Il sistema portuale nel Mediterraneo e in Europa

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Il sistema portuale nel Mediterraneo e in Europa
edilizia ambiente territorio
notiziario bimestrale di ingegneria
n.30-34
marzo-dicembre 2010
in questo numero
PRIMO PIANO
Il sistema portuale
nel Mediterraneo
e in Europa
Civitavecchia,
Napoli, Gioia Tauro,
Taranto, Cagliari,
Palermo
Le Autostrade
del Mare
per lo sviluppo
del Mediterraneo
a cura di Oriana Giovinazzi
di Oriana Giovinazzi
di Giampaolo Maria Cogo
Porti italiani: aspetti
critici e potenzialità
Reti marittime
e gerarchie portuali
in Europa:
un confronto
tra Nord e Sud
di Oriana Giovinazzi
4
Focus sui porti
di Genova,
Venezia, Ravenna,
di César Ducruet
9
18
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Green ports:
nuove proposte
tra sviluppo
e protezione
dell’ambiente
35
di Michele Perissinotto,
Stefano Soriani
e Gabriele Zanetto
GEOLOGIA
La direttiva
“Prodotti da
Costruzione” (CPD)
e la marcatura CE
dei materiali stradali
44
di Sergio Storoni Ridolfi
e Fabio Garbin
LEONARDO
La tecnica delle
strutture in legno:
sviluppo consapevole
di Diego Ruggeri
52
56
Il contributo dei porti
del Mediterraneo
alle rotte
internazionali:
il Porto
di Barcellona
Innovazione
e sviluppo
competitivo
del sistema
logistico-portuale
TECNOLOGIE
E MATERIALI
Quartiere
residenziale
in Andalusia
di Santiago García-Milà
di Laura Facchinelli
di Gian Luca Brunetti
numero 30-34, anno VI,
marzo-dicembre 2010
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Italiana
edilizia
ambiente
territorio
n. 30-34
2010
primo piano
Il sistema portuale
nel Mediterraneo e in Europa
a cura di Oriana Giovinazzi
Il Porto di Valencia
dal satellite
Porti italiani: aspetti critici e potenzialità
Mediterraneo si trova storicamente ad essere il croIl
cevia principale del traffico commerciale internazionale verso il Nord America e l’Estremo Oriente; la sua
posizione geografica offre particolari opportunità per
quanto riguarda il settore della logistica e il trasporto delle merci, potenzialità connesse in particolare alla presenza di infrastrutture e attività portuali di una certa rilevanza, possibilità concrete e prospettive future confermate
dagli studi recenti, che indicano una probabile espansione del volume dei traffici marittimi intercontinentali
nel breve periodo e a cui potrebbe essere sostanzialmente legato in futuro anche lo sviluppo dell’Italia. I porti italiani giocano infatti un ruolo importante nel settore dell’economia marittima e rappresentano un nodo strategico
nel sistema degli scambi commerciali del Mediterraneo;
accanto ai porti del Nord d’Italia, gli scali del Sud hanno acquisito un peso considerevole nei diversi segmenti
di traffico e ad essi in particolare fanno capo le reti marittime del traffico container e la Rete delle Autostrade
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del Mare, che negli scali di Sicilia, Campania e Puglia
registrano la maggiore attività.
Le coste italiane costituiscono quindi una risorsa, i porti un
incredibile volano di sviluppo per il territorio in grado di generare ricchezza e occupazione, catalizzare risorse e investimenti con interessanti ricadute economiche. Le infrastrutture portuali, il sistema logistico e i diversi comparti del settore
(cantieristica navale, nautica da diporto, crocieristica, turismo, pesca ecc.) si attestano come vere e proprie industrie in
grado di produrre ripercussioni sulla crescita dei sistemi produttivi territoriali e di generare effetti moltiplicativi, contribuendo alla competitività dell’intero sistema-Paese.
L’integrazione con le infrastrutture interne e con le reti
di trasporto europee – uno sviluppo non tanto infrastrutturale quanto di efficienza operativa e di competitività –
superando alcune criticità e valorizzando il sistema, consentirebbe all’Italia di cogliere le grandi opportunità derivanti dalla potenziale centralità rispetto al Mediterraneo, e quindi all’Europa.
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Una panoramica del complesso sistema
portuale italiano
L’attuale sistema portuale italiano non eccelle particolarmente per efficienza e dinamismo, manca di una rete strutturata e organizzata, risente fortemente dell’assenza di un
sistema nazionale di trasporti marittimi e terrestri, situazione da attribuire in parte alle scelte politiche che nel tempo hanno puntato sulle differenze nelle vocazioni dei singoli porti, nelle caratteristiche operative e nelle relazioni
con le economie e con i mercati interni.
A partire dagli anni ’60 alcuni cambiamenti tecnologici
(dimensione e specializzazione nei vettori marittimi), l’avvento dei container e la nuova impostazione del trasporto
con carico unificato e su navi specializzate hanno imposto
una rapida espansione dei terminal, un’organizzazione differente del lavoro, la rottura del binomio tradizionale porto industriale/porto commerciale. Nei decenni successivi
le scarse iniziative legislative e numerosi progetti astratti,
nonché la volontà delle Regioni di assumere maggiori poteri e competenze in ambito di trasporti e porti hanno progressivamente messo in discussione l’orientamento verso
una logica di “sistema portuale”. Gli anni ’80 sono stati
caratterizzati da politiche di intervento nel settore orientate a valorizzare due sistemi principali (Alto-Tirreno e Alto-Adriatico) con proiezione internazionale e due sistemi
secondari (Basso-Tirreno e Basso-Adriatico) per l’Italia
peninsulare; tuttavia i progetti per la specializzazione e
l’integrazione funzionale dei porti all’interno del sistema
non hanno trovato attuazione.
La legge n. 84, varata nel 1994 con la finalità di riorganizzare e sviluppare il settore portuale, conferendo all’autorità portuale specifici compiti di programmazione, indirizzo, coordinamento e controllo, ha prodotto un certo
dinamismo operativo e la ripresa di competitività dei porti. Tuttavia, dopo alcuni anni dal riordino della legislazione in materia portuale l’obiettivo di valorizzare i principali scali marittimi italiani con proiezione internazionale,
riconosciuti come transit point di fondamentale importanza per lo sviluppo dell’intero sistema economico, non è
stato raggiunto. La legge appare piuttosto obsoleta in rapporto ai cambiamenti che a livello internazionale hanno interessato le dinamiche dei trasporti, mentre è sempre più
evidente la necessità di garantire una maggiore competitività degli scali, insieme a servizi efficienti e di elevata qualità. I mutati scenari dello shipping richiedono infatti la
scelta a livello centrale di un ridotto numero di cluster portuali, maggiormente qualificati per rispondere agli standard internazionali, un incremento di funzioni e strutture
evitando tuttavia concorrenze e dispersioni di risorse, un’efficiente offerta intermodale di trasporto a supporto delle
grandi reti trans-europee per il recupero di competitività
dell’intero Paese.
Analizzando le proposte avanzate negli ultimi anni (trasformazione delle autorità portuali da enti pubblici a società
di diritto privato, passaggio dal controllo statale al controllo regionale, privatizzazione dei porti ecc.), appare evidente che l’attenzione si concentra in particolare sulle modalità di modifica della governance portuale e sull’autonomia
La nuova darsena
nel Porto
di Valencia
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Vista dall'alto
del Porto
di Rotterdam
finanziaria, senza affrontare la complessa gestione portuale nel suo insieme e senza proporre un progetto comune e
condiviso per lo sviluppo degli scali, correndo il rischio di
disperdere nuove risorse e opportunità. In Italia stenta a decollare una logica di sistema caratterizzata dalla specializzazione e dall’integrazione funzionale; i ritardi accumulati sono pertanto da attribuire principalmente alla difficoltà
di concepire una “regia unica” e di definire un indirizzo generale per i trasporti e la logistica, per le attività e le infrastrutture, con il rischio per i prossimi anni di ottenere risultati parziali o negativi da attribuire per lo più alla
sovrapposizione di strutture e di capacità produttiva.
A incrementare la complessità di questo quadro sono la carenza di risorse finanziarie, lo scarso sviluppo della catena logistica nazionale, l’elevata concentrazione dei flussi e
in particolare l’intervento pubblico che, in termini di realizzazioni infrastrutturali e di rilancio della portualità, è apparso piuttosto discontinuo negli ultimi anni. La sinergia
con i privati potrebbe compensare da un lato la carenza di
risorse pubbliche, ma costituire dall’altro un fattore di forte condizionamento nella gestione dei porti, in cui entrano
in gioco interessi diversificati e specifici.
In assenza di cospicui investimenti i porti italiani rischiano
di perdere competitività rispetto alla capacità di attrarre i
traffici marittimi di lungo raggio, non solo quelli consolidati con il Nord Europa (Rotterdam, Amburgo, Anversa
ecc.), ma anche con i porti emergenti – come quelli spagnoli (Valencia, Barcellona, Algeciras ecc.) – che attraverso investimenti in nuove infrastrutture portuali e aree logistiche
hanno acquistato di recente un ruolo preminente nel bacino del Mediterraneo. Il Porto di Algeciras nello specifico,
per fronteggiare la concorrenza di Tangeri sullo Stretto di
Gibilterra, prevede per i prossimi anni un investimento pubblico-privato di 500 milioni di euro.
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Sono numerosi anche i porti africani che, dal Marocco all’Egitto, si preparano a mettere a disposizione del mercato
milioni di metri quadrati di banchine per ospitare i container in arrivo dal Canale di Suez. Il nuovo terminal Tangeri Med è in grado di movimentare 3,5 milioni di TEU e il
governo marocchino è pronto a finanziarne il raddoppio,
mentre il terminal egiziano di Port Said è oggetto di un piano di sviluppo che potrebbe consentire in futuro di intercettare il traffico in partenza dal Sud-Est Asiatico e di arrivare a movimentare fino a 9 milioni di TEU.
Efficienza e competitività per lo sviluppo
dei porti sul territorio
Pur in uno scenario complesso che mette in evidenza diverse problematiche, il sistema portuale italiano genera ricchezza e occupazione nell’economia nazionale; l’indice di produttività tra diversi settori economici evidenzia
complessivamente un buon livello di competitività. Se si
considerano l’attività di logistica e i servizi ausiliari dei
trasporti marittimi, insieme alle attività dei soggetti istituzionali di governance dei porti – anche escludendo il fatturato degli altri comparti economici che incentrano le proprie attività nell’area portuale (attività crocieristica,
cantieristica navale, nautica da diporto, pesca ecc.) – il settore portuale italiano è in grado di produrre complessivamente un contributo al PIL superiore a 7 miliardi di euro e
un’occupazione complessiva di circa 70.000 addetti. Una
crescita consistente è stata registrata per quanto riguarda la
modalità marittima nel 2008; il traffico container nei porti
italiani ha visto al primo posto della classifica lo scalo di
Trieste (+32,9%), seguito da Savona (+17,2%), Venezia
(+13,9%) e Livorno (+12,2%), La Spezia, Gioia Tauro, Cagliari, Napoli; hanno registrato invece una flessione gli scali di Taranto (-2,4%), Genova (-4,8%) e Salerno (-9,2%). Gio-
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ia Tauro e La Spezia sono tra i primi porti europei per merce containerizzata movimentata, in competizione con i porti di Algeciras, Valencia, Barcellona.
Negli ultimi anni la movimentazione dei container (cresciuta del 40% circa) ha rimesso in gioco il sistema portuale nazionale e rafforzato il ruolo strategico della logistica in Italia nel più vasto contesto europeo e mediterraneo.
Per incrementare la competitività dell’economia del Paese e favorire lo sviluppo territoriale, risulta determinante
in questo quadro l’efficienza organizzativa, gestionale e
strategica nel settore delle infrastrutture e dei trasporti, accanto all’eliminazione di criticità persistenti, come quelle
legate alla dotazione infrastrutturale e alla mancanza di una
programmazione della supply chain.
Lo sviluppo dell’intermodalità è fondamentale, soprattutto nei contesti in cui la conformazione del territorio è
particolare sia dal punto di vista fisico che per quanto riguarda l’insediamento umano e l’urbanizzazione. Il sistema italiano si attesta in modo marginale all’interno del
modello logistico europeo, in cui gli scali del Nord – pur
tenendo conto della crescita della portualità spagnola – offrono migliori opportunità nella combinazione e organizzazione del trasporto marittimo con quello terrestre.
Il Paese, data la sua morfologia e l’elevata congestione
del traffico su strada (sulla quale circola l’85% del totale), necessita di modalità alternative sulle distanze mediolunghe, quindi di un ruolo maggiore delle linee ferroviarie e delle rotte marittime che potrebbero essere in grado
di mettere a disposizione soluzioni di trasporto combinato e prodotti innovativi.
Osservando i recenti dati di traffico si può constatare che,
mentre i volumi dei container che transitano sulle linee ferroviarie diminuiscono, si registra un certo incremento in
ambito marittimo. I porti dotati di attrezzature e servizi
indispensabili, di poli scambiatori integrati con le reti infrastrutturali ferroviarie e stradali e con gli altri nodi logistici (interporti, terminal aeroportuali, centri di distribuzione ecc.), potrebbero svolgere un ruolo fondamentale per
quanto riguarda la ripartizione modale dei trasporti, con benefici sociali, economici e ambientali considerevoli, anche
in un segmento importante come lo short sea system.
La ferrovia, principale modalità alternativa alla strada in
passato, sta perdendo quota nonostante gli sforzi e gli
Il waterfront
portuale di
Salerno
investimenti in Italia come in gran parte dell’Europa; la
realizzazione del sistema ferroviario Alta Velocità/Alta Capacità tra Torino e Milano e la dorsale centrale BolognaFirenze-Roma-Napoli sono alcuni degli interventi finalizzati al cambiamento del sistema nazionale dei trasporti. La
linea ferroviaria ad Alta Capacità Napoli-Bari (145 km di
lunghezza circa) è destinata ad assumere una funzione strategica per la mobilità di persone e merci, unisce infatti il
Tirreno all’Adriatico e consente di estendere il Corridoio
8 dal Mar Nero a Bari, fino a Napoli, riducendo notevolmente i tempi di percorrenza tra le due grandi aree del Sud
d’Italia e favorendo di conseguenza il loro sviluppo. Tuttavia allo stato attuale la rete ferroviaria italiana appare caratterizzata da evidenti “spaccature” tra le opere recenti
per l’Alta Velocità/Alta Capacità (Milano–Bologna, Torino-Milano-Salerno ecc.) e le infrastrutture già esistenti.
I progetti per la sistemazione e il miglioramento delle
infrastrutture e delle reti di collegamento delle linee ferroviarie con i porti raramente vengono portati a termine e
con ritardi notevoli rispetto ai tempi previsti. Del resto
in Italia il numero di porti in grado di consentire la formazione dei treni all’interno dei terminal, e dotati di binari di capacità adeguata e di lunghezza compatibile con
gli standard europei, è notevolmente ridotto.
Più complesso per quanto riguarda il sistema logistico nazionale appare il tema del trasporto terrestre collegato al
trasporto marittimo. Il punto più critico in termini di servizio è rappresentato proprio dalla tratta via terra, pertanto anche minimi miglioramenti in termini di efficienza,
Il waterfront
di La Spezia e
l'area dell'Arsenale
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Il terminal container
di Livorno
razionalizzazione, programmazione, coordinamento non
potrebbero che generare vantaggi sostanziali. Un contributo consistente al decongestionamento delle autostrade nel
contesto euro-mediterraneo potrebbe essere ricercato nel
potenziamento della Rete delle Autostrade Mediterranee,
considerando tuttavia che per garantire la piena operatività del sistema sono necessari terminal portuali accessibili
dotati di una viabilità dedicata, possibilmente indipendente ed esterna al tessuto urbano.
Il retroporto (struttura in continuità territoriale con il porto) e l’interporto (inteso come nodo della supply chain prossimo al mercato di destinazione, terminal intermodale e
piattaforma logistica) costituiscono gli elementi principali
dell’interazione tra sistema terrestre e rete ferroviaria in
connessione con il trasporto marittimo. In Italia sono state
realizzate di recente alcune strutture innovative (Verona
Quadrante Europa, Interporto di Padova, CIM di Novara
ecc.), che in quanto terminali di una rete integrata dispongono di infrastrutture, magazzini, superfici coperte, knowhow al servizio del settore.
Sullo short sea shipping si gioca una partita fondamentale
che interessa in particolare l’economia dell’area mediterranea; la Commissione Europea prevede infatti un incremento notevole dell’attuale traffico marittimo fino al 2018.
L’Italia, ai primi posti in Europa per i traffici di navigazione a corto raggio, dovrebbe sfruttare le potenzialità di questo segmento, adeguando gli scali portuali esistenti e modificando i collegamenti interni, affinché possano svolgere
in modo ottimale la funzione di “punti di accesso”, per arrivare a offrire un servizio marittimo in grado di garantire le
condizioni necessarie per attrarre nuovi investimenti.
Obiettivi per lo scenario futuro
La Commissione Europea il 21 gennaio 2009 ha adottato un piano d’azione finalizzato alla creazione di uno spazio del trasporto marittimo senza barriere in Europa, in
cui sono illustrate alcune misure per lo sviluppo del sistema portuale riguardanti la semplificazione di procedure
amministrative, la competitività e la qualità dei servizi europei e internazionali, la disponibilità di risorse non solo
economiche, ma anche umane, quindi la necessità di com-
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petenze e know-how per valorizzare le professioni legate
al mare, con un’attenzione particolare al miglioramento
delle prestazioni ambientali e della sicurezza del trasporto marittimo, come all’utilizzo di strumenti di informazione e di tecnologie innovative.
In linea con le indicazioni fornite e in rapporto al ritardo
accumulato rispetto ad altri Paesi europei, gli obiettivi che
l’Italia dovrebbe perseguire nei prossimi anni per disegnare il futuro scenario del sistema portuale sono molteplici e in alcuni casi interdipendenti.
Per poter definire una “regia unica” e un sistema portuale integrato, specializzato e strettamente interconnesso,
sono indispensabili nuove normative e politiche volte a
incrementare innanzitutto l’efficienza del sistema, razionalizzando la logistica nazionale, e in secondo luogo a rilanciare la portualità rispettando esigenze e specificità locali in una visione complessiva della rete infrastrutturale.
A tal fine è importante identificare gli scali di rilevanza nazionale e sovra-nazionale sui quali finalizzare gli investimenti pubblici, attualmente distribuiti su 25 autorità portuali, in modo da evitare una dispersione delle risorse,
orientando le scelte politiche in questa direzione. La concentrazione dei flussi e l’intensificazione dell’offerta di
trasporti combinati si potrebbe ottenere incrementando la
quantità e la qualità delle infrastrutture, ma anche attraverso la riorganizzazione e il coordinamento di corridoi plurimodali e piattaforme logistiche, di nodi e archi della rete già esistente, nonché mediante l’utilizzo delle moderne
tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Lo strumento su cui occorre puntare è una pianificazione
strategica in grado di mettere in sinergia diversi attori e interessi (imprese ferroviarie, operatori, gestori delle infrastrutture, aziende di trasporto ecc.), il settore pubblico e quello privato. Per favorire un approccio integrato alla crescita
economica e allo sviluppo sostenibile, è necessario incrementare la competitività e la qualità dei servizi, garantendo l’equilibrio tra costi e benefici. Con la finalità di ridurre
gli impatti ambientali e sociali prodotti dalle infrastrutture
e dai traffici è necessario incoraggiare gli investimenti nella ricerca e nell’innovazione del settore marittimo.
Oriana Giovinazzi
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Competitività portuale
e riqualificazione urbana: l’Affresco
per il Porto di Genova
Genova è uno dei principali porti del Mediterraneo per
quantità di traffico totale (oltre 56 milioni di tonnellate di
merci/anno), per numero di linee di navigazione (oltre 150)
e per servizi complementari offerti.
Lo scalo dispone di 7.000.000 mq di aree, 140.000 mq di
magazzini e 21.900 m di banchina distribuiti lungo 15 km
di litorale. I 29 terminal specializzati consentono la movimentazione delle principali categorie merceologiche: rinfuse solide e liquide, merci convenzionali, deperibili, acciai, prodotti forestali, RO-RO e container. Questi ultimi
in particolare (circa 1,8 milioni di TEU/anno) trovano accoglienza sia nei terminal commerciali di Sampierdarena
che nel bacino di Voltri, recentemente ampliato. Rilevanti
sono i servizi per i passeggeri (traghetti e crociere) messi
a disposizione su 5 terminal situati a ridosso del centro storico, dove trovano spazio diverse strutture turistiche (Acquario, Museo del Mare, Cineplex ecc.), servizi per la nautica e per il tempo libero. Particolarmente attiva è anche
l’industria di riparazione e manutenzione delle navi, con
stabilimenti che insistono nella zona a levante del porto.
In questo contesto si collocano le scelte del piano regolatore portuale che interpreta il progetto di trasformazione del porto – fin dai tempi antichi indissolubilmente legato alla città e al suo sviluppo economico –
conservando il carattere di compresenza di tutti i settori di attività e adottando politiche differenziate per le diverse specializzazioni.
Per il governo delle trasformazioni è stata istituita nel 2004
dall’Autorità Portuale, d’intesa con la Regione Liguria, la
Provincia e il Comune di Genova, l’Agenzia per il Waterfront e per il Territorio, con funzione di supporto tecnicooperativo e di coordinamento allo scopo di condividere la
visione strategica e di sviluppo dell’area portuale genovese. Nello specifico la pianificazione per i prossimi anni prevede l’espansione su una superficie di circa 1,2 milioni di
mq, propone una contrazione delle risorse territoriali a disposizione delle attività industriali con la dismissione dell’area delle acciaierie e la ristrutturazione del porto petroli, prospetta il potenziamento della funzione commerciale,
con particolare riferimento alla progettazione di tre nuovi
distripark a Voltri, Multedo e Cornigliano.
Alla luce della particolare morfologia del territorio, il potenziamento del patrimonio infrastrutturale esistente (tra
cui la nuova linea di valico per le ferrovie che permetterebbe di incrementare l’uso di questo vettore), anche in termini di continuità tra trasporto marittimo e terrestre, acquista
un ruolo determinante. In particolare la crescente movimentazione dei container, costituisce una buona condizione per l’incremento del trasporto merci su ferrovia, economicamente conveniente per le tratte medio-lunghe e
vantaggioso dal punto di vista ambientale.
In questo quadro si inserisce la proposta dell’Istituto Superiore sui Sistemi Territoriali per l’Innovazione (SiTI) che
ha recentemente sviluppato diverse ipotesi progettuali di
trasformazione del terminal di Voltri in un gateway per il
traffico container (il progetto è noto come BRUCO. Bi-level rail underpass for container operations).
Il progetto è basato sul recupero di aree disponibili nelle
pianure oltre l’Appennino e sulla rilocalizzazione in un porto secco (circa 500 ettari) di tutte le funzioni portuali che
non devono necessariamente essere svolte a ridosso della
banchina; uno scalo collegato in modo diretto e continuo
con le infrastrutture portuali a mare attraverso un tunnel
dedicato al trasporto di merci varie, dotato di un sistema a
bassa velocità e completamente automatizzato, in grado di
garantire lo spostamento dei container a ciclo continuo e
di gestire un transito fino a 10 milioni di TEU/anno (più di
5 volte il volume attuale).
La città punta per il futuro non solo sulla competitività portuale, ma anche su una proposta di valorizzazione del waterfront urbano, avanzata dall’architetto Renzo Piano nel
progetto noto come Affresco. La nuova vision traguarda una
prospettiva temporale per i prossimi 20 anni e tenta di coniugare elementi di potenziamento del sistema portuale con
nuove opportunità nel campo turistico-ricreativo, guardando a un miglioramento complessivo della qualità urbana e
ambientale.
Il progetto prevede nello specifico il trasferimento dell’aeroporto su un’isola artificiale con il conseguente recupero
delle aree a distripark; il riempimento nel porto di Sampierdarena di alcuni moli distribuiti a pettine; la realizzazione
di due nuovi attracchi per le Autostrade del Mare; la creazione di un porto pescherecci e di un’isola destinata alle
riparazioni navali di fronte alla Lanterna. Per quanto riguarda le aree portuali più prossime al centro urbano genovese
è previsto il recupero dell’affaccio a mare per l’area di Multedo con la delocalizzazione del porto petroli; la realizzazione di una passeggiata a levante della
città, da Punta Vagno al Porto Antico; la
riconversione dell’area delle riparazioni
navali a nuove funzioni urbane, ludicoricreative e nautiche; la costruzione di un
people mover che attraversa la città dall’aeroporto fino alla Fiera del Mare, e la
realizzazione di spiagge e parchi urbani
in prossimità del litorale.
Il progetto per il waterfront genovese –
oggetto di verifiche da parte dell’Agenzia per il Waterfront e il Territorio per
quanto riguarda la fattibilità tecnico-finanziaria e la compatibilità con strumentazioni urbanistiche e normative vigenti – ha come obiettivo principale quello
di restituire organicità a un quadro di
progettualità già esistente, attraverso un
disegno strategico di prospettiva per la
relazione città-porto.
La Stazione
Marittima
di Genova
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Bocca di porto del
Lido di Venezia
Venezia: piattaforma d’Europa
per l’Oriente e primo home port
del Mediterraneo
Le economie asiatiche emergenti, in particolare la Cina e
l’India, stanno progressivamente orientando i flussi commerciali indirizzati ai Paesi dell’Unione Europea verso i
porti del Mediterraneo attraverso il Canale di Suez; in questo contesto la competitività del Porto di Venezia per quanto riguarda i trasporti marittimi tra l’Europa e l’Oriente
appare evidente. Crocevia per i traffici che attraversano il
continente, lo scalo occupa infatti una posizione strategica
rispetto agli assi di trasporto paneuropei (Corridoio 5
Lisbona-Kiev e Corridoio 1 Berlino-Palermo, inseriti nelle
reti TEN) e alle direttrici delle Autostrade del Mare che attraversano il Mediterraneo, collegando l’Oceano Atlantico
all’Oceano Indiano e al Mar Nero.
L’hinterland del Porto di Venezia costituisce uno dei principali bacini economico-produttivi dell’Italia, con il più
alto grado di internazionalizzazione, servito da un efficiente sistema di infrastrutture che ne fa la piattaforma logistica non solo del Nord-Est, ma dell’intero Centro Europa. La
modernità delle sue infrastrutture, la vicinanza dei valichi
transalpini, lo sviluppo delle Autostrade del Mare e il completamento della rete ferroviaria europea AV/AC costituiscono un valore aggiunto per la collocazione del porto nel
network dei trasporti a livello internazionale.
Per valorizzare questa posizione strategica, lo scalo lagunare punta sulla realizzazione di una nuova piattaforma
logistica nella zona industriale del porto (1.800 ettari
circa di superficie), dotata di aree attrezzate, insediamenti di attività collaterali a quelle portuali e collegamenti
con i grandi interporti di Padova e Verona.
La pianificazione degli interventi che interessano il
porto commerciale e industriale di Marghera, esteso su
230 ettari circa, è finalizzata a ottimizzare la dotazione
infrastrutturale esistente. Si tratta di progetti che prevedono la realizzazione di un nuovo sistema di accessibilità in grado di separare il traffico su gomma da quello su
rotaia, nonché il potenziamento del parco e della rete
ferroviaria esistenti, la costruzione di nuove banchine e
interventi nel campo della logistica e dell’intermodalità,
ma anche la ristrutturazione di alcuni magazzini, la
bonifica di aree dismesse, le opere di scavo dei canali
portuali di grande navigazione in laguna. A Porto
Marghera, le imprese portuali specializzate nel traffico
container operano su uno spazio complessivo di circa 55
ettari, mentre le attività portuali di deposito e di raffineria correlate al settore petroli si svolgono su ambiti dedicati e specificamente attrezzati.
