Un sapere, come lo definisce Lévi-Strauss, “disinteressato e sollecito, affettuoso e tenero” (Lévi-Strauss 2003: 50-51), così come emerge dalla testimonianza raccolta da D. Jenness presso gli Indiani Carrier del fiume Bulkley: “Noi sappiamo ciò che fanno gli animali, quali siano i bisogni del castoro, dell’orso, del salmone e delle altre creature, perché una volta gli uomini si sposavano con loro e quindi hanno ricevuto questo sapere dalle loro spose animali … i bianchi hanno vissuto poco in questo paese e non sanno un gran che degli animali; noi invece siamo qui da migliaia d’anni e da molto tempo gli stessi animali ci hanno istruito. I bianchi segnano tutto in un libro per non dimenticare, ma i nostri avi hanno sposato gli animali, hanno imparato tutte le loro usanze e hanno tramandato queste conoscenze di generazione in generazione”. Questo sapere condiviso, intriso di empatia, nato dal connubio ancestrale fra uomini e animali, ci rimanda, come emerge dal passo citato, a quella forma di comunione spirituale fra uomini e animali che è stata descritta come totemismo: presso alcune popolazioni australiane e nordamericane alcuni studiosi, a cavallo fra Ottocento e Novecento, hanno rinvenuto una forma di relazione mistica e parentale fra gruppi sociali e talune specie animali, i cui individui sono riconosciuti come parenti, antenati degli umani e capostipiti dei raggruppamenti umani, sullo sfondo di un apparato di riti e miti che esalta e reitera la nostalgia per un passato mitico in cui non esisteva ancora la drammatica frattura fra uomini e altri animali (si veda, per esempio, Durkheim 1971). Antropologi e animali. Gli studi antropologici in generale e i resoconti di alcune ricerche etnografiche in particolare ci regalano pagine interessanti – e, in taluni casi, pregne del fascino dell’ “osservazione partecipante” della ricerca sul campo – in cui vengono descritti e analizzati ora i comportamenti agiti, ora gli usi cognitivi e simbolici, ora valenze sociali riferiti agli animali con cui i gruppi umani osservati entrano in relazione. Ma, a questo proposito, si rendono necessarie due precisazioni. Innanzitutto, a fronte di una presenza dell’animale nella vita pratica e nell’immaginario dell’uomo così determinante ed estesa, presso tutte le culture, da imporre una qualche riflessione sulle sue valenze e sul suo ruolo in relazione alla cultura specifica di ciascun gruppo, il silenzio sotto il quale tale fenomeno e le tipologie di rapporto uomo-animale passano, in molte monografie, è tanto grave da rendere lacunosa la comprensione dello stesso contesto culturale studiato. Pare spesso manifestarsi, con certi antropologi, una certa miopia nei confronti della presenza di animali accanto agli uomini e verso la ricchezza di valenze dei vari tipi di rapporto che intercorrono fra di essi. Inoltre, ci pare di poter rilevare, in questa tradizione di studi, una malcelata tendenza a osservare e descrivere gli animali accanto agli uomini alla stregua di oggetti, di res, di materia animata sulla quale ricadono lo sguardo, le azioni, le fruizioni simboliche umane. Al contrario, gli animali non possono essere in alcun modo assimilati alla categoria degli oggetti, neppure quando la relazione che lega loro gli uomini è di tipo utilitaristico: l’animale infatti rappresenta l’altro “attore sociale” di una relazione, di un dialogo interspecifico, di una comunicazione che avviene nei due sensi. Qualora l’animale venga osservato – e ancor prima che osservato, pensato – come mero “oggetto” di usi pratici e simbolici umani, allora il contesto di relazioni a cui abbiamo appena accennato risulta falsato, parte della relazione rimane muta, la comprensione del contesto di osservazione si presenta parziale. Ai fini di una corretta e completa – e pertanto fedele – comprensione non solo della relazione uomo-animale, ma delle stesse manifestazioni di cultura umana che sono oggetto di indagine, è necessario a nostro avviso arginare la tendenza a trasformare l’analisi della cultura in una “stanza degli specchi” dell’uomo, in cui l’animale, se presente, rappresenta soltanto uno dei modi e dei luoghi in cui l’uomo manifesta, in modo autoriferito, parte di sé. E’ necessario, in sintesi, evitare la dicotomizzazione fra soggetto e oggetto di relazione, e restituire all’animale le sue valenze di interlocutore, che non solo subisce le azioni e le relazioni umane, ma che è parte attiva, come essere vivente, come animale-non umano, delle relazioni che variamente, nelle diverse culture e nelle differenti situazioni, hanno luogo. Etologia: le culture animali. La disciplina in cui invece l’animale riacquista la soggettività, ed è oggetto centrale di osservazione a analisi è l’etologia. Questa disciplina, e, al suo interno, soprattutto alcune ricerche recenti, restituiscono all’animale la sua soggettività, dimostrando in modo schiacciante che l’animale, lungi dall’essere un oggetto, privo di emozioni, intelligenza, autoconsapevolezza, ecc., è soggetto di una vita, di un modo peculiare di stare al mondo. Soprattutto la primatologia, cioè lo studio degli animali a noi più vicini filogeneticamente, le antropomorfe, dimostra che l’animale è portatore di un attributo che gli uomini si sono da sempre arrogati come dominio esclusivo: la cultura3. Inoltre, è ormai attestato che, oltre a modelli di comportamento specie-specifici, esistono delle vere e proprie tradizioni che variano da gruppo a gruppo. Esistono cioè invenzioni individuali – come quella di una scimmia, la Macaca fuscata dell’isola di Koshima, di lavare le patate in acqua salata prima di mangiarle – che poi vengono apprese dagli altri componenti del gruppo e tramandate (Mainardi 1974). Leggiamo in un passo scritto dal primatologo Frans De Waal la descrizione di una tradizione presente in una colonia di scimpanzé (De Waal 2002: 198): “gli stessi bonobo avevano sviluppato particolari attività ludiche, come moscacieca e un gioco che ho chiamato “ delle facce buffe”. Nel primo una giovane scimmia si copriva la faccia con un braccio, o gli occhi con le dita, e girava in questo modo in cima a una struttura, a volte quasi perdendo l’equilibrio o inciampando negli oggetti. Era un gioco solitario, ma quando uno dei giovani cominciava, spesso gli altri lo seguivano. I più giovani non avevano il coraggio di farlo fino in fondo e generalmente camminavano coprendosi un occhio solo. L’altro gioco consisteva nel fare facce strane che non facevano sicuramente parte del repertorio tipico della specie, come succhiarsi o masticarsi le guance. Questo gioco lo facevano tutti i giovani. Non si facevano le boccacce l’un l’altro, ma sedevano in cerchio dediti a quest’attività senza alcuna ragione. Siccome non ho mai visto niente del genere tra altri bonobo, né tra gli scimpanzé, ritengo che si tratti di innovazioni uniche della colonia di San Diego”. Un altro esempio eclatante riferito alla presenza di tradizioni all’interno dei comportamenti delle singole specie ci è dato ancora da De Waal, e si riferisce alle differenze regionali rilevate nella selezione delle piante per l’automedicazione - e oggetto di trasmissione culturale – presso gli scimpanzé: è risaputo che le grandi scimmie ricorrono a certe pratiche di automedicazione, ora masticando il nocciolo amaro di alcune piante, ora ingerendo intere foglie di altre, entrambe note per essere benefiche. Tra gli scimpanzé del Gombe e Mahale, per esempio, esiste una comune abitudine riguardante l’ingestione delle foglie di Aspilla: “Prima di consumarle, queste foglie dalla 3 Intesa come insieme di schemi di comportamento acquisiti da altri individui, appresi e tramandati nel gruppo. superficie pelosa e ruvida sono attentamente arrotolate sul palato con la lingua in modo da poter essere inghiottite intere. Poiché non vengono masticate, finiscono nelle feci indigerite. Huffman ha mostrato che esse agiscono come dispositivo meccanico per l’espulsione di parassiti intestinali” (ibidem: 200). Gli animali come specie. Ma, ai fini dell’analisi della relazione uomo-animale, nelle sue caratteristiche generali e nelle sue variabili, è necessario sì fare tesoro delle ricerche etologiche, ma nel contempo compiere un passo in avanti. Va innanzitutto superata la tendenza a considerare gli animali come specie, o tutt’al più come gruppo, a discapito del dato individuale (l’animale come individuo, appunto). Ricordiamo, a questo proposito, ciò che ammoniva agli inizi dell’Ottocento Etienne Geoffroy SaintHilaire, uno dei fondatori dell’anatomia comparata: la natura, dichiarava il naturalista francese, non ha creato che individui. Siamo noi che creiamo le specie, per l’astrazione delle diversità e la combinazione delle somiglianze, combinazione a cui attribuiamo un nome collettivo. Pertanto, se, da un lato l’uso di classificazioni, tassonomie e categorizzazioni di vario tipo (taxa, etnotassonomie, nomi, raggruppamenti) si rende indispensabile per la sistematizzazione della realtà (anche animale) osservata e rappresenta uno strumento di lavoro imprescindibile, d’altro lato tale uso deve configurarsi come regolativo, e non costitutivo (Fabietti 1996: 62): non dobbiamo cioè confondere gli strumenti di classificazione della realtà con una presunta struttura immanente della realtà stessa. Al di là delle parentele filogenetiche, delle appartenenze di specie, del nome loro attribuito, gli animali che osserviamo sono prima di tutto degli individui, e non una personificazione della specie, e come tali vanno osservati, tenendo conto anche del portato individuale. Infine, dobbiamo andar oltre l’etologia per dare spazio allo studio delle relazioni inter specifiche che legano uomini e animali, che sono l’oggetto di indagine della zooantropologia La ricerca zooantropologica. E veniamo quindi alla zooantropologia, una disciplina che mutua molti elementi da discipline come quelle citate, ma che non si limita a essere una somma delle parti. Innanzitutto, rispetto a esse, cambia l’oggetto di ricerca: non più solo l’uomo con le sue elaborazioni culturali, e non più solo l’animale, con i suoi etogrammi, bensì il rapporto fra questi due, la relazione che mette in atto un dialogo che dura, in forme diverse, da migliaia e migliaia di anni. La zooantropologia teorica si occupa sia dell’osservazione e dell’analisi delle tipologie di questo rapporto, che della ricostruzione delle tendenze strutturali che ne sono alla base (Marchesini 2000). La scelta di analizzare la relazione uomo-animale sintetizza alcune importanti svolte, rispetto al panorama interdisciplinare che si occupa di tale tematica: in primo luogo, si osserva l’animale non solo come soggettività, come dicevamo prima, ma anche come individualità, cioè si osserva quel determinato animale in quel contesto specifico, accanto a determinate persone (quindi come partner). In secondo luogo, ci si occupa delle pulsioni che guidano l’uomo verso l’animalità, cioè di quelle tendenze, proprie della nostra specie, che sono all’origine dei nostri comportamenti verso gli animali (tendenze epimeletiche e cure parentali interspecifiche, zootropia, ecc., cfr. Marchesini 2000; Eibl-Eibesfeldt 1980 e 2001)4. Infine, la zooantropologia ha il merito di ricondurre i due “attori sociali” (l’uomo e l’animale) alla fedeltà del contesto di relazioni, di osservare e descrivere due individui (o più individui, ovviamente) che “agendo” la loro relazione non “scrivono” un “trattato sulle specie”, bensì, in un certo senso, una “biografia”, personale e dinamica. E gli strumenti, la nuova prospettiva, l’innovativa scelta di campo forniti dalla ricerca zooantropologica rappresentano il volano di comprensione delle variabili della partnership uomoanimale, un chiave di lettura preziosa della dinamica delle relazioni di cui gli uomini sono parte. Questa scelta di campo ci pone, in un certo senso, nel cuore delle cose stesse, proprio nella misura in cui “gli animali sono una chiave: aprono le porte dell’interesse. Inter esse: situarsi nel mezzo delle cose (e non ai loro margini) (…)”, come scrive Carlo Coccioli. “Se guardo il mondo come lo guardano gli animali, o attraverso essi” dichiara lo scrittore “scopro in ogni evento un’appassionante avventura. Ritrovare motivi di stupore è pertanto frutto d’umiltà: la sua incomparabile grazia” (Coccioli 1977: 88-89). Bibliografia: 4 Ci si riferisce all’esistenza, più in generale, di meccanismi elaboratori di dati e scatenanti innati. Lorenz ritiene che “ (…) i moduli comportamentali di cura della prole e la disposizione d’animo affettiva che un essere umano prova verso un bambino siano scatenati molto probabilmente per via innata da una serie di caratteri particolari del bambino stesso” e cioè i caratteri infantili (testa grossa, forme arrotondate, occhi grandi, ecc.), cfr. Eibl-Eibesfeldt 1980: 534. Cartry, M. 1991, Sacrifice, in Bonte, P.; Izard, M.; Abélès, M. (et al.) 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CAMILLA PAGANI Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione Consiglio Nazionale delle Ricerche Roma IL BAMBINO E L'ANIMALE: SIGNIFICATI FORMATIVI DELLA RELAZIONE CON L'ANIMALE D'AFFEZIONE Il rapporto fra il bambino e l’animale, che per molto tempo era stato analizzato solo sulla base di rilevazioni di tipo aneddotico, negli ultimi decenni è stato oggetto di numerose ricerche sistematiche nel campo della psicologia. In queste ricerche due filoni si sono evidenziati in modo particolare. Il primo è costituito dallo studio della crudeltà dei bambini nei riguardi degli animali come indicatore potenziale di una situazione esistenziale patogena (soprattutto familiare) e di futuri comportamenti antisociali. Il secondo è costituito dallo studio del rapporto positivo tra il bambino e l’animale e degli effetti di questo rapporto sullo sviluppo psicologico del bambino. Vedremo come questi due filoni hanno un fondamento teorico comune che ci permette di analizzare in modo integrato questi due aspetti, quello negativo cioè e quello positivo, del rapporto del bambino con l’animale. Utilizzerò in questa sede il concetto di “animale d’affezione” in senso ampio, includendovi non solo l’animale da compagnia che vive in casa con il bambino, ma anche l’animale per il quale il bambino prova affetto e nei riguardi del quale ha un atteggiamento di cura e protezione e che vive, ad esempio, con un parente del bambino, con un suo amico, o nel quartiere, oppure che il bambino incontra per motivi diversi e con modalità diverse nel corso della sua vita di tutti i giorni. Per inciso vorrei ricordare che in una ricerca che sto svolgendo con il Prof. Frank Ascione della Utah State University sugli atteggiamenti dei bambini e degli adolescenti italiani nei riguardi degli animali, alcuni dei bambini e degli adolescenti che in un questionario anonimo hanno risposto “Sì” alla domanda “Hai un animale che vive in casa tua?”, hanno precisato che in realtà l’animale vive, ad esempio, a casa della nonna o “al terreno” (in una casa di campagna cioè di proprietà della famiglia, dove in genere tutti i famigliari vanno la domenica e d’estate). Questo concetto allargato di “animale d’affezione” ci permette inoltre di considerare in questo ambito anche gli atteggiamenti di affetto, di cura e di protezione di un bambino nei riguardi degli animali in genere. Vedremo infatti come in molti casi sia possibile riscontrare un continuum tra gli atteggiamenti positivi nei riguardi di un animale particolare e gli atteggiamenti positivi nei riguardi di tutti gli animali. Cercherò di analizzare, in modo ovviamente molto sintetico, i seguenti punti: • Lo sviluppo psicologico del bambino e il suo rapporto con il diverso. • Gli effetti di un rapporto positivo con l’animale sullo sviluppo cognitivo e affettivo del bambino. • Il concetto di empatia. • La crudeltà dei bambini nei riguardi degli animali. • L'estensione di atteggiamenti e comportamenti positivi nei rapporti dei bambini con gli animali, in particolare con gli animali d’affezione, ai rapporti dei bambini con gli umani e con l’ambiente. • Il modello di vita competitivo nella nostra società. • Il ruolo degli adulti. Sebbene, soprattutto agli inizi dello sviluppo psicologico del bambino, esista una tendenza ad interpretare la realtà sulla base delle caratteristiche ed esperienze del proprio io, in un modo cioè egocentrico, fin dalla nascita l’io si sviluppa sulla base dei suoi rapporti con gli altri, intesi come individui ed entità distinti dall’io (Myers Jr. & Saunders, 2002). Diversamente da quanto si pensava in passato, questo concetto dell’altro nella sua specifica individualità è acquisito dal bambino ad un’età molto precoce ed è parte integrante dello sviluppo dell’empatia e, più in generale, del senso morale. Una certa forma di senso morale è infatti già presente nei bambini di due anni, per cui, secondo alcuni psicologi, è più importante individuare i fattori che inibiscono il normale e spontaneo sviluppo del senso morale nel bambino piuttosto che insistere sulla necessità di inculcare nel bambino norme morali (Kagan, 1986). Tra gli individui con cui il bambino, anche molto piccolo, entra in contatto ci sono naturalmente anche gli animali. Analizzerò il rapporto del bambino con l’animale nel contesto più ampio del rapporto con il diverso (Robustelli e Pagani, 1994; Pagani, 2003). E' importante a questo punto sottolineare che il rapporto con il diverso è uno degli aspetti fondamentali dell'esperienza umana. Diversi infatti non sono solo, ad esempio, gli stranieri o i portatori di handicap, ma anche gli individui appartenenti all'altro sesso, ad un'altra età, ad un'altra condizione sociale, ad un'altra specie animale e diversi siamo anche noi stessi nei vari periodi della nostra vita. Sia sul piano temporale che su quello dell'importanza per la formazione della personalità l'aspetto iniziale del rapporto del bambino con l'animale riguarda quello che normalmente viene definito il rapporto con il diverso. Dobbiamo renderci conto che il senso della diversità è un aspetto fondamentale dell'esperienza umana e che la sua acquisizione e la sua comprensione sono processi estremamente complessi. Il rapporto positivo con l'animale può contribuire ad insegnare al bambino quella regola fondamentale di ogni tipo di comprensione che consiste nel saper uscire fuori da se stesso e nel rinunciare a considerarsi un punto universale di riferimento. Egocentrismo, antropomorfismo ed etnocentrismo hanno infatti una radice comune. Vedremo poi, parlando dell'empatia, perché un rapporto positivo con l'animale può favorire questo processo di decentramento. Un altro concetto molto importante da prendere in considerazione nello studio del rapporto del bambino con l'animale d'affezione è quello di attaccamento. Come è noto, in una relazione l'attaccamento offre sicurezza, protezione, sostegno, aiuto e consolazione. Studi relativamente recenti indicano che il concetto di attaccamento può essere applicato anche al rapporto del bambino con l'animale d'affezione (Melson et al., 1998). Alcune ricerche molto interessanti hanno dimostrato che la maggior parte dei bambini che possiedono un animale, in particolare un cane o un gatto, affermano di considerarlo "un amico speciale", un confidente dei loro