Pet Therapy: il valore della relazione con l`animale

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Pet Therapy: il valore della relazione con l`animale
TITOLO
PET THERAPY: IL VALORE DELLA RELAZIONE CON L’ANIMALE
Presentazione Di Progetti, Di Attivita’ Assistite Dagli Animali
PREMESSA
INTRODUZIONE ALLA ZOOANTROPOLOGIA
CARTA DI REGGIO EMILIA SU OBBLIGHI UMANI E INTERESSI DEGLI ANIMALI
IL VALORE DELLA RELAZIONE CON L’ANIMALE
RELAZIONE DI SABRINA TONUTTI: “INTRODUZIONE ALLA ZOOANTROPOLOGIA:
DALL’ANIMALE COSA ALL’ANIMALE PARTNER”
IL BAMBINO E L'ANIMALE: SIGNIFICATI FORMATIVI DELLA RELAZIONE CON
L'ANIMALE D'AFFEZIONE
IL VALORE ASSISTENZIALE E TERAPEUTICO DELLA PET-RELATIONSHIP
NUOVI FONDAMENTI DEL PET-TRAINING E DIMOSTRAZIONI DI PET-TRAINING
LE ATTIVITA’ DI PET-RELATIONSHIP NEI PROGETTI DI PET-THERAPY E DI
ZOOANTROPOLOGIA DIDATTICA
ANALISI DELLA PET-OWNERSHIP
MODIFICAZIONI DEL RAPPORTO UOMO -ANIMALE
BIOETICA E RAPPORTO UOMO--ANIMALE
PRESENTAZIONE DI PROGETTI DI PET-THERAPY REALIZZATI SUL TERRITORIO
DELLA ROVINCIA DI RE DA PARTE DEI SEGUENTI ENTI:
AUSL DEL DISTRETTO DI SCANDIANO
OSPEDALE PSICHIATRICO GIUDIZIARIO DI RE
ISTITUTO AGRARIO "A.MOTTI" DI RE
LABORATORIO LESIGNOLA
PRESENTAZIONE DI PROGETTI DI PET-THERAPY REALIZZATI SUL TERRITORIO
NAZIONALE:
ASSOCIAZIONE CULTURALE CAVE CANEM CENTRO DI PET-THERAPY DI PADOVA
CENTRO CINOFILO EUROPEO DI ALDO LA SPINA MILANO
AMICI DELL’IPPOTERAPIA ASSOCIAZIONE ONLUS DI PESARO
PREMESSA
Sappiamo bene come le radici del pensiero occidentale sono profondamente segnate dalla visione
antropocentrica - siamo anche consapevoli che del tutto antropocentrica è la visione della politica
italiana. Soprattutto poi se il piano della discussione si sposta sulle altre specie, addirittura sul loro
diritto alla vita, al benessere, alla libertà! E’ duro fare i conti con la convinzione che l’uomo sia
naturalmente e di diritto dominante, all’apice di una gerarchia che vede le altre forme di vita
puramente strutturali, anzi, finalizzate alla nostra esistenza.
E’ altrettanto difficile vincere il pregiudizio che la razionalità sia il valore primario e assoluto.
Questo pregiudizio si accompagna sempre alla negazione di sensibilità e autocoscienza delle altre
specie. Noi siamo convinti del contrario!
Sappiamo che gli animali provano gioia e dolore,
sappiamo quanto gli animali possano dare all’uomo come comunicazione di emozioni, come la
relazione con gli animali debba essere considerata prima di tutto un valore : diamo cure perché
chiediamo cure, il bambino che si è preso cura di un animale, da grande sarà soggetto attivo di una
società giusta e solidale. Su queste basi abbiamo fortemente voluto il convegno tenutosi a Reggio
Emilia in data 18 – 19 ottobre 2003 dal titolo “ Pet – therapy : il valore della relazione con
l’animale”, i cui atti oggi presentiamo e da Reggio Emilia vogliamo che parta la Carta di Reggio in
allegato, proposta a tutte le istituzioni come impegno di civiltà. Maggiore sarà la sua diffusione e il
consenso che intorno ad essa sapremo creare, più grande sarà il nostro contributo alla
valorizzazione della relazione uomo - animale.
L’ASSESSORE
ALLE POLITICHE AMBIENTALI
Margherita Bergomi
INTRODUZIONE ALLA ZOOANTROPOLOGIA
Di Roberto Marchesini
La zooantropologia nasce tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ‘80 come disciplina di
analisi della relazione uomo-animale e delle implicazioni referenziali e produttive di questo
rapporto, partendo da presupposti assolutamente innovativi rispetto al panorama precedente e, di
concerto, sviluppando una metodologia operativa, di ricerca e di applicazione del tutto nuova. La
zooantropologia non è pertanto semplicemente un’area tematica o un campo di studio (il rapporto
uomo-animale) poiché presenta un’epistemologia - ossia una struttura organizzativa della
conoscenza e dei processi acquisitivi - assai differente rispetto alle impostazioni classiche. Per
comprendere la zooantropologia occorre perciò rifarsi a una nuova concezione della relazione
uomo-animale che ovviamente non è estensibile ad ogni tipo di rapporto con gli animali, ma che
comunque offre coordinate più specifiche per decodificare quelle situazioni dove uomo e animale si
pongono in una situazione attiva di relazione. In altre parole, la zooantropologia distingue due tipi
di interazione uomo-animale: a) l’interazione reattiva (o interazione semplice), dove l’uomo
risponde essenzialmente allo stimolo animale - in modo appetitivo, o di tropismo positivo, oppure
in modo avversativo, o di tropismo negativo - attraverso variabili che dipendono dalla tipologia di
animale (un serpente piuttosto che un gattino) e dalla tendenza della persona (zoomania piuttosto
che zoointolleranza); b) l’interazione relazionale, (o interazione dialogica) dove si instaura un
dialogo, un processo affiliativo reciprocante, una relazione di soglia, ovvero un evento di
incontro/confronto che è in grado di esprimere una propria produttività. L’interesse della
zooantropologia è focalizzato soprattutto sulle interazioni relazionali - anche se l’analisi
zooantropologica si offre come ambito interpretativo dotato di propri strumenti ermeneutici per la
valutazione delle tendenze e delle reazioni verso lo stimolo animale. La zooantropologia applicata,
in particolare, utilizza la produttività relazionale in progetti specifici che offrono all’ipotetico
fruitore servizi di tipo consulenziale (migliorare e valorizzare questo rapporto) oppure di tipo
interventistico (offrire occasioni di rapporto con l’animale). In zooantropologia l’animale ha il
ruolo di alterità e come parte in gioco di un complesso processo di incontro/confronto svolge una
parte da protagonista (attiva), molto differente dalla semplice sollecitazione stimolativa oppure
elicitativa. Questa attenzione per la relazione come processo biunivoco, dotato di intersoggettività,
realizzato attraverso una partecipazione attiva dell’interlocutore non-umano, riporta in
zooantropologia l’animale al centro del discorso e riconosce la specificità pulsionale dell’uomo
verso l’eterospecifico nella sua complessità. Secondo l’epistemica zooantropologica l’animale non
partecipa all’interazione solo come stimolo o in virtù del suo valore mediale o simbolico, ma
diviene un partner relazionale in grado cioè di dire qualcosa di nuovo all’uomo e quindi di
modificare il suo stato originario. Inoltre l’approccio zooantropologico, proprio perché dotato di
strumenti epistemici ad hoc, consente: 1) di operare una più raffinata differenziazione tra i fenomeni
interattivi riferiti all’alterità animale e ogni altro tipo di relazione, 2) di tracciare nuovi modelli
interpretativi delle diverse situazioni che hanno posto uomo e animale a confronto. Pertanto in
zooantropologia il contesto e il valore relazionale specifico - ovvero riferibile all’interazione con
l’animale come soggetto e alterità - non è sovrapponibile ad altre tipologie di relazione: per esempio
l’interazione tra esseri umani nelle sue diverse scansioni o l’interazione con le cose. La relazione
con l’alterità animale è cioè qualcosa che per la sua forte caratterizzazione merita un discorso a
parte. Questo presupposto trascina con sé altre considerazioni riferibili al ruolo antropologico della
relazione con l’animale, ove la zooantropologia assegna un posto ben specifico e peculiare a questa
esperienza come fattore costitutivo ed essenziale e non come elemento secondario o surrogatorio. In
altri termini, per la zooantropologia il rapporto con l’animale non deve essere interpretato come
sostituto di altre relazioni ma occorre valutarlo nella sua specificità, ossia proprio nella differenza
rispetto al rapporto interumano. Possiamo pertanto parlare di fondamenti della zooantropologia
centrati sulla definizione di un ruolo specifico relazionale attribuito all’alterità animale e di un
contesto altrettanto specifico di relazione. Nell’impostazione zooantropologica innanzitutto
l’interazione assume il profilo dell’interscambio, vale a dire che si parte dal presupposto che la
relazione uomo-animale sia un evento intersoggettivo e dialogico, ovvero che nel processo
coniugativo - che mette a confronto uomo e animale - vi siano elementi di reciprocità, un passaggio
a doppio flusso di contenuti, una partecipazione attiva dei due poli di interazione.
L’intersoggettività della relazione, che ovviamente non significa simmetricità o pariteticità di
relazione, comporta evidentemente delle riflessioni ad ampio spettro che trascendono la mera
reattività nei confronti dello stimolo animale o la proiettività di tipo simbolico o medianico del
segno animale. In zooantropologia l’alterità animale è un polo di dialogo, capace di agire
soggettivamente e attivamente sul processo relazionale, modificando l’uomo nei suoi contenuti
strutturati (rappresentazioni mentali) e nei suoi assetti (emozioni, attivazione). Come secondo
aspetto fondativo della zooantropologia si ritiene che l’incontro dialogico con l’alterità animale
costituisca un momento particolare - indagabile come tale e in quanto tale - unico nel suo genere e
capace di operare una sorta di slittamento nell’essere umano proprio in virtù del suo potere di
contaminazione. Secondo l’analisi zooantropologica l’evento relazionale con l’alterità animale
rappresenta una vera e propria emergenza e, proprio per questo, merita di essere valorizzato in virtù
del suo potere applicativo. Essendo un fattore emergenziale la produttività relazionale può essere
applicata o trovare applicazione nelle diverse situazioni ove l’uomo desidera trascendere il suo stato
attuale. Con il termine di emergenza si intende infatti un evento capace di mettere in campo e di
portare in superficie contenuti/qualità non impliciti o inerenti nei due elementi di congiunzione. Nel
caso specifico parlare di emergenza significa che nell’incontro dialogico scaturiscono qualità e
contenuti non presenti prima della relazione, ma riferibili alla relazione stessa. Pertanto la
zooantropologia non studia l’interazione tra uomo e animale considerando questi entità disgiunte e
non contaminanti tra loro, ma ricerca prima di tutto la scintilla che scocca quando queste due
polarità vengono poste in interazione. Secondo la zooantropologia il rapporto uomo-animale è un
rapporto di soglia ossia un evento di confronto che sviluppa tutte le fasi della costruzione identitaria
e dell’ospitalità, intesa quest’ultima come momento di accoglienza (ospitare qualcuno) e momento
di peregrinaggio (farsi ospitare). Un rapporto di soglia è caratterizzato cioè da un processo di
decentramento che mette in relazione il soggetto con l’alterità costruendo da una parte una migliore
consapevolezza identitaria (il luogo dove posso ospitare) dall’altra una maggiore apertura al mondo
(la voglia di intraprendere il viaggio conoscitivo). Questo perché la relazione si realizza con un ente
(l’animale) che si pone come una soglia (un luogo di passaggio) tra il conosciuto
(l’immedesimazione) e l’incognito (il decentramento) dove la relazione-confronto è già di per sé un
evento produttivo da valorizzare e da utilizzare. In questo senso un altro fondamento della
zooantropologia - da cui discende l’applicabilità dell’indagine zooantropologica ovvero
l’operatività di una zooantropologia applicata - si basa sull’assunzione di una produttività riferibile
alla relazione, una produttività esito della relazione, implicita e dimensionabile nei processi di
interazione uomo-animale. Vale a dire che secondo l’impostazione zooantropologica nel rapporto
uomo-animale accanto ad altri contenuti di produttività - per esempio lo sfruttamento reificatorio,
performativo, medianico o simbolico dell’animale - esiste una produttività legata o riconducibile
alla relazione. La relazione non è fine a se stessa ma dà un prodotto: in altre parole possiamo dire
che quando si esamina il prodotto offerto da un animale dobbiamo considerare sia una produzione
performativa (per esempio il cane che fa la guardia, ma altresì il cane da compagnia) sia una
produzione relazionale. La zooantropologia è interessata a questa produttività, che non scaturisce
dall’animale in quanto tale (per questo la “compagnia” può essere equivalente alla “guardia”, essere
cioè una performance dell’animale che la persona utilizza) ma dalla relazione nelle sue variabili
dialogiche ossia dal modo di relazione. Per questo in zooantropologia ci si riferisce all’animale
come partner di un processo produttivo non come strumento-mezzo-oggetto di un utilizzo.
L’animale assume il ruolo di partner e, in quanto tale, si valutano i fattori e le variabili di
partnership, le si manipola in vista della profondità relazionale proprio qualora e allorché s’intenda
portare a eccellenza i contenuti che si desiderano far scaturire. L’animale è un partner proprio
perché non è umano, perché è portatore di caratteristiche che in qualche modo decentrano nel porsi
come esemplificazione di un altro modo di esistere o come elemento di problematicità e scacco alle
nostre proiezioni o intuizioni. Il presupposto che legge l’interazione con l’animale come evento di
soglia rende conseguente l’importanza di valorizzare l’animale proprio in quanto diverso, uscendo
quindi dai modelli antropomorfici o reificatori. Parimenti diviene essenziale sottolineare - ovvero
rendere possibile, dare opportunità di manifestazione, costruire contesti di sinergia, enfatizzare l’espressione delle caratteristiche attitudinali dell’animale nei processi di partnership. La visione di
produttività relazionale, attribuita dalla zooantropologia all’interazione uomo-animale, consegna
quindi all’animale un ruolo antropologico, una referenza specifica non surrogabile, sancendo il
bisogno dell’uomo di costruire ponti di referenza con l’alterità animale per dare compimento ai
predicati stessi del suo essere umano. In altre parole secondo la zooantropologia il rapporto con
l’animale è fondativo per l’uomo e pertanto deve essere posto nelle migliori condizioni per poter far
scaturire i propri contenuti. Il concetto di “referenza animale” sta alla base della zooantropologia, in
un certo senso è il suo concetto portante, punto di confluenza della ricerca teorica, fondamento della
progettualità applicativa. Per referenza animale si intende il complesso di contenuti che
scaturiscono dalla relazione o dal fare riferimento all’animale come alterità. Questi contenuti o
valenze relazionali sono i mattoni con cui si costruiscono i diversi progetti di zooantropologia
applicata. Questi ultimi si basano, per l’appunto, sulla capacità di rendere disponibili e utilizzare al
meglio i contenuti referenziali propri della relazione uomo-animale. L’analisi della referenza
animale e la chiarezza sul ruolo referenziale dell’alterità animale è il punto critico che
contraddistingue l’approccio zooantropologico, il carattere distintivo e di svolta apportato dalla
zooantropologia. Vi è una differenza immediata e facilmente riconoscibile tra chi ha fatto propri i
dettati della zooantropologia e individua il proprio focus sulla referenza animale e coloro i quali
impostano ancora il loro modello di ricerca sull’animale come stimolo (tipico dell’approccio
psicologico ed etologico) o sull’animale come medium (tipico dell’approccio antropologico o
pedagogico). Questo perché al di fuori di una concezione intersoggettiva e di soglia inevitabilmente
si cade o nella trasformazione antinomica dell’animale: a) come oggetto-strumento-stimolo capace
di consentire un particolare processo attraverso la sollecitazione, l’elicitazione o la prestazione;
oppure b) come prodotto della proiezione simbolica o identificativa realizzata dall’uomo e quindi
svuotato di una reale presenza nel processo. Per la zooantropologia è errato individuare nell’animale
il focus di utilizzo ed è altrettanto sbagliato considerare la relazione con l’animale sulle coordinate
antropomorfiche o reificatorie. La zooantropologia applicata pertanto utilizza i contenuti
referenziali che scaturiscono dalla relazione in quanto evento di soglia e non già l’animale in quanto
tale - come oggetto, strumento, performer, medium, simbolo - e per questo l’impostazione
zooantropologica nei diversi progetti applicativi - che riguardano per esempio: la consulenza, la pet
therapy, la didattica - dà una connotazione molto differente rispetto al semplice utilizzo
dell’animale. Non si parla di utilizzo dell’animale ma soprattutto non si interpreta la relazione con
l’animale come surrogazione di altre relazioni: quest’ultima visione dà per implicito che l’uomo
abbia bisogno solo di se stesso per realizzarsi e che di conseguenza l’animale possa proporsi
nell’evento dialogico solo come elemento che sta per qualcos’altro. Vi è pertanto una profonda
differenza tra l’impostazione classica (nelle due versioni: 1) reattiva = animale come stimolo; 2)
surrogatoria = animale al posto di un altro essere umano) e la visione zooantropologica che ammette
viceversa un bisogno specifico riferito alla relazione con l’animale e che assegna a quest’ultimo un
ruolo referenziale. La zooantropologia quindi ha come focus di interesse la relazione uomo-animale
e i contenuti di tale interazione, valutando: a) gli aspetti generali della referenza animale, come
rapporto di soglia e b) gli aspetti specifici riferibili alla tipologia di relazione che si va a
implementare. Ecco allora che diviene comprensibile un altro fondamento della zooantropologia:
parliamo di dimensioni di relazione e non di relazione in modo aspecifico. L’analisi dimensionale è
centrale nella ricerca teorica sulle diverse variabili di relazione, ma diviene ancor più pregnante
nelle attività di zooantropologia applicata: in questi progetti non si propone infatti una relazione in
modo aspecifico ma una matrice relazionale, capace di sviluppare contenuti particolari e ben
definiti. L’idea che la relazione uomo-animale, proprio perché dotata di una referenzialità, sia
dimensionale apre la strada a un nuovo continente di ricerca, per larghi tratti inesplorato. Le diverse
dimensioni infatti declinano in modo unico e peculiare il rapporto di soglia, creano cioè contesti di
confronto e processi di decentramento assai differenti, in grado cioè di sviluppare contenuti
referenziali diversi. Vi è infatti una profonda differenza tra una relazione ludica e una di tipo
affettivo, tra una relazione di cura e una di attaccamento, e le differenze riguardano proprio quali
contenuti referenziali vengono declinati nel rapporto di soglia. La valutazione dimensionale è
peraltro il frutto della specifica focalizzazione sulla relazione che caratterizza la zooantropologia.
Ma questo significa che in zooantropologia ci si interroga e ci si preoccupa prima di tutto
dell’orizzonte dimensionale della relazione, vale a dire di tarare nel modo giusto la matrice
relazionale a seconda dei bisogni del fruitore di relazione. Non c’è più solo il corretto modo di
rapportarsi con un cane o con un gatto - prerequisiti questi, ma non il focus di interesse della
zooantropologia - vi è la definizione di un contesto dimensionale opportuno per quell’evento
relazionale. Quando faccio pet therapy non devo infatti preoccuparmi solo se la persona sta
approcciando in modo corretto quell’animale. Devo prima di tutto chiedermi se il tipo di relazione,
la dimensione di relazione, che sto attivando sviluppa dei contenuti positivi o negativi per quel
particolare utente. Le dimensioni non sono tutte uguali anzi, operano decentramenti del tutto
differenti: il che significa che elicitano sensazioni, operano contagi, creano situazioni di scacco
molto caratteristiche. Alcuni di questi processi sono in linea con gli obiettivi che mi pongo, altri
vanno assolutamente nella direzione opposta. In definitiva possiamo dire che ogni dimensione ha
dei contenuti referenziali specifici - perché permette e sviluppa processi di soglia differenti cosicché è assolutamente indispensabile individuare le caratteristiche delle diverse dimensioni
relazionali e non semplicemente le qualità dell’animale posto in relazione. Pertanto quando si
costruisce un progetto di zooantropologia applicata prima di tutto ci si interroga sulle dimensioni
relazionali che si intendono attivare a fronte dei bisogni espressi dalla contingenza del fruitore, sia
esso un paziente di attività assistite da animali o una classe in un progetto di didattica. La
zooantropologia applicata ha pertanto un compito molto delicato che possiamo riassumere nel modo
seguente: dimensionare al meglio il modo relazionale attraverso l’esplicitazione delle attività e del
contesto di interazione. Dimensionare al meglio significa cose differenti a seconda del tipo di
rapporto con cui dobbiamo confrontarci cosicché in zooantropologia applicata dividiamo i progetti
relazionali in situazioni di: 1) pet relationship, ove uomo e animale si incontrano al di fuori di un
processo di affiliazione (proprietà) e in situazioni/progetti specifici come in zooantropologia
didattica o in pet therapy in cui si devono implementare solo alcune dimensioni relazionali; 2) pet
ownership, ossia il rapporto con l’animale di proprietà e affiliazione, ove la relazione diviene un
progetto di vita in comune e pertanto si devono bilanciare le diverse componenti di relazione ossia
creare un equilibrio tra le diverse dimensioni; 3) pet partnership, ove uomo e animale lavorano
insieme - come nel rapporto tra operatore di zooantropologia applicata e il suo animale - e pertanto
vi deve essere un accordo totale o di partnership dove la relazione diviene integrazione e i due si
rappresentano come un’unica entità. Dimensionare al meglio significa pertanto a) nella pet
relationship: individuare le dimensioni coerenti con l’obiettivo di progetto e le attività adeguate per
implementarle; b) nella pet ownership: bilanciare le diverse componenti e costruire un equilibrio
relazionale; c) nella pet partnership: costruire un percorso di integrazione e di accordo performativo.
L’analisi dimensionale è pertanto il problema della zooantropologia applicata, tenendo conto che
dimensioni differenti danno prodotti relazionali differenti ossia implicano valenze referenziali
diverse che si rendono disponibili all’applicazione. Pertanto in zooantropologia applicata non solo
si mettono in concreto le acquisizioni dell’indagine teorica ma si applica nel modo corretto la
produttività relazionale, esattamente come in zootecnia si applica la produttività performativa. La
differenza è che in zooantropologia il prodotto non deriva dall’animale, ma dal modo relazionale.
Come abbiamo detto, una disciplina si giustifica a fronte di una precisa impostazione
epistemologica, vale a dire di un’organizzazione del sapere che si basa su fondamenti, metodologie,
obiettivi di conoscenza. Questi fondamenti sono il frutto di una ricerca specifica di ordine
descrittivo - analizzare e denotare le caratteristiche della relazione uomo-animale e della referenza
animale - e di ordine esplicativo - cercare di comprendere le cause e i moventi della relazione
uomo-animale e del suo valore referenziale - al fine di individuare un impianto teorico coerente e
scientificamente fondato, vale a dire sottoposto ai criteri generali di controllo e validazione.
Pertanto la zooantropologia non solo ha dei presupposti di base, dei fondamenti, che la
differenziano da altre tipologie di ricerca sul rapporto uomo-animale, ma altresì ha un metodo
differente e degli obiettivi assolutamente innovativi sia nell’ambito della ricerca (zooantropologia
teorica) sia nell’ambito dei progetti operativi (zooantropologia applicata). Per quanto concerne il
metodo di studio possiamo dire che in zooantropologia l’animale non viene considerato
semplicemente uno stimolo che elicita una risposta nell’uomo, pertanto si valutano: a) i processi
affiliativi, ovvero come uomo e animale costruiscono processi simpatetici, di immedesimazione, di
legame; b) i processi dialogici o di confronto, vale a dire come avviene il processo di
decentramento, come si realizzano le situazioni di scacco e le definizioni identitarie; c) i processi di
contaminazione o di passaggio, ovvero gli eventi emergenziali che modificano lo stato o l’assetto
dell’uomo attraverso relazioni di soglia; d) i processi di ibridazione ossia come si costruisce
l’evento integrativo, la costruzione di una nuova entità che riassume o contiene i due interlocutori.
Inoltre in zooantropologia non si dà una prevalenza alla proiezione umana ossia alla trasformazione
o rivisitazione dell’animale, ma al dialogo con l’animale, nelle sue caratteristiche ispirative e di
scacco proprio rispetto ai processi proiettivi. Infine essendo un momento dialogico interpretato - i
due interlocutori sono attori ovvero hanno una parte attiva e situata nel processo di interscambio l’evento relazionale non è chiuso in un orizzonte deterministico ma realizza processi imprevedibili
ed emergenziali che vanno valutati come tendenze più che come esiti inevitabili. La
zooantropologia pertanto è interessata a indagare le opportunità relazionali o referenziali come un
processo aperto e in divenire, esattamente come può essere la produzione tecnologica. In
zooantropologia si cercano continuamente nuovi ambiti referenziali e nuove occasioni applicative
dei contenuti referenziali stessi, migliorando l’interscambio tra uomo e animale.
CARTA DI REGGIO EMILIA SU OBBLIGHI UMANI
E INTERESSI DEGLI ANIMALI
Articolo 1 CARATTERISTICHE DEGLI ANIMALI
Gli animali non sono cose, bensì esseri senzienti, vale a dire capaci di soffrire, provare
soddisfazione o frustrazione, nonché avere emozioni quali gioia o paura - naturalmente in relazione
alle diverse caratteristiche di specie - pertanto l’uomo deve tenere conto di queste qualità
intrinseche ogni volta che si relaziona con un animale. L’animale è capace di comunicare all’uomo
sentimenti ed emozioni , pertanto la relazione con gli animali dev’essere considerata prima di tutto
un valore.
Articolo 2
BENESSERE ANIMALE E BISOGNI
Il benessere di un animale è commisurato alle caratteristiche fisiologiche e comportamentali di
specie e razza, pertanto non è possibile valutarlo e/o promuoverlo in modo intuitivo o proiettivo, ma
è necessario conoscerne le caratteristiche nei termini sopra specificati e adeguare le azioni ai
rispettivi bisogni.