Venezia è inoltre il primo home port del Mediterraneo per
quanto riguarda il settore delle crociere, con 1.455.000
passeggeri/anno circa. Il traffico passeggeri è gestito in
Rendering del
nuovo terminal
delle Autostrade
del Mare di
Venezia
10
aree dedicate del centro storico per una superficie complessiva di circa 50 ettari su cui avvengono l’imbarco, lo
sbarco e il transito su navi da crociera, traghetti e navi
veloci. Sono numerose le crociere che salpano dal porto
lagunare per l’Adriatico e il Mediterraneo, mentre il traffico RO-RO garantisce partenze in traghetto per la Grecia e
l’Est del Mediterraneo lungo tutto l’arco dell’anno; per
raggiungere le località turistiche della Croazia e della
Slovenia sono disponibili collegamenti regolari mediante
aliscafi, e in città approdi e strutture dedicate accolgono
mega-yacht in uno scenario davvero unico ed esclusivo.
L’ampliamento del Terminal Isonzo, la specializzazione
delle aree della Marittima, la presenza di strutture e
infrastrutture esclusivamente dedicate al traffico passeggeri, evita interferenze con il traffico merci e favorisce la
compatibilità delle attività portuali con quelle della città
e del suo territorio. Accanto al Terminal Crociere – struttura polifunzionale che ospita un auditorium da 600
posti e una sala convegni da 200 posti, oltre a un ristorante, caffè e spazi commerciali – è in fase di realizzazione una nuova stazione a servizio del turismo crocieristico sul Molo Levante. È stato recentemente ristrutturato invece il magazzino 107/108, moderno complesso
di strutture dedicate alla crocieristica, caratterizzato da
un elevato standard di servizi per gli utenti, ma che si
attesta anche come spazio flessibile, da utilizzare per
manifestazioni fieristiche ed eventi.
Nel rispetto del tessuto urbano e socio-economico in cui
il porto si inserisce, l’Autorità Portuale di Venezia di
concerto con l’amministrazione comunale ha avviato
numerosi interventi per la riqualificazione del waterfront nel centro storico, che prevedono il mantenimento
delle sole attività portuali compatibili con la particolare
sensibilità dei luoghi e la restituzione alla fruibilità pubblica di alcuni ambiti del Demanio Marittimo; in particolare nelle aree di San Basilio e Santa Marta alcuni
magazzini sono stati recuperati a nuovi usi e la ex chiesa di origine trecentesca è stata restaurata e adibita a
centro espositivo e congressuale.
Impegnata nella tutela ambientale del sistema lagunare e
di un paesaggio straordinario, l’Autorità Portuale di
Venezia ha firmato di recente alcuni protocolli di intesa
per l’innovazione tecnologica e l’abbattimento delle
emissioni delle attività degli scali (progetto ENEL
Ingegneria e Innovazione). Venezia pertanto è destinata a
diventare un porto ecologico, insieme a La Spezia e a
Civitavecchia. Tra i primi obiettivi, lo studio di un sistema di fornitura di energia elettrica in banchina in grado di
alimentare le navi da crociera durante la sosta in porto e
di evitare le emissioni prodotte dai generatori di bordo,
ma anche lo studio di sistemi di mobilità elettrica e di
fonti rinnovabili come il solare e l’eolico, l’adozione di
sistemi di illuminazione a led a basso consumo ecc.
edilizia
ambiente
territorio
n. 30-34
2010
La Cittadella della Nautica
e dell’Innovazione nel Porto-Canale
di Ravenna
Ravenna, porto leader in Italia per gli scambi commerciali
con i mercati dell’Oriente e del Mar Nero, è una grande infrastruttura che offre servizi diversificati per ogni tipo di merce (prodotti petroliferi e chimici, materie prime e prodotti finiti, prodotti siderurgici, legname, agro-alimentare) e che
movimenta 26 milioni di tonnellate/anno. In rapporto alla
sua posizione geografica nel contesto del Mediterraneo, all’inclusione nel sistema della grande viabilità e al collegamento con le principali reti di trasporto risulta facilmente
raggiungibile dai maggiori centri italiani ed europei, costituisce un nodo fondamentale del Corridoio Adriatico.
Progettato come scalo industriale negli anni ’50, il portocanale si è consolidato negli ultimi anni per la funzione
commerciale a servizio di aree e attività delle regioni padane e del Nord-Est in genere, lo scalo dispone di due terminali per il traffico container e per il traffico RO-RO, di
24 km di banchine (16 km operativi), di 2.800.000 mq di
magazzini, di 1.400.000 mq di aree distribuite all’interno
del perimetro portuale esteso su 2.080 ettari, dei quali oltre 1.500 urbanizzati o in corso di urbanizzazione.
Si tratta di una realtà dinamica, oggetto di interventi recenti o in corso, finanziati da soggetti pubblici e privati, volti a
migliorare le dotazioni infrastrutturali, ad ampliare e a specializzare l’offerta di servizi per ottenere standard qualitativi sempre più elevati. Nello specifico l’Autorità Portuale di
Ravenna ha investito in questi anni oltre 220 milioni di euro per attuare il piano regolatore portuale (approfondimento dei fondali del porto-canale a -11 m, realizzazione di nuove banchine per 5
km, ampliamento del
canale navigabile,
costruzione di moli
guardiani ecc.) e si
appresta a investire
altri 180 milioni di
euro in nuove opere.
I progetti che contribuiranno in modo
determinante a ridisegnare nel prossimo futuro il PortoCanale di Ravenna
sono il nuovo Avamporto di Porto Corsini e la Cittadella
della Nautica e dell’Innovazione.
Per il completamento dell’Avamporto di Porto Corsini – antica località balneare situata sulla riva sinistra del porto-canale – e di alcune
aree del Demanio Marittimo comprese tra la Diga e il Molo
Nord, il Comune e l’Autorità Portuale di Ravenna hanno
stipulato nel 2001 un accordo di programma per un concorso
di idee, che nel 2004 ha portato all’approvazione del progetto
urbanistico risultato vincitore, la cui progettazione esecutiva e
realizzazione saranno poste in essere entro il 2010 mediante
una partnership pubblico-privato. Il borgo marittimo sarà caratterizzato dalla compattezza del tessuto urbano e da una
distribuzione dei fabbricati residenziali su una rete privata di
strade pedonali e strade a viabilità condivisa, intervallata dalla presenza di alcuni spazi pubblici. Il progetto prevede inoltre
la realizzazione di una piazza e di un centro commerciale, sporting club, uffici, strutture alberghiere e residenze turistiche di
standard elevato, aree verdi, parcheggi pubblici ecc. Il costo
complessivo dell’intervento – che si estende su una superficie
fondiaria complessiva di 18 ettari in gran parte recuperati al
mare, per complessivi 41.450 mq di superficie utile – è stimato tra i 45 e i 50 milioni di euro, per un investimento pubblico
pari a circa 3 milioni di euro.
Nello specchio acqueo di fronte all’area riqualificata, in
prossimità dell’accesso al canale Candiano, sarà collocato il nuovo Terminal Crociere. In grado di ospitare grandi
navi turistiche (due dei quattro accosti previsti potranno ormeggiare navi fino a 350 m di lunghezza con un pescaggio
di 11 m) e servizi di accoglienza per i passeggeri
(3.000/4.000 unità e 1.500 membri di equipaggio), il terminal si collocherà nello scenario internazionale del turismo crocieristico in modo competitivo.
A completamento di un sistema dedicato alla nautica da diporto, che mette a sistema tutte le località della costa ravennate valorizzando la vocazione specifica di ognuna in
un progetto coerente, si colloca il progetto per la Cittadella della Nautica e dell’Innovazione, destinata a diventare
un “attrattore” di nuovi investimenti in un settore strategico per il futuro della città e un’occasione per il rilancio dell’economia locale. Gli interventi per il recupero del waterfront e il potenziamento di infrastrutture e servizi portuali
lungo i 12 km che corrono dalla Darsena di Città alla costa sono finalizzati in particolare a valorizzare la vocazione turistica e nautica del territorio.
L’area interessata, precedentemente occupata dall’ex Sarom,
si estende su circa 116 ettari lungo il Porto-Canale Candiano ed è caratterizzata dalla presenza di attività in parte produttive (28 ettari) e
in parte dismesse o
da riconvertire (88
ettari). È destinata
ad accogliere attività secondarie e terziarie più leggere e
compatibili delle
preesistenti, accanto a insediamenti urbani e servizi legati
agli usi del mare,
quali la logistica, la
cantieristica e il turismo nautico.
La superficie totale
dei comparti dedicati alla cantieristica, con possibilità
di espansione, accoglierà 9 capannoni
per una superficie utile di 45.000 mq occupati da complessi destinati all’insediamento dei cantieri nautici. La superficie destinata all’artigianato di servizio alla nautica sarà pari a 7 ettari con 55.000 mq di superficie utile, mentre altre
attività industriali saranno ospitate su una superficie coperta di 18.000 mq. Il Tecnopolo, esteso su 4 ettari, metterà a
disposizione circa 12.000 mq di superficie coperta per il
comparto della ricerca, dell’innovazione e della formazione, ma anche spazi commerciali, zone espositive e strutture ricettive, per una superficie utile di 41.000 mq.
Il Porto-Canale
di Ravenna
11
edilizia
ambiente
territorio
n. 30-34
2010
A Civitavecchia il modello di porto
ecologico per il Mediterraneo
Il Porto di Civitavecchia si colloca al centro di una rete
infrastrutturale nazionale ed europea che garantisce il collegamento dello scalo con l’intero Mediterraneo.
Gate strategico per l’accesso alle più importanti località turistiche italiane, si attesta come uno dei principali home port
del Mediterraneo per quanto riguarda il traffico crocieristico,
con 1.800.000 turisti movimentati nel 2008, e una crescita del
15% circa. Una politica lungimirante e un’attenta strategia di
marketing dell’Autorità Portuale – con la finalità inoltre di
potenziare lo short sea shipping tra Civitavecchia e i porti
della Sardegna (Olbia-Golfo Aranci, Cagliari e Porto Torres)
– hanno consentito di incrementare notevolmente il traffico
passeggeri; le opere di potenziamento delle banchine e delle
strutture di accoglienza hanno permesso di registrare uno
straordinario incremento di navi da crociera (755 ogni anno),
rafforzando il ruolo del porto turistico nel Mediterraneo.
Particolarmente interessanti i dati sulle Autostrade del
Mare, che hanno visto un incremento del numero dei passeggeri (16.915 passeggeri trasportati/giorno) e delle merci,
cresciuti in particolare nei collegamenti con Barcellona,
Tolone, Palermo, Tunisi e Malta.
Per favorire ulteriormente la crescita delle Autostrade del
Mare, l’Autorità Portuale ha puntato sul progetto del
grande Terminal delle Autostrade del Mare (11 accosti per
una superficie complessiva di 150.000 mq). Il progetto
prevede la costruzione di una piattaforma a quota 2,50 m
sul livello del mare dotata di moli di attracco, aree per
manovre di imbarco e sbarco, postazioni doganali, aree di
sosta, piazzali per autoveicoli e mezzi pesanti; una piastra
a quota 9,50 m suddivisa in due ambiti per ospitare un
edificio commerciale su tre livelli con terrazza, i parcheggi di pre-imbarco e il terminal con una grande hall, spazi
per uffici, duty free, bar, terrazza, bookshop, information
desk e servizi igienici; un viadotto pedonale sospeso che
consente il collegamento tra il terminal di imbarco e la
stazione marittima. Si tratta di un progetto ambizioso
destinato a contribuire in modo determinante alla trasformazione di Civitavecchia in un grande polo della logistica situato nel cuore dell’Italia e del Mediterraneo, già
avviato con la costruzione del nuovo interporto (50 ettari
Veduta aerea del
Porto di
Civitavecchia
(Archivio Centro
Internazionale
Città d’Acqua,
Venezia)
12
di superficie), in funzione da alcuni anni, e con interventi
di potenziamento delle infrastrutture viarie e ferroviarie,
come la bretella di collegamento porto-interporto.
Il Porto di Civitavecchia potrebbe diventare nei prossimi
anni anche il centro della logistica per la distribuzione
europea e mediterranea delle merci cinesi. Il Governo
della Cina ha infatti programmato ingenti investimenti
che lo porteranno in futuro a movimentare complessivamente 30 milioni di container all’anno attraverso il
Terminal Asia. La scelta è da attribuire principalmente
alle caratteristiche dello scalo: la posizione geografica al
centro dell’Italia; la conformazione geologica, la possibilità di raggiungere pescaggi di -20 m per accogliere le
navi di ultima generazione, e infine le potenzialità legate
alla disponibilità di milioni di metri quadrati nelle aree
retroportuali per la costruzione di un distripark.
Lo sviluppo dell’area portuale avverrà comunque nel pieno
rispetto dell’ambiente e del paesaggio. Civitavecchia si conferma infatti come modello di “porto verde” per il
Mediterraneo, grazie a una serie di importanti iniziative
mirate a ridurre l’impatto ambientale dello scalo sulla città
che sono state avviate con ENEL e in collaborazione con
Fincantieri. Il porto ha contribuito in modo determinante alla
definizione di un percorso a livello internazionale per creare
un porto ecologico ed eco-sostenibile, presentando il progetto per l’elettrificazione delle banchine, l’utilizzo di energie
rinnovabili (High Voltage Shore Connection Technology), lo
studio di sistemi di monitoraggio dei consumi e di sistemi di
illuminazione con tecnologie avanzate per il porto storico.
I progetti per il prossimo futuro puntano a valorizzare la relazione tra porto e città, in particolare attraverso lo sviluppo
della cantieristica navale per le attività diportistiche e la riqualificazione del vecchio porto, che dovrebbe restituire alla città
un pregevole sito dal punto di vista storico-architettonico. Sul
waterfront, un complesso intervento da oltre 200 milioni di
euro – che interessa in particolare la Darsena Romana, il Forte
Michelangelo e la passeggiata di Viale Garibaldi – porterà alla
realizzazione di gallerie commerciali, spazi espositivi, centri
di documentazione, laboratori, biblioteca, ristoranti, hotel, una
marina e un acquario, aree verdi ecc. L’intervento su un ambito complesso, caratterizzato da preesistenze di grande rilievo,
ha comportato una serie di scelte mirate, che attraverso numerosi interventi di restauro e di ripristino delle componenti
spaziali consentiranno di valorizzare le specificità dei siti.
edilizia
ambiente
territorio
n. 30-34
2010
Un sistema-porto multifunzionale
per il rilancio del Golfo di Napoli
Il ruolo strategico del Porto di Napoli nel sistema del
Mediterraneo è legato in parte alle potenzialità del territorio e in
parte alla sua posizione geografica. Collegato con le regioni del
Centro-Nord e dell’Europa centrale, lo scalo si attesta come
“porta” delle Autostrade del Mare e come polo intermodale
integrato con le principali reti infrastrutturali e con i nodi
presenti sul territorio, dagli hub aeroportuali agli interporti, dai
centri di distribuzione alle piastre logistiche, una “cerniera”
quindi tra la terra e il mare, tra il waterfront e l’entroterra.
Il bacino portuale si affaccia su una superficie di circa
2.700.000 mq di specchi acquei e dispone di 75 approdi. In
particolare sul canale di accesso insistono alcune darsene o
bacini: le darsene Diaz, Vittorio Veneto, Granili e Pollena che
costituiscono il bacino commerciale; il Bacino del Piliero per
il traffico misto, merci e passeggeri; il Bacino Angioino adibito prevalentemente a traffico passeggeri; la Darsena dei
Bacini destinata ad attività cantieristiche e riparazioni navali,
la nuova Darsena di Levante e la darsena industriale.
Il carattere multifunzionale del porto si manifesta in tre
diversi settori: l’attività commerciale, l’attività cantieristica, l’attività turistico-crocieristica.
Nell’ambito del traffico commerciale, il settore RO-RO ha
registrato un aumento dovuto allo sviluppo dei traffici legati alle Autostrade del Mare; significativo è anche l’andamento della movimentazione dei container che, dopo aver
subito alcune flessioni negli scorsi anni e un leggero incremento nel 2007 (volume complessivo di 460.810 TEU), è
destinata a crescere ulteriormente. Con la finalità di movimentare in futuro più di un milione di TEU/anno saranno
realizzati gli interventi per la trasformazione della Darsena
di Levante in terminal container, che permetteranno di
rispondere a nuove esigenze e a diverse tipologie del traffico. Nell’ambito del terminal saranno realizzate quattro aree
funzionali: uno scalo ferroviario situato nella parte opposta
alla banchina, un’area dedicata a uffici e parcheggi, un’area
per il carico e lo scarico dei container e un ambito per lo
stoccaccio delle merci.
Il comparto industriale ha conosciuto di recente un nuovo
rilancio con l’attività cantieristica: il numero delle navi in
rimessaggio è aumentato e il settore occupa circa 2.500
persone. Il porto potrebbe quindi recuperare in tempi
brevi il suo ruolo nel campo delle riparazioni e delle
costruzioni navali nel bacino del Mediterraneo.
Il Porto di Napoli è uno scalo di riferimento a livello internazionale per gli operatori delle crociere. Per quanto riguarda infatti il traffico passeggeri, questo settore è quello che ha
fatto registrare di recente il maggior tasso di incremento
(20% circa, 5% circa tra il 2006 e il 2007), con una grande
capacità competitiva anche nel traffico strettamente legato al
settore turistico e al trasporto locale che interessa l’intero
Golfo di Napoli, secondo al mondo per numero di passeggeri dopo la Baia di Hong Kong.
Per il potenziamento delle linee delle Autostrade del Mare
(in prevalenza dirette verso la Sicilia), del sistema di cabotaggio che attualmente interessa la Sardegna, le Isole
Pontine, le Isole Eolie e Tunisi, nonché dei collegamenti con
le linee tirreniche, è in previsione l’incremento non solo dei
servizi ai passeggeri, ma anche delle banchine, con l’adeguamento del Molo Immacolatella Vecchia, il consolidamento della Banchina Piscane per il traffico RO-RO, la realizzazione di nuovi ormeggi alla Calata del Piliero.
Il futuro del Porto di Napoli si gioca in particolare sulla riqualificazione del waterfront, destinato a diventare un polo di
particolare attrazione per crocieristi, turisti e residenti, grazie
alle opportunità offerte dal patrimonio storico-architettonico,
culturale e paesaggistico del territorio partenopeo. Nausicaa,
holding a carattere interamente pubblico (52% Autorità
Portuale, 48% tra Regione Campania, Comune e Provincia di
Napoli), è deputata a programmare e a gestire un ambizioso
progetto per la trasformazione dell’area turistico-monumentale del porto, che avverrà in due fasi successive: la prima
interesserà l’area che si estende dall’Immacolatella Vecchia al
Molo Beverello, mentre la seconda comprenderà la Darsena
Acton e il Molo San Vincenzo.
La Stazione Marittima (3.300 mq di superficie, 7 banchine
per complessivi 1.100 m), oggi utilizzata anche come centro congressi, sarà presto dotata di alcuni spazi commerciali e diventerà una grande “piazza sull’acqua” affacciata sullo
straordinario paesaggio del Golfo, mentre gli edifici
dell’Immacolatella Vecchia ospiteranno il Museo del Mare.
Il nuovo terminal passeggeri che sarà realizzato sul Molo
Beverello dovrebbe consentire di razionalizzare i flussi di
traffico (circa 9 milioni persone/anno) e dare risposta a
una serie di esigenze manifestate non solo dai turisti, ma
anche da pendolari e residenti.
Il recupero del Molo San Vincenzo, della Darsena Acton e delle
aree limitrofe consentirà di creare una passeggiata a mare
dotata di ristorati, bar, botteghe artigiane e attività commerciali in prossimità del centro storico-monumentale della città.
La pianificazione portuale per i prossimi anni prevede
diversi interventi di natura infrastrutturale e organizzativogestionale che, a fronte di un investimento complessivo di
circa 830 milioni di euro, consentiranno di migliorare le
condizioni di accessibilità e fruibilità delle aree portuali e
di completare il processo di specializzazione funzionale
dei vari comparti portuali, rafforzando così la multifunzionalità dello scalo in un’ottica di sistema-porto del Golfo di
Napoli, e consolidando nei prossimi anni la sua leadership
di porto “multifunzionale” dell’Italia centro-meridionale.
La città e il Porto
di Napoli
13
edilizia
ambiente
territorio
n. 30-34
2010
Gioia Tauro. Il primo terminal
per il transhipment nel Mediterraneo
Il Porto di Gioia Tauro, costruito nella prima metà degli
anni ’70 a servizio degli insediamenti industriali e del
centro siderurgico, che ne hanno fortemente caratterizzato dimensioni, strutture e destinazione funzionale, è stato
riconvertito a partire dagli anni ’80 a causa della crisi del
comparto.
L’ambito portuale di Gioia Tauro occupa attualmente una
superficie complessiva di 4.400.000 mq e presenta una
configurazione a canale con una superficie dello specchio
acqueo estesa su 180 ettari; dispone di 5.192 m di banchine su fondali di 18 m. Il canale portuale (3 km per 200 m
circa) si sviluppa in direzione nord ed è in fase di ampliamento.
Il porto è servito da un sistema stradale piuttosto complesso e in parte carente per quanto riguarda i raccordi
con il sistema autostradale. A complemento delle connessioni del porto con i principali corridoi autostradali risulIl Porto
di Gioia Tauro
ta determinante il collegamento diretto, all’altezza dello
svincolo di Rosarno, tra l’A3 Salerno-Reggio Calabria e
l’asse attrezzato di accesso al porto, nonché la tangenziale all’altezza dello svincolo di Gioia Tauro, tra l’A3 e il
porto, per decongestionare i flussi in entrata e in uscita.
Lo scalo dispone di un collegamento alla rete ferroviaria
tramite la stazione di Rosarno, in fase di potenziamento
con la realizzazione di un secondo binario, mentre i vicini aeroporti di Lamezia Terme e Reggio Calabria offrono
la possibilità di utilizzare un servizio aereo cargo e passeggeri.
Il Terminal Container, esteso su circa 1.485.000 mq, di
cui 1.135.000 mq già operativi e 351.000 mq in fase di
infrastrutturazione, ha una capacità di movimentazione di
23 TEU/ora per gru, con circa 3 milioni di TEU movimentati l’anno e 30 milioni di tonnellate di merci; gli
ampi spazi ancora inutilizzati potrebbero accogliere complessivamente fino a 54.000 TEU.
I piazzali adiacenti il bacino di evoluzione nord ospitano
il Terminal Auto, che ha una superficie di 240.000 mq
circa e banchine di accosto lunghe 350 m.
Nella zona di ponente sono situati i cantieri navali per la
costruzione a terra di unità da diporto e piccole riparazioni, e sono stati realizzati tre punti di accosto per il traffi-
14
co RO-RO. A sud è collocata una piccola darsena per l’ormeggio di imbarcazioni adibite ai servizi portuali e ad
attività legate prevalentemente alla pesca.
Gioia Tauro è uno dei principali nodi di distribuzione dei
traffici in partenza dal Nord America e dall’Estremo
Oriente verso il Mediterraneo centrale e orientale, uno
scalo in progressiva espansione in grado di favorire il
rilancio dell’economia del Sud d’Italia.
Le potenzialità per la tipologia del traffico container su
grandi navi transoceaniche o su piccole navi per la distribuzione di dettaglio (feeder), per disponibilità di grandi
spazi a ridosso delle banchine portuali, per ampiezza di
accosti e profondità dei fondali, attestano lo scalo come il
più grande terminal per il transhipment del Mediterraneo
e il quinto a livello mondiale per container movimentati.
La sua collocazione geo-strategica, a poche ore di navigazione dalle rotte Suez-Gibilterra e Mare del NordGibilterra, ne accentua l’attrattività, consente infatti alle
navi di deviare dalla rotta principale per fare scalo in un
porto che occupa una posizione intermedia tra il Nord
Europa e l’Africa.
Con la finalità di potenziare il ruolo di
hub leader nel bacino del Mediterraneo,
l’Autorità Portuale punta a ottimizzare
le attività port required con interventi
funzionali alle linee di sviluppo indicate dagli strumenti di pianificazione.
L’adeguamento infrastrutturale dei
bacini alle esigenze delle nuove navi,
l’ottimizzazione della rete di collegamento del porto agli altri sistemi
intermodali di trasporto, il potenziamento delle strutture e dei servizi per
il traffico di cabotaggio e di merci
varie, la realizzazione di infrastrutture di logistica avanzata con la creazione di un polo industriale per attività produttive sono i principali
obiettivi della programmazione per i
prossimi anni.
L’adeguamento dell’imboccatura portuale, con un incremento in larghezza
dagli attuali 286 m a circa 400 m, dovrebbe portare alla
riconfigurazione del molo sud a fronte di un investimento
di 23,5 milioni di euro, mentre con un importo di 14
milioni di euro dovrebbero essere completati i lavori per
l’ampliamento del canale portuale in modo da consentire
la navigazione alle navi di maggiori dimensioni, interventi che saranno accompagnati da opere di approfondimento e consolidamento dei fondali.
L’ampliamento del terminal sul lato est, con la realizzazione di un piazzale adiacente, interessa invece un’area in
prossimità delle banchine operative e una superficie pari
a 390.000 mq.
I lavori di espansione dello specchio acqueo verso nord, il
dragaggio della zona e il banchinamento degli argini sono
finalizzati all’ampliamento della darsena servizi a ridosso
dell’imboccatura sud (per un importo di 15 milioni di
euro) e all’incremento del numero dei posti barca per il
diporto e per le imbarcazioni da pesca.
La realizzazione di alcuni piazzali retrostanti nell’area
sud del bacino di espansione (per un importo di 20 milioni di euro) dovrebbe portare a disporre di superfici operative per circa 340.000 mq, che vanno ad affiancarsi alle
superfici recuperate a seguito della delocalizzazione e
della riqualificazione del piazzale ferroviario.
edilizia
ambiente
territorio
n. 30-34
2010
Taranto, polo logistico intermodale
sul Mediterraneo
Situato in posizione strategica nella geografia del Mediterraneo, il Porto di Taranto risulta essere il baricentro delle rotte principali tra Oriente e Occidente, un ponte naturale per i
traffici verso il Medio e l’Estremo Oriente e verso i Paesi
africani. È il secondo scalo a livello nazionale per volume
complessivo di merci movimentate, con una crescita tendenzialmente positiva che nel 2006 ha raggiunto il massimo storico, con 49.434.295 tonnellate e 892.300 TEU. In costante
crescita risulta anche il numero di navi in arrivo e in partenza dal porto, che dal 2006 supera le 5.000 unità.
Lo scalo possiede ottime potenzialità per quanto riguarda
il traffico container di provenienza e destinazione transoceanica, lo sviluppo delle attività di transhipment e la crescita dei traffici europei, legati in particolare alla sua posizione strategica sulla rotta Suez-Gibilterra e alla
disponibilità di grandi spazi.
Il Porto di Taranto assicura un elevato volume di movimentazione delle merci di tipo industriale, in entrata o in uscita
prevalentemente dalle industrie locali. Il 10% circa dei container proviene dal territorio regionale e nazionale (4% per
via ferrovia; 6% per via strada), grazie anche al collegamento del terminal con il sistema ferroviario e la rete stradale.
Per quanto riguarda i traffici RO-RO di merci varie (in prevalenza cabotaggio e navigazione a corto raggio), la posizione geografica di Taranto è attualmente simile a quella dei
porti di Bari e Brindisi per i collegamenti con la Grecia e la
Turchia, ma in futuro i collegamenti con i Balcani potrebbero costituire una notevole opportunità per lo scalo pugliese.
Il riferimento a possibili sviluppi riguarda anche i traghetti misti e il traffico passeggeri, i cui livelli sono destinati ad
aumentare in rapporto alla posizione che lo scalo occupa
rispetto ad altri Paesi della sponda meridionale del Mediterraneo, in particolare all’Egitto. Il ruolo di transit port di
Taranto per il traffico crocieristico di provenienza tirrenica si affianca a quello di Bari e Brindisi per le crociere
che attraversano l’Adriatico. Il piano regolatore portuale
indica tra i principali indirizzi di sviluppo l’implementazione della vocazione commerciale, la razionalizzazione
dell’assetto portuale e la relazione con la città.
Tra gli obiettivi per il prossimo futuro figura sostanzialmente il consolidamento del Porto di Taranto come piattaforma logistica intermodale, attraverso l’adeguamento
delle dotazioni infrastrutturali dello scalo ionico alle nuove esigenze del mercato. Con questa finalità si procederà
in tempi brevi alla realizzazione di un centro d’interscambio in cui i diversi segmenti del trasporto non saranno più
suddivisi per modalità, ma costituiranno le fasi di un unico processo, un complesso destinato a modificare il sistema portuale nazionale e mediterraneo.