segreti, una fonte di conforto quando sono tristi, soli o ammalati. Ad esempio, è stato visto che i bambini tra i 6 e i 10 anni di età che vivono con un solo genitore mostrano un attaccamento più forte al loro cane rispetto ai bambini della stessa età che vivono con tutti e due i genitori (Bodsworth & Coleman, 2001). Inoltre la scarsa possibilità che oggi i bambini, soprattutto quelli che vivono nelle città, hanno di interagire con altri bambini della stessa età ha un effetto negativo sul loro sviluppo psicologico. Questo effetto negativo può probabilmente, almeno in parte, essere neutralizzato da un’interazione positiva con un animale. Nella ricerca ancora in corso, a cui accennavo prima, che sto svolgendo con il Prof. Ascione, molti dei bambini e degli adolescenti che hanno o che hanno avuto un animale in casa dichiarano di avere trovato in lui una fonte di conforto nei momenti difficili. L'attaccamento ha una funzione particolarmente significativa nello sviluppo del bambino, di cui favorisce l'autostima, l'autonomia e lo sviluppo cognitivo. Inoltre un legame affettivo profondo tra l'animale e il bambino generalmente promuove nel bambino lo sviluppo di atteggiamenti di interesse, di cura e di protezione nei confronti dell'animale. Il bambino diventa più responsabile e più maturo. Nella nostra società, in cui le aspettative e le pressioni degli adulti per quanto riguarda le prestazioni dei bambini sono spesso troppo elevate, la riconoscenza incondizionata, ad esempio, di un cane o di un gatto per una coccola, un po' di cibo, un gioco fatto insieme o una passeggiata può diminuire la frustrazione vissuta dal bambino nei rapporti con gli adulti e con i pari e rafforzare, appunto, la sua autostima. Inoltre nella nostra ricerca risulta che in genere i bambini e gli adolescenti si preoccupano per il loro animale. Le preoccupazioni sono legate soprattutto alla paura che l'animale scappi, vada sotto una macchina, si ammali o possa morire. Ricordiamo tra l'altro che molti studi hanno dimostrato che tra le cause della depressione nei bambini vi è anche la perdita di un animale amato. Attraverso il processo di decentramento di cui parlavo prima il bambino è stimolato a prendere coscienza, oltre che delle caratteristiche fisiche e psicologiche che condividiamo con i nostri compagni animali, anche di quanto è specifico della nostra specie o di altre specie. E' quindi anche incoraggiato a prendere in considerazione l'idea di bisogni e di comportamenti diversi dai suoi e, di conseguenza, a sviluppare un atteggiamento più empatico. E' opportuno a questo punto ricordare che per empatia intendiamo la capacità di un individuo di immedesimarsi negli altri sul piano cognitivo e su quello affettivo, cioè di capire e di condividere i pensieri e le emozioni degli altri. Attraverso questo spostamento di prospettiva il bambino può sviluppare un atteggiamento più maturo e più flessibile sia nei suoi rapporti con individui di specie diverse sia con individui della sua stessa specie. Infatti anche gli individui della sua stessa specie sono altri, sono cioè diversi da lui. Vogliamo sottolineare poi che lo sviluppo dell'empatia è lo strumento più efficace per prevenire, ridurre o eliminare atteggiamenti e comportamenti violenti. Ci sono aspetti del rapporto positivo di un bambino con un animale che possono favorire nel bambino lo sviluppo dell'empatia. I legami affettivi che gli animali superiori riescono a stabilire con gli esseri umani hanno come caratteristica fondamentale quella di basarsi su elementi primari e intrinseci al rapporto stesso, liberi da condizionamenti socioculturali, liberi cioè da quegli elementi che generalmente complicano e problematicizzano i rapporti tra gli esseri umani. Questo rende il rapporto dell'essere umano con l'animale particolarmente gratificante. Questo rapporto quindi può in generale facilitare nel bambino lo sviluppo di rapporti sociali positivi. L'empatia interspecifica quindi, cioè l'empatia nei riguardi di un individuo di una specie animale diversa dalla nostra, può in quanto empatia generalizzarsi agli esseri umani. Secondo Ten Bensel (1984) e Paul & Serpell (1993) questa generalizzazione dell'empatia potrebbe realizzarsi attraverso un'identificazione con l'individuo vulnerabile e di simpatia nei suoi confronti, qualunque sia la specie a cui appartiene. Il fatto che si tratti di un animale implica nella maggior parte dei casi una sua condizione di maggiore vulnerabilità rispetto agli esseri umani. L'empatia porta al riconoscimento dei bisogni dell'altro e implicitamente al riconoscimento della sua vulnerabilità, come pure al riconoscimento, ad un livello profondo, della condizione della propria vulnerabilità. Vorrei ora accennare brevemente al problema della violenza perpetrata dai bambini e dagli adolescenti nei riguardi degli animali. Questa violenza, secondo gli psicologi (Lockwood & Ascione, 1998; Ascione & Arkow, 1999), è connessa a certi disturbi psicologici, soprattutto ad atteggiamenti e comportamenti aggressivi nei riguardi degli esseri umani. Può anche essere connessa a comportamenti antisociali di vario tipo (reati contro la proprietà, uso e spaccio di droga, ecc.). Inoltre la violenza nei confronti degli animali può essere la conseguenza di una situazione familiare ed ambientale problematica (violenza fisica, violenza psicologica, abuso sessuale). Le ricerche in questo campo sono state realizzate soprattutto in area anglosassone. In particolare negli Stati Uniti il dibattito su questo argomento ha coinvolto non solo l'ambito accademico ma anche associazioni animaliste, politici, magistrati, forze dell'ordine, veterinari, educatori, associazioni femministe e associazioni che si occupano della protezione dei bambini. Il DSM-III (1987) (Manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali dell'American Psychiatric Association) e la Classificazione internazionale dei disturbi mentali e comportamentali nei bambini e negli adolescenti (ICD-10, 1996) della Organizzazione Mondiale della Sanità hanno inserito la crudeltà fisica nei riguardi degli animali tra i sintomi del disturbo della condotta, disturbo che viene definito come "un modello ripetitivo e persistente di comportamento in cui i diritti fondamentali degli altri o le principali norme o regole sociali appropriate ad una determinata età vengono violati". Negli Stati Uniti la percentuale di bambini e adolescenti che sono stati violenti nei confronti degli animali e del 20%, mentre è stato calcolato che circa il 50% è stato coinvolto in situazioni di violenza nei riguardi degli animali o come testimone o come responsabile. Quasi tutti i bambini e gli adolescenti che sono stati personalmente violenti nei confronti degli animali hanno anche assistito ad atti violenti nei confronti di animali compiuti da altri. Questo dato è particolarmente significativo, in quanto la ricerca psicologica ha dimostrato che assistere a scene di violenza può ridurre o annullare le capacità empatiche attraverso un processo di desensibilizzazione. Per quel che riguarda la differenza tra i due sessi è stato rilevato che la violenza nei riguardi degli animali è più diffusa tra i maschi che tra le femmine (35% dei maschi rispetto al 9% delle femmine). Sempre negli Stati Uniti è stato evidenziato che gli studenti universitari che da bambini o da adolescenti sono stati crudeli verso gli animali approvano più frequentemente, rispetto agli studenti che non sono stati crudeli verso gli animali, sia le punizioni corporali nei contesti educativi sia il fatto che il marito picchi la propria moglie (Flynn1999a; 1999b). Non dobbiamo dimenticare infine che alcuni dei ragazzi che recentemente hanno effettuato delle autentiche stragi in alcune scuole degli Stati Uniti avevano precedentemente ucciso e torturato degli animali. I dati del nostro studio sugli atteggiamenti dei bambini e degli adolescenti nei riguardi degli animali sono in fase di elaborazione e non ci è quindi ancora possibile valutare quanto le differenze culturali fra il nostro paese e altri paesi possano influire in questo settore. Abbiamo potuto constatare ad esempio che i bambini e gli adolescenti coinvolti nella nostra ricerca, a differenza, per quanto possiamo sapere, dei soggetti di ricerche analoghe effettuate negli Stati Uniti, talvolta collegano il "far del male ad un animale" non soltanto a forme di violenza considerate socialmente riprovevoli (ad esempio, prendere a bastonate un gatto) ma anche a forme di violenza socialmente accettate (ad esempio, uccidere un animale per mangiarlo o schiacciare una zanzara per difesa), come pure a forme di violenza non intenzionale (ad esempio, investire accidentalmente un animale con la macchina o schiacciare delle formiche per errore). E' stato anche ipotizzato che un rapporto positivo con un animale d'affezione possa favorire nel bambino un interesse verso la natura in genere e la sua conservazione. Secondo alcuni autori la conoscenza che il bambino ha di un animale e l'affetto che prova per lui, lo rendono più facilmente consapevole delle caratteristiche ambientali più adatte per il benessere fisico e psicologico dell’animale (Myers Jr. & Saunders, 2002). Il bambino impara quindi a capire che queste caratteristiche dell’ambiente naturale vanno salvaguardate e che anche lui dovrà, secondo le sue possibilità, adoperarsi perché lo siano. Inoltre, se consideriamo, nell’ambito dell’interesse nei confronti della natura, la preoccupazione per il benessere degli altri animali, è facile capire, come d’altronde anche le ricerche sull’empatia hanno dimostrato, che un atteggiamento di affetto, di cura e di protezione nei riguardi di un singolo animale può facilmente estendersi e generalizzarsi agli altri animali. Dalla nostra analisi di un rapporto positivo e di uno negativo del bambino con l’animale emerge quindi l’importanza di questo rapporto come strumento efficace per capire la direzione che va presumibilmente assumendo nel bambino il processo di socializzazione. Vorrei fare un'ultima considerazione a proposito del tema dell'empatia e, più in generale, dei rapporti interpersonali e dei nostri rapporti con le altre specie animali. Ho fatto prima riferimento al concetto di vulnerabilità nell'analisi del rapporto bambino-animale. La nostra società ha fondamentalmente una struttura gerarchica e i rapporti di potere e la competitività che la contraddistinguono determinano differenziazioni pesanti. Gli individui che si trovano nei ranghi più bassi hanno pochi diritti, poca considerazione, poca libertà d'azione. Fra questi individui più deboli ci sono naturalmente anche gli animali. Essere empatici nei loro confronti, difenderli e proteggerli esprime quindi la volontà, indubbiamente positiva sul piano sociale, di rifiutare il modello di vita alienante che domina la nostra società, fondato appunto sull'idea, a volte esplicitamente dichiarata, altre volte ipocritamente sottaciuta, che l'individuo più debole debba essere la vittima dei soprusi e del potere del più forte. Date le caratteristiche che contraddistinguono un rapporto positivo tra bambino e animale e più in generale tra essere umano e animale, quest'ultimo può rivestire un ruolo molto importante in questo processo di rifiuto del modello di vita dominante. Gli effetti quindi di questo rapporto positivo possono avere ripercussioni significative anche ad un livello sociale più ampio. Nel rapporto del bambino con l'animale il ruolo dell'adulto è ovviamente fondamentale. Possiamo molto sinteticamente affermare che nella nostra società spesso sia gli educatori (genitori e insegnanti) che gli adulti in genere per diversi motivi non incoraggiano adeguatamente lo sviluppo dell'empatia, dell'interesse e della curiosità del bambino nei riguardi dell'animale. Anche per quanto riguarda i comportamenti negativi del bambino nei confronti dell'animale l'atteggiamento degli adulti è spesso contraddistinto da superficialità, indifferenza ed ignoranza. Anche il ruolo delle istituzioni pubbliche in questo campo non è molto positivo. Appare chiaro infatti che esse non tengono sufficientemente conto o non tengono affatto conto dei risultati delle ricerche realizzate sulla violenza e sull'empatia nei confronti degli animali. Due recenti esempi possono bastare. Il primo esempio si riferisce a una lettera inviata il 23 maggio 2002 dal Capo Dipartimento per i Servizi nel Territorio e lo Sviluppo dell'Istruzione del MIUR ai Direttori degli Uffici Scolastici Regionali e ai Sovrintendenti Scolastici, in cui, in sintesi, viene sostenuta l'importanza degli spettacoli del circo come momento educativo per i ragazzi. Cito solo una frase di questa lettera: Lo spettacolo circense può, altresì, costituire occasione di una conoscenza più approfondita degli animali, anche sotto l'aspetto delle loro necessità ed abitudini di vita. Il secondo esempio viene dall'"evoluto" NordEst italiano. Nel settembre 2002 a Pagnacco, un comune in provincia di Udine, ad un convegno sulla caccia organizzato da Alleanza Nazionale, un assessore della Lega Nord, Danilo Narduzzi, nel suo intervento ha affermato tra l'altro: Va poi ripulita quella incrostazione culturale che negli ultimi vent'anni ha reso la figura del cacciatore negativa. Dare in mano a un ragazzo un fucile e insegnargli a usarlo è una funzione educativa per insegnargli anche a rapportarsi con il prossimo. (Il Gazzettino, 7 settembre 2002) Avrei voluto parlare di altri aspetti importanti del rapporto bambino-animale, in particolare dell'uso degli animali a scuola, dei giardini zoologici, delle feste popolari cruente e del modo in cui spesso gli animali vengono presentati dai media. Ma sarà per un prossimo convegno. American Psychiatric Association (1987). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (3rd ed. rev.). Washington, DC. Ascione, F. R. & Arkow, P. (Eds.) (1999). Child Abuse, Domestic Violence, and Animal Abuse. West Lafayette, Indiana: Purdue University Press. Bodsworth, W. & Coleman, G. J. (2001). Child-companion animal attachment bonds in single and two-parent families. Anthrozoös 14 (4), 216-223. Flynn, C. P. (1999a). Animal Abuse in Childhood and Later Support for Interpersonal Violence in Families. 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CAPORALE” – TERAMO IL VALORE ASSISTENZIALE E TERAPEUTICO DELLA PET-RELATIONSHIP Ombretta Pediconi IZSA&M La dimensione della relazione uomo-animale nel corso del tempo ha assunto connotazioni diverse fino a rappresentare oggi il valore aggiunto dei Programmi di Attività e Terapie Assistite dagli Animali (AAA/TAA). Non bisogna confondere il beneficio spontaneo che può scaturire dal possedere un animale da quello che può derivare da una precisa relazione, da specifiche valenze affettive, cognitive e comunicative che possono essere incentivate dalla presenza dell’animale. Se adeguatamente strutturate, programmate e valutate, le AAA/TAA si inseriscono con tutto rispetto nel panorama di co-terapie dolci da affiancarsi alle tradizionali tecniche di recupero per soggetti che vivono una qualche forma di difficoltà. E’ bene quindi ricordare la distinzione che è alla base di programmi di Attività e terapie Assistite dagli Animali. Le Attività Assistite dagli Animali sono tutti quegli interventi di tipo ricreativo, che hanno l’obiettivo di migliorare la qualità della vita di persone che vivono una qualche forma di disagio. Si caratterizzano perché sono programmi erogati in vari ambienti (scuole, ospedali, sale d’aspetto), realizzati da personale opportunamente formato, in cui vengono coinvolti animali che rispondono a determinati requisiti attitudinali e di capacità. Si tratta di programmi in cui non ci sono obiettivi di miglioramento e le visite vengono gestite con spontaneità e gli incontri possono essere destinati anche a piccoli gruppi di individui. Obiettivi che possono essere raggiunti con tali programmi sono, ad esempio, quelli che contribuiscono a migliorare la qualità della vita di soggetti al fine di: distrarle da situazioni particolarmente stressanti; rilassarle; divertirle. Un esempio di un Programma di Attività Assistite dagli Animali potrebbe essere costituito dal programma che l’Istituto Zooprofilattico sperimentale dell’Abruzzo e del Molise “G. Caporale” di Teramo sta portando avanti dal 2000 nel reparto di Pediatria dell’Ospedale S. Liberatore di Atri (TE). Gli incontri si svolgono nell’area giochi riservata ai piccoli degenti ricoverati generalmente per brevi periodi di tempo. I bambini incontrano una volta a settimana operatori accompagnati da coniglietti nani; l’incontro rappresenta il momento in cui piccoli gruppi di pazienti hanno modo di interagire con gli animali conoscendone caratteristiche legate alla loro specie, alla loro alimentazione, alla loro vita, in cui imparano ad approcciarli, attraverso attività di accarezzamento, spazzolamento e cura. Si tratta di un programma che si prefigge obiettivi legati al miglioramento della permanenza in ospedale dei piccoli degenti, offrendo loro la possibilità di passare dei momenti della loro giornata in compagnia di animali speciali che nella maggior parte dei casi non hanno mai visto direttamente né tanto meno accarezzato o spazzolato. Le Terapie Assistite dagli Animali sono interventi con obiettivi specifici predefiniti, in cui animali che rispondono a determinati requisiti sono parte integrante di trattamenti volti alla risoluzione di alcune problematiche. Si caratterizzano e, quindi, si differenziano dalle Attività Assistite dagli Animali, in quanto sono incontri condotti da professionisti qualificati. In questo caso specifico il gruppo di lavoro prevede al suo interno la presenza necessaria di un medico, o in sua assenza di uno psicologo che abbia una specifica esperienza in questo ambito. Molto più che nelle Attività è indispensabile prevedere criteri e strumenti di valutazione rigorosi che consentano una rilevazione scientifica dei dati in grado di monitorare l’andamento dei programmi terapeutici. Nelle TAA la durata delle sedute è prestabilita e gli obiettivi sono individualizzati e non possono prescindere da un’analisi attenta e dettagliata delle condizioni mediche dei soggetti coinvolti. Le aree di miglioramento, all’interno delle quali individuare obiettivi di miglioramento, possono essere: l’area fisica; l’area emotiva e/o relazionale; l’area comportamentale; l’area educativa. In alcuni programmi di Terapie Assistite dagli Animali, come ad esempio quello rivolto a soggetti affetti da sclerosi multipla ed appartenenti all’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla) - programma realizzato con il contributo di “Trenta ore per la vita” - alcuni degli obiettivi di miglioramento perseguiti, a seconda delle caratteristiche e delle condizioni mediche del soggetto destinatario dell’intervento, sono quelli legati alla riabilitazione fisica degli arti compromessi dalla malattia. Gli animali, quindi, con il supporto di terapisti della riabilitazione, diventano parte essenziale del percorso riabilitativo in cui il soggetto è inserito. Le AAA/TAA sono, dunque, interventi che possono essere annoverati tra quelli di supporto a trattamenti tradizionali, che si affiancano ad essi per contribuire al benessere