Articolo 3 L’ANIMALE COME PAZIENTE MORALE
L’animale è quindi un’ alterità, vale a dire un’entità degna della nostra considerazione etica ma al
tempo stesso profondamente diversa dall’essere umano, pertanto per promuoverne il rispetto è
necessario partire da una prospettiva di tipo biocentrico ossia riconoscere interessi diversi.
Articolo 4 IL VALORE DELLA RELAZIONE CON L’ANIMALE
Il rapporto con l’ animale rappresenta uno dei più importanti stimoli formativi, espressivi e
assistenziali per l’uomo cosicché si riconosce un valore di relazione ossia una referenza animale
specifica e non sostituibile che va conosciuta, promossa, tutelata e indirizzata attraverso progetti di
zooantropologia applicata, in didattica come in pet therapy, onde farne emergere il valore.
Articolo 5
IL PROCESSO DI DOMESTICAZIONE COME PATRIMONIO DELL’
UMANITA’
Gli animali domestici hanno accompagnato l’uomo nel suo cammino di civiltà, pertanto il processo
di domesticazione deve essere considerato patrimonio dell’umanità e parimenti il rapporto con tali
animali deve essere improntato sul concetto di collaborazione. Questo significa altresì che l’uomo
deve riconoscere un debito storico verso gli animali domestici da tradursi in termini di
responsabilità.
Articolo 6
RELAZIONE CON L’ANIMALE E QUALITA’ DELLA VITA
La relazione con l’animale d’affezione ha un’importanza fondamentale nella promozione della
qualità della vita, nell’assistenza delle persone anziane e nella formazione dei ragazzi; l’animale
d’affezione ci aiuta a esprimere la parte migliore di noi e ci sostiene nei momenti difficili attraverso
quell’autenticità e disponibilità affettiva e relazionale che sa donare senza riserve.
Articolo 7
LA SOFFERENZA DEGLI ANIMALI
Il benessere di un animale non si ottiene esclusivamente e semplicemente valutando i parametri di
spazio, ma facendo attenzione alle specifiche motivazioni e attitudini dell’animale, ai suoi bisogni
sociali e relazionali, alle sue necessità formative e cognitive, alle sue peculiarità percettive,
espressive, performative e comunicative. Non tener conto della capacità dell’animale di sentire il
dolore, mettere in atto azioni lesive o provocargli un danno fisico, sottoporlo a stimoli avversivi
capaci di provocare paura o angoscia, mantenerlo reiteratamente in uno stato di costrizione significa
provocare sofferenza all’animale. Non tener conto delle sue caratteristiche fisiologiche e
comportamentali significa sottoporre l’animale a uno stato di frustrazione che inibisce il suo stato di
benessere.
Articolo 8 LA RESPONSABILITA’ DELL’ADOZIONE DI UN ANIMALE
Adottare un animale domestico significa assumersi una precisa responsabilità di custodia da tradursi
in specifici obblighi di cura, accudimento, protezione, soddisfazione dei bisogni di benessere; tale
responsabilità coinvolge non solo il soggetto in quanto tale ma altresì gli eventuali cuccioli che egli
dovesse generare. L’adozione è per sempre: chi intende adottare un animale deve prima di tutto
commisurare le proprie disponibilità con le esigenze dell’animale in termini fisiologici e
comportamentali, facendosi sempre consigliare da un esperto prima di prendere la decisione finale.
Articolo 9 IMMORALITA’ DELL’ABBANDONO DI UN ANIMALE
Abbandonare un animale adottato è un atto immorale e lesivo di tutta la comunità umana, pertanto
deve essere perseguito con il massimo rigore al fine di scoraggiarne il verificarsi e intervenire su
tutta la filiera dell’abbandono nonché sui costi che esso implica. Chi possiede un animale ne è
responsabile anche nei termini della gestione, conduzione e custodia, evitando di arrecare danni o
fastidi al prossimo umano o animale a causa della sua negligenza, incapacità o addirittura volontà in
tal senso.
Articolo 10 CARATTERISTICHE DEL RAPPORTO UOMO ANIMALE
Il rapporto con gli animali deve essere equilibrato e rispettoso; la convivenza tra uomo e animale
deve essere improntata sul senso civico e sulla tolleranza, mantenendo atteggiamenti di
moderazione improntati sulla conoscenza scientifica delle esigenze animali e degli equilibri
ecologici del contesto antropico.
Articolo 11 UOMINI E ANIMALI IN CITTA’
Gli animali selvatici e sinantropici devono essere tutelati favorendo un buon equilibrio ecologico
nelle città, aumentando gli spazi verdi e la cura della vegetazione, inibendo atteggiamenti di
degrado e inquinamento, vigilando su ogni forma di maltrattamento o rilascio di sostanze che
potrebbero compromettere la salute degli stessi, vigilando sull’evoluzione delle popolazioni e sugli
andamenti epidemiologici.
Articolo 12 LA PROMOZIONE DI UNA CORRETTA RELAZIONE CON L’ANIMALE
Le amministrazioni locali devono promuovere un adeguato connettivo zooantropologico all’interno
delle città attraverso corsi di formazione sul corretto rapporto con l’animale, convegni e incontri
pubblici, tavoli tecnici tra i diversi attori sociali, sviluppando materiale informativo per la
cittadinanza, attivando un’efficace sorveglianza sui maltrattamenti, favorendo progetti educativi da
attivare all’interno delle scuole, organizzando corsi di formazione per il volontariato zoofilo,
facendosi parte diligente per la realizzazione di specifici tavoli tecnici, favorendo lo sviluppo di
progetti di pet therapy e l’adozione responsabile di animali.
IL VALORE DELLA RELAZIONE CON L’ANIMALE
DI ROBERTO MARCHESINI
Il rapporto uomo-animale ha vissuto negli ultimi trent'anni una profonda modificazione,
riconducibile a un variegato spettro di fenomeni socio-culturali, che da una parte hanno allontanato
l’uomo dalla consuetudine con il mondo animale, dall’altra hanno sottoposto tale relazione a una
rivisitazione globale. Con l’affermarsi della cultura urbana, a partire dal secondo dopoguerra, si è
perduta la frequentazione concreta e continua con l’animale, in altre parole quella familiarità con le
specie domestiche che ha caratterizzato la storia dell’uomo. Di colpo l’incontro con l’animale viene
ad assumere connotati di vera e propria straordinarietà: a partire dagli anni Sessanta il filo della
relazione si mantiene solo con il cane e il gatto, ma in un ambito che ha ben poco del naturale. Di
conseguenza si assiste alla progressiva sedimentazione di una visione iconica – ossia mediata da
stereotipi culturali – dell’animale stesso, una prospettiva che ne misconosce le caratteristiche più
pregnanti. In altre parole, l’allontanamento dal contesto rurale ha messo una seria ipoteca sulle
possibilità dell’uomo di sperimentare e conoscere la natura e i tratti della diversità animale, a partire
dalle peculiarità proprie di ciascuna specie. Si è cominciato perciò a interpretare l’animale
attraverso modelli proiettivi, ovvero prescindendo dalla reale conoscenza del carattere di speciespecificità: talvolta antropomorfizzandolo, vale a dire ritenendolo assimilabile in tutto e per tutto
all’uomo e alle sue categorie comportamentali, oppure, viceversa, reificandolo ossia trasformandolo
in un feticcio a cui applicare i modelli consumistici, esattamente come se si trattasse di un oggetto o
una macchina. Di concerto, soprattutto a partire dalla metà degli anni Settanta, ha preso vita una
nuova cultura tesa ad affermare l’importanza del rispetto di alcune esigenze fondamentali
dell’animale, come la libertà dalla fame e dal dolore. Paradossalmente, mentre si avvertiva
l’esigenza di tutelare il benessere animale, erano venuti meno i principi guida per assicurare in
modo concreto uno stato di welfare alle altre specie. Non vi è dubbio che solo la conoscenza delle
caratteristiche di specie-specificità possa informare le prassi corrette volte al benessere di un
animale: infatti non basta voler bene agli animali per ottenere effettivamente il loro bene. E tuttavia,
a partire dagli anni Ottanta, complice per l’appunto la straordinarietà dell’esperienza urbana con
l’animale, si assiste al vertiginoso fenomeno della “pet ownership”. Con tale denominazione, di
matrice anglosassone, si intende una situazione di proprietà dai forti contenuti di affiliazione
familiare applicata all’animale da compagnia. L’incremento di cani, gatti e altri piccoli pet nelle
case degli italiani e la situazione di stretta convivenza che si verifica nel contesto metropolitano –
intorno alla metà degli anni Novanta una famiglia su due arriva a possedere un animale d’affezione
– pone l’urgenza di una conoscenza adeguata del comportamento specie-specifico e del modo
corretto di interazione. L’acquisizione di una preparazione di base si rende indispensabile per una
serie di ragioni: 1) assicurare il benessere degli animali ospitati, evitare i maltrattamenti e prevenire
alterazioni comportamentali negli animali; 2) prevenire gli incidenti con animali, soprattutto con i
cani, dando informazioni adeguate su come ci si deve comportare con questi animali; 3) prevenire il
malcostume dell’abbandono degli animali, fenomeno che si ritiene comunque riconducibile a un
basso livello di consapevolezza nell’adozione e nella gestione della proprietà. Nasce così l’esigenza
di istituire progetti educativi che si pongano come obiettivo quello di accrescere la conoscenza delle
caratteristiche generali degli animali e, in particolare, di quelle specie d’affezione sempre più
presenti nel tessuto urbano. Questi progetti didattici dapprima vengono sviluppati soprattutto sugli
aspetti igienico-sanitari – la gestione della proprietà e della salute, la prevenzione delle malattie
trasmissibili – per poi assumere un più significativo taglio etologico, e rispondere al bisogno di
informazioni pratiche sul corretto modo di approcciare gli animali e di costruire la relazione di pet
ownership.
Di concerto un altro fenomeno, emerso nell’ultimo ventennio del XX secolo, ha rafforzare in
qualche modo l’esigenza di progetti didattici riguardanti l’interazione uomo-animale: la nascita
della zooantropologia. Intorno alla metà degli anni Settanta, in molti paesi europei e nordamericani
hanno preso avvio specifiche esperienze di interazione uomo-animale applicate al recupero di
ragazzi che presentavano difficoltà di tipo didattico o semplicemente di integrazione all’interno del
gruppo classe o più in generale di adattamento socio-ambientale. Queste ricerche fanno capo a due
esperienze pilota realizzate negli Stati Uniti d’America che hanno modificato per sempre il nostro
modo di interpretare la relazione uomo-animale.
La prima esperienza è stata condotta dallo psicologo Bernard Ross, che sulla finire degli anni
Cinquanta ha avviato una comunità per ragazzi con difficoltà di inserimento sociale basata sul
prendersi cura dell’animale come palestra per incrementare processi di attaccamento e
responsabilità. La comunità di Bernard Ross, chiamata Green Chimneys, ha dato avvio a una
stagione di ricerca sul valore formativo e didattico della relazione con l’animale. La seconda
esperienza, avviata all’inizio degli anni Sessanta dallo psichiatra Boris Levinson, ha messo in luce
come la semplice presenza di un cane durante le sedute terapeutiche migliorava in modo consistente
la relazionalità e la risposta cognitiva di un bambino autistico suo paziente. La scoperta di Levinson
in seguito troverà conferme nelle ricerche di molti studiosi – Ange Condoret, i coniugi Corson,
Erika Friedmann, solo per citarne alcuni – che nell’insieme hanno dimostrato come l’interazione
con l’animale possa avere un ruolo assistenziale, ossia coadiuvante nei processi terapeutici.
Levinson battezzò questo fenomeno con il termine “pet therapy”.
In breve in molti Paesi prendono avvio progetti di studio sul valore referenziale dell’alterità animale
e sulle corrette modalità di interazione capaci di far scaturire tali valenze. Il nuovo modo di
considerare la relazione con l’animale – in termini di partnership e non di mero utilizzo – nonché la
specifica attenzione verso le valenze referenziali dell’animale giustifica la nascita di un nuovo
impianto teorico e metodologico definito zooantropologia. La zooantropologia è pertanto la
disciplina che non solo studia le dimensioni della relazione con l’animale, ma altresì il significato
referenziale dell’alterità animale, vale a dire il valore espressivo, formativo e assistenziale di tale
interazione. Oggi, dopo vent’anni di esperienze e di studi su questo ambito, possiamo disporre di
una notevole mole di lavori scientifici che dimostrano l’importanza della relazione con l’animale sia
nell’ambito educativo-didattico che in quello assistenziale-terapeutico. Le ricerche condotte dai
pionieri della zooantropologia negli anni Settanta dimostrarono come i bambini con difficoltà di
apprendimento e di comunicazione, o con disturbi di ordine psicologico o di inserimento sociale
vengono aiutati dall’interazione con l’animale. In seguito si è potuto appurare che anche i bambini
che apparentemente non dimostrano situazioni di disagio ricevono importanti benefici di ordine sia
educativo che didattico all’interno di progetti di interazione con l’animale. Ma a questo punto una
riflessione diventa obbligatoria. Con la separazione dell’uomo dagli animali domestici, dovuta al
superamento della cultura rurale, è plausibile ipotizzare una carenza effettiva di tale relazione. Di
questa deprivazione ne hanno sofferto soprattutto le giovani generazioni che hanno visto diminuire
le loro possibilità di avvalersi dei benefici educativi e didattici propri dell’interazione con l’animale.
Ecco allora che i progetti di pet relationship, che dalla metà degli anni Ottanta si sono andati
profilando anche nel nostro Paese, sempre più hanno fatto riferimento a quel valore di relazione che
caratterizza la pet relationship, cercando di individuare le migliore procedure per far emergere quei
contenuti referenziali di ordine educativo o assistenziale di cui sembra aver bisogno l’uomo. Senza
dubbio sono le categorie più vulnerabili a manifestare in modo eclatante tale bisogno, ma non per
questo possiamo ritenere che la pet relationship esprima le proprie plusvalenze solo nell’ambito
della pet therapy o della zooantropologia didattica. Riconoscere il valore della relazione con
l’animale significa assegnargli uno spazio ben definito, non utilizzare l’animale in modo
surrogatorio e questo è il grande merito della zooantropologia, il cui compito è proprio quello di
profilare la referenza animale. In altre parole, possiamo dire che con la zooantropologia si ribadisce
un concetto – dato per scontato talvolta, misconosciuto il più delle volte – molto importante: vale a
dire che l’uomo non è autosufficiente nei suoi processi ontogenetici e che la relazione con l’animale
è in grado di far emergere ciò che di meglio c’è in noi.
RELAZIONE DI SABRINA TONUTTI: “INTRODUZIONE ALLA
ZOOANTROPOLOGIA: DALL’ANIMALE COSA ALL’ANIMALE PARTNER”
Un nodo gordiano antropologico.
Fin dai primordi l’uomo si è dovuto confrontare con altre specie animali che, come lui, abitano
questo pianeta e ne condividono le sorti.
La presenza accanto a noi umani di altri esseri viventi e animati ha costituito e continua a
rappresentare un vero e proprio interrogativo esistenziale vivente che richiama il grande mistero di
essere qui e del senso ultimo dell’esistenza. Dal confronto con l’alterità animale e dalle diverse
tipologie di interazione e rapporto che gli umani hanno istituito con le altre specie hanno preso
l’avvio catene simboliche, universi rappresentativi, sistemi classificatori e modelli più strettamente
operativi che rappresentano certamente un nucleo tematico imprescindibile per la comprensione di
quel macro fenomeno che è la cultura.
Il rapporto fra uomini e animali1 rappresenta un nodo gordiano dell’antropologia culturale: esso si
situa nel punto di intersezione fra grandi aree tematiche di interesse antropologico, come il binomio
natura-cultura, la rappresentazione del mondo fra uso pratico e uso simbolico, l’elaborazione di
griglie interpretative della realtà, e addirittura costituisce parte costitutiva di quello stesso processo
di “costruzione” e definizione dell’identità umana (proprio dell’antropologia implicita di ogni
gruppo umano) che chiamiamo antropopoiesi (Remotti 2000).
La relazione uomo-animale, con i suoi aspetti strutturali e le variabili del rapporto etnograficamente
rilevabili sul campo, è uno degli snodi attraverso i quali deve passare l’indagine dell’antropologo.
Le ricerche etnografiche.
L’antropologia culturale ha riservato attenzione nelle sue speculazioni epistemologiche e ha dato
spazio nelle sue ricerche sul campo ora all’intreccio di questi fattori (riflessione sulle polarità
oppositive natura/cultura, uomo/animale, domestico/selvatico, ecc.), ora ad alcuni ruoli – e status ricoperti dagli animali in diversi contesti (animali sacrificali, animali da compagnia, animali da
reddito, ecc.), ora ai differenti livelli (utilitaristico, simbolico, euristico, ecc.) di fruizione
dell’animale da parte dell’uomo.
Molti sono gli autori che hanno indagato più o meno ampiamente gli aspetti economici e sociali di
questo rapporto, presso società di caccia e raccolta, di pesca, di agricoltori e allevatori: fra questi,
ricordiamo Rappaport con la sua ricerca sul ruolo dei maiali presso gli Tsembaga della Nuova
Guinea (Rappaport 1980), Evans Pritchard che descrisse i tratti “bovini” della cultura Nuer
nell’opera “I Nuer. Un’anarchia ordinata” (Evans Pritchard 1979), e ancora Crocker sul rapporto
metaforico fra uomini bororo (Brasile) e arara rossi (Crocker 1975) e Geertz sulla “migrazione della
gerarchia di status” sociali attraverso il combattimento di galli a Bali (Geertz 1987: 428).
Oltre agli aspetti strettamente utilitaristici del rapporto uomo animale, in tali studi emergono spesso
altri fattori – valenze affettive, usi simbolici, ricadute sociali - con i primi interagenti, riferibili a
fenomeni quali pratiche sacrificali (in cui l’animale viene caricato di una valenza di mediazione con
il sovrannaturale – per il sacrificio cfr. Cartry 1991, Girard 1980, Grottanelli 1988), codici
comportamentali e rituali di caccia (pre e post venatori, connessi soprattutto alla denegazione
dell’uccisione, cfr. Lanternari 1976, Tonutti 1999a), ricorrenza di proibizioni (come i tabù
alimentari, cfr. Harris 1992, Simoons 1991, Douglas 1993), ecc..
Questo intreccio di fattori è quantomai evidente se riferito allo sfaccettato fenomeno della
domesticazione, intesa sia come processo, indagabile nel suo percorso diacronico, sia come
macrocategoria, o sistema a più livelli (appropriazione dell’animale, familiarizzazione,
utilizzazione, cfr. Tonutti 1999b), che include tanto lo sfruttamento dell’animale come risorsa e
materia manipolabile, quanto la sua elezione a “compagno” dell’uomo, e questo non solo nelle
società occidentali, ma pure presso culture tradizionali (Serpell 1996).
In Tristi tropici, l’antropologo francese Claude Lévi-Strauss ha dedicato una breve ma affascinante
chiosa alla presenza di animali all’interno della comunità Nambikwara, popolazione di cacciatori
raccoglitori nomadi del Mato Grosso, Amazzonia (Lévi-Strauss 1970 e 1999: 269).
Presso i Nambikwara, infatti, gli animali domestici “vivono con loro in grande intimità e sono
anch’essi trattati come bambini: partecipano ai pasti, ricevono le stesse espressioni di tenerezza e
di interesse – spidocchiamento, giuochi, conversazioni e carezze – come gli esseri umani. I
Nambikwara hanno molti animali domestici: cani anzitutto, poi galli e galline (…), scimmie,
pappagalli, uccelli di specie diverse e, all’occasione, porci e gatti selvatici o coati. Solo il cane
sembra avere un ruolo utilitario presso le donne, per la caccia col bastone (…). Gli altri animali
vengono allevati per passatempo. Non si mangiano, né si consumano le uova delle galline, le quali
del resto le depongono nella boscaglia. (…). In viaggio, fatta eccezione per gli animali capaci di
camminare, tutto il serraglio viene trasportato insieme ai bagagli. Le scimmie, aggrappate ai
capelli delle donne, le incappucciano di un grazioso casco vivente prolungato dalla coda
attorcigliata attorno al collo della portatrice. I pappagalli e le galline si appollaiano in cima alle
1
L’espressione “rapporto uomo/ini-animale/i” è impropria e rimanda a una distinzione categoriale che meriterebbe di
essere criticizzata alla luce dei retaggi filogenetici. Essa è qui utilizzata come tale per motivi di sintesi esplicativa, ma
gerle, altri animali sono tenuti in braccio. Nessuno riceve un abbondante nutrimento ma anche nei
giorni di scarsezza ciascuno ha la sua razione. In cambio, sono motivo di distrazione e di
divertimento per il gruppo”.
Come dicevamo in apertura, l’animale, oltre a poter rappresentare una risorsa economica, o una
presenza affettiva, è un’alterità con cui l’uomo deve necessariamente confrontarsi, ora tramite la
ricognizione delle differenze, ora attraverso il potere empatico dell’analogia. In ogni caso, l’animale
si rivela una presenza evocatrice, fonte di elaborazioni simboliche, segno polisemico, simbolo che
anima l’immaginario collettivo umano.
Nel ricco universo simbolico generato dall’alterità animale, per spiegare il “mistero” degli animali
l’uomo è spesso ricorso alle categorie del sacro, del sovrannaturale, del divino e, viceversa,
l’animale è stato veicolo di espressione di tali categorie.
Gli animali sono spesso stati interpretati come manifestazione della divinità, come ierofanie
naturali, e in molte religioni troviamo divinità sia interamente zoomorfe (si pensi alla dea-gatta
Bastet degli Egizi) che antropomorfe e zoomorfe assieme (sempre nell’antico Egitto, la dea Hathor,
raffigurata ora in aspetto di vacca, ora in forma umana, ma con corna bovine sul capo), o, ancora,
animali come attributi di figure religiose (si vedano, per esempio, San Rocco e il cane,
Sant’Antonio e il maiale).
In altri casi ancora, gli animali, oltre a essere luogo di manifestazione del sacro, divengono, agli
occhi dell’uomo, messaggeri dell’aldilà, entità depositarie di un prezioso sapere sul futuro, sapere
altrimenti precluso alla conoscenza umana.
Ricordiamo, a questo proposito, che fra le pratiche accreditate nell’antichità per divinare il futuro,
c’era l’oionistica, o ornitomanzia, cioè l’interpretazione del volo e del canto degli uccelli. A Roma
si ricorreva agli auguria, cioè alle divinazioni basate sull’interpretazione del comportamento degli
uccelli (direzione del volo, verso, modo di mangiare, scelta di alberi e rami per la sosta, tutte chiavi
di interpretazione dei messaggi degli dei) per ottenere gli auspici2, prima di ogni evento pubblico
(Marchesini e Tonutti 2000).
Nella prima scena, secondo atto dell’Asinaria di Plauto (Le commedie di M. Accio Plauto 1847),
queste sono le parole che rimandano alla tecnica zoomantica di cui sopra: “E’ fatta già la grazia:
son presi già gli auguri: m’invitano gli uccelli da per tutto. Il picchio e la cornacchia l’ho a
dovremmo sempre chiederci di quali uomini e di quali animali parliamo.
La parole deriva significativamente da avis, uccello, e specio, osservo.
2
sinistra, ed ecco il corvo a destra; tutti e tre son d’accordo a darmi insieme la pinta. Risolvo di
seguir il voler vostro”.
Gli animali sono quindi sono depositari di un sapere che altrimenti rimarrebbe sconosciuto agli
uomini e attraverso l’osservazione del loro comportamento e delle loro azioni contingenti è
addirittura possibile intuire le trame di una realtà altra: il futuro imperscrutabile.
Ma se, in questo caso, le antiche tecniche divinatorie, e il sistema di significati che ne sta alla base,
ci parlano di un sapere ottenuto attraverso gli animali (osservati, decodificati, letti, in quanto segni
di un cosmo semiotizzato), in altri contesti culturali rinveniamo la memoria di un sapere diverso,
che deriva da una intima e ancestrale comunione di uomini e animali, un sapere, che, come
sottolineano alcune popolazioni tradizionali, la cultura occidentale ha perduto per sempre.
Un sapere quindi condiviso, nato dal connubio fra uomo e animale, così come era all’origine, un
sapere non scevro da sentimento, da empatia, da un comune sentire, ma non per questo meno
concreto. Un sapere, come lo definisce Lévi-Strauss, “disinteressato e sollecito, affettuoso e tenero”
(Lévi-Strauss 2003: 50-51), così come emerge dalla testimonianza raccolta da D. Jenness presso gli
Indiani Carrier del fiume Bulkley: “Noi sappiamo ciò che fanno gli animali, quali siano i bisogni
del castoro, dell’orso, del salmone e delle altre creature, perché una volta gli uomini si sposavano
con loro e quindi hanno ricevuto questo sapere dalle loro spose animali … i bianchi hanno vissuto
poco in questo paese e non sanno un gran che degli animali; noi invece siamo qui da migliaia
d’anni e da molto tempo gli stessi animali ci hanno istruito. I bianchi segnano tutto in un libro per
non dimenticare, ma i nostri avi hanno sposato gli animali, hanno imparato tutte le loro usanze e
hanno tramandato queste conoscenze di generazione in generazione”.
Questo sapere condiviso, intriso di empatia, nato dal connubio ancestrale fra uomini e animali, ci
rimanda, come emerge dal passo citato, a quella forma di comunione spirituale fra uomini e animali
che è stata descritta come totemismo: presso alcune popolazioni australiane e nordamericane alcuni
studiosi, a cavallo fra Ottocento e Novecento, hanno rinvenuto una forma di relazione mistica e
parentale fra gruppi sociali e talune specie animali, i cui individui sono riconosciuti come parenti,
antenati degli umani e capostipiti dei raggruppamenti umani, sullo sfondo di un apparato di riti e
miti che esalta e reitera la nostalgia per un passato mitico in cui non esisteva ancora la drammatica
frattura fra uomini e altri animali (si veda, per esempio, Durkheim 1971).
