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FORMAZIONE CONTINUA ASSISTENTI SOCIALI- ANNO 2013 Laboratori deontologici UEPE Lombardia UEPE DI BRESCIA E BERGAMO Riflessioni sul Titolo V del Codice deontologico dell’Assistente sociale PREMESSA La formazione proposta, riflessione e approfondimento del titolo V del codice deontologico dell’assistente sociale, è coincisa con quattro importanti momenti di cambiamento all’interno dell’UEPE di Brescia e Bergamo: cambio della sede operativa (da via Cefalonia a via San Francesco) cambio del dirigente cambio del responsabile dell’area di servizio sociale cambio per turnazione, degli operatori presso la sede di servizio di Bergamo Ciò ha influito sulla motivazione degli operatori che, pur avendo inizialmente aderito alla proposta formativa, di fatto, si sono resi gradualmente meno disponibili agli incontri e alla riflessione e, quindi il lavoro è stato svolto da un gruppo più ridotto. L’argomento proposto all’approfondimento dell’UEPE di Brescia e Bergamo, è parso “calarsi ad hoc” nella situazione che questo ufficio, ormai da qualche anno sta vivendo a seguito dell’apertura della sede di servizio di Bergamo. L’avvio della nuova sede ha fatto emergere e, in alcuni casi acuito, determinati aspetti quali: le difficili relazioni presenti in ufficio tra gli operatori lo scarso senso di appartenenza all’Ufficio e al gruppo la forte individualità professionale la rigidità e la scarsa adattabilità al cambiamento di alcuni operatori Detta situazione ha portato alla formazione involontaria di due macrogruppi con idee talvolta contrastanti rispetto all’organizzazione del Servizio e contrapposti a livello relazionale. Le difficoltà di comunicazione tra i colleghi hanno influito sul clima lavorativo e organizzativo, sul quale ha pesato anche la non costante presenza di una Direzione. Questa esperienza formativa sembra aver offerto un’occasione per lavorare insieme ritrovando la dimensione di gruppo, già in parte sperimentata nel percorso BEA 2012-2013, favorendo la ripresa del dialogo tra gli operatori, nonostante le difficoltà emerse. 1 Metodo di lavoro Il primo incontro, tenutosi alla presenza dei referenti del Provveditorato Regionale, della dirigente e di tutti gli assistenti sociali dell’UEPE, ci ha consentito di comprendere l’importanza del progetto formativo che ha il pregio di richiamare l’attenzione al Codice Deontologico, strumento, a volte poco conosciuto e poco utilizzato. Nei successivi incontri, il gruppo ha riflettuto sul Codice Deontologico, quale strumento che attraverso la raccolta sistematica di norme relative all’esercizio della professione, si pone come garanzia per l’utenza ma anche come guida orientativa per l’operatore, contribuendo a formare il senso di appartenenza alla comunità professionale, alla crescita della propria identità e alla gestione/condivisione delle varie responsabilità. Secondo il compito assegnato si sono riletti gli articoli 41, 42, 43 del titolo V, relativi alla responsabilità dell’assistente sociale nei confronti di colleghi ed altri professionisti raccogliendo, quindi, le prime osservazioni emerse e stabilendo una metodologia di lavoro, per la quale ogni operatore avrebbe proseguito la riflessione individualmente, utilizzando, anche, la documentazione a disposizione in rete, fornita dal PRAP, per la successiva condivisione in gruppo. Solo poche persone hanno di fatto aderito a tale proposta, portando anche dei piccoli contributi scritti che sono stati utilizzati per il lavoro in plenaria. Come già riferito, la ridotta presenza di tutti gli operatoti agli incontri programmati, non ha, comunque, interrotto il lavoro che è stato portato a conclusione da un gruppo più piccolo, ma motivato. La scelta di attuare la formazione con incontri di laboratori separatamente tra la sede centrale e la sede di servizio dell’UEPE non ha facilitato il compito che doveva, comunque, confluire in un unico prodotto. 