psico-fisico della persona. Le AAA/TAA hanno un valore aggiunto che è dato dalla presenza dell’animale. Perché con l’animale? L’animale co-terapeuta diventa una risorsa fondamentale delle AAA/TAA in quanto soggetto attivo di una relazione che incentiva miglioramenti da parte dei soggetti coinvolti nei programmi di AAA/TAA perché è un elemento che stimola: fantasia; curiosità; capacità di osservazione; interazione. L’animale, inoltre, entra più facilmente in contatto con la persona perché: accetta incondizionatamente chiunque ricerca disinteressatamente affetto dà incondizionatamente affetto dà senso di protezione suscita sentimenti di protezione (quando l’animale ricerca la vicinanza o si accoccola in braccio) dà una stimolazione pluri-sensoriale (consistenza del pelo, vibrazioni, odori, suoni emessi) utilizza più “linguaggi” utilizza canali di comunicazione facilitati utilizza messaggi facilmente comprensibili. Conclusioni Le Attività e Terapie Assistite dagli Animali rappresentano delle co-terapie da incentivare in tutte quelle strutture in cui ci sono persone che necessitano di un aiuto. E’ importante, però, che questi programmi siano gestiti con rigore scientifico, senza improvvisazioni proprio per non incorrere in situazioni che potrebbero risultare non benefiche per i soggetti coinvolti in questi programmi. LE ATTIVITA’ DI PET-RELATIONSHIP NEI PROGETTI DI PET-THERAPY E DI ZOOANTROPOLOGIA DIDATTICI La nuova visione zooantropologica dell’animale ne modifica radicalmente la concezione: da oggetto (di conoscenza o strumento utile all’uomo) a soggetto, ovvero da entità utilizzata alla stregua di un farmaco o in grado di migliorare la qualità di vita dell’uomo, a referente per l’uomo, in grado di instaurare relazioni ricche di valenze. Questa nuova visione dell’animale come referente conferisce alla pet-relationship il valore di occasione per l’uomo di vivere un inter-scambio, declinando le proprie potenzialità anche attraverso l’incontro – confronto - contaminazione con il referente animale, le sue similitudini e differenze, attraverso una relazione di accrescimento per scacco e per imitazione. Come e perché la relazione col pet produca benefici all’uomo, sia in termini di miglioramento dell’apprendimento, della concentrazione, della capacità di collaborazione, dell’interazione classeinsegnanti-famiglie o malato-terapia, sia in termini di effetti benefici e terapeutici, è oggetto di studio della zooantropologia. Esistono varie teorie formulate per spiegare il perché l’uomo tenda ad instaurare la pet relationship: - Biofilia innata - Teoria epimeletica (inganno parentale e zootropia) - Affettivo – emozionale (teoria dell’attaccamento, teoria del supporto sociale) - Predatoria modificata in senso epistemico - Grooming - Allelochimica - Comunicativa attraverso i linguaggi paraverbali e la paralinguistica La pet-relationship si articola in modi molto vari e si fonda su diverse motivazioni, di conseguenza anche i suoi effetti possono essere diversi e parzialmente prevedibili se valutati con un approccio scientifico di tipo zooantropologico. La zooantropologia può, pertanto, una volta individuate le caratteristiche della referenza animale portarle ad eccellere nell’ambito della relazione con l’uomo, facendo scaturire tutte le plus-valenze che possono giovare a quest’ultimo nelle AAA/AAT e nell’ambito didattico. La pet-therapy e la zooantropologia didattica sono accomunate dal fatto che si fondano sulla petrelationship e vedono, quindi, nel referente animale una alterità capace di condurre l’uomo oltre l’antropocentrismo e verso un miglioramento delle proprie condizioni fisiche, psicologiche, di qualità di vita, cognitive, emozionali. Le dimensioni attraverso cui si articola la pet-relatioship divengono, pertanto, un ambito fondamentale da valutare, definire, prevedere affinché le AAA e AAT possano essere progettate ed attuate con un iter mirato, attento ed efficace, nel rispetto di tutti i soggetti coinvolti, umani ed animali. Queste dimensioni possono essere distinte in: - Comunicative: la relazione si basa sulla capacità di comprendere ed interpretare la comunicazione animale e, di conseguenza, porre le basi per un’interazione ed un approccio corretti e costruttivi. - Ludico-comiche: la relazione può stimolare sensazioni positive, distraenti, emozionanti sia attraverso il gioco che attraverso la conoscenza delle attività e dei mestieri animali. - Epimeletiche: la relazione può essere impostata sull’accudimento, la cura, la pulizia, l’affettività, sia dirette che di referenza come la drammatizzazione delle cure parentali. - Collaborative: la relazione si instaura attraverso un gioco di squadra con l’animale partner, interagendo ed effettuando giochi o esercizi insieme. - Cognitive: la relazione sollecita l’attenzione, la capacità di categorizzare, cogliere differenze, incongruenze, similitudini, stimolando le capacità mnemoniche e di soluzione dei problemi dei ragazzi. - Motivazionali: la relazione induce un orientamento ed un indirizzo dell’uomo e viene, quindi, tradotta in un’attività motoria. - Emozionale: la relazione stabilizza le risposte emozionali (arousal) e viene gradualmente guidata da una condizione simpatetica ad una empatica. - Sensoriale: i sensi possono essere utilizzati al meglio e separatamente grazie all’imitazione prodotta dalla relazione e nell’interazione col pet. Individuando quali sono le plusvalenze che la pet-relationship concede all’uomo e le motivazioni su cui questa si fonda, si può scegliere la strada migliore per coniugare i bisogni delle persone che necessitano di un percorso di pet therapy o delle finalità che si possono dare ad un progetto di zooantropologia didattica. Pertanto, si definiscono tre livelli di attività di pet relationship che possono essere applicate ad un progetto singolarmente o come percorso di graduale avvicinamento all’animale. Le tre attività prevedono: 1) attività referenziale in cui si prende l’animale come soggetto dell’attenzione senza effettivamente coinvolgerlo fisicamente; 2) attività osservative nelle quali l’animale è presente ma non si ha ancora un’interazione diretta con esso e l’attività si limita alla sua osservazione; 3) attività di interazione cioè il vero e proprio incontro e la relazione con l’animale. La scelta del piano di attività da mettere in atto deve essere effettuata con criterio, in relazione alle necessità del fruitore del progetto, al piano di pet relationship che ci proponiamo di attivare, alle finalità, alla situazione in cui si andrà ad operare, prevedendo anche il graduale passaggio da un piano d’attività al successivo quando preventivamente programmato. Nelle attività referenziali possiamo includere: Giochi singoli o di squadra Attività motorie Attività posturali Attività di mimo Attività di drammatizzazione Attività manipolatorie Attività cognitive Nell’ambito osservativo, invece, comprendiamo: L’osservazione della vita dell’animale L’osservazione del gioco dell’animale solo o con i cospecifici L’osservazione dell’attività esplorativa L’osservazione dell’interazione del pet con i cospecifici, con l’uomo, con il mondo esterno L’osservazione delle diverse performances dell’animale, motorie o cognitive Nell’ultima fase, le attività danno luogo all’interazione: L’approccio (modalità di relazionarsi col pet) Il contatto (relazione tattile) Relazione epimeletica (grooming, accudimento, affettivo) Interazione mimetica (imparare a muoversi in concerto con l’animale) Il gioco Il dialogo (comunicazione paralinguistica, autocontrollo) La cura (accudimento, miglioramento dell’autostima, affettività, etc.) La centripetazione (diventare fulcro d’interesse per il pet) Attività petitive (richiedere una performance al pet, dare un comando, etc.) Collaborazione col pet in qualche attività (cognitiva, motoria, ludica, etc.) La pet relationship, quando gestita con metodo scientifico, è un’occasione per far emergere una grande opportunità che l’animale regala all’uomo ovvero la possibilità di relazionarsi con un’alterità (definita da Marchesini “alterità di soglia”) che lo conduce in ambiti nuovi, creando un ponte affettivo-comunicativo grazie al quale la persona può passare da una condizione di isolamento o chiusura ad una di graduale apertura, con l’animale in primis e con altre persone in seguito. Maria Chiara Catalani Medico Veterinario MODIFICAZIONI DEL RAPPORTO UOMO ANIMALE Di Maurizio Pasinato Prima di iniziare ad analizzare le modificazioni zooantropologiche che ci hanno portato ad un nuovo rapporto con il mondo animale, riterrei doveroso ricordare come questo rapporto sia inevitabilmente legato a fattori di tipo socio-culturale se non religioso. Tuttavia i reperti paleoantropologici e archeologici sono sempre lì a dimostrarci quanto sia profondo e antico questo rapporto con il mondo animale. Per quanto riguarda i fattori socio-culturali facendo una breve panoramica Internazionale come non ricordare per la loro cultura animalista i paesi nord europei nell’area occidentale o la cultura indiana nell’area orientale. Tutti voi avrete avuto modo di vedere in molti documentari, il rispetto per le vacche in India (l’ultimo censimento parla di 246 milioni) che mischiate alla popolazione nei centri urbani, vengono assolutamente rispettate in quanto considerate sacre. Ma il rispetto per gli animali nella cultura indiana non è solo riservato ai bovini, addirittura topi, scimmie scarafaggi e via dicendo godono di rispetto e attenzione. Lo stesso Gandhi amava ricordare che il valore morale di una nazione si può valutare dal modo in cui tratta gli animali. Se sotto l’influsso culturale religioso in India non si può mangiare carne bovina, come d’altronde i Paesi anglosassoni non si alimentano di carne di cavallo considerato animale d’affezione, in altri ambiti la situazione è quanto mai variegata. Gli ebrei ad esempio possono mangiare la carne di animali cosiddetti puri, cioè quelli a piede biforcuto e se mammiferi, ruminanti. Sono assolutamente proibiti il maiale, il cammello, il cavallo, l’asino, i crostacei e gli insetti. I pesci si mangiano solo se hanno le scaglie. Le stesse regole più o meno valgono per i mussulmani. In Cina al contrario un piatto prelibato è la carne di cane. Soffermandoci brevemente all’aspetto religioso vorrei solo ricordare come i seguaci dello jainismo nell’India nord orientale girano con una mascherina di garza per evitare di ingerire microbi o moscerini uccidendoli e commettendo così peccato. Questo genere di peccato nella religione cristiana certo non esiste, non risplendendo certo come movimento religioso che ha promulgato un corretto rapporto con gli animali. Senza addentrarmi in un campo che avrebbe bisogno di un approfondimento molto più ampio vorrei solo ricordare la figura di San Francesco di Assisi, che se vogliamo aveva anticipato l’importanza di ricostituire l’armonia con il creato. Diapositiva 1 – Diapositiva 2 Andiamo ora ad analizzare un po’ più da vicino quali sono le cause che ci hanno portato a modificare qualche volta in modo radicale il nostro rapporto con il mondo animale. Urbanesimo Alcuni di noi sono stati testimoni della rivoluzione industriale degli anni ’60 che ha portato allo svuotamento delle campagne che in breve tempo hanno lasciato il posto agli insediamenti industriali e alle aree urbane sempre più estese. L’inurbamento inevitabilmente ha diminuito la nostra consuetudine con gli animali modificando nella gente non solo le abitudini, la cultura e il livello di interazione con essi. Nello stesso tempo il paesaggio che ci circonda ha visto una drastica diminuzione della biodiversità, di conseguenza abbiamo assistito alla scomparsa di molti animali selvatici, gli animali domestici sono stati rinchiusi negli allevamenti industriali, gli animali di città sono stati omologati su poche specie commensali dell’uomo. La conseguenza di tutto questo ci ha portato nel giro di cinquanta anni ad una significativa diminuzione di rapporti fra umano e non umano. Se è pur vero che nell’ultimo ventennio gli animali d’affezione hanno conosciuto un aumento di titolarità sociale, etica e referenziale nella cultura urbana, questo non deve indurci a credere che la nostra società sia zooantropologicamente più ricca. Forse è vero il contrario. Al posto dell’animale si preferisce la sua icona, cioè un’immagine improntata su stereotipi culturali: l’animale bambino, l’animale giocattolo, l’animale simbolo. Ci avviciniamo al mondo animale attraverso documentari, i cartoni Disney, Lassie, Furia, Rex… Purtroppo queste icone ci portano a ricercare nei nostri animali un modello precostituito che se non risponde alle nostre aspettative provoca una forma di frustrazione che ci porta a pensare che il nostro cane sia stupido in quanto incapace delle performance di Rex. Tutto questo inevitabilmente ci porta a rifiutare un rapporto concreto con l’animale. Diapositiva 2 A tutto questo dobbiamo aggiungere il rilevante contributo della comunicazione mediale che sempre più negli ultimi anni si affida agli animali per intrattenerci e per i messaggi promozionali, consapevoli dell’impatto sugli ascoltatori. Indubbiamente il risultato finale è l’aumento dello sviluppo delle icone teriomorfe. Diapositiva 3 Dal punto di vista sociale poi, siamo passati dalla famiglia di tipo patriarcale caratterizzata da un gran numero di figli, alla famiglia mononucleare con una minore presenza di bambini. Ecco che istintivamente si cerca di sopperire alle innate esigenze affettive e parentali con l’adozione di un animale. Quest’ultimo viene investito di ruoli ed aspettative che non gli sono proprio con l’inevitabile conseguenza dello sviluppo di turbe comportamentali che alla fine rendono conflittuale un rapporto che diversamente sarebbe ricco di valenze positive. Diapositiva 4 Dagli anni 60 in poi si è assistito ad un notevole aumento della scolarizzazione con le relative referenze culturali. Gli animali vengono conosciuti attraverso le fiabe, i racconti, la poesia, modificando di fatto il valore referenziale dell’animale, allontanando il discente dalla realtà naturale e precludendogli quel bagaglio di conoscenze del mondo animale che gli permetterebbe di apprezzare il non umano per le qualità legate alla sua biodiversità. Diapositiva 5 Gli anni sessanta accanto alla protesta studentesca hanno visto un radicale cambiamento culturale nei nostri rapporti con il mondo animale. Che viene inserito in un contesto ecologico più globale. Il rispetto per l’ambiente e per chi lo abita entra sempre più nelle coscienze dei giovani promuovendo nuove tendenze che vanno a interessare i comportamenti alimentari ( vegetariani) sia il rifiuto di capi d’abbigliamento di orgine animale (pellicce, borse di pelle di rettile). Diapositiva 6 Tutto questo porta a metà degli anni 70 a sviluppare i movimenti di liberazione animale che hanno come base di partenza i movimenti anitivivisezionisti abbracciando poi altre aree come gli allevamenti industriali, i circhi, gli zoo. Si comincia poi ad aprirsi in questo momento il dibattito in bioetica animale che vede in primo piano gli interventi in area biomedica che coinvolgono l’animale. Gli anni 80 vedono un sensibile aumento della presenza degli animali d’affezione, che tuttavia è caratterizzata non più dalla sola presenza del cane e del gatto, ma di animali un tempo inusuali come il coniglio, il cane delle praterie, i criceti tra i roditori, i furetti tra i carnivori, le specie aviarie esotiche, e tutto il variegato mondo dei rettili: dai serpenti alle tartarughe se non agli iguanidi. Indubbiamente il possesso di questi nuovi animali può essere discutibile, e pur vedendomi contrario alla nuova pet – mania, e lasciando ad altre occasioni il dibattito, devo mettere in evidenza la nascita di una tendenza zooantropologica positiva : la pet – ownership. Diapositiva 8 Gli anni 90 a livello sociale sono caratterizzati da una forte immigrazione dai paesi africani, asiatici e dell’est europeo con una sensibile frammentazione delle temperie culturali che inevitabilmente coinvolge anche la visione del mondo animale. Alcuni movimenti giovanili di tendenze estremistiche vogliono caratterizzare la loro estraneità e marginalità sociale con atteggiamenti, abbigliamenti e look che tendono a mettere in evidenza un certo grado di animalità ( punk-bestia). Anche l’adozione di particolari razze canine in primis pit-bull e rottweiler hanno soprattutto lo scopo di evidenziare a chiare lettere la loro caratterizzazione sociale. Gli stessi movimenti artistici si affidano a modelli estetici che si richiamano al teriomorfismo. Indubbiamente tutto questo non fa che diminuire l’oportunità di vedere valorizzato il grande insegnamento che la biodiversità può darci. BIOETICA E RAPPORTO UOMO--ANIMALE Luisella Battaglia* La Pet Therapy rappresenta un case study molto interessante per chi si occupa di bioetica animale. Il presupposto su cui si fonda è che tra uomo e animale possa instaurarsi una relazione sul modello delle relazioni interpersonali e che quindi, come in ogni interazione, vi sia uno scambio, di sentimenti, di affetti, di emozioni che influenzano reciprocamente i due soggetti. Da ciò discende la possibilità di impiegare in senso terapeutico tale incontro.5 Questa è, tuttavia, anche la sfida che la Pet Therapy, da un punto di vista bioetico, deve affrontare: è possibile applicare un modello interattivo e comunicativo al rapporto interspecifico? E se sì, a quali condizioni? Occorre elaborare un modello che sia rispettoso dell’identità di entrambi i partner e che quindi tenda nel massimo conto l’elemento della diversità ma anche quello dell’asimmetricità, inevitabile, del rapporto. Un modello, dunque, che miri alla tutela della dignità dei due soggetti e che possa, altresì, proporsi come praticabile e soddisfacente sia per i veterinari che per i bioeticisti. A tal fine dovremmo, però, preliminarmente sgomberare il campo da due obiezioni che provengono da fronti opposti: gli animalisti, i quali temono nella Pet Therapy la riduzione dell’animale a oggetto e , quindi, la sua strumentalizzazione e i filosofi tradizionali che invece temono l’elevazione dell’animale a persona e, quindi, una sua indebita antropomorfizzazione. L’assunto su cui si basa la Pet Therapy rinvia a una tradizione filosofica che potremmo definire della parentela in opposizione a quella del dominio, caratterizzata dal superamento della visione discontinuista tra uomo e animale, cui ha potentemente contribuito la scienza etologica. La tesi che mi propongo di sostenere è che una Pet Therapy correttamente praticata non solo non rappresenta una strumentalizzazione, secondo l’obiezione animalista, ma può anzi contribuire a promuovere una riabilitazione della figura animale. Per riabilitazione intendo il riconoscimento del ruolo assolto dall’animale familiare o d’affezione, che trascorre con noi la sua vita, partecipa della nostra ricchezza o povertà, della nostra affettività, dei nostri balzi di umore, svolge insomma un ruolo attivo nella dinamica del gruppo familiare *Ordinario di Bioetica, Università di Genova. Membro del Comitato Nazionale per la Bioetica. Analogamente una Pet Therapy correttamente praticata non comporta una indebita antropomorfizzazione, secondo l’obiezione filosofica tradizionale, ma può anzi contribuire a 5 Per una Introduzione generale e relativa bibliografia si rinvia a G. BALLARINI, Animali, amici della salute. Curarsi con la Pet Therapy, Xenia Edizioni, Milano 1996. formare una nuova ‘cultura della percezione’, in cui la diversità animale sia riconosciuta e accettata come valore e l’ <altro> sia mantenuto nella sua qualità di soggetto. 