Antropologi e animali.
Gli studi antropologici in generale e i resoconti di alcune ricerche etnografiche in particolare ci
regalano pagine interessanti – e, in taluni casi, pregne del fascino dell’ “osservazione partecipante”
della ricerca sul campo – in cui vengono descritti e analizzati ora i comportamenti agiti, ora gli usi
cognitivi e simbolici, ora valenze sociali riferiti agli animali con cui i gruppi umani osservati
entrano in relazione.
Ma, a questo proposito, si rendono necessarie due precisazioni.
Innanzitutto, a fronte di una presenza dell’animale nella vita pratica e nell’immaginario dell’uomo
così determinante ed estesa, presso tutte le culture, da imporre una qualche riflessione sulle sue
valenze e sul suo ruolo in relazione alla cultura specifica di ciascun gruppo, il silenzio sotto il quale
tale fenomeno e le tipologie di rapporto uomo-animale passano, in molte monografie, è tanto grave
da rendere lacunosa la comprensione dello stesso contesto culturale studiato. Pare spesso
manifestarsi, con certi antropologi, una certa miopia nei confronti della presenza di animali accanto
agli uomini e verso la ricchezza di valenze dei vari tipi di rapporto che intercorrono fra di essi.
Inoltre, ci pare di poter rilevare, in questa tradizione di studi, una malcelata tendenza a osservare e
descrivere gli animali accanto agli uomini alla stregua di oggetti, di res, di materia animata sulla
quale ricadono lo sguardo, le azioni, le fruizioni simboliche umane. Al contrario, gli animali non
possono essere in alcun modo assimilati alla categoria degli oggetti, neppure quando la relazione
che lega loro gli uomini è di tipo utilitaristico: l’animale infatti rappresenta l’altro “attore sociale” di
una relazione, di un dialogo interspecifico, di una comunicazione che avviene nei due sensi.
Qualora l’animale venga osservato – e ancor prima che osservato, pensato – come mero “oggetto”
di usi pratici e simbolici umani, allora il contesto di relazioni a cui abbiamo appena accennato
risulta falsato, parte della relazione rimane muta, la comprensione del contesto di osservazione si
presenta parziale.
Ai fini di una corretta e completa – e pertanto fedele – comprensione non solo della relazione
uomo-animale, ma delle stesse manifestazioni di cultura umana che sono oggetto di indagine, è
necessario a nostro avviso arginare la tendenza a trasformare l’analisi della cultura in una “stanza
degli specchi” dell’uomo, in cui l’animale, se presente, rappresenta soltanto uno dei modi e dei
luoghi in cui l’uomo manifesta, in modo autoriferito, parte di sé.
E’ necessario, in sintesi, evitare la dicotomizzazione fra soggetto e oggetto di relazione, e restituire
all’animale le sue valenze di interlocutore, che non solo subisce le azioni e le relazioni umane, ma
che è parte attiva, come essere vivente, come animale-non umano, delle relazioni che variamente,
nelle diverse culture e nelle differenti situazioni, hanno luogo.
Etologia: le culture animali.
La disciplina in cui invece l’animale riacquista la soggettività, ed è oggetto centrale di osservazione
a analisi è l’etologia. Questa disciplina, e, al suo interno, soprattutto alcune ricerche recenti,
restituiscono all’animale la sua soggettività, dimostrando in modo schiacciante che l’animale, lungi
dall’essere un oggetto, privo di emozioni, intelligenza, autoconsapevolezza, ecc., è soggetto di una
vita, di un modo peculiare di stare al mondo.
Soprattutto la primatologia, cioè lo studio degli animali a noi più vicini filogeneticamente, le
antropomorfe, dimostra che l’animale è portatore di un attributo che gli uomini si sono da sempre
arrogati come dominio esclusivo: la cultura3. Inoltre, è ormai attestato che, oltre a modelli di
comportamento specie-specifici, esistono delle vere e proprie tradizioni che variano da gruppo a
gruppo. Esistono cioè invenzioni individuali – come quella di una scimmia, la Macaca fuscata
dell’isola di Koshima, di lavare le patate in acqua salata prima di mangiarle – che poi vengono
apprese dagli altri componenti del gruppo e tramandate (Mainardi 1974). Leggiamo in un passo
scritto dal primatologo Frans De Waal la descrizione di una tradizione presente in una colonia di
scimpanzé (De Waal 2002: 198): “gli stessi bonobo avevano sviluppato particolari attività ludiche,
come moscacieca e un gioco che ho chiamato “ delle facce buffe”. Nel primo una giovane scimmia
si copriva la faccia con un braccio, o gli occhi con le dita, e girava in questo modo in cima a una
struttura, a volte quasi perdendo l’equilibrio o inciampando negli oggetti. Era un gioco solitario,
ma quando uno dei giovani cominciava, spesso gli altri lo seguivano. I più giovani non avevano il
coraggio di farlo fino in fondo e generalmente camminavano coprendosi un occhio solo. L’altro
gioco consisteva nel fare facce strane che non facevano sicuramente parte del repertorio tipico
della specie, come succhiarsi o masticarsi le guance. Questo gioco lo facevano tutti i giovani. Non
si facevano le boccacce l’un l’altro, ma sedevano in cerchio dediti a quest’attività senza alcuna
ragione. Siccome non ho mai visto niente del genere tra altri bonobo, né tra gli scimpanzé, ritengo
che si tratti di innovazioni uniche della colonia di San Diego”.
Un altro esempio eclatante riferito alla presenza di tradizioni all’interno dei comportamenti delle
singole specie ci è dato ancora da De Waal, e si riferisce alle differenze regionali rilevate nella
selezione delle piante per l’automedicazione - e oggetto di trasmissione culturale – presso gli
scimpanzé: è risaputo che le grandi scimmie ricorrono a certe pratiche di automedicazione, ora
masticando il nocciolo amaro di alcune piante, ora ingerendo intere foglie di altre, entrambe note
per essere benefiche. Tra gli scimpanzé del Gombe e Mahale, per esempio, esiste una comune
abitudine riguardante l’ingestione delle foglie di Aspilla: “Prima di consumarle, queste foglie dalla
3
Intesa come insieme di schemi di comportamento acquisiti da altri individui, appresi e tramandati nel gruppo.
superficie pelosa e ruvida sono attentamente arrotolate sul palato con la lingua in modo da poter
essere inghiottite intere. Poiché non vengono masticate, finiscono nelle feci indigerite. Huffman ha
mostrato che esse agiscono come dispositivo meccanico per l’espulsione di parassiti intestinali”
(ibidem: 200).
Gli animali come specie.
Ma, ai fini dell’analisi della relazione uomo-animale, nelle sue caratteristiche generali e nelle sue
variabili, è necessario sì fare tesoro delle ricerche etologiche, ma nel contempo compiere un passo
in avanti.
Va innanzitutto superata la tendenza a considerare gli animali come specie, o tutt’al più come
gruppo, a discapito del dato individuale (l’animale come individuo, appunto).
Ricordiamo, a questo proposito, ciò che ammoniva agli inizi dell’Ottocento Etienne Geoffroy SaintHilaire, uno dei fondatori dell’anatomia comparata: la natura, dichiarava il naturalista francese, non
ha creato che individui. Siamo noi che creiamo le specie, per l’astrazione delle diversità e la
combinazione delle somiglianze, combinazione a cui attribuiamo un nome collettivo.
Pertanto, se, da un lato l’uso di classificazioni, tassonomie e categorizzazioni di vario tipo (taxa,
etnotassonomie, nomi, raggruppamenti) si rende indispensabile per la sistematizzazione della realtà
(anche animale) osservata e rappresenta uno strumento di lavoro imprescindibile, d’altro lato tale
uso deve configurarsi come regolativo, e non costitutivo (Fabietti 1996: 62): non dobbiamo cioè
confondere gli strumenti di classificazione della realtà con una presunta struttura immanente della
realtà stessa.
Al di là delle parentele filogenetiche, delle appartenenze di specie, del nome loro attribuito, gli
animali che osserviamo sono prima di tutto degli individui, e non una personificazione della specie,
e come tali vanno osservati, tenendo conto anche del portato individuale.
Infine, dobbiamo andar oltre l’etologia per dare spazio allo studio delle relazioni inter specifiche
che legano uomini e animali, che sono l’oggetto di indagine della zooantropologia
La ricerca zooantropologica.
E veniamo quindi alla zooantropologia, una disciplina che mutua molti elementi da discipline come
quelle citate, ma che non si limita a essere una somma delle parti.
Innanzitutto, rispetto a esse, cambia l’oggetto di ricerca: non
più solo l’uomo con le sue
elaborazioni culturali, e non più solo l’animale, con i suoi etogrammi, bensì il rapporto fra questi
due, la relazione che mette in atto un dialogo che dura, in forme diverse, da migliaia e migliaia di
anni.
La zooantropologia teorica si occupa sia dell’osservazione e dell’analisi delle tipologie di questo
rapporto, che della ricostruzione delle tendenze strutturali che ne sono alla base (Marchesini 2000).
La scelta di analizzare la relazione uomo-animale sintetizza alcune importanti svolte, rispetto al
panorama interdisciplinare che si occupa di tale tematica: in primo luogo, si osserva l’animale non
solo come soggettività, come dicevamo prima, ma anche come individualità, cioè si osserva quel
determinato animale in quel contesto specifico, accanto a determinate persone (quindi come
partner).
In secondo luogo, ci si occupa delle pulsioni che guidano l’uomo verso l’animalità, cioè di quelle
tendenze, proprie della nostra specie, che sono all’origine dei nostri comportamenti verso gli
animali (tendenze epimeletiche e cure parentali interspecifiche, zootropia, ecc., cfr. Marchesini
2000; Eibl-Eibesfeldt 1980 e 2001)4.
Infine, la zooantropologia ha il merito di ricondurre i due “attori sociali” (l’uomo e l’animale) alla
fedeltà del contesto di relazioni, di osservare e descrivere due individui (o più individui,
ovviamente) che “agendo” la loro relazione non “scrivono” un “trattato sulle specie”, bensì, in un
certo senso, una “biografia”, personale e dinamica.
E gli strumenti, la nuova prospettiva, l’innovativa scelta di campo forniti dalla ricerca
zooantropologica rappresentano il volano di comprensione delle variabili della partnership uomoanimale, un chiave di lettura preziosa della dinamica delle relazioni di cui gli uomini sono parte.
Questa scelta di campo ci pone, in un certo senso, nel cuore delle cose stesse, proprio nella misura
in cui “gli animali sono una chiave: aprono le porte dell’interesse. Inter esse: situarsi nel mezzo
delle cose (e non ai loro margini) (…)”, come scrive Carlo Coccioli. “Se guardo il mondo come lo
guardano gli animali, o attraverso essi” dichiara lo scrittore “scopro in ogni evento
un’appassionante avventura. Ritrovare motivi di stupore è pertanto frutto d’umiltà: la sua
incomparabile grazia” (Coccioli 1977: 88-89).
Bibliografia:
4
Ci si riferisce all’esistenza, più in generale, di meccanismi elaboratori di dati e scatenanti innati. Lorenz ritiene che “
(…) i moduli comportamentali di cura della prole e la disposizione d’animo affettiva che un essere umano prova verso
un bambino siano scatenati molto probabilmente per via innata da una serie di caratteri particolari del bambino stesso” e
cioè i caratteri infantili (testa grossa, forme arrotondate, occhi grandi, ecc.), cfr. Eibl-Eibesfeldt 1980: 534.
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CAMILLA PAGANI
Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione
Consiglio Nazionale delle Ricerche Roma
IL BAMBINO E L'ANIMALE: SIGNIFICATI FORMATIVI DELLA RELAZIONE CON
L'ANIMALE D'AFFEZIONE
Il rapporto fra il bambino e l’animale, che per molto tempo era stato analizzato solo sulla base di
rilevazioni di tipo aneddotico, negli ultimi decenni è stato oggetto di numerose ricerche sistematiche
nel campo della psicologia. In queste ricerche due filoni si sono evidenziati in modo particolare. Il
primo è costituito dallo studio della crudeltà dei bambini nei riguardi degli animali come indicatore
potenziale di una situazione esistenziale patogena (soprattutto familiare) e di futuri comportamenti
antisociali. Il secondo è costituito dallo studio del rapporto positivo tra il bambino e l’animale e
degli effetti di questo rapporto sullo sviluppo psicologico del bambino. Vedremo come questi due
filoni hanno un fondamento teorico comune che ci permette di analizzare in modo integrato questi
due aspetti, quello negativo cioè e quello positivo, del rapporto del bambino con l’animale.
Utilizzerò in questa sede il concetto di “animale d’affezione” in senso ampio, includendovi non solo
l’animale da compagnia che vive in casa con il bambino, ma anche l’animale per il quale il bambino
prova affetto e nei riguardi del quale ha un atteggiamento di cura e protezione e che vive, ad
esempio, con un parente del bambino, con un suo amico, o nel quartiere, oppure che il bambino
incontra per motivi diversi e con modalità diverse nel corso della sua vita di tutti i giorni. Per inciso
vorrei ricordare che in una ricerca che sto svolgendo con il Prof. Frank Ascione della Utah State
University sugli atteggiamenti dei bambini e degli adolescenti italiani nei riguardi degli animali,
alcuni dei bambini e degli adolescenti che in un questionario anonimo hanno risposto “Sì” alla
domanda “Hai un animale che vive in casa tua?”, hanno precisato che in realtà l’animale vive, ad
esempio, a casa della nonna o “al terreno” (in una casa di campagna cioè di proprietà della famiglia,
dove in genere tutti i famigliari vanno la domenica e d’estate). Questo concetto allargato di
“animale d’affezione” ci permette inoltre di considerare in questo ambito anche gli atteggiamenti di
affetto, di cura e di protezione di un bambino nei riguardi degli animali in genere. Vedremo infatti
come in molti casi sia possibile riscontrare un continuum tra gli atteggiamenti positivi nei riguardi
di un animale particolare e gli atteggiamenti positivi nei riguardi di tutti gli animali.
Cercherò di analizzare, in modo ovviamente molto sintetico, i seguenti punti:
• Lo sviluppo psicologico del bambino e il suo rapporto con il diverso.
•
Gli effetti di un rapporto positivo con l’animale sullo sviluppo cognitivo e affettivo del
bambino.
•
Il concetto di empatia.
•
La crudeltà dei bambini nei riguardi degli animali.
•
L'estensione di atteggiamenti e comportamenti positivi nei rapporti dei bambini con gli
animali, in particolare con gli animali d’affezione, ai rapporti dei bambini con gli umani e
con l’ambiente.
•
Il modello di vita competitivo nella nostra società.
•
Il ruolo degli adulti.
Sebbene, soprattutto agli inizi dello sviluppo psicologico del bambino, esista una tendenza ad
interpretare la realtà sulla base delle caratteristiche ed esperienze del proprio io, in un modo cioè
egocentrico, fin dalla nascita l’io si sviluppa sulla base dei suoi rapporti con gli altri, intesi come
individui ed entità distinti dall’io (Myers Jr. & Saunders, 2002). Diversamente da quanto si pensava
in passato, questo concetto dell’altro nella sua specifica individualità è acquisito dal bambino ad
un’età molto precoce ed è parte integrante dello sviluppo dell’empatia e, più in generale, del senso
morale. Una certa forma di senso morale è infatti già presente nei bambini di due anni, per cui,
secondo alcuni psicologi, è più importante individuare i fattori che inibiscono il normale e
spontaneo sviluppo del senso morale nel bambino piuttosto che insistere sulla necessità di inculcare
nel bambino norme morali (Kagan, 1986). Tra gli individui con cui il bambino, anche molto
piccolo, entra in contatto ci sono naturalmente anche gli animali. Analizzerò il rapporto del
bambino con l’animale nel contesto più ampio del rapporto con il diverso (Robustelli e Pagani,
1994; Pagani, 2003). E' importante a questo punto sottolineare che il rapporto con il diverso è uno
degli aspetti fondamentali dell'esperienza umana. Diversi infatti non sono solo, ad esempio, gli
stranieri o i portatori di handicap, ma anche gli individui appartenenti all'altro sesso, ad un'altra età,
ad un'altra condizione sociale, ad un'altra specie animale e diversi siamo anche noi stessi nei vari
periodi della nostra vita. Sia sul piano temporale che su quello dell'importanza per la formazione
della personalità l'aspetto iniziale del rapporto del bambino con l'animale riguarda quello che
normalmente viene definito il rapporto con il diverso. Dobbiamo renderci conto che il senso della
diversità è un aspetto fondamentale dell'esperienza umana e che la sua acquisizione e la sua
comprensione sono processi estremamente complessi. Il rapporto positivo con l'animale può
contribuire ad insegnare al bambino quella regola fondamentale di ogni tipo di comprensione che
consiste nel saper uscire fuori da se stesso e nel rinunciare a considerarsi un punto universale di
riferimento. Egocentrismo, antropomorfismo ed etnocentrismo hanno infatti una radice comune.
Vedremo poi, parlando dell'empatia, perché un rapporto positivo con l'animale può favorire questo
processo di decentramento.
Un altro concetto molto importante da prendere in considerazione nello studio del rapporto del
bambino con l'animale d'affezione è quello di attaccamento. Come è noto, in una relazione
l'attaccamento offre sicurezza, protezione, sostegno, aiuto e consolazione. Studi relativamente
recenti indicano che il concetto di attaccamento può essere applicato anche al rapporto del bambino
con l'animale d'affezione (Melson et al., 1998). Alcune ricerche molto interessanti hanno dimostrato
che la maggior parte dei bambini che possiedono un animale, in particolare un cane o un gatto,
affermano di considerarlo "un amico speciale", un confidente dei loro segreti, una fonte di conforto
quando sono tristi, soli o ammalati. Ad esempio, è stato visto che i bambini tra i 6 e i 10 anni di età
che vivono con un solo genitore mostrano un attaccamento più forte al loro cane rispetto ai bambini
della stessa età che vivono con tutti e due i genitori (Bodsworth & Coleman, 2001). Inoltre la scarsa
possibilità che oggi i bambini, soprattutto quelli che vivono nelle città, hanno di interagire con altri
bambini della stessa età ha un effetto negativo sul loro sviluppo psicologico. Questo effetto
negativo può probabilmente, almeno in parte, essere neutralizzato da un’interazione positiva con un
animale. Nella ricerca ancora in corso, a cui accennavo prima, che sto svolgendo con il Prof.
Ascione, molti dei bambini e degli adolescenti che hanno o che hanno avuto un animale in casa
dichiarano di avere trovato in lui una fonte di conforto nei momenti difficili. L'attaccamento ha una
funzione particolarmente significativa nello sviluppo del bambino, di cui favorisce l'autostima,
l'autonomia e lo sviluppo cognitivo. Inoltre un legame affettivo profondo tra l'animale e il bambino
generalmente promuove nel bambino lo sviluppo di atteggiamenti di interesse, di cura e di
protezione nei confronti dell'animale. Il bambino diventa più responsabile e più maturo. Nella
nostra società, in cui le aspettative e le pressioni degli adulti per quanto riguarda le prestazioni dei
bambini sono spesso troppo elevate, la riconoscenza incondizionata, ad esempio, di un cane o di un
gatto per una coccola, un po' di cibo, un gioco fatto insieme o una passeggiata può diminuire la
frustrazione vissuta dal bambino nei rapporti con gli adulti e con i pari e rafforzare, appunto, la sua
autostima. Inoltre nella nostra ricerca risulta che in genere i bambini e gli adolescenti si
preoccupano per il loro animale. Le preoccupazioni sono legate soprattutto alla paura che l'animale
scappi, vada sotto una macchina, si ammali o possa morire. Ricordiamo tra l'altro che molti studi
hanno dimostrato che tra le cause della depressione nei bambini vi è anche la perdita di un animale
amato.
Attraverso il processo di decentramento di cui parlavo prima il bambino è stimolato a prendere
coscienza, oltre che delle caratteristiche fisiche e psicologiche che condividiamo con i nostri
compagni animali, anche di quanto è specifico della nostra specie o di altre specie. E' quindi anche
incoraggiato a prendere in considerazione l'idea di bisogni e di comportamenti diversi dai suoi e, di
conseguenza, a sviluppare un atteggiamento più empatico. E' opportuno a questo punto ricordare
che per empatia intendiamo la capacità di un individuo di immedesimarsi negli altri sul piano
cognitivo e su quello affettivo, cioè di capire e di condividere i pensieri e le emozioni degli altri.
Attraverso questo spostamento di prospettiva il bambino può sviluppare un atteggiamento più
maturo e più flessibile sia nei suoi rapporti con individui di specie diverse sia con individui della
sua stessa specie. Infatti anche gli individui della sua stessa specie sono altri, sono cioè diversi da
lui. Vogliamo sottolineare poi che lo sviluppo dell'empatia è lo strumento più efficace per
prevenire, ridurre o eliminare atteggiamenti e comportamenti violenti.
Ci sono aspetti del rapporto positivo di un bambino con un animale che possono favorire nel
bambino lo sviluppo dell'empatia. I legami affettivi che gli animali superiori riescono a stabilire con
gli esseri umani hanno come caratteristica fondamentale quella di basarsi su elementi primari e
intrinseci al rapporto stesso, liberi da condizionamenti socioculturali, liberi cioè da quegli elementi
che generalmente complicano e problematicizzano i rapporti tra gli esseri umani. Questo rende il
rapporto dell'essere umano con l'animale particolarmente gratificante. Questo rapporto quindi può
in generale facilitare nel bambino lo sviluppo di rapporti sociali positivi. L'empatia interspecifica
quindi, cioè l'empatia nei riguardi di un individuo di una specie animale diversa dalla nostra, può in
quanto empatia generalizzarsi agli esseri umani. Secondo Ten Bensel (1984) e Paul & Serpell
(1993) questa generalizzazione dell'empatia potrebbe realizzarsi attraverso un'identificazione con
l'individuo vulnerabile e di simpatia nei suoi confronti, qualunque sia la specie a cui appartiene. Il
fatto che si tratti di un animale implica nella maggior parte dei casi una sua condizione di maggiore
vulnerabilità rispetto agli esseri umani. L'empatia porta al riconoscimento dei bisogni dell'altro e
implicitamente al riconoscimento della sua vulnerabilità, come pure al riconoscimento, ad un livello
profondo, della condizione della propria vulnerabilità.
Vorrei ora accennare brevemente al problema della violenza perpetrata dai bambini e dagli
adolescenti nei riguardi degli animali. Questa violenza, secondo gli psicologi (Lockwood &
Ascione, 1998; Ascione & Arkow, 1999), è connessa a certi disturbi psicologici, soprattutto ad
atteggiamenti e comportamenti aggressivi nei riguardi degli esseri umani. Può anche essere
connessa a comportamenti antisociali di vario tipo (reati contro la proprietà, uso e spaccio di droga,
ecc.). Inoltre la violenza nei confronti degli animali può essere la conseguenza di una situazione
familiare ed ambientale problematica (violenza fisica, violenza psicologica, abuso sessuale). Le
ricerche in questo campo sono state realizzate soprattutto in area anglosassone. In particolare negli
Stati Uniti il dibattito su questo argomento ha coinvolto non solo l'ambito accademico ma anche
associazioni animaliste, politici, magistrati, forze dell'ordine, veterinari, educatori, associazioni
femministe e associazioni che si occupano della protezione dei bambini.
Il DSM-III (1987) (Manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali dell'American Psychiatric
Association) e la Classificazione internazionale dei disturbi mentali e comportamentali nei bambini
e negli adolescenti (ICD-10, 1996) della Organizzazione Mondiale della Sanità hanno inserito la
crudeltà fisica nei riguardi degli animali tra i sintomi del disturbo della condotta, disturbo che viene
definito come "un modello ripetitivo e persistente di comportamento in cui i diritti fondamentali
degli altri o le principali norme o regole sociali appropriate ad una determinata età vengono violati".
Negli Stati Uniti la percentuale di bambini e adolescenti che sono stati violenti nei confronti degli
animali e del 20%, mentre è stato calcolato che circa il 50% è stato coinvolto in situazioni di
violenza nei riguardi degli animali o come testimone o come responsabile. Quasi tutti i bambini e
gli adolescenti che sono stati personalmente violenti nei confronti degli animali hanno anche
assistito ad atti violenti nei confronti di animali compiuti da altri. Questo dato è particolarmente
significativo, in quanto la ricerca psicologica ha dimostrato che assistere a scene di violenza può
ridurre o annullare le capacità empatiche attraverso un processo di desensibilizzazione. Per quel che
riguarda la differenza tra i due sessi è stato rilevato che la violenza nei riguardi degli animali è più
diffusa tra i maschi che tra le femmine (35% dei maschi rispetto al 9% delle femmine). Sempre
negli Stati Uniti è stato evidenziato che gli studenti universitari che da bambini o da adolescenti
sono stati crudeli verso gli animali approvano più frequentemente, rispetto agli studenti che non
sono stati crudeli verso gli animali, sia le punizioni corporali nei contesti educativi sia il fatto che il
marito picchi la propria moglie (Flynn1999a; 1999b). Non dobbiamo dimenticare infine che alcuni
dei ragazzi che recentemente hanno effettuato delle autentiche stragi in alcune scuole degli Stati
Uniti avevano precedentemente ucciso e torturato degli animali.