Per la realizzazione della piastra logistica integrata al sistema intermodale del Corridoio Adriatico, sono previste
opere per un valore di 155 milioni di euro che potrebbero
modificare in modo determinante gli equilibri della logistica nel Mediterraneo e in particolare nel Sud d’Italia: moli e impianti per il collegamento efficiente di tutti i bacini
portuali; il miglioramento delle connessioni con l’entroterra attraverso la rete stradale nazionale e un nuovo terminal
ferroviario integrato con le arterie principali lungo le dorsali adriatica e ionica; la realizzazione di nuove banchine
e di magazzini per una superficie complessiva di 22.500
mq; il recupero di alcune aree della RFI negli scali merci
adiacenti l’ambito portuale.
A contribuire in modo determinante allo sviluppo del settore logistico sul territorio sarà inoltre la costruzione in area
retro-portuale di un distripark e di un complesso di edifici commerciali, che occuperanno una superficie di 750.000
mq a ridosso del Terminal Container, incentivando l’insediamento di imprese diversificate all’interno di uno dei nodi principali del sistema portuale del Corridoio Adriatico,
e quindi della rete transeuropea (TEN) e paneuropea (PEN).
Accanto al potenziamento della vocazione commerciale saranno avviati anche interventi per la riorganizzazione dell’assetto portuale e la riqualificazione del waterfront urbano, tra cui
la realizzazione sul Molo San Cataldo di un centro polivalente dedicato a servizi per turisti e residenti (per un importo di 5
milioni di euro). Il complesso, servito da una banchina di ormeggio e da alcuni terminal dedicati ad attività crocieristiche,
da spazi commerciali e culturali, da aree ricreative, potrà ospitare congressi, convegni, esposizioni e altre manifestazioni. La
risistemazione delle aree portuali prevede inoltre spazi verdi,
nuovi sistemi di illuminazione e interventi per la riorganizzazione della viabilità (per un importo di 1 milione di euro).
Vista del Porto
di Taranto
15
edilizia
ambiente
territorio
n. 30-34
2010
Nuove prospettive per il Porto Vecchio
di Cagliari
Veduta del Porto
di Cagliari
16
Nodo strategico al centro del Mediterraneo, il Porto di Cagliari serve il più importante agglomerato insediativo, commerciale e industriale della Sardegna.
La circoscrizione territoriale dell’Autorità Portuale si estende per circa 30 km (da Capo Carbonara e da Capo Pula),
articolata nel porto commerciale, nel Porto Canale e nel
terminal di Porto Foxi.
Grazie agli spazi disponibili e alla grande potenzialità funzionale, lo scalo risponde positivamente alla domanda di traffici commerciali con movimentazione di merci convenzionali, rinfuse, traffici RO-RO e attività di transhipment con
merci containerizzate, cui si affiancano servizi passeggeri,
attività di pesca turistica, nautica da diporto e crocieristica.
Il traffico merci si caratterizza per la movimentazione di
oltre 35 milioni di tonnellate, con un leggero incremento
del traffico delle rinfuse e una sensibile contrazione dei
volumi movimentati per quanto riguarda le merci varie,
compresi i TEU (20% circa
negli ultimi anni), il cui traffico è localizzato nelle aree
del Porto Canale.
Il traffico passeggeri di linea
ha registrato un aumento del
10% circa e alcuni segnali di
ripresa, che seguono tuttavia
una rilevante flessione (da
635.625 nel 1987 a 330.185
nel 2007, con una riduzione
del 48%). I motivi di questo
andamento sono molteplici e
in particolare legati all’aumento dell’offerta di trasporto aereo sull’aeroporto di Cagliari
con tariffe medio-basse, all’elevato numero di voli per i
principali aeroporti europei,
alla maggior appetibilità dei
porti di Olbia e di Porto Torres per via della buona accessibilità stradale ecc.
Il porto ha ottenuto ottimi risultati per quanto riguarda invece il traffico delle crociere – settore in cui opera soltanto da un decennio – con una spiccata crescita di oltre il
164% registrata nel 2007.
Nel rispetto delle linee di sviluppo strategico espresse nel
piano regolatore portuale gli interventi per il potenziamento infrastrutturale nei prossimi anni riguardano la realizzazione di opere e servizi, il miglioramento dell’accessibilità e lo sviluppo dell’intermodalità, l’incremento dell’attività
crocieristica, nonché la salvaguardia dell’ambiente.
Il porto commerciale, esteso su una superficie di circa
112.000 mq (28 banchine, 17 accosti) con annessi 2.000.000
mq di specchi acquei, è caratterizzato prevalentemente dal
traffico passeggeri e merci RO-RO, e in modo marginale dal
traffico crocieristico. In corrispondenza dell’Avamporto di
Ponente del Porto Canale saranno completati alcuni “denti” per consentire il contemporaneo ormeggio di 5 navi RORO e un collegamento ferroviario di 20 km di lunghezza
tra il Terminal RO-RO e il Terminal Container, oggetto di interventi di ampliamento e di completamento delle banchine.
Strettamente connesso al Terminal Container, sorgerà il Distretto della Logistica (617.300 mq). Il banchinamento del
lato sud-ovest del Porto Canale, per una lunghezza di circa
500 m, sarà realizzato per accogliere un terminal polifunzionale a supporto delle attività portuali, industriali e dei servizi logistici che dovranno insediarsi nelle aree retrostanti.
Le potenzialità per lo sviluppo futuro del waterfront di Cagliari si concentrano in particolare sulla riqualificazione
del Porto Vecchio, dal quale verranno trasferite alcune attività destinate ad aree meno pregiate distribuite lungo il
bacino di evoluzione esteso fino al Porto Canale; in questo
modo sarà possibile recuperare a nuove destinazioni d’uso
le zone comprese tra Su Siccu e Sa Perdixedda.
Nella zona di Su Siccu, tra il Molo di Levante e il Pennello di Bonaria, è prevista la realizzazione del grande porto
turistico, articolato in 2/3 bacini diversificati per accogliere ampie aree dedicate al diporto (60 milioni di euro, 1.800
posti barca), insediamenti e attività sportive connesse al
settore della nautica, nonché servizi turistico-commerciali, di accoglienza e di ristoro.
La realizzazione di una passeggiata lungo il waterfront e una
nuova sistemazione urbana permetteranno la riqualificazio-
ne della zona Pineta Bonaria a fronte di un investimento di circa 5 milioni di euro.
Il completamento delle opere marittime del Terminal Passeggeri (12,5 milioni di euro) e la demolizione degli edifici esistenti con l’adeguamento tecnico-funzionale del Molo Sabaudo consentiranno di disporre di 2 ormeggi per le
navi serviti da passerelle sopraelevate per lo sbarco dei passeggeri; al fine di garantire l’intermodalità, la nuova stazione marittima sarà collegata mediante un percorso pedonale alla stazione ferroviaria e al terminal dei mezzi pubblici.
Due nuovi fabbricati nella zona Sa Perdixedda (compresa
tra il mercato ittico, Via Riva di Ponente e l’edificio della
Dogana) accoglieranno gli uffici e i locali di servizio necessari agli operatori portuali del settore RO-RO, su una
superficie complessiva di 55.000 mq.
Il progetto per la creazione di una darsena pescherecci in
prossimità del mercato ittico prevede la realizzazione di 5
pontili, sui quali potrà essere trasferita l’intera flotta attualmente dislocata in diverse banchine; la zona di Sa Scaffa
sarà riconvertita in parco urbano e accoglierà attività di ristorazione legate alla pesca.
edilizia
ambiente
territorio
n. 30-34
2010
La valorizzazione del waterfront
urbano-portuale di Palermo
Il Porto di Palermo, risorsa economica per la città e per l’intera regione, è fortemente inserito e integrato nel tessuto
urbano. La riqualificazione delle aree portuali contigue al
waterfront urbano, in particolare la zona nord e l’area dei
cantieri navali – sulla quale la città sta puntando da alcuni
anni per lo sviluppo futuro del territorio – impone pertanto un programma di organizzazione funzionale e infrastrutturale da parte dell’Autorità Portuale coerente e integrato
con la pianificazione urbanistica e con gli interventi attuativi dell’amministrazione comunale.
Cerniera tra le direttrici Nord-Sud ed Est-Ovest, il porto registra un 80% circa di traffico riconducibile ai servizi di linea di cabotaggio; le direttrici principali di tali traffici si riferiscono ai porti di Genova, Livorno, Civitavecchia, Napoli,
Cagliari, Tunisi, Salerno e delle isole minori. Lo short sea
shipping interessa lo scalo con collegamenti a mezzo di traghetti e aliscafi destinati a registrare un incremento in futuro, in particolare verso la Spagna, la Grecia e i Paesi del
Nord Africa, in seguito all’attuazione del progetto “Autostrade del Mare e intermodalità”.
Una componente importante del traffico passeggeri riguarda i croceristi (oltre 475.000 a fronte di 214 approdi), il cui
movimento è cresciuto notevolmente negli ultimi anni.
Decisivo anche l’incremento del traffico merci, che ha fatto registrare una crescita costante (oltre 6,6 milioni di tonnellate movimentate nel 2007), con un contributo determinante rispetto al totale delle merci dato dal traffico RO-RO
(da circa 4,9 milioni di tonnellate del 1996 a oltre 5,4 milioni di tonnellate del 2007). Per favorire l’intermodalità
del trasporto e il collegamento dell’ambito portuale con il
sistema autostradale risulta fondamentale il raccordo sulla direttrice nord-ovest, capace di garantire anche il rapido
collegamento del porto con le reti della grande viabilità dell’isola (strade di scorrimento veloce Palermo-Agrigento e
Palermo-Sciacca) e di decongestionare il traffico urbano
da quello commerciale in entrata e in uscita dal porto.
Con la finalità di ottimizzare l’utilizzo delle aree e delle strutture esistenti differenziando le scelte strategiche per lo sviluppo, sono stati avviati interventi di recupero e rifunzionalizzazione degli ambiti portuali, e introdotti nuovi servizi dedicati
al settore commerciale, al traffico passeggeri e crocieristico,
alle attività cantieristiche, al diporto nautico, nonché ad attività connesse all’uso urbano e alla fruizione del litorale.
Il traffico RO-RO, che registra un movimento consistente
di circa 2.300.000 passeggeri/anno, rende necessario l’adeguamento in tempi brevi dell’estremità nord della Banchina Puntone, il prolungamento di 40 m del Molo Santa Lucia in modo da adeguarne la lunghezza alle nuove dimensioni
delle navi in scalo nel porto, l’eliminazione di alcuni fabbricati inutilizzati che si affacciano sulla Calata Marinai
d’Italia e la realizzazione di un terminal in cui collocare servizi per passeggeri e operatori del settore (spazi commerciali, biglietterie, sale di attesa, punti di ristoro, uffici ecc.).
Sono previsti interventi per il completamento di alcune opere infrastrutturali e per la creazione di nuove aree per il settore della cantieristica, con l’obiettivo di concentrare le attività in una zona specifica, di riorganizzare le aree
retrostanti e di trasformare il bacino esistente in un piazzale operativo dedicato.
Il nuovo piano regolatore portuale prevede inoltre per la riqualificazione del waterfront urbano, il mantenimento del
Molo Sud e il collegamento con la Banchina Sammuzzo
per la creazione di una grande darsena dedicata al diporto
nautico, elemento di cerniera tra il porto e la città, mentre
le aree di maggior pregio storico-architettonico e paesaggistico, come il Molo Trapezoidale, l’area archeologica del
Castello a Mare e la Cala, saranno restituite alla fruibilità
pubblica. Ulteriori interventi finalizzati alla valorizzazione del fronte d’acqua riguardano il completamento degli
arredi portuali, l’ammodernamento del sistema di illuminazione e il rifacimento della pavimentazione.
Il porto è in grado di offrire servizi efficienti e diversificati per il settore delle crociere prevalentemente concentrati
nella Stazione Marittima, oggetto di interventi di recupero e di ammodernamento per quanto riguarda la struttura
architettonica e la distribuzione funzionale. La riconfigurazione degli ambiti esterni prevede l’installazione di nuove passerelle mobili (finger) per l’imbarco e lo sbarco dei
passeggeri e l’adeguamento degli accessi al terminal.
La necessità di creare nuove strutture tese a soddisfare le
esigenze crescenti del settore diportistico emerge dalla carenza di posti-barca e servizi per la nautica in ambito urbano. Per lo sviluppo economico e occupazionale del settore
sarà creato un piccolo distretto della nautica esteso dal Molo Trapezoidale al Molo Sud, intervento che si inserisce nel
più ampio programma di riqualificazione del waterfront urbano-portuale con la realizzazione del Porticciolo di Sant’Erasmo, grazie a un investimento pubblico-privato di 16,2
milioni di euro, e la destinazione della Banchina Piedigrotta e della Cala al diporto nautico.
Il waterfront
urbano-portuale
di Palermo
17
edilizia
ambiente
territorio
n. 30-34
2010
Reti marittime e gerarchie portuali in Europa:
un confronto tra Nord e Sud
Il confronto dei porti in Europa è stato oggetto di numerosi studi, in particolare in un contesto di integrazione
e di allargamento dell’Unione Europea, nonché di crescente globalizzazione, che costringe a ridefinire il ruolo dei porti nelle catene di trasporto a
differenti scale organizzative e spaziali. La gerarchia portuale europea
mostra tuttavia una certa stabilità nel
tempo in termini di concentrazione
del traffico,1 che si osserva allo stesso modo a livello di alcuni fronti, come nel Nord Europa da Le Havre ad
Amburgo.2 In paragone, il fronte del
Mediterraneo ha registrato una consistente concentrazione di traffico container negli anni ’90 in seguito allo
sviluppo degli hub di transhipment.3
La questione della suddivisione dell’Europa in diversi ambiti portuali diventa fondamentale quando si tratta
di mettere in evidenza alcune dinamiche differenti di evoluzione dei porti.
Per esempio, Lemarchand e Joly4 dimostrano che i porti del Nord operano in un sistema maggiormente integrato rispetto ai porti del Sud, dove
la discontinuità fisica e i contrasti nazionali sono più forti, e da cui derivano sistemi portuali più eterogenei.
Infatti, i grandi porti del Nord sono impegnati a servire il vasto entroterra
continentale,5 mentre i principali porti del Sud tendono a servire esclusivamente i mercati locali e regionali, a
causa di una limitata accessibilità ferroviaria verso l’interno6 e di un sostanziale vantaggio dei porti del Nord per
quanto riguarda la riduzione dei costi
del trasporto terrestre.
Una delle possibili strategie per i porti del Sud è di connettersi agli European Distribution Center (EDC) in modo
da capitalizzare la loro prossimità ai
mercati interni.7 Un’altra strategia è la
collaborazione dei porti limitrofi su un
fronte comune, e quindi la creazione di
cluster portuali in tutta l’Europa, ma soprattutto nel Sud.8 Queste tendenze si
possono riscontrare nella figura in basso, che illustra il maggior traffico e la
concentrazione in costante crescita nel
Nord, mentre nel Sud il traffico aumenta rapidamente, ma in quantità più limitate, e la concentrazione cresce in modo meno regolare, e tende addirittura a
diminuire negli ultimi anni.
Questa distinzione tra i porti del Nord
e i porti del Sud, anche se appare semplicistica, può essere sintetizzata nella
figura in alto nella pagina seguente. La
configurazione centro-periferica, tipica dell’Europa occidentale rispetto al
resto del mondo9 è piuttosto compromessa dallo spostamento del baricentro
europeo verso Est.10 I porti del Nordsono in concorrenza diretta per i servizi
ai mercati relativamente concentrati. La
distanza reciproca dei porti meridionali in rapporto a questa funzione continentale si ritrova in particolare in alcuni indicatori di performance portuale
elaborati di recente. Ad esempio, l’indice di diversità del traffico portuale,
sulla base di sedici categorie di prodotti, mostra in Europa una correlazione
relativamente marginale con il volume
totale di traffico.11
Oltre a Rotterdam, porto principale
e maggiormente diversificato, sono
numerosi i porti del Sud con un traf-
18
0,90
0,80
50.000.000
0,70
40.000.000
0,60
0,50
30.000.000
0,40
0,30
20.000.000
0,20
10.000.000
0,10
0
0,00
1970
1975
1980
Mediterraneo
1985
Europa del Nord
1990
1995
Mediterraneo
2000
Europa del Nord
2005
Concentrazione di traffico (Gini)
Ripartizione e
concentrazione del
traffico container
in Europa (sulla
base del
Containerisation
International
Online)
Traffico container (EVPs)
60.000.000
fico molto diversificato, aspetto dovuto al loro ruolo locale di servizio di
una grande regione urbana costiera. I
porti del Sud hanno inoltre un indice
di diversità di occupazione nel trasporto più elevato che al Nord, per le stesse ragioni: il porto si inserisce in una
città multifunzionale, mentre al Nord
le città costiere sono spesso altamente specializzate.12 Per contro, il grado
di integrazione verticale dei porti del
Nord è molto più elevato rispetto al
Sud, dove la catena del trasporto risulta segmentata e solitamente gestita da
piccole imprese o da imprese pubbliche che operano in un unico sistema di
trasporto, mentre i porti settentrionali
sono inseriti in reti di operatori intermodali e logistici transnazionali, come evidenzia la figura in alto nella pagina seguente.13
Ovvero, i porti in quanto luoghi di
trattamento delle merci non sono più
necessariamente al centro delle catene logistiche. Il cambiamento delle attività definite “ausiliari” (immagazzinamento, stoccaggio, conservazione)
corrisponde a una fase di regionalizzazione dei porti per i mercati serviti.14 Si può notare sulla mappa che la
gerarchia degli spedizionieri e degli
operatori logistici controlla il tessuto
della città, con un aumento significativo nei confini nazionali e nelle zone
tampone come la Svizzera, che si colloca nel crocevia logistico europeo. Se
gli interventi sulla connessione dei porti con il loro hinterland sono molteplici, minori sono gli sforzi per lo studio
dei collegamenti marittimi.
Lo studio delle connessioni marittime dei porti in geografia rimane un
campo di ricerca relativamente minore rispetto alle analisi condotte sui
porti stessi o sull’hinterland terrestre,
sull’intermodalità, sulla relazione città-porto ecc. Ma una recente valutazione proposta da Fremont15 sull’integrazione del trasporto marittimo
nella catena di trasporto tende a confermare la specificità dello spazio marittimo dal punto di vista economico
e geografico. Nonostante un concetto largamente condiviso sulle catene
di valore globale e logistico in cui il
segmento marittimo e i porti non risulterebbero che un elemento tra gli
edilizia
ambiente
territorio
n. 30-34
2010
Fronte Nord
Mare del Nord
Asimmetria Nord/Sud
Est/Ovest
Mar Baltico
Nord
America
Modello centro/periferia
Rete di trasporto aereo
delle metropoli portuali
Funzioni portuali
Oceano
Atlantico
Funzioni urbane
Percorso strategico
Funzioni di hub
Mar
Nero
Sviluppo e declino
economico
Reti terrestri
Med.
Occidentale
Med.
Orientale
Asia
altri,16 le compagnie di navigazione
mantengono il primato nella decisione
in merito alla selezione delle rotte. Si
ipotizza che ne derivi un interesse evidente verso una migliore comprensione
del modo in cui i porti si inseriscono in
questo sistema (cfr. figura in basso).
A tal fine, si propone di ampliare la
dimensione metodologica del problema: come valutare il modo in cui i
porti si inseriscono nelle reti marittime? È possibile considerare le reti
marittime come gli altri sistemi strettamente fisici (rete stradale, linea ferroviaria)? Per questo vengono utilizzati degli indicatori sintetici di stato,
misurati rispetto a due anni-chiave
nell’evoluzione recente delle reti container: il 1996, anno di inizio di una
fase di forte crescita delle dimensioni delle navi porta-container; il 2006,
che segna il culmine di questa tendenza qualche anno prima della crisi finanziaria internazionale, che sembra
aver rimesso in discussione la dinamica in questione.17 Si propone pertanto, attraverso l’applicazione di metodi di analisi spaziale e della teoria
Amburgo
Rotterdam
Anversa
Interfaccia terra/acqua
Feedering
Spostamento del
baricentro europeo
Rotte marittime
principali
dei grafi, di mettere in evidenza alcune caratteristiche specifiche relative
alla situazione dei porti in un sistema
marittimo dato, al fine di comprendere meglio la concorrenza e la complementarità in gioco con riferimento ai
soli dati ufficiali del traffico.
La seconda parte passa rapidamente in
rassegna gli studi sui collegamenti marittimi e introduce la fonte e il metodo utilizzato per ricostruire, a partire
dai movimenti delle navi, le reti marittime europee. La terza parte punta a
descrivere la gerarchia portuale, misurata attraverso degli indicatori di centralità, e la rispettiva struttura delle reti settentrionali e meridionali. La quarta
parte applica l’algoritmo dei flussi
maggiori alle reti di connessione diretta e indiretta per affinare l’analisi delle gerarchie attraverso l’individuazione di regioni marittime funzionali. In
conclusione vengono proposti alcuni
elementi di discussione per quanto riguarda il contributo di questa ricerca
allo studio comparativo delle dinamiche portuali e territoriali europee.
L’analisi comparata dei
collegamenti marittimi
Dopo gli studi pionieristici di Weigend 18 su Amburgo, di Britton 19 sull’Australia, di Bird 20 e Von SchirachSzmigiel 21 sul Regno Unito, pochi
geografi hanno mostrato interesse per
le connessioni marittime dei porti,
spesso date per scontate e difficilmente configurabili al pari delle reti terrestri. Si può citare, tuttavia, il concetto di “trittico portuale” proposto da
Vigarié .22 Occorre attendere Joly,23
Frémont e Soppé 24 perché venga proposto un approccio realmente metodologico alle reti marittime interna-
zionali. Infatti, la comunità scientifica interessata alla containerizzazione
e alla sua dimensione geografica si
concentra essenzialmente su considerazioni teoriche o su dati puntuali relativi al traffico portuale, in mancanza
di informazioni precise e comparabili
sui collegamenti marittimi portuali. Alcune analisi sono riuscite a dimostrare brillantemente la struttura gerarchica di alcune regioni, come i Caraibi,25
ma anche il Mediterraneo.26
Questo articolo propone di riprendere e affinare alcuni risultati recenti ottenuti a partire dall’analisi dei porti
dell’Asia nord-orientale.27 È stato possibile indicare, attraverso la ricostruzione di una rete marittima di interesse, la
posizione dei porti all’interno della
stessa e i mutamenti nell’ambito geografico limitrofo registrati nel corso
degli anni. Dai risultati emerge senza
dubbio l’influenza delle politiche locali e nazionali, combinata con quella delle principali evoluzioni geopolitiche e macro-economiche. In ultima
analisi, i metodi della teoria dei grafi
permettono una maggiore comprensione, rispetto al solo traffico portuale, del
modo in cui i porti si inseriscono nelle reti marittime, in base a un livello di
“robustezza” e di “vulnerabilità” da definire e interpretare in funzione dei
contesti specifici. Non si può ignorare, tuttavia, che le logiche geografiche
di strutturazione delle linee containerizzate non coincidono necessariamente in modo netto con lo schema
delle relazioni commerciali.
La fonte utilizzata in questo articolo è
il database internazionale del Lloyd’s
Marine Intelligence Unit (LMIU)28 sui
movimenti giornalieri delle navi portacontainer a pieno carico. Rappresenta
quasi la totalità della flotta mondiale di
questa tipologia di navi (98% di TEU)
e circa il 12% in DWT 29 della flotta totale di navi di tipologie combinate.
Il metodo utilizzato prende in considerazione due porti collegati in modo diretto se si trovano giustapposti lungo il
percorso di una nave data, e, in modo
indiretto, se sono separati da scali intermedi nell’ambito del percorso di una
stessa nave. Successivamente le capacità delle navi sono addizionate per
ogni connessione inter-portuale e per
ciascun porto al termine di un anno di
movimenti, nel 1996 e nel 2006; questo permette di operare su una rete stabilita, ma che si considera non orientata per maggiore semplicità.
Organizzazione
spaziale del
continente
europeo e
situazione del
fronte Nord
Ripartizione degli
spedizionieri e
degli operatori
logistici
19
edilizia
ambiente
territorio
n. 30-34
2010
Struttura delle reti
container
20
no in corso alcuni studi per verificare
l’applicabilità di queste dinamiche all’evoluzione delle reti container.31
I risultati ottenuti per ogni regione
confermano in modo evidente che la
distribuzione dei “gradi” corrisponde
a delle reti a invarianza di scala: il coefficiente di determinazione è molto
significativo (circa 0,8) e, soprattutto, l’esponente della linea di regressione è sempre al di sopra del valore
“1”, il che dimostra l’esistenza di una
legge di potenza. Questo conferma
Tabella 1 – Confronto delle reti marittime
Nord Europa
1996 (c)
2006 (d)
Numero
dei porti (a)
Numero delle
connessioni (b)
188
Densità della rete
(b/a)
Mediterraneo e Mar Nero
1996
2006
212
Evoluzione
(d/c)
1,13
127
180
Evoluzione
(d/c)
1,42
703
967
1,37
673
1.204
1,79
3,74
4,56
1,22
5,30
6,68
1,26
quella di avere una distribuzione dei
gradi prossima a una legge di potenza
(power law). Questo implica che un numero limitato di porti domina la rete,
mentre la probabilità per i “nuovi in ingresso” di rimanere polarizzati da questi hub dominanti è molto elevata. So-
una proprietà specifica delle reti marittime containerizzate, particolarmente gerarchizzate intorno ad alcuni poli dominanti, che non necessariamente
interessa altri tipi di servizi marittimi.
La rete del Nord Europa è molto più
gerarchizzata rispetto a quella del Me-
Tabella 2 – Concentrazione delle performance portuali (Gini)
Nord Europa
Mediterraneo e Mar Nero
1996
2006
1996
2006
Grado
0,53
0,53
0,54
0,53
Centralità
0,84
0,84
0,74
0,74
Traffico
0,93
0,93
0,82
0,84
Europa del Nord 1996
Numero totale dei porti
Mediterraneo 1996
Numero totale dei porti
Grado (numero delle connessioni)
Grado (numero delle connessioni)
Mediterraneo 2006
Europa del Nord 2006
Numero totale dei porti
Il metodo consente di proporre alcune misure di centralità dei porti nell’ambito della rete. In particolare, il
“grado” è il numero di connessioni
(dirette e/o indirette) di ciascun porto con gli altri, mentre la “centralità
di intermediarità” è la somma dei percorsi più brevi attraverso un porto all’interno della rete. Il grado è quindi
una misura “locale”, che riflette l’attitudine di alcuni porti di dominare gli
altri, mentre la centralità è una misura più “globale” assimilabile all’accessibilità alla scala vasta della rete
nel complesso.
Un primo elemento di confronto è fornito nella tabella 1, con il numero di
porti e di connessioni inter-portuali di
ciascuna regione nel 1996 e nel 2006.
La crescita risulta maggiore nel Sud
per tutti gli indicatori, compreso il numero di collegamenti, così come il numero di porti e la densità della rete.
Questo conferma la maggiore stabilità del sistema portuale del Nord rispetto al Sud.
Gli indicatori della performance portuale mostrano in effetti che la gerarchia portuale delle due regioni non è
mutata particolarmente nel corso dell’ultimo decennio a livello globale (tabella 2). Il grado è il meno gerarchico degli indicatori, in quanto non
include il volume di traffico o la posizione nel sistema della rete. La centralità è in effetti maggiormente concentrata in un numero limitato di porti
in posizione dominante. Il grado ha
un livello di concentrazione simile a
Nord e a Sud, ma la centralità e il traffico sono più concentrati al Nord. Si
tratta di un risultato piuttosto sorprendente, rispetto alla letteratura sui porti europei che descrive il Mediterraneo come il luogo per eccellenza della
concentrazione portuale. Solo il traffico totale ha registrato un lieve incremento della concentrazione nel Mediterraneo, mentre il grado e la
centralità si sono mantenuti ovunque
stabili da un punto di vista della distribuzione dei valori. Tuttavia, questi risultati non significano che non si
sia verificato alcun cambiamento per
quanto riguarda la gerarchia portuale. L’apparente stabilità può mascherare importanti mutamenti a livello di
geografia dei flussi. In altre parole, la
concentrazione può aver modificato
la localizzazione, pur rimanendo equi-
valente in termini di differenze tra valori alti e valori bassi.
