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Successioni
Successione universale a causa di morte (mortis causa)
La disciplina della successione ereditaria riguarda il problema della sorte dei rapporti giuridici,
soprattutto di quelli patrimoniali facenti capo ad una persona sui iuris. La persona che muore si
chiama ereditando o colui della cui eredità si tratta (is de cuius hereditate agitur abbreviato in de
cuius); la persona che succede si chiama erede (heres). L’erede subentra globalmente nella
posizione giuridica del de cuius, diventando titolare dei rapporti trasmissibili a causa di morte
(patrimonio e crediti e debiti; non sono trasmissibili le obbligazioni da delitto sia civili che pretorie;
tra i diritti reali è trasmissibile la proprietà e le servitù, non trasmissibili gli altri diritti reali di
godimento; è trasmissibile il diritto reale di pegno e la superficie).
La successione ereditaria è una successione universale nel senso che avviene per l’intero patrimonio
ereditario o per una quota nel caso di più eredi.
Definizione di successione universale: subentrare nell’interezza dei rapporti giuridici patrimoniali
che furono di un altro soggetto.
Da parte dei giuristi romani accanto alla successione universale a causa di morte viene riconosciuto
un tipo di successione universale tra vivi. La successione tra vivi avviene in alcuni casi: per il
compratore dei beni del fallito (bonorum venditio); per il pater che ha arrogato un altro pater
(adrogatio); in caso di matrimonio cum manu con una donna sui iuris.
La successione a causa di morte si verifica solo in quanto spetti a qualcuno il titolo di erede heres e
questo titolo può essere conferito dall’ordinamento (antico diritto consuetudinario e 12 Tavole)
oppure dal testamento. Nelle classi abbienti romane prevale la tendenza a fare il testamento.
Eredità pretoria (bonorum possessio)
L’eredità pretoria è una novità del diritto onorario o pretorio dovuta alla collaborazione tra giuristi
ed Editto del pretore per offrire una tutela a casi non tutelati prima. Sorge nella seconda metà del II
secolo a.C. e viene inserita nell’Editto del pretore urbano e concessa su richiesta per adeguare il
diritto ereditario alle nuove necessità della società o correggere le iniquità del diritto civile. Non
potendo utilizzare liberamente i concetti di eredità e di erede, si sono creati concetti paralleli, quelli
di possesso dei beni (bonorum possessio) e possessore dei beni (bonorum possessor).
La bonorum possessio è l’immissione ad opera del pretore di un soggetto nel patrimonio del defunto
e consiste nel possesso delle cose corporali, protetto inizialmente dall’interdetto “quorum bonorum”
e poi da una specifica azione fittizia (finzione che sia diventato erede). Il possesso porta
all’usucapione. Si riconosce che il possessore (bonorum possessor) che ha avuto la definitiva
disponibilità del patrimonio ereditario (b. p, cum re) sia protetto anche nei confronti dell’erede
civile potendo opporre un’eccezione di dolo alla richiesta dell’eredità avanzata da costui. La
concessione sorge dal processo: in una lite sulla titolarità dell’eredità l’iniziativa deve essere presa
dal non possessore ed il pretore nella fase in iure qualificava uno dei due contendenti come
possessore; nella fase apud iudicem il giudice confermava o meno la scelta del pretore, valutate le
prove addotte dalle parti. In seguito il possesso dei beni può venire richiesto anche al di fuori del
processo da chi portava ragioni persuasive che inducevano il pretore a concederlo. Il bonorum
possessor però doveva cedere il possesso di fronte a chi provava di essere erede secondo il diritto
civile, a meno che non si fosse completata l’usucapione (bonorum possessio sine re, cioè senza il
patrimonio). Verso la fine della Repubblica si ammette che il possesso dei beni ereditari possa
essere accordato quando al documento in cui il richiedente è istituito erede manchino alcuni
requisiti richiesti dallo ius civile; quando il richiedente è il filius emancipato, o un parente in linea
femminile o la moglie superstite. Il possesso dei beni ereditari tende a trasformarsi in bonorum
possessio cum re, con il patrimonio: se si delinea un conflitto con l’erede è costui che deve cedere
rispetto al bonorum possessor.
Può essere di tre tipi: senza il testamento (sine tabulis), contro il testamento (contra tabulas);
secondo il testamento o in conformità al t. (secundum tabulis).