I dati del nostro studio sugli atteggiamenti dei bambini e degli adolescenti nei riguardi degli animali
sono in fase di elaborazione e non ci è quindi ancora possibile valutare quanto le differenze culturali
fra il nostro paese e altri paesi possano influire in questo settore. Abbiamo potuto constatare ad
esempio che i bambini e gli adolescenti coinvolti nella nostra ricerca, a differenza, per quanto
possiamo sapere, dei soggetti di ricerche analoghe effettuate negli Stati Uniti, talvolta collegano il
"far del male ad un animale" non soltanto a forme di violenza considerate socialmente riprovevoli
(ad esempio, prendere a bastonate un gatto) ma anche a forme di violenza socialmente accettate (ad
esempio, uccidere un animale per mangiarlo o schiacciare una zanzara per difesa), come pure a
forme di violenza non intenzionale (ad esempio, investire accidentalmente un animale con la
macchina o schiacciare delle formiche per errore).
E' stato anche ipotizzato che un rapporto positivo con un animale d'affezione possa favorire nel
bambino un interesse verso la natura in genere e la sua conservazione. Secondo alcuni autori la
conoscenza che il bambino ha di un animale e l'affetto che prova per lui, lo rendono più facilmente
consapevole delle caratteristiche ambientali più adatte per il benessere fisico e psicologico
dell’animale (Myers Jr. & Saunders, 2002). Il bambino impara quindi a capire che queste
caratteristiche dell’ambiente naturale vanno salvaguardate e che anche lui dovrà, secondo le sue
possibilità, adoperarsi perché lo siano. Inoltre, se consideriamo, nell’ambito dell’interesse nei
confronti della natura, la preoccupazione per il benessere degli altri animali, è facile capire, come
d’altronde anche le ricerche sull’empatia hanno dimostrato, che un atteggiamento di affetto, di cura
e di protezione nei riguardi di un singolo animale può facilmente estendersi e generalizzarsi agli
altri animali.
Dalla nostra analisi di un rapporto positivo e di uno negativo del bambino con l’animale emerge
quindi l’importanza di questo rapporto come strumento efficace per capire la direzione che va
presumibilmente assumendo nel bambino il processo di socializzazione.
Vorrei fare un'ultima considerazione a proposito del tema dell'empatia e, più in generale, dei
rapporti interpersonali e dei nostri rapporti con le altre specie animali. Ho fatto prima riferimento al
concetto di vulnerabilità nell'analisi del rapporto bambino-animale. La nostra società ha
fondamentalmente una struttura gerarchica e i rapporti di potere e la competitività che la
contraddistinguono determinano differenziazioni pesanti. Gli individui che si trovano nei ranghi più
bassi hanno pochi diritti, poca considerazione, poca libertà d'azione. Fra questi individui più deboli
ci sono naturalmente anche gli animali. Essere empatici nei loro confronti, difenderli e proteggerli
esprime quindi la volontà, indubbiamente positiva sul piano sociale, di rifiutare il modello di vita
alienante che domina la nostra società, fondato appunto sull'idea, a volte esplicitamente dichiarata,
altre volte ipocritamente sottaciuta, che l'individuo più debole debba essere la vittima dei soprusi e
del potere del più forte. Date le caratteristiche che contraddistinguono un rapporto positivo tra
bambino e animale e più in generale tra essere umano e animale, quest'ultimo può rivestire un ruolo
molto importante in questo processo di rifiuto del modello di vita dominante. Gli effetti quindi di
questo rapporto positivo possono avere ripercussioni significative anche ad un livello sociale più
ampio.
Nel rapporto del bambino con l'animale il ruolo dell'adulto è ovviamente fondamentale. Possiamo
molto sinteticamente affermare che nella nostra società spesso sia gli educatori (genitori e
insegnanti) che gli adulti in genere per diversi motivi non incoraggiano adeguatamente lo sviluppo
dell'empatia, dell'interesse e della curiosità del bambino nei riguardi dell'animale. Anche per quanto
riguarda i comportamenti negativi del bambino nei confronti dell'animale l'atteggiamento degli
adulti è spesso contraddistinto da superficialità, indifferenza ed ignoranza.
Anche il ruolo delle istituzioni pubbliche in questo campo non è molto positivo. Appare chiaro
infatti che esse non tengono sufficientemente conto o non tengono affatto conto dei risultati delle
ricerche realizzate sulla violenza e sull'empatia nei confronti degli animali. Due recenti esempi
possono bastare.
Il primo esempio si riferisce a una lettera inviata il 23 maggio 2002 dal Capo Dipartimento per i
Servizi nel Territorio e lo Sviluppo dell'Istruzione del MIUR ai Direttori degli Uffici Scolastici
Regionali e ai Sovrintendenti Scolastici, in cui, in sintesi, viene sostenuta l'importanza degli
spettacoli del circo come momento educativo per i ragazzi. Cito solo una frase di questa lettera:
Lo spettacolo circense può, altresì, costituire occasione di una conoscenza più approfondita
degli animali, anche sotto l'aspetto delle loro necessità ed abitudini di vita.
Il secondo esempio viene dall'"evoluto" NordEst italiano. Nel settembre 2002 a Pagnacco, un
comune in provincia di Udine, ad un convegno sulla caccia organizzato da Alleanza Nazionale, un
assessore della Lega Nord, Danilo Narduzzi, nel suo intervento ha affermato tra l'altro:
Va poi ripulita quella incrostazione culturale che negli ultimi vent'anni ha reso la figura del
cacciatore negativa. Dare in mano a un ragazzo un fucile e insegnargli a usarlo è una funzione
educativa per insegnargli anche a rapportarsi con il prossimo. (Il Gazzettino, 7 settembre 2002)
Avrei voluto parlare di altri aspetti importanti del rapporto bambino-animale, in particolare dell'uso
degli animali a scuola, dei giardini zoologici, delle feste popolari cruente e del modo in cui spesso
gli animali vengono presentati dai media. Ma sarà per un prossimo convegno.
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Camilla Pagani
ISTITUTO ZOOPROFILATTICO SPERIMENTALE
DELL’ABRUZZO E DEL MOLISE “G. CAPORALE” – TERAMO
IL VALORE ASSISTENZIALE E TERAPEUTICO DELLA PET-RELATIONSHIP
Ombretta Pediconi
IZSA&M
La dimensione della relazione uomo-animale nel corso del tempo ha assunto
connotazioni diverse fino a rappresentare oggi il valore aggiunto dei Programmi
di Attività e Terapie Assistite dagli Animali (AAA/TAA).
Non bisogna confondere il beneficio spontaneo che può scaturire dal possedere un
animale da quello che può derivare da una precisa relazione, da specifiche valenze
affettive, cognitive e comunicative che possono essere incentivate dalla presenza
dell’animale.
Se adeguatamente strutturate, programmate e valutate, le AAA/TAA si
inseriscono con tutto rispetto nel panorama di co-terapie dolci da affiancarsi alle
tradizionali tecniche di recupero per soggetti che vivono una qualche forma di
difficoltà.
E’ bene quindi ricordare la distinzione che è alla base di programmi di Attività e
terapie Assistite dagli Animali.
Le Attività Assistite dagli Animali sono tutti quegli interventi di tipo
ricreativo, che hanno l’obiettivo di migliorare la qualità della vita di persone
che vivono una qualche forma di disagio.
Si caratterizzano perché sono programmi erogati in vari ambienti (scuole,
ospedali, sale d’aspetto), realizzati da personale opportunamente formato, in cui
vengono coinvolti animali che rispondono a determinati requisiti attitudinali e di
capacità.
Si tratta di programmi in cui non ci sono obiettivi di miglioramento e le visite
vengono gestite con spontaneità e gli incontri possono essere destinati anche a
piccoli gruppi di individui.
Obiettivi che possono essere raggiunti con tali programmi sono, ad esempio,
quelli che contribuiscono a migliorare la qualità della vita di soggetti al fine di:
distrarle da situazioni particolarmente stressanti;
rilassarle;
divertirle.
Un esempio di un Programma di Attività Assistite dagli Animali potrebbe essere
costituito dal programma che l’Istituto Zooprofilattico sperimentale dell’Abruzzo
e del Molise “G. Caporale” di Teramo sta portando avanti dal 2000 nel reparto di
Pediatria dell’Ospedale S. Liberatore di Atri (TE).
Gli incontri si svolgono nell’area giochi riservata ai piccoli degenti ricoverati
generalmente per brevi periodi di tempo.
I bambini incontrano una volta a settimana operatori accompagnati da coniglietti
nani; l’incontro rappresenta il momento in cui piccoli gruppi di pazienti hanno
modo di interagire con gli animali conoscendone caratteristiche legate alla loro
specie, alla loro alimentazione, alla loro vita, in cui imparano ad approcciarli,
attraverso attività di accarezzamento, spazzolamento e cura.
Si tratta di un programma che si prefigge obiettivi legati al miglioramento della
permanenza in ospedale dei piccoli degenti, offrendo loro la possibilità di passare
dei momenti della loro giornata in compagnia di animali speciali che nella
maggior parte dei casi non hanno mai visto direttamente né tanto meno
accarezzato o spazzolato.
Le Terapie Assistite dagli Animali sono interventi con obiettivi specifici
predefiniti, in cui animali che rispondono a determinati requisiti sono parte
integrante di trattamenti volti alla risoluzione di alcune problematiche.
Si caratterizzano e, quindi, si differenziano dalle Attività Assistite dagli Animali,
in quanto sono incontri condotti da professionisti qualificati. In questo caso
specifico il gruppo di lavoro prevede al suo interno la presenza necessaria di un
medico, o in sua assenza di uno psicologo che abbia una specifica esperienza in
questo ambito.
Molto più che nelle Attività è indispensabile prevedere criteri e strumenti di
valutazione rigorosi che consentano una rilevazione scientifica dei dati in grado di
monitorare l’andamento dei programmi terapeutici.
Nelle TAA la durata delle sedute è prestabilita e gli obiettivi sono individualizzati
e non possono prescindere da un’analisi attenta e dettagliata delle condizioni
mediche dei soggetti coinvolti.
Le aree di miglioramento, all’interno delle quali individuare obiettivi di
miglioramento, possono essere:
l’area fisica;
l’area emotiva e/o relazionale;
l’area comportamentale;
l’area educativa.
In alcuni programmi di Terapie Assistite dagli Animali, come ad esempio quello
rivolto a soggetti affetti da sclerosi multipla ed appartenenti all’AISM
(Associazione Italiana Sclerosi Multipla) - programma realizzato con il contributo
di “Trenta ore per la vita” - alcuni degli obiettivi di miglioramento perseguiti, a
seconda delle caratteristiche e delle condizioni mediche del soggetto destinatario
dell’intervento, sono quelli legati alla riabilitazione fisica degli arti compromessi
dalla malattia. Gli animali, quindi, con il supporto di terapisti della riabilitazione,
diventano parte essenziale del percorso riabilitativo in cui il soggetto è inserito.
Le AAA/TAA sono, dunque, interventi che possono essere annoverati tra quelli di supporto
a trattamenti tradizionali, che si affiancano ad essi per contribuire al benessere psico-fisico
della persona.
Le AAA/TAA hanno un valore aggiunto che è dato dalla presenza dell’animale.
Perché con l’animale?
L’animale co-terapeuta diventa una risorsa fondamentale delle AAA/TAA in
quanto soggetto attivo di una relazione che incentiva miglioramenti da parte dei
soggetti coinvolti nei programmi di AAA/TAA perché è un elemento che stimola:
fantasia;
curiosità;
capacità di osservazione;
interazione.
L’animale, inoltre, entra più facilmente in contatto con la persona perché:
accetta incondizionatamente chiunque
ricerca disinteressatamente affetto
dà incondizionatamente affetto
dà senso di protezione
suscita sentimenti di protezione (quando l’animale ricerca la vicinanza o si
accoccola in braccio)
dà una stimolazione pluri-sensoriale (consistenza del pelo, vibrazioni,
odori, suoni emessi)
utilizza più “linguaggi”
utilizza canali di comunicazione facilitati
utilizza messaggi facilmente comprensibili.
Conclusioni
Le Attività e Terapie Assistite dagli Animali rappresentano delle co-terapie da
incentivare in tutte quelle strutture in cui ci sono persone che necessitano di un
aiuto. E’ importante, però, che questi programmi siano gestiti con rigore
scientifico, senza improvvisazioni proprio per non incorrere in situazioni che
potrebbero risultare non benefiche per i soggetti coinvolti in questi programmi.
LE ATTIVITA’ DI PET-RELATIONSHIP NEI PROGETTI DI PET-THERAPY E DI
ZOOANTROPOLOGIA DIDATTICI
La nuova visione zooantropologica dell’animale ne modifica radicalmente la concezione: da
oggetto (di conoscenza o strumento utile all’uomo) a soggetto, ovvero da entità utilizzata alla
stregua di un farmaco o in grado di migliorare la qualità di vita dell’uomo, a referente per l’uomo,
in grado di instaurare relazioni ricche di valenze.
Questa nuova visione dell’animale come referente conferisce alla pet-relationship il valore di
occasione per l’uomo di vivere un inter-scambio, declinando le proprie potenzialità anche attraverso
l’incontro – confronto - contaminazione con il referente animale, le sue similitudini e differenze,
attraverso una relazione di accrescimento per scacco e per imitazione.
Come e perché la relazione col pet produca benefici all’uomo, sia in termini di miglioramento
dell’apprendimento, della concentrazione, della capacità di collaborazione, dell’interazione classeinsegnanti-famiglie o malato-terapia, sia in termini di effetti benefici e terapeutici, è oggetto di
studio della zooantropologia.
Esistono varie teorie formulate per spiegare il perché l’uomo tenda ad instaurare la pet relationship:
-
Biofilia innata
-
Teoria epimeletica (inganno parentale e zootropia)
-
Affettivo – emozionale (teoria dell’attaccamento, teoria del supporto sociale)
-
Predatoria modificata in senso epistemico
-
Grooming
-
Allelochimica
-
Comunicativa attraverso i linguaggi paraverbali e la paralinguistica
La pet-relationship si articola in modi molto vari e si fonda su diverse motivazioni, di conseguenza
anche i suoi effetti possono essere diversi e parzialmente prevedibili se valutati con un approccio
scientifico di tipo zooantropologico.
La zooantropologia può, pertanto, una volta individuate le caratteristiche della referenza animale
portarle ad eccellere nell’ambito della relazione con l’uomo, facendo scaturire tutte le plus-valenze
che possono giovare a quest’ultimo nelle AAA/AAT e nell’ambito didattico.
La pet-therapy e la zooantropologia didattica sono accomunate dal fatto che si fondano sulla petrelationship e vedono, quindi, nel referente animale una alterità capace di condurre l’uomo oltre
l’antropocentrismo e verso un miglioramento delle proprie condizioni fisiche, psicologiche, di
qualità di vita, cognitive, emozionali.
Le dimensioni attraverso cui si articola la pet-relatioship divengono, pertanto, un ambito
fondamentale da valutare, definire, prevedere affinché le AAA e AAT possano essere progettate ed
attuate con un iter mirato, attento ed efficace, nel rispetto di tutti i soggetti coinvolti, umani ed
animali.
Queste dimensioni possono essere distinte in:
-
Comunicative: la relazione si basa sulla capacità di comprendere ed interpretare la
comunicazione animale e, di conseguenza, porre le basi per un’interazione ed un approccio
corretti e costruttivi.
-
Ludico-comiche: la relazione può stimolare sensazioni positive, distraenti, emozionanti sia
attraverso il gioco che attraverso la conoscenza delle attività e dei mestieri animali.
-
Epimeletiche: la relazione può essere impostata sull’accudimento, la cura, la pulizia,
l’affettività, sia dirette che di referenza come la drammatizzazione delle cure parentali.
-
Collaborative: la relazione si instaura attraverso un gioco di squadra con l’animale partner,
interagendo ed effettuando giochi o esercizi insieme.
-
Cognitive: la relazione sollecita l’attenzione, la capacità di categorizzare, cogliere
differenze, incongruenze, similitudini, stimolando le capacità mnemoniche e di soluzione
dei problemi dei ragazzi.
-
Motivazionali: la relazione induce un orientamento ed un indirizzo dell’uomo e viene,
quindi, tradotta in un’attività motoria.
-
Emozionale: la relazione stabilizza le risposte emozionali (arousal) e viene gradualmente
guidata da una condizione simpatetica ad una empatica.
-
Sensoriale: i sensi possono essere utilizzati al meglio e separatamente grazie all’imitazione
prodotta dalla relazione e nell’interazione col pet.
Individuando quali sono le plusvalenze che la pet-relationship concede all’uomo e le motivazioni su
cui questa si fonda, si può scegliere la strada migliore per coniugare i bisogni delle persone che
necessitano di un percorso di pet therapy o delle finalità che si possono dare ad un progetto di
zooantropologia didattica.
Pertanto, si definiscono tre livelli di attività di pet relationship che possono essere applicate ad un
progetto singolarmente o come percorso di graduale avvicinamento all’animale.
Le tre attività prevedono: 1) attività referenziale in cui si prende l’animale come soggetto
dell’attenzione senza effettivamente coinvolgerlo fisicamente; 2) attività osservative nelle quali
l’animale è presente ma non si ha ancora un’interazione diretta con esso e l’attività si limita alla sua
osservazione; 3) attività di interazione cioè il vero e proprio incontro e la relazione con l’animale.
La scelta del piano di attività da mettere in atto deve essere effettuata con criterio, in relazione alle
necessità del fruitore del progetto, al piano di pet relationship che ci proponiamo di attivare, alle
finalità, alla situazione in cui si andrà ad operare, prevedendo anche il graduale passaggio da un
piano d’attività al successivo quando preventivamente programmato.
Nelle attività referenziali possiamo includere:
Giochi singoli o di squadra
Attività motorie
Attività posturali
Attività di mimo
Attività di drammatizzazione
Attività manipolatorie
Attività cognitive
Nell’ambito osservativo, invece, comprendiamo:
L’osservazione della vita dell’animale
L’osservazione del gioco dell’animale solo o con i cospecifici
L’osservazione dell’attività esplorativa
L’osservazione dell’interazione del pet con i cospecifici, con l’uomo, con il mondo esterno
L’osservazione delle diverse performances dell’animale, motorie o cognitive
Nell’ultima fase, le attività danno luogo all’interazione:
L’approccio (modalità di relazionarsi col pet)
Il contatto (relazione tattile)
Relazione epimeletica (grooming, accudimento, affettivo)
Interazione mimetica (imparare a muoversi in concerto con l’animale)
Il gioco
Il dialogo (comunicazione paralinguistica, autocontrollo)
La cura (accudimento, miglioramento dell’autostima, affettività, etc.)
La centripetazione (diventare fulcro d’interesse per il pet)
Attività petitive (richiedere una performance al pet, dare un comando, etc.)
Collaborazione col pet in qualche attività (cognitiva, motoria, ludica, etc.)
La pet relationship, quando gestita con metodo scientifico, è un’occasione per far emergere una
grande opportunità che l’animale regala all’uomo ovvero la possibilità di relazionarsi con un’alterità
(definita da Marchesini “alterità di soglia”) che lo conduce in ambiti nuovi, creando un ponte
affettivo-comunicativo grazie al quale la persona può passare da una condizione di isolamento o
chiusura ad una di graduale apertura, con l’animale in primis e con altre persone in seguito.
Maria Chiara Catalani
Medico Veterinario
MODIFICAZIONI DEL RAPPORTO UOMO ANIMALE
Di Maurizio Pasinato
Prima di iniziare ad analizzare le modificazioni zooantropologiche che ci hanno portato ad un
nuovo rapporto con il mondo animale, riterrei doveroso ricordare come questo rapporto sia
inevitabilmente legato a fattori di tipo socio-culturale se non religioso. Tuttavia i reperti
paleoantropologici e archeologici sono sempre lì a dimostrarci quanto sia profondo e antico
questo rapporto con il mondo animale. Per quanto riguarda i fattori socio-culturali facendo una
breve panoramica Internazionale come non ricordare per la loro cultura animalista i paesi nord
europei nell’area occidentale o la cultura indiana nell’area orientale. Tutti voi avrete avuto modo
di vedere in molti documentari, il rispetto per le vacche in India (l’ultimo censimento parla di
246 milioni) che mischiate alla popolazione nei centri urbani, vengono assolutamente rispettate
in quanto considerate sacre. Ma il rispetto per gli animali nella cultura indiana non è solo
riservato ai bovini, addirittura topi, scimmie scarafaggi e via dicendo godono di rispetto e
attenzione. Lo stesso Gandhi amava ricordare che il valore morale di una nazione si può valutare
dal modo in cui tratta gli animali. Se sotto l’influsso culturale religioso in India non si può
mangiare carne bovina, come d’altronde i Paesi anglosassoni non si alimentano di carne di
cavallo considerato animale d’affezione, in altri ambiti la situazione è quanto mai variegata. Gli
ebrei ad esempio possono mangiare la carne di animali cosiddetti puri, cioè quelli a piede
biforcuto e se mammiferi, ruminanti. Sono assolutamente proibiti il maiale, il cammello, il
cavallo, l’asino, i crostacei e gli insetti. I pesci si mangiano solo se hanno le scaglie. Le stesse
regole più o meno valgono per i mussulmani. In Cina al contrario un piatto prelibato è la carne
di cane. Soffermandoci brevemente all’aspetto religioso vorrei solo ricordare come i seguaci
dello jainismo nell’India nord orientale girano con una mascherina di garza per evitare di
ingerire microbi o moscerini uccidendoli e commettendo così peccato. Questo genere di peccato
nella religione cristiana certo non esiste, non risplendendo certo come movimento religioso che
ha promulgato un corretto rapporto con gli animali. Senza addentrarmi in un campo che avrebbe
bisogno di un approfondimento molto più ampio vorrei solo ricordare la figura di San Francesco
di Assisi, che se vogliamo aveva anticipato l’importanza di ricostituire l’armonia con il creato.
Diapositiva 1 – Diapositiva 2
Andiamo ora ad analizzare un po’ più da vicino quali sono le cause che ci hanno portato a
modificare qualche volta in modo radicale il nostro rapporto con il mondo animale.
Urbanesimo
Alcuni di noi sono stati testimoni della rivoluzione industriale degli anni ’60 che ha portato allo
svuotamento delle campagne che in breve tempo hanno lasciato il posto agli insediamenti
industriali e alle aree urbane sempre più estese.
L’inurbamento inevitabilmente ha diminuito la nostra consuetudine con gli animali modificando
nella gente non solo le abitudini, la cultura e il livello di interazione con essi. Nello stesso tempo
il paesaggio che ci circonda ha visto una drastica diminuzione della biodiversità, di conseguenza
abbiamo assistito alla scomparsa di molti animali selvatici, gli animali domestici sono stati
rinchiusi negli allevamenti industriali, gli animali di città sono stati omologati su poche specie
commensali dell’uomo. La conseguenza di tutto questo ci ha portato nel giro di cinquanta anni
ad una significativa diminuzione di rapporti fra umano e non umano. Se è pur vero che
nell’ultimo ventennio gli animali d’affezione hanno conosciuto un aumento di titolarità sociale,
etica e referenziale nella cultura urbana, questo non deve indurci a credere che la nostra società
sia zooantropologicamente più ricca. Forse è vero il contrario.
Al posto dell’animale si preferisce la sua icona, cioè un’immagine improntata su stereotipi
culturali: l’animale bambino, l’animale giocattolo, l’animale simbolo. Ci avviciniamo al mondo
animale attraverso documentari, i cartoni Disney, Lassie, Furia, Rex…
Purtroppo queste icone ci portano a ricercare nei nostri animali un modello precostituito che se
non risponde alle nostre aspettative provoca una forma di frustrazione che ci porta a pensare che
il nostro cane sia stupido in quanto incapace delle performance di Rex. Tutto questo
inevitabilmente ci porta a rifiutare un rapporto concreto con l’animale.
Diapositiva 2
A tutto questo dobbiamo aggiungere il rilevante contributo della comunicazione mediale che
sempre più negli ultimi anni si affida agli animali per intrattenerci e per i messaggi
promozionali, consapevoli dell’impatto sugli ascoltatori. Indubbiamente il risultato finale è
l’aumento dello sviluppo delle icone teriomorfe.
Diapositiva 3
Dal punto di vista sociale poi, siamo passati dalla famiglia di tipo patriarcale caratterizzata da un
gran numero di figli, alla famiglia mononucleare con una minore presenza di bambini. Ecco che
istintivamente si cerca di sopperire alle innate esigenze affettive e parentali con l’adozione di un
animale. Quest’ultimo viene investito di ruoli ed aspettative che non gli sono proprio con
l’inevitabile conseguenza dello sviluppo di turbe comportamentali che alla fine rendono
conflittuale un rapporto che diversamente sarebbe ricco di valenze positive.
Diapositiva 4
Dagli anni 60 in poi si è assistito ad un notevole aumento della scolarizzazione con le relative
referenze culturali. Gli animali vengono conosciuti attraverso le fiabe, i racconti, la poesia,
modificando di fatto il valore referenziale dell’animale, allontanando il discente dalla realtà
naturale e precludendogli quel bagaglio di conoscenze del mondo animale che gli permetterebbe
di apprezzare il non umano per le qualità legate alla sua biodiversità.
Diapositiva 5
Gli anni sessanta accanto alla protesta studentesca hanno visto un radicale cambiamento
culturale nei nostri rapporti con il mondo animale. Che viene inserito in un contesto ecologico
più globale. Il rispetto per l’ambiente e per chi lo abita entra sempre più nelle coscienze dei
giovani promuovendo nuove tendenze che vanno a interessare i comportamenti alimentari (
vegetariani) sia il rifiuto di capi d’abbigliamento di orgine animale (pellicce, borse di pelle di
rettile).