6 Nell’etica interspecifica contemporanea, troviamo una vasta gamma di approcci che vanno dalle teorie dei diritti all’utilitarismo, al contrattualismo, a visioni che si incentrano sui temi della responsabilità e della cura. Ciascuna di queste prospettive presenta elementi interessanti e degni di approfondimento in relazione alle diverse tipologie del rapporto con gli animali, tradizionalmente distinti in selvatici, da compagnia, da reddito. Mi sembra molto importante considerare la specificità di tale rapporto per pervenire a un’etica che tenga realisticamente conto delle esigenze e delle istanze dei diversi soggetti in gioco, umani e non umani. Per limitarmi a un solo esempio, un’etica della non interferenza—che si prefigge il mantenimento della libertà degli animali selvatici, la salvaguardia del loro habitat etc.— sarebbe irresponsabile se applicata agli animali domestici. E, analogamente, lo sarebbe un’etica di tipo contrattualista-- valida per gli animali da reddito e basata sull’idea di un contratto naturale tra uomo e animale che prevede uno scambio di utilità e di servizi--se fosse applicata agli animali selvatici. Alla luce di questi rilievi, credo che un paradigma bioetico appropriato per la Pet Therapy che tenga conto della peculiarità del rapporto intersoggettivo uomo/animale—in questo caso, animali di affezione che sono in grado di ricevere affetto ma anche di ricambiarlo—possa ispirarsi proficuamente all’etica della simpatia. Mi riferisco, in particolare, alla filosofia di Hume, che assegna un ruolo centrale a tale nozione: <Nessuna qualità della natura umana è più importante, sia in se stessa, sia nelle sue conseguenze, della propensione che abbiamo a simpatizzare con gli altri, a ricevere per comunicazione le loro inclinazioni e i loro sentimenti, per quanto diversi siano dai nostri o anche contrari> . Nella visione di Hume, la simpatia non è riservata solo agli umani ma viene estesa anche alle altre specie. Si consideri, per esempio, quanto Hume scrive dell’amore negli animali: esso ha per oggetto non solo i loro conspecifici ma si estende fino a comprendere quasi tutti gli esseri sensibili e pensati.<E’ del tutto naturale—osserva il filosofo—che un cane ami l’uomo, che è al di sopra della sua specie, e molto frequentemente ne riceva in cambio dell’affetto.>7 6 La <cultura della percezione> cui mi riferisco è l’espressione impiegata da Luce Irigaray per designare una cultura dell’intersoggettività, capace di fare apparire al meglio le differenze e di percepire l’altro senza perdere né l’io né il tu. V. L. IRIGARAY, Essere due, Ed. Bollati Boringhieri, Torino 1994. 7 D. HUME, Trattato sulla natura umana,(1738) tr. it.,a cura di E. Lecaldano e E. Mistretta Ed. Laterza Roma— Bari 1971, p.416. Si disegna, in tal modo, una comunità mista, in cui le emozioni e i sentimenti circolano e si manifestano liberamente, al di là delle barriere di specie, favoriti dalla somiglianza e dalla diversità. Non solo. Un altro tema importante della teoria etica humeana riguarda la convenzione, cioè la possibilità di stabilire accordi, verbali o non verbali, tra due soggetti. Dal momento che la convenzione comporta sia la mutua consapevolezza di un comune interesse, sia la reciprocità di intenti, essa può avvenire anche tra umani e non umani. Si pensi al rapporto tra il cavallo e il fantino o tra l’uomo e il suo cane: rapporti di collaborazione, di complicità, di interesse per il mutuo vantaggio. Le intuizioni di Hume appaiono confermate, nell’ambito della psicologia contemporanea, da Mary Midgley, la quale, nel sottolineare la rispondenza filogenetica tra uomo e animale, spiega la nostra forte curiosità nei confronti del mondo vivente sulla base di una predisposizione simpatetica più accentuata nella nostra specie verso le altre creature. Ma il contributo più interessante proviene da Jurgen Habermas, che, pur se non può considerarsi un filosofo animalista—nel senso di un filosofo impegnato, come Peter Singer o Tom Regan, a riflettere specificamente sulla questione animale e ad elaborare un programma etico-politico radicale--,elabora una teoria dell’intersoggettività come fondamento dei nostri doveri morali estensibile anche agli animali—almeno a quelli con cui entriamo in comunicazione. In particolare, Habermas scrive di una responsabilità morale analogica, sostenendo che <nella misura in cui gli animali prendono parte alle nostre interazioni sociali, noi ne facciamo esperienza quali alter ego, come una controparte bisognosa di protezione, la quale giustifica in tal modo un suo diritto alla nostra tutela fiduciaria delle sue esigenze>. 8 Da qui il fondamento di una responsabilità morale analogica che sussiste nei confronti degli animali di cui facciamo esperienza nel ruolo (seppure non adempiuto in modo completo) di una seconda persona, animali che <noi guardiamo negli occhi come se fossero un alter ego. In tal caso, essi non sono più oggetto della nostra osservazione e nemmeno soltanto della nostra empatia, bensì esseri che, interagendo con noi, mettono in mostra la loro peculiarità>. In questo senso, si può parlare di una riabilitazione della figura dell’animale, basata sul riconoscimento della sua individualità, delle peculiarità del suo carattere, del suo comportamento e, quindi, delle sue esigenze. <Nella misura in cui gli animali prendono parte alle nostre interazioni, stabiliamo con loro un contatto che, essendo del tipo di una relazione intersoggettiva, va al di là dell’osservazione unilaterale>. In effetti, un animale che interagisce con noi non è più solo l’oggetto di un’osservazione scientifica o di una empatia, ma diviene, in qualche misura, il coprotagonista di un rapporto a due che evolve, si modifica, si rafforza o , viceversa, si indebolisce, si incrina, a seconda delle reazioni innescate dai partecipanti. Habermas ritiene che, nell’ambito di tale orizzonte comunicativo, noi dobbiamo poter ascrivere agli animali qualità di attori, tra l’altro, la capacità di dar inizio a enunciati e di indirizzarli a noi. Si tratterà, ovviamente, di enunciati non linguistici: la comunicazione cui ci si riferisce è di tipo non verbale, extra-razionale e, tuttavia, può essere altrettanto significativa di quella umana. Occorrerà decifrare quegli enunciati e decodificare quei messaggi per renderli comprensibili. Ma ciò che importa è che anche nel rapporto di comunicazione con gli animali familiari possiamo rinvenire i presupposti di quell’agire comunicativo che abbiamo con gli altri uomini e che è a fondamento dei nostri doveri morali verso di loro. Di conseguenza, anche i doveri morali si estendono, per analogia, agli animali con cui comunichiamo. E’ questo un punto del massimo interesse, perché fonda la nostra responsabilità morale nei confronti degli animali in quanto ‘comunicanti’ con noi, partecipi di un comune orizzonte di discorso. I nostri doveri morali sono legati alla nostra capacità di interagire e di comunicare sia con gli esseri della nostra specie che con quelli di altre specie. <Ovviamente—aggiunge Habermas—i doveri morali nei confronti degli animali sono analoghi ai doveri morali nei confronti degli uomini solo nella misura in cui le asimmetrie esistenti nell’interazione permettono ancora un paragone con i rapporti di riconoscimento stabiliti tra persone>.9 L’analogia è quindi da verificare alla luce delle asimmetrie e la possibilità di instaurare un paragone è condizionata all’accertamento delle somiglianze e delle differenze, onde evitare ogni mistificazione o distorsione. E’ importante precisare che le asimmetrie si riferiscono qui in particolare sia alle differenze di potere tra uomo e animale, sia al fatto che gli animali, dal punto di vista etico, non possono considerarsi soggetti morali a pieno titolo, a cui attribuire diritti e doveri e possibilità di reciprocare, ma solo pazienti morali. Proprio a causa di tali asimmetrie gli animali sono particolarmente difendenti dall’uomo e pertanto bisognosi di protezione. Quando si verificano interazioni che acquisiscono una speciale continuità e intensità—quelle appunto con gli animali familiari—la nostra coscienza morale, secondo Habermas, si fa sentire con particolare forza. 8 J. HABERMAS, La sfida dell’etica ecologica alla concezione antropocentrica in S. DELLA VALLE, a cura di, Per un agire ecologico, Ed. Baldini & Castoldi, Milano 1998, p. 388. 9 Ivi, p. 389 Habermas, prefigurando la possibilità di parlare di rapporti morali analogici con gli animali, esplora una via che può rivelarsi di grande interesse per la Pet Therapy. Mi riferisco a due mosse decisive: 1. si individua il radicamento della responsabilità morale nel contesto dell’agire comunicativo; 2. si estende il concetto di comunicazione alle sue valenze preverbali ed extra-razionali. Quali indicazioni possiamo ricavarne? Il riconoscimento dell’asimmetricità nel rapporto uomo/animale dovrebbe indurre a una condotta etica ispirata al paradigma della cura—che comporta una responsabilità che non prevede reciprocità, di tipo parentale, nei confronti di soggetti eminentemente deboli. Per quanto riguarda il significato dell’animale come interlocutore, la comunicazione tra individui di specie diversa dovrebbe favorire un atteggiamento di attenzione e di rispetto nei confronti della biodiversità. Il rapporto uomo/ animale può promuovere modalità di interazioni che facciano vivere tale esperienza al positivo, come occasione di apprendimento e di arricchimento10. Un ulteriore elemento caratteristico della comunicazione interspecifica mi sembra possa identificarsi nella sua flessibilità, nella sua libertà dai vincoli e dalle regole tipiche del rapporto interumano e, in particolare, della comunicazione verbale. Ciò può consentire un’espressione più libera di sentimenti e di emozioni, la manifestazione spontanea di ansie e paure e, quindi, favorire una migliore comprensione di se stessi. Si è più volte sottolineato che l’uomo, non sentendosi giudicato dall’interlocutore animale—e qui l’asimmetricità si rivela davvero funzionale—riesce a esprimere se stesso senza inibizioni e a scaricarsi da tensioni e paure spesso inconsce. Alla luce di queste indicazioni di carattere generale, la bioetica dovrà tenere conto delle diverse modalità del rapporto uomo/ animale, prendendo in particolare considerazione le variabili che lo definiscono e i fattori che lo influenzano (ad esempio, il tipo di animale scelto, la singola persona, la sua età, il suo sesso, le sue condizioni di salute, la sua storia, l’ambiente di vita, la cultura di provenienza etc.) per predisporre una serie di strategie che rendano tale rapporto rispettoso dell’identità di entrambi i partner, al fine di ottimizzare le possibilità di tale incontro. Si pensi, per fare un solo esempio, al ruolo che può avere in tale rapporto una cultura di provenienza fortemente antropocentrica, orientata verso un rifiuto della presenza animale, identificata con la negatività, il male, il disordine o, viceversa, una cultura ispirata al rispetto nei confronti del mondo vivente, tollerante, aperta alla diversità, che veda nell’animale un’alterità positiva, un compagno o un referente essenziale per l’uomo. Occorre qui segnalare l’importanza di un’educazione all’alterità proprio perché l’incontro interspecifico non sia l’occasione di sottomissione o di appropriazione né si riduca a un gioco di potere o inneschi meccanismi di identificazione. Certo noi proveniamo da una cultura che non ha sufficientemente tematizzato la differenza , specie quella dell’animale. Le modalità consuete sono state quelle della reificazione (riduzione dell’animale a oggetto, a macchina) o quelle dell’ antropomorfizzazione (interpretazione dell’animale in termini umani). Due opposti riduzionismi, che trovano la loro comune radice nella visione fortemente antropocentrica, di matrice sia laica che cristiana, caratteristica della cultura occidentale: una cultura del dominio. Ne deriva la nostra incapacità di guardare l’altro, senza in qualche misura appropriarcene, riportarlo o ridurlo a noi stessi, al nostro mondo, alle nostre categorie e quindi privarlo delle proprie radici, della propria identità. Non siamo ancora educati al piacere della presenza dell’altro nel rispetto di ciò che non ci appartiene; non riusciamo ancora a percepire l’altro, rispettandolo in quanto tale, in quanto soggetto. Ma è possibile un rapporto che si fondi sulla consapevolezza dell’alterità? La ‘cultura della percezione’—cui in precedenza accennavo—rappresenta questa nuova modalità di rapporto intersoggettivo, una modalità che permette di avvicinarsi all’altro e di conoscerlo lasciandogli la sua alterità e, soprattutto, rispettandolo nella sua alterità. La percezione non si riduce al semplice sentire, non è una ricezione passiva, viceversa richiede attenzione per il percepito, è un’elaborazione mentale: una via che conduce ciascuno al proprio essere e all’essere dell’altro e che perciò contribuisce all’instaurarsi di rapporti etici, alla tutela del ‘due’ nell’intersoggettività. La riscoperta del ruolo terapeutico degli animali—che sembrava scomparsa nell’era della medicina scientifica—può inquadrarsi altresì nella ricerca dei nuovi modelli di bioetica medica che si richiamano al paradigma del Caring e che assegnano largo spazio a interventi ‘dolci’, basata sul rapporto interpersonale uomo/animale nella cura e nella prevenzione delle malattie. Lo spostamento dell’attenzione dalla malattia al malato e dal malato alla persona— intesa nella sua interezza bio-psichico-storica—può favorire lo studio e l’impiego di terapie alternative che intendono fornire risposte più integrate ai bisogni del malato e che, soprattutto, considerano la malattia non come un fatto isolato, ma come risultato di un 10 Si vedano le considerazioni svolte al riguardo da R. MARCHESINI in Il rapporto uomo/animale nella complesso di eventi che riguardano biografia, ambiente sociale e situazione storica dell’individuo. Vi è un forte appello oggi all’umanizzazione della medicina, all’esigenza che si recuperi il nucleo etico essenziale della professione medica. Nell’idea di ‘alleanza terapeutica’— relazione retta dalla fiducia—ci si riferisce alla disponibilità del medico a identificarsi col paziente, alla sua capacità di ascoltarlo e non solo di ‘auscultarlo’. Ne discendono una diversa visione della malattia, come esperienza di un soggetto in una data situazione, e un richiamo alla dimensione soggettivo-esistenziale della sofferenza: si può certo parlare del dolore in generale, elaborando categorie utili a fissarne e a precisarne la fenomenologia ma il rischio è di dimenticare il soggetto che soffre, il titolare, per così dire, della sofferenza. Da qui una crescente attenzione per le modalità personali, esistenziali, profonde con cui il singolo individuo vive la sua sofferenza e si rappresenta la sua malattia. Questa centralità della figura del sofferente, del soggetto, corrisponde a un’istanza non solo di tipo etico—rispetto per la sua individualità, tutela della dignità della persona—ma anche epistemologico. Si fa strada, infatti, sempre più la consapevolezza dell’insufficienza di un approccio meramente quantitativo alla sofferenza. Ciò significa il recupero dello spazio della soggettività—e cioè dei modi irripetibili e imprevedibili in cui il soggetto fa esperienza della sua malattia—e il riconoscimento delle dissonanze inevitabili tra le categorie generali dei manuali e i vissuti concreti dei sofferenti—per cui occorre rivedere e riformulare lo stesso vocabolario medico relativo alla malattia. Ma appare soprattutto importante considerare con la massima attenzione tutte quelle autorappresentazioni, cariche di significati simbolici, secondo cui il soggetto vive il suo dolore. Per l’ammalato, infatti, la malattia non è semplicemente il guasto di un ingranaggio, è, innanzitutto, una questione di senso. Il corpo diventa improvvisamente estraneo se non nemico; si scatenano emozioni profonde, angosce, paure. Il medico non può essere solo il tecnico della parte ammalata. Tra i vari aspetti del rapporto medico/ paziente, che sono oggetto di una riflessione bioetica, mi sembra degno di particolare interesse, ai fini del discorso sulla Pet Therapy il riconoscimento della soggettività del paziente. Il limitare, infatti, l’intervento medico a un esame oggettivo, a una diagnosi esatta su uno stato del corpo o di una sua parte e a un’eventuale prescrizione terapeutica, può apparire un atto tecnicamente valido. Esso, in realtà, costituisce, oltre che una risposta insufficiente rispetto ai bisogni del paziente, un atto che ignora la base psico-affettiva dello stato di salute e di malattia. Da tale insufficienza deriva una riduzione del paziente stesso da soggetto prospettiva zooantropologica in Id., a cura di, Zooantropologia cit., pp. 28-72. sofferente a oggetto di interesse medico, con una limitazione della potenzialità e dell’efficacia del rapporto terapeutico. Viceversa, una percezione e un’interpretazione non riduttiva ma più ampia dei bisogni e delle richieste di cui il paziente è portatore, favoriscono una presa in carico non limitata al puro sintomo fisico. Occorre aggiungere che, nell’area del ‘malessere’, delle piccolo patologie di origine sociale e psicologica, si manifesta il modo culturale e soggettivo in cui si vive come stato di sofferenza quello che si definisce come malattia. Ma il Caring può rivelarsi la risposta più appropriata anche allorché ci si trovi dinanzi a malattie incurabili, croniche, per cui non esiste una terapia, una cura. Solo una medicina che si prefigga come fine non la guarigione ma il benessere globale dei pazienti incurabili, potrà rispondere al loro bisogno di essere ascoltati, protetti, rassicurati. In questo quadro, l’impiego delle cosiddette terapie dolci come la Pet Therapy può rivelarsi in sintonia con l’idea di una medicina della cura (Caring) piuttosto che della guarigione. Se non possiamo pretendere che gli animali diventino i ‘guaritori’ delle nostre malattie, quello che potremmo forse, ragionevolmente, attenderci è che, grazie alla loro presenza, e con l’aiuto di opportune condizioni e strategie appropriate, possa instaurarsi un buon rapporto di cura. PRESENTAZIONE DI PROGETTI DI PET-THERAPY REALIZZATI SUL TERRITORIO DELLA PROVINCIA DI REGGIO EMILIA DA PARTE DEI SEGUENTI ENTI : AUSL DEL DISTRETTO DI SCANDIANO DI RE OSPEDALE PSICHIATRICO GIUDIZIARIO DI RE ISTITUTO AGRARIO “A. MOTTI” DI RE LABORATORIO LESIGNOLA Presentazione Io dovrei raccontarvi una esperienza di ATTIVITA’ ASSISTITA CON ANIMALI effettuata presso il CENTRO POLIFUNZIONALE ANZIANI (CASA PROTETTA PER ANZIANI NON AUTO) Casalgrande RE L’attività è stata realizzata nel PERIODO: aprile/maggio 2002 (poi interrotta perché con gli ospiti partivamo per il soggiorno estivo) OBIETTIVI: Stimolo capacità relazionali Stimolo capacità sensoriali e di coordinamento motorio Recupero motivazione al movimento Organizzazione spazio temporale PARTECIPANTI AL PROGETTO: OSPITI COINVOLTI: 7 (su 20), quelli con le migliori capacità cognitive (di cui 3 ospiti in carrozzina, 2 con discrete difficoltà motorie, 1 non vedente) EQUIPE PET THERAPY: gruppo Pet Therapy del Distretto di Scandiano (Veterinario, infermiera, assistente sociale, educatrice) ed un AdB della struttura ANIMALI COINVOLTI: 2 (Meticcio e Labrador coinvolti in momenti diversi) Vorrei sottolineare anche il METODO che si è seguito per formulare il progetto perché i pare significativo: INCONTRI PREPARATORI: Equipe con il Coordinatore della struttura Equipe con tutto il personale della struttura Parere del medico di MG SEDUTE : 8 che duravano dai 20 ai 40 minuti (in base alla risposta degli ospiti e alla reazione del cane – una volta l’incontro è stato interrotto perché il cane dava segni di stress) INCONTRI DI VERIFICA PER RESTITUZIONE ESITI: Equipe con il Coordinatore della struttura Coordinatore con tutto il personale della struttura RISULTATI: Gli ospiti: La presenza in struttura del gruppo di Pet Therapy è stato uno stimolo importante alla relazione tra gli ospiti che partecipavano all’attività e tra questi e gli operatori del gruppo. L’attività assistita con gli animali era poi occasione di discussione, nei giorni successivi, con gli ospiti che non partecipavano all’attività, con gli operatori e con i familiari e quindi c’era una ricaduta positiva che andava aldilà della durata delle sedute. Soprattutto nei confronti di un ospite, la presenza del cane è servita per sbloccare la comunicazione dapprima quasi inesistente ed invece durante le sedute è iniziata e poi proseguita anche con gli operatori della struttura (la comunicazione ha riguardato il passato ma anche i desideri per il presente). Sono stati stimolati e motivati a muoversi di più (andare nella sala o all’esterno per l’attività, dare da mangiare, tirare la pallina…). Sono riaffiorati una serie di ricordi, cosa che non era avvenuta in precedenza (di quanto erano importanti gli animali domestici quando lavoravano in campagna, di quanto volevano bene ai loro cani o viceversa avevano brutti ricordi perché in famiglia tenevano “cani da caccia feroci, enormi e poco affettuosi”), e, soprattutto, questi ricordi sono stati socializzati, messi in comune con gli altri ospiti ed operatori. La cadenza settimanale ha aiutato nell’orientamento spazio-temporale (è venerdì, allora vengono quelli con il cane oppure oggi vengono quelli con il cane allora è venerdì. In alcuni ospiti l’attività ha stimolato la capacità di confrontare e paragonare attività diverse. SERVIZIO VETERINARIO Reggio Emilia Sud DISTRETTI DI : DIPARTIMENTO DI SANITA’ PUBBLICA CASTENUOVO NE’ MONTI Via Bagnoli, 85 Tel. 0522 617338 Fax 0522 612105 MONTECCHIO EMILIA Via Marconi, 18 Tel. 0522 860144 Fax 0522 860140 SCANDIANO Via M. della Libertà, 8 Tel. 0522 850343 Fax 0522 850297 RESPONSABILE : Dott. P. Bolognesi Voglio rivolgere a tutti voi un cordiale saluto e un ringraziamento perché con la vostra presenza avete sottolineato l’importanza di questo convegno. Sono un veterinario dell’AUSL di Reggio Emilia del distretto di Scandiano e ho l’onor di coordinare un gruppo multidisciplinare di Pet Therapy nato alcuni anni fa in seguito alla constatazione che all’interno dei vari Servizi erano presenti figure professionali che pur se a titolo personale, si interessavano di progetti assistenziali con animali. Il confronto delle singole esperienze e una attenta esplorazione della realtà ci permettevano di arrivare alla formulazione di un documento intitolato “Diagnosi di Comunità” per la stesura di piani specifici di Pet Therapy nelle strutture di assistenza sociale presenti nel distretto di Scandiano, documento contenente le linee guida di un Piano di lavoro che, presentato alla Direzione del Distretto, consentiva di giungere alla costituzione formale del gruppo e al suo riconoscimento ufficiale da parte dell’Azienda. I progetti obbiettivi elaborati vennero concepiti per strutture residenziali per anziani e contraddistinti da protocolli operativi differenti che verranno illustrati in modo più dettagliato dai relatori che seguiranno. Non voglio tediarvi con l’enunciazione cronologica della storia del gruppo nelle sue varie tappe, preferisco riferire alcuni aspetti che non erano stati previsti e precisamente: 1) Abbiamo scoperto quanto sia costruttivo il lavoro di gruppo e il fatto di poter affrontare ogni problema a 360° con ottiche molto spesso diverse ma sempre complementari e sinergiche ai fini del risultato. 2) Nello stesso tempo abbiamo scoperto quanto sia difficile lavorare insieme, soprattutto dal punto di vista organizzativo, in quanto i singoli impegni possono rendere difficoltoso anche il solo fatto di incontrarsi periodicamente. Un altro aspetto emerso riguarda il problema della formazione che già da tempo alcuni membri del gruppo vanno ricercando con la partecipazione a corsi di aggiornamento che se da un lato ampliano le conoscenze individuali specifiche, dall’altro non risolvono mai completamente i dubbi e le incertezze che si presentano quando si tratta di rendere operativi i progetti elaborati. E’ per questo che finora abbiamo operato esclusivamente nelle strutture riservate agli anziani con l’obiettivo di migliorarne la qualità della vita, ma non nascondiamo di essere sempre più interessati alla zooantropologia applicata alla didattica perché crediamo che solo promovendo nelle giovani generazioni un cambiamento culturale antitetico a questo antropocentrismo imperante l’uomo possa sperare di ritrovarsi a vivere più serenamente nel rispetto della natura e in armonia con l’ambiente. Per concludere vorrei esprimere la nostra gratitudine alla Dott.ssa Riccò e al Dott. Caldani che fin dall’inizio hanno condiviso e incoraggiato questo piano operativo e da ultimo, non certo per importanza, il nostro plauso all’ Assessore Margherita Bergomi che si è dimostrata sensibile alle richieste di formazione da noi formulata fin dai primi incontri. Ora un evento formativo di queste dimensioni fa sicuramente onore alla sua persona e all’ente che rappresenta e ci lusinga l’idea che il merito possa essere stato anche un po’ nostro. Laboratorio Lesignola presenta Pet therapy con ragazzi in difficoltà “Alcuni dei nostri migliori insegnanti non possono parlare. Forse è proprio per questo che sono dei grandi insegnanti..”. Samuel Ross L’empatia e il potere empatico degli animali L’empatia dal greco em - patheia significa comprensione o sofferenza simpatetica. Non vi sono dubbi che gli esseri umani siano in grado di captare le emozioni degli altri attraverso il linguaggio del corpo o altre informazioni che cadono sotto il dominio dei sensi e che gli animali si valgano degli stessi strumenti con gli esseri umani. Ciò che è importante non è tanto il modo in cui i sentimenti si trasmettono, quanto il fatto che l’animale risponda in modo simpatetico. La capacità dell’animale è quella di creare un clima facilitante in cui un individuo è libero di scegliere qualsiasi direzione, ma che si è visto, di fatto seleziona percorsi positivi e costruttivi. Prendersi cura di un animale e ricevere indietro incondizionatamente attenzione e affetto ricrea il valore e la forza del ragazzo. Un individuo aumenta la stima di sé e prende in considerazione maggiormente il proprio valore quando sente qualcuno interessato a lui e di cui ci si può fidare: il clima facilitante (assenza di giudizio e congruenza) che l’animale crea stimola la persona a riappropriarsi del proprio potere personale. L’empatia vera è sempre libera da ogni qualità diagnostica o giudicante e la persona, percependolo, accresce gradualmente la propria capacità di auto-accettazione. Esiste un vero e proprio potere di guarigione nell’empatia: una capacità di percepire il proprio mondo in modo nuovo e sentirsi in contatto con nuove energie per risolvere situazioni che parevano insolvibili. Più ci connettiamo con i sentimenti e i bisogni degli altri al di là delle parole, più tocchiamo la loro umanità e stimoliamo la loro autonomia e integrità. L’empatia non solo aiuta a connettersi con gli altri , ma accresce anche la nostra comunicazione interiore, quella rivolta a noi stessi che forse è la più carica di pesanti giudizi. Un ascolto attento di noi stessi aumenta la consapevolezza delle nostre possibilità. Nella consapevolezza che l’uomo è “possibilità delle possibilità, quindi possibilità infinita”, veniamo riportati alla fonte delle nostre energie interiori. Il ruolo dell’animale con i ragazzi con disagio Molto spesso i ragazzi cosiddetti “a rischio”, vivono sentimenti di depressione, di distacco o di non accettazione; essi necessitano di sentire un senso di connessione, un legame personale con un altro essere vivente. Per molti un legame con un adulto o con un pari è rischioso e in molti casi l’animale è una risposta adeguata. Il comportamento amorevole di un cane o un gatto o un altro animale domestico, è al tempo stesso causa ed effetto del vincolo che contrae con l’uomo e si esprime al meglio quando il padrone è in condizioni di bisogno: la relazione che si crea con l’animale diventa un trampolino per un successivo collegamento con l’uomo. “La bontà del ragazzo è così sguinzagliata” e anche gli animali ne traggono beneficio. Un animale domestico può aiutare ad insegnare ad un bambino a prendersi cura di un essere vivente che egli ama; l’animale diventa un confidente, un amico, un ammiratore, un protettore e un alleato contro gli attacchi nemici dell’istituzionalizzazione. La maggior parte di questi bambini non ha mai avuto come riferimento una figura autorevole, con doti di fermezza e di gentilezza e perciò ha una scarsa autostima e una bassa soglia di frustrazione. Quando sono frustrati, diventano facilmente aggressivi verso i loro pari o verso le figure adulte che hanno di fronte. In questo contesto è importante che il bambino abbia qualcuno con cui relazionarsi e con cui confidarsi, qualcuno che egli possa considerare di sua proprietà, da amare e da proteggere e da cui essere protetto. Laboratorio Lesignola: esperienze professionali che si incontrano Laboratorio Lesignola è l’incontro di un gruppo di persone con competenze differenti che credono nel rapporto uomo- animale come momento prezioso per favorire il contatto con i sentimenti e le emozioni necessarie per crescere, per esprimersi, per trovare la propria integrità. Del laboratorio Lesignola fanno parte: • Dr.ssa Chiara Bertozzi, pedagogista, con esperienza di promozione del benessere a scuola, di sostegno per l’integrazione di ragazzi sinti e stranieri e esperta di laboratori di creatività ; • Dr.ssa Marta Ferretti, psicologa che si interessa delle dinamiche dell’ascolto e della facilitazione delle relazioni e studia la relazione d’aiuto presso l’Istituto dell’Approccio Centrato sulla Persona fondato da Carl Rogers, Charles Devonshire e Alberto Zucconi; • Dr. Corinto Corsi, formatore che ha lavorato nel campo della formazione sul lavoro e che si sta dedicando alla cura delle modalità che favoriscono la relazione e l’apprendimento, in particolare quando c’è differenza di ruoli (insegnanti/allievi, genitori/ figli, capo/addetti, ecc.) • Dr. Carminio Gambacorta, medico veterinario, con esperienze da educatore sia con ragazzi disabili che con minori in difficoltà, interessato a studiare il comportamento degli animali domestici e la loro implicazione nella relazione con l’uomo. Da quando è nata, Lesignola ha realizzato progetti di Pet therapy nelle scuole dell’infanzia, elementari e medie e negli ultimi anni si sta specializzando in attività rivolte a ragazzi in difficoltà preadolescenti e adolescenti. Nell’ultimo anno ha realizzato progetti con un Get di Reggio Emilia con ragazzi con disagio di 7/10 anni, con un Get con ragazzi di 11/13 anni, con ragazzi considerati “a rischio” del Convitto Nazionale di Correggio di 15/18 anni e con ragazzi della Cooperativa Pangea di Scandiano. Life skills Tutti i progetti del Laboratorio Lesignola sono centrati non tanto sull’insegnare abilità ma sul favorire l’autoconsapevolezza, la capacita di centrarsi su di sé e gestire la propria energia, per saperla modulare al fine di avere una relazione ottimale con l’altro. Questo aspetto di attenzione allo sviluppo di queste “abilità” nei ragazzi si sta diffondendo e sta influenzando le progettazioni in vari ambiti. Si parla molto delle Life Skill che l’OMS vede alla base dello sviluppo educativo e promuove come fondamentali per la promozione della salute a partire dall’educazione. Più i ragazzi diventano consapevoli di ciò che si muove dentro di loro nelle situazioni, più ne hanno padronanza. Più sanno dare un nome, più sanno stare con le emozioni e più diventano integri, sicuri e gli strumenti per gestire la carica emotiva aumentano. Secondo la definizione fornita dalla WHO (Divisione della salute mentale), i “life skills sono abilità/capacità che ci permettono di acquisire un comportamento versatile e positivo, grazie al quale possiamo affrontare efficacemente le richieste e le sfide della vita quotidiana.” Insegnare gli skills in relazione a problemi generali o più specifici della vita quotidiana, è un efficace strumento di prevenzione primaria. Empatia, autocoscienza, relazioni interpersonali,risoluzione dei problemi, senso critico gestione delle emozioni, pensiero creativo, decision making, gestione dello stresso , comunicazione sono promozione delle competenze emozionali. L’esperienza con i Get di Reggio Emilia Che cos’è il G.E.T. Il progetto G.E.T. (gruppi educativi territoriali) nasce a Reggio Emilia nel 1988. Si tratta di un progetto di territorio che si qualifica per la sua valenza preventiva e per il suo carattere socioeducativo. E’ rivolto a bambini e ragazzi in difficoltà che vivono in situazioni di privazione socioaffettiva, relazionale, personale e familiare: problematiche che determinano anche situazioni di disadattamento scolastico e sociale. Oltre all’attività di svolgimento dei compiti, il Get offre spazi di integrazione con i coetanei e attività che stimolino sia processi di conoscenza e motivazione personale sia processi di appropriazione del tempo affettivo, sociale e cognitivo. Obiettivi del progetto Abbiamo analizzato, insieme agli educatori, la loro esperienza dell’anno precedente con gli stessi ragazzi e alla fine è emerso un unico obiettivo generale: • riconoscere ed accettare in modo rispettoso le situazioni di diversità a partire da quelle che si presentano nel rapporto con gli animali . Metodologia Come laboratorio Lesignola abbiamo individuato una griglia metodologica che utilizziamo sempre all’interno dei nostri progetti: Accoglienza Impatto con la diversità Attività di empatia Simbolizzazione/interazione Conclusione • in una prima fase abbiamo ritenuto di focalizzarci sulle modalità e sulle capacità che aiutano a “stare bene” con gli animali. Questo lavoro ha comportato il riconoscimento di “come è fatto” un animale e delle modalità che ci aiutano a “stare bene” con quell’animale; in questa fase abbiamo portato i ragazzi a sperimentare il piacere di una relazione rispettosa in un contesto di “assenza di giudizio”, in quanto gli animali danno ai ragazzi questa opportunità unica, reagendo al comportamento degli umani in modo congruente alla loro natura. • Nella seconda parte abbiamo cercato di spostare l’attenzione sul rapporto dei ragazzi fra loro, per verificare che alcune attenzioni e abilità che sono servite a stare meglio con gli animali, abbiano potuto aiutarli a intendersi e a “stare meglio” tra loro. • Nella parte finale abbiamo cercato di dare spazio e di favorire delle piccole attività individuate in modo autonomo dai singoli ragazzi, da realizzare con gli animali che hanno conosciuto. L’obiettivo è consistito nell’approfondire la consapevolezza del benessere che nasce da attività dove c’è attenzione all’altro e alle sue specificità. Animali coinvolti: • alcuni cavalli di un centro di riabilitazione equestre • Corinto, un cane labrador • Guerino, un gatto Tutti questi animali erano controllati dal punto di vista sanitario e comportamentale. Operatori coinvolti: In tutti gli incontri erano presenti due educatori dei Get e un operatore di Lesignola (il veterinario). Inoltre si è avuto , in alcuni momenti, l’intervento come supervisore di uno dello staff di Lesignola. Attività effettuate: • giochi interattivi di conoscenza degli animali • giochi di empatia tra animali e bambini • laboratori espressivi e creativi • role-play • discussioni guidate tra i ragazzi Valutazione e documentazione: È stata creata una documentazione sia fotografica che di raccolta di vissuti e emozioni dei ragazzi da parte degli educatori Get. Documentazione finale e programma svolto La documentazione finale è stata effettuata in collaborazione con gli educatori dei Get. Il progetto si è articolato in un percorso di circa 15 incontri, di cui alcuni in fattoria e altri nei rispettivi G.E.T. Tutti gli incontri sono stati tenuti dall'esperto in compresenza con gli educatori. Alcuni ragazzi hanno presentato i loro elaborati nelle rispettive classi con l’intervento dell’esperto e del suo cane Corinto, alla presenza di insegnanti ed educatori. Alla presentazione del cartellone hanno fatto seguito le diverse domande che avevamo preparato per i compagni di classe. La breve lezione, tenuta dai ragazzi, ha suscitato in ogni classe grande interesse da parte dei compagni che sono intervenuti con domande specifiche e curiosità, nonché con il racconto di aneddoti personali, rivolgendosi ai “nostri esperti” per avere chiarimenti. L’esperienza è risultata assai significativa per i ragazzi del GET, che hanno vissuto momenti di protagonismo in un contesto, come la scuola, che solitamente non li vede emergere. PRESENTAZIONE DI PROGETTI DI PET-THERAPY REALIZZATI SUL TERRITORIO NAZIONALE DA PARTE DEI SEGUENTI ENTI: ASSOCIAZIONE CULTURALE CAVE CANEM CENTRO DI PETTHERAPY DI PADOVA CENTRO CINOFILO EUROPEO DI ALDO SPINA DI MILANO AMICI DELL’IPPOTERAPIA ASSOCIAZIONE ONLUS DI PESARO Buongiorno, innanzitutto vorremmo ringraziare la Provincia di Reggio Emilia , il Dott. Marchesini e tutti voi per lo spazio che ci avete concesso, faremo tesoro del ns. tempo per presentare una ns. esperienza e per illustrarvi i progetti che abbiamo in cantiere. Sono RAMPAZZO GIANCLAUDIO, referee in z.d. e prossimo operatore pet- partner e faccio parte di un team multiprofessionale così costituito. Veterinaria Dott.ssa ROBERTA PALLADINO Educatrice Dott.ssa DARIA ZANOCCO Psicologa Clinica Dott.ssa MONICA MARIA SACCINTO Scienze Motorie Dott.ssa VIRGINIA RIZZO Addestratori cinofili CLAUDIO RAMPAZZO – MARIA RIELLO – MICHELA FONTANA Operatrice Socio Sanitaria MICHELA FONTANA Abbiamo un centro che si trova a LIMENA (PD) ed è strutturato su 12.000 metri q. di area verde, suddivisi in due zone ben distinte e comunicanti, in un’oasi di pace ad 8 Km. Dal centro di PD In una di queste due aree cresce un boschetto di piante autoctone con percorsi attrezzati per la deambulazione con i cani e l’area verde permette il crearsi di un beard-garden e di Un