Un altro elemento di confronto è presentato nella figura in basso nella pagina precedente, finalizzata a verificare in quale misura le rispettive reti
corrispondono a delle reti a invarianza
di scala (scale-free networks). Questo
determina conseguenze rilevanti in termini di strategia e di evoluzione portuale, in quanto secondo i teorici di tali leggi di organizzazione,30 una rete a
invarianza di scala ha come proprietà
Numero totale dei porti
Gerarchie portuali e struttura
della rete
Grado (numero delle connessioni)
Grado (numero delle connessioni)
edilizia
ambiente
territorio
n. 30-34
2010
diterraneo, come risulta nella tabella 2.
Tuttavia, l’evoluzione del contesto dimostra che il sistema mediterraneo è
orientato verso un rafforzamento della
gerarchia (1,0013-1,0132), mentre nel
Nord Europa la rete si “allenta” in modo più netto (1,2082-1,1553). Si può
quindi ipotizzare che lo sviluppo di hub
nel Mediterraneo ha effettivamente reso la struttura della rete maggiormente gerarchizzata, mentre al Nord sembra
aver avuto luogo un fenomeno di decentramento, come dimostrano gli studi di
Hayuth 32 sugli Stati Uniti e di Notteboom 33 sull’Europa in generale.
Infine, la distribuzione geografica della centralità dei porti nell’ambito delle
loro rispettive reti è un buon metodo
per valutare dove si sono verificati sostanziali cambiamenti, e se l’approccio “rete” è coerente con le ricerche
esistenti in materia di dinamiche del
traffico (figura in basso nella pagina
precedente).34 Nel 1996, Amburgo e
Rotterdam risultano due poli dominanti per il Nord Europa, con una
maggiore concentrazione in questa regione rispetto al Mediterraneo. Tra i
principali porti solitamente classificati
in base al traffico non risulta Le Havre, ma questo si spiega con la sua posizione di primo porto in entrata e in
uscita dal corridoio Manica/Mare del
Nord, che lo colloca in posizione periferica rispetto a questa analisi di centralità. Questo aspetto tende a incre-
risultano mal posizionati, nonostante il
loro traffico rilevante.
Nel 2006, appaiono evidenti alcuni
cambiamenti significativi. Come si osserva nella figura della pagina 23, le
differenze di centralità sono minori al
Nord, compresa la migliore posizione di Dublino, Zeebrugge, Bremerhaven, Klaipeda, Riga e San Pietroburgo
all’interno della rete, confermando in
questo modo alcune fasi teoriche dello sviluppo (peripheral port challenge) e lo spostamento del baricentro europeo verso Est. Altri porti, tuttavia,
hanno perso terreno: Liverpool, Lon-
mentare il divario tra i porti del fronte
Nord, a partire da valori relativamente
secondari di Anversa e di Bremerhaven, per esempio. Amburgo e Rotterdam esercitano dunque una forte polarizzazione in questo ambito geografico.
Nel Mediterraneo e nel Mar Nero, il
primo polo risulta il Pireo, ma è evidente che le differenze di centralità non sono così pronunciate come al Nord: Izmir, Genova, Odessa, La Spezia o
ancora Beirut, Salonicco, Gioia Tauro
e Algeciras sono relativamente prossimi. Tuttavia, i porti del fronte occidentale (Valencia, Barcellona, Marsiglia)
Tabella 3 – Grado e centralità dei dieci porti principali
Regione
Posizione
Nord Europa
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Mediterraneo
e Mar Nero
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Grado
1996
Mediterraneo e Mar Nero
2006
1996
2006
Amburgo
Amburgo
Amburgo
Amburgo
Rotterdam
Rotterdam
Rotterdam
Rotterdam
Bremerhaven Bremerhaven Bremerhaven Bremerhaven
Felixstowe
Anversa
Anversa
Wismar
Anversa
S. Pietroburgo Felixstowe
S. Pietroburgo
Aarhus
Felixstowe
Londra
Riga
Göteborg
Riga
Riga
Anversa
Oslo
Kotka
Kaliningrad
Felixstowe
Gdynia
Aarhus
Oslo
Amsterdam
Zeebrugge
Klaipeda
Gdynia
Flushing
Pireo
Izmir
Gioia Tauro
Salonicco
Beirut
Damietta
Marsaxlokk
Alexandria
Mersin
Genova
Gioia Tauro
Marsaxlokk
Izmir
Ambarli
Pireo
Barcellona
Valencia
Taranto
Genova
Cagliari
Pireo
Izmir
Genova
Beirut
Kherson
Salonicco
Gioia Tauro
Algeciras
Damietta
Leghorn
Gioia Tauro
Marsaxlokk
Ambarli
Izmir
Barcellona
Valencia
Ravenna
genova
Varna
Pireo
Centralità dei porti
europei, 1996
(sinistra) e 2006
(destra)
Centralità di intermediarità
Numero delle posizioni sui
percorsi più brevi possibile
nell’ambito della rete
Centralità di intermediarità
Numero delle posizioni sui
percorsi più brevi possibile
nell’ambito della rete
21
edilizia
ambiente
territorio
n. 30-34
2010
dra, Bristol, Oslo, Aarhus, Göteborg. Il
mutamento quindi non risulta vantaggioso per tutti i porti. Nel Mediterraneo
e nel Mar Nero, si osservano molteplici concentrazioni di diversa natura:
quella del fronte occidentale (Valencia, Barcellona, Marsiglia-Fos), la polarizzazione degli hub (Marsaxlokk,
Gioia Tauro, Cagliari), e il rafforzamento di nuovi attori (Maghreb, Romania,
Bulgaria, Turchia). Il Pireo non risulta più il porto di maggior centralità del
bacino, ma segue Izmir e Ravenna.
La regionalizzazione
delle reti marittime
Principali flussi e
regioni nodali
(Nord Europa,
1996)
22
L’osservazione della struttura della rete da un lato e della gerarchia dei porti
d’altro non è sufficiente per comprendere come i porti risultano geograficamente collegati tra loro. La
questione “chi domina chi, e dove?”
è infatti fondamentale in un contesto
di concorrenza portuale esacerbata,
e alla luce delle dinamiche di regionalizzazione degli ambiti marittimi
in risposta alle dinamiche continentali e locali.35 Tale analisi fa riferimento in particolare a studi recenti
sui collegamenti marittimi della Corea del Nord, che hanno registrato
un’elevata specializzazione regionale,36 e al concetto di foreland-based
regionalization proposto da Rodriguez e Notteboom37 che descrive il
nuovo ruolo degli hub di transhipment nella ricomposizione delle catene di trasporto multimodali e la polarizzazione regionale dei flussi.
L’intercettazione dei flussi di container dovrebbe rivelare quali sono i poli e i loro satelliti, secondo i metodi
convenzionali di analisi spaziale come l’algoritmo dei “flussi maggiori”.38
Questo metodo viene qui applicato per
verificare l’estensione geografica della zona di influenza dei grandi porti
nell’ambito della loro regione “nodale”. Ogni regione nodale deriva dalla
suddivisione dell’intera rete per semplificazione: in effetti l’algoritmo
mantiene solo i flussi principali (maggiori connessioni di traffico) tra i porti. Il risultato permette, nel caso di
flussi interurbani, di rivelare in qualche modo la struttura urbana di una
determinata regione. Nel caso dei porti, è possibile interpretare i risultati in
termini di sistemi portuali sottostanti
dominati da qualche hub. In questo articolo, il metodo viene applicato all’insieme dei flussi interportuali, quindi ai
flussi diretti e indiretti (ossia agli scali intermedi), mentre le analisi precedenti consideravano esclusivamente i
flussi diretti da porto a porto. Il vantaggio di includere i flussi indiretti è
dato da una maggiore attinenza alla realtà del trasporto marittimo di linea,
spesso caratterizzato da cicli garantiti
da una stessa nave (servizi loop e pendulum). Ogni segmento interportuale
è valutato in base alla somma della capacità delle navi transitate al termine
di un anno di movimenti.
L’analisi è complessiva: aggrega infatti indifferentemente i flussi locali e i
flussi internazionali nella matrice origine-destinazione risultante. Ulteriori
analisi potrebbero eventualmente reiterare l’algoritmo su diversi campioni
di navi, a partire dalla loro capacità (soglia dimensionale per esempio: navi
feeder, panamax, over-panamax ecc.)
o dalla loro influenza geografica (intraregionale, inter-regionale ecc.).
I risultati sono riportati, rispetto ai due
anni e per regione, nelle figure di queste pagine (Nord Europa) e di quelle
successive (Mediterraneo e Mar Nero). La dimensione dei nodi è equivalente al volume di traffico, mentre la
loro posizione non è “geografica”: dipende da associazioni preferenziali all’interno della rete, essendo i porti
maggiormente centrali posizionati nel
mezzo della figura e i meno centrali in
periferia. Questa scelta di rappresen-
tazione è necessaria data la sovrapposizione geografica di alcune regioni
nodali, che rendono complessa la lettura dei risultati su una mappa bidimensionale convenzionale.
La struttura della regione del Nord è
ancora una volta relativamente simile
in relazione ai due anni presi in esame
nello studio. Rotterdam e Amburgo dominano ampiamente nel complesso il
numero dei loro “satelliti” (ossia i porti la cui connessione principale è ad essi attribuita), il secondo prevale sul primo nel 2006, fenomeno che può essere
attribuito allo spostamento verso Est
del baricentro europeo, di cui Amburgo beneficia in maggior misura mediante una strategia ambiziosa basata
su flussi intermodali di container, in
particolare su rotaia.39
L’espansione dei porti baltici si ritrova di conseguenza nel caso di Amburgo, che è il loro hub verso il resto del
mondo. Infatti, nel 1996 il bacino di
influenza di Amburgo nei flussi marittimi di container copre l’intero territorio Scandinavia-Baltico, e si estende inoltre a numerosi porti olandesi
(ad esempio Amsterdam, Terneuzen).
Anche Rotterdam spicca in questo ambito geografico, ma la sua competenza riguarda piuttosto le isole britanniche e la Francia, i cui porti sono sotto
la sua influenza predominante. Anche
Liverpool, che sembra possedere una
certa autonomia all’interno di una sub-
Anversa
Dublino
Rotter
dam
Amb
urgo
edilizia
ambiente
territorio
n. 30-34
2010
regione con Hallstavik (Svezia), si ritrova sotto l’influenza di Rotterdam attraverso Zeebrugge, secondo il principio di transitività,40 in base al quale
i livelli nodali sono gerarchicamente
correlati tra loro attraverso le ramificazioni della rete. Molti dei porti principali risultano quindi sotto il controllo di questi due “giganti”, come
Anversa, Bremerhaven, Le Havre e
Felixstowe, non avendo puntato su
questa funzione di redistribuzione dei
flussi ma operando per lo più come
porti di hinterland in modo esclusivo.
Rotterdam ha in effetti adottato ufficialmente una strategia simile con il
suo terminal dedicato al trasporto marittimo di breve distanza (short-sea
shipping terminal). Nel 2006, le specializzazioni geografiche osservate in
precedenza risultano ancora valide.
Tuttavia Amburgo, aumentando il numero dei suoi “satelliti” ha anche diversificato la propria area di influen-
za, che si estende ora ai porti inglesi,
pur risultando questi ultimi degli scali relativamente minori (Teignmouth,
Keadby, Queenborough, Leith, Perth,
Rochester, Sheerness, Barrow on
Humber, North Killingholme ecc.).
La posizione degli altri grandi porti
sul fronte Nord non è cambiata molto, ad eccezione della composizione
dell’area di influenza di Anversa, che
è slittata dalla Scandinavia verso le
isole britanniche e la Francia. Rotterdam possiede quindi un bacino di attrazione ridotto rispetto al 1996, e questo nonostante una crescita generale
della rete. Un altro cambiamento notevole, che comunque non altera in modo sostanziale la struttura complessiva,
è l’individualizzazione di due regioni
nodali, centrate su Rostock/Wismar
(Regione Baltica) da un lato e su Bergen/Stavanger (Norvegia) dall’altro. È
possibile attribuire questo aspetto allo
sviluppo di servizi a breve distanza, es-
Anversa
Amb
urgo
Dublino
sendo Rostock un porto rilevante anche da questo punto di vista.
Cosa accade, in paragone, nel Sud
dell’Europa? In primo luogo, la struttura complessiva differisce profondamente in quanto a partire dal 1996 si
distinguono numerose sub-regioni,
mentre al Nord, una sola regione è (e
resta) polarizzata da Rotterdam e da
Amburgo. Questa distinzione nel 1996
è fortemente caratterizzata dalla suddivisione in due grandi bacini: il quartetto Pireo/Kherson/Izmir/Beirut polarizza il Mediterraneo orientale e il
Mar Nero, mentre l’insieme Barcellona/Valencia/Genova/Algeciras/Gioia Tauro/Marsaxlokk polarizza il Mediterraneo occidentale; questo risponde
alla questione di Foschi 41 sulla pertinenza di una divisione Est/Ovest del
Mediterraneo da un punto di vista marittimo. Si possono distinguere altre
due regioni di minore dimensione: Damietta/Limassol e Larnaca/Trieste, ciascuna con un’influenza più o meno
specializzata dal punto di vista geografico. Il ruolo centrale del Pireo è da attribuire sia alla diversità geografica del
suo raggio di azione che interessa i porti dell’intero bacino, sia alla transitività della sua influenza. In confronto, Izmir è particolarmente specializzato
nella captazione dei porti turchi. Appare evidente la specializzazione francese di Barcellona e magrebina di Algeciras, non mostrando altri hub
un’equivalente consistenza. Una questione interessante in termini di sviluppo dei porti all’interno della rete è quella di comprendere in che modo la
diversità o la specializzazione dei loro
ambiti di influenza costituiscono un
elemento di forza o di debolezza in
funzione della loro progressione nella gerarchia portuale.
Nel 2006 i risultati mostrano un’interessante evoluzione da questo punto
di vista. Il Pireo è ancora al centro di
una regione nodale principalmente rivolta verso il Mediterraneo orientale
e il Mar Nero, mentre Izmir, in precedenza altamente specializzato sui porti turchi, ha perso terreno in modo
consistente a favore di Ambarli, più
prossimo alla regione della capitale
(Istanbul) e che possiede inoltre un
maggior numero di “satelliti” rispetto al Pireo. Due regioni si sono evolute secondo logiche diverse: quella dei
tre hub di Gioia Tauro/Algeciras/Cagliari basata sul transhipment e quella del Mar Nero occidentale di Con-
Principali flussi
e regioni nodali
(Nord Europa,
2006)
23
Algeri
edilizia
ambiente
territorio
n. 30-34
2010
Genova
Principali flussi e
regioni nodali
(Mediterraneo e
Mar Nero, in alto
1996, in basso
2006)
Tutte le figure
sono state
realizzate
dall’autore
stanza/Varna/Yeisk fondata sulla creazione di un fronte portuale a vocazione continentale. Infine, Barcellona,
Valencia e Genova continuano ad appartenere alla stessa regione nodale,
connessa a Marsaxlokk/Algeri/Nemrut Bay piuttosto orientata verso la polarizzazione del Maghreb, ma in estensione anche verso il Mar Nero attraverso
il porto di Azov. Pertanto, la suddivisione del 2006 risulta molto meno
geografica rispetto al 1996, come già
sottolineato da Foschi 42 nella sua critica alle ripartizioni arbitrarie del Mediterraneo, anche se alcune logiche di
prossimità risultano sempre evidenti e
continuano a determinare le relazioni
interportuali. In ogni caso, la struttura
nodale dell’Europa marittima meridionale rimane prevalentemente policentrica rispetto a quella del Nord.
Barcellona
Tartous
Pireo
Costanza
Conclusioni
Lo studio della struttura delle reti marittime container dell’Europa settentrionale e meridionale consente in primo luogo di descrivere meglio la
gerarchia portuale, spesso riferita esclusivamente al traffico. Quest’ultimo è il
risultato di una situazione più o meno
“forte” in una rete, anche se i due elementi non sempre coincidono, come è
emerso nel caso di Le Havre e di Anversa, la cui centralità rimane piuttosto
moderata in relazione al tonnellaggio
annuale realizzato altrove. La situazione dei porti all’interno della rete mette in evidenza la funzione di ridistribuzione del flusso, che risulta di minor
rilievo per i porti strettamente dell’hinterland. Questo spiega il predominio di
Amburgo e di Rotterdam al Nord, che
fungono da piattaforme inevitabili per
il transito dei flussi europei nel Nord
Europa e nel resto del mondo.
L’articolo ha consentito di evidenziare una differenza sostanziale tra Nord
e Sud: la struttura prevalentemente
policentrica delle reti marittime meridionali che, pur essendo anch’esse
ugualmente polarizzate da qualche
grande porto (Pireo, Barcellona), conserva una certa stabilità nel tempo nonostante l’emergere di hub per il transhipment e la rilevante polarizzazione
che esercitano sull’intero bacino del
Mediterraneo. Porsi la questione di
quale struttura risulti più sostenibile
è inutile, in quanto l’architettura delle reti marittime riflette prima di tutto
le economie servite: un’Europa del
Nord maggiormente integrata e un’Eu-
24
Pireo
Barcellona
Genova
edilizia
ambiente
territorio
n. 30-34
2010
ropa del Sud più frammentata. In questa differenziazione, la geografia fisica acquista lo stesso peso di fattori
culturali, storici, economici e politici. Il seguito di questo lavoro dovrebbe porre maggiormente l’accento sul-
l’interazione di tali sistemi marittimi
con le reti terrestri, prendendo in considerazione l’estensione dell’analisi ad
altri anni (ad esempio 1986, 1991,
2001, 2010) e il confronto con altre regioni marittime interessate da un’evo-
luzione simile (bacino dei Caraibi, Mediterraneo asiatico). L’analisi separata delle connessioni marittime europee tra Nord e Sud potrebbe anche
rivelarsi un campo di ricerca fecondo.
César Ducruet
Note
T.E. Notteboom, Concentration and load centre development in the European container port system, «Journal of Transport
Geography» 5(2), 1997, pp. 99-115
2
A. Frémont e M. Soppé, Port concentration, shipping line concentration and port hierarchy. The example of the Northern European
range, in: J.J. Wang, D. Olivier, T. Notteboom e B. Slack (eds.) Ports, Cities, and Global Supply Chains, Ashgate, Aldershot, 2007
3
Ridolfi, Containerisation in the Mediterranean: Between global ocean routeways and feeder services, «Geojournal» 48(1), 1999, pp. 29-34;
J. Zohil e M. Prijon, The MED rule: the interdependence of container throughput and transshipment volumes in the Mediterranean
ports, «Maritime Policy and Management» 26(2), 1999, pp. 175-193; Fageda, Load centres in the Mediterranean port range: ports
hub and ports gateway, 40th Congress of the European Regional Science Association, Barcellona, Spagna, 29 agosto-1 settembre
2000; Foschi, The maritime container transport structure in the Mediterranean and Italy, e-papers del Dipartimento di Scienze
Economistiche, Università di Pisa, Discussion Paper 24, 2003
4
A. Lemarchand e O. Joly, Regional integration and maritime range, in T.E. Notteboom, C. Ducruet e P.W. De Langen (Eds.), Ports in
Proximity: Competition and Coordination Among Adjacent Seaports, Aldershot, Ashgate, 2009
5
C. Rozenblat (Ed.), Comparer les Villes Portuaires en Europe, Maison de la Géographie, Montpellier, 2004
6
E. Gouvernal, J. Debrie e B. Slack, Dynamics of change in the port system of the Western Mediterranean, «Maritime Policy and
Management» 32(2), 2005, pp. 107-121
7
C. Ferrari, F. Parola e E. Morchio, Southern European ports and the spatial distribution of EDCs, «Maritime Economics and Logistics»
8(1), 2006, pp. 60-81
8
T.E. Notteboom, Complementarity and substitutability among adjacent gateway ports, «Environment and Planning A» 41(3), 2009,
pp. 743-762
9
S.W. Lee, D.W. Song e C. Ducruet, A tale of Asia’s world ports: The spatial evolution in global hub port cities, «Geoforum» 39, 2008,
pp. 372-385
10
M. Brocard, Les contradictions des politiques européennes: politiques des transports et d’aménagement du territoire, 29ème Congrès
de l’Union Géographique Internationale, Seul, Corea del Sud, 13-18 agosto 2000
11
C. Ducruet, H.R.A. Koster e D.J. Van der Beek, Commodity variety and seaport performance, Regional Studies, in corso di stampa, 2010
12
C. Ducruet e S.W. Lee, Measuring intermodalism at European port cities: An employment-based study, «World Review of Intermodal
Transport Research» 1(3), 2007, pp. 313-334
13
C. Ducruet, e M.R. Van der Horst, Transport integration at European ports: Measuring the role and position of intermediaries,
«European Journal of Transport and Infrastructure Research» 9(2), 2009, pp. 121-142
14
H.A. Van Klink, The port network as a new stage in port development: The case of Rotterdam, «Environment and Planning A» 30(1),
1998, pp. 143-160; T.E. Notteboom e J.P. Rodrigue, Port regionalization: towards a new phase in port development, «Maritime Policy
and Management» 32(3), 2005, pp. 297-313
15
A. Frémont, Intégration, non-intégration des transports maritimes, des activités portuaires et logistiques: quelques évidences empiriques, OECD Working Paper, 2009
16
R. Robinson, Ports as elements in value-driven chain systems: the new paradigm, «Maritime Policy and Management» 29(3), 2002,
pp. 241-255
17
G. De Monie, J.P. Rodrigue e T.E. Notteboom, Economic cycles in maritime shipping and ports: The path to the crisis of 2008,
International Workshop on Integrating Maritime Transport in Value Chains, Montreal, 9-12 giugno 2009
18
Weigend, Some elements in the study of port geography, «Geographical Review» 48, 1958, pp. 185-200
19
J.N.H. Britton, Coastwise external relations of the ports of Victoria, «The Australian Geographer» 9, 1965, pp. 269-281
20
J. Bird, Traffic flows to and from British seaports, «Geography» 54, 1969, pp. 284-301
21
C. Von Schirach-Szmigiel, Trading areas of the United Kingdom ports, «Geografiska Annaler» 55B, pp. 71-82, 1973
22
A. Vigarié, Ports de Commerce et Vie Littorale, Hachette, Parigi, 1979
23
O. Joly, La Structuration des Réseaux de Circulation Maritime, Thèse de Doctorat en Aménagement du Territoire, Le Havre, Université
du Havre, 1999
24
Frémont e Soppé, 2007
25
R.J. McCalla, B. Slack e C. Comtois, The Caribbean basin: Adjusting to global trends in containerization, «Maritime Policy and
Management» 32, 2005, pp. 245-261
26
D. Cisic, P. Komadina e B. Hlaca, Network analysis applied to Mediterranean liner transport system, International Association of
Maritime Economists (IAME) Conference, Atene, Grecia, 4-6 luglio 2007
27
C. Ducruet, S.W. Lee e K.Y.A. Ng, Centrality and vulnerability in liner shipping networks: revisiting the Northeast Asian port hierarchy,
«Maritime Policy and Management» 37(1), 2010, pp. 17-36
28
www.lloydsmiu.com
29
Misure della capacità delle navi: Twenty Foot Equivalent Unite (TEU) e Dead-Weight Tonnage (DWT)
30
A.L. Barabasi e R. Albert, Emergence of scaling in random networks, «Science» 286(5439), 1999, pp. 509-512
31
C. Ducruet, T.E. Notteboom, A. Banos, D. Ietri e C. Rozenblat, Structure and evolution of liner shipping networks, International
Association of Maritime Economists (IAME) Conference, Lisbona, Portogallo, luglio 2010
32
Y. Hayuth, Rationalization and deconcentration of the U.S. container port system, «The Professional Geographer» 40(3), 1988, pp. 279-288
33
T.E. Notteboom, Concentration and load centre development in the European container port system, «Journal of Transport
Geography» 5(2), 1997, pp. 99-115
34
Vedere la tabella 3 per un quadro di valutazioni principali
35
A. Vallega, Fonctions portuaires et polarisations littorales dans la nouvelle régionalisation de la Méditerranée, quelques réflexions,
1976, pp. 355-367 in: Villes et Ports, Développement Portuaire, Croissance Spatiale des Villes, Environnement Littoral, «2nd Colloque
Franco-Japonais de Géographie», 25 settembre-8 ottobre 1978, n. 587, CNRS, p. 595
36
C. Ducruet, Hub dependence in constrained economies: The case of North Korea, «Maritime Policy and Management», 35(4), 2008,
pp. 374-388
37
J.P. Rodrigue e T.E. Notteboom, Foreland-based regionalization: Integrating intermediate hubs with port hinterlands, Research in
Transportation Economics, in corso di stampa, 2010
38
J.D. Nystuen e M.F. Dacey, A graph theory interpretation of nodal regions, «Papers in Regional Science» 7(1), 1961, pp. 29-42
39
J. Debrie, E. Eliot e M. Soppé, Un modèle transcalaire des nodalités et polarités portuaires: exemple d’application au port de
Hambourg, «Mappemonde» 79(3), 2005
40
Nystuen e Dacey, 1961
41
Foschi, The maritime container transport structure in the Mediterranean and Italy, e-papers del Dipartimento di Scienze Economische,
Università di Pisa, Discussion Paper 24, 2003
42
Foschi, 2003
1
25
edilizia
ambiente
territorio
n. 30-34
2010
Il contributo dei porti del Mediterraneo
alle rotte internazionali: il Porto di Barcellona
Negli ultimi decenni, soprattutto a partire dagli anni ’80,
e in particolare a seguito della crescente delocalizzazione industriale, il commercio mondiale via mare è aumentato in modo esponenziale. Questo ha prodotto un incremento del trasporto marittimo internazionale, attribuendo
ai porti un ruolo fondamentale nella catena logistica globale e nella competitività del tessuto imprenditoriale e
commerciale delle economie in cui si inseriscono.
L’Asia si colloca alla guida di questa crescita, in relazione alle sue relazioni commerciali con il mondo intero, e
grazie all’aumento del proprio commercio intra-asiatico.
Gli scambi commerciali tra Asia e Africa attraverso la rotta trans-pacifica e il Canale di Panama sono quelli più consistenti, seguiti da traffici altrettanto significativi tra Asia
e Europa, che transitano per il Mediterraneo attraverso il
Canale di Suez. Ha registrato un incremento anche il traffico commerciale tra Europa e Nord Africa, così come gli
interscambi con il Sud America.
I porti del Nord Europa, che fino alla metà degli anni ’80
hanno servito principalmente il commercio Europa-America, sono quelli che oggi muovono la maggior parte dei
flussi Europa-Asia, con una quota del 72%, mentre i porti del Mediterraneo assorbono soltanto il rimanente 28%.
Questo significa che una gran parte del commercio marittimo Europa-Asia attraversa il Mediterraneo, ma dopo
aver costeggiato la Penisola Iberica viene imbarcato o
sbarcato nei porti del Nord Europa (Le Havre, Anversa,
Rotterdam, Brema e Amburgo), per essere successivamente distribuito nell’intero continente.
Tuttavia, la partecipazione dei porti del Sud a questi traffici ha registrato un leggero incremento negli ultimi anni,
passando dal 24% del 2004 al 28% attuale. Questa situazione è da attribuire a diversi fattori: in primo luogo, il
ruolo crescente dei nostri porti e di quelli del Mediterraneo orientale per quanto riguarda il commercio marittimo
europeo. Contribuisce, inoltre, il fatto che sia i porti del
13,3 m
20 m
Ambiti strategici
del traffico
marittimo
6,7 m
Europa
2,2 m
Canale di Suez
America
Asia
4,4 m
Stretto di Malacca
2,2 m
13,3 m
Canale di Panama
18,4 m
5,1 m
Ambiti strategici di traffico marittimo
Fonte: Drewry, dati stimati al 2008
Il consolidamento di questi grandi assi del commercio
mondiale hanno convertito il Mediterraneo in un crocevia
delle rotte trans-oceaniche est-ovest (Asia-Europa mediterranea-America atlantica) e nord-sud, offrendo ai porti
l’opportunità di acquisire un ruolo determinante nel commercio marittimo internazionale.