Diapositiva 6
Tutto questo porta a metà degli anni 70 a sviluppare i movimenti di liberazione animale che
hanno come base di partenza i movimenti anitivivisezionisti abbracciando poi altre aree come
gli allevamenti industriali, i circhi, gli zoo. Si comincia poi ad aprirsi in questo momento il
dibattito in bioetica animale che vede in primo piano gli interventi in area biomedica che
coinvolgono l’animale. Gli anni 80 vedono un sensibile aumento della presenza degli animali
d’affezione, che tuttavia è caratterizzata non più dalla sola presenza del cane e del gatto, ma di
animali un tempo inusuali come il coniglio, il cane delle praterie, i criceti tra i roditori, i furetti
tra i carnivori, le specie aviarie esotiche, e tutto il variegato mondo dei rettili: dai serpenti alle
tartarughe se non agli iguanidi. Indubbiamente il possesso di questi nuovi animali può essere
discutibile, e pur vedendomi contrario alla nuova pet – mania, e lasciando ad altre occasioni il
dibattito, devo mettere in evidenza la nascita di una tendenza zooantropologica positiva : la pet –
ownership.
Diapositiva 8
Gli anni 90 a livello sociale sono caratterizzati da una forte immigrazione dai paesi africani,
asiatici e dell’est europeo con una sensibile frammentazione delle temperie culturali che
inevitabilmente coinvolge anche la visione del mondo animale. Alcuni movimenti giovanili di
tendenze estremistiche vogliono caratterizzare la loro estraneità e marginalità sociale con
atteggiamenti, abbigliamenti e look che tendono a mettere in evidenza un certo grado di
animalità ( punk-bestia).
Anche l’adozione di particolari razze canine in primis pit-bull e rottweiler hanno soprattutto lo
scopo di evidenziare a chiare lettere la loro caratterizzazione sociale. Gli stessi movimenti
artistici si affidano a modelli estetici che si richiamano al teriomorfismo. Indubbiamente tutto
questo non fa che diminuire l’oportunità di vedere valorizzato il grande insegnamento che la
biodiversità può darci.
BIOETICA E RAPPORTO UOMO--ANIMALE
Luisella Battaglia*
La Pet Therapy rappresenta un case study molto interessante per chi si occupa di bioetica
animale. Il presupposto su cui si fonda è che tra uomo e animale possa instaurarsi una
relazione sul modello delle relazioni interpersonali e che quindi, come in ogni interazione, vi
sia uno scambio, di sentimenti, di affetti, di emozioni che influenzano reciprocamente i due
soggetti. Da ciò discende la possibilità di impiegare in senso terapeutico tale incontro.5
Questa è, tuttavia, anche la sfida che la Pet Therapy, da un punto di vista bioetico, deve
affrontare: è possibile applicare un modello interattivo e comunicativo al rapporto
interspecifico? E se sì, a quali condizioni?
Occorre elaborare un modello che sia rispettoso dell’identità di entrambi i partner e che
quindi tenda nel massimo conto l’elemento della diversità ma anche quello
dell’asimmetricità, inevitabile, del rapporto. Un modello, dunque, che miri alla tutela della
dignità dei due soggetti e che possa, altresì, proporsi come praticabile e soddisfacente sia per
i veterinari che per i bioeticisti.
A tal fine dovremmo, però, preliminarmente sgomberare il campo da due obiezioni che
provengono da fronti opposti: gli animalisti, i quali temono nella Pet Therapy la riduzione
dell’animale a oggetto e , quindi, la sua strumentalizzazione e i filosofi tradizionali che
invece temono l’elevazione dell’animale a persona e, quindi, una sua indebita
antropomorfizzazione.
L’assunto su cui si basa la Pet Therapy rinvia a una tradizione filosofica che potremmo
definire della parentela in opposizione a quella del dominio, caratterizzata dal superamento
della visione discontinuista tra uomo e animale, cui ha potentemente contribuito la scienza
etologica.
La tesi che mi propongo di sostenere è che una Pet Therapy correttamente praticata non solo
non rappresenta una strumentalizzazione, secondo l’obiezione animalista, ma può anzi
contribuire a promuovere una riabilitazione della figura animale. Per riabilitazione intendo il
riconoscimento del ruolo assolto dall’animale familiare o d’affezione, che trascorre con noi
la sua vita, partecipa della nostra ricchezza o povertà, della nostra affettività, dei nostri balzi
di umore, svolge insomma un ruolo attivo nella dinamica del gruppo familiare
*Ordinario di Bioetica, Università di Genova. Membro del Comitato Nazionale per la Bioetica.
Analogamente una Pet Therapy correttamente praticata non comporta una indebita
antropomorfizzazione, secondo l’obiezione filosofica tradizionale, ma può anzi contribuire a
5
Per una Introduzione generale e relativa bibliografia si rinvia a G. BALLARINI, Animali, amici della salute.
Curarsi con la Pet Therapy, Xenia Edizioni, Milano 1996.
formare una nuova ‘cultura della percezione’, in cui la diversità animale sia riconosciuta e
accettata come valore e l’ <altro> sia mantenuto nella sua qualità di soggetto.
6
Nell’etica interspecifica contemporanea, troviamo una vasta gamma di approcci che vanno
dalle teorie dei diritti all’utilitarismo, al contrattualismo, a visioni che si incentrano sui temi
della responsabilità e della cura. Ciascuna di queste prospettive presenta elementi
interessanti e degni di approfondimento in relazione alle diverse tipologie del rapporto con
gli animali, tradizionalmente distinti in selvatici, da compagnia, da reddito. Mi sembra molto
importante considerare la specificità di tale rapporto per pervenire a un’etica che tenga
realisticamente conto delle esigenze e delle istanze dei diversi soggetti in gioco, umani e non
umani. Per limitarmi a un solo esempio, un’etica della non interferenza—che si prefigge il
mantenimento della libertà degli animali selvatici, la salvaguardia del loro habitat etc.—
sarebbe irresponsabile se applicata agli animali domestici. E, analogamente, lo sarebbe
un’etica di tipo contrattualista-- valida per gli animali da reddito e basata sull’idea di un
contratto naturale tra uomo e animale che prevede uno scambio di utilità e di servizi--se
fosse applicata agli animali selvatici.
Alla luce di questi rilievi, credo che un paradigma bioetico appropriato per la Pet Therapy
che tenga conto della peculiarità del rapporto intersoggettivo uomo/animale—in questo caso,
animali di affezione che sono in grado di ricevere affetto ma anche di ricambiarlo—possa
ispirarsi proficuamente all’etica della simpatia.
Mi riferisco, in particolare, alla filosofia di Hume, che assegna un ruolo centrale a tale
nozione: <Nessuna qualità della natura umana è più importante, sia in se stessa, sia nelle sue
conseguenze, della propensione che abbiamo a simpatizzare con gli altri, a ricevere per
comunicazione le loro inclinazioni e i loro sentimenti, per quanto diversi siano dai nostri o
anche contrari> .
Nella visione di Hume, la simpatia non è riservata solo agli umani ma viene estesa anche
alle altre specie. Si consideri, per esempio, quanto Hume scrive dell’amore negli animali:
esso ha per oggetto non solo i loro conspecifici ma si estende fino a comprendere quasi tutti
gli esseri sensibili e pensati.<E’ del tutto naturale—osserva il filosofo—che un cane ami
l’uomo, che è al di sopra della sua specie, e molto frequentemente ne riceva in cambio
dell’affetto.>7
6
La <cultura della percezione> cui mi riferisco è l’espressione impiegata da Luce Irigaray per designare una
cultura dell’intersoggettività, capace di fare apparire al meglio le differenze e di percepire l’altro senza perdere
né l’io né il tu. V. L. IRIGARAY, Essere due, Ed. Bollati Boringhieri, Torino 1994.
7
D. HUME, Trattato sulla natura umana,(1738) tr. it.,a cura di E. Lecaldano e E. Mistretta Ed. Laterza Roma—
Bari 1971, p.416.
Si disegna, in tal modo, una comunità mista, in cui le emozioni e i sentimenti circolano e si
manifestano liberamente, al di là delle barriere di specie, favoriti dalla somiglianza e dalla
diversità. Non solo. Un altro tema importante della teoria etica humeana riguarda la
convenzione, cioè la possibilità di stabilire accordi, verbali o non verbali, tra due soggetti.
Dal momento che la convenzione comporta sia la mutua consapevolezza di un comune
interesse, sia la reciprocità di intenti, essa può avvenire anche tra umani e non umani. Si
pensi al rapporto tra il cavallo e il fantino o tra l’uomo e il suo cane: rapporti di
collaborazione, di complicità, di interesse per il mutuo vantaggio.
Le intuizioni di Hume appaiono confermate, nell’ambito della psicologia contemporanea, da
Mary Midgley, la quale, nel sottolineare la rispondenza filogenetica tra uomo e animale,
spiega la nostra forte curiosità nei confronti del mondo vivente sulla base di una
predisposizione simpatetica più accentuata nella nostra specie verso le altre creature.
Ma il contributo più interessante proviene da Jurgen Habermas, che, pur se non può
considerarsi un filosofo animalista—nel senso di un filosofo impegnato, come Peter Singer o
Tom Regan, a riflettere specificamente sulla questione animale e ad elaborare un programma
etico-politico radicale--,elabora una teoria dell’intersoggettività come fondamento dei nostri
doveri morali estensibile anche agli animali—almeno a quelli con cui entriamo in
comunicazione.
In particolare, Habermas scrive di una responsabilità morale analogica, sostenendo che
<nella misura in cui gli animali prendono parte alle nostre interazioni sociali, noi ne
facciamo esperienza quali alter ego, come una controparte bisognosa di protezione, la quale
giustifica in tal modo un suo diritto alla nostra tutela fiduciaria delle sue esigenze>. 8
Da qui il fondamento di una responsabilità morale analogica che sussiste nei confronti degli
animali di cui facciamo esperienza nel ruolo (seppure non adempiuto in modo completo) di
una seconda persona, animali che <noi guardiamo negli occhi come se fossero un alter ego.
In tal caso, essi non sono più oggetto della nostra osservazione e nemmeno soltanto della
nostra empatia, bensì esseri che, interagendo con noi, mettono in mostra la loro peculiarità>.
In questo senso, si può parlare di una riabilitazione della figura dell’animale, basata sul
riconoscimento della sua individualità, delle peculiarità del suo carattere, del suo
comportamento e, quindi, delle sue esigenze.
<Nella misura in cui gli animali prendono parte alle nostre interazioni, stabiliamo con loro
un contatto che, essendo del tipo di una relazione intersoggettiva, va al di là
dell’osservazione unilaterale>.
In effetti, un animale che interagisce con noi non è più solo l’oggetto di un’osservazione
scientifica o di una empatia, ma diviene, in qualche misura, il coprotagonista di un rapporto
a due che evolve, si modifica, si rafforza o , viceversa, si indebolisce, si incrina, a seconda
delle reazioni innescate dai partecipanti.
Habermas ritiene che, nell’ambito di tale orizzonte comunicativo, noi dobbiamo poter
ascrivere agli animali qualità di attori, tra l’altro, la capacità di dar inizio a enunciati e di
indirizzarli a noi. Si tratterà, ovviamente, di enunciati non linguistici: la comunicazione cui
ci si riferisce è di tipo non verbale, extra-razionale e, tuttavia, può essere altrettanto
significativa di quella umana. Occorrerà decifrare quegli enunciati e decodificare quei
messaggi per renderli comprensibili. Ma ciò che importa è che anche nel rapporto di
comunicazione con gli animali familiari possiamo rinvenire i presupposti di quell’agire
comunicativo che abbiamo con gli altri uomini e che è a fondamento dei nostri doveri morali
verso di loro. Di conseguenza, anche i doveri morali si estendono, per analogia, agli animali
con cui comunichiamo. E’ questo un punto del massimo interesse, perché fonda la nostra
responsabilità morale nei confronti degli animali in quanto ‘comunicanti’ con noi, partecipi
di un comune orizzonte di discorso. I nostri doveri morali sono legati alla nostra capacità di
interagire e di comunicare sia con gli esseri della nostra specie che con quelli di altre specie.
<Ovviamente—aggiunge Habermas—i doveri morali nei confronti degli animali sono
analoghi ai doveri morali nei confronti degli uomini solo nella misura in cui le asimmetrie
esistenti nell’interazione permettono ancora un paragone con i rapporti di riconoscimento
stabiliti tra persone>.9
L’analogia è quindi da verificare alla luce delle asimmetrie e la possibilità di instaurare un
paragone è condizionata all’accertamento delle somiglianze e delle differenze, onde evitare
ogni mistificazione o distorsione.
E’ importante precisare che le asimmetrie si riferiscono qui in particolare sia alle differenze
di potere tra uomo e animale, sia al fatto che gli animali, dal punto di vista etico, non
possono considerarsi soggetti morali a pieno titolo, a cui attribuire diritti e doveri e
possibilità di reciprocare, ma solo pazienti morali. Proprio a causa di tali asimmetrie gli
animali sono particolarmente difendenti dall’uomo e pertanto bisognosi di protezione.
Quando si verificano interazioni che acquisiscono una speciale continuità e intensità—quelle
appunto con gli animali familiari—la nostra coscienza morale, secondo Habermas, si fa
sentire con particolare forza.
8
J. HABERMAS, La sfida dell’etica ecologica alla concezione antropocentrica in S. DELLA VALLE, a cura di,
Per un agire ecologico, Ed. Baldini & Castoldi, Milano 1998, p. 388.
9
Ivi, p. 389
Habermas, prefigurando la possibilità di parlare di rapporti morali analogici con gli
animali, esplora una via che può rivelarsi di grande interesse per la Pet Therapy. Mi riferisco
a due mosse decisive:
1.
si individua il radicamento della responsabilità morale nel contesto dell’agire
comunicativo;
2.
si estende il concetto di comunicazione alle sue valenze preverbali ed extra-razionali.
Quali indicazioni possiamo ricavarne? Il riconoscimento dell’asimmetricità nel rapporto
uomo/animale dovrebbe indurre a una condotta etica ispirata al paradigma della cura—che
comporta una responsabilità che non prevede reciprocità, di tipo parentale, nei confronti di
soggetti eminentemente deboli.
Per quanto riguarda il significato dell’animale come interlocutore, la comunicazione tra
individui di specie diversa dovrebbe favorire un atteggiamento di attenzione e di rispetto nei
confronti della biodiversità. Il rapporto uomo/ animale può promuovere modalità di
interazioni che facciano vivere tale esperienza al positivo, come occasione di apprendimento
e di arricchimento10.
Un ulteriore elemento caratteristico della comunicazione interspecifica mi sembra possa
identificarsi nella sua flessibilità, nella sua libertà dai vincoli e dalle regole tipiche del
rapporto interumano e, in particolare, della comunicazione verbale. Ciò può consentire
un’espressione più libera di sentimenti e di emozioni, la manifestazione spontanea di ansie e
paure e, quindi, favorire una migliore comprensione di se stessi. Si è più volte sottolineato
che l’uomo, non sentendosi giudicato dall’interlocutore animale—e qui l’asimmetricità si
rivela davvero funzionale—riesce a esprimere se stesso senza inibizioni e a scaricarsi da
tensioni e paure spesso inconsce.
Alla luce di queste indicazioni di carattere generale, la bioetica dovrà tenere conto delle
diverse modalità del rapporto uomo/ animale, prendendo in particolare considerazione le
variabili che lo definiscono e i fattori che lo influenzano (ad esempio, il tipo di animale
scelto, la singola persona, la sua età, il suo sesso, le sue condizioni di salute, la sua storia,
l’ambiente di vita, la cultura di provenienza etc.) per predisporre una serie di strategie che
rendano tale rapporto rispettoso dell’identità di entrambi i partner, al fine di ottimizzare le
possibilità di tale incontro.
Si pensi, per fare un solo esempio, al ruolo che può avere in tale rapporto una cultura di
provenienza fortemente antropocentrica, orientata verso un rifiuto della presenza animale,
identificata con la negatività, il male, il disordine o, viceversa, una cultura ispirata al rispetto
nei confronti del mondo vivente, tollerante, aperta alla diversità, che veda nell’animale
un’alterità positiva, un compagno o un referente essenziale per l’uomo.
Occorre qui segnalare l’importanza di un’educazione all’alterità proprio perché l’incontro
interspecifico non sia l’occasione di sottomissione o di appropriazione né si riduca a un
gioco di potere o inneschi meccanismi di identificazione.
Certo noi proveniamo da una cultura che non ha sufficientemente tematizzato la differenza
, specie quella dell’animale. Le modalità consuete sono state quelle della reificazione
(riduzione dell’animale a oggetto, a macchina) o quelle dell’ antropomorfizzazione
(interpretazione dell’animale in termini umani). Due opposti riduzionismi, che trovano la
loro comune radice nella visione fortemente antropocentrica, di matrice sia laica che
cristiana, caratteristica della cultura occidentale: una cultura del dominio. Ne deriva la nostra
incapacità di guardare l’altro, senza in qualche misura appropriarcene, riportarlo o ridurlo a
noi stessi, al nostro mondo, alle nostre categorie e quindi privarlo delle proprie radici, della
propria identità. Non siamo ancora educati al piacere della presenza dell’altro nel rispetto di
ciò che non ci appartiene; non riusciamo ancora a percepire l’altro, rispettandolo in quanto
tale, in quanto soggetto.
Ma è possibile un rapporto che si fondi sulla consapevolezza dell’alterità? La ‘cultura della
percezione’—cui in precedenza accennavo—rappresenta questa nuova modalità di rapporto
intersoggettivo, una modalità che permette di avvicinarsi all’altro e di conoscerlo
lasciandogli la sua alterità e, soprattutto, rispettandolo nella sua alterità.
La percezione non si riduce al semplice sentire, non è una ricezione passiva, viceversa
richiede attenzione
per il percepito, è un’elaborazione mentale: una via che conduce
ciascuno al proprio essere e all’essere dell’altro e che perciò contribuisce all’instaurarsi di
rapporti etici, alla tutela del ‘due’ nell’intersoggettività.
La riscoperta del ruolo terapeutico degli animali—che sembrava scomparsa nell’era della
medicina scientifica—può inquadrarsi altresì nella ricerca dei nuovi modelli di bioetica
medica che si richiamano al paradigma del Caring e che assegnano largo spazio a interventi
‘dolci’, basata sul rapporto interpersonale uomo/animale nella cura e nella prevenzione delle
malattie. Lo spostamento dell’attenzione dalla malattia al malato e dal malato alla persona—
intesa nella sua interezza bio-psichico-storica—può favorire lo studio e l’impiego di terapie
alternative che intendono fornire risposte più integrate ai bisogni del malato e che,
soprattutto, considerano la malattia non come un fatto isolato, ma come risultato di un
10
Si vedano le considerazioni svolte al riguardo da R. MARCHESINI in Il rapporto uomo/animale nella
complesso di eventi che riguardano biografia, ambiente sociale e situazione storica
dell’individuo.
Vi è un forte appello oggi all’umanizzazione della medicina, all’esigenza che si recuperi il
nucleo etico essenziale della professione medica. Nell’idea di ‘alleanza terapeutica’—
relazione retta dalla fiducia—ci si riferisce alla disponibilità del medico a identificarsi col
paziente, alla sua capacità di ascoltarlo e non solo di ‘auscultarlo’.
Ne discendono una diversa visione della malattia, come esperienza di un soggetto in una
data situazione, e un richiamo alla dimensione soggettivo-esistenziale della sofferenza: si
può certo parlare del dolore in generale, elaborando categorie utili a fissarne e a precisarne la
fenomenologia ma il rischio è di dimenticare il soggetto che soffre, il titolare, per così dire,
della sofferenza. Da qui una crescente attenzione per le modalità personali, esistenziali,
profonde con cui il singolo individuo vive la sua sofferenza e si rappresenta la sua malattia.
Questa centralità della figura del sofferente, del soggetto, corrisponde a un’istanza non solo
di tipo etico—rispetto per la sua individualità, tutela della dignità della persona—ma anche
epistemologico. Si fa strada, infatti, sempre più la consapevolezza dell’insufficienza di un
approccio meramente quantitativo alla sofferenza. Ciò significa il recupero dello spazio della
soggettività—e cioè dei modi irripetibili e imprevedibili in cui il soggetto fa esperienza della
sua malattia—e il riconoscimento delle dissonanze inevitabili tra le categorie generali dei
manuali e i vissuti concreti dei sofferenti—per cui occorre rivedere e riformulare lo stesso
vocabolario medico relativo alla malattia. Ma appare soprattutto importante considerare con
la massima attenzione tutte quelle autorappresentazioni, cariche di significati simbolici,
secondo cui il soggetto vive il suo dolore. Per l’ammalato, infatti, la malattia non è
semplicemente il guasto di un ingranaggio, è, innanzitutto, una questione di senso. Il corpo
diventa improvvisamente estraneo se non nemico; si scatenano emozioni profonde, angosce,
paure. Il medico non può essere solo il tecnico della parte ammalata.
Tra i vari aspetti del rapporto medico/ paziente, che sono oggetto di una riflessione bioetica,
mi sembra degno di particolare interesse, ai fini del discorso sulla Pet Therapy il
riconoscimento della soggettività del paziente.
Il limitare, infatti, l’intervento medico a un esame oggettivo, a una diagnosi esatta su uno
stato del corpo o di una sua parte e a un’eventuale prescrizione terapeutica, può apparire un
atto tecnicamente valido. Esso, in realtà, costituisce, oltre che una risposta insufficiente
rispetto ai bisogni del paziente, un atto che ignora la base psico-affettiva dello stato di salute
e di malattia. Da tale insufficienza deriva una riduzione del paziente stesso da soggetto
prospettiva zooantropologica in Id., a cura di, Zooantropologia cit., pp. 28-72.
sofferente a oggetto di interesse medico, con una limitazione della potenzialità e
dell’efficacia del rapporto terapeutico.
Viceversa, una percezione e un’interpretazione non riduttiva ma più ampia dei bisogni e
delle richieste di cui il paziente è portatore, favoriscono una presa in carico non limitata al
puro sintomo fisico. Occorre aggiungere che, nell’area del ‘malessere’, delle piccolo
patologie di origine sociale e psicologica, si manifesta il modo culturale e soggettivo in cui si
vive come stato di sofferenza quello che si definisce come malattia.
Ma il Caring può rivelarsi la risposta più appropriata anche allorché ci si trovi dinanzi a
malattie incurabili, croniche, per cui non esiste una terapia, una cura. Solo una medicina che
si prefigga come fine non la guarigione ma il benessere globale dei pazienti incurabili, potrà
rispondere al loro bisogno di essere ascoltati, protetti, rassicurati.
In questo quadro, l’impiego delle cosiddette terapie dolci come la Pet Therapy può rivelarsi
in sintonia con l’idea di una medicina della cura (Caring) piuttosto che della guarigione.
Se non possiamo pretendere che gli animali diventino i ‘guaritori’ delle nostre malattie,
quello che potremmo forse, ragionevolmente, attenderci è che, grazie alla loro presenza, e
con l’aiuto di opportune condizioni e strategie appropriate, possa instaurarsi un buon
rapporto di cura.
PRESENTAZIONE DI PROGETTI DI PET-THERAPY
REALIZZATI SUL TERRITORIO DELLA
PROVINCIA DI REGGIO EMILIA DA PARTE DEI
SEGUENTI ENTI :
AUSL DEL DISTRETTO DI SCANDIANO DI RE
OSPEDALE PSICHIATRICO GIUDIZIARIO DI RE
ISTITUTO AGRARIO “A. MOTTI” DI RE
LABORATORIO LESIGNOLA
Presentazione
Io dovrei raccontarvi una esperienza di ATTIVITA’ ASSISTITA CON ANIMALI effettuata presso
il CENTRO POLIFUNZIONALE ANZIANI
(CASA PROTETTA PER ANZIANI NON AUTO)
Casalgrande RE
L’attività è stata realizzata nel PERIODO: aprile/maggio 2002 (poi interrotta perché con gli ospiti
partivamo per il soggiorno estivo)
OBIETTIVI:
Stimolo capacità relazionali
Stimolo capacità sensoriali e di coordinamento motorio
Recupero motivazione al movimento
Organizzazione spazio temporale
PARTECIPANTI AL PROGETTO:
OSPITI COINVOLTI: 7 (su 20), quelli con le migliori capacità cognitive (di cui 3 ospiti in
carrozzina, 2 con discrete difficoltà motorie, 1 non vedente)
EQUIPE PET THERAPY: gruppo Pet Therapy del Distretto di Scandiano (Veterinario, infermiera,
assistente sociale, educatrice) ed un AdB della struttura
ANIMALI COINVOLTI: 2 (Meticcio e Labrador coinvolti in momenti diversi)
Vorrei sottolineare anche il METODO che si è seguito per formulare il progetto perché i pare
significativo:
INCONTRI PREPARATORI:
Equipe con il Coordinatore della struttura
Equipe con tutto il personale della struttura
Parere del medico di MG
SEDUTE : 8 che duravano dai 20 ai 40 minuti (in base alla risposta degli ospiti e alla
reazione del cane – una volta l’incontro è stato interrotto perché il cane dava segni di
stress)
INCONTRI DI VERIFICA PER RESTITUZIONE ESITI:
Equipe con il Coordinatore della struttura
Coordinatore con tutto il personale della struttura
RISULTATI:
Gli ospiti:
La presenza in struttura del gruppo di Pet Therapy è stato uno stimolo
importante alla relazione tra gli ospiti che partecipavano all’attività e tra questi e gli
operatori del gruppo.
L’attività assistita con gli animali era poi occasione di discussione, nei giorni
successivi, con gli ospiti che non partecipavano all’attività, con gli operatori e con i
familiari e quindi c’era una ricaduta positiva che andava aldilà della durata delle
sedute.
Soprattutto nei confronti di un ospite, la presenza del cane è servita per
sbloccare la comunicazione dapprima quasi inesistente ed invece durante le sedute è
iniziata e poi proseguita anche con gli operatori della struttura (la comunicazione ha
riguardato il passato ma anche i desideri per il presente).
Sono stati stimolati e motivati a muoversi di più (andare nella sala o
all’esterno per l’attività, dare da mangiare, tirare la pallina…).