butterfly-garden, disponiamo di un ampio porticato dove poter lavorare anche quando le condizioni climatiche sono avverse ed è in fase di approvazione l’ampliamento della struttura già esistente, con la costruzione di un’aula didattica e di locali adibiti esclusivamente alle attività di pettherapy e z.d. Nelle ns. attività ci avvaliamo soprattutto di cani di razza Labrador e Golden Retriever (circa una quindicina) e di altre specie di animali dalle caratteristiche etologiche diverse quali gatti, conigli e caprette, tutti animali che vivono in struttura e che sono continuamente controllati sia sotto il profilo salutare che psicologico Poiché abbiamo testato che l’ambiente dove svolgiamo la ns. attività influisce positivamente nell’ applicazione della Pet-Therapy siamo orientati a svolgerla il più possibile presso la ns. struttura, siamo comunque attrezzati a spostarci con i cani qualora questo non fosse possibile. Il ns, lavoro è iniziato grazie ad una collaborazione con l’USLL 16, in particolare il Centro disabili Psichici Gravissimi dell’ospedale ai Colli, Questo centro diretto dal dott. PAOLO Paolucci, ospita persone con disabilità psichica piuttosto rilevante, prevalentemente di tipo autistico. Si tratta di persone assolutamente non autosufficienti, prive delle abilità sociali e comunicative di base in cui il ritiro sociale è davvero molto pronunciato. Il programma di Pet-Therapy con queste persone ha cercato di stimolare aspetti: - MOTORI - COGNITIVI - LUDICI - ESPRESSIVI - . Le sedute si sono svolte presso il ns. centro con una cadenza settimanale e con una partecipazione di circa quattro o cinque ragazzi alla volta di un’ età compresa tra i 25 ed i 30 anni. Il primo incontro con i cani per tutti i ragazzi è stato caratterizzato da una diffusa diffidenza, erano restii a farsi avvicinare, a toccarli ad offrir loro dei biscotti che invece tentavano ripetutamente di mangiarsi. Una cosa comunque che abbiamo notato è che era più facile indurli all’interazione con l’animale quando vedevano già una figura a loro nota che provava piacere a farlo. Per cui una volta individuato chi era più interessato, ci siamo concentrati su questo e abbiamo lasciato che gli altri stessero ad osservare finchè non hanno mostrato qualche segno di interesse. Nel loro gruppo, quello che sin dall’inizio si è mostrato meno intimorito è stato Francesco, allora abbiamo preso un cucciolo di Golden Retriever di circa 30 gg. di vita e tenendolo in braccio noi glielo abbiamo fatto accarezzare, il pelo del cucciolo era molto morbido ed il calore stesso del suo corpicino hanno indotto Francesco a soffermarsi a lungo nell’accarezzarlo. Questo ci ha permesso di entrare in comunicazione con lui e ci ha aperto la via di accesso alla interazione con diversi altri ragazzi che si sono alternati nelle ns. sedute fino a che non sono stati individuati quelli che traevano maggior giovamento da esse Non ci soffermeremo su FRANCESCO……………………………………………………………. che ha tratto un beneficio tale dalle ns. sedute al punto che l’abbiamo nominato ns. aiutante. Inoltre sia a lui che ad altri ragazzi del gruppo si è potuta ridurre di molto la terapia farmacologia alla quale erano sottoposti, in particolare viene dimezzato l’ansiolitico (EN) e ridotto il neurolitico (ENTURIN) vi parleremo invece di GIORDANO, ragazzo affetto da autismo, ha un gemello colpito dalla stessa patologia, dal quale lo psicologo ha dovuto separare per poter avere i primi risultati. Con l’esempio di Francesco, pian piano accarezzando un cucciolo prima ed un cane adulto poi, lanciando all’inizio una pallina sonora e poi una qualsiasi, pur di far giocare il cane, siamo riusciti ad insegnarli a riempire un ciotola di pappa, a fargliela portare al cane da nutrire, a fargliela lavare e riporre. Ora Giordano conduce a passeggio i cani tenendo bene il guinzaglio (lui di solito trattiene una cosa in mano per brevissimo tempo) offre loro i biscotti come premio, a volte lanciandoli ma molto spesso porgendoli e traendoli autonomamente dalla tasca dove glieli mettiamo. Riesce anche a trasportare per un lungo tratto la ciotola dell’acqua quando i cani hanno sete, sta seduto sulla panchina con un cane vicino, lo accarezza dolcemente giungendo a volte a canticchiare una nenia molto dolce. Se arriva al ns.centro insonnolito o triste, sempre riusciamo a strappargli un sorriso e a fargli passare la malinconia. Al momento di andarsene, molto spesso si mostra reticente a salire sul pulmino del ritorno e si concede almeno un ultimo lancio di pallina ROBERTO è arrivato al ns. centro più tardi degli altri ragazzi ed oltre alla diffidenza mostrata da tutti all’inizio, sembrava proprio che i cani gli dessero fastidio Abbiamo un labrador molto dolce che si chiama GIUSS, ogni volta che c’è seduto qualcuno sulla panchina, lui ci sale, si appoggia lentamente alla persona, infila pian piano la testa sotto il suo braccio, gliela appoggia al petto, sfodera una lingua kilometrica appena umida di saliva e si prodiga in affettuosissimi leccamenti giungendo letteralmente a crollare in braccio alla persona .Bene, questo cane ci ha dato la chiave d’accesso a Roberto che ora conduce correttamente i cani a guinzaglio giungendo, nelle ultime sedute a tenerlo con tutte le dita a mano piena e non con solo il pollice e l’indice, dita che usa per compiere tutte le altre sue azioni Ora percorre aglilmente dei percorsi più difficoltosi che gli proponiamo ed è sempre sorridente, cerca il contatto con noi, a volte ci prende a braccetto e vuole che passeggiamo assieme oppure si prende autonomente un cane e passeggia tra gli alberi in fondo al viale. TINO ci sembrava un caso disperato. La prima volta che è venuto ad una seduta accompagnato dal padre, appena ha visto i cani si è trinceato in macchina innervosendosi ed iniziando a diventare violento, per cui in tutta fretta il padre l’ha portato via Per un certo periodo a casa sua hanno avuto un cane ed ora invece hanno un gatto che lui proprio non sopporta e che getta sistematicamente dalla finestra ogni volta che lo riesce a prendere Alla seconda seduta Tino è venuto in pulmino con i suoi compagni e si è mostrato meno oppositivo, si è accucciato in un angolo ed ha tracciato una linea immaginaria che delimitava il suo spazio ovviamente interdetto ai cani, Gli si è avvicinata Turandot che lui ha respinto ma dolcemente Le sedute successive, non passeggia ma dal suo angolo comincia ad interagire con i cani, infatti vorrebbe respingerli e ci chiede aiuto per allontanarli. Ma noi lasciamo che se la sbrighi da solo (ovviamente dietro ns.sorveglianza) Alcuni cani si allontanano ma Notte, una Labrador nera che vive di carezze, invece che allontanarsi, si stende davanti a lui e trasforma le sue spinte in coccole. Tino comincia a toccarla, ad accarezzarle la testa, poi il dorso, le apre e chiude la bocca , studia il suo apparato masticatorio e nasce un grande amore. Alle sedute successive Tino scende dal pulmino sorridente e subito cerca la compagnia di Notte arrivando ad abbracciarla e baciarla e lasciandoci tutti piacevolmente sorpresi. Alcune volte passeggia con il gruppo ed altre no, ma dal suo angolo richiama a sé i cani riuscendo sempre a tenersene qualcuno accanto a per giocare. Molto spesso li abbraccia e li bacia, offre loro dei biscotti ed osserva attentamente le espressioni del loro muso. Volevo precisare che il lavorare con questi ragazzi, oltre ad essere importante per loro ha anche arricchito interiormente noi operatori. Le sedute infatti ci lasciano spossati ma sereni e stimolati a proseguire per una strada che offre ogni giorno di più nuove motivazioni. A fine giugno abbiamo sospeso le sedute per il troppo caldo negli orari in cui i ragazzi erano disponibili a partecipare. Ora abbiamo ripreso ed assieme al Dott. Salis , che li segue al centro dovwe sono ospitati, stiamo preparando un programma di lavoro che viaggia parallelo e con obiettivi comuni a quello svolto dai ragazzi quotidianamente, attento alle esigenze individuali, che tiene conto delle abilità specifiche e delle potenzialità di ciascun ragazzo. Oltre ai report che redigiamo alla fine di ogni seduta, abbiamo creato delle griglie di valutazione comportamentale, interpersonale e di relazione con l’animale come strumento di verifica e valido aiuto per le programmazioni future. GRIGLIE DI VALUTAZIONE PERSONALE Data Nome Seduta n° STATO EMOTIVO REAZIONI Arrivo Primi 30 minuti Ultimi 30 minuti Partenza Ppp Piange Ride Ha paura E’ agitato E’ indifferente E’ sereno E’ aggressivo E’ diffidente E’ insofferente E’ triste INTERAZIONI CON L’ANIMALE Primi 30 minuti autonomamente Stimolato Ultimi 30 minuti autonomamente Stimolato Sta vSta vicino Gioca Accarezza Tocca Respinge Verbale Porge biscotti Sta vicino Passeggia CON Primi 30 minuti Ultimi 30 minuti L’OPERATORE Autonomamente Stimolato AutoAutonomamente Stimolato Verb Verbale Non Verbale CON IL Primi 30 minuti Ultimi 30 minuti GRUPPO Autonomamente Stimolato Autonomamente VerbVerbale Non Verbale PassPasseggia Gioca GRIGLIE DI VALUTAZIONE PERSONALE Data Nome Seduta n° Stimolato ATTIVITA’ CUCINA Primi minuti Ultimi minuti Autonomamente Stimolato Autonomamente Stimolato PPrende la ciotola Prepara il mangiare Porge la ciotola al cane Pulisce e ripone la ciotola Da’ da bere GIOCO Primi 30 minuti Autonomamente Stimolato Ultimi 30 minuti Autonomamente Stimolato LLancia la pallina Esegue percorsi semplici Esegue percorsi complessi Premia con biscotti ABILITA’ Primi 30 minuti Autonomamente Stimolato Ultimi 30 minuti Autonomamente Stimolato Sa condurre col guinzaglio Sa tenersi accanto il cane Spazzola il cane Mette/toglie il guinzaglio Apre/chiude il cancello Stiamo inoltre preparando del materiale che può essere utilizzato dai ragazzi al di fuori delle sedute. In particolare una favola, illustrata con disegni e foto dei ns. animali, che ha come protagonisti i cani e i ragazzi del centro, in modo da mantener vivo il ricordo del rapporto instauratosi. Analizzando il rapporto svolto finora ci sembra che la PT abbia avuto un ruolo fondamentale nel motivare in questi ragazzi movimenti affettivi ed emozionali. Abbiamo visto come l’animale riesce ad avvicinarsi alla persona isolata perché il rapporto è vissuto in maniera meno minacciosa che in una relazione con persone. La comunicazione che si instaura fra persona e animale non deve seguire rigide regole sociali perché si basa soprattutto sul contatto fisico e sulla gestualità. La validità di un programma di PT consiste nel far emergere una relazione affettiva con l’animale e non il suo uso strumentale. Il rischio nello svolgere questo tipo di lavoro è che il ragazzo crei una relazione esclusivista con l’animale è importante perciò spostare il focus dell’attenzione dal cane alle altre persone presenti nel settino motivando il ragazzo a mantenere alto il tono relazionale. A testimonianza di quanto espostovi fino ad ora vi leggiamo uno stralcio di lettera inviataci dal Dott. Paolo Paolucci del centro disabili psichici gravissimi di via dei colli PD: “ in tutti gli ospiti, ognuno coerentemente alle proprie possibilità di apprendimento e motivazione, si è mantenuto, nei mesi di frequentazione della PT, un vivo interesse a questa attività e un miglioramento nelle abilità di relazione con l’animale. In particolare l’attività di PT ha permesso negli ospiti un miglioramento negli aspetti di socializzazione che ha creato un feedback positivo in tutte le attività proposte al centro, verificate attraverso un aumento oggettivo delle capacità di attenzione, di partecipazione e di amalgama complessiva su tutti gli aspetti di recupero delle capacità residue” Siamo un delle poche associazioni in Veneto a svolgere questo tipo di servizio, crediamo in quello che stiamo facendo e vorremmo fare in modo che sempre più persone possano usufruire del ns. lavoro, rispondendo così alle richieste cghe ci stanno arrivando. Con la ns. equipe stiamo perciò lavorando su un progetto che presenteremo alla Regione Veneto e che se verrà approvato, potrà garantirci una strutturazione del centro sempre più funzionale, con la creazione di varie aree dedicate a diverse attività a seconda delle esigenze del fruitore. Il finanziamento che chiediamo ci permetterebbe inoltre di essere un supporto anche per le famiglie dei disabili (che hanno comunque bisogno di sostegno ed in particolare i fratellini dei minori con problemi) in modo che possano beneficiare gratuitamente del servizio che svolgiamo. Oltre ai programmi di PT che l’associazione rivolge a bambini ed adulti con disabilità, abbiamo preparato dei programmi di Zooantropologia Applicata alla Didattica per alcune scuole elementari della ns. zona. Questi progetti individuano nella relazione tra persona ed animale un mezzo per far emergere valenze pedagogico-educative. In un periodo in cui ogni notizia di aggressione da parte di cani trova spazio nelle prime pagine dei giornali, miriamo a guidare i bambini ad un giusto approcio all’animale, fornendo loro gli strumenti per valutare ciò che è veramente pericoloso e ciò che non lo è. “UN CANE PER AMICO” UN’ESPERIENZA DI PET-THERAPY CON I MALATI DI ALZHEIMER DI TIZIANA GORI E ALDO LA SPINA INTRODUZIONE Questo lavoro è frutto di un’esperienza condotta tra il mese di ottobre 2002 ed il mese di maggio 2003, con scadenza settimanale, presso il Centro diurno per malati di Alzheimer “Cooperativa Nuovo Solco”, gestito da Luciano e Giovanna Quinto, sito a Monza in Via Molise 13. In questa struttura affluiscono pazienti con diagnosi di Alzheimer da una vasta parte della Regione Lombardia; il centro è aperto tutti i giorni dal lunedì al venerdì, dal mattino sino alla sera, ed è organizzato in modo tale da consentire l’assistenza ai pazienti secondo modalità personalizzate. All’interno della struttura della Cooperativa Nuovo Solco vi è una vasta offerta di spazi: l’ampia sala comune con numerosi tavoli utilizzati sia per la somministrazione dei pasti che per lo svolgimento di altre attività ricreative (disegno, gioco, attività manuali in genere), la palestra attrezzata, una unità di fisioterapia, l’ambulatorio, altri locali più appartati con comode poltrone, una cucina alla quale i pazienti hanno libero accesso ed un giardino piantumato con pista in terra battuta che, in condizioni climatiche favorevoli, si presta a piacevoli passeggiate ed al “girovagare”. L’approccio con i malati è molto dolce ed il personale si prodiga per mantenere e potenziare le attività che gli anziani sono ancora in grado di svolgere, prestando la massima attenzione a non compiere atti chi inducano o provochino ansia e frustrazione. Il programma “Un cane per Amico” è stato reso possibile grazie alla collaborazione di un gruppo di persone qualificate e preparate: - Aldo La Spina, supervisore e titolare del progetto; - Margherita Serpi, psicoterapeuta e coordinatore operativo; - Tiziana Gori, medico veterinario, responsabile della salute degli animali e della prevenzione delle zoonosi. Accanto a queste figure professionali, hanno prestato la loro opera di operatori cinofili volontari, accompagnati dai loro cani: - Enzo Palamenghi, con il Labrador Retriever “Eliot”; - Valeria Verardo, con la meticcia “Scilla”; - Loriana Di Cataldo, con la Setter inglese “Pepsi”; - Margherita Serpi (nella duplice funzione di coordinatore e operatore) con il Golden Retriever “Roa”. A partire dal mese di marzo 2003, si sono aggiunti; - Guido Baraldi con il Labrador Retriever “Old”; - Simona Colombo con la meticcia “Chicca”. Il Centro, da parte sua, ha fornito un prezioso aiuto tramite le figure di una geriatra, una psicologa, assistenti sanitari e volontari temporanei, oltre ad un operatore per ogni anziano coinvolto nel programma. IL PROGETTO “UN CANE PER AMICO” Nella formulazione di questo progetto che, fin dall’inizio, ha stimolato tutte le persone coinvolte, sono stati individuati alcuni obiettivi da raggiungere: - instaurare tra paziente e cane relazioni gratificanti sul piano emozionale; - sollecitare la capacità di concentrazione attraverso lo stimolo sensoriale immediato, la libera espressività verbale e la comunicazione non verbale; - stimolare le capacità motorie; - sostenere l’autostima attraverso il rapporto autorevole che si può stabilire con l’animale. I soggetti ai quali si è pensato di indirizzare l’intervento terapeutico sono stato scelti sulla base dei seguenti criteri: - grado di compromissione medio-grave; - assenza di manifestazioni d’avversione, rifiuto, paura nei confronti dei cani; - capacità mnemonica sufficiente a conservare o costruire ricordi di eventi particolarmente significativi, per consentire una continuità nel rapporto settimanale con il cane; - difficoltà nell’esprimersi ed incapacità dimostrata ad impegnarsi in altre attività; - bisogno di un rapporto individualizzato. Dopo alcuni incontri preliminari per valutare la struttura, coinvolgere il personale, realizzare un programma che apportasse al Centro il minor impatto, scegliere i pazienti da inserire nel progetto ed i cani da abbinare, si è deciso di avviare in un primo tempo un programma di Attività Assistita A.A.A., per meglio valutare le scelte effettuate, e passare quindi, a partire dal mese di novembre 2002, alla Terapia Assistita T.A.A.. Pertanto per alcuni incontri, i cani, tenuti al guinzaglio dai loro conduttori e con l’aiuto degli operatori sanitari, hanno “approcciato” i pazienti lasciandosi accarezzare, condurre in passeggiata anche nel giardino e nutrire. A seguito di questi incontri, alcuni tra i pazienti ipotizzati si sono autoesclusi, poiché in grado di dichiarare il proprio disinteresse verso gli animali o manifestando insofferenza al loro avvicinamento, mentre altri hanno mostrato di gradirne la vicinanza ed il piacere di accarezzare l’animale. Vengono infine individuati quattro malati, che rispondono alle caratteristiche previste: - Elvo; - Piero; - Angela; - Italo. Altri malati, come Oriele e Pio, hanno partecipato a programmi di A.A.A.. Anche per la scelta del cane sono stati adottati criteri particolari che hanno consentito di inserirne alcuni solo nelle A.A.A. ed altri nelle più impegnative T.A.A.: - Old, Labrador Retriever, ha destato costante attenzione nell’anziano, grazie alla sua docilità unita ad un addestramento di livello elevato (Guido, il suo proprietario, è un addestratore professionista), che gli ha permesso di sincronizzare le sue risposte con le esigenze del malato; - Eliot, Labrador Retriever, è un soggetto molto docile e affettuoso e, sebbene preparato solo con una normale educazione di base, ben si presta per la terapia per la sua inesauribile voglia di giocare; - Scilla, meticcia di piccola taglia a pelo lungo, docile e tranquilla, è adatta per le sue ridotte dimensioni che la rendono più “maneggevole” e stimolano un senso di protezione; - Pepsi, Setter inglese, è stata utilizzata solo per le A.A.A. per il suo carattere emotivo che la spinge talvolta ad abbaiare in momenti inopportuni; - Roa, Golden Retriever, socievole ed espansivo, è stato impiegato solo per le A.A.A. a causa della sua vitalità, poco confacente con la fragilità di questo tipo di malati; - Chicca, meticcia di piccolissima taglia, è stata inserita tardivamente nel programma ma, impiegata nella A.A.A., ha dato ottimi risultati anche con pazienti dal carattere burbero ed umorale, che sembrava non fossero interessati ai cani. Al termine di ogni incontro sono state compilate le apposite schede per la valutazione finale sia per i pazienti che per i cani. Gli incontri sia di A.A.A. che di T.A.A. si sono svolti secondo i protocolli indicati dalla Delta Society, ma, in alcuni casi tali schedature sono apparse poco adatte e restrittive, tanto che si è deciso di modificarle, anche su richiesta degli operatori sanitari, a favore di modelli che meglio rispondessero alle esigenze dei nostri pazienti. SCHEDA DI VALUTAZIONE DI FINE SEDUTA DI A.A.A./T.A.A. Struttura ………………………………………………………………………………………………. Indirizzo ………………………………………………………………………………………………. Telefono …………………………. Fax …………………. E-mail ………………………………….. Responsabile di riferimento …………………………………………………………………………... Dati del paziente e caratteristiche del comportamento: ………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………… Operatore ……………………………………………………………………………………………... Animale ……………………… Nome …………………….. Razza ………………………………... Durata della seduta …………………………………. Data ………………………………………….. CLIENTE 1. interazione con l’operatore sì no tempo: < 3’ 3’-5’ > 5’ …………………………………………………………………………………………………… …………………………………………………………………………………………………… …………………………………………………………………………………………………… 2. paura e/o esitazione all’incontro con l’animale sì no 3. aggressività nei confronti dell’animale 4. interazione con l’animale sì sì no no tempo: < 3’ 3’-5’ > 5’ 5. organizza l’interazione con l’animale: accarezzamento, spazzolatura, nutrimento, gioco spontaneo sì no tempo: < 3’ 3’-5’ > 5’ …………………………………………………………………………………………………… …………………………………………………………………………………………………… 6. esegue attività strutturate: passeggiata, riporto, percorsi, obbedienza sì no tempo: < 3’ 7. organizza attività strutturate: 3’-5’ > 5’ sì no tempo: …………………………………………………………………………………………………… …………………………………………………………………………………………………… 8. rimane passivo? ………………………………………………………………………………. ……………………………………………………………………………………………………. 