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Nell’età del tardo impero, in particolare sotto Giustiniano hereditas e bonorum possessio si fondono
in un unico istituto.
Chiamata ereditaria
Alla successione nel patrimonio di un defunto si era “chiamati”. Il verbo usato, vocare, ha
conservato a tutt’oggi il suo significato tecnico.
La chiamata era regolata dalla legge delle 12 Tavole (a cui si equiparavano i senatoconsulti e le
costituzioni imperiali) oppure era stabilita in un testamento. Le fonti contrappongono una eredità
testamentaria quando la chiamata era fatta attraverso il testamento, ad una eredità intestata in tutti
gli altri casi. Oggi si parla di una successione testamentaria (o secondo il testamento) e successione
legittima o ab intestato, quando manca il testamento.
Già al tempo delle XII Tavole esistevano sia la vocazione legittima, sia la testamentaria. Principi
che dall’epoca arcaica hanno regolato la relazione tra le due vocazioni: incompatibilità tra le due
vocazioni, che si traduceva nella massima “nessuno può morire in parte testato e in parte intestato”,
cioè se un testamento conteneva un’istituzione di erede per una sola parte del patrimonio, l’altra
parte non sarebbe andata agli eredi legittimi, ma l’istituito avrebbe preso tutta l’eredità; se un erede
rinunciava alla sua parte, questa andava ad accrescere quelle dei coeredi (ius adcrescendi, diritto di
accrescimento); priorità della vocazione testamentaria su quella legittima: si poteva far luogo alla
successione legittima solo quando fosse esclusa la possibilità della successione testamentaria.
Il testamento
Il più antico tipo di testamento (d’ora in poi t.) è il t. calatis comitiis, l’annuncio davanti ai comizi
curiati del nome dell’erede, che spesso avveniva prima di partire per la guerra o direttamente prima
della battaglia (t. in procinctu).
In un secondo momento, tramite l’interpretazione dei pontefici, si elabora un atto per bronzo e
bilancia, la mancipatio familiae, cioè la mancipatio del patrimonio dell’ereditando a persona di
fiducia (fiduciario) con l’accordo che essa avesse effetto dopo la morte. Con questo atto era
possibile lasciare singoli beni a persone diverse dall’erede (legati). Nel II secolo si afferma un
complesso atto giuridico che rappresenta uno sviluppo ulteriore e porta il nome di t. per bronzo e
bilancia (t. per aes et libram) perché si svolge nelle modalità previste dagli atti per bronzo e
bilancia, ma in realtà l’atto di vendita è solo una finzione. In un primo momento era solo orale: si
fingeva la vendita a fiduciario con la dichiarazione del nome/i dell’erede/eredi e delle altre
disposizioni; in un secondo momento si esibisce un documento scritto, le tavolette cerate, che i
testimoni, in tutto 7, sigillavano con i sigilli personali. Oltre alla istituzione di uno o più eredi
potevano essere inserite disederazioni, legati, nomine di tutori, manumissioni. Tale tipo di
testamento si mantenne a lungo fino all’età del tardo impero, durante la quale subì varie
trasformazioni fino all’età di Giustiniano, durante la quale prevalse l’atto redatto da un notaio di
professione davanti a testimoni.
Dalle formalità del testamento vengono esonerati i militari che, prima della battaglia, possono
esprimere le ultime volontà in qualsiasi modo (chiamando a sé delle persone; per scritto; con parole
scritte col sangue sul fodero della spada o sullo scudo). Tale privilegio si mantiene per un anno
dopo il congedo.
Istituzione di erede e disederazioni
Indicazioni di eredi: devono essere chiare, non è necessario il nome, ma una designazione
inequivocabile; posso essere figli sui o estranei e postumi (che nasceranno dopo la morte del
testatore), in seguito anche città e collegi. Possono essere istituiti anche gli schiavi, ma in
contemporanea con la loro manumissione, più tardi sempre presunta, anche se non espressa.
Non si possono passare sotto silenzio (praeterire) determinate persone, pena l’invalidità del t. (t.
nullo): i discendenti diretti, i nati che diventano sui iuris con morte dell’ereditando, devono o essere
istituiti o diseredati, nominativamente se figli maschi, in massa per tutti gli altri; anche i postumi. Il
pretore nell’Editto introduce l’obbligo anche per i figli emancipati. Giustiniano abolisce le
differenze tra maschi e femmine per il principio della parità tra i sessi. La diseredazione produceva
anche l’esclusione della eredità legittima.