Sono riaffiorati una serie di ricordi, cosa che non era avvenuta in precedenza
(di quanto erano importanti gli animali domestici quando lavoravano in campagna, di
quanto volevano bene ai loro cani o viceversa avevano brutti ricordi perché in
famiglia tenevano “cani da caccia feroci, enormi e poco affettuosi”), e, soprattutto,
questi ricordi sono stati socializzati, messi in comune con gli altri ospiti ed operatori.
La cadenza settimanale ha aiutato nell’orientamento spazio-temporale (è
venerdì, allora vengono quelli con il cane oppure oggi vengono quelli con il cane
allora è venerdì.
In alcuni ospiti l’attività ha stimolato la capacità di confrontare e paragonare
attività diverse.
SERVIZIO VETERINARIO
Reggio Emilia Sud
DISTRETTI DI :
DIPARTIMENTO DI
SANITA’ PUBBLICA CASTENUOVO NE’ MONTI Via Bagnoli, 85 Tel. 0522 617338 Fax 0522 612105
MONTECCHIO EMILIA Via Marconi, 18
Tel. 0522 860144
Fax 0522 860140
SCANDIANO Via M. della Libertà, 8
Tel. 0522 850343 Fax 0522 850297
RESPONSABILE : Dott. P. Bolognesi
Voglio rivolgere a tutti voi un cordiale saluto e un ringraziamento perché con la vostra presenza
avete sottolineato l’importanza di questo convegno. Sono un veterinario dell’AUSL di Reggio
Emilia del distretto di Scandiano e ho l’onor di coordinare un gruppo multidisciplinare di Pet
Therapy nato alcuni anni fa in seguito alla constatazione che all’interno dei vari Servizi erano
presenti figure professionali che pur se a titolo personale, si interessavano di progetti assistenziali
con animali. Il confronto delle singole esperienze e una attenta esplorazione della realtà ci
permettevano di arrivare alla formulazione di un documento intitolato “Diagnosi di Comunità” per
la stesura di piani specifici di Pet Therapy nelle strutture di assistenza sociale presenti nel distretto
di Scandiano, documento contenente le linee guida di un Piano di lavoro che, presentato alla
Direzione del Distretto, consentiva di giungere alla costituzione formale del gruppo e al suo
riconoscimento ufficiale da parte dell’Azienda. I progetti obbiettivi elaborati vennero concepiti per
strutture residenziali per anziani e contraddistinti da protocolli operativi differenti che verranno
illustrati in modo più dettagliato dai relatori che seguiranno.
Non voglio tediarvi con l’enunciazione cronologica della storia del gruppo nelle sue varie tappe,
preferisco riferire alcuni aspetti che non erano stati previsti e precisamente:
1) Abbiamo scoperto quanto sia costruttivo il lavoro di gruppo e il fatto di poter affrontare ogni
problema a 360° con ottiche molto spesso diverse ma sempre complementari e sinergiche ai fini del
risultato.
2) Nello stesso tempo abbiamo scoperto quanto sia difficile lavorare insieme, soprattutto dal punto
di vista organizzativo, in quanto i singoli impegni possono rendere difficoltoso anche il solo fatto di
incontrarsi periodicamente.
Un altro aspetto emerso riguarda il problema della formazione che già da tempo alcuni membri del
gruppo vanno ricercando con la partecipazione a corsi di aggiornamento che se da un lato ampliano
le conoscenze individuali specifiche, dall’altro non risolvono mai completamente i dubbi e le
incertezze che si presentano quando si tratta di rendere operativi i progetti elaborati.
E’ per questo che finora abbiamo operato esclusivamente nelle strutture riservate agli anziani con
l’obiettivo di migliorarne la qualità della vita, ma non nascondiamo di essere sempre più interessati
alla zooantropologia applicata alla didattica perché crediamo che solo promovendo nelle giovani
generazioni un cambiamento culturale antitetico a questo antropocentrismo imperante l’uomo possa
sperare di ritrovarsi a vivere più serenamente nel rispetto della natura e in armonia con l’ambiente.
Per concludere vorrei esprimere la nostra gratitudine alla Dott.ssa Riccò e al Dott. Caldani che fin
dall’inizio hanno condiviso e incoraggiato questo piano operativo e da ultimo, non certo per
importanza, il nostro plauso all’ Assessore Margherita Bergomi che si è dimostrata sensibile alle
richieste di formazione da noi formulata fin dai primi incontri.
Ora un evento formativo di queste dimensioni fa sicuramente onore alla sua persona e all’ente che
rappresenta e ci lusinga l’idea che il merito possa essere stato anche un po’ nostro.
Laboratorio Lesignola presenta
Pet therapy con ragazzi in difficoltà
“Alcuni dei nostri migliori insegnanti non
possono parlare.
Forse è proprio per questo che sono dei
grandi insegnanti..”.
Samuel Ross
L’empatia e il potere empatico degli animali
L’empatia dal greco em - patheia significa comprensione o sofferenza simpatetica. Non vi sono
dubbi che gli esseri umani siano in grado di captare le emozioni degli altri attraverso il linguaggio
del corpo o altre informazioni che cadono sotto il dominio dei sensi e che gli animali si valgano
degli stessi strumenti con gli esseri umani. Ciò che è importante non è tanto il modo in cui i
sentimenti si trasmettono, quanto il fatto che l’animale risponda in modo simpatetico.
La capacità dell’animale è quella di creare un clima facilitante in cui un individuo è libero di
scegliere qualsiasi direzione, ma che si è visto, di fatto seleziona percorsi positivi e costruttivi.
Prendersi cura di un animale e ricevere indietro incondizionatamente attenzione e affetto ricrea il
valore e la forza del ragazzo. Un individuo aumenta la stima di sé e prende in considerazione
maggiormente il proprio valore quando sente qualcuno interessato a lui e di cui ci si può fidare: il
clima facilitante (assenza di giudizio e congruenza) che l’animale crea stimola la persona a
riappropriarsi del proprio potere personale.
L’empatia vera è sempre libera da ogni qualità diagnostica o giudicante e la persona, percependolo,
accresce gradualmente la propria capacità di auto-accettazione.
Esiste un vero e proprio potere di guarigione nell’empatia: una capacità di percepire il proprio
mondo in modo nuovo e sentirsi in contatto con nuove energie per risolvere situazioni che parevano
insolvibili.
Più ci connettiamo con i sentimenti e i bisogni degli altri al di là delle parole, più tocchiamo la loro
umanità e stimoliamo la loro autonomia e integrità. L’empatia non solo aiuta a connettersi con gli
altri , ma accresce anche la nostra comunicazione interiore, quella rivolta a noi stessi che forse è la
più carica di pesanti giudizi. Un ascolto attento di noi stessi aumenta la consapevolezza delle nostre
possibilità. Nella consapevolezza che l’uomo è “possibilità delle possibilità, quindi possibilità
infinita”, veniamo riportati alla fonte delle nostre energie interiori.
Il ruolo dell’animale con i ragazzi con disagio
Molto spesso i ragazzi cosiddetti “a rischio”, vivono sentimenti di depressione, di distacco o di non
accettazione; essi necessitano di sentire un senso di connessione, un legame personale con un altro
essere vivente. Per molti un legame con un adulto o con un pari è rischioso e in molti casi l’animale
è una risposta adeguata. Il comportamento amorevole di un cane o un gatto o un altro animale
domestico, è al tempo stesso causa ed effetto del vincolo che contrae con l’uomo e si esprime al
meglio quando il padrone è in condizioni di bisogno: la relazione che si crea con l’animale diventa
un trampolino per un successivo collegamento con l’uomo.
“La bontà del ragazzo è così sguinzagliata” e anche gli animali ne traggono beneficio.
Un animale domestico può aiutare ad insegnare ad un bambino a prendersi cura di un essere vivente
che egli ama; l’animale diventa un confidente, un amico, un ammiratore, un protettore e un alleato
contro gli attacchi nemici dell’istituzionalizzazione. La maggior parte di questi bambini non ha mai
avuto come riferimento una figura autorevole, con doti di fermezza e di gentilezza e perciò ha una
scarsa autostima e una bassa soglia di frustrazione. Quando sono frustrati, diventano facilmente
aggressivi verso i loro pari o verso le figure adulte che hanno di fronte.
In questo contesto è importante che il bambino abbia qualcuno con cui relazionarsi e con cui
confidarsi, qualcuno che egli possa considerare di sua proprietà, da amare e da proteggere e da cui
essere protetto.
Laboratorio Lesignola: esperienze professionali che si incontrano
Laboratorio Lesignola è l’incontro di un gruppo di persone con competenze differenti che credono
nel rapporto uomo- animale come momento prezioso per favorire il contatto con i sentimenti e le
emozioni necessarie per crescere, per esprimersi, per trovare la propria integrità.
Del laboratorio Lesignola fanno parte:
•
Dr.ssa Chiara Bertozzi, pedagogista, con esperienza di promozione del benessere a scuola,
di sostegno per l’integrazione di ragazzi sinti e stranieri e esperta di laboratori di creatività ;
•
Dr.ssa Marta Ferretti, psicologa che si interessa delle dinamiche dell’ascolto e della
facilitazione delle relazioni e studia la relazione d’aiuto presso l’Istituto dell’Approccio
Centrato sulla Persona fondato da Carl Rogers, Charles Devonshire e Alberto Zucconi;
•
Dr. Corinto Corsi, formatore che ha lavorato nel campo della formazione sul lavoro e che si
sta dedicando alla cura delle modalità che favoriscono la relazione e l’apprendimento, in
particolare quando c’è differenza di ruoli (insegnanti/allievi, genitori/ figli, capo/addetti,
ecc.)
•
Dr. Carminio Gambacorta, medico veterinario, con esperienze da educatore sia con ragazzi
disabili che con minori in difficoltà, interessato a studiare il comportamento degli animali
domestici e la loro implicazione nella relazione con l’uomo.
Da quando è nata, Lesignola ha realizzato progetti di Pet therapy nelle scuole dell’infanzia,
elementari e medie e negli ultimi anni si sta specializzando in attività rivolte a ragazzi in difficoltà
preadolescenti e adolescenti.
Nell’ultimo anno ha realizzato progetti con un Get di Reggio Emilia con ragazzi con disagio di 7/10
anni, con un Get con ragazzi di 11/13 anni, con ragazzi considerati “a rischio” del Convitto
Nazionale di Correggio di 15/18 anni e con ragazzi della Cooperativa Pangea di Scandiano.
Life skills
Tutti i progetti del Laboratorio Lesignola sono centrati non tanto sull’insegnare abilità ma sul
favorire l’autoconsapevolezza, la capacita di centrarsi su di sé e gestire la propria energia, per
saperla modulare al fine di avere una relazione ottimale con l’altro.
Questo aspetto di attenzione allo sviluppo di queste “abilità” nei ragazzi si sta diffondendo e sta
influenzando le progettazioni in vari ambiti. Si parla molto delle Life Skill che l’OMS vede alla
base dello sviluppo educativo e promuove come fondamentali per la promozione della salute a
partire dall’educazione.
Più i ragazzi diventano consapevoli di ciò che si muove dentro di loro nelle situazioni, più ne hanno
padronanza. Più sanno dare un nome, più sanno stare con le emozioni e più diventano integri, sicuri
e gli strumenti per gestire la carica emotiva aumentano.
Secondo la definizione fornita dalla WHO (Divisione della salute mentale), i “life skills sono
abilità/capacità che ci permettono di acquisire un comportamento versatile e positivo, grazie al
quale possiamo affrontare efficacemente le richieste e le sfide della vita quotidiana.”
Insegnare gli skills in relazione a problemi generali o più specifici della vita quotidiana, è un
efficace strumento di prevenzione primaria.
Empatia, autocoscienza, relazioni interpersonali,risoluzione dei problemi, senso critico gestione
delle emozioni, pensiero creativo, decision making, gestione dello stresso , comunicazione sono
promozione delle competenze emozionali.
L’esperienza con i Get di Reggio Emilia
Che cos’è il G.E.T.
Il progetto G.E.T. (gruppi educativi territoriali) nasce a Reggio Emilia nel 1988. Si tratta di un
progetto di territorio che si qualifica per la sua valenza preventiva e per il suo carattere socioeducativo. E’ rivolto a bambini e ragazzi in difficoltà che vivono in situazioni di privazione socioaffettiva, relazionale, personale e familiare: problematiche che determinano anche situazioni di
disadattamento scolastico e sociale. Oltre all’attività di svolgimento dei compiti, il Get offre spazi di
integrazione con i coetanei e attività che stimolino sia processi di conoscenza e motivazione
personale sia processi di appropriazione del tempo affettivo, sociale e cognitivo.
Obiettivi del progetto
Abbiamo analizzato, insieme agli educatori, la loro esperienza dell’anno precedente con gli stessi
ragazzi e alla fine è emerso un unico obiettivo generale:
•
riconoscere ed accettare in modo rispettoso le situazioni di diversità a partire da quelle che si
presentano nel rapporto con gli animali .
Metodologia
Come laboratorio Lesignola abbiamo individuato una griglia metodologica che utilizziamo sempre
all’interno dei nostri progetti:
Accoglienza
Impatto con la diversità
Attività di empatia
Simbolizzazione/interazione
Conclusione
•
in una prima fase abbiamo ritenuto di focalizzarci sulle modalità e sulle capacità che aiutano
a “stare bene” con gli animali. Questo lavoro ha comportato il riconoscimento di “come è
fatto” un animale e delle modalità che ci aiutano a “stare bene” con quell’animale; in questa
fase abbiamo portato i ragazzi a sperimentare il piacere di una relazione rispettosa in un
contesto di “assenza di giudizio”, in quanto gli animali danno ai ragazzi questa opportunità
unica, reagendo al comportamento degli umani in modo congruente alla loro natura.
•
Nella seconda parte abbiamo cercato di spostare l’attenzione sul rapporto dei ragazzi fra
loro, per verificare che alcune attenzioni e abilità che sono servite a stare meglio con gli
animali, abbiano potuto aiutarli a intendersi e a “stare meglio” tra loro.
•
Nella parte finale abbiamo cercato di dare spazio e di favorire delle piccole attività
individuate in modo autonomo dai singoli ragazzi, da realizzare con gli animali che hanno
conosciuto. L’obiettivo è consistito nell’approfondire la consapevolezza del benessere che
nasce da attività dove c’è attenzione all’altro e alle sue specificità.
Animali coinvolti:
•
alcuni cavalli di un centro di riabilitazione equestre
•
Corinto, un cane labrador
•
Guerino, un gatto
Tutti questi animali erano controllati dal punto di vista sanitario e comportamentale.
Operatori coinvolti:
In tutti gli incontri erano presenti due educatori dei Get e un operatore di Lesignola (il veterinario).
Inoltre si è avuto , in alcuni momenti, l’intervento come supervisore di uno dello staff di Lesignola.
Attività effettuate:
•
giochi interattivi di conoscenza degli animali
•
giochi di empatia tra animali e bambini
•
laboratori espressivi e creativi
•
role-play
•
discussioni guidate tra i ragazzi
Valutazione e documentazione:
È stata creata una documentazione sia fotografica che di raccolta di vissuti e emozioni dei ragazzi
da parte degli educatori Get.
Documentazione finale e programma svolto
La documentazione finale è stata effettuata in collaborazione con gli educatori dei Get. Il progetto si
è articolato in un percorso di circa 15 incontri, di cui alcuni in fattoria e altri nei rispettivi G.E.T.
Tutti gli incontri sono stati tenuti dall'esperto in compresenza con gli educatori.
Alcuni ragazzi hanno presentato i loro elaborati nelle rispettive classi con l’intervento dell’esperto
e del suo cane Corinto, alla presenza di insegnanti ed educatori.
Alla presentazione del cartellone hanno fatto seguito le diverse domande che avevamo preparato per
i compagni di classe.
La breve lezione, tenuta dai ragazzi, ha suscitato in ogni classe grande interesse da parte dei
compagni che sono intervenuti con domande specifiche e curiosità, nonché con il racconto di
aneddoti personali, rivolgendosi ai “nostri esperti” per avere chiarimenti.
L’esperienza è risultata assai significativa per i ragazzi del GET, che hanno vissuto momenti di
protagonismo in un contesto, come la scuola, che solitamente non li vede emergere.
PRESENTAZIONE DI PROGETTI DI PET-THERAPY
REALIZZATI SUL TERRITORIO NAZIONALE DA
PARTE DEI SEGUENTI ENTI:
ASSOCIAZIONE CULTURALE CAVE CANEM CENTRO DI PETTHERAPY DI PADOVA
CENTRO CINOFILO EUROPEO DI ALDO SPINA DI MILANO
AMICI DELL’IPPOTERAPIA ASSOCIAZIONE ONLUS DI PESARO
Buongiorno, innanzitutto vorremmo ringraziare la Provincia di Reggio Emilia , il Dott. Marchesini
e tutti voi per lo spazio che ci avete concesso, faremo tesoro del ns. tempo per presentare una ns.
esperienza e per illustrarvi i progetti che abbiamo in cantiere.
Sono RAMPAZZO GIANCLAUDIO, referee in z.d. e prossimo operatore pet- partner e faccio
parte di un team multiprofessionale così costituito.
Veterinaria
Dott.ssa ROBERTA PALLADINO
Educatrice
Dott.ssa DARIA ZANOCCO
Psicologa Clinica
Dott.ssa MONICA MARIA SACCINTO
Scienze Motorie
Dott.ssa VIRGINIA RIZZO
Addestratori cinofili CLAUDIO RAMPAZZO – MARIA RIELLO – MICHELA FONTANA
Operatrice Socio Sanitaria MICHELA FONTANA
Abbiamo un centro che si trova a LIMENA (PD) ed è strutturato su 12.000 metri q. di area verde,
suddivisi in due zone ben distinte e comunicanti, in un’oasi di pace ad 8 Km. Dal centro di PD
In una di queste due aree cresce un boschetto di piante autoctone con percorsi attrezzati per la
deambulazione con i cani e l’area verde permette il crearsi di un beard-garden e di
Un butterfly-garden, disponiamo di un ampio porticato dove poter lavorare anche quando le
condizioni climatiche sono avverse ed è in fase di approvazione l’ampliamento della struttura già
esistente, con la costruzione di un’aula didattica e di locali adibiti esclusivamente alle attività di pettherapy e z.d.
Nelle ns. attività ci avvaliamo soprattutto di cani di razza Labrador e Golden Retriever (circa una
quindicina) e di altre specie di animali dalle caratteristiche etologiche diverse quali gatti, conigli e
caprette, tutti animali che vivono in struttura e che sono continuamente controllati sia sotto il profilo
salutare che psicologico
Poiché abbiamo testato che l’ambiente dove svolgiamo la ns. attività influisce positivamente nell’
applicazione della Pet-Therapy siamo orientati a svolgerla il più possibile presso la ns. struttura,
siamo comunque attrezzati a spostarci con i cani qualora questo non fosse possibile.
Il ns, lavoro è iniziato grazie ad una collaborazione con l’USLL 16, in particolare il Centro disabili
Psichici Gravissimi dell’ospedale ai Colli, Questo centro diretto dal dott. PAOLO Paolucci, ospita
persone con disabilità psichica piuttosto rilevante, prevalentemente di tipo autistico. Si tratta di
persone assolutamente non autosufficienti, prive delle abilità sociali e comunicative di base in cui il
ritiro sociale è davvero molto pronunciato.
Il programma di Pet-Therapy con queste persone ha cercato di stimolare aspetti:
-
MOTORI
-
COGNITIVI
-
LUDICI
-
ESPRESSIVI
-
.
Le sedute si sono svolte presso il ns. centro con una cadenza settimanale e con una partecipazione
di circa quattro o cinque ragazzi alla volta di un’ età compresa tra i 25 ed i 30 anni.
Il primo incontro con i cani per tutti i ragazzi è stato caratterizzato da una diffusa diffidenza, erano
restii a farsi avvicinare, a toccarli ad offrir loro dei biscotti che invece tentavano ripetutamente di
mangiarsi.
Una cosa comunque che abbiamo notato è che era più facile indurli all’interazione con l’animale
quando vedevano già una figura a loro nota che provava piacere a farlo. Per cui una volta
individuato chi era più interessato, ci siamo concentrati su questo e abbiamo lasciato che gli altri
stessero ad osservare finchè non hanno mostrato qualche segno di interesse.
Nel loro gruppo, quello che sin dall’inizio si è mostrato meno intimorito è stato Francesco, allora
abbiamo preso un cucciolo di Golden Retriever di circa 30 gg. di vita e tenendolo in braccio noi
glielo abbiamo fatto accarezzare, il pelo del cucciolo era molto morbido ed il calore stesso del
suo corpicino hanno indotto Francesco a soffermarsi a lungo nell’accarezzarlo. Questo ci ha
permesso di entrare in comunicazione con lui e ci ha aperto la via di accesso alla interazione con
diversi altri ragazzi che si sono alternati nelle ns. sedute fino a che non sono stati individuati quelli
che traevano maggior giovamento da esse
Non ci soffermeremo su FRANCESCO…………………………………………………………….
che ha tratto un beneficio tale dalle ns. sedute al punto che l’abbiamo nominato ns. aiutante. Inoltre
sia a lui che ad altri ragazzi del gruppo
si è potuta ridurre di molto la terapia farmacologia alla quale erano sottoposti, in particolare viene
dimezzato l’ansiolitico (EN) e ridotto il neurolitico (ENTURIN)
vi parleremo invece di GIORDANO, ragazzo affetto da autismo, ha un gemello colpito dalla stessa
patologia, dal quale lo psicologo ha dovuto separare per poter avere i primi risultati.
Con l’esempio di Francesco, pian piano accarezzando un cucciolo prima ed un cane adulto poi,
lanciando all’inizio una pallina sonora e poi una qualsiasi, pur di far giocare il cane, siamo riusciti
ad insegnarli a riempire un ciotola di pappa, a fargliela portare al cane da nutrire, a fargliela lavare e
riporre.
Ora Giordano conduce a passeggio i cani tenendo bene il guinzaglio (lui di solito trattiene una cosa
in mano per brevissimo tempo) offre loro i biscotti come premio, a volte lanciandoli ma molto
spesso porgendoli e traendoli autonomamente dalla tasca dove glieli mettiamo. Riesce anche a
trasportare per un lungo tratto la ciotola dell’acqua quando i cani hanno sete, sta seduto sulla
panchina con un cane vicino, lo accarezza dolcemente giungendo a volte a canticchiare una nenia
molto dolce.
Se arriva al ns.centro insonnolito o triste, sempre riusciamo a strappargli un sorriso e a fargli
passare la malinconia. Al momento di andarsene, molto spesso si mostra reticente a salire sul
pulmino del ritorno e si concede almeno un ultimo lancio di pallina
ROBERTO è arrivato al ns. centro più tardi degli altri ragazzi ed oltre alla diffidenza mostrata da
tutti all’inizio, sembrava proprio che i cani gli dessero fastidio
Abbiamo un labrador molto dolce che si chiama GIUSS, ogni volta che c’è seduto qualcuno sulla
panchina, lui ci sale, si appoggia lentamente alla persona, infila pian piano la testa sotto il suo
braccio, gliela appoggia al petto, sfodera una lingua kilometrica appena umida di saliva e si prodiga
in affettuosissimi leccamenti giungendo letteralmente a crollare in braccio alla persona
.Bene, questo cane ci ha dato la chiave d’accesso a Roberto che ora conduce correttamente i cani a
guinzaglio giungendo, nelle ultime sedute a tenerlo con tutte le dita a mano piena e non con solo il
pollice e l’indice, dita che usa per compiere tutte le altre sue azioni
Ora percorre aglilmente dei percorsi più difficoltosi che gli proponiamo ed è sempre sorridente,
cerca il contatto con noi, a volte ci prende a braccetto e vuole che passeggiamo assieme oppure si
prende autonomente un cane e passeggia tra gli alberi in fondo al viale.
TINO ci sembrava un caso disperato. La prima volta che è venuto ad una seduta accompagnato dal
padre, appena ha visto i cani si è trinceato in macchina innervosendosi ed iniziando a diventare
violento, per cui in tutta fretta il padre l’ha portato via
Per un certo periodo a casa sua hanno avuto un cane ed ora invece hanno un gatto che lui proprio
non sopporta e che getta sistematicamente dalla finestra ogni volta che lo riesce a prendere
Alla seconda seduta Tino è venuto in pulmino con i suoi compagni e si è mostrato meno
oppositivo, si è accucciato in un angolo ed ha tracciato una linea immaginaria che delimitava il suo
spazio ovviamente interdetto ai cani, Gli si è avvicinata Turandot che lui ha respinto ma dolcemente
Le sedute successive, non passeggia ma dal suo angolo comincia ad interagire con i cani, infatti
vorrebbe respingerli e ci chiede aiuto per allontanarli. Ma noi lasciamo che se la sbrighi da solo
(ovviamente dietro ns.sorveglianza) Alcuni cani si allontanano ma Notte, una Labrador nera che
vive di carezze, invece che allontanarsi, si stende davanti a lui e trasforma le sue spinte in coccole.
Tino comincia a toccarla, ad accarezzarle la testa, poi il dorso, le apre e chiude la bocca , studia il
suo apparato masticatorio e nasce un grande amore.
Alle sedute successive Tino scende dal pulmino sorridente e subito cerca la compagnia di Notte
arrivando ad abbracciarla e baciarla e lasciandoci tutti piacevolmente sorpresi.
Alcune volte passeggia con il gruppo ed altre no, ma dal suo angolo richiama a sé i cani riuscendo
sempre a tenersene qualcuno accanto a per giocare. Molto spesso li abbraccia e li bacia, offre loro
dei biscotti ed osserva attentamente le espressioni del loro muso.
Volevo precisare che il lavorare con questi ragazzi, oltre ad essere importante per loro ha anche
arricchito interiormente noi operatori. Le sedute infatti ci lasciano spossati ma sereni e stimolati a
proseguire per una strada che offre ogni giorno di più nuove motivazioni.