9. si isola? ……………………………………………………………………………………….. …………….……………………………………………………………………………………… 10. mostra insofferenza per la terapia? …………………………………………………………… …………………………………………………………………………………………………… 11. pone attenzione alle domande e alle richieste dell’operatore? ……………………………….. …………………………………………………………………………………………………… 12. interviene opportunamente e formula domande inerenti l’argomento? ………………………. ……………………………………………………………………………………………………. 13. Varie …………………………………………………………………………………………. …………………………………………………………………………………………………….. LA MALATTIA DI ALZHEIMER: BREVI CENNI La malattia di Alzheimer è una patologia cronica del Sistema Nervoso Centrale, conosciuta fin dal 1906, anno in cui il medico tedesco Alois Alzheimer (1864-1951) descrisse ciò che aveva scoperto osservando al microscopio il tessuto cerebrale di una donna deceduta in seguito ad una “rara” malattia mentale. Si tratta di una forma di demenza nel corso della quale i malati subiscono un’erosione progressiva della propria storia passata, annullando, in un percorso a ritroso, la loro esperienza di vita – i ricordi dell’infanzia sono gli ultimi a svanire – e sono sempre meno in grado di organizzare il loro futuro. La loro vita è sempre più condizionata da chi li assiste; i loro ricordi, man mano che la malattia evolve, sono sempre più affidati alla memoria, agli affetti, alle capacità di cura ed alla professionalità di chi li circonda. A tutt’oggi l’eziologia resta sconosciuta, sebbene siano state ipotizzate diverse concause: - fattori ereditari: un caso di demenza che colpisce un parente di primo grado (genitori, fratello, sorella), innalza le possibilità di ammalarsi di 2-5 volte; - fattori genetici: alcune persone con un parente stretto colpito dalla sindrome di Down (cromosoma 21) hanno una maggiore probabilità di ammalarsi di Alzheimer; difetti genetici del cromosoma 19 nella produzione dell’apolipoproterina E ApoE sarebbero in relazione con il rischio di sviluppare la malattia; - placche amiloidi e grovigli neurofibrillari: lesioni individuabili all’esame istologico del cervello (cause o conseguenze?); - diminuiti livelli del neurotrasmettitore acetilcolina; - eccessive quantità di calcio intracellulare; - postumi di infiammazioni cerebrali; - alterati livelli ormonali (soprattutto nelle donne dopo la menopausa); - elevati quantitativi di agenti antiossidanti; - altre cause. La patologia ha un decorso graduale, progressivo, irreversibile e dura da 2 a 25 anni. Per giungere ad una diagnosi quanto più precisa possibile è necessario condurre un’accurata ed esaustiva inchiesta clinica, anamnestica e obiettiva, accompagnata dalla valutazione funzionale e cognitiva, nonché da indagini di laboratorio e “neuroimaging” (TAC, RMN ecc.). L’anamnesi, soprattutto comportamentale, costituisce la componente fondamentale e insostituibile del processo diagnostico, anche nel suo aspetto di interazione diretta con il paziente e del suo interagire con l’ambiente. Il quadro clinico è multiforme e a volte difficilmente distinguibile da altre forme demenziali tipiche dell’età senile. Nelle fasi iniziali il soggetto presenta amnesie relative ad aspetti della sua vita quotidiana, come i nomi dei parenti, il posto in cui sono stati messi oggetti d’uso comune. Con il passare del tempo le capacità mnemoniche peggiorano ulteriormente: il paziente può perdersi in un luogo noto, leggere un brano e ricordare poco di ciò che ha letto. In seguito si manifestano sintomi più caratteristici della malattia: - afasia: alterazione o perdita della capacità di usare o capire il linguaggio scritto o parlato in assenza di un difetto della fonazione; - ansia e depressione; - disprassia e aprassia: alterazione e perdita della capacità di realizzare un’attività motoria specifica, finalizzata e coordinata, in assenza di paralisi; - disorientamento: alterata comprensione delle relazioni temporali, spaziali o personali; - ecolalia: ripetizione insensata di espressioni ascoltate; - acatisia: incapacità a sedersi o a rimanere seduto per l’irrequietezza motoria e la sensazione di tremolìo muscolare; - girovagare (“wandering” degli autori anglosassoni): incremento patologico del cammino come se il paziente fosse alla ricerca di qualcosa che non trova mai (forse la casa di quando era bambino?); - bulimia: rapido consumo di grandi quantità di cibo; - allucinazione e delirio; - agnosia: difficoltà a riconoscere gli oggetti; - abulia cognitiva: perdita della facoltà di mantenere un pensiero sufficientemente a lungo per portare a termine un’azione finalistica; Il progredire della malattia comporta: - difficoltà a camminare, fino alla completa immobilità; - rigidità agli arti; - incontinenza urinaria e fecale; - riduzione delle espressioni verbali fino all’emissione di una sola parola; - ripetizione continua di suoni o gemiti o addirittura mutismo; - completa dipendenza dagli altri. A tutto ciò si aggiungono disturbi comportamentali dettati dall’ansia, dalla rabbia, dalla depressione per la difficoltà di accettazione della malattia. LA FASE OPERATIVA: I PAZIENTI, GLI OBIETTIVI, I RISULTATI Terminato il periodo di assestamento a partire dal mese di novembre 2002, una volta individuati i pazienti e gli obiettivi pertinenti, scelti i cani e studiati gli abbinamenti, il programma “Un cane per amico” è entrato nella fase operativa più delicata (e stimolante). ELVO Principali caratteristiche patologiche e comportamentali - importante difficoltà ad articolare le parole con normale comprensione del linguaggio (disfasia); - girovagare incontrollabile (non riuscendo più a camminare senza aiuto, fa continua richiesta di essere alzato dalla poltrona); - parkinsonismo; - facile irritabilità soprattutto in situazioni d’imposizione; - ricerca della compagnia con buone capacità di socializzazione nonostante le notevoli difficoltà motorie; - forte senso dell’umorismo. Obiettivi prefissati Le condizioni fisiche non gli permettono più di dare sfogo all’irrefrenabile esigenza di camminare ed il rimanere seduto diventa per lui una forzatura. Si ipotizza che l’incontro con il cane migliori la qualità della sua vita e gli fornisca una motivazione particolarmente piacevole nello stare seduto, sfruttando il riposo come momento di relazione e sostegno affettivo. Ad Elvo viene destinato Eliot (condotto da Enzo Palamenghi); si decide di farlo lavorare con la pallina in modo che da seduto Elvo respinga la palla che il cane lancia con la bocca. L’aiuto del cane ha permesso poi di focalizzare una nuova possibilità terapeutica: il lancio della palla impone al paziente l’utilizzo anche degli arti superiori con l’effetto di una seduta fisioterapica. L’interazione tra il paziente ed il cane è stata immediata, anche perché entrambi condividevano una passione: giocare a palla (nel corso delle sedute è emerso che Elvo aveva militato come giocatore professionista nella squadra del Bologna). Elvo rimaneva in porta sulla sua sedia e parava i tiri lanciati dal cane con la bocca. Le sedute hanno avuto una durata media di 15-20 minuti, con punte anche di 30 minuti (limite massimo di capacità di attenzione nei malati di Alzheimer) e con una adeguata concentrazione, nonostante i molteplici deficit del malato. Nei primi incontri sono stati rispettati i protocolli di interazione americani, con il cane tenuto al guinzaglio; la situazione che si veniva a creare era però innaturale e portava sia il paziente che il cane a distrarsi facilmente e a non interagire pienamente: la gestione del cane senza guinzaglio ha nettamente migliorato il rapporto di entrambi. Ogni incontro iniziava con la presentazione del cane per valutare se Elvo ricordasse le sedute precedenti: pur non parlando, l’anziano accoglieva il nuovo amico con un gran sorriso e dimostrava di ricordare perfettamente. Molto presto Elvo ha imparato a dare al cane un bocconcino (nelle prime sedute tentava di ingerirlo) divertendosi molto quando Eliot lo afferrava al volo. Il contatto fisico tra i due era apprezzato da entrambi ed induceva il malato a muovere le braccia, un gesto per lui molto difficile. Gli incontri si sono svolti dapprima in palestra e quindi in un salottino ricavato nella sala comune e accessibile anche agli altri pazienti che talvolta partecipavano alle partite: il cambio di locazione ha mostrato quanto Elvo fosse possessivo nei confronti del cane, osservando accigliato e contrariato gli altri malati per poi tornare a sorridere verso il cane. Già dal mese di dicembre 2002 si è iniziato a fargli usare anche le braccia per rilanciare la palla: Elvo ha compiuto notevoli sforzi per riuscire, ma non si è mai sottratto all’incitamento grazie anche alla soddisfazione di vedere come il cane prendesse la palla al volo. In diverse occasioni Elvo ha chiaramente dimostrato di voler comunicare con il cane e più volte lo si è sentito salutare Eliot: nella seduta del 17 gennaio 2003, terminati i bocconcini, ha fatto il gesto “non ce ne sono più”. In un’altra occasione (seduta del 14 febbraio 2003), Eliot è stato sostituito da Old, della stessa razza e molto simile, ed Elvo se ne è accorto immediatamente, accettando l’interazione pur con qualche perplessità: nonostante la malattia provochi gravi danni mnemonici, uno stimolo forte e idoneo può “risvegliare” il malato. Nel corso della primavera il grado di attenzione è stato altalenante: problemi famigliari, condizioni ambientali e fattori meteorologici, come il cambio di stagione, possono influire negativamente in questi pazienti. Nelle ultime sedute invece la concentrazione è sempre stata elevata, tanto che Elvo ha nascosto la palla sotto il bavaglio che abitualmente indossa, compiendo un notevole sforzo sia fisico che mentale, per la difficoltà di movimento delle braccia e per aver scelto un nascondiglio fino a quel momento mai utilizzato. Elvo dal punto di vista fisico ha acquisito una maggior facilità di movimento soprattutto del braccio destro (che era quello più bloccato); ha conservato la percezione di destro e sinistro; ha saputo relazionarsi con un cane diverso dal “suo” adattando il modo di giocare. Al termine delle sedute ha sempre salutato il cane con un gesto della mano e lo si è sentito dire qualcosa sottovoce. Eliot, pur non essendo addestrato, si è rivelato un ottimo operatore: il suo comportamento è sempre stato spontaneo, aspetto quest’ultimo di fondamentale importanza nell’interazione con un paziente che, come Elvo, mal sopporti imposizioni e situazioni forzate. PIERO Principali caratteristiche patologiche e comportamentali - disfasia e utilizzo di parole non congrue; - agnosia (la conoscenza dell’oggetto migliora con il tatto, toccandolo più volte); - rigidità nei movimenti; - lentezza nell’elaborazione delle risposte; - disprassia; - difficoltà a relazionarsi con gli altri ospiti; - molto sensibile; - buona comprensione del linguaggio verbale. Obiettivi prefissati Sostenere l’autostima, ferita dalla consapevolezza dei propri deficit e dalle difficoltà relazionali, tramite la possibilità di far eseguire all’animale semplici comandi e a gestirlo autonomamente. Nonostante la notevole disfasia, Piero utilizzava un eloquio molto ricercato che lo distingueva nettamente dagli altri pazienti del Centro creando fra di loro una barriera. Aveva dei modi di fare garbati e tendeva a ricercare la compagnia femminile con atteggiamenti da vero “gentiluomo”: questa sua caratteristica è stata però mal interpretata, e ha indotto soprattutto le pazienti, anch’esse, in quanto malate, con alterata interpretazione della realtà, ad allontanarlo e ad isolarlo. La degenza di Piero era quindi caratterizzata da una profonda solitudine e gran parte del suo tempo veniva trascorsa giocando con materiale idraulico (fin quando aveva lavorato, quella era stata la sua professione). Anche a Piero è stato affiancato Eliot, dopo qualche inadatto tentativo con Pepsi. Le sedute hanno sempre avuto un inizio molto lento ed è sempre stato necessario attirare l’attenzione del malato, parlandogli, stimolandolo con diverse domande e presentandogli in cane. Nel prosieguo delle sedute Piero ha manifestato un maggiore interesse e numerosi sono stati i suoi commenti relativi al cane, che aveva ribattezzato “Tommasino”, alla sua struttura fisica e al suo colore “zafferano”: alla fine di dicembre già gli impartiva comandi come il “seduto”, riuscendo persino ad valutare con un sorriso le sue scarse capacità decisionali con affermazioni come «è lui che comanda», nell’incontro del 10 gennaio 2003. Al termine di ogni seduta, dopo i saluti, seguiva il gruppo degli operatori cinofili fino all’uscita e rimaneva ad osservarli dalla finestra. Purtroppo Piero, a metà gennaio, ha dovuto interrompere anzitempo la sua partecipazione al programma di Pet-Therapy. Eliot si è dimostrato docile e tranquillo e si è lasciato manipolare e condurre al guinzaglio senza difficoltà, sebbene la lentezza nelle reazioni del paziente gli creassero un senso di impazienza che a volte lo portava a distrarsi. La conduzione con il doppio guinzaglio è stata presto abbandonata preferendo l’utilizzo del comando singolo: ciò ha consentito a Piero di potenziare la sua autostima e di avere la piena percezione della forza esercitata dal cane, e, a Eliot, di non sentirsi confuso dalla presenza di due guinzagli che talvolta imponevano azioni antitetiche. Piero ha potuto lavorare anche con Chicca, con la quale ha instaurato un’intensa relazione durata fino a quando il paziente è rimasto al Centro. ANGELA Principali caratteristiche patologiche e comportamentali - afasia; - agnosia; - aprassia; - emotività ed iper-eccitabilità sotto lo stimolo di svolgere attività, soprattutto in presenza di terzi; - conseguente irritabilità e difficoltà nei rapporti interpersonali; - comprensione distorta delle situazioni; - necessità di essere rassicurata. Obiettivi prefissati Fornirle un’occupazione gratificante dal punto di vista relazionale; alleviarle il costante stato di ansia e contemporaneamente consentirle un dispendio di energie senza nuocere a nessuno. Angela è una donna dolce e sensibile, con un innato senso materno; vive male la sua condizione di malata aprassica, disfasica, agnosica e manifesta una notevole emotività che la porta ad un eloquio velocissimo ed incomprensibile. Fin da subito si è dimostrata ben disposta nei confronti dei cani, avendoli avvicinati tutti prima che venissero decisi gli abbinamenti: con loro l’eloquio era più tranquillo, ed è arrivata a pronunciare intere frasi in toni pacati e comprensibili, come «è inutile che mi guardi così: non ho niente da darti da mangiare!», dimenticando per un momento le frasi sconnesse proferite normalmente in dialetto. Dopo il periodo di prova è stata scelta per lei Scilla, accompagnata da Valeria Verardo, con la quale aveva dimostrato una maggiore affinità. Gli incontri avvenivano in una stanza attigua alla sala comune ed il cane le veniva presentato su di un tavolino basso in modo che si trovasse alla sua altezza. Nelle prime sedute Angela a fatica si concentrava sul cane, accarezzandolo solo se sollecitata. Si è deciso di modificare i protocolli: il conduttore del cane è stato posto alle spalle della paziente, pur rimanendo il contatto visivo con il cane, mentre l’operatore sanitario si è discostato, evitando di incrociare lo sguardo di Angela che tende a dirigersi verso le persone che la guardano. In questo modo il rapporto con il cane ha subìto modifiche radicali: Angela ha approfondito l’interazione, dimostrando di riconoscere Scilla, autonomamente si è accorta che si trattava di una femmina, si è preoccupata per il suo stato di salute e di benessere, attenta a non farla scivolare dal tavolino, stimolandola ad accettare bocconcini e cantandole ninne-nanne. Progressivamente l’eloquio si è tranquillizzato, intervallato anche da diversi minuti di silenzio. Nella seduta del 21 marzo 2003, Angela ha cercato di sollevare Scilla, e mentre Valeria cercava di risolvere la situazione, la pazienze, senza distrarsi per la figura dell’operatore di fronte a lei, l’ha fermata con un gesto della mano come se dicesse «lascia fare a me». In un’altra occasione, il 9 maggio 2003, Angela si è trovata di fronte una nuova coppia, ChiccaSimona: manifestato il suo disappunto, non è riuscita a concentrarsi sul cane, al quale ha riservato solo qualche carezza distratta, ha ripreso inaspettatamente il suo eloquio veloce e incomprensibile, poi ha deciso di abbandonare la seduta, ma, tra lo stupore generale, è rientrata nella stanza e, con un rassegnato «me despiass» (“mi dispiace”) si è scusata con l’operatrice e se ne è andata. Evidentemente, per ottenere i migliori effetti terapeutici con la Pet-Therapy, non basta un cane qualunque: occorre che ci sia proprio “quel” cane. Scilla si è dimostrata un animale affidabile (proviene dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di Teramo, dove era già impegnata nella Pet-Therapy), sebbene dopo qualche seduta abbia manifestato ripetuti segnali di stress, rischiando di essere sostituita; in realtà, ad un attento esame della situazione, si è potuto osservare che si trattava di carente e inadeguato adattamento all’ambiente, dovuto al lungo viaggio mattutino in treno e in auto – da Biella a Monza –, seguito, senza avere