Inoltre, le limitazioni del Canale di Panama e la congestione sulla costa occidentale degli Stati Uniti fanno sì che
una parte significativa del commercio asiatico con questo
Paese (in particolare sulla costa atlantica) attraversi anche
il Mediterraneo nel suo lungo viaggio dall’Asia verso
l’America del Nord.
Nel 2008 i traffici commerciali tra Europa e Asia sono stati di gran lunga i più rilevanti del commercio marittimo
europeo e sono risultati 4 volte superiori ai traffici dell’Europa con il mercato dell’America del Nord, superando i 18 milioni di TEU.
26
Nord che le reti del trasporto risultano particolarmente
congestionate e, infine ma non meno importante, il miglioramento del livello di competitività raggiunto dai porti del Sud in termini di produttività e di efficienza, che li
colloca in condizioni ottimali per poter diventare importanti centri per la raccolta e la distribuzione delle merci
per l’Europa e il Mediterraneo.
I porti del bacino del Mediterraneo possiedono un’opportunità unica per riequilibrare la rete dei trasporti europei
e per ridurre le differenze Nord-Sud, in quanto dispongono di una serie di vantaggi competitivi rispetto ai porti del
Nord in relazione ai flussi di traffico tra l’Europa e l’Asia
e allo stesso tempo rispetto ai flussi con il Sud America,
il Nord Africa ecc.
L’utilizzo dei porti del Sud consente, da un lato, di ridurre di più di tre giorni la navigazione delle navi provenienti dall’Asia, con un conseguente risparmio di tempo per
edilizia
ambiente
territorio
n. 30-34
2010
AsiaMediterraneoAmerica: la
migliore
alternativa di
distribuzione del
commercio
internazionale
Congestione
portuale
Limitata capacità
di transito
Fonte: Drewry
Asia
Atlantico
la destinazione delle merci dirette in Europa. Pertanto,
l’importatore/esportatore o l’operatore logistico può disporre delle merci tre giorni prima rispetto all’utilizzo di
un porto del Nord. Questa riduzione del transit time di na-
vigazione comporta inoltre un miglioramento dell’impatto ambientale del trasporto, in quanto genera minori emissioni di CO2 (per esempio, si stima un risparmio di circa
45 kg di CO2 nel percorso Shanghai-Lione via Barcellona se non si utilizza un porto sull’Atlantico), un minor numero di navi che servono la linea grazie alla complessiva riduzione della permanenza in mare, e un sensibile
risparmio di combustibile. Esistono già alcuni casi di
aziende asiatiche che traggono vantaggio da questa alternativa e che fanno riferimento ai porti del Sud per l’ingresso dei loro prodotti in Europa e la successiva distribuzione su questo mercato e su quello del Nord Africa.
La posizione geo-strategica privilegiata dei porti del Mediterraneo nord-occidentale è maggiormente accentuata dalla forte crescita economica dei Paesi limitrofi del Maghreb,
che stanno registrando un significativo incremento degli
scambi commerciali tra queste nazioni e l’Europa.
Nel Mediterraneo, in particolare nelle relazioni con i Paesi del Maghreb, sono determinanti le Autostrade del Mare. Queste connessioni consistono in servizi di trasporto
Barcellona riveste
un ruolo
strategico per le
rotte da e verso
l’Europa, l’Asia,
l’America e i Paesi
del Maghreb
Il terminal
container del
Porto di Barcellona
27
edilizia
ambiente
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2010
marittimo rapidi e regolari, di breve distanza (in particolare per i traffici RO-RO), nonché di elevata efficienza,
collegati a una rete di distribuzione terrestre, ferroviaria
e stradale.
Il Porto di Barcellona ha consolidato la sua posizione competitiva in questo tipo di traffici con le linee di short sea shipping già esistenti con l’Italia, attraverso servizi giornalieri
con i porti di Livorno, Genova, Civitavecchia e Porto Torres, e con il Nord Africa (Algeria, Marocco e Tunisia), e sviluppando nuove linee verso altre destinazioni del Nord Africa e del Mediterraneo orientale (Turchia, Grecia ecc.).
tani dal modello Fiandre/Anversa, in cui il Porto di Anversa rappresenta probabilmente più del 10% del PIL dell’economia delle Fiandre. Vi è comunque un grande potenziale di crescita nell’incidenza che il Porto di Barcellona
può avere per l’economia e nella capacità di generare maggiore ricchezza, nella misura in cui si dimostri capace di
convertirsi in un centro di distribuzione continentale, come i Paesi vicini delle Fiandre.
Sul territorio limitrofo al Porto di Barcellona si localizza
la principale concentrazione logistica del Sud dell’Europa. In un raggio di 5 km si incontrano il porto, l’aeropor-
Linee di short sea
shipping del Porto
di Barcellona
BCN-Genova
3 servizi/settimana
Partenza: da lunedì
a venerdì
Genova
BCN-Livorno
5 servizi/settimana
Partenza: da lunedì
a venerdì
Livorno
Barcellona
BCN-Tangeri
3 servizi/settimana
Partenza: giornaliera
Porto Torres
BCN-Porto Torres
6 servizi/settimana
Partenza: lunedì
Tangeri
BCN-Civitavecchia
5 servizi/settimana
Partenza: da lunedì
a venerdì
Eleusi
BCN-Tunisia
1 servizi/settimana
Partenza: martedì
Il Porto di Barcellona, la maggiore
concentrazione logistica del Sud d’Europa
La logistica è un elemento chiave per lo sviluppo locale e per
la creazione di produttività, innovazione e competitività a scala internazionale, non solo per migliorare i livelli della produzione industriale e agricola, ma per attrarre nuove attività,
in particolare attraverso la generazione di valore aggiunto
alle merci in transito del commercio internazionale.
In Catalogna, il trasporto e la logistica rappresentano il 4%
del valore aggiunto lordo (VAL) totale e il 12% del VAL
nel settore dei servizi (tale contributo per l’economia è superiore a quello generato dai servizi di intermediazione finanziaria) e occupa 58.000 lavoratori a Barcellona.
Il Porto di Barcellona è il terzo cluster economico della
Catalogna dopo La Caixa e SEAT. Occupa in modo diretto 19.000 persone e apporta all’economia un contributo
di 1.012 milioni di euro del valore aggiunto lordo (1% circa del VAL della Catalogna). Una volta completata
l’espansione del porto, nel 2020, potrebbe arrivare a generare il 5% del VAL catalano; questa cifra contribuisce
a dare un’idea dell’importanza del settore della logistica
per l’economia di un Paese.
Malgrado questi interessanti risultati, siamo ancora lon-
28
Civitavecchia
(Roma)
Tunisi
BCN-Eleusi
to, la zona delle attività logistiche, la zona franca e diversi poli industriali. Aziende come Decathlon e Honda
Logistics possiedono i centri di distribuzione per il Sud
Europa e il Mediterraneo situati nel Porto di Barcellona;
occorre fare in modo che i grandi spedizionieri internazionali e gli operatori della logistica internazionale scelgano Barcellona come la migliore localizzazione per la
distribuzione in Europa e nel Nord Africa e che il porto
diventi la principale porta logistica del Sud Europa.
Per questo, il Porto di Barcellona ha sviluppato nell’entroterra alcune aree logistiche e diversi terminali marittimi connessi con l’ambito portuale, in cui vengono forniti servizi di
trasporto diretti agli importatori, agli esportatori e agli operatori del settore logistico. Allo stesso modo è stata creata
una rete efficiente di servizi logistici e di trasporto del Porto di Barcellona nei principali corridoi della penisola: il corridoio del fiume Ebro (Barcellona-Saragozza-Spagna del
Nord) e il corridoio trasversale (Barcellona-Saragozza-Madrid-Lisbona) e nei principali corridoi europei, il corridoio
della Francia meridionale (Barcellona-Tolosa-Bordeaux) e
il corridoio europeo (Barcellona-Lione-Metz), sviluppando
così quello che si è soliti chiamare il “porto in rete”.
L’impatto dei porti per quanto riguarda l’efficienza e la
edilizia
ambiente
territorio
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2010
Trasparenza che il Porto di Barcellona
assicura mediante la piattaforma elettronica Portic, attraverso la quale i clienti possono verificare in tempo reale ciò
che sta accadendo alle merci e conoscere in qualsiasi momento, ad esempio,
dove si trova (dal punto di vista fisico e
procedurale) il loro contenitore.
Produttività simile o maggiore a quella dei porti del Nord Europa, sia in terMarsiglia
mini di produttività netta delle gru per
il carico e lo scarico delle navi, sia in
termini di numero di movimenti per etBarcellona
Porto
taro nei terminal container ecc.
Zone di attività logistiche portuali
È da sottolineare la crescente parteciPiattaforma logistica
Mar Mediterraneo
pazione del settore privato nella gestioCentro di trasporto merci via strada
Terminal marittimo interno
ne dei terminal container in diversi porPiattaforma logistica di interscambio modale
ti del Mediterraneo nord-occidentale.
(interporto)
Centro di carico aereo non include terminal
Hutchison a Barcellona o MSC a Vadi trasporto combinato
In progetto
lencia sono solo due esempi dei numeIn funzionamento
o in costruzione
rosi operatori privati a livello globale
competitività della catena logistica globale non è legato che hanno optato per i porti del Mediterraneo occidentale
esclusivamente ai costi e/o alle tariffe portuali (solo una indotti dagli elevati livelli di efficienza.
piccola percentuale dei costi del tratto marittimo di que- Affinché i porti del Mediterraneo possano diventare un’alsta catena è da attribuire ai porti), ma è legato soprattut- ternativa ancora più interessante per i porti dell’Atlantico
to alla affidabilità, alla flessibilità, alla trasparenza, alla nei flussi tra Europa e Asia, occorre l’efficienza e la comproduttività e all’intermodalità.
petitività di tutti i porti affacciati sul Mediterraneo nordAffidabilità che il Porto di Barcellona garantisce, ad esempio occidentale. In questo senso, non si tratta di individuare
attraverso il suo Plan de Garantías (prossimamente entrerà un unico porto leader e altamente efficiente, ma di offriin vigore una nuova versione dello stesso, maggiormente com- re un fronte portuale complessivamente efficiente, diverpetitiva) e le indicazioni in esso contenute, offrendo ai clien- sificato e sufficientemente potente, negli stessi termini
ti la possibilità di conoscere scadenze e programmazioni pre- in cui questo si verifica nel Nord dell’Europa, dove quatviste per le spedizioni da soddisfare.
tro o cinque grandi porti collaborano e competono allo
Flessibilità grazie all’eccellente coordinamento tra tutti gli stesso tempo. Per il contesto asiatico o latino-americano,
attori coinvolti nel passaggio portuale delle merci e ai pro- per esempio, questo è essenziale, dal momento che necescedimenti semplificati interni al porto, che permettono di sitano di diverse alternative affidabili per poter servire in
ridurre al massimo il tempo trascorso dalle merci nel por- modo efficiente il mercato europeo e il Mediterraneo atto associato alle procedure portuali.
traverso l’Europa meridionale.
Oceano
Atlantico
Principali
infrastrutture
per il trasporto
e la logistica
Il Porto di
Barcellona è
leader europeo e
quarto porto del
mondo nel traffico
delle crociere
29
edilizia
ambiente
territorio
n. 30-34
2010
La strategia del Porto di Barcellona per
affermarsi come piattaforma di distribuzione
continentale e regionale del Sud Europa
Il Porto di Barcellona può avvalersi di un certo numero di vantaggi competitivi per potersi consolidare come grande hub logistico del Mediterraneo: la potenzialità che deriva dalla sua
ubicazione a Barcellona, il centro industriale e commerciale
più importante del Mediterraneo, e nella Catalogna, una delle regioni principali d’Europa; la sua forte posizione competitiva nel settore della tecnologia, della qualità e della logistica; e la posizione geo-strategica rispetto agli attuali flussi
commerciali dell’Europa e del Mediterraneo.
Dopo aver garantito affidabilità, trasparenza, produttività e
flessibilità, la strategia del Porto di Barcellona per diventare
la principale piattaforma per la distribuzione regionale e continentale dell’Europa meridionale si basa su tre pilastri: l’incremento della capacità portuale attraverso l’espansione della sua superficie, il miglioramento della connettività terrestre
e degli accessi viari e ferroviari e, infine, lo sviluppo di una
rete di piattaforme logistiche e di trasporto nei nodi strategici del territorio per soddisfare le esigenze dei clienti con la finalità di servire una zona di influenza più ampia.
La grande espansione del Porto di Barcellona (la maggiore della sua storia) è in corso, con il completamento nel
2008 della costruzione di alcune dighe e del nuovo terminal container Tercat&Hutchison, garanzia della crescita
di Barcellona in quanto infrastruttura portuale. Il piano di
ampliamento prevede il raddoppio della superficie portuale fino a 1.200 ettari e la triplicazione dell’area logistica fino a raggiungere i 220 ettari, con il conseguente aumento della capacità portuale fino a 4,5 milioni di TEU
e 85 milioni di tonnellate nel 2012, e a 10 milioni di TEU
e 100 milioni di tonnellate nel 2020.
Il Porto di Barcellona si caratterizza come leader in diversi segmenti di traffico, aspetto che lo differenzia dai porti limitrofi e lo rende un porto esclusivo. Leader europeo
e quarto porto del mondo (dopo i porti dei Caraibi) nel
traffico delle crociere, uno dei principali porti del Mediterraneo nel traffico RO-RO, primo porto mediterraneo
per il traffico di veicoli, primo scalo spagnolo nel traffico
totale import-export (escluso il traffico di transhipment)
e secondo nel traffico container import-export. Il porto
dispone inoltre di terminal specializzati per le rinfuse liquide (gas naturale e prodotti chimici) e solide (soia, farina, cereali ecc.) e per i prodotti agro-alimentari.
Il secondo elemento fondamentale nella strategia del porto
risulta, da un lato, lo sviluppo di diverse azioni finalizzate a
garantire un accesso stradale all’ambito portuale di grande
capacità e ad uso esclusivo delle merci, in grado di assorbire l’incremento di traffico previsto e, dall’altro, il miglioramento del sistema ferroviario interno ed esterno al porto.
Le infrastrutture ferroviarie attualmente in costruzione dovrebbe consentire il passaggio dalla quota attuale del 4%
delle merci in entrata e in uscita dal porto al 30%.
Il Porto di
Barcellona mira a
diventare la
principale
piattaforma per la
distribuzione
regionale e
continentale
dell’Europa
meridionale
Ampliamento dei
terminal e ZAL
Capacità/anno
2008
2011
Opere finali
Tonnellate
51 milioni
85 milioni
130 milioni
Container (TEU)
2,5 milioni
5 milioni
10 milioni
Incrementi
Superficie terrestre 400 ha
Linea del molo 5,3 km
Area logistica 150 ha
ZAL Barcellona 68 ha
ZAL Prat
(ZAL II) 150 ha
Molo Prat
100 ha operativi
Nuovi
Nuovi terminal
terminal
10.500 m
30
7.000 m
Porto
ZAL
Ampliamenti portuali
Oltre alle infrastrutture, la comunità
portuale del Porto di Barcellona ha
lavorato attivamente negli ultimi anni per lo sviluppo di servizi ferroviari efficienti nei principali nodi strategici dell’entroterra. Attualmente il
Porto di Barcellona dispone di servizi ferroviari quotidiani e settimanali
con differenti destinazioni in Spagna
(Madrid, Saragozza ecc.) e in Europa (Lisbona, Lione ecc.).
Il terzo pilastro della strategia portuale è la creazione di una rete di
terminal marittimi interni connessi con il territorio limitrofo, che offrano servizi portuali a operatori e
clienti finali, contribuendo a migliorare la loro competitività. Il Ter-
edilizia
ambiente
territorio
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2010
BCN-Anversa
2 servizi/settimana
Tempo di transito: A-D
BCN-Le Havre
2 servizi/settimana
Tempo di transito: A-C
Partenza: martedì e giovedì
BCN-Vitoria
2 servizi/settimana
Tempo di transito: A-C
Partenza: lunedì e mercoledì
BCN-Bilbao
1 servizio/settimana
Tempo di transito: A-B
Partenza: venerdì
BCN-Strasburgo
Tempo di transito: A-C
BCN-Tolosa/Bordeaux
2 servizi/settimana
Tempo di transito: A-C
Partenza: martedì e giovedì
La Coruña
Strasburgo
BCN-Lione
2-3 servizi/settimana
Tempo di transito: A-B
Partenza: martedì e giovedì
Bordeaux
Bilboa
BCN-Burgos
2 servizi/settimana
Tempo di transito: A-C
Partenza: lunedì e venerdì
Anversa
Le Havre
Vigo
Lione
Vitoria
Tolosa
Burgos
Il Porto di
Barcellona dispone
di servizi
quotidiani e
settimanali con il
resto della Spagna
e con l’Europa
BCN-Lleida
2 servizi/settimana
Tempo di transito: A-A
Partenza: martedì e giovedì
Lisbona
Barcellona
Saragozza
Madrid
BCN-Lisbona/Leixoes
1 servizio/settimana
Tempo di transito: A-B
Partenza: mercoledì
e venerdì
BCN-Saragozza
5 servizi/settimana
Tempo di transito: A-B
Partenza: da lunedì
a venerdì
BCN-Madrid (Azuqueca)
5 servizi/settimana
Tempo di transito: A-B
Terminal marittimi
interni del Porto di
Barcellona e
corridoi ferroviari
Anversa
Terminal marittimi interni del Porto di Barcellona
Le Havre
Corridoi ferroviari
Strasburgo
Bordeaux
La Coruña
Bilbao
Vigo
Tolosa
Lione
Genova
Burgos
Vitoria
Livorno
Perpignan
Lisbona
Madrid
Saragozza
Barcellona
Civitavecchia
(Roma)
1 0 0 0 km
300 km
600 km
Tangeri
Algeri
Tunisi
minal Marítima de Zaragoza (TMZ), realizzato in stretta collaborazione con le autorità locali e regionali di Saragozza e Aragona, è una piattaforma di servizi per le
importazioni e le esportazioni di Aragona, Navarra e
La Rioja. Il TMZ occupa una posizione strategica nella
rete delle comunicazioni stradali del Nord della penisola e rispetto all’asse ferroviario Barcellona-MadridLisbona. Allo stesso modo, lo ZAL di Tolosa mette il
porto a disposizione dei suoi clienti del Midi francese.
I porti a secco di Madrid, che si trovano in Coslada e in
Azuqueca de Henares, offrono diversi servizi all’importante polo logistico e di consumo rappresentato dalla capitale della Spagna e dalla comunità di Madrid, e lo connettono con gli altri mercati della Penisola Iberica. Il
Porto di Barcellona, inoltre, partecipa in una società economica mista che gestisce il terminale ferroviario Saint
Charles a Perpignan e che, attraverso il CILSA (impresa che coordina lo ZAL del porto), sta per essere impiantata a Tanger-Med, in Marocco.
Santiago García-Milà
31
edilizia
ambiente
territorio
n. 30-34
2010
Le Autostrade del Mare per lo sviluppo
del Mediterraneo
Rete dei
collegamenti
marittimi offerti
dalle Autostrade
del Mare
Un esito molto probabile dell’attuale crisi finanziaria mondiale sarà il ridimensionamento del modello di globalizzazione e, quindi, una rimodulazione dei cicli produttivi che
porterà alla rivalutazione dei sistemi economici su scala
regionale e non più soltanto globale. In questo quadro il Mediterraneo potrà svolgere un ruolo essenziale non soltanto
come teatro di flussi di traffico di passaggio sulla direttrice
Suez-Gibilterra, ma come vero e proprio polo di aggregazione economica con grandi potenzialità di crescita.
Se questo è il prevedibile scenario a breve-medio termine per il dopo-crisi, è evidente che il potenziamento della rete di collegamenti marittimi offerti dalle Autostrade
del Mare rappresenta uno strumento essenziale delle politiche di integrazione euro-mediterranee; coerentemente, la messa a punto delle politiche comunitarie nel settore dei trasporti, in particolare nell’ambito del Programma
TEN-T, sostiene le Autostrade del Mare al fine di accrescere la quota di traffico commerciale movimentato attraverso la modalità marittima. I benefici che deriveranno da
tale approccio saranno molteplici: dal decongestionamento delle reti fisiche ormai fortemente sovraccaricate dal
traffico su gomma alla riduzione delle emissioni nocive e
dei livelli di inquinamento ambientale, alla facilitazione
della coesione territoriale e commerciale fra i Paesi membri dell’Unione Europea attraverso l’interconnessione tra
la modalità marittima e le altre modalità di trasporto.
All’interno di questo scenario euro-mediterraneo, il nostro Paese si presenta all’appuntamento con la logistica con debolezze
che frenano le potenzialità di sviluppo dei porti italiani. Dal
punto di vista strutturale si tratta di criticità quali la profondità dei fondali, la limitatezza di banchine e piattaforme poco
adatte alla movimentazione e la carenza di spazi operativi.
Tra i principali aspetti di criticità si annoverano anche l’eccessiva presenza di strutture portuali, spesso inserite all’interno di realtà urbane già congestionate, nonché l’inadeguatezza delle infrastrutture di trasporto terrestri che causa
difficoltà di smistamento delle merci sulle reti stradali e
ferrate e condiziona lo sviluppo dei traffici. A ciò si aggiungono la dotazione infrastrutturale portuale non sem-
32
pre adeguata e la sottoutilizzazione del trasporto ferroviario.
Per far fronte alla limitata crescita della portualità italiana e alla contenuta capacità intermodale dei grandi nodi
di scambio infrastrutturali e urbani, le istituzioni italiane
hanno promosso iniziative sia all’interno che all’esterno
delle cinte portuali, ricercando soluzioni per fluidificare
i flussi e ridurre i costi del trasporto da e per i porti.
Il porto, infatti, assume sempre più il ruolo di snodo fondamentale nell’ambito di un network logistico-trasportistico di
livello globale e occorre essere consapevoli che la sola posizione geografica favorevole non è sufficiente a determinare il
vantaggio competitivo di una nazione nel settore marittimo.
Alla luce di tutto ciò e all’indomani dell’inserimento del Programma delle Autostrade del Mare come progetto prioritario
n. 21 della Rete Trans-Europea TEN-T da parte della Commissione Europea, nel 2004 il Governo italiano ha ritenuto
opportuno dotarsi della società Rete Autostrade Mediterranee
SpA (RAM), quale strumento operativo cui il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, sulla base di un’apposita convenzione, ha affidato la realizzazione delle attività inerenti al
Programma Nazionale delle Autostrade del Mare in attuazione del già citato programma europeo. La società, il
cui capitale era inizialmente detenuto da Sviluppo Italia
(oggi Agenzia Nazionale per l’Attrazione degli Investimenti e lo Sviluppo d’Impresa), ha avuto un rilancio nell’ottobre 2008, allorquando l’intero azionariato è stato trasferito in capo al Ministero dell’Economia e, conseguentemente,
è stato nominato il nuovo e attuale Consiglio di Amministrazione, che si è posto da subito l’obiettivo della piena ed
efficiente ripresa delle attività societarie.
Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha affidato
alla società l’aggiornamento del Master Plan delle Autostrade del Mare, sia con riferimento allo scenario nazionale che al più ampio contesto euro-mediterraneo. La RAM
realizza, altresì, le operazioni istruttorie, di informazione e
di monitoraggio di misure comportanti incentivi connessi
allo sviluppo delle Autostrade del Mare, nonché l’aggiornamento delle analisi ambientali inerenti alle modalità di
trasporto interessate e attua gli interventi di sostegno alle
edilizia
ambiente
territorio
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2010
politiche del Ministero nel settore intermodale, fornendo
allo stesso resoconti periodici sulle attività svolte.
In ambito comunitario, la RAM è impegnata nella gestione
di importanti progetti quali East-Med-Mos e Westmed Corridors. Il primo progetto, al quale hanno partecipato Grecia, Italia, Slovenia, Malta e Cipro, è stato avviato nel 2006 e si è
concluso lo scorso dicembre 2009 con l’elaborazione di un
master plan per il Mediterraneo orientale, il quale ha identificato nove nuovi possibili corridoi di Autostrade del Mare da
realizzare e/o implementare. Queste proiezioni sono state elaborate fino al 2015 e dall’analisi dei bisogni necessari per l’implementazione delle Autostrade del Mare nel Mediterraneo
orientale è stato preventivato un fabbisogno finanziario per
attuare gli investimenti necessari di 1 miliardo di euro da ripartire tra tutti i Paesi partner del progetto. In tal contesto sono state lanciate due call for proposals per ricevere proposte
da parte degli operatori del settore, la seconda delle quali si è conclusa nel novembre 2009.
Per quanto attiene Westmed Corridors, l’Italia è il Paese coordinatore del progetto ed è forte dell’esperienza pregressa, in
quanto si tratta del progetto gemello di East-Med-Mos, e intende definire i corridoi per le Autostrade del Mare da parte dei
Paesi membri, interessati allo sviluppo delle stesse nell’area del
Mediterraneo occidentale (Italia, Spagna, Francia e Malta).
La proposta si concretizza attraverso uno studio articolato
in diversi punti: definizione della domanda, selezione dei
porti o dei gruppi di porti (port clusters), requisiti di qualità dei servizi necessari, priorità di attivazione delle nuove linee nell’area e valutazione degli incentivi necessari relativamente a tali corridoi. L’obiettivo consiste nel finalizzare
le procedure di gara per aprire nuove linee di Autostrade del
Mare nell’ambito dei corridoi stabiliti precedentemente, attraverso le priorità richieste e le necessità infrastrutturali e
progettuali indispensabili. Il progetto attualmente si sta focalizzando negli studi da sviluppare al fine di redigere un
master plan per l’intera area. A tal proposito è stata lancia-
ta la prima call for proposals, conclusasi lo scorso dicembre 2009 con l’acquisizione di numerose proposte provenienti da tutti e quattro i Paesi partecipanti.
In questo quadro, si inserisce anche l’accordo bilaterale fra
Italia e Spagna firmato durante il vertice italo-spagnolo svoltosi a La Maddalena nel settembre 2009. L’accordo prevede,
tra l’altro, l’istituzione di una commissione mista composta
da due delegazioni di sei membri per ciascun Paese con rappresentanti dei ministeri delle infrastrutture e dei trasporti, degli esteri, dell’economia e, per l’Italia, anche di RAM.
Tale commissione avrà il compito di selezionare, attraverso apposite gare internazionali, le varie proposte per incrementare i traffici delle merci con i collegamenti marittimi tra i due Paesi, e nel contempo, per tutelare l’ambiente
abbattendo le emissioni di CO2.
Quanto detto è in linea con gli obiettivi delle Autostrade del
Mare che sempre più si prefigurano come una vera alternativa alla via stradale. L’approccio al tema delle Autostrade del
Mare, però, dovrebbe andare oltre la dimensione puramente
comunitaria aprendosi anche ai Paesi della sponda sud del
Mediterraneo, alla Turchia, al Mar Nero nonché alla Russia
al fine di contribuire allo sviluppo di un sistema multimodale che sia efficiente e allo stesso tempo ecosostenibile.
Questo è stato uno dei principi che hanno portato alla collaborazione, con la Commissione Europea e il Ministero
delle Infrastrutture e dei Trasporti, nell’organizzazione
della Giornata Europea del Mare (Roma, 18-20 maggio
2009) e della Conferenza Ministeriale “TEN-T Days
2009” (Napoli, 21-22 ottobre 2009); manifestazioni internazionali di elevato livello istituzionale e forte impatto mediatico: la prima, più incentrata sul tema del mare e,
quindi, del trasporto marittimo; la seconda, alla quale hanno partecipato 41 delegazioni rappresentanti i ministeri
dei trasporti dell’Unione Europea, di Paesi africani, della Turchia e di altri Paesi extra-europei, ha inteso manifestare la volontà di «sviluppare una rete infrastrutturale di
Autostrade del Mare
(area orientale)
Autostrade del Mare
(area occidentale)
Nuovi corridoi
delle Autostrade
del Mare
individuati in
ambito
comunitario
33
edilizia
ambiente
territorio
n. 30-34
2010
In Italia è previsto
un Ecobonus
per gli
autotrasportatori
trasporti a vocazione sostenibile, attraverso l’affermazione di una politica di partenariato rafforzato».