2 Codice Deontologico, comparazione nelle varie versioni E’ sembrato interessante confrontare, il testo degli articoli assegnati, nelle tre diverse versioni del codice deontologico, per rilevare e comprendere il significato delle variazioni apportate. approvato il 23 marzo 1993 approvato il 6 aprile 2002 approvato il 17 luglio 2009 TITOLO IV La responsabilità dell’assistente sociale nei confronti di colleghi e altri professionisti TITOLO V Responsabilità dell’assistente sociale nei confronti di colleghi ed altri professionisti TITOLO V Responsabilità dell’assistente sociale nei confronti di colleghi ed altri professionisti Capo I Capo I Capo I Rapporti con i colleghi ed altri professionisti Rapporti con i colleghi ed altri professionisti Rapporti con i colleghi ed altri professionisti Art. 32 L'assistente sociale intrattiene con i Art. 41 L’assistente sociale intrattiene con Art. 41 L’assistente sociale intrattiene con i colleghi e con gli altri professionisti con i quali i colleghi e con gli altri professionisti con i colleghi e con gli altri professionisti con i collabora rapporti improntati a correttezza, quali quali lealtà e spirito di collaborazione reciproci; si correttezza, adopera per la soluzione di possibili contrasti collaborazione. L’assistente sociale si collaborazione, sostenendo in particolare i nell'interesse adopera per la soluzione di possibili colleghi e promuove un sistema di rete integrato fra gli contrasti dell’attività professionale. Si adopera per interventi. cliente e della comunità professionale. dell'utente e del cliente collabora rapporti improntati lealtà e nell’interesse spirito a di dell’utente, del collabora correttezza, la rapporti lealtà che si soluzione e improntati a spirito di trovano di all’inizio possibili contrasti nell’interesse dell’utente, del cliente e della comunità professionale. Art. 33 L'assistente sociale, che stabilisce un Art. 42 a Art. 42 L’assistente sociale che, a qualsiasi rapporto di lavoro a vario titolo con colleghi ed qualsiasi titolo, stabilisca un rapporto di titolo, stabilisca un rapporto di lavoro con organizzazioni pubbliche o private, chiede il lavoro con colleghi ed organizzazioni pubbliche o rispetto delle norme etico-deontologiche che pubbliche o private, chiede il rispetto private, si informano la professione, fornisce informazioni delle norme rispettate le norme etico-deontologiche che sulle informano la specifiche competenze e sulla L’assistente colleghi etico sociale ed che, organizzazioni deontologiche professione, che fornisce adopera ispirano la affinché vengano professione; fornisce metodologia applicata per salvaguardare il informazioni sulle specifiche competenze e informazioni sulle specifiche competenze e proprio ed altrui ambito di competenza e di sulla sulla intervento. salvaguardare il proprio ed altrui ambito di salvaguardare il proprio ed altrui ambito di competenza e di intervento. competenza e di intervento. Art. 34 In caso di grave incompetenza Art. 43 L’assistente sociale che venga a Art. 43 L’assistente sociale che venga a professionale conoscenza conoscenza professionista di un che collega possa o altro causare metodologia di applicata fatti, condizioni per o metodologia di fatti, applicata condizioni per o comportamenti di colleghi o di altri comportamenti di colleghi o di altri grave pregiudizio all'utente o al cliente, e professionisti, possano arrecare professionisti, che possano arrecare grave nell'interesse degli stessi, l'assistente sociale ha grave danno a utenti o clienti, ha danno a utenti o clienti, ha l’obbligo di l'obbligo di segnalare la situazione all'Ordine o l’obbligo segnalare Collegio professionale competente. all’Ordine che di segnalare o Collegio competente. 