neppure il tempo di rendersene conto, dal rapido inserimento nella struttura e nell’attività. Concessole il tempo necessario per ambientarsi e rilassarsi prima di ogni seduta, Scilla ha ripreso in breve la sua attività, interagendo con Angela e stabilendo con lei uno dei legami più completi e profondi verificatisi nel corso del programma. ITALO Principali caratteristiche patologiche e comportamentali - buona comprensione del linguaggio verbale; - possibili difficoltà uditive; - disprassia; - bulimia; - tendenza alla reiterazione di alcuni gesti, come sfregarsi le mani; - tendenza alla chiusura in se stesso. Obiettivi prefissati Sostenere l’autostima; aiutarlo ad instaurare relazioni affettive sia con il cane che con il conduttore per indurlo ad una più aperta socializzazione. Si tratta di una persona sensibile ed introversa, nella quale la malattia ha provocavo anche un senso di frustrazione ed inadeguatezza che viene manifestato sotto forma di stereotipie, come il dondolarsi su se stesso, sfregarsi le mani o passarle ripetutamente sulle gambe: Italo è consapevole della sua malattia e, in un’occasione, ha dichiarato che questo è il motivo dei suoi silenzi. È un uomo molto preciso e puntiglioso, che si impegna per portare a termine le azioni intraprese: la disprassia e l’amnesia lo avviliscono ancora di più e lo rendono ansioso. Dopo qualche seduta di prova con Scilla (il paziente sembra preferire un animale di piccola taglia), la scelta, nonostante la mole, ricade su Old, accompagnato da Guido Baraldi. Gli incontri iniziavano in maniera piuttosto timida: il conduttore passava ripetutamente con il cane accanto al paziente che, pur mostrando apparente indifferenza, interrompeva le sue stereotipie e, sollecitato adeguatamente, incominciava l’interazione. Il paziente si è dimostrato in grado di infilare e levare il collare e il guinzaglio del cane, portarlo a spasso autonomamente, ripeterne il nome (spesso sostituendolo con “Febo”, come quello di un suo vecchio cane). La relazione con il cane è stata soddisfacente, la gestualità adeguata: ha riconosciuto il colore del mantello e del collare, è stato attento al cane, lo ha pettinato dolcemente ed ha espresso apprezzamenti per i comandi ben eseguiti. Quando rimaneva solo, riprendeva facilmente a compiere gesti compulsivi, ma se un cane gli si avvicinava la gestualità ossessiva rallentava fino a cessare. L’abbinamento con Old si è rivelato fin dall’inizio appropriato: se in un primo tempo la grossa taglia del cane ha creato qualche timore nel paziente, il carattere dolce ma deciso e ben forgiato, simpatico e socievole (Old è perfettamente addestrato, conosce una vasta gamma di vocaboli sia visivi che vocali, abbaia a comando e così via), lo rendeva più interessante agli occhi di un ex militare come Italo, che non ha mai particolarmente faticato nell’impartire ordini e comandi. Su richiesta del conduttore il cane, abbaiando, salutava il malato e questi semplicemente rispondeva «ciao». Si può certamente affermare che la presenza del cane procura sollievo ai pazienti, riduce lo stato d’ansia, contribuisce a mantenere vive ed attive alcune capacità, rallentando l’evolversi della malattia, e porta numerosi ed intensi momenti di intimità ed affettività rivolte non solo ai cani, ma anche agli operatori. IL PROTAGONISTA: IL CANE Un cane impegnato in una qualunque attività, adeguata alle caratteristiche della sua razza, alle attitudini e al carattere individuale, è un cane felice. Troppo spesso invece incontriamo cani costretti a vivere in ambienti carenti o privi di stimoli, come tutte, o quasi, le abitazioni di città e l’ambiente urbano, con l’unico gravoso impegno di passare dalla poltrona alla ciotola e di fare non più di quattro passi nel giardinetto sotto casa. I proprietari più responsabili chiedono spesso di istruire il loro beniamino, perché non salti addosso alle persone, torni ubbidiente al richiamo evitando il rischio di finire sotto un’automobile, non tiri al guinzaglio e così via. Talvolta i proprietari si pongono qualche domanda in più e, consci del fatto che non possono impegnare il proprio cane nelle attività per le quali è nato, come portare a caccia il Labrador, decidono di fargli fare qualcosa di alternativo e che sia anche socialmente utile. La Pet-Therapy offre queste opportunità ed anzi prevede anche il coinvolgimento del proprietario/conduttore, dopo un preciso percorso formativo per entrambi. Le A.A.A./T.A.A., se correttamente eseguite nei tempi e nei modi, richiedono da parte del cane un grande impiego di energie fisiche, ma soprattutto mentali: i conduttori sanno che il loro cane, dopo un intervento di Attività o Terapia Assistita, ha bisogno di riposare per diverse ore. In particolare si è notato, visitando regolarmente il Centro Diurno per Alzheimer, che il cane ad ogni incontro appare “svuotato” di una parte delle sue energie, che deve necessariamente recuperare. Questa impressione, che non ha fondamento scientifico, potrebbe essere avvalorata da chi, sull’uomo, mette in atto pratiche terapeutiche che prevedono il trasferimento di flussi energetici, come la Pranoterapia, il Reiki, il Feldenkreiss, le arti marziali, con accumulo da un lato e perdita dall’altro di energia vitale. Per questo motivo il cane inserito in programmi di Attività e/o Terapia Assistita rivolti a malati di Alzheimer, deve essere caratterialmente testato e altamente preparato. Un Centro Diurno come quello monzese, per assecondare le necessità dei pazienti, non prevede stanze chiuse: tutto è aperto e l’imprevisto è inevitabile. Molti ospiti sono in continuo movimento, altri vengono impegnati dagli educatori in attività diverse; l’ambiente stesso, dove soggiornano i malati, è volutamente arricchito di stimoli ed organizzato con attività di vario tipo: lavorare in tali condizioni richiede un’attenzione ed una concentrazione notevoli, da parte sia degli operatori che dei cani; le sessioni non possono e non devono essere più di due al giorno e non devono durare oltre 20 minuti ciascuna, intervallate da un periodo di riposo trascorso in un ambiente idoneo. È capitato che durante gli incontri con i pazienti, il conduttore, per incompetente valutazione dello stato psico-fisico del cane o per l’inaspettato risultato dell’interazione tra il suo cane e il malato, non si accorgesse di aver oltrepassato il limite “energetico” e di concentrazione del suo cane, lasciandosi fuorviare dalla sua tranquillità subdola e mal interpretata. Non è stato facile, infatti, capire il limite di una cagnolina dolce e sempre tranquilla come Scilla, o di Eliot, il Labrador con la coda sempre in movimento e con una perenne voglia di giocare! I sintomi si erano manifestati dapprima in maniera poco chiara, ma poi, ad ogni sessione, con sempre maggior comprensibilità: Scilla non voleva più salire sulla poltrona come faceva abitualmente a comando per essere accarezzata da Angela, ed Eliot non voleva più lasciare la pallina per ridarla ad Elvo in un gioco che li aveva sempre visti coinvolti ed amici. I cani stavano comunicando a loro modo che erano stanchi e avevano bisogno di riposo fisico e mentale: dopo un adeguato periodo di vacanza e di rieducazione, entrambi hanno ripreso la loro attività, e con più entusiasmo di prima, consci di essere accompagnati da un proprietario più attento. In questo senso risulta fondamentale la presenza di un esperto nel comportamento degli animali (e degli uomini). Tutti i cani utilizzati nel programma “Un cane per amico” sono stati testati e preparati e, nel corso sia delle A.AA. che delle T.A.A. hanno ben tollerato e sopportato impreviste “strizzate” e “tirate” di orecchie, abbracci improvvisi, forti ed incontrollati, urla e grida, e, a volte, anche calci, tirati da pazienti che si erano sempre comportati affettuosamente e che, d’improvviso (complice una nuova terapia farmacologica?) hanno reagito in maniera inaspettata: per questo motivo il cane che partecipa ad una Attività o Terapia di questo tipo, è molto vulnerabile ed ha bisogno della più attenta e scrupolosa protezione. Associazione O.N.L.U.S C.R.E. A.N.I.R.E. Strada Fontesecco 103-Ps P.I. e C.F.: 02021050410 Tel. 0721 283497 - 339 6465484 www.amici-ippoterapia.org Ippoterapia e pet-therapy : alcune riflessioni introduttive e presentazione dell’ASSOCIAZIONE ONLUS AMICI dell’IPPOTERAPIA di Pesaro. Dott.Giovanni Gaudenzi, medico veterinario Il titolo della presente, così come impostato, porta in sé una provocazione, richiamando alla mente discussioni e controversie che tuttora non rendono sereno l’ambito organizzativo e applicativo di cio’ che viene fatto da tanto tempo per l’uomo utilizzando il cavallo come mezzo riabilitativo. I termini riabilitazione equestre , rieducazione equestre, terapia con il mezzo del cavallo o equitazione terapeutica sono quelli che si possono “dire”, ma il termine comune in uso,in tutto il mondo, che riassume naturalmente in sè un determinato significato all’interno di un ambito domanda/risposta e’ quello di Ippoterapia. Si ritiene pertanto di poterlo e doverlo usare per riferirsi sinteticamente a un contesto che , se e’ pur vero che non ha sempre e comunque ancora nella realtà odierna caratteristiche tali da potersi definire terapeutico nell’accezione comune del termine, nasce dalla relazione fra particolari soggetti portatori di specifiche domande, relativamente a uno stato di bisogno, e altri che hanno o avrebbero possibilità di contribuire a trovare o generare risposte a queste riferite,utilizzando il cavallo come mezzo relazionale, con specifiche finalità benefiche rientranti in un ambito terapeutico, o meglio co-terapeutico. Vanno pertanto analizzati i vari elementi in causa lasciando da parte preconcetti, fonte di contrasti e mancata crescita, lievitati nel tempo unicamente perchè fino ad ora si è sempre e solo cercato di attribuire valori specifici e oggettivi a determinati metodi applicativi senza avere approfonditamente analizzato le specifiche valenze , positive e negative, configuranti quel determinato ambito relazionale. Piu’ semplicemente si tratta di definire e valorizzare una realtà, una necessita’ reale, che è nata praticamente prima delle parole e ha,solo, bisogno di crescere in modo ordinato e organizzato per potere manifestare oggettivamente le proprie potenzialità;se si rasserena il pensiero ci si rende conto effettivamente che esistono innumerevoli realtà che traggono soggettivo beneficio da tale ambito relazionale esperienziale, tanto che si evince un bisogno di crescita e allargamento degli ambiti organizzativi ed applicativi. Il vero problema e’ quindi quello di identificare,analizzare e valorizzare interamente prima i singoli elementi configuranti tali ambiti poi quello relazionale nella sua complessità e interezza al fine di determinarne valenze soggettive ed oggettive indirizzandole a precise , specifiche, soggettive finalità. Tale ultimo punto è condizione essenziale senza la quale il tutto perderebbe valore e significato: solo l’attenzione, continua tensione, alle necessita’ e al Bene del singolo,portatore della domanda, quindi soggettiva, dà valore e significato oggettivo al contesto. Se e’ pur vero che l’ippoterapia e’ un metodo terapeutico che assolve e amplifica i principi fondamentali della pratica psicomotoria, considerando l’ndividuo nella sua totalita’, offrendogli con il suo mezzo,il cavallo, una spinta motivazionale che lo coinvolge nel suo intero complesso motorio, psichico, intellettivo e sociale, attraverso un’attivita’ ludico sportiva,e’ altrettanto vero che non basta mettere un individuo con difficoltà vicino o sopra a un cavallo per attivare un trattamento terapeutico. Non e’ infatti il cavallo in se’ che ha doti terapeutiche, ma e’ il contesto relazionale che si attiva per mezzo del cavallo ad avere particolari potenzialita’ terapeutiche. Non si insegna pertanto a qualcuno a mettersi in relazione con l’animale ma si inserisce quel determinato soggetto, portatore di una specifica domanda relativamente alle proprie difficolta’, in un contesto professionale conosciuto, addestrato, allenato,perfezionato e programmato che deve avere la capacita’ di interpretare il dialogo relazionale che si attiva,svilupparne le specifiche potenzialita’ in modo finalizzato, contenerne le derive,conoscerne i limiti e le possibili devianze negative. Se ne deduce che un primo elemento fondamentale e’ quello di creare un soggetto istituzionale di referenza che abbia in se’ un’identita’ interlocutoria poliprofessionale capace di rispondere alla domanda del fruitore non solo con risposte tecnico operative ma anche con garanzie organizzative, programmatiche,procedurali,assistenziali, assicurative ,nonche’ giuridiche e legali. L’ambito relazionale si attiva in primis nel momento in cui il fruitore presenta la propria domanda: a chi la pone,chi si fa carico di analizzarla e di organizzare una specifica ed efficace risposta, chi ne ha la facolta’, chi se ne assume le responsabilita’derivanti. Non vi e’ un singolo soggetto che puo’ con – rispondere a tutto cio’;si rende pertanto necessario costituire una identita’ istituzionale poliprofessionale di referenza. E’ da tali considerazioni analitiche ed esperienziali che si e’costituita nell’anno 2000 l’ASSOCIAZIONE O.N.L.U.S. AMICI dell’IPPOTERAPIA di Pesaro, con la primaria finalita’ di dare valore e significato non solo tecnico operativo ma anche referenziale a un contesto gia’ esistente e operativo dal 1994, ma con carattere di precarieta’ e bisognoso di un’identita’. L’Associazione ha carattere di Non Profit, e’ aggregata all’A.N.I.R.E. (Associazione Nazionale Italiana Riabilitazione Equestre), ha sede in Pesaro, strada Fontesecco 103, ed e’ ospitata presso le strutture del Circolo Ippico Zorigo. Si e’ costituita e vive grazie unicamente a sostegni privati, principalmente manifesti con l’impegno di imprenditori e aziende del territorio sensibili al progetto; i costi gestionali sono coperti per il 30 % dai contributi delle famiglie degli utenti e per il restante 70% dal contributo adozionale di 16 imprenditori; gli investimenti progettuali sono invece interamente garantiti dall’impegno di 8 aziende. Ha figure professionali di riferimento operanti nei diversi settori di interesse: la parte organizzativa e gestionale e’ seguita da uno studio notarile, legale e commerciale; quella promozionale da uno studio pubblicitario e di consulenza del lavoro; quella strutturale da uno studio di ingegneria e di architettura. Il settore programmatico e operativo coinvolge figure professionali di tipo medico e paramedico (pediatra, neuropsichiatria infantile, psicologo,fisioterapista, veterinario),coordinate dalla figura primaria di riferimento, il responsabile tecnico della riabilitazione equestre (psicomotricista ANIRE). Ha lo scopo di far conoscere l’ippoterapia e i suoi benefici,sottolineandone il ruolo fondamentale nel processo di normalizzazione del soggetto portatore di diversita’,ha la finalita’ di potenziare il servizio nei suoi aspetti qualitativi e quantitativi,di promuovere il confronto e la ricerca. Realizza progetti terapeutici, articolati in piani di lavoro individuali, programmati da personale medico, paramedico, fisioterapico e ippoterapico specializzato (terapisti della psicomotricita’ a cavallo ANIRE),;applica metodiche ludico sportive considerandosi il gioco come necessita’ affettiva ,intellettiva e motoria di tutta la vita, spinta motivante all’apprendimento di abiliita’ motorie,psicomotorie,mentali e di adattamento sociale – il piacere di agire – interagire – esplorare – elaborare – memorizzare – comunicare – il piacere di VIVERE . I piani di lavoro vengono concertati tra il personale medico/paramedico inviante e i tecnici specialisti e tengono conto delle problematiche del singolo soggetto nonche’ delle sue capacita’ reattive a tale trattamento. Si effettuano generalmente 2 sedute settimanali a paziente, della durata di un’ora ciascuna, di cui mezz’ora di lavoro a cavallo e mezz’ora di lavoro a terra o a tavolino; tale ultimo lavoro e’ seguito da psicologi ed educatori professionisti. Verifiche periodiche ricorrono con il paziente, la famiglia o la struttura di riferimento (nel caso di pazienti provenienti da strutture sanitarie assistenziali o terapeutiche) e con il personale medico e paramedico di riferimento per valutare i risultati e rivedere i programmi di lavoro. Sono coinvolti operativamente 1 terapista della riabilitazione equestre ANIRE, responsabile tecnico, 2 aiuto terapista ,1 psicologa, 2 educatrici , nonche’ un gruppo autonomo di 14 volontari prestanti indispensabile lavoro fondamentale di supporto . Vengono utilizzati 3 cavalli di proprieta’ dell’Associazione, frutto di donazioni, comunque opportunamente selezionati, in base a precisi necessari requisiti somatici e caratteriali,e addestrati. La media di pazienti /anno in trattamento e’ di circa 35 soggetti , portatori delle seguenti principali problematiche: autismo 5, ritardo mentale 6 , sindrome di Down 2, tetraparesi spastica 7, disturbi generalizzati dello sviluppo 3,non vedente 1, non udente 1, disturbo motorio 2, riabilitazione psichiatrica 4, quadri misti 4. Oltre all’attivita’ specifica di servizio si sono attuati progetti con scuole medie ed elementari , avvicinando i giovani alunni alla “Alterita’ “ animale e alla “Diversita’”, tramite compagni di classe degli stessi portatori di difficolta’ svolgenti regolarmente trattamenti ippoterapeutici. L’Associazione inoltre porta avanti progetti di organizzazione e formazione del personale volontario in collaborazione con il Centro Servizi Regionale del Volontariato, supportata dalla testimonialita’ collaborazionale di Valentino Rossi. Inoltre,si promuovono durante l’anno incontri con altre associazioni, svolgenti la medesima attivita’ in territori limitrofi ,per scambi esperienziali, professionali e associativi, e, in collaborazione con la FITEEC ANTE regionale, il Comune di Cantiano, il Circolo Ippico la Badia di Chiaserna, gli Allevatori del Cavallo del Catria e l’Associazione la Selva di Chiaserna, localita’ montane della provincia di Pesaro, si organizza annualmente una giornata di festa estiva accompagnando gli utenti e i familiari in una passeggiata a cavallo sul Monte Catria; a tale incontro hanno partecipato finora oltre 100 persone e 20 cavalli,coordinati dal personale tecnico, per permettere il trascorrersi di un momento di comunione e di festa al di fuori del contesto terapeutico vero e proprio. L’Associazione ha in attuazione un progetto di messa in opera di un maneggio coperto da adibirsi esclusivamente a tale attivita’ al fine di permettere una continuita’ operativa di servizio per tutto il periodo dell’anno solare. Le previsioni progettuali sono quelle di arrivare a trattare una media di circa 50 pazienti / anno, con programmi di ricerca derivanti principalmente dal perfezionamento dei protocolli di verifica effettuati in concertazione multidisciplinare. Cio’ al fine di corrispondere sempre piu’ al Bene non solo soggettivo ma anche oggettivo del singolo fruitore e del contesto relativo, qualificando la professionalita’ di un ambito coterapeutico che ha in se’ potenzialita’ ancora tutte da scoprire e sviluppare. Giovanni Gaudenzi