Nell’ambito degli incentivi al Programma Autostrade del
Mare, la RAM è attiva con la gestione operativa dell’Ecobonus, uno strumento di sostegno agli autotrasportatori
previsto dalla legge n. 265 del 2002 e finora adottato soltanto dal nostro Paese, ma che viene guardato con sempre maggiore interesse dai partner comunitari.
Effettivamente, l’agevolazione rappresentata dall’Ecobonus appare molto importante, in quanto prevede il rimborso fino a un massimo del 30% del prezzo pagato dalle imprese di autotrasporto che scelgono una delle 33 rotte
incentivate per il trasporto dei camion in alternativa al percorso stradale. In questo modo si può limitare la congestione delle strade, ottenendo benefici sulle esternalità prodotte dal traffico, tra cui la prevenzione dell’incidentalità
e la riduzione dell’inquinamento ambientale.
Si tratta di un’esperienza di successo, molto apprezzata
dal mondo dell’autotrasporto e che sta portando all’erogazione di 240 milioni di euro per il triennio 2007-2009
tramite procedure molto snelle gestite attraverso lo specifico know-how tecnologico (database, software dedicato)
e amministrativo messo a punto da RAM, per conto del
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
Ad oggi sono stati già erogati gli incentivi dell’annualità 2007
per l’ammontare di circa 50 milioni di euro; le pratiche relative all’annualità 2008 sono in fase di lavorazione avanzata
ed è stato avviato il ritiro delle istanze relative al 2009.
L’incentivo, certamente a sostegno dell’intermodalità, favorisce anche i processi di aggregazione tra le imprese con indubbi vantaggi sull’intero comparto della logistica, tanto che
si sta lavorando alla prospettiva dell’Ecobonus Europeo commisurato all’intero percorso utilizzato tra due porti comunitari e non soltanto – come accade ora – limitatamente alla tratta su territorio italiano; ovviamente, la misura andrebbe estesa
a tutte le possibili rotte europee che si intende incentivare e
potrebbe anche diventare il volano di sostegno all’apertura di
nuove rotte inframediterranee verso i Paesi terzi.
L’ottimo risultato ottenuto da questa misura di incentivazione ha contribuito a sviluppare un rapporto positivo
con il mondo dell’autotrasporto, che potrà essere consolidato in quanto il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti si avvale della società RAM, anche per l’espletamento dell’attività istruttoria e di gestione dei fondi relativi
agli incentivi introdotti dal DPR 29 maggio 2009 n. 83 e
dal DPR 29 maggio 2009 n. 84, rispettivamente diretti alla formazione professionale nel settore dell’autotrasporto e alle aggregazioni imprenditoriali nel settore dell’au-
34
totrasporto. Nello specifico, l’incentivo per la formazione professionale nel settore dell’autotrasporto è diretto alle imprese di autotrasporto, i cui titolari, soci, amministratori, dipendenti o addetti partecipino a iniziative di
formazione o aggiornamento professionale.
L’obiettivo di questa misura di incentivazione è di accrescere
le competenze e le capacità professionali degli imprenditori
e degli operatori del settore dell’autotrasporto, allo scopo di
promuovere lo sviluppo della competitività, l’innalzamento
del livello di sicurezza stradale e di sicurezza sul lavoro, mediante azioni di formazione generale o specifica. Per tali incentivi è previsto uno fondo di 7 milioni di euro.
La finalità degli incentivi alle aggregazioni imprenditoriali nel settore dell’autotrasporto, invece, è di favorire i
processi di aggregazione fra le piccole e medie imprese
di autotrasporto di merci per conto di terzi. Gli incentivi
(nei limiti della capienza del fondo pari a 9 milioni di
euro) andranno alle spese per i servizi di consulenza esterna, compresa l’assistenza notarile e legale, connessi al
processo di aggregazione, e all’avviamento delle nuove
strutture aziendali, nonché all’introduzione di sistemi avanzati di gestione aziendale riferiti all’operazione.
Per il futuro, la RAM proseguirà lo sviluppo di iniziative in
ambito nazionale ed europeo, con particolare attenzione alla
diffusione di sistemi informatici e telematici per la logistica
e alla promozione di interventi infrastrutturali volti a decongestionare i sistemi di accesso alla rete portuale, lavorando
per eliminare i punti di debolezza del nostro Paese e far sì in
tal modo che l’Italia possa esercitare appieno il ruolo di piattaforma logistica dell’Europa centro-meridionale e la funzione di molo logistico naturale nel bacino del Mediterraneo.
Concludendo si possono fare due importanti riflessioni
sulle Autostrade del Mare. La prima si identifica con l’auspicio di un sempre più forte impegno comune per un riequilibrio modale che accresca la quota di traffico commerciale movimentata attraverso la modalità marittima,
meno costosa in termini energetici, più ecosostenibile e
tale da contribuire a decongestionare il carico sulla modalità stradale ormai vicina a preoccupanti livelli di saturazione. La seconda si riferisce alla valorizzazione delle
Autostrade del Mare come strumento di avvicinamento
e di integrazione dell’Europa comunitaria con gli altri Paesi dell’area mediterranea nella prospettiva di una grande
zona euro-mediterranea di libero scambio nella quale il
prevedibile, crescente flusso di relazioni commerciali non
potrà che essere veicolato attraverso un sempre più fitto
reticolo di Autostrade del Mare.
Giampaolo Maria Cogo
edilizia
ambiente
territorio
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2010
Green ports: nuove proposte tra sviluppo
e protezione dell’ambiente
L’espressione green port viene generalmente utilizzata per
riferirsi a un porto che persegue obiettivi di sviluppo (attirare investimenti, aumentare i traffici, creare valore economico per il contesto territoriale nel quale esso insiste
ecc.) minimizzando, con l’obiettivo di azzerarle nel medio-lungo periodo, le esternalità negative, sia ambientali
(inquinamento, cambiamento morfologico, riduzione biodiversità nelle aree costiere ecc.) sia territoriali (congestione, conflitti d’uso dello spazio ecc.). In questo quadro,
sempre maggiore attenzione viene prestata negli anni recenti all’obiettivo della riduzione degli impatti ambientali dei porti alla scala globale, soprattutto rispetto al tema
delle emissioni di gas serra1 (d’ora in avanti GHG), in particolare anidride carbonica.2
Al centro dell’attenzione stanno quindi il tema dell’efficienza energetica e del consumo totale di energia, nonché
quello del maggior utilizzo di energia prodotta da fonti
rinnovabili. In questo senso, infatti, molti studi hanno confermato come le emissioni di CO2 generate dai trasporti
internazionali (aerei e marittimi) siano particolarmente significative alla scala globale,3 per effetto dell’utilizzazione di energie da fonti fossili (soprattutto petrolio e gas naturale). Non stupisce perciò come, anche per effetto della
maggiore attenzione politica e pubblica ai temi ambientali nelle aree costiere, le principali realtà portuali mondiali (in America del Nord, in Europa e in Oceania in primis) stiano avviando politiche e iniziative volte a
ristrutturare, in chiave ambientale, la loro attività.
Carbon Footprint e Carbon Neutral Protocol
Il concetto di Impronta del Carbonio o Carbon Footprint
(CF) è stato introdotto per misurare e contabilizzare le
emissioni di CO2 delle diverse attività antropiche, alla luce dell’obiettivo di definire politiche e iniziative in grado di ridurre, tendenzialmente a zero, le emissioni, sia attraverso il loro abbattimento, sia attraverso la definizione
di adeguate misure di compensazione. Benché il concetto non abbia trovato ancora una sistemazione teorica del
tutto soddisfacente, esso viene sempre più utilizzato come base per valutare le performance ambientali di attori
privati e pubblici, individuali e collettivi. Essa è, riportando la definizione proposta da T. Wiedmann e J. Minx,4 «la
misura dell’ammontare totale delle emissioni di CO2 che
sono direttamente e indirettamente causate da un’attività,
o che si sono accumulate nei vari stadi di vita di un prodotto».5 Le attività sono quelle “in capo” a individui, popolazioni, governi, compagnie, organizzazioni, settori industriali ecc., per la produzione, distribuzione e consumo
di beni e servizi. Il concetto fa riferimento perciò alle emissioni dirette (in situ, interne) e a quelle indirette (ex situ,
esterne, incorporate a monte e a valle del processo produttivo) legate ai cicli di produzione e consumo dei
beni/servizi. L’ammontare totale di diossido di carbonio
è misurato in tonnellate di CO2. Una volta stimato la quantità di emissioni globali, si procede a individuare delle
strategie di riduzione, di mitigazione o di compensazione,
intervenendo direttamente sulle emissioni, abbassandole,
Nave RO-RO e
aliscafo, Venezia. Il
transito delle navi,
soprattutto nei
porti urbani,
chiama gli attori
portuali e
marittimi a
un’attenta opera
di monitoraggio e
gestione dei
transiti e degli
impatti ambientali,
in particolare fumi
ed effetti sul moto
ondoso
35
edilizia
ambiente
territorio
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2010
o attraverso lo sviluppo di progetti alternativi come il ricorso all’energia solare, eolica ecc., o rimboschimenti.
Legato al concetto di CF è il marchio Carbon Neutral: questo marchio, riconducibile agli strumenti di politica e gestione ambientale di tipo volontario, ha lo scopo di certificare la bontà della politica e gestione ambientale d’impresa
rispetto al tema delle emissioni: essere Carbon Neutral, infatti, implica avere zero emissioni di GHG. Per ottenerlo,
l’impresa deve applicare un rigoroso processo standardizzato (Carbon Neutral Protocol).6 Questo protocollo individua gli scopi da raggiungere, obbliga a misurare e verificare le emissioni al fine di ridurle direttamente o, dove
non fosse possibile, applicare delle compensazioni. Le emissioni dirette comprendono tutto l’inquinamento prodotto
dal processo produttivo, inclusi i trasporti, i veicoli e i viaggi lavorativi del personale. Le emissioni indirette comprendono tutte quelle emissioni inquinanti che conseguono dall’acquisto o dall’utilizzo di un prodotto.
La CF e i porti
La tendenza alla
continua crescita
dimensionale delle
navi pone nuove
sfide ai porti, in
termini di linearità
e profondità dei
canali, layout e
infrastrutture di
banchina
36
Anche ai porti, come a qualsiasi altro tipo di organizzazione o ente, può essere riferito il tema della CF. Essi,
infatti, svolgendo le loro attività tipiche (movimentazione di merci, gestione dei depositi, gestione delle operazioni intermodali, trasporto merce nello spazio di influenza ecc.) hanno una CF. Nell’ambito della World Ports
Climate Conference di Rotterdam (luglio del 2008), alcune autorità portuali hanno presentato i risultati di studi e
indagini mirati al calcolo della rispettiva CF. In particolare, i porti di Oslo e di Rotterdam, basandosi sul Protocollo dei Gas Serra (GHG Protocol) e sulle ISO 140641/2/3 (Greenhouse Gases), hanno avviato la definizione
di un sistema di gestione del carbonio in grado di orientare le politiche di gestione ambientale negli anni futuri.
Il Porto di Belfast è stato il primo al mondo a raggiungere lo standard di Carbon Neutral nel 2009,7 attraverso lo
sviluppo di impianti di produzione dell’energia elettrica
da fonti rinnovabili, migliorando la gestione dei rifiuti,
promuovendo un sistema di riscaldamento più efficiente
negli uffici portuali e cambiando il tradizionale sistema di
illuminazione, nelle aree del porto, con uno a minor impatto ambientale.
Anche negli Stati Uniti, indipendentemente dal problema
della ratifica del Protocollo di Kyoto, molte realtà si stanno muovendo per ridurre e compensare le emissioni di
GHG e altre emissioni inquinanti. Il Porto di Seattle, ad
esempio, sta proponendo varie politiche mirate a incentivare chi inquina di meno (le navi container che adottano carburanti a basso contenuto di zolfo, inferiore allo 0,5%,
ricevono degli incentivi tariffari durante la permanenza nelle banchine), proibendo l’ingresso nelle aree portuali a quei
mezzi (camion, motrici ecc.) troppo datati, proponendone
lo smaltimento e aiutando nell’acquisto di mezzi più moderni e meno inquinanti, come i mezzi ibridi.8 Casi analoghi avvengono anche nel Porto di Vancouver.9
Altro esempio è quello del Porto di Goteborg: esso è stato il
primo porto del mondo a installare, nel 2000, una connessione elettrica ad alto voltaggio per le imbarcazioni di tipo RORO. Ad oggi, nel Porto di Goteborg ci sono due banchine
elettrificate che riforniscono navi RO-RO e da crociera.
La Commissione Europea nel 2007, con la Comunicazione sulla politica portuale europea,10 ha indicato il quadro
generale entro il quale valutare il tema delle performance
economiche dei porti. Al tempo stesso, attenzione è stata prestata anche al tema della sostenibilità ambientale, attraverso
la sottolineatura della necessità di promuovere e implementare nuovi sistemi di gestione ambientale, l’efficienza energetica, l’utilizzo di fonti rinnovabili, l’utilizzo degli strumenti economici per “internalizzare” le esternalità negative.
Inoltre, rispetto al particolare tema della riduzione delle
emissioni e della promozione di migliori strumenti di monitoraggio, reporting e gestione ambientale, importanti risultano altri interventi, europei e nazionali, istituzionali e
non. Possiamo ricordare, tra questi, il Piano Nazionale
per la Riduzione delle Emissioni di Gas responsabili dell’Effetto Serra 2003-2010,11 della Commissione Europea,
la Comunicazione su una politica europea dei porti,12 il
Quality Assurance/Quality Control Plan per l’Inventario
Italiano sulle emissioni, 2007,13 il Port Environmental Review System (PERS), metodologia per l’attuazione delle
indicazioni contenute nell’Environmental Review della
European Sea Ports Organization (ESPO).14 Si tratta di
iniziative e strumenti riconducibili al progetto europeo
EcoPorts (2002-2005), che ha portato alla realizzazione
di una serie di strumenti di gestione ambientale a supporto alle amministrazioni portuali (2007/C168/12).
Per quanto riguarda la legislazione comunitaria in vigo-
re, esistono delle norme che stabiliscono efficaci misure di
controllo per i diversi modi di trasporto: una specifica strategia europea in materia di trasporti e ambiente 15 definisce
gli obiettivi per l’integrazione delle esigenze ambientali nella politica dei trasporti. Fornisce le linee guida per una serie
di misure nei vari settori di trasporto: stradale, aereo, ferroviario, marittimo ecc.; un’altra linea guida riguarda la tassazione degli autoveicoli pesanti, con la direttiva “eurobollo”,16 che intende privilegiare quei mezzi che inquinano di
meno: viene chiesto un importo che corrisponde al costo dell’inquinamento atmosferico e acustico dovuto al traffico, e
al costo della congestione imposta agli altri veicoli.
Per le navi, esiste una strategia di riduzione delle emissioni atmosferiche17 e di prevenzione all’inquinamento.18
Inoltre, esiste una legislazione in materia di contenuto di
zolfo nella benzina e del combustibile diesel anche per i
veicoli terrestri e, come già scritto, una direttiva specifica in materia di contenuto di zolfo del combustibile per
uso marittimo.19 Ricordiamo che nel 2010 la normativa
europea prevede per le navi tenore di zolfo pari allo 0,1%.20
Su questo tema, va poi ricordato come l’IMO, nella decisione presa alla 58a riunione del MEPC (Comitato Marittimo per la Protezione Ambientale), preveda una profonda riforma dell’Annesso VI della Convenzione Marpol
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ambiente
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sul controllo dell’inquinamento atmosferico delle navi con
l’introduzione di standard ambientali sui combustibili e
sui motori navali. Questi standard hanno l’effetto di ridurre le emissioni solforose, di particolato e di ossidi di azoto delle navi, con benefici notevoli in termini di miglioramento della qualità dell’aria a livello globale e nelle aree
speciali di controllo delle emissioni, dove entreranno in vigore limiti ancora più stringenti. L’IMO ha inoltre deciso
di abbandonare gradualmente l’utilizzo dell’olio pesante
(cosiddetto bunker), che costituisce il residuo sporco della raffinazione, per adottare obbligatoriamente i distillati,
prima nelle aree speciali e poi a livello globale, che presentano un livello di tenore di zolfo molto più basso.
La centralità del tema dell’energia nel
contesto del dibattito sul green port
L’utilizzo delle fonti rinnovabili (solare, eolica, idraulica,
geotermica, del moto ondoso, maremotrice – maree e correnti – e le biomasse) rappresenta un’esigenza sia per i
Paesi industrializzati che per quelli in via di sviluppo. I
primi necessitano, nel breve periodo, di un uso più sostenibile delle risorse, di una riduzione delle emissioni
di gas serra e dell’inquinamento atmosferico, di una diversificazione del mercato energetico e di una sicurezza
di approvvigionamento energetico. Per i Paesi in via di
sviluppo, le energie rinnovabili rappresentano una concreta opportunità di sviluppo sostenibile e di accesso all’energia in aree remote.
In questo contesto, è evidente come una migliore performance ambientale, accompagnata anche a risparmi nella
struttura dei costi per energia e gestione ambientale, richieda un mix di diversi strumenti: interventi sugli edifici con
lo scopo di migliorare l’isolamento termico, la protezione
solare, l’illuminazione naturale, eliminando gli sprechi e
ottimizzando i sistemi di controllo e regolazione (ad esempio con la domotica); utilizzazione di sistemi di co- o trigenerazione di energia; realizzazione di nuovi edifici a maggiore efficienza energetica; maggior uso delle fonti
rinnovabili (fotovoltaico, biomasse, eolico ecc.). In sostanza, almeno per il momento, l’obiettivo di un maggior utilizzo di energia da fonti rinnovabili va chiaramente accompagnato a politiche volte a razionalizzare e a rendere più
efficienti i sistemi basati sulle fonti tradizionali.
Al tempo stesso, sono necessari gli strumenti economici,
soprattutto incentivi, che consentano, in particolare per
quelle nuove tecnologie per le quali le economie di scala
(vale a dire le basse economie) costituiscono ancora un
problema, nuovi spazi di consolidamento e sviluppo.
Il sistema di promozione dell’energia rinnovabile in Italia, inizialmente incentivato con il provvedimento noto
come CIP6,21 è stato profondamente riformato con il decreto legislativo 79/99, che ha introdotto l’obbligo per le
imprese che producono o importano elettricità da fonti
fossili a immettere in rete una quota prodotta da impianti nuovi o ripotenziati alimentati da fonti di energia rinnovabile. Tale quota era stata fissata inizialmente al 2%
dell’energia eccedente i 100 GWh. Tutti gli operatori soggetti all’obbligo possono provvedere autonomamente alla produzione della quota di energia rinnovabile che devono immettere in rete, o comperare tale quota da terzi
attraverso un meccanismo di mercato che prevede la cessione dei cosiddetti Certificati Verdi (CV). Si tratta di titoli attribuibili dal Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale (GRTN) all’energia prodotta da fonti rinnovabili.
Tali titoli hanno una taglia di 100 MWh e possono essere vantaggiosamente negoziati, tramite contratti bilaterali tra detentori di CV e gli operatori soggetti all’obbligo
o nella piattaforma di negoziazione nel Gestore dei Mercati Energetici (GME).
Altre importanti iniziative internazionali sono state recentemente avviate allo scopo di sensibilizzare il mondo dell’economia, della politica e della cultura sul tema delle
rinnovabili; tra queste, l’iniziativa EIE - Energia Intelligente per l’Europa,22 della Commissione Europea, prorogata fino al 2013: questa promuove, anche attraverso iniziative di comunicazione rivolte al grande pubblico (dal
22 al 26 marzo 2010 si è svolta la Settimana per l’Energia Sostenibile),23 i progetti più significativi a scala europea volti allo sviluppo di tecnologie legate alle energie
rinnovabili, al miglioramento dell’efficienza energetica.
In questa prospettiva, è evidente l’importanza strategica
dei porti. Questi, infatti, data la loro importanza economica, la loro centralità nelle strategie di sviluppo, gli ampi spazi di cui sono dotati, costituiscono dei contesti territoriali di fondamentale valore per perseguire progetti
di efficienza, di riconversione energetica, di valorizzazione e sviluppo di nuove tecnologie.
Alcuni esempi italiani meritano di essere richiamati. In
Italia il Porto di Civitavecchia si sta dotando di una banchina elettrificata (cold ironing), che permette di fornire
alimentazione energetica alle navi ferme all’ormeggio; ne
consegue che non verranno più tenuti accesi i generatori
di energia, fortemente inquinanti.24
Un moderno
terminal per
contenitori
(Terminal ECT
Rotterdam):
l’operazione di
carico e scarico
delle navi è una
attività ad elevata
domanda
energetica, con
impatti significativi
sulla qualità
dell’aria
Un esempio di
“cold ironing” o
“banchina
elettrificata” (Porto
di Los Angeles).
Sono sempre più
frequenti le
esperienze pilota
per ridurre
l’emissione di
sostanze
inquinanti,
attraverso la
fornitura diretta di
energia elettrica
alle navi in
banchina
37
edilizia
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In particolare nei
porti urbani (nella
foto il Porto di
Malta) il transito e
la sosta in
banchina delle
navi per crociere
possono porre
significativi impatti
in termini sia
paesaggistici sia
ambientali (qualità
dell’aria, rumore,
elettromagnetismo
ecc.)
In questi giorni, i presidenti delle Autorità Portuali di
Venezia e Spezia hanno firmato a Roma, con l’ENEL,
dei protocolli di intesa finalizzati a ridurre le emissioni; essi prevedono l’offerta di un’ampia gamma di servizi ad alto valore ambientale: studio di sistemi di mobilità elettrica e sviluppo di fonti rinnovabili come il
solare e l’eolico nelle aree portuali, l’adozione di sistemi di illuminazione a LED a basso consumo, la realizzazione di banchine elettrificate.
Inoltre, il Porto di Venezia sta avviando un progetto pilota (progetto ENALG)25 per realizzare in laguna dei bioreattori in grado di produrre biocarburanti dalle alghe.26
L’obiettivo è alimentare l’attività del porto, soprattutto nel
comparto della crocieristica, con elettricità disponibile in
banchina, rendendo possibile lo spegnimento dei generatori delle navi, aspetto questo fondamentale per ridurre
l’inquinamento e il rumore.
Un altro progetto interessante, che coinvolge il contesto veneziano, è quello dell’Hydrogen Park, promosso dall’omonimo consorzio e dall’Unione Industriali di Venezia con
l’apporto di numerose aziende. Esso è finalizzato a creare
un Centro Idrogeno dove sperimentare le tecnologie relative alle celle a combustibile, allo stoccaggio e all’utilizzo
dell’idrogeno, in quanto vettore energetico.
Va poi ricordato come il porto possa costituire un anello essenziale nell’operazione di greening della filiera logistica.
Anche rispetto a questo tema, la recentissima esperienza veneziana viene in soccorso: la realizzazione di un nuovo servizio di trasporto di container su chiatte dalla laguna di Venezia a Mantova (cinque chiatte, ognuna delle quali può
trasportare 60 container) consente di ridurre le emissioni: si
valuta, infatti, che a regime il sistema consentirà una riduzione annua di circa 32.000 t di CO2 rispetto al trasporto su strada. Ma lo stesso vale per i molti progetti che nei nostri porti intendono sviluppare l’intermodalità ferroviaria, oggi, al
di fuori di qualche caso, ancora poco sviluppata.
Valutazioni conclusive
A partire dai primi anni Novanta del secolo scorso maggiore è l’attenzione che viene rivolta al contributo che le
attività marittime, portuali e del trasporto danno alle emissioni globali, e quindi ai processi di climate change. In
38
questa prospettiva, i porti sono attori fondamentali nelle
politiche e iniziative volte a migliorare l’efficienza energetica e favorire l’utilizzo di fonti rinnovabili, sia al loro
interno (nelle aree portuali propriamente dette), sia come motori fondamentali delle catene del trasporto e della logistica continentale.
Rispetto a questo tema, i seguenti punti meritano una sottolineatura finale.
Seppure chiaramente centrale, il tema dell’energia non
esaurisce le problematiche legate all’obiettivo di fare dei
porti dei green ports. Gestione dei rifiuti, realizzazione di
reti ecologiche, definizione e implementazione di politiche di mitigazione e compensazione rappresentano questioni di rilevante importanza.
In secondo luogo, benché l’aspetto tecnologico sia essenziale, va ricordato come il dibattito sul green port sottolinei l’importanza di altri aspetti: qualità dei sistemi di
monitoraggio, necessità di adeguate politiche e iniziative di comunicazione ambientale, necessità di promuovere modelli di gestione ambientale del tipo complianceplus (miglioramento delle performance ambientali
attraverso approcci volontari: ISO, EMAS ecc.). Al tempo stesso, lo sviluppo di nuove tecnologie può trovare
un fondamentale stimolo nell’adozione di strumenti economici appropriati (incentivi, realizzazione di mercati di
permessi, nuove forme di tassazione/detassazione ecc.).
In terzo luogo, benché il tema del green port rifletta una
crescente attenzione a tematiche di natura globale (emissioni di GHG, contributo delle attività marittime, portuali
e del trasporto al climate change ecc.), va comunque sottolineata la sua fondamentale importanza alla scala locale,
vale a dire alla scala della città-porto. È ben noto come la
natura delle relazioni tra porti e città sia spesso caratterizzata da conflitti, a causa dei costi/opportunità associati all’uso dello spazio e alle esternalità negative: tutti elementi
che contribuiscono ad aumentare le soglie di attenzione sociale alla qualità dell’ambiente. In questo senso, la “ristrutturazione in chiave ambientale” dei porti costituisce una leva fondamentale per migliorare la loro immagine nei
confronti della popolazione e di nuovi potenziali investitori, ridurre i conflitti (elemento fondamentale soprattutto rispetto ai processi di pianificazione), migliorare il business
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In senso orario:
l’utilizzo di mezzi
elettrificati
all’interno delle
aree portuali
consente di ridurre
le emissioni locali
di inquinanti (CO2,
polveri sottili,
rumore ecc.)
environment e la capacità di attrarre nuovi investimenti.
Questo è un aspetto essenziale per la gran parte di porti italiani, che restano nella loro sostanza dei “porti urbani” (si
pensi ai casi di Bari e Venezia, tra tutti).
Infine, va sottolineata l’importanza che gli investimenti in
nuove tecnologie e servizi ambientali (fonti rinnovabili, risparmio ed efficienza energetica, disinquinamento e gestione ambientale) possono avere nel favorire la rigenerazione economica di contesti economici che vivono l’esperienza
del declino e della difficile riconversione. In questo senso,
favorire la transizione dei nostri porti verso la tipologia del
green port potrebbe costituire una leva importante per riqualificare, in chiave strategica, la spesa pubblica, soprattutto nell’attuale periodo di crisi economica.
Michele Perissinotto, Stefano Soriani e Gabriele Zanetto
l’impiego di
banchine
elettrificate e
automatizzate per
un veloce scarico e
carico dei
container, unito a
moduli su rotaia
per un rapido
movimento delle
merci, permette
una migliore
gestione del
modal-split
esempio di mezzo
elettrico all’interno
delle aree portuali
Note
1
Il tema del controllo dei gas a effetto serra ha acquisito sempre maggior rilevanza internazionale grazie alla Convenzione quadro sui
cambiamenti climatici del 1992 (UNCCC, 1992) e al Protocollo di Kyoto (entrato in vigore nel gennaio del 2005). Nel 2007 gli Stati membri dell’Unione Europea hanno deciso di ridurre le emissioni di GHG del 20% entro il 2020 su tutti i settori interessati. Tra le iniziative avviate merita ricordare le seguenti: CEN WG (Comitato Europeo per la Standardizzazione, www.cen.eu/cenorm/homepage.htm), l’ISO
14064 (Progetto di norma sui Gas a effetto serra, suddiviso in ISO/CD 14064-1 Greenhouse gases – Part 1: Specification for the quantification, monitoring and reporting of organization emissions and removals; in ISO/CD 14064-2 Greenhouse gases – Part 2: Specification
for the quantification, monitoring and reporting of project emissions and removals; e in SO/CD 14064-3 Greenhouse gases – Part 3: Specification and guidance for validation and verification), il Greenhouse Gas Protocol (www.ghgprotocol.org), la Global Reporting Initiative (www.globalreporting.org/Home), l’UK Carbon Trust (www.carbontrust.co.uk/default.ct) ecc.
2
Oltre alla CO2, metano (CH4), protossido di azoto (N2O), idrofluorocarburi (HFC), perfluorocarburi (PFC), esafluoruro di zolfo (SF 6)
3
www.ipcc.ch/about/index.htm
4
Wiedmann T., Minx J., A definition of Carbon Footprint, Durham, ISA Research Report, 2007
5
Vengono prese in esame solamente le emissioni di CO2, in quanto più facilmente quantificabili; per esse, poi, esiste un’ampia disponibilità di dati. La CO2, inoltre, è il gas che alla scala globale più incide. Infine, abbattendo la CO2 si abbattono anche altri tipi di inquinanti.
6
www.carbonneutral.com/uploadedfiles /TCNC%20Protocol%202008.pdf, www.scribd. com/ doc/4868535/The-Carbon-Neutral-Protocol
7
www.belfast-harbour.co.uk /news.htm
8
www.portseattle.org/seaport/cargo/GreenGateway.shtml
9
In alcuni porti nordamericani si stanno anche realizzando sistemi di Truck Licensing Systems, sistemi di permessi a pagamento che consentono
l’entrata nelle aree portuali dei mezzi più inquinanti. L’obiettivo è quello di favorire l’ammodernamento del ‘parco mezzi’ in una determinata
area geografica
10
Commissione Europea, COM(2007)616
11
www.cipecomitato.it
12
www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do ?pubRef=-//EP//TEXT+REPORT+A6-2008-0308+0 + DOC+XML+V0//IT
13
www.apat.gov.it/site/_files/QA_QC_ITALY08.pdf
14
www.apat.gov.it/site/_files/Port_Environmental_Review_system_PERS.pdf
15
http://europa.eu/legislation_summaries/environment/air_pollution/l28165_en.htm
16
http://europa.eu/legislation_summaries/environment/tackling_climate_change/l24045b_it.htm
17
COM (2002) 595 final, http://europa.eu/legislation_summaries/environment/air_pollution/l28131_en.htm
18
Dir. 2002/84/EC,http://europa.eu/legislation_summaries/environment/water_protection_management/ l24270_en.htm
19
Dir.2009/30/CE, www.amministrativo.it/ambiente/osservatorio.php?num=1331
20
Decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 205, in attuazione della direttiva 2005/33/CE che modifica la direttiva 1999/32/CE in relazione al tenore di zolfo dei combustibili per uso marittimo (GU n. 261 del 9-11-2007 - Suppl. Ordinario n. 228)
21
Il CIP6 è un provvedimento del Comitato Interministeriale Prezzi, ed è stato adottato il 29 aprile 1992 a seguito della legge n. 9 del 1991,
con cui sono stabiliti prezzi incentivati per l’energia elettrica prodotta con impianti alimentati da fonti rinnovabili e “assimilate”. In conseguenza di esso chi produce energia elettrica da fonti rinnovabili o assimilate ha diritto a rivenderla a un prezzo superiore a quello di mercato. I costi di tale incentivo vengono finanziati mediante un sovrapprezzo del 6% del costo dell’energia elettrica, che viene addebitato
direttamente ai consumatori finali nel conteggio di tutte le bollette
22
Programma pluriennale volto a favorire lo sviluppo sostenibile nel contesto dell’energia. Dal 2007 il programma EIE è stato incluso nel Programma Quadro per la Competitività e l’Innovazione (CIP)7 allo scopo di contribuire al raggiungimento degli obiettivi di politica energetica europea stabiliti dall’Agenda di Lisbona. http://ec.europa.eu/energy/intelligent/index_en.html
23
www.eusew.eua
24
www.port-of-rome.org/ index.php?module=News&siteid=0&tipo=1&idnews=273&Pagina=1&idMenuSel=0&idNetwork=0
25
www.enalg.it/porto_di_venezia.html
26
Autorità Portuale di Venezia, Venezia Porto Verde: iniziative ambientali per il porto di Venezia, Venezia, APV, gennaio 2010, p. 21
39
edilizia
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2010
Innovazione e sviluppo competitivo
del sistema logistico-portuale
Nel mese di novembre 2009 si è svolta a Genova la prima edizione di
Port&ShippingTech, forum internazionale sull’innovazione tecnologica
per lo sviluppo competitivo e sostenibile del sistema logistico-portuale e
dello shipping. In tale sede sono stati affrontati alcuni rilevanti temi tecnico-organizzativi, volgendo lo sguardo alla situazione dei porti italiani e
agli interventi normativi e progettuali necessari per difenderne e rafforzarne il ruolo nel contesto del Mediterraneo (www.shippingtech.it). Promossa
da Autorità Portuale di Genova, Regione Liguria, Provincia, Comune e
Camera di Commercio di Genova,
l’iniziativa è stata ideata e organizzata da Click Utility, società di marketing e consulenza operante nei settori della mobilità e dei servizi pubblici
locali dal 2005 (www.clickutility.it).
All’ing. Carlo Silva, presidente di
ClickUtility, abbiamo rivolto alcune
domande.
Veduta dall’alto
del Porto di
Chioggia
40
Ing. Silva, uno dei primi temi affrontati a Genova è stato quello della telematica e delle nuove tecnologie al
servizio dei porti e della logistica intermodale. Porto vuol dire intermodalità, e dunque strutture e metodi che
consentano il trasferimento delle merci fra nave e veicoli terrestri, su ferro o gomma. Quali le novità? Quali
i tempi di applicazione e i benefici?
«I porti sono soltanto uno degli anelli della catena logistica. Le merci e le
persone devono transitare dal porto
e quindi gli scali necessitano di adeguate infrastrutture, sia stradali che
ferroviarie. Non solo, devono essere
collegati con le strutture logistiche interne, come porti e interporti. Ormai
la competitività del trasporto e quindi dei costi finali dei prodotti si gioca sull’efficienza della catena logistica e sulla “comobilità”. Il concetto di
comobilità è diverso da quello di mobilità: nel mercato globale è necessario l’utilizzo “combinato” di diverse modalità del trasporto. Basti
pensare all’integrazione del trasporto
marittimo con quello terrestre per le
Autostrade del Mare o all’ultimo miglio per la distribuzione di merci fino
a destino, nel caso del trasporto car-
ste, le città portuali. In Italia le autorità portuali stanno attuando politiche tese a consentire lo sviluppo sostenibile dei traffici, anche in considerazione
dello stretto legame fra porti e città».
go ferroviario. Le tecnologie giocano
un ruolo fondamentale, soprattutto per
il flusso di informazioni necessarie a
rendere efficiente l’intero sistema.
Oggi, purtroppo, la merce più trasportata su gomma è l’aria, nel senso che
la maggior parte dei camion fa il viaggio di ritorno vuoto, con insostenibili danni anche ambientali. Si tratta di
mettere in rete le esperienze e superare gli interessi di parte».
Intermodalità e logistica, in prospettiva
futura, debbono evolversi nel senso della sostenibilità. Può sintetizzarci le strategie adottate e i progetti da realizzare?
«C’è sempre più attenzione alle problematiche ambientali sia nel settore
marittimo e portuale che in quello del
trasporto terrestre e aereo. Le buone
pratiche stanno piano piano evolvendo, ma sono ancora troppo lasciate alla buona volontà e alla sensibilità degli operatori. Nel settore marittimo ad
esempio alcune direttive europee suggeriscono misure da adottare per salvaguardare l’ambiente marino, le co-
In tema di salvaguardia e tutela dell’ambiente, i “green ports” dovrebbero condividere lo sforzo di ridurre
il consumo di combustibile e di adottare nuove fonti di energia alternativa. Ci sono già, nei nostri porti, scelte adottate in questo senso?
«Sono numerose le tematiche ambientali che riguardano i porti. Si parte dalle emissioni in aria, specie di polveri,
fino alla tutela delle acque (pulizia degli specchi acquei portuali, rete fognaria, controllo degli scarichi civili e industriali, riduzione dei rischi di
sversamento di prodotti petroliferi, anti inquinamento ecc.); da non dimenticare il rumore e le vibrazioni, e ancora la tutela del suolo (monitoraggio
periodico delle eventuali fonti di inquinamento del suolo demaniale). I
porti consumano energia, a partire da
quella occorrente per l’illuminazione
pubblica e delle aree operative. Si devono gestire i rifiuti, sia quelli prodotti dalle imprese operanti in porto, sia
quelli prodotti e conferiti dalle navi,
e infine i servizi e i controlli nella movimentazione di merci pericolose. Per
quanto riguarda le opere pubbliche sono da monitorare due aspetti principali: i dragaggi e quindi l’utilizzo dei
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fanghi e dei materiali di risulta, e l’impatto ambientale di altre grandi opere infrastrutturali come ad esempio le
vasche di colmata che servono a strappare aree operative al mare.
Sono di questi giorni due importanti
accordi sottoscritti da ENEL con le
Autorità Portuali di La Spezia e Venezia sul tema delle politiche ambientali da adottare che vanno dal cold ironing – cioè l’elettrificazione delle
banchine per evitare le emissioni dalle navi ferme in banchina – all’utilizzo di vettori elettrici per la mobilità
nelle aree portuali, fino all’impiego di
illuminazione con tecnologia LED.
Un precedente accordo era stato sottoscritto per il Porto di Civitavecchia.
Assoporti, l’associazione nazionale
dei porti italiani, da tempo lavora su
questi temi e lo scorso anno, proprio
in occasione di Port&ShippingTech,
ha presentato un importante studio
condotto con l’ISPRA: Traffico marittimo e gestione ambientale nelle
principali aree portuali nazionali. Alcuni porti stanno cominciando a utilizzare fonti alternative per la produzione di energia, a partire dal fotovoltaico,
che è usato a Civitavecchia, Livorno,
Ancona; un progetto sta per partire a Savona per il Terminal Crociere e altri ancora. Si parla anche di minieolico e di
sfruttamento del moto ondoso, sistemi che potrebbero, complessivamente o in parte, soddisfare il fabbisogno
energetico di quei porti. Sul versante
dello shipping, dal 1° gennaio la Comunità Europea chiede agli armatori
di limitare il contenuto di inquinanti
nei combustibili delle navi durante le
soste in porto: questo significa avere
doppie cisterne e combustibili a più
Il Porto di
La Spezia
A sinistra:
operazioni nel
Porto di Livorno
re delle convenienze economiche sia
per gli armatori che per chi investe nell’elettrificazione delle banchine: si tratta quindi di ampliare i numeri sia delle navi dotate di questa tecnologia che
dei porti attrezzati ad accoglierle».
«Le Autostrade del Mare si vanno affermando, anche se con qualche stop
and go. Lo Stato ha favorito il trasferimento dei camion dalla terra al mare con misure incentivanti per l’autotrasporto, il cosiddetto “Ecobonus”. La
Comunità Europea appoggia pienamente le politiche marittime e sostiene i progetti che permettono di spostare le merci dalla strada al mare. Alcuni
armatori hanno investito nel settore dei
RO-RO e RO-Pax, cioè dei traghetti sia
merci che misti passeggeri/merci. Vi
sono porti come Civitavecchia, Livorno, Genova e Napoli, mentre altri si
stanno attrezzando in Adriatico, che
sono capolinea delle Autostrade del
Mare. I camion e i veicoli non sono più
solamente fra la nostra penisola e le
isole – il cosiddetto “cabotaggio nazionale” – ma collegano l’Italia con molti Paesi del Mediterraneo: dalla Francia alla Spagna, alla Tunisia, ai Paesi
della costa orientale dell’Adriatico.
Molti porti stanno stringendo contatti
per nuovi traffici con i Paesi del Maghreb e del Mediterraneo sudorientale. Ormai nel Mediterraneo vanno assumendo sempre più importanza le
direttrici Nord-Sud e non solo quelle
fra Est e Ovest per i traffici intercontinentali, dalle Americhe al Far East».
In un Paese come l’Italia, che è circondata dal mare, dovrebbe essere ovvio
trasferire parte dei traffici dalle strade
alle vie d’acqua. Cosa si è fatto, concretamente, in tema di Autostrade del Mare? Quali gli strumenti necessari per imprimere una svolta in quella direzione?
Quale l’evoluzione dei traffici marittimi attesa, nei prossimi 10-20 anni,
nello scenario del Mediterraneo?
«La crisi economica ha ritardato gli
effetti della globalizzazione in termini di merci trasportate. Nel Mediterraneo viaggiano circa 30 milioni di
alto costo. Alcune navi sono dotate
anche di apposite piastre per il cold
ironing.
Fincantieri ha sottoscritto un programma per prevedere questo sistema nella
costruzione delle nuove navi, soprattutto da crociera. Ma ci devono esse-
41
edilizia
ambiente
territorio
n. 30-34
2010
Il Porto container
di Venezia
Sotto:
una gru nel Porto
di Venezia e sullo
sfondo il ponte
strallato
container, dei quali circa 10 interessano i porti italiani. Qualche anno fa
si pensava al raddoppio di queste
quantità nell’arco di una decina d’anni. Oggi lo scenario è diverso: molte compagnie internazionali hanno
avuto flessioni e in alcuni grandi porti come Singapore le navi portacontainer sono in rada, inutilizzate. Sia
il mondo dei terminalisti che quello
dell’armamento aspettano la ripresa
economica. In media tutti i nostri
scali hanno registrato perdite, alcuni con picchi preoccupanti, come il
-37% nel settore container del Porto di Taranto o le percentuali scoraggianti di Cagliari e Gioia Tauro, solo per parlare dei tre grandi porti di
transhipment. Ma vi sono state riduzioni anche per altre tipologie di merci, dai prodotti petroliferi, alle rinfuse, alle merci varie. Alcuni segnali
positivi cominciano ad arrivare, anche se con lentezza».
A quali condizioni l’Italia può riacquistare un ruolo importante nei traffici marittimi, incalzata com’è dalla
concorrenza dei porti del Mediterraneo e del Nord Europa?
«Se l’Italia negli anni ’90 aveva superato il gap nei confronti dei porti del
Northern Range, grazie anche alle
nuove regole introdotte nei porti dalla legge di riforma portuale, oggi rischiamo di perdere di competitività,
e non solo nei confronti dei nostri vicini spagnoli e francesi. Stanno sorgendo nuovi scali in Marocco, come
Tangeri, o in Egitto, come Port Said,
più vicini alle rotte Est-Ovest da Gibilterra a Suez, e soprattutto più convenienti economicamente in termini
sia di costi generali che di manodopera. Proprio in questi giorni si stanno mettendo in cassa integrazione 400
dipendenti del Medcenter di Gioia
Tauro. Il sistema dei porti italiani deve adeguarsi in fretta alle richieste del
mercato, dotando i porti di strutture e
infrastrutture adeguate. Deve competere anche in termini di qualità dei servizi e affidabilità, e soprattutto creare
le condizioni per il veloce inoltro delle merci dalla produzione al consumo
grazie a una catena logistica efficiente. Sono necessarie misure urgenti negli scali, a partire dai dragaggi, per
permettere l’accesso alle navi di ultima generazione fino allo snellimento delle procedure doganali. Siamo in
attesa del nuovo testo della “legge di
42
edilizia
ambiente
territorio
n. 30-34
2010
riforma portuale” che dia, fra l’altro,
una maggiore autonomia finanziaria
ai porti in modo che le autorità portuali possano reinvestire negli scali
per attrarre nuovi traffici. C’è scarsezza di risorse economiche e si rischia
che la competizione avvenga fra i nostri scali piuttosto che nei confronti di
quelli emergenti extraeuropei».
ClickUtility sta già lavorando alla seconda edizione di Port&ShippingTech,
che si svolgerà a Genova il 22 e 23 novembre 2010. Nell’ambito dei convegni in programma verranno approfondite le tematiche discusse con l’ing.
Silva, con particolare riferimento alle
politiche per la crescita della logistica
portuale e terrestre italiana, ai piani di
sviluppo infrastrutturale nei contesti
portuali nazionali, all’evoluzione di tecnologie e nuovi prodotti ecosostenibili.
Novità della seconda edizione sarà l’evento sull’identificazione automatica ID 2.0
Summit, organizzato in partnership con
la società Wireless e dedicato ai CIO di
aziende di logistica e trasporti.
Laura Facchinelli
Una veduta del
Porto di Venezia
43
edilizia
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territorio
n. 30-34
2010
geologia
a cura di Giuseppe Gisotti
La direttiva “Prodotti da Costruzione” (CPD)
e la marcatura CE dei materiali stradali
e norme tecniche nazionali, il cui fine principale consiste nel garantire un livello minimo di salute e sicuL
rezza, hanno spesso costituito un ostacolo alla libera circolazione delle merci fra i diversi Paesi della UE. Per cercare di eliminare queste barriere tecniche la politica comunitaria ha adottato due principi fondamentali:
1. il principio di mutuo riconoscimento: in assenza di una
legislazione europea di armonizzazione, gli Stati membri devono riconoscere reciprocamente i prodotti provenienti dagli altri Paesi UE, fabbricati nel rispetto dei
regolamenti tecnici nazionali;
2. l’armonizzazione dei regolamenti tecnici nazionali attraverso le direttive, che vincolano lo Stato membro al
raggiungimento di un obiettivo, mantenendone la competenza sulla forma e i mezzi con i quali raggiungere
tali risultati.
Le direttive pertanto non sono atti comunitari direttamente vincolanti per gli Stati membri, ma devono essere introdotte attraverso provvedimenti nazionali di recepimento.
Una direttiva tipo è strutturata secondo i seguenti criteri:
– definizione del campo di applicazione, dove vengono
descritti i prodotti coperti dalla direttiva;
– affermazione della clausola generale di immissione sul
mercato: possono essere immessi sul mercato comunitario solo i prodotti che, installati e utilizzati conformemente alla loro destinazione, siano conformi ai requisiti essenziali di sicurezza previsti da ciascuna direttiva. Responsabile dell’immissione sul mercato di prodotti sicuri è il fabbricante (o eventualmente l’importatore);
– principio di conformità: i prodotti conformi alle norme
tecniche elaborate dagli organismi di normalizzazione
europei (norme armonizzate) beneficiano di una presunzione di conformità nei confronti dei requisiti essenziali della direttiva;
– procedure di certificazione: ciascuna direttiva stabilisce le procedure a cui vanno sottoposti i prodotti per dimostrare la conformità ai requisiti essenziali (quindi per
apporre la marcatura CE). La complessità delle procedure aumenta col crescere della pericolosità del prodotto: in molti casi è sufficiente quella che viene impropriamente chiamata “autocertificazione”, cioè la dichiarazione di conformità redatta e firmata dallo stesso fabbricante, ovviamente dopo aver provveduto a verificare la conformità del prodotto con quanto previsto dalla
direttiva; per prodotti più pericolosi è invece necessario prevedere sistemi di controllo del processo in fabbrica e l’intervento di un organismo notificato che accerti tali conformità;
– elaborazione di un fascicolo tecnico: costituito dalla documentazione tecnica utile a dimostrare la conformità
dei prodotti ai requisiti della direttiva;
– definizione del periodo transitorio: la maggior parte delle direttive prevede un periodo transitorio durante il quale il produttore può scegliere se immettere sul mercato
prodotti conformi alla direttiva di riferimento o alla le-
44
gislazione nazionale preesistente. Al termine del periodo transitorio invece deve essere applicata solo la normativa comunitaria, escludendo quindi ogni regolamentazione nazionale preesistente relativa agli stessi prodotti e concernente gli stessi requisiti essenziali della
direttiva.
L’organismo generale europeo di normazione è il CEN
(per l’ambito elettromeccanico è il CENELEC e per le telecomunicazioni l’ETSI). Sono membri del CEN gli organismi nazionali di normazione (per l’Italia l’UNI). L’elaborazione delle norme del CEN è compito dei comitati
tecnici (technical committee, TC) i quali possono organizzarsi in sotto-commissioni (SC) e in gruppi di lavoro
(WG) per argomenti e/o compiti specifici.
Lo strumento contrattuale attraverso cui la Commissione Europea incarica il CEN di predisporre le norme armonizzate specifiche per ogni prodotto, è il “mandato”.
Lo schema dell’iter procedurale per l’adozione di una norma armonizzata è il seguente:
– la Commissione predispone il mandato per una famiglia di prodotti;
– il mandato viene inviato al CEN (o agli altri comitati di
standardizzazione);
– il CEN predispone la norma tecnica per la famiglia di
prodotti;
– la norma, dopo l’approvazione in ambito CEN, viene
inviata alla Commissione che ne verifica la conformità al mandato iniziale e quindi la fa pubblicare sulla
«Gazzetta Ufficiale» (OJ);
– la norma diventa armonizzata e sostituisce tutte le norme nazionali.
La condizione fondamentale per l’affissione della marcatura CE su un prodotto è la dichiarazione di conformità,
sottoscritta dal produttore, che rappresenta l’atto formale con cui esso dichiara, sotto la propria responsabilità,
che il prodotto è conforme all’allegato ZA della specifica norma armonizzata. Con il termine “conformità” si deve
intendere la rispondenza di un prodotto, processo o servizio ai requisiti specificati nella direttiva di riferimento che,
pur avendo carattere di obbligatorietà per il produttore,
non contiene tuttavia alcuna indicazione per quanto riguarda i requisiti tecnici dei singoli prodotti. Per verificare la conformità, le direttive rimandano quindi alle specifiche norme armonizzate sui prodotti. A sua volta, il
sistema di attestazione è la procedura pratica mediante
la quale viene documentata la conformità del prodotto a
tali norme e deve essere messa in opera dal produttore sotto la propria diretta responsabilità o attraverso il coinvolgimento di un organismo di certificazione, di ispezione o di un laboratorio (organismi notificati). Gli organismi notificati (notified body, NB) sono parti terze indipendenti che posseggono le competenze necessarie per poter eseguire le prove, ispezioni o altri tipi di verifica di
conformità previsti dalle direttive, i cui compiti sono riportati nella tabella 1.
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Tabella 1 – Gli organismi notificati
Categoria
Organismo
di certificazione
Incarico
Rilascia il certificato di conformità, a seconda del sistema di attestazione della conformità da applicare al
prodotto da costruzione o al controllo del processo di fabbrica, secondo regole procedurali date. La base
per la certificazione sono i risultati dell’attività di ispezione e, a seconda dei casi, di prova
Organismo
di ispezione
Svolge le proprie funzioni di ispezione, di valutazione iniziale e successive ispezioni di sorveglianza del
controllo di produzione di fabbrica attuato dal produttore, così come, se previsto, del prelievo di campioni,
secondo specifici criteri. Esso relaziona correntemente, ove previsto, la propria attività a un organismo di
certificazione notificato
Laboratorio
di prova
Provvede a misurare, esaminare, provare o determinare in altro modo le caratteristiche o le prestazioni del
prodotto da costruzione, fornito dal produttore ovvero prelevato durante l’eventuale processo di
sorveglianza (sistema di attestazione 1+) dall’organismo di ispezione. Esso relaziona correntemente o, nel
caso di sistema di attestazione 3, emette dei propri rapporti di prova sotto notifica
La legislazione comunitaria prevede differenti sistemi di
attestazione fra i quali la Commissione assegna quello più
idoneo da applicare al prodotto (o alla famiglia di prodotti), in funzione dell’importanza e del tipo di impiego che
il prodotto assumerà nella costruzione, rispetto ai requisiti essenziali (in particolare quelli riguardanti la salute e
la sicurezza).
della standardizzazione dei prodotti per la libera circolazione delle merci all’interno dei Paesi della Comunità.
Essa è indirizzata agli Stati membri, è obbligatoria e deve essere trasposta, cioè resa attuativa, nel corpo legislativo nazionale. In Italia il recepimento della CPD è avvenuto tramite il
DPR n. 246/1993 e il successivo DPR n. 499/1997, che ha
considerato l’avvenuto successivo emendamento alla CPD.
Tabella 2 – I diversi sistemi di attestazione previsti dalla legislazione comunitaria
Sistema di
attestazione
Compiti del produttore
Compiti dell’organismo notificato
Condizione
per la marcatura CE
3
Prove iniziali di tipo sul prodotto (ITT)
Controllo del processo di fabbrica (FPC)
Controllo del processo di fabbrica
2
Prove iniziali di tipo sul prodotto (ITT)
Controllo del processo di fabbrica (FPC)
Certificazione del controllo del
processo di fabbrica sulla base
di un’ispezione iniziale
Prove iniziali di tipo sul prodotto (ITT)
Controllo del processo di fabbrica (FPC)
Prove su campioni di prodotto secondo
un programma di prove definito
Certificazione del controllo del
processo di fabbrica sulla base di
un’ispezione iniziale, di una
sorveglianza continua, della
valutazione e approvazione del
controllo del processo di fabbrica
Controllo del processo di fabbrica (FPC)
Prove ulteriori su campioni di prodotto
secondo un programma di prove
definito
Prove iniziali di tipo sul prodotto
Ispezione iniziale della fabbrica e del
controllo del processo di fabbrica
Sorveglianza continua, valutazione
e approvazione del controllo del
processo di fabbrica
Dichiarazione di conformità da parte
del produttore, accompagnata
da certificato di conformità
del prodotto
Controllo del processo di fabbrica (FPC)
Prove ulteriori su campioni di prodotto
secondo un programma di prove
definito
Prove iniziali di tipo sul prodotto
Ispezione iniziale della fabbrica e del
controllo del processo di fabbrica
Sorveglianza continua, valutazione
e approvazione del controllo del
processo di fabbrica
Prove di verifica di campioni
prelevati in fabbrica, sul mercato
o in cantiere
Dichiarazione di conformità da parte
del produttore, accompagnata
da certificato di conformità
del prodotto
4
2+
1
1+
Prove iniziali di tipo sul prodotto
Nel processo che conduce alla marcatura di un prodotto
ci sono due momenti fondamentali. Il primo è relativo alla
definizione delle sue caratteristiche prima della immissione sul mercato, tramite prove iniziali di tipo (initial type
testing, ITT); il secondo è l’insieme dei controlli atti ad
assicurare che le caratteristiche iniziali determinate siano
mantenute nel tempo mediante il controllo del processo
di fabbrica (factory production control, FPC).
La direttiva “Prodotti da Costruzione”
La direttiva “Prodotti da Costruzione” (Construction Product Directive 89/106/CEE, CPD) si inquadra nel filone
Dichiarazione di conformità da parte
del produttore
Dichiarazione di conformità
da parte del produttore
Dichiarazione di conformità da parte
del produttore, accompagnata dalla
certificazione del controllo del
processo di fabbrica
Dichiarazione di conformità da parte
del produttore, accompagnata dalla
certificazione del controllo del
processo di fabbrica
L’obbiettivo della libera circolazione delle merci viene raggiunto imponendo agli Stati membri di assumere tutte le misure necessarie affinché soltanto i prodotti considerati idonei per l’utilizzo previsto possano essere immessi sul mercato comunitario e, di conseguenza, ne sia consentita la libera circolazione. L’idoneità all’impiego significa che i prodotti possiedono caratteristiche tali per cui le opere nelle
quali debbono essere incorporati, montati, applicati o installati possono soddisfare, se propriamente progettate e fabbricate, i requisiti essenziali previsti dalla direttiva, e cioè:
1. resistenza meccanica e stabilità;
2. sicurezza in caso d’incendio;
45
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3. igiene, salute e ambiente;
4. sicurezza in uso;
5. protezione contro il rumore;
6. risparmio energetico e ritenzione del calore.
Ciascuno di questi requisiti deve inoltre far riferimento a un
settimo requisito: la durabilità, ovvero la permanenza per un
ragionevole periodo di tempo dei requisiti sopra elencati.
I materiali stradali
La CPD definisce con il termine “materiale da costruzione” qualsiasi prodotto/materiale destinato a essere permanentemente incorporato in opere da costruzione (edifici e opere di ingegneria civile in genere). In questo contesto, quindi, anche gli inerti, i conglomerati bituminosi
e il bitume stesso sono materiali che subiscono lavorazioni, entrano a far parte di una costruzione e sono considerati prodotti, la cui attività normativa è seguita dal Comitato Tecnico CEN/TC 227 Road Materials che si articola in cinque gruppi di lavoro:
– WG 1 Conglomerati bituminosi;
– WG 2 Trattamenti superficiali;
– WG 3 Materiali per pavimentazioni a base di calcestruzzo, compresi i materiali per riempimento e sigillatura
dei giunti;
– WG 4 Materiali per misti cementati, misti granulari non
legati e materiali marginali;
– WG 5 Caratteristiche superficiali.
Altri comitati tecnici che si occupano di prodotti per la
costruzione di strade sono:
– CEN/TC 154 Aggregati;
– CEN/TC 178 Elementi per pavimentazioni e marciapiedi;
– CEN/TC 189 Geosintetici;
– CEN/TC 336 Leganti bituminosi.
La marcatura CE per gli aggregati
Le norme armonizzate sugli aggregati per la traduzione
dei sei requisiti essenziali per i prodotti da costruzione,
previsti dalla direttiva, in requisiti tecnici specifici che permettano di caratterizzare gli aggregati sono nate attraverso il Mandato M/125 Aggregati naturali, da frantumazione, da processo industriale, riciclati. Il CEN, allo scopo
di rendere operativa la direttiva, ha elaborato le norme
riportate nella tabella 3. I sistemi di attestazione previsti,
in relazione alla sicurezza dell’opera, sono due: il 2+ e il
4. Con decreto ministeriale 7 aprile 2004 Applicazione
della Direttiva 89/106/CEE sono state pubblicate le corrispondenti norme italiane di recepimento, la data di entrata in vigore delle norme armonizzate (marcatura CE
volontaria) e la fine del periodo di coesistenza delle disposizioni legislative nazionali preesistenti (marcatura CE
obbligatoria), fissato per il 1° giugno 2004. A partire da
tale data, per le sette categorie di aggregati è obbligatoria la marcatura CE. Il successivo decreto ministeriale
11 aprile 2007 ha individuato, per l’Italia, i prodotti e i relativi metodi di conformità degli aggregati che sono il 2+,
o il 4, a seconda dell’uso strutturale o meno.
Aggregati per conglomerati bituminosi
(UNI EN 13043)
La norma specifica le proprietà di aggregati e filler da utilizzare nei conglomerati bituminosi e trattamenti superficiali di strade, aeroporti e altre aree soggette a traffico.
Non riguarda l’utilizzo di conglomerati bituminosi fresati (di riciclo).
Data la natura degli aggregati dei sei requisiti essenziali previsti dalla direttiva, solo i seguenti tre risultano applicabili:
– resistenza meccanica e stabilità (requisito essenziale 1);
– igiene, salute e ambiente (requisito essenziale 3);
– sicurezza nell’utilizzo (requisito essenziale 4).
Per il soddisfacimento dei requisiti 1 e 4 vengono definite come proprietà prestazionali determinanti:
– la dimensione;
– la forma e la massa volumica dei granuli;
– la percentuale di granuli frantumati;
– la pulizia;
– la resistenza alla frammentazione, all’abrasione e all’usura;
– l’assorbimento d’acqua.
Per il soddisfacimento del requisito 3 devono essere controllati i contaminanti leggeri di grosse dimensioni.
Deve inoltre essere garantita la durabilità nei confronti degli agenti che possono risultare importanti (gelo e disgelo, sali disgelanti, alcali ecc.).
Le proprietà degli aggregati sono descritte in tre sezioni
riguardanti rispettivamente:
– i requisiti geometrici;
– i requisiti fisico-meccanici;
– i requisiti chimici.
Tabella 3 – Norme elaborate dal CEN per rendere operativa la direttiva “Prodotti da Costruzione”
Norma Europea
Titolo
EN 12620
Aggregati per calcestruzzo
EN13242
Aggregati per materiali non legati e legati con leganti idraulici per l’impiego in ingegneria civile e nella
costruzione stradale
EN13285
Miscele non legate: specifiche
EN 13043
Aggregati per miscele bituminose e trattamenti superficiali per strade, aeroporti e altre aree soggette
a traffico
EN13450
Aggregati per massicciate ferroviarie
EN13383-1
EN13139
46
Aggregati grossi per opere idrauliche – Parte 1: specifiche
Aggregati per malta
EN13055-1
Aggregati leggeri – Parte 1: aggregati leggeri per calcestruzzo e malta
EN13055-2
Aggregati leggeri – Parte 2: aggregati leggeri per miscele bituminose, trattamenti superficiali e applicazioni
per materiali legati e non legati, escluse applicazioni con calcestruzzo e malta
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Requisiti geometrici. Il più importante requisito geometrico dell’aggregato è la distribuzione granulometrica (categoria G) che definisce le classi granulometriche riportate nella tabella 4. La prova è eseguita per setacciatura,
Il contenuto di fini dell’aggregato permette di classificare il materiale conformemente alla categoria f (tab. 6), basandosi sulla percentuale p0,063 (passante al setaccio 0,063
mm), il cui valore stabilisce le modalità di valutazione del
Tabella 4 – Categorie per la designazione della granulometria
Aggregato
Percentuale del passante in massa
Dimensione
(mm)
2D
D>2
Grosso
Fine
D≤2
D ≤ 45
ed=0
Misto
Categoria G
1.4 D
D
d
2/2
100
100
90-99
0-10
0-2
GC90/10
100
98-100
90-99
0-15
0-5
GC90/15
100
98-100
90-99
0-20
0-5
GC90/20
100
98-100
85-99
0-15
0-2
GC85/15
100
98-100
85-99
0-20
0-5
GC85/20
100
98-100
85-99
0-35
0-5
GC85/35
85-99
–
–
GF85
100
98-100
90-99
–
–
GA90
100
98-100
85-99
–
–
GA85
100
conformemente alla EN 933-1 e alla EN 933-2, utilizzando, a seconda delle dimensioni D/d dell’aggregato, setacci
appartenenti rispettivamente alla serie di base, alla serie di
base +1 o alla serie di base +2. Le classi granulometriche
sono definite, per l’aggregato grosso, mediante la percentuale minima di passante al setaccio superiore e quella massima al setaccio inferiore, mentre per il materiale fine o in
frazione unica la categoria rappresenta solamente la percentuale minima di passante al setaccio superiore.
Tabella 5 – Requisiti geometrici: classi granulometriche
Serie di base (mm) Serie di base + serie 1 Serie di base + serie 2
0
0
1
1
2
2
4
4
5,6(5)
6,3(6)
8
8
10
11,2(11)
12,5(12)
14
16
16
20
22,4(22)
31,5(32)
31,5(32)
40
45
63
63
d=dimensione nominale inferiore
D=dimensione nominale superiore
Il rapporto D/d deve essere non inferiore a 1,4
0
1
2
4
8
16
31,5(32)
63
contenuto di fini nocivi (ad esempio il rigonfiamento dell’argilla):
a) se p0,063 non è maggiore del 3% non sono necessarie ulteriori prove;
b) se p0,063 è compreso tra il 3 e il 10% la quantità di fini
nocivi presenti nella frazione 0/0,125 mm viene determinata con la prova del blu di metilene (UNI EN
933-9); le classi di categoria MBf previste sono: MBF
10, MBF25 e MBF (dichiarata per un valore di blu di
metilene rispettivamente ≤ 10; ≤ 25 e > 25);
c) se p0,063 è maggiore del 10% il contenuto di fini deve
soddisfare i requisiti dell’aggregato filler.
Nei capitolati Autostrade SpA e ANAS per valutare la qualità
dei fini è prevista invece la prova dell’equivalente in sabbia.
La norma prevede anche la determinazione della forma
dei granuli dell’aggregato grosso, mediante l’assegnazione di una specifica categoria FI in base al valore assunto
dal coefficiente di appiattimento (UNI EN 933-3) e utilizzando, quando richiesto, anche l’indice di forma (UNI
EN 933-4) da dichiararsi in conformità alla categoria SI
da abbinare alla categoria FI (tab. 7). Sempre per quanto
concerne l’aggregato grosso la norma qualifica l’inerte
nella categoria C ottenuta in base alle percentuali di granuli costituenti rispettivamente frantumati, totalmente frantumati e arrotondati, prendendo così in esame un requisito geometrico non previsto dalle norme CNR. Infatti per
gli aggregati da utilizzare in conglomerati bituminosi la
Tabella 6 – Categorie per il contenuto e la qualità dei fini
Aggregato
Grosso
Fine
Categorie per il contenuto dei fini
Percentuale del passante
Categoria f
sullo staccio da 0,063 mm
0,5
f0.5
f1
1
2
f2
4
f4
>4
fdichiarato
Senza requisiti
fNR
f3
3
f10
10
f16
16
f22
22
fdichiarato
>22
fNR
Senza requisiti
Categorie per la qualità dei fini
Valore del Blu MBF (g/kg)
Categoria MBF
–
≤ 10
≤ 25
>20
Senza requisiti
MBFNT
MBF10
MBF25
MBF Dichiarato
MBFNR
Non è richiesta l’indagine sulla qualità dei fini
se il contenuto nell’aggregato fine (o misto ≤ 8)
è minore di 3%
Se il contenuto in fini è 3410% si determina il
contenuto in argilla con la prova al blu metilene
Per contenuto in fini >10% si rimanda ai requisiti
del filler
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Tabella 7 – Categorie per la forma dell’aggregato grosso
Indice di
appiattimento
Categoria FI
Indice di forma
Categoria SI
FI10
FI15
FI20
FI25
FI30
FI35
FI50
≤15
≤20
≤25
≤30
≤35
≤50
>50
SI15
SI20
SI25
SI30
SI35
SI50
FIdichiarato
FINR
Nessun requisito
≤10
≤15
≤20
≤25
≤30
≤35
≤50
>50
Nessun requisito
SIdichiarato
SINR
normativa italiana non prevede una prova specifica finalizzata alla determinazione del grado di frantumazione del materiale, anche se, ad esempio, il capitolato ANAS, vieta l’utilizzo di materiale arrotondato negli strati di collegamento e
usura, e ammette la presenza di ghiaia e ghiaietto fino a un
rapporto massimo del 30% in massa per lo strato di base.
La granulometria del filler (cioè l’aggregato, di origine minerale, prodotto separatamente e poi addizionato) è determinata con setacciatura a getto d’aria (UNI EN 933-10), individuando le frazioni granulometriche 0,125/2 mm, 0,063/0,125
e frazioni < 0,063 mm, mediante la vagliatura del materiale
all’interno dell’apparecchio. La presenza dei nocivi viene stabilita sempre in base al valore di blu di metilene.
Requisiti fisici e meccanici. Un requisito importante per la
caratterizzazione meccanica di un aggregato ai fini del suo
impiego in campo stradale è la resistenza alla frammentazione, valutata mediante la categoria LA, legata al coefficiente
Los Angeles (UNI EN 1097-2), determinato con procedure
in parte diverse rispetto alla corrispondente norma CNR.
Le definizioni delle masse volumiche (UNI EN 1097-6)
rispettivamente apparente (ra), dei granuli pre-essiccati in
stufa (rrd), dei granuli in condizione di saturazione a superficie asciutta (rssD), nonché l’assorbimento d’acqua
dopo 24 h di immersione (WA24), sono riportati nella tabella 8. Il criterio di determinazione di tali grandezze fisiche varia a seconda della dimensione dell’aggregato, poiché se questa presenta valore 0,063/4 mm o 4/31,5 mm si
usa il metodo del picnometro, altrimenti se la dimensione
del materiale è 31,5/63 mm la determinazione di tali grandezze avviene con il metodo del cestello.
Come prova per il requisito della durabilità, viene considerata la resistenza al gelo/disgelo valutata mediante il valore di assorbimento d’acqua determinato con il metodo
del cestello a rete, portando i granuli alla condizione di
saturazione tramite immersione in acqua senza ottenere
la massa costante (EN 1097-6, punto 7), oppure protraendo l’assorbimento fino al raggiungimento di quest’ultima (UNI EN 1097-6, appendice B). Nel primo caso,
si ritiene l’aggregato resistente al gelo/disgelo quando il
valore dell’assorbimento d’acqua non è maggiore dell’1%
oppure del 2% (classi di categoria WA241 e WA242), nel
secondo caso invece il materiale resiste al gelo/disgelo
per valori di assorbimento d’acqua che non superino il
valore massimo 0,5 cm. La perdita di resistenza che il
materiale subisce a causa dei cicli di gelo/disgelo può essere determinata anche secondo la UNI EN 1367-1, considerando la perdita di massa delle frazioni di prova degli aggregati a granulometria omogenea, in seguito a immersione in acqua e all’azione di 10 cicli di congelamento a -17,5 °C e scongelamento a 20 °C. Al termine della
prova si valutano eventuali modifiche dei campioni (ad
esempio la formazione di cricche) e si calcola la perdita
di massa in funzione della percentuale di passante al setaccio di dimensione pari alla metà della dimensione inferiore dei campioni, designando una classe della corrispondente categoria F:
F = 100 (M1 – M2)/M1;
F = perdita di percentuale di massa dei tre campioni di
prova dopo i cicli di gelo e disgelo;
M1 = massa totale iniziale dei tre campioni di prova essiccati (in g);
M2 = massa finale dei tre campioni di prova essiccati, trattenuta sullo specifico setaccio (in g).
Requisiti chimici. I principali sono quelli riportati nella
tabella 9.
Tabella 9 – Requisiti chimici
Composizione chimica
Se richiesto si determina la composizione chimica dell’aggregato
secondo EN 932-3 e si dichiarano i valori dei risultati
Contaminanti leggeri di grosse dimensioni
Se richiesto si determina, secondo EN 1744-1, il contenuto
in contaminanti leggeri organici di grosse dimensioni (> 2 mm)
e si dichiara il valore in termini di categoria
Costituenti che riguardano la stabilità volumetrica di loppa
d’alto forno e loppe d’acciaio
Disintegrazione di silicato bicalcico
Disintegrazione ferrosa delle scorie d’alto forno
Stabilità di volume delle scorie d’acciaio
Tabella 8 – Definizione delle masse volumiche dei granuli e assorbimento d’acqua
Massa volumica apparente dei
granuli (Mg/m3)
ρ
0
=ρ
M
M −(M − M )
4
w
4
2
3
Massa volumica dei granuli
pre-essiccati in stufa (Mg/m3)
ρ
rd
= ρw
M
M −(M − M )
4
1
2
3
Massa volumica dei granuli
in condizione di saturazione
a superficie asciutta (Mg/m3)
ρ
ssd
= ρw
M
M −(M − M )
1
1
2
Assorbimento acqua (%)
WA
3
M1- Massa in aria dell’aggregato saturo a superficie asciutta, in g
M2- Massa apparente in acqua del cestello con il campione di aggregato saturo, in g
M3- Massa apparente in acqua del cestello vuoto, in g
M4- Massa in aria del campione essiccato in stufa, in g
ρw- Densità dell’acqua alla temperatura registrata all’atto della valutazione di M2
48
24
=ρ
100
w
(M − M )
M
1
4
4
edilizia
ambiente
territorio
n. 30-34
2010
La Marcatura CE per i conglomerati
bituminosi
Le norme armonizzate sui conglomerati bituminosi sono
nate in risposta al Mandato M/124 Prodotti per la costruzione di strade, che riguarda i seguenti prodotti:
– bitume ed emulsioni bituminose per conglomerati bituminosi e trattamenti superficiali;
– conglomerati bituminosi;
– trattamenti superficiali;
– sistemi di impermeabilizzazione di impalcati per ponti;
– prodotti accessori per le strade in calcestruzzo.
La marcatura CE regola solo le fasi di produzione e consegna del prodotto, mentre è esclusa la fase di posa in opera. Il periodo transitorio si è concluso il 1° marzo 2008.
Le caratteristiche fanno riferimento alle norme armonizzate della serie EN 13108 che comprende tutti i conglomerati bituminosi prodotti con legante tradizionale (UNI
EN 12591) e modificato (UNI EN 14023).
Tabella 10 – Serie EN 13108 che comprende tutti i conglomerati
bituminosi prodotti con legante tradizionale e modificato
Norma Europea
Titolo
EN 13108 – 1
Conglomerato bituminoso a caldo
EN 13108 – 2
Conglomerato bituminoso per strati
molto sottili
EN 13108 – 3
Conglomerato bituminoso con bitume
molto tenero
EN 13108 – 4
Conglomerato bituminoso chiodato
EN 13108 – 5
Conglomerato bituminoso antisdrucciolo chiuso
EN 13108 – 6
Asfalto colato
EN 13108 – 7
Conglomerato bituminoso a elevato
contenuto di vuoti
EN 13108 – 8
Conglomerato bituminoso fresato
EN 13108 – 20
Prove iniziali di tipo
EN 13108 – 21
Controllo di produzione in stabilimento
La norma individua quale unico sistema di attestazione
per i conglomerati bituminosi a caldo il sistema 2+. Per
la definizione dei requisiti dei materiali costituenti e delle miscele, l’insieme delle norme UNI EN 13108 rimanda puntualmente alle specifiche comprese nelle norme
UNI EN 12697 che precisano i parametri e le condizioni
di prova.
Dei sei requisiti essenziali della direttiva, sono applicabili solo quelli riportati nella tabella 11.
I materiali costituenti considerati sono:
– il legante bituminoso;
– l’aggregato lapideo;
– il conglomerato bituminoso riciclato;
– gli additivi.
Per quanto riguarda il bitume, è richiesta la conformità
alla UNI EN 12591 per il tipo tradizionale, alla UNI EN
14023 per il tipo modificato e alla UNI EN 13294 per il
bitume duro a bassa penetrazione.
Gli aggregati lapidei sono raggruppati nei seguenti tipi:
– aggregato grosso (dimensioni più piccole d > 2 mm);
– aggregato fine (dimensioni più piccole D < 2 mm);
– aggregati in frazione unica (misto di aggregati grossi
e fini);
– filler (frazione granulometrica inferiore a 0,063 mm).
Gli aggregati devono essere conformi ai requisiti previsti dalla norma UNI EN 13043 che, come visto, ne specifica i requisiti ai fini della marcatura CE.
Sono previsti i seguenti tipi di compattazione in laboratorio del materiale sciolto:
– a impatto (UNI EN 12697-30);
– con pressa giratoria (UNI EN 12697-31);
– a vibrazione (UNI EN 12697-32);
– con compattatore a rullo (UNI EN 12697-33).
La determinazione della stabilità Marshall (UNI EN 1269734), largamente utilizzata in Italia, è prevista solo per le applicazioni aeroportuali, specificate con l’approccio empirico.
Le caratteristiche principali prese in considerazione sono
le seguenti:
– vuoti residui (V): rappresenta la percentuale di vuoti del
conglomerato bituminoso, rispetto al volume della miscela compattata;
– vuoti riempiti di bitume (VFB): rappresenta la percentuale dei vuoti che viene riempita di bitume;
– vuoti nell’aggregato minerale (VMA): è il volume dei
vuoti intergranulari di una miscela di conglomerato bituminoso compattato ed è composto dalla somma della percentuale dei vuoti residui della miscela e il contenuto di bitume non adsorbito dall’aggregato;
– vuoti a 10 rotazioni (V10G): rappresenta la percentuale dei vuoti di un conglomerato compattata mediante
compattatore giratorio con 10 rotazioni. L’energia corrispondente misurata è utile a stabilire la densità della
miscela al momento della posa in opera da parte della
vibrofinitrice, prima del passaggio del rullo;
– contenuto di legante: definisce la quantità di legante utilizzato nella miscela, che deve garantire un idoneo rivestimento di tutti gli inerti. È un parametro strettamente
dipendente dalla curva granulometrica scelta per il conglomerato bituminoso. Un eccesso di bitume può condurre a fenomeni di refluimento ed eccessivo scorrimento fra i granuli a scapito della stabilità della miscela stessa; una sua deficienza determina un ricoprimento parziale della superficie degli inerti con conseguente assenza di legame tra i granuli che può portare a fenomeni
di disgregazione;
– resistenza alla deformazione permanente (ormaiamento): misura la resistenza di un conglomerato bituminoso all’accumulo di deformazioni irreversibili, generate
dal passaggio ripetitivo dei veicoli (metodo della traccia delle ruote o metodo della prova triassiale);
– temperatura della miscela: fornisce un controllo sull’eccessivo riscaldamento della miscela con perdita irreparabile delle caratteristiche visco-elastiche del legante
(temperatura in fase di produzione) e sul livello minimo di lavorabilità che garantisce una corretta compattazione (temperatura alla fase di consegna);
– rigidezza: rappresenta la capacità del conglomerato bituminoso di diffondere le tensioni al proprio interno;
– resistenza a fatica: la fatica è un fenomeno che si verifica in un conglomerato bituminoso sottoposto a sollecitazioni cicliche, caratterizzate da un carico inferiore
al carico a rottura. La resistenza a fatica corrisponde al
numero di cicli di applicazione del carico tali da indurre la fessurazione nel materiale oppure un decadimento del suo modulo di rigidezza;
49
edilizia
ambiente
territorio
n. 30-34
2010
Tabella 11 – Conglomerati bituminosi
Requisiti essenziali direttiva CPD
1e4
Caratteristiche
Adesione del legante
all’aggregato
<
<
<
<
Temperatura della miscela
Contenuto di legante
Vuoti residui
Sensibilità dell’acqua
Rigidezza
<
<
<
<
Temperatura della miscela
Contenuto di legante
Granulometria
Vuoti residui
Resistenza alle
deformazioni
permanenti
<
<
<
<
<
<
<
Temperatura della miscela
Contenuto di legante
Granulometria
Vuoti residui
Determinazione dei vuoti riempiti di bitume (VFB)
Determinazione dei vuoti nell’aggregato minerale (VMA)
Resistenza alla deformazione permanente
Resistenza
a fatica
Misto
< Contenuto di legante
< Granulometria
< Vuoti residui
Resistenza all’abrasione
< Contenuto di legante
< Granulometria
Reazione
al fuoco
<
<
<
<
Contenuto di legante
Granulometria
Vuoti residui
Permeabilità del provino
Solo nel caso di impiego dei conglomerati dove è prevista
la regolamentazione per reazione al fuoco
Assorbimento del rumore < Contenuto di legante
< Granulometria
< Vuoti residui
– permeabilità: viene misurata solo nel caso di conglomerati bituminosi ad alto tenore di vuoti per fornire informazioni sulla capacità drenante dovuta all’elevata percentuale dei vuoti.
Una delle principali particolarità presente nella UNI EN
13108 è costituita dalla possibilità di scegliere fra due possibili metodi di approccio (almeno per i prodotti compresi nella parte 1: Conglomerati bituminosi a caldo):
– metodo empirico: di carattere prescrittivo, basato sulla
puntuale definizione dei requisiti delle miscele e dei materiali costituenti, dai quali si possono dedurre le prestazioni del conglomerato bituminoso (si determina una
grandezza da cui è possibile evincere una prestazione in
opera – performance related);
– metodo fondamentale: di carattere prestazionale in cui i
requisiti, direttamente misurati, possono essere correlati
con le prestazioni del prodotto finito (performance based).
Un esempio di prova meccanica di tipo empirico è la prova Marshall (UNI EN 12697-34) in quanto il massimo carico applicato al provino (stabilità), la deformazione conseguente (scorrimento) e il rapporto tra queste due grandezze (rigidezza) non sono una misura di prestazione del
conglomerato bituminoso, perché rappresentano parametri meccanici ottenuti nella condizione limite di rottura del
provino. Esempi prestazionali sono la prova per il calcolo del modulo di rigidezza (UNI EN 12697-26), la prova
a fatica (UNI EN 12697-24), la prova di creep (UNI EN
50
< Temperatura della miscela
< Contenuto di legante
< Vuoti residui
Resistenza
allo scivolamento
Permeabilità
2
Requisiti
12697-25), la prova di ormaiamento (UNI EN 1269722) ecc. La norma non ammette invece la combinazione
tra l’approccio empirico e quello fondamentale (eccesso
di specifiche).
Dopo aver elencato le principali caratteristiche delle norme
europee, è doveroso ricordare che la marcatura CE non è
l’unica condizione perché i prodotti possano essere messi
in opera, in quanto il materiale deve avere anche le caratteristiche tecniche e/o prestazionali richieste dai vari capitolati. Le norme armonizzate sono infatti norme di prodotto
che nulla hanno a che fare con l’accettazione del prodotto
stesso nei lavori e nelle opere cui i prodotti sono destinati.
Tale accettazione dipende dalle norme tecniche di impiego
dei prodotti, in cui sono definite le specifiche che essi devono possedere al fine di essere impiegati nelle opere. Nelle
norme armonizzate pertanto viene lasciata aperta anche la
possibilità di non certificare quelle caratteristiche che non
sono regolamentate dalla normativa nazionale di impiego
di almeno uno Stato membro (nessuna prestazione determinata, NPD). In Italia, ad esempio, per il capitolato
ANAS (2009) i requisiti obbligatori richiesti sono solo:
– temperatura delle miscela alla produzione e alla consegna (valori di soglia);
– contenuto minimo di legante (categoria e valore reale);
– composizione granulometrica (%);
– contenuto dei vuoti a 10 rotazioni (categoria e valore reale).
Per gli altri requisiti è lecito indicare la categoria NPD.
Sergio Storoni Ridolfi e Fabio Garbin – Sigea
edilizia
ambiente
territorio
n. 30-34
2010
Zaha Hadid,
Terminal,
Strasburgo
A sinistra:
esempio di
certificato di
marcatura CE,
dal Capitolato
Speciale
D’Appalto, Norme
Tecniche per le
Pavimentazioni
Stradali e
Autostradali, ANAS
SpA 2009
A fianco:
cantiere e messa
in opera del
conglomerato
bituminoso
51
edilizia
ambiente
territorio
n. 30-34
2010
leonardo a cura di Silvano Stucchi
Legno di recupero
legato a polimeri
termoplastici
riciclati al 100%
(WOODN)
La tecnica delle strutture
in legno: sviluppo consapevole
on le nuove Norme Tecniche per
C
le Costruzioni (DM 14/01/08) e
la circolare applicativa n. 617, entra-
Legno
fibrorinforzato
Sistemi CNP
(solai collaboranti
legno-cls)
52
te in vigore dal 1° luglio 2009, si sancisce l’equivalenza di fatto tra il legno e gli altri materiali dell’apparecchiatura costruttiva (acciaio, calcestruzzo, muratura). L’approccio prestazionale delle nuove norme assegna
alle costruzioni in legno fattori di
struttura vantaggiosi (il fattore di struttura – q>1,5 – sintetizza le proprietà
dissipative di una costruzione in seguito al sisma; con esso si determina
lo spettro di progetto agli stati limite,
partendo dallo spettro elastico caratteristico, del quale ne riduce le ordinate); in particolare va sottolineata la
capacità di assorbimento dell’azione
sismica per l’alto grado di plasticizzazione raggiungibile dalle connessioni duttili (Teoria di Johansen).1
Le azioni che creano le sollecitazioni secondarie più severe per gli edifici in legno sono quelle prodotte dal
vento: una struttura correttamente
progettata nei confronti del vento è
spesso verificata anche nei confronti del sisma.2
Le nuove norme per le costruzioni
prevedono altresì che tutti i materiali utilizzati siano marcati CE o qualificati a livello ministeriale: anche il
legno, sia esso massello o prodotto in
stabilimento per lamellazione/compensazione, dovrà provenire da un
processo industriale qualificato (DM
14/01/2008, C.11.1 Generalità e
C.11.7 Materiali e prodotti a base di
legno).
La regolamentazione del taglio dei
tronchi garantisce un ricambio ciclico delle colture giovani finalizzate al
consumo per l’edilizia, lasciando intatte le foreste europee più antiche e
protette (si vedano associazioni come
Forest Stewardship Council – FSC e
Programme for Endorsement of Forest Certification schemes – PEFC).
Se negli anni ’90 la ricerca si concentrava su tecnologie che incrementassero la resistenza meccanica degli
elementi strutturali in legno, attualmente la tendenza è quella di migliorare la durabilità del materiale e la sostenibilità del processo edilizio, dalla produzione allo smaltimento.
Si trovano sempre più sperimentazioni che tendono alla “riscoperta” degli elementi in legno massello o ricomposto a piccola percentuale di incollaggio: le grandi luci non sono più
solo appannaggio delle grandi travi
in legno lamellare incollato, ma sono
affidate anche a soluzioni reticolari
(piane o spaziali) formate da elemen-
ti di dimensioni minori, con il minimo utilizzo di collante e di connessioni metalliche. Le conseguenze di
questa più recente tendenza sono:
maggiore sostenibilità