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Contro le diseredazioni ingiustificate alla fine dell’età repubblicana si afferma il lamento per il
testamento non rispettoso dei rapporti di parentela (querela inofficiosi testamenti) accolto davanti a
tribunale dei centumviri.
Capacità di fare testamento e di ricevere (t. factio activa/passiva)
E’ capace la persona sui iuris, cittadino, pubere e maschio (pater familias). Sono incapaci impuberi,
furiosi, prodighi. La donna sui iuris può fare il testamento solo tramite il tutore oppure se ha
partorito tre figli; più tardi nel tardo impero ottiene la piena capacità. Esclusi dalla capacità gli
schiavi e i liberi sottoposti al potere altrui (figli/e). Ai figli militari è riconosciuto a partire da
Augusto il peculio castrense, di cui possono disporre liberamente; più tardi anche il peculio quasi
castrense (riconosciuto ai funzionari).
Sono capaci di ricevere per testamento: cittadini/e sui iuris o non liberi sottoposti ad un pater
familias cittadino (schiavi).
Sono incapaci di ricevere: gli stranieri, gli apolidi condannati a deportazione; sono previsti limiti a
celibi e sposati senza figli (orbi) in base alla lex Iulia et Papia; le donne non possono essere istituite
eredi per patrimoni superiori a 100.000 assi (lex Voconia 149 a.C.).
Successione intestata (ab intestato).
Se non era stato fatto un testamento, se era stato fatto un testamento invalido, se il testamento,
sebbene valido, si fosse successivamente invalidato (ad es. per la nascita di un postumo non
nominato), o se l’erede/eredi non volevano o non potevano accettare, si apriva la cosiddetta
successione intestata o legittima o civilistica (ab intestato), regolata dalle 12 Tavole (ma di origine
consuetudinaria) che stabiliva quali fossero gli eredi e il loro ordine di chiamata.
Gli eredi suoi (sui heredes)
Gli eredi suoi (sui heredes) costituivano il primo ordine di successibili, già contemplati dalla più
antica disciplina civilistica a noi nota, quella delle XII Tavole. Tab. 5,4: “se qualcuno muore
intestato e non ha un erede suo, il patrimonio sia attribuito all’agnato prossimo”.
Se uno moriva intestato, venivano anzitutto chiamate a succedergli quelle persone che erano in
potestà dell’ereditando: figli sia già nati che concepiti*, adottivi; figlie; mogli in manu; nipoti (con
relative mogli in manu) e pronipoti, però a condizione che, al momento della morte, il loro padre
avesse cessato – perché premorto o per emancipazione – di essere in potestà dell’ereditando.
*Erano eredi suoi anche i postumi (i figli non ancora nati alla morte del padre) che, se fossero nati
quando il loro ascendente era ancora in vita, sarebbero stati nella di lui potestà.
L’agnato prossimo.
La legge delle XII Tavole, in mancanza di eredi suoi, chiamava gli agnati. Sono definiti agnati
coloro che erano legati attraverso parenti di sesso maschile quasi generati da un comune padre. In
altre parole, i discendenti da un capostipite comune maschio, attraverso maschi. Sono agnati i
fratelli e le sorelle; i fratelli e le sorelle del padre; gli zii e le zie del padre, fratelli e sorelle dell’avo,
padre del padre; i figli dei fratelli del padre. I parenti da parte di madre, o per linea femminile, erano
esclusi. L’interpretazione dei giuristi ha poi escluso che si chiamassero all’eredità le agnate oltre il
secondo grado.
Gli agnati, a differenza degli eredi suoi, erano eredi volontari, cioè acquistavano l’eredità solo se lo
volessero e con apposito atto. Gli agnati non erano chiamati tutti insieme bensì quello (o quelli, se
di uno stesso grado ce n’era più d’uno) di grado più vicino (agnatus proximus). Se più erano gli
agnati di uno stesso grado (ad es. tre fratelli del defunto) l’eredità si divideva per capi. Nell’età più
risalente, secondo il diritto civile, era vietata la così detta successione dei gradi (successio
graduum), nel senso che, se l’agnato prossimo, chiamato all’eredità, la rifiutava o moriva prima di
accettarla, questa non solo non si trasmetteva ai suoi eredi. ma non si trasmetteva neppure
all’agnato di grado ulteriore. Fra agnati dello stesso grado le quote ereditarie venivano suddivise in
base al numero di coloro che accettavano l’eredità.