A fine giugno abbiamo sospeso le sedute per il troppo caldo negli orari in cui i ragazzi erano
disponibili a partecipare. Ora abbiamo ripreso ed assieme al Dott. Salis , che li segue al centro
dovwe sono ospitati, stiamo preparando un programma di lavoro che viaggia parallelo e con
obiettivi comuni a quello svolto dai ragazzi quotidianamente, attento alle esigenze individuali, che
tiene conto delle abilità specifiche e delle potenzialità di ciascun ragazzo. Oltre ai report che
redigiamo alla fine di ogni seduta, abbiamo creato delle griglie di valutazione comportamentale,
interpersonale e di relazione con l’animale come strumento di verifica e valido aiuto per le
programmazioni future.
GRIGLIE DI VALUTAZIONE PERSONALE
Data
Nome
Seduta n°
STATO EMOTIVO
REAZIONI
Arrivo
Primi 30 minuti
Ultimi 30 minuti
Partenza
Ppp Piange
Ride
Ha paura
E’ agitato
E’ indifferente
E’ sereno
E’ aggressivo
E’ diffidente
E’ insofferente
E’ triste
INTERAZIONI
CON
L’ANIMALE
Primi 30 minuti
autonomamente
Stimolato
Ultimi 30 minuti
autonomamente
Stimolato
Sta vSta vicino
Gioca
Accarezza
Tocca
Respinge
Verbale
Porge biscotti
Sta vicino
Passeggia
CON
Primi 30 minuti
Ultimi 30 minuti
L’OPERATORE
Autonomamente
Stimolato
AutoAutonomamente
Stimolato
Verb Verbale
Non Verbale
CON IL
Primi 30 minuti
Ultimi 30 minuti
GRUPPO
Autonomamente
Stimolato
Autonomamente
VerbVerbale
Non Verbale
PassPasseggia
Gioca
GRIGLIE DI VALUTAZIONE PERSONALE
Data
Nome
Seduta n°
Stimolato
ATTIVITA’
CUCINA
Primi minuti
Ultimi minuti
Autonomamente
Stimolato
Autonomamente
Stimolato
PPrende la ciotola
Prepara il
mangiare
Porge la ciotola
al cane
Pulisce e ripone
la ciotola
Da’ da bere
GIOCO
Primi 30 minuti
Autonomamente
Stimolato
Ultimi 30 minuti
Autonomamente
Stimolato
LLancia la pallina
Esegue percorsi
semplici
Esegue percorsi
complessi
Premia con
biscotti
ABILITA’
Primi 30 minuti
Autonomamente
Stimolato
Ultimi 30 minuti
Autonomamente
Stimolato
Sa condurre col
guinzaglio
Sa tenersi
accanto il cane
Spazzola il cane
Mette/toglie il
guinzaglio
Apre/chiude il
cancello
Stiamo inoltre preparando del materiale che può essere utilizzato dai ragazzi al di fuori delle
sedute. In particolare una favola, illustrata con disegni e foto dei ns. animali, che ha come
protagonisti i cani e i ragazzi del centro, in modo da mantener vivo il ricordo del rapporto
instauratosi. Analizzando il rapporto svolto finora ci sembra che la PT abbia avuto un ruolo
fondamentale nel motivare in questi ragazzi movimenti affettivi ed emozionali.
Abbiamo visto come l’animale riesce ad avvicinarsi alla persona isolata perché il rapporto è vissuto
in maniera meno minacciosa che in una relazione con persone. La comunicazione che si instaura fra
persona e animale non deve seguire rigide regole sociali perché si basa soprattutto sul contatto
fisico e sulla gestualità.
La validità di un programma di PT consiste nel far emergere una relazione affettiva con l’animale e
non il suo uso strumentale.
Il rischio nello svolgere questo tipo di lavoro è che il ragazzo crei una relazione esclusivista con
l’animale è importante perciò spostare il focus dell’attenzione dal cane alle altre persone presenti
nel settino motivando il ragazzo a mantenere alto il tono relazionale.
A testimonianza di quanto espostovi fino ad ora vi leggiamo uno stralcio di lettera inviataci dal
Dott. Paolo Paolucci del centro disabili psichici gravissimi di via dei colli PD:
“ in tutti gli ospiti, ognuno coerentemente alle proprie possibilità di apprendimento e motivazione,
si è mantenuto, nei mesi di frequentazione della PT, un vivo interesse a questa attività e un
miglioramento nelle abilità di relazione con l’animale. In particolare l’attività di PT ha permesso
negli ospiti un miglioramento negli aspetti di socializzazione che ha creato un feedback positivo in
tutte le attività proposte al centro, verificate attraverso un aumento oggettivo delle capacità di
attenzione, di partecipazione e di amalgama complessiva su tutti gli aspetti di recupero delle
capacità residue”
Siamo un delle poche associazioni in Veneto a svolgere questo tipo di servizio, crediamo in quello
che stiamo facendo e vorremmo fare in modo che sempre più persone possano usufruire del ns.
lavoro, rispondendo così alle richieste cghe ci stanno arrivando. Con la ns. equipe stiamo perciò
lavorando su un progetto che presenteremo alla Regione Veneto e che se verrà approvato, potrà
garantirci una strutturazione del centro sempre più funzionale, con la creazione di varie aree
dedicate a diverse attività a seconda delle esigenze del fruitore. Il finanziamento che chiediamo ci
permetterebbe inoltre di essere un supporto anche per le famiglie dei disabili (che hanno comunque
bisogno di sostegno ed in particolare i fratellini dei minori con problemi) in modo che possano
beneficiare gratuitamente del servizio che svolgiamo.
Oltre ai programmi di PT che l’associazione rivolge a bambini ed adulti con disabilità, abbiamo
preparato dei programmi di Zooantropologia Applicata alla Didattica per alcune scuole elementari
della ns. zona. Questi progetti individuano nella relazione tra persona ed animale un mezzo per far
emergere valenze pedagogico-educative. In un periodo in cui ogni notizia di aggressione da parte di
cani trova spazio nelle prime pagine dei giornali, miriamo a guidare i bambini ad un giusto approcio
all’animale, fornendo loro gli strumenti per valutare ciò che è veramente pericoloso e ciò che non lo
è.
“UN CANE PER AMICO”
UN’ESPERIENZA DI PET-THERAPY CON I MALATI DI ALZHEIMER
DI TIZIANA GORI E ALDO LA SPINA
INTRODUZIONE
Questo lavoro è frutto di un’esperienza condotta tra il mese di ottobre 2002 ed il mese di maggio
2003, con scadenza settimanale, presso il Centro diurno per malati di Alzheimer “Cooperativa
Nuovo Solco”, gestito da Luciano e Giovanna Quinto, sito a Monza in Via Molise 13.
In questa struttura affluiscono pazienti con diagnosi di Alzheimer da una vasta parte della Regione
Lombardia; il centro è aperto tutti i giorni dal lunedì al venerdì, dal mattino sino alla sera, ed è
organizzato in modo tale da consentire l’assistenza ai pazienti secondo modalità personalizzate.
All’interno della struttura della Cooperativa Nuovo Solco vi è una vasta offerta di spazi: l’ampia
sala comune con numerosi tavoli utilizzati sia per la somministrazione dei pasti che per lo
svolgimento di altre attività ricreative (disegno, gioco, attività manuali in genere), la palestra
attrezzata, una unità di fisioterapia, l’ambulatorio, altri locali più appartati con comode poltrone,
una cucina alla quale i pazienti hanno libero accesso ed un giardino piantumato con pista in terra
battuta che, in condizioni climatiche favorevoli, si presta a piacevoli passeggiate ed al “girovagare”.
L’approccio con i malati è molto dolce ed il personale si prodiga per mantenere e potenziare le
attività che gli anziani sono ancora in grado di svolgere, prestando la massima attenzione a non
compiere atti chi inducano o provochino ansia e frustrazione.
Il programma “Un cane per Amico” è stato reso possibile grazie alla collaborazione di un gruppo di
persone qualificate e preparate:
-
Aldo La Spina, supervisore e titolare del progetto;
-
Margherita Serpi, psicoterapeuta e coordinatore operativo;
-
Tiziana Gori, medico veterinario, responsabile della salute degli animali e della prevenzione
delle zoonosi.
Accanto a queste figure professionali, hanno prestato la loro opera di operatori cinofili volontari,
accompagnati dai loro cani:
-
Enzo Palamenghi, con il Labrador Retriever “Eliot”;
-
Valeria Verardo, con la meticcia “Scilla”;
-
Loriana Di Cataldo, con la Setter inglese “Pepsi”;
-
Margherita Serpi (nella duplice funzione di coordinatore e operatore) con il Golden
Retriever “Roa”.
A partire dal mese di marzo 2003, si sono aggiunti;
-
Guido Baraldi con il Labrador Retriever “Old”;
-
Simona Colombo con la meticcia “Chicca”.
Il Centro, da parte sua, ha fornito un prezioso aiuto tramite le figure di una geriatra, una psicologa,
assistenti sanitari e volontari temporanei, oltre ad un operatore per ogni anziano coinvolto nel
programma.
IL PROGETTO “UN CANE PER AMICO”
Nella formulazione di questo progetto che, fin dall’inizio, ha stimolato tutte le persone coinvolte,
sono stati individuati alcuni obiettivi da raggiungere:
-
instaurare tra paziente e cane relazioni gratificanti sul piano emozionale;
-
sollecitare la capacità di concentrazione attraverso lo stimolo sensoriale immediato, la libera
espressività verbale e la comunicazione non verbale;
-
stimolare le capacità motorie;
-
sostenere l’autostima attraverso il rapporto autorevole che si può stabilire con l’animale.
I soggetti ai quali si è pensato di indirizzare l’intervento terapeutico sono stato scelti sulla base dei
seguenti criteri:
-
grado di compromissione medio-grave;
-
assenza di manifestazioni d’avversione, rifiuto, paura nei confronti dei cani;
-
capacità mnemonica sufficiente a conservare o costruire ricordi di eventi particolarmente
significativi, per consentire una continuità nel rapporto settimanale con il cane;
-
difficoltà nell’esprimersi ed incapacità dimostrata ad impegnarsi in altre attività;
-
bisogno di un rapporto individualizzato.
Dopo alcuni incontri preliminari per valutare la struttura, coinvolgere il personale, realizzare un
programma che apportasse al Centro il minor impatto, scegliere i pazienti da inserire nel progetto ed
i cani da abbinare, si è deciso di avviare in un primo tempo un programma di Attività Assistita
A.A.A., per meglio valutare le scelte effettuate, e passare quindi, a partire dal mese di novembre
2002, alla Terapia Assistita T.A.A..
Pertanto per alcuni incontri, i cani, tenuti al guinzaglio dai loro conduttori e con l’aiuto degli
operatori sanitari, hanno “approcciato” i pazienti lasciandosi accarezzare, condurre in passeggiata
anche nel giardino e nutrire.
A seguito di questi incontri, alcuni tra i pazienti ipotizzati si sono autoesclusi, poiché in grado di
dichiarare il proprio disinteresse verso gli animali o manifestando insofferenza al loro
avvicinamento, mentre altri hanno mostrato di gradirne la vicinanza ed il piacere di accarezzare
l’animale.
Vengono infine individuati quattro malati, che rispondono alle caratteristiche previste:
-
Elvo;
-
Piero;
-
Angela;
-
Italo.
Altri malati, come Oriele e Pio, hanno partecipato a programmi di A.A.A..
Anche per la scelta del cane sono stati adottati criteri particolari che hanno consentito di inserirne
alcuni solo nelle A.A.A. ed altri nelle più impegnative T.A.A.:
-
Old, Labrador Retriever, ha destato costante attenzione nell’anziano, grazie alla sua docilità
unita ad un addestramento di livello elevato (Guido, il suo proprietario, è un addestratore
professionista), che gli ha permesso di sincronizzare le sue risposte con le esigenze del
malato;
-
Eliot, Labrador Retriever, è un soggetto molto docile e affettuoso e, sebbene preparato solo
con una normale educazione di base, ben si presta per la terapia per la sua inesauribile
voglia di giocare;
-
Scilla, meticcia di piccola taglia a pelo lungo, docile e tranquilla, è adatta per le sue ridotte
dimensioni che la rendono più “maneggevole” e stimolano un senso di protezione;
-
Pepsi, Setter inglese, è stata utilizzata solo per le A.A.A. per il suo carattere emotivo che la
spinge talvolta ad abbaiare in momenti inopportuni;
-
Roa, Golden Retriever, socievole ed espansivo, è stato impiegato solo per le A.A.A. a causa
della sua vitalità, poco confacente con la fragilità di questo tipo di malati;
-
Chicca, meticcia di piccolissima taglia, è stata inserita tardivamente nel programma ma,
impiegata nella A.A.A., ha dato ottimi risultati anche con pazienti dal carattere burbero ed
umorale, che sembrava non fossero interessati ai cani.
Al termine di ogni incontro sono state compilate le apposite schede per la valutazione finale sia per
i pazienti che per i cani.
Gli incontri sia di A.A.A. che di T.A.A. si sono svolti secondo i protocolli indicati dalla Delta
Society, ma, in alcuni casi tali schedature sono apparse poco adatte e restrittive, tanto che si è deciso
di modificarle, anche su richiesta degli operatori sanitari, a favore di modelli che meglio
rispondessero alle esigenze dei nostri pazienti.
SCHEDA DI VALUTAZIONE DI FINE SEDUTA DI A.A.A./T.A.A.
Struttura ……………………………………………………………………………………………….
Indirizzo ……………………………………………………………………………………………….
Telefono …………………………. Fax …………………. E-mail …………………………………..
Responsabile di riferimento …………………………………………………………………………...
Dati del paziente e caratteristiche del comportamento:
…………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
Operatore ……………………………………………………………………………………………...
Animale ……………………… Nome …………………….. Razza ………………………………...
Durata della seduta …………………………………. Data …………………………………………..
CLIENTE
1. interazione con l’operatore
sì
no
tempo: < 3’
3’-5’ > 5’
……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………
2. paura e/o esitazione all’incontro con l’animale
sì
no
3. aggressività nei confronti dell’animale
4. interazione con l’animale
sì
sì
no
no
tempo: < 3’
3’-5’ > 5’
5. organizza l’interazione con l’animale: accarezzamento, spazzolatura, nutrimento, gioco
spontaneo
sì
no
tempo: < 3’
3’-5’ > 5’
……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………
6. esegue attività strutturate: passeggiata, riporto, percorsi, obbedienza
sì no
tempo: < 3’
7. organizza attività strutturate:
3’-5’ > 5’
sì
no
tempo:
……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………
8. rimane passivo? ……………………………………………………………………………….
…………………………………………………………………………………………………….
9. si isola? ………………………………………………………………………………………..
…………….………………………………………………………………………………………
10. mostra insofferenza per la terapia? ……………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………
11. pone attenzione alle domande e alle richieste dell’operatore? ………………………………..
……………………………………………………………………………………………………
12. interviene opportunamente e formula domande inerenti l’argomento? ……………………….
…………………………………………………………………………………………………….
13. Varie ………………………………………………………………………………………….
……………………………………………………………………………………………………..
LA MALATTIA DI ALZHEIMER: BREVI CENNI
La malattia di Alzheimer è una patologia cronica del Sistema Nervoso Centrale, conosciuta fin dal
1906, anno in cui il medico tedesco Alois Alzheimer (1864-1951) descrisse ciò che aveva scoperto
osservando al microscopio il tessuto cerebrale di una donna deceduta in seguito ad una “rara”
malattia mentale.
Si tratta di una forma di demenza nel corso della quale i malati subiscono un’erosione progressiva
della propria storia passata, annullando, in un percorso a ritroso, la loro esperienza di vita – i ricordi
dell’infanzia sono gli ultimi a svanire – e sono sempre meno in grado di organizzare il loro futuro.
La loro vita è sempre più condizionata da chi li assiste; i loro ricordi, man mano che la malattia
evolve, sono sempre più affidati alla memoria, agli affetti, alle capacità di cura ed alla
professionalità di chi li circonda.
A tutt’oggi l’eziologia resta sconosciuta, sebbene siano state ipotizzate diverse concause:
-
fattori ereditari: un caso di demenza che colpisce un parente di primo grado (genitori,
fratello, sorella), innalza le possibilità di ammalarsi di 2-5 volte;
-
fattori genetici: alcune persone con un parente stretto colpito dalla sindrome di Down
(cromosoma 21) hanno una maggiore probabilità di ammalarsi di Alzheimer; difetti genetici
del cromosoma 19 nella produzione dell’apolipoproterina E ApoE sarebbero in relazione
con il rischio di sviluppare la malattia;
-
placche amiloidi e grovigli neurofibrillari: lesioni individuabili all’esame istologico del
cervello (cause o conseguenze?);
-
diminuiti livelli del neurotrasmettitore acetilcolina;
-
eccessive quantità di calcio intracellulare;
-
postumi di infiammazioni cerebrali;
-
alterati livelli ormonali (soprattutto nelle donne dopo la menopausa);
-
elevati quantitativi di agenti antiossidanti;
-
altre cause.
La patologia ha un decorso graduale, progressivo, irreversibile e dura da 2 a 25 anni.
Per giungere ad una diagnosi quanto più precisa possibile è necessario condurre un’accurata ed
esaustiva inchiesta clinica, anamnestica e obiettiva, accompagnata dalla valutazione funzionale e
cognitiva, nonché da indagini di laboratorio e “neuroimaging” (TAC, RMN ecc.).
L’anamnesi, soprattutto comportamentale, costituisce la componente fondamentale e insostituibile
del processo diagnostico, anche nel suo aspetto di interazione diretta con il paziente e del suo
interagire con l’ambiente.
Il quadro clinico è multiforme e a volte difficilmente distinguibile da altre forme demenziali tipiche
dell’età senile.
Nelle fasi iniziali il soggetto presenta amnesie relative ad aspetti della sua vita quotidiana, come i
nomi dei parenti, il posto in cui sono stati messi oggetti d’uso comune.
Con il passare del tempo le capacità mnemoniche peggiorano ulteriormente: il paziente può perdersi
in un luogo noto, leggere un brano e ricordare poco di ciò che ha letto.
In seguito si manifestano sintomi più caratteristici della malattia:
-
afasia: alterazione o perdita della capacità di usare o capire il linguaggio scritto o parlato in
assenza di un difetto della fonazione;
-
ansia e depressione;
-
disprassia e aprassia: alterazione e perdita della capacità di realizzare un’attività motoria
specifica, finalizzata e coordinata, in assenza di paralisi;
-
disorientamento: alterata comprensione delle relazioni temporali, spaziali o personali;
-
ecolalia: ripetizione insensata di espressioni ascoltate;
-
acatisia: incapacità a sedersi o a rimanere seduto per l’irrequietezza motoria e la sensazione
di tremolìo muscolare;
-
girovagare (“wandering” degli autori anglosassoni): incremento patologico del cammino
come se il paziente fosse alla ricerca di qualcosa che non trova mai (forse la casa di quando
era bambino?);
-
bulimia: rapido consumo di grandi quantità di cibo;
-
allucinazione e delirio;
-
agnosia: difficoltà a riconoscere gli oggetti;
-
abulia cognitiva: perdita della facoltà di mantenere un pensiero sufficientemente a lungo per
portare a termine un’azione finalistica;
Il progredire della malattia comporta:
-
difficoltà a camminare, fino alla completa immobilità;
-
rigidità agli arti;
-
incontinenza urinaria e fecale;
-
riduzione delle espressioni verbali fino all’emissione di una sola parola;
-
ripetizione continua di suoni o gemiti o addirittura mutismo;
-
completa dipendenza dagli altri.
A tutto ciò si aggiungono disturbi comportamentali dettati dall’ansia, dalla rabbia, dalla depressione
per la difficoltà di accettazione della malattia.
LA FASE OPERATIVA: I PAZIENTI, GLI OBIETTIVI, I RISULTATI
Terminato il periodo di assestamento a partire dal mese di novembre 2002, una volta individuati i
pazienti e gli obiettivi pertinenti, scelti i cani e studiati gli abbinamenti, il programma “Un cane per
amico” è entrato nella fase operativa più delicata (e stimolante).
ELVO
Principali caratteristiche patologiche e comportamentali
-
importante difficoltà ad articolare le parole con normale comprensione del linguaggio
(disfasia);
-
girovagare incontrollabile (non riuscendo più a camminare senza aiuto, fa continua richiesta
di essere alzato dalla poltrona);
-
parkinsonismo;
-
facile irritabilità soprattutto in situazioni d’imposizione;
-
ricerca della compagnia con buone capacità di socializzazione nonostante le notevoli
difficoltà motorie;
-
forte senso dell’umorismo.
Obiettivi prefissati
Le condizioni fisiche non gli permettono più di dare sfogo all’irrefrenabile esigenza di camminare
ed il rimanere seduto diventa per lui una forzatura.
Si ipotizza che l’incontro con il cane migliori la qualità della sua vita e gli fornisca una motivazione
particolarmente piacevole nello stare seduto, sfruttando il riposo come momento di relazione e
sostegno affettivo.
Ad Elvo viene destinato Eliot (condotto da Enzo Palamenghi); si decide di farlo lavorare con la
pallina in modo che da seduto Elvo respinga la palla che il cane lancia con la bocca.
L’aiuto del cane ha permesso poi di focalizzare una nuova possibilità terapeutica: il lancio della
palla impone al paziente l’utilizzo anche degli arti superiori con l’effetto di una seduta fisioterapica.
L’interazione tra il paziente ed il cane è stata immediata, anche perché entrambi condividevano una
passione: giocare a palla (nel corso delle sedute è emerso che Elvo aveva militato come giocatore
professionista nella squadra del Bologna). Elvo rimaneva in porta sulla sua sedia e parava i tiri
lanciati dal cane con la bocca.
Le sedute hanno avuto una durata media di 15-20 minuti, con punte anche di 30 minuti (limite
massimo di capacità di attenzione nei malati di Alzheimer) e con una adeguata concentrazione,
nonostante i molteplici deficit del malato.
Nei primi incontri sono stati rispettati i protocolli di interazione americani, con il cane tenuto al
guinzaglio; la situazione che si veniva a creare era però innaturale e portava sia il paziente che il
cane a distrarsi facilmente e a non interagire pienamente: la gestione del cane senza guinzaglio ha
nettamente migliorato il rapporto di entrambi.
Ogni incontro iniziava con la presentazione del cane per valutare se Elvo ricordasse le sedute
precedenti: pur non parlando, l’anziano accoglieva il nuovo amico con un gran sorriso e dimostrava
di ricordare perfettamente.
Molto presto Elvo ha imparato a dare al cane un bocconcino (nelle prime sedute tentava di
ingerirlo) divertendosi molto quando Eliot lo afferrava al volo.
Il contatto fisico tra i due era apprezzato da entrambi ed induceva il malato a muovere le braccia, un
gesto per lui molto difficile.
Gli incontri si sono svolti dapprima in palestra e quindi in un salottino ricavato nella sala comune e
accessibile anche agli altri pazienti che talvolta partecipavano alle partite: il cambio di locazione ha
mostrato quanto Elvo fosse possessivo nei confronti del cane, osservando accigliato e contrariato gli
altri malati per poi tornare a sorridere verso il cane.
Già dal mese di dicembre 2002 si è iniziato a fargli usare anche le braccia per rilanciare la palla:
Elvo ha compiuto notevoli sforzi per riuscire, ma non si è mai sottratto all’incitamento grazie anche
alla soddisfazione di vedere come il cane prendesse la palla al volo.
In diverse occasioni Elvo ha chiaramente dimostrato di voler comunicare con il cane e più volte lo
si è sentito salutare Eliot: nella seduta del 17 gennaio 2003, terminati i bocconcini, ha fatto il gesto
“non ce ne sono più”.
In un’altra occasione (seduta del 14 febbraio 2003), Eliot è stato sostituito da Old, della stessa razza
e molto simile, ed Elvo se ne è accorto immediatamente, accettando l’interazione pur con qualche
perplessità: nonostante la malattia provochi gravi danni mnemonici, uno stimolo forte e idoneo può
“risvegliare” il malato.
Nel corso della primavera il grado di attenzione è stato altalenante: problemi famigliari, condizioni
ambientali e fattori meteorologici, come il cambio di stagione, possono influire negativamente in
questi pazienti.
Nelle ultime sedute invece la concentrazione è sempre stata elevata, tanto che Elvo ha nascosto la
palla sotto il bavaglio che abitualmente indossa, compiendo un notevole sforzo sia fisico che
mentale, per la difficoltà di movimento delle braccia e per aver scelto un nascondiglio fino a quel
momento mai utilizzato.
Elvo dal punto di vista fisico ha acquisito una maggior facilità di movimento soprattutto del braccio
destro (che era quello più bloccato); ha conservato la percezione di destro e sinistro; ha saputo
relazionarsi con un cane diverso dal “suo” adattando il modo di giocare.
Al termine delle sedute ha sempre salutato il cane con un gesto della mano e lo si è sentito dire
qualcosa sottovoce.
Eliot, pur non essendo addestrato, si è rivelato un ottimo operatore: il suo comportamento è sempre
stato spontaneo, aspetto quest’ultimo di fondamentale importanza nell’interazione con un paziente
che, come Elvo, mal sopporti imposizioni e situazioni forzate.
PIERO
Principali caratteristiche patologiche e comportamentali
-
disfasia e utilizzo di parole non congrue;
-
agnosia (la conoscenza dell’oggetto migliora con il tatto, toccandolo più volte);
-
rigidità nei movimenti;
-
lentezza nell’elaborazione delle risposte;
-
disprassia;
-
difficoltà a relazionarsi con gli altri ospiti;
-
molto sensibile;
-
buona comprensione del linguaggio verbale.
Obiettivi prefissati
Sostenere l’autostima, ferita dalla consapevolezza dei propri deficit e dalle difficoltà relazionali,
tramite la possibilità di far eseguire all’animale semplici comandi e a gestirlo autonomamente.
Nonostante la notevole disfasia, Piero utilizzava un eloquio molto ricercato che lo distingueva
nettamente dagli altri pazienti del Centro creando fra di loro una barriera.