3 la situazione professionale la situazione all’Ordine Collegio professionale competente. o Da questa lettura comparata, si osserva che rispetto agli articoli riguardanti la responsabilità dell’assistente sociale nei confronti di colleghi e altri professionisti, non sono state inserite variazioni sostanziali nelle diverse versioni approvate. Art. 41: rispetto alla versione del 1993, il codice del 2002, introduce il concetto di comunità professionale. Ciò appare indicativo di un invito a superare l’ottica del professionista individuale per ricercare e riconoscere la dimensione dell’appartenenza ad un gruppo professionale che condivide gli stessi valori e principi e, nel quale può trovare un sostegno al proprio agire. Con la versione del 2009 che richiama anche l’importanza di sostenere i colleghi che si trovano all’inizio dell’attività lavorativa si accentua l’importanza della dimensione comunitaria, che sostiene “l’ultimo arrivato” aiutandolo nella sua crescita professionale. Art. 42: si osserva una variazione nei termini utilizzati da “chiede” il rispetto delle norme… a si “adopera” affinché vengano rispettate le norme…la diversa accezione dei termini utilizzati sembra sottendere una diversa percezione dell’atteggiamento che il singolo assistente sociale deve assumere nel richiamare al rispetto delle norme deontologiche, non come richiesta imperativa ma come parte attiva nel cambiamento dell’altro, attraverso l’aiuto alla comprensione. L’adoperarsi implica il diretto e personale coinvolgimento dell’operatore che per fare ciò deve innanzitutto riconoscere, accettare e avere piena consapevolezza delle norme etico-deontologiche della propria professione. Art.43: la versione del 2002 rispetto alla precedente sembra sgravare l’assistente sociale dalla responsabilità di “definire” l’incompetenza professionale di un collega o altro professionista, limitandola al dovere di segnalare fatti oggettivi la cui gravità sarà poi accertata dall’Ordine. Art. 41 I contenuti dell’art. 41 descrivono un ambiente lavorativo ideale che può apparire lontano dalla realtà. L’UEPE è caratterizzato dalla consistente presenza di un gruppo mono-professionale dove assume rilevanza il rapporto con i colleghi ancor prima che con gli altri professionisti. Nonostante l’assistente sociale, per definizione, dovrebbe essere un “professionista” della relazione, nella quotidianità degli uffici ci si confronta continuamente con problemi di comunicazione, in parte derivanti da aspetti organizzativi dell’Ente, che pesano sul lavoro quotidiano e che hanno ricadute negative sull’intervento professionale, e in parte derivanti da difficoltà personali. Nell’ambiente lavorativo ogni operatore si rapporta e opera con le proprie caratteristiche di personalità, la propria storia, la propria evoluzione professionale. In tale contesto anche gli eventi personali (quali malattie, lutti, tensioni familiari, etc.) possono incidere sulla quotidianità del lavoro ed è allora che il gruppo professionale può e deve sostenere il collega in difficoltà con spirito di solidarietà e collaborazione. Talvolta la sofferenza dell’operatore sembra riferirsi all’ambito lavorativo (...per un carico di lavoro avvertito come eccessivo, per frustrazioni derivanti da richieste non esaudite, per fratture relazionali, legate a “tradimenti” che sembrano aver precluso possibili legami di fiducia..), può essere legata ad un vissuto di non riconoscimento che si riversa in ambito lavorativo con 4 atteggiamenti inadeguati, a volte oppositivi, a volte rivendicativi, altre volte con veti incrociati per evitare di lasciar procedere qualcuno, agendo invidie distruttive. (cfr. Chiara Ghetti, Fatiche e sofferenze nella giustizia..). Difficilmente un setting operativo può essere scevro da emotività, intendendo per emotività quel sistema di affetti e sentimenti che afferiscono alla sfera personale e privata dell’essere. E’, pertanto, essenziale che l’operatore sappia scindere l’io professionista dall’io persona. Atteggiamento che presuppone una maturità ed una sicurezza personale tali da concedere tutto lo spazio possibile al confronto con l’altro, senza che ogni parere discordante dal proprio venga percepito come una potenziale minaccia lanciata dall’altro all’io persona. In un setting davvero