L’eredità dei liberti va ai figli sui, e se non ci sono discendenti diretti va al patrono (che prende il
posto degli agnati).
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I gentili (gens).
In mancanza di agnati, le XII Tavole stabilivano che succedessero tutti gli appartenenti alla gens, i
gentili. I gentili costituivano un gruppo parentale più ampio rispetto alla famiglia agnatizia; parenti,
anch’essi in linea maschile, ma che avevano in comune solo il nome della gens. Nel corso dell’età
repubblicana la categoria scompare.
Il sistema successorio del pretore: bonorum possessio sine tabulis
Per ragioni di equità il pretore inizia a tutelare le situazioni che non hanno trovato tutela nello ius
civile: l’esclusione dei figli emancipati dalla successione paterna; il rapporto patrimoniale tra marito
e moglie e quello tra madri e figli non tutelato dal matrimonio sine manu in caso di morte.
In caso di eredità intestata sono previste dall’Editto del pretore le seguenti categorie di aventi diritto
a richiedere il possesso dei beni ereditari:
- liberi
- legitimi
- cognati
- vir et uxor
Nella categoria dei liberi sono compresi sia i sui che i figli che sono usciti dalla potestà
dell’ereditando come emancipati o dati in adozione, purché non facciano parte di un’altra famiglia
alla morte del pater. Ogni figlio emancipato se voleva chiedere il possesso dei beni del pater con i
fratelli doveva spartire con loro ogni acquisto fatto in proprio.
Riforme di Giustiniano: ammise sempre i figli dati in adozione alla successione del pater morto
intestato; i nipoti di ambo i sessi avevano la precedenza sui collaterali.
Nella categoria dei legitimi erano chiamati gli agnati secondo le regole dello ius civile.
Il termine cognati indica i parenti in linea femminile, ma in questa categoria sono ammessi i parenti
di sangue sia in linea maschile che femminile fino al sesto grado; inoltre gli ex agnati usciti dalla
famiglia per emancipazione. Gli agnati ammessi sono quelli di grado ulteriore impediti a chiedere la
bonorum possessio per i legitimi dal fatto che l’agnato prossimo aveva rifiutato. Il divieto della
successione per gradi (successio graduum) non c’è per i cognati e la bonorum possessio spettava al
cognato prossimo, che poteva essere anche un agnato.
In epoca tarda si ammise a succedere come cognati i discendenti che fossero stati dati in adozione; i
nipoti ex filia (i figli o le figlie di una figlia), che erano esclusi dalla successione dell’avo materno; i
figli nati fuori dal matrimonio; i fratelli vulgo quaesiti, che, non avendo un padre, non erano legati a
nessuno da rapporto agnatizio, ma erano cognati rispetto alla madre e anche tra di loro.
In mancanza di agnati e cognati subentra il coniuge superstite, vir et uxor.
Successione madri e figli
Nel II secolo d.C. due senatoconsulti introdussero importanti riforme in materia di successione ab
intestato che riguardano le donne sposate sine manu in relazione ai loro figli (è solo parente
naturale). Si tratta anzitutto del senatoconsulto Tertulliano emanato nell’età di Adriano per
disciplinare più equamente la successione della madre ai figli ammettendo che essa possa succedere
ai figli tra i cognati, quindi preceduta dai liberi (i discendenti in potestà o emancipati) e dagli agnati
del figlio defunto. La regola era però riservata alla sola madre che avesse partorito almeno tre figli
se ingenua e quattro se libertina (ius liberorum).
Giustiniano abolisce l’iniquo requisito dello ius liberorum e andò ancora oltre facendo concorrere la
madre anche con i fratelli del figlio defunto e disciplinando in modo più favorevole il concorso con
le sorelle. Confermò infine l’applicazione del Tertulliano a quella madre alla quale fosse morto un
un figlio non legittimo (vulgo quaesitus).