Aveva dei modi di fare garbati e tendeva a ricercare la compagnia femminile con atteggiamenti da
vero “gentiluomo”: questa sua caratteristica è stata però mal interpretata, e ha indotto soprattutto le
pazienti, anch’esse, in quanto malate, con alterata interpretazione della realtà, ad allontanarlo e ad
isolarlo. La degenza di Piero era quindi caratterizzata da una profonda solitudine e gran parte del
suo tempo veniva trascorsa giocando con materiale idraulico (fin quando aveva lavorato, quella era
stata la sua professione).
Anche a Piero è stato affiancato Eliot, dopo qualche inadatto tentativo con Pepsi.
Le sedute hanno sempre avuto un inizio molto lento ed è sempre stato necessario attirare
l’attenzione del malato, parlandogli, stimolandolo con diverse domande e presentandogli in cane.
Nel prosieguo delle sedute Piero ha manifestato un maggiore interesse e numerosi sono stati i suoi
commenti relativi al cane, che aveva ribattezzato “Tommasino”, alla sua struttura fisica e al suo
colore “zafferano”: alla fine di dicembre già gli impartiva comandi come il “seduto”, riuscendo
persino ad valutare con un sorriso le sue scarse capacità decisionali con affermazioni come «è lui
che comanda», nell’incontro del 10 gennaio 2003.
Al termine di ogni seduta, dopo i saluti, seguiva il gruppo degli operatori cinofili fino all’uscita e
rimaneva ad osservarli dalla finestra.
Purtroppo Piero, a metà gennaio, ha dovuto interrompere anzitempo la sua partecipazione al
programma di Pet-Therapy.
Eliot si è dimostrato docile e tranquillo e si è lasciato manipolare e condurre al guinzaglio senza
difficoltà, sebbene la lentezza nelle reazioni del paziente gli creassero un senso di impazienza che a
volte lo portava a distrarsi.
La conduzione con il doppio guinzaglio è stata presto abbandonata preferendo l’utilizzo del
comando singolo: ciò ha consentito a Piero di potenziare la sua autostima e di avere la piena
percezione della forza esercitata dal cane, e, a Eliot, di non sentirsi confuso dalla presenza di due
guinzagli che talvolta imponevano azioni antitetiche.
Piero ha potuto lavorare anche con Chicca, con la quale ha instaurato un’intensa relazione durata
fino a quando il paziente è rimasto al Centro.
ANGELA
Principali caratteristiche patologiche e comportamentali
-
afasia;
-
agnosia;
-
aprassia;
-
emotività ed iper-eccitabilità sotto lo stimolo di svolgere attività, soprattutto in presenza di
terzi;
-
conseguente irritabilità e difficoltà nei rapporti interpersonali;
-
comprensione distorta delle situazioni;
-
necessità di essere rassicurata.
Obiettivi prefissati
Fornirle un’occupazione gratificante dal punto di vista relazionale; alleviarle il costante stato di
ansia e contemporaneamente consentirle un dispendio di energie senza nuocere a nessuno.
Angela è una donna dolce e sensibile, con un innato senso materno; vive male la sua condizione di
malata aprassica, disfasica, agnosica e manifesta una notevole emotività che la porta ad un eloquio
velocissimo ed incomprensibile.
Fin da subito si è dimostrata ben disposta nei confronti dei cani, avendoli avvicinati tutti prima che
venissero decisi gli abbinamenti: con loro l’eloquio era più tranquillo, ed è arrivata a pronunciare
intere frasi in toni pacati e comprensibili, come «è inutile che mi guardi così: non ho niente da darti
da mangiare!», dimenticando per un momento le frasi sconnesse proferite normalmente in dialetto.
Dopo il periodo di prova è stata scelta per lei Scilla, accompagnata da Valeria Verardo, con la quale
aveva dimostrato una maggiore affinità.
Gli incontri avvenivano in una stanza attigua alla sala comune ed il cane le veniva presentato su di
un tavolino basso in modo che si trovasse alla sua altezza.
Nelle prime sedute Angela a fatica si concentrava sul cane, accarezzandolo solo se sollecitata.
Si è deciso di modificare i protocolli: il conduttore del cane è stato posto alle spalle della paziente,
pur rimanendo il contatto visivo con il cane, mentre l’operatore sanitario si è discostato, evitando di
incrociare lo sguardo di Angela che tende a dirigersi verso le persone che la guardano.
In questo modo il rapporto con il cane ha subìto modifiche radicali: Angela ha approfondito
l’interazione, dimostrando di riconoscere Scilla, autonomamente si è accorta che si trattava di una
femmina, si è preoccupata per il suo stato di salute e di benessere, attenta a non farla scivolare dal
tavolino, stimolandola ad accettare bocconcini e cantandole ninne-nanne.
Progressivamente l’eloquio si è tranquillizzato, intervallato anche da diversi minuti di silenzio.
Nella seduta del 21 marzo 2003, Angela ha cercato di sollevare Scilla, e mentre Valeria cercava di
risolvere la situazione, la pazienze, senza distrarsi per la figura dell’operatore di fronte a lei, l’ha
fermata con un gesto della mano come se dicesse «lascia fare a me».
In un’altra occasione, il 9 maggio 2003, Angela si è trovata di fronte una nuova coppia, ChiccaSimona: manifestato il suo disappunto, non è riuscita a concentrarsi sul cane, al quale ha riservato
solo qualche carezza distratta, ha ripreso inaspettatamente il suo eloquio veloce e incomprensibile,
poi ha deciso di abbandonare la seduta, ma, tra lo stupore generale, è rientrata nella stanza e, con un
rassegnato «me despiass» (“mi dispiace”) si è scusata con l’operatrice e se ne è andata.
Evidentemente, per ottenere i migliori effetti terapeutici con la Pet-Therapy, non basta un cane
qualunque: occorre che ci sia proprio “quel” cane.
Scilla si è dimostrata un animale affidabile (proviene dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale di
Teramo, dove era già impegnata nella Pet-Therapy), sebbene dopo qualche seduta abbia manifestato
ripetuti segnali di stress, rischiando di essere sostituita; in realtà, ad un attento esame della
situazione, si è potuto osservare che si trattava di carente e inadeguato adattamento all’ambiente,
dovuto al lungo viaggio mattutino in treno e in auto – da Biella a Monza –, seguito, senza avere
neppure il tempo di rendersene conto, dal rapido inserimento nella struttura e nell’attività.
Concessole il tempo necessario per ambientarsi e rilassarsi prima di ogni seduta, Scilla ha ripreso in
breve la sua attività, interagendo con Angela e stabilendo con lei uno dei legami più completi e
profondi verificatisi nel corso del programma.
ITALO
Principali caratteristiche patologiche e comportamentali
-
buona comprensione del linguaggio verbale;
-
possibili difficoltà uditive;
-
disprassia;
-
bulimia;
-
tendenza alla reiterazione di alcuni gesti, come sfregarsi le mani;
-
tendenza alla chiusura in se stesso.
Obiettivi prefissati
Sostenere l’autostima; aiutarlo ad instaurare relazioni affettive sia con il cane che con il conduttore
per indurlo ad una più aperta socializzazione.
Si tratta di una persona sensibile ed introversa, nella quale la malattia ha provocavo anche un senso
di frustrazione ed inadeguatezza che viene manifestato sotto forma di stereotipie, come il dondolarsi
su se stesso, sfregarsi le mani o passarle ripetutamente sulle gambe: Italo è consapevole della sua
malattia e, in un’occasione, ha dichiarato che questo è il motivo dei suoi silenzi.
È un uomo molto preciso e puntiglioso, che si impegna per portare a termine le azioni intraprese: la
disprassia e l’amnesia lo avviliscono ancora di più e lo rendono ansioso.
Dopo qualche seduta di prova con Scilla (il paziente sembra preferire un animale di piccola taglia),
la scelta, nonostante la mole, ricade su Old, accompagnato da Guido Baraldi.
Gli incontri iniziavano in maniera piuttosto timida: il conduttore passava ripetutamente con il cane
accanto al paziente che, pur mostrando apparente indifferenza, interrompeva le sue stereotipie e,
sollecitato adeguatamente, incominciava l’interazione.
Il paziente si è dimostrato in grado di infilare e levare il collare e il guinzaglio del cane, portarlo a
spasso autonomamente, ripeterne il nome (spesso sostituendolo con “Febo”, come quello di un suo
vecchio cane).
La relazione con il cane è stata soddisfacente, la gestualità adeguata: ha riconosciuto il colore del
mantello e del collare, è stato attento al cane, lo ha pettinato dolcemente ed ha espresso
apprezzamenti per i comandi ben eseguiti.
Quando rimaneva solo, riprendeva facilmente a compiere gesti compulsivi, ma se un cane gli si
avvicinava la gestualità ossessiva rallentava fino a cessare.
L’abbinamento con Old si è rivelato fin dall’inizio appropriato: se in un primo tempo la grossa
taglia del cane ha creato qualche timore nel paziente, il carattere dolce ma deciso e ben forgiato,
simpatico e socievole (Old è perfettamente addestrato, conosce una vasta gamma di vocaboli sia
visivi che vocali, abbaia a comando e così via), lo rendeva più interessante agli occhi di un ex
militare come Italo, che non ha mai particolarmente faticato nell’impartire ordini e comandi.
Su richiesta del conduttore il cane, abbaiando, salutava il malato e questi semplicemente rispondeva
«ciao».
Si può certamente affermare che la presenza del cane procura sollievo ai pazienti, riduce lo stato
d’ansia, contribuisce a mantenere vive ed attive alcune capacità, rallentando l’evolversi della
malattia, e porta numerosi ed intensi momenti di intimità ed affettività rivolte non solo ai cani, ma
anche agli operatori.
IL PROTAGONISTA: IL CANE
Un cane impegnato in una qualunque attività, adeguata alle caratteristiche della sua razza, alle
attitudini e al carattere individuale, è un cane felice.
Troppo spesso invece incontriamo cani costretti a vivere in ambienti carenti o privi di stimoli, come
tutte, o quasi, le abitazioni di città e l’ambiente urbano, con l’unico gravoso impegno di passare
dalla poltrona alla ciotola e di fare non più di quattro passi nel giardinetto sotto casa.
I proprietari più responsabili chiedono spesso di istruire il loro beniamino, perché non salti addosso
alle persone, torni ubbidiente al richiamo evitando il rischio di finire sotto un’automobile, non tiri
al guinzaglio e così via.
Talvolta i proprietari si pongono qualche domanda in più e, consci del fatto che non possono
impegnare il proprio cane nelle attività per le quali è nato, come portare a caccia il Labrador,
decidono di fargli fare qualcosa di alternativo e che sia anche socialmente utile.
La Pet-Therapy offre queste opportunità ed anzi prevede anche il coinvolgimento del
proprietario/conduttore, dopo un preciso percorso formativo per entrambi.
Le A.A.A./T.A.A., se correttamente eseguite nei tempi e nei modi, richiedono da parte del cane un
grande impiego di energie fisiche, ma soprattutto mentali: i conduttori sanno che il loro cane, dopo
un intervento di Attività o Terapia Assistita, ha bisogno di riposare per diverse ore.
In particolare si è notato, visitando regolarmente il Centro Diurno per Alzheimer, che il cane ad
ogni incontro appare “svuotato” di una parte delle sue energie, che deve necessariamente
recuperare.
Questa impressione, che non ha fondamento scientifico, potrebbe essere avvalorata da chi,
sull’uomo, mette in atto pratiche terapeutiche che prevedono il trasferimento di flussi energetici,
come la Pranoterapia, il Reiki, il Feldenkreiss, le arti marziali, con accumulo da un lato e perdita
dall’altro di energia vitale.
Per questo motivo il cane inserito in programmi di Attività e/o Terapia Assistita rivolti a malati di
Alzheimer, deve essere caratterialmente testato e altamente preparato.
Un Centro Diurno come quello monzese, per assecondare le necessità dei pazienti, non prevede
stanze chiuse: tutto è aperto e l’imprevisto è inevitabile.
Molti ospiti sono in continuo movimento, altri vengono impegnati dagli educatori in attività
diverse; l’ambiente stesso, dove soggiornano i malati, è volutamente arricchito di stimoli ed
organizzato con attività di vario tipo: lavorare in tali condizioni richiede un’attenzione ed una
concentrazione notevoli, da parte sia degli operatori che dei cani; le sessioni non possono e non
devono essere più di due al giorno e non devono durare oltre 20 minuti ciascuna, intervallate da un
periodo di riposo trascorso in un ambiente idoneo.
È capitato che durante gli incontri con i pazienti, il conduttore, per incompetente valutazione dello
stato psico-fisico del cane o per l’inaspettato risultato dell’interazione tra il suo cane e il malato,
non si accorgesse di aver oltrepassato il limite “energetico” e di concentrazione del suo cane,
lasciandosi fuorviare dalla sua tranquillità subdola e mal interpretata.
Non è stato facile, infatti, capire il limite di una cagnolina dolce e sempre tranquilla come Scilla, o
di Eliot, il Labrador con la coda sempre in movimento e con una perenne voglia di giocare!
I sintomi si erano manifestati dapprima in maniera poco chiara, ma poi, ad ogni sessione, con
sempre maggior comprensibilità: Scilla non voleva più salire sulla poltrona come faceva
abitualmente a comando per essere accarezzata da Angela, ed Eliot non voleva più lasciare la
pallina per ridarla ad Elvo in un gioco che li aveva sempre visti coinvolti ed amici.
I cani stavano comunicando a loro modo che erano stanchi e avevano bisogno di riposo fisico e
mentale: dopo un adeguato periodo di vacanza e di rieducazione, entrambi hanno ripreso la loro
attività, e con più entusiasmo di prima, consci di essere accompagnati da un proprietario più attento.
In questo senso risulta fondamentale la presenza di un esperto nel comportamento degli animali (e
degli uomini).
Tutti i cani utilizzati nel programma “Un cane per amico” sono stati testati e preparati e, nel corso
sia delle A.AA. che delle T.A.A. hanno ben tollerato e sopportato impreviste “strizzate” e “tirate” di
orecchie, abbracci improvvisi, forti ed incontrollati, urla e grida, e, a volte, anche calci, tirati da
pazienti che si erano sempre comportati affettuosamente e che, d’improvviso (complice una nuova
terapia farmacologica?) hanno reagito in maniera inaspettata: per questo motivo il cane che
partecipa ad una Attività o Terapia di questo tipo, è molto vulnerabile ed ha bisogno della più
attenta e scrupolosa protezione.
Associazione O.N.L.U.S
C.R.E. A.N.I.R.E.
Strada Fontesecco 103-Ps
P.I. e C.F.: 02021050410
Tel. 0721 283497 - 339 6465484
www.amici-ippoterapia.org
Ippoterapia e pet-therapy : alcune riflessioni introduttive e presentazione dell’ASSOCIAZIONE
ONLUS AMICI dell’IPPOTERAPIA di Pesaro.
Dott.Giovanni Gaudenzi, medico veterinario
Il titolo della presente, così come impostato, porta in sé una provocazione, richiamando alla mente
discussioni e controversie che tuttora non rendono sereno l’ambito organizzativo e applicativo di
cio’ che viene fatto da tanto tempo per l’uomo utilizzando il cavallo come mezzo riabilitativo.
I termini riabilitazione equestre , rieducazione equestre, terapia con il mezzo del cavallo o
equitazione terapeutica sono quelli che si possono “dire”, ma il termine comune in uso,in tutto il
mondo, che riassume naturalmente in sè un determinato significato all’interno di un ambito
domanda/risposta e’ quello di Ippoterapia.
Si ritiene pertanto di poterlo e doverlo usare per riferirsi sinteticamente a un contesto che , se e’
pur vero che non ha sempre e comunque ancora nella realtà odierna caratteristiche tali da potersi
definire terapeutico nell’accezione comune del termine, nasce dalla relazione fra particolari
soggetti portatori di specifiche domande, relativamente a uno stato di bisogno, e altri che hanno o
avrebbero possibilità di contribuire a trovare o generare risposte a queste riferite,utilizzando il
cavallo come mezzo relazionale, con specifiche finalità benefiche rientranti in un ambito
terapeutico, o meglio co-terapeutico.
Vanno pertanto analizzati i vari elementi in causa lasciando da parte preconcetti, fonte di contrasti
e mancata crescita, lievitati nel tempo unicamente perchè fino ad ora si è sempre e solo cercato di
attribuire valori specifici e oggettivi a determinati metodi applicativi senza avere approfonditamente
analizzato
le specifiche valenze , positive e negative, configuranti quel determinato ambito
relazionale.
Piu’ semplicemente si tratta di definire e valorizzare una realtà, una necessita’ reale, che è nata
praticamente prima delle parole e ha,solo, bisogno di crescere in modo ordinato e organizzato per
potere manifestare oggettivamente le proprie potenzialità;se si rasserena il pensiero ci si rende
conto effettivamente che esistono innumerevoli realtà che traggono soggettivo beneficio da tale
ambito relazionale esperienziale, tanto che si evince un bisogno di crescita e allargamento degli
ambiti organizzativi ed applicativi. Il vero problema e’ quindi quello di identificare,analizzare e
valorizzare interamente prima i singoli elementi configuranti tali ambiti poi quello relazionale nella
sua complessità e interezza al fine di determinarne valenze soggettive ed oggettive indirizzandole a
precise , specifiche, soggettive finalità.
Tale ultimo punto è condizione essenziale senza la quale il tutto perderebbe valore e significato:
solo l’attenzione, continua tensione, alle necessita’ e al Bene del singolo,portatore della domanda,
quindi soggettiva, dà valore e significato oggettivo al contesto.
Se e’ pur vero che l’ippoterapia e’ un metodo terapeutico che assolve e amplifica i principi
fondamentali della pratica psicomotoria, considerando l’ndividuo nella sua totalita’, offrendogli
con il suo mezzo,il cavallo, una spinta motivazionale che lo coinvolge nel suo intero complesso
motorio, psichico, intellettivo e sociale, attraverso un’attivita’ ludico sportiva,e’ altrettanto vero
che non basta mettere un individuo con difficoltà vicino o sopra a un cavallo per attivare un
trattamento terapeutico. Non e’ infatti il cavallo in se’ che ha doti terapeutiche, ma e’ il contesto
relazionale che si attiva per mezzo del cavallo ad avere particolari potenzialita’ terapeutiche.
Non si insegna pertanto a qualcuno a mettersi in relazione con l’animale ma si inserisce quel
determinato soggetto, portatore di una specifica domanda relativamente alle proprie difficolta’, in
un contesto professionale conosciuto, addestrato, allenato,perfezionato e programmato che deve
avere la capacita’ di interpretare il dialogo relazionale che si attiva,svilupparne le specifiche
potenzialita’ in modo finalizzato, contenerne le derive,conoscerne i limiti e le possibili devianze
negative.
Se ne deduce che un primo elemento fondamentale e’ quello di creare un soggetto istituzionale di
referenza che abbia in se’ un’identita’ interlocutoria poliprofessionale capace di rispondere alla
domanda del fruitore non solo con risposte
tecnico operative ma anche
con garanzie
organizzative, programmatiche,procedurali,assistenziali, assicurative ,nonche’ giuridiche e legali.
L’ambito relazionale si attiva in primis nel momento in cui il fruitore presenta la propria domanda:
a chi la pone,chi si fa carico di analizzarla e di organizzare una specifica ed efficace risposta, chi ne
ha la facolta’, chi se ne assume le responsabilita’derivanti. Non vi e’ un singolo soggetto che puo’
con – rispondere a tutto cio’;si rende pertanto necessario costituire una identita’ istituzionale
poliprofessionale di referenza.
E’ da tali considerazioni analitiche ed esperienziali che si e’costituita nell’anno
2000
l’ASSOCIAZIONE O.N.L.U.S. AMICI dell’IPPOTERAPIA di Pesaro, con la primaria finalita’ di
dare valore e significato non solo tecnico operativo ma anche referenziale a un contesto gia’
esistente e operativo dal 1994, ma con carattere di precarieta’ e bisognoso di un’identita’.
L’Associazione ha carattere di Non Profit, e’ aggregata all’A.N.I.R.E. (Associazione Nazionale
Italiana Riabilitazione Equestre), ha sede in Pesaro, strada Fontesecco 103, ed e’ ospitata presso le
strutture del Circolo Ippico Zorigo.
Si e’ costituita e vive grazie unicamente a sostegni privati, principalmente manifesti con l’impegno
di imprenditori e aziende del territorio sensibili al progetto; i costi gestionali sono coperti per il 30
% dai contributi delle famiglie degli utenti e per il restante 70% dal contributo adozionale di 16
imprenditori; gli investimenti progettuali sono invece interamente garantiti dall’impegno di 8
aziende.
Ha figure professionali di riferimento operanti nei diversi settori di interesse: la parte organizzativa
e gestionale e’ seguita da uno studio notarile, legale e commerciale; quella promozionale da uno
studio pubblicitario e di consulenza del lavoro; quella strutturale da uno studio di ingegneria e di
architettura. Il settore programmatico e operativo coinvolge figure professionali di tipo medico e
paramedico (pediatra, neuropsichiatria infantile, psicologo,fisioterapista, veterinario),coordinate
dalla figura primaria di riferimento, il
responsabile tecnico della riabilitazione equestre
(psicomotricista ANIRE).
Ha lo scopo di far conoscere l’ippoterapia e i suoi benefici,sottolineandone il ruolo fondamentale
nel processo di normalizzazione del soggetto portatore di diversita’,ha la finalita’ di potenziare il
servizio nei suoi aspetti qualitativi e quantitativi,di promuovere il confronto e la ricerca.
Realizza progetti terapeutici, articolati in piani di lavoro individuali, programmati da personale
medico, paramedico, fisioterapico e ippoterapico specializzato (terapisti della psicomotricita’ a
cavallo ANIRE),;applica metodiche ludico sportive considerandosi il gioco come necessita’
affettiva ,intellettiva e motoria di tutta la vita, spinta motivante all’apprendimento di abiliita’
motorie,psicomotorie,mentali e di adattamento sociale – il piacere di agire – interagire – esplorare
– elaborare – memorizzare – comunicare – il piacere di VIVERE .
I piani di lavoro vengono concertati tra il personale medico/paramedico inviante e i tecnici
specialisti e tengono conto delle problematiche del singolo soggetto nonche’ delle sue capacita’
reattive a tale trattamento.
Si effettuano generalmente 2 sedute settimanali a paziente, della durata di un’ora ciascuna, di cui
mezz’ora di lavoro a cavallo e mezz’ora di lavoro a terra o a tavolino; tale ultimo lavoro e’ seguito
da psicologi ed educatori professionisti.
Verifiche periodiche ricorrono con il paziente, la famiglia o la struttura di riferimento (nel caso di
pazienti provenienti da strutture sanitarie assistenziali o terapeutiche) e con il personale medico e
paramedico di riferimento per valutare i risultati e rivedere i programmi di lavoro.
Sono coinvolti operativamente 1 terapista della riabilitazione equestre ANIRE, responsabile
tecnico, 2 aiuto terapista ,1 psicologa, 2 educatrici , nonche’ un gruppo autonomo di 14 volontari
prestanti indispensabile lavoro fondamentale di supporto .
Vengono utilizzati 3 cavalli di proprieta’ dell’Associazione, frutto di donazioni, comunque
opportunamente selezionati, in base a precisi necessari requisiti somatici e caratteriali,e addestrati.
La media di pazienti /anno in trattamento e’ di circa 35 soggetti , portatori delle seguenti principali
problematiche: autismo 5, ritardo mentale 6 , sindrome di Down 2, tetraparesi spastica 7, disturbi
generalizzati dello sviluppo 3,non vedente 1, non udente 1, disturbo motorio 2, riabilitazione
psichiatrica 4, quadri misti 4.
Oltre all’attivita’ specifica di servizio si sono attuati progetti con scuole medie ed elementari ,
avvicinando i giovani alunni alla “Alterita’ “ animale e alla “Diversita’”, tramite compagni di classe
degli stessi portatori di difficolta’ svolgenti regolarmente trattamenti ippoterapeutici.
L’Associazione inoltre porta avanti progetti di organizzazione e formazione del personale
volontario in collaborazione con il Centro Servizi Regionale del Volontariato, supportata dalla
testimonialita’ collaborazionale di Valentino Rossi.
Inoltre,si promuovono durante l’anno incontri con altre associazioni, svolgenti la medesima
attivita’ in territori limitrofi ,per scambi esperienziali, professionali e associativi, e, in
collaborazione con la FITEEC ANTE regionale, il Comune di Cantiano, il Circolo Ippico la Badia
di Chiaserna, gli Allevatori del Cavallo del Catria e l’Associazione la Selva di Chiaserna, localita’
montane della provincia di Pesaro, si organizza annualmente una giornata di festa estiva
accompagnando gli utenti e i familiari in una passeggiata a cavallo sul Monte Catria; a tale incontro
hanno partecipato finora oltre 100 persone e 20 cavalli,coordinati dal personale tecnico, per
permettere il trascorrersi di un momento di comunione e di festa al di fuori del contesto terapeutico
vero e proprio.
L’Associazione ha in attuazione un progetto di messa in opera di un maneggio coperto da adibirsi
esclusivamente a tale attivita’ al fine di permettere una continuita’ operativa di servizio per tutto il
periodo dell’anno solare.
Le previsioni progettuali sono quelle di arrivare a trattare una media di circa 50 pazienti / anno,
con programmi di ricerca derivanti principalmente dal perfezionamento dei protocolli di verifica
effettuati in concertazione multidisciplinare.
Cio’ al fine di corrispondere sempre piu’ al Bene non solo soggettivo ma anche oggettivo del
singolo fruitore e del contesto relativo, qualificando la professionalita’ di un ambito coterapeutico
che ha in se’ potenzialita’ ancora tutte da scoprire e sviluppare.
Giovanni Gaudenzi