professionale, ciascun professionista dovrebbe essere capace di trascendere la competizione (qui intesa come bisogno di affermazione del proprio saper fare) privilegiando il confronto (qui inteso come disponibilità personale ad apprendere qualcosa di nuovo). Nella realtà degli ultimi anni, gli UEPE della Lombardia hanno vissuto al proprio interno varie situazioni di conflittualità spesso generate da problematiche organizzative di varia natura. Ad esempio, la scelta organizzativa dell’apertura delle sedi di servizio “calata dall’alto” senza personale sufficiente e stabile ha rappresentato un elemento di spaccatura all’interno di alcuni UEPE. In alcuni casi si sono verificate dinamiche di disgregazione del gruppo professionale che hanno compromesso la collaborazione tra gli operatori. La collaborazione e l’unione tra colleghi appare, invece, fondamentale per sconfiggere le criticità, (insieme si è più forti) con un atteggiamento costruttivo. Ciò assume ancor più rilevanza in un Servizio, come il nostro, costretto a confrontarsi con i frequenti cambiamenti sociali, legislativi etc. che rendono indispensabile costruire sicurezza dell’agire professionale in un contesto di incertezza anche attraverso il dialogo con altre figure professionali sia interne al servizio sia esterne ad esso. Una esperienza positiva di dialogo interprofessionale all’interno dell’UEPE, negli ultimi anni è stata vissuta con il progetto “Mare Aperto”, che ha introdotto la figura dello psicologo, consentendo di arricchire l’attività di osservazione, per persone non detenute, offrendo un servizio più “completo e qualificato” all’utenza e alla Magistratura di Sorveglianza, nostra principale committente. Da sempre, invece, l’assistente sociale dell’UEPE, si rapporta con l’equipe multi - professionale degli istituti penitenziari nell’ambito dell’attività di osservazione e trattamento, offrendo la propria consulenza, e diventando parte attiva che concorre, con comunione d’intenti, al processo di costruzione del progetto di reinserimento della persona detenuta. E’ essenziale che ciascun operatore si impegni a comunicare, nel rispetto delle reciproche competenze, al fine di favorire il raggiungimento di obiettivi condivisi. Nella specificità dell’UEPE è fondamentale il lavoro con i professionisti del territorio che operano all’interno dei vari servizi: Ser.T., Comune, CPS, privato sociale etc.. in tale contesto, si evidenzia che la collaborazione attuata in maniera articolata e differenziata ai bisogni dell’utente, consente di superare la logica assistenzialistica e contribuisce alla promozione di un sistema di rete integrato. Lavorare insieme, collaborare con altri professionisti ci permette di conoscere il territorio, nei suoi molteplici aspetti, e ci aiuta a porre l’attenzione all’integrazione delle risorse. Ciò facilita i processi di scambio e, attraverso la relazione professionale, insieme si riesce a costruire un progetto rispondente al bisogno dell’utente e adeguato al tipo di intervento richiesto e avviato. 5 Collaborare con gli altri vuol dire anche creare un interscambio positivo attraverso l’impegno ad approfondire la conoscenza reciproca e ad aggiornarsi sui continui cambiamenti che ci riguardano per costruire un terreno di incontro-confronto tra le varie competenze, per comprendersi e meglio orientare e finalizzare il lavoro comune. La rete, infatti, non solo migliora il lavoro sociale, ma aiuta l’operatore a non “cadere” nel rischio di burn-out e di insoddisfazione lavorativa. Nell’interesse dell’utenza è opportuno creare e favorire contesti di dialogo e di confronto uscendo dall’autoreferenzialità. Ciò comporta la capacità e la disponibilità a lasciare spazio all’altro professionista valorizzandone l’apporto anche quando il confronto significa “rivedere le proprie posizioni”. Merita una citazione la recente esperienza del progetto “MASTER”, che si è avvalso della collaborazione di assistenti sociali, liberi professionisti, chiamati a