Il senatoconsulto Orfiziano, emanato nell’età di Marco Aurelio (178 d. C.), regolò la successione
dei figli nei confronti della madre. Stabilì che i figli, se la madre moriva intestata, venissero
chiamati per primi, fossero cioè preferiti anche ai fratelli ed altri agnati della donna. La disciplina si
applicò anche se i figli non erano legittimi (vulgo quaesiti).
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L’acquisto dell’eredità
Gli eredi si distinguono in eredi sui e necessari, eredi necessari e eredi volontari a seconda degli
effetti della chiamata.
Gli eredi sui e necessari sono i discendenti diretti, figli/e nipoti, donne in manu, in potestà al
momento della morte. essi acquistano immediatamente l’eredità senza che sia fatta alcuna
dichiarazione di volontà da parte loro. Non avevano la facoltà di ripudiare l’eredità, ma nel tempo
viene concesso la possibilità di dichiarare di volersi astenere dall’eredità (beneficium abstinendi).
Gli eredi necessari sono gli schiavi che diventano liberi al momento dell’apertura del t. anche se
non espressamente manomessi. Spesso sono indicati come eredi se l’eredità è fortemente passiva.
Viene poi introdotto il beneficio di separazione, che consente di separare il patrimonio dell’ex
schiavo da quello ereditato.
Gli altri tipi di eredi, quelli volontari, diventavano tali con l’accettazione dell’offerta dell’eredità.
Modi accettazione dell’eredità per gli eredi volontari: cretio, pronuncia solenne di una formula,
talvolta prevista dal testatore con la fissazione di un termine. In alternativa, e se la cretio non era
imposta dal testamento, la persona poteva comportarsi da erede godendo dei beni ereditari (pro
herede gestio). Più tardi subentra l’accettazione non solenne tramite una dichiarazione (aditio).
Le disposizioni a titolo particolare
Definizione di successione particolare: subentrare in un bene determinato, in un rapporto giuridico
determinato.
Legati
Si dice legato un lascito previsto nel testamento di singole parti del patrimonio sottratte al
patrimonio e attribuite ad una persona designata (legatario). Ulpiano lo definisce come “ciò che si
lascia in forma imperativa e nel testamento”. Si perfeziona solo quando l’erede abbia accettato
l’eredità.
Si conoscono diversi tipi di legato. Legato per rivendicazione (per vindicationem): “do, lego a
Tizio il servo Stico”. Era tale da costituire, con l’adizione dell’eredità da parte dell’erede, il diritto
sulla cosa in capo al legatario: costui diventava automaticamente proprietario. Egli aveva a
disposizione la rei vindicatio per esigere il bene dall’erede (actio in rem). Oggetto di questo tipo di
legato potevano essere le sole cose del testatore le quali, tranne le cose fungibili, dovevano essergli
appartenute al momento della confezione del testamento e al momento della morte. Altrimenti il
legato era inefficace (legatum inutile). Una riforma introdotta con un Sc. dell’età di Nerone
disponeva che, se un legato presentava delle parole improprie rispetto al suo tipo, non fosse inutile,
ma valesse come legato per obbligazione.
Legato per obbligazione a carico dell’erede (per damnationem): “il mio erede sia obbligato a dare
il servo Stico”. Creava un obbligo in capo all’erede di dare una cosa al legatario. Con l’acquisto
dell’eredità, la cosa diventava dell’erede, salvo l’obbligo di trasmetterla con idoneo atto di
trasferimento al legatario. Da questo tipo di legato nasceva per il legatario un credito nei confronti
dell’erede, credito che egli poteva esigere con un’actio in personam (actio ex testamento). Questo
tipo di legato poteva avere ad oggetto anche una cosa non del testatore ma dell’erede o di un terzo.
In quest’ultimo caso l’erede se la doveva procurare e, se non ci riusciva, era tenuto a darne al
legatario il corrispettivo pecuniario.
Legato per obbligazione di permettere (sinendi modo): “il mio erede sia obbligato a permettere
che L. Tizio prenda e abbia per sé il servo Stico”. Il testatore creava un obbligo in capo all’erede di
lasciare che il legatario prendesse una cosa del testatore o dell’erede stesso. Il mancato
adempimento era tutelato da un’actio in personam (actio ex testamento).