concorrere agli obiettivi del Servizio pur senza avere un rapporto di dipendenza. Di fatto ci siamo confrontati con questi colleghi provenienti da esperienze lavorative presso altri servizi territoriali, ben motivate ad imparare sul campo modalità di intervento all’interno di un settore così specifico come il nostro. L’esperienza è stata arricchente come, d’altro canto, avviene ogni qualvolta si inseriscono nuove forze in un sistema lavorativo. Nei nostri Servizi l’arrivo di nuovi assistenti sociali, a seguito di concorso o come anzidetto assunti a progetto, è sempre stato oggetto di attenzione da parte dell’Ente che ha sempre garantito un adeguato percorso formativo che accompagnasse l’inserimento dei nuovi operatori, attraverso corsi organizzati a livello nazionale o regionale. Ciò nasce dalla consapevolezza della particolarità del nostro settore lavorativo che implica una conoscenza degli aspetti legislativi ad esso correlati e un agire professionale in sintonia con il mandato istituzionale. E’ stato, inoltre, sempre previsto nel singolo Servizio l’affiancamento del “nuovo giunto” ad un operatore “anziano” per un supporto nella fase di avvio del lavoro. Nel 2002, a seguito dell’assunzione di un consistente numero di assistenti sociali, fu definito in sede ministeriale il progetto di formazione “COACH”, attuato a livello regionale, che è stato percepito dagli interessati come un valido punto di partenza per comprendere le specificità del lavoro e per sentirsi accolti. Dal punto di vista del gruppo “anziani” l’incontro con i neo assunti, spesso portatori di esperienze lavorative in altri ambiti, ha consentito un arricchimento e uno scambio proficuo. Si osserva d’altra parte, che da un decennio gli UEPE non hanno più inserimenti di nuovo personale stabile, attraverso procedure concorsuali, e si comincia a percepire la mancanza della linfa vitale apportata dal ricambio generazionale. La disponibilità ad inserire tirocinanti nel Servizio, potrebbe ovviare a detta situazione, fornendo, comunque, la possibilità di un confronto aggiornato con la professione, cogliendone lo stimolo alla crescita che ciò offre. Nell’UEPE di Brescia, tale aspetto negli ultimi tempi è stato disatteso per scelte organizzative della Direzione. Permane, invece, diffusa tale prassi di collaborazione negli UEPE della Regione. Essere “supervisore di tirocinio” vuol dire entrare in contatto con una realtà organizzativa diversa dalla propria e con uno “studente” che sarà, in un prossimo futuro, un collega assistente sociale. 6 Nello svolgere questo ruolo si percepisce molto forte il senso di responsabilità nel dover trasmettere le competenze professionali e le abilità lavorative, fornendo, contemporaneamente, allo studente gli strumenti per trovare la giusta coniugazione dei concetti di responsabilità e dei principi deontologici della professione. L’esperienza di supervisore mette l’assistente sociale in contatto diretto con una realtà “universitaria” sempre aggiornata e contribuisce a promuovere la conoscenza della propria organizzazione lavorativa. La collaborazione con gli Atenei dovrebbe essere continua e definita sulla base di reciproci accordi, come già avviene in molti UEPE che hanno stipulato apposite convenzioni per l’affiancamento dei tirocinanti. Ciò potrebbe aprire la strada ad ulteriori e proficue collaborazioni con l’Università per momenti di formazione o aggiornamento a favore degli operatori degli UEPE. A proposito di affiancamento dell’operatore giovane, si potrebbe cominciare anche a pensare al protrarsi della vita lavorativa che comporterà, nei prossimi anni, un invecchiamento degli uffici che vedranno una prevalenza di operatori anziani con tutte le problematiche (di salute, di stanchezza, di minore tenuta dei ritmi lavorativi richiesti, di burn out, etc..) che ciò comporta. Forse potrebbe essere utile prevedere una forma di “accompagnamento” non solo del neo assunto, ma anche del dipendente “d’annata”. E’ responsabilità dell’assistente sociale adoperarsi per sconfiggere ogni possibile contrasto nell’interesse dell’utente e della comunità professionale. L’esperienza ci insegna come alcune situazioni espongano maggiormente al verificarsi di problematiche che devono essere gestite con professionalità. Per esempio se l’apertura delle sedi di servizio ha risposto all’esigenza di una maggiore presenza territoriale del servizio, il turn over del personale ha, invece, comportato disagio per l’utenza, costretta a ripetere la propria storia, le proprie emozioni, i propri sentimenti, e disagi per i servizi con cui ci si confronta, costretti a ristabilire e rimodulare la collaborazione con il nuovo operatore di riferimento. Anche se a volte i sentimenti di frustrazione e impotenza prevalgono nell’operatore che quotidianamente vive queste difficoltà, il riconoscimento della centralità dell’utente e l’identificazione in una comunità professionale la cui immagine deve essere tutelata, può aiutare a non cadere nella demotivazione e ad impegnarsi per la ricerca di soluzioni e strategie che rendano meno difficoltoso il passaggio di incarico sia per gli operatori sia per gli utenti. Art. 42 Il rapporto con il territorio e gli enti, pubblici o privati, è considerato parte essenziale dell’attività degli UEPE che da sempre operano in un’ottica di interscambio tra la realtà “chiusa” degli istituti penitenziari e l’ambiente sociale esterno ed inoltre, nell’affidamento in prova al servizio sociale o nelle altre misure alternative, si assume il compito di accompagnare la persona nel percorso di reinserimento nel contesto di vita. Ciò implica la necessità di una costante e intensa collaborazione con i servizi territoriali, aspetto privilegiato anche negli obiettivi di miglioramento proposti per l’anno corrente. 7 L’assistente sociale, per agevolare e facilitare questo scambio, deve far suoi i principi, le norme e i valori che ispirano la professione così da trasmetterli con chiarezza agli operatori delle diverse organizzazioni con cui entra in contatto. Parimenti appare importante anche la conoscenza “dell’altro” nel suo sistema organizzativo e valoriale. E’dovere dell’assistente sociale diffondere una cultura della solidarietà e della partecipazione sociale, sviluppando negli utenti la conoscenza e l’esercizio dei propri diritti e doveri, favorendo in loro percorsi di crescita mediante lo sviluppo di sinergie con gli altri servizi. Può capitare, come già avvenuto, che nell’incontro con altre realtà possano sorgere dei dubbi circa la correttezza degli operatori o che si possano rilevare chiari segnali di non rispetto delle regole etiche-deontologiche nei confronti dell’utente. E’ dovere, quindi, in questi casi, che l’assistente sociale dell’UEPE si adoperi per sollecitare nell’altro operatore una riflessione critica su quanto rilevato affinché attui un cambiamento, in caso contrario segnalerà la situazione alle Autorità competenti. Al riguardo, si ricorda un’esperienza diretta quando, a seguito di una segnalazione dell’Uepe, l’allora Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Brescia, Dott. Zappa, intervenne richiamando formalmente una comunità al rispetto delle regole etico–deontologiche che erano state violate in alcune situazioni. Un’altra riflessione emerge rispetto alla collaborazione con associazioni pubbliche, private e del no profit, accentuatasi anche con l’incremento dell’applicazione del lavoro di pubblica utilità da svolgersi presso enti convenzionati con i Tribunali che talvolta suscita interrogativi sulla vera utilità “sociale” del lavoro proposto. L’assistente sociale, investito in funzioni di controllo dalla Magistratura, deve informare i soggetti interessati delle implicazioni derivanti da questa specifica attività che deve esercitare con imparzialità di giudizio. Nel nostro settore è importante incentivare la consapevolezza dell’utente circa i propri diritti e doveri per renderlo partecipe alla definizione del progetto di aiuto e attore del proprio processo di cambiamento. (cfr. art.20 del codice deontologico) L’operatore dell’UEPE nel suo mandato istituzionale di aiuto e controllo percepisce l’onere di una maggiore attenzione nei riguardi dell’operato degli altri servizi con cui collabora nella gestione dei casi. In considerazione della non volontarietà del rapporto instaurato con l’utente che di fatto “non sceglie” il Servizio ma “è indotto” ad avvalersene, è importante che all’inizio di ogni relazione con le persone interessate o con gli altri professionisti, venga chiarito il nostro ruolo e data ogni informazione circa le modalità con le quali si interviene e con cui si collabora con la Magistratura. La persona deve essere altresì informata delle specifiche competenze del Servizio e della metodologia applicata chiarendo bene l’ambito di competenza e di intervento, rinviando dove necessario ad altri servizi. E’ doveroso che in caso di propri errori o omissioni, l’assistente sociale si adoperi per trovare un rimedio informando, comunque, la persona. 8 Art. 43 Questo articolo impone all’assistente sociale l’obbligo di segnalare all’Ordine o al Collegio professionale competente fatti o comportamenti di cui venga a conoscenza che possano arrecare grave danno all’utente. L’argomento è molto complesso e delicato ed implica la necessità di chiarirsi innanzitutto rispetto al significato che da attribuire ai termini “venire a conoscenza” e “grave danno”. Ci si interroga su come si possano rilevare le scorrettezze (direttamente, per sentito dire, riferito da utente, riferito da un collega o da altro operatore?...) e che peso dare ai comportamenti rilevati. Ad esempio una inadempienza che potrebbe avere ripercussioni negative sull’utente ( ritardo nell’invio di relazioni, mancato inoltro di istanze,m etc..) deve essere valutata all’interno dello specifico contesto lavorativo dove incidono inevitabilmente fattori quali, il carico di lavoro, carenza di personale o di risorse, e problemi personali dell’operatore. Inoltre, il concetto “di grave danno” non può essere definito in astratto o lasciato alla valutazione personale del singolo operatore ma va condiviso con il gruppo professionale. La riflessione su tale tematica può suscitare sentimenti contrastanti negli operatori che da un lato concordano sulla necessità di contribuire alla tutela dell’utente e alla salvaguardia dell’etica professionale, dall’altro riconoscono la difficoltà di mettere in discussione l’operato di un collega o di un altro professionista secondo “un punto di vista soggettivo. Difatti se non è difficile “segnalare” all’Ordine o ad altro collegio professionale fatti che si configurano quali possibili reati, penalmente perseguibili, (es. chiedere denaro all’utente in cambio di una valutazione positiva), più difficile è stabilire il “grave danno” quando si tratta di comportamenti o atteggiamenti afferenti la sfera della relazione interpersonale con l’utente ( es. utilizzo di espressioni razziste, toni di voce eccessivi o provocatori, instaurare rapporti intimi/affettivi …). Può aiutare oltre che all’interiorizzazione dei principi etici e deontologici della professione dell’assistente sociale anche una generica conoscenza dei codici delle altre professioni, anche se va rilevato che i professionisti del sociale condividono lo stesso sistema valoriale basato sulla centralità della persona. Non si può, inoltre, prescindere dalla conoscenza dei “diritti e doveri” del pubblico dipendente. Si rileva tuttavia che nel nostro Servizio la strutturazione in forma gerarchica consente al singolo di valutare eventuali situazioni “dubbie”, ricorrendo al confronto con il responsabile d’Area o con il Direttore. Ciò consente di condividere la scelta delle eventuali azioni successive che non necessariamente devono sfociare in una segnalazione all’Ordine o altro collegio professionale. A volte, infatti, alcuni problemi si possono risolvere promuovendo un intervento di dialogo e confronto tra gli operatori. 9