Legato per precapienza (per praeceptionem): “L. Tizio prenda prima il servo Stico, diritto di
prendere prima”. Consentiva al legatario di “prendere prima”, di prelevare una cosa. E’ stato molto
discusso tra i giuristi se questo tipo di legato fosse a favore solo dell’erede o anche di un estraneo.
Secondo Salvio Giuliano era valido in entrambi i casi e, se a favore di un estraneo, doveva essere
considerato come un legato per obbligo. Nell’ipotesi che il destinatario fosse un erede e l’oggetto
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appartenesse all’eredità, il legato per precapienza aveva attuazione in via di aggiudicazione da parte
dell’arbitro nel giudizio di divisione ereditaria.
Riforme di Giustiniano che riguardano i legati (529 d. C.): viene imposta stessa natura a tutti i
legati, proteggendo il legatario o con l’azione azione in personam o in rem, indifferentemente; viene
inoltre prevista la parificazione di legati e fedecommessi.
Oggetto del legato
Possono essere oggetto del legato le cose in commercio; non solo cose presenti, ma anche quelle
future; potevano costituire oggetto anche fatti e comportamenti leciti.
Per il legatario sono riconosciute le capacità e incapacità previste per fare testamento. Per
Giustiniano sono validi i legati e i fedecommessi disposti a persone incerte, collegi, corporazioni.
Limiti posti all’ammontare dei legati: la legge Voconia (169 a. C.) dispone che il legatario non
poteva ricevere una parte maggiore di quella spettante al meno favorito degli eredi; la legge Falcidia
(40 a. C.) stabilisce che agli eredi testamentari dovesse almeno rimanere ¼ dell’eredità.
Fedecommessi
Il fedecommesso è un a disposizione di ultima volontà in termini di preghiera usualmente contenuta
in codicilli, documenti informali scritti*, oppure all’interno del testamento. In un primo momento
non era vincolante e la persona a cui era rivolta (si dice onerata) non era obbligata ad adempiere.
L’onerato poteva essere qualunque successore a titolo universale o particolare (erede o legatario). A
partire da Augusto le disposizioni fedecommissarie diventano vincolanti e le controversie sono
affidate ai consoli, poi a partire dall’imperatore Claudio si crea un nuovo funzionario competente a
giudicare in questa materia il pretore fedecommissario. Sono tutelati perché diventano molto
frequenti e consentono di aggirare i limiti dello ius civile rispetto all’eredità: scardinano il principio
che “nessuno può morire in parte testato e in parte intestato” e quello “l’erede è sempre erede”. Si
distinguono i fedecommessi universali in cui il lascito comprende tutta l’eredità o quote della stessa,
e i fedecommessi particolari in cui i lasciti sono di singoli beni.
Il fedecommesso universale contiene la preghiera di restituire l’eredità o sue quote a determinate
persone; la richiesta viene fatta all’erede che poteva essere testamentario o legittimo e che doveva
immediatamente restituire l’eredità. Lo scopo era di beneficiare persone incapaci (per esempio
donne impedite in base alla legge Voconia; stranieri/e; latini/e; persone non ancora nate, né
concepite; concubine). Il fedecommissario è considerato come un acquirente dell’eredità o della
quota, mentre l’erede, chiamato fiduciario, è tenuto a trasmettere le cose corporali nei modi adatti a
rendere proprietario il beneficiato, mentre per debiti e crediti si effettuano reciproche stipulazioni. Il
sistema è semplificato con il Sc. Trebelliano (56 d. C.): il fedecommissario è considerato in luogo di
erede, in quanto spettano a lui le azioni che riguardano debiti e crediti. Un ulteriore intervento il Sc.
Pegasiano (69-79 d. C.) concede all’erede di trattenere la quota di riserva di ¼ prevista dalla legge
Falcidia per i legati.
Con il fedecommesso particolare l’ereditando chiede di lasciare singoli beni a erede testamentario o
legittimo, al fedecommissario universale o al legatario. La cosa poteva appartenere all’ereditando,
al fiduciario o a un terzo e il fiduciario se la doveva procurare.
*Codicilli: documenti scritti privi delle formalità testamentarie in forma di preghiera, autonomi
rispetto al testamento. Se sono confermati nel testamento sono disposti in essi validamente legati,
fedecommessi, donazioni, nomine di tutori. Se non sono confermati sono validi solo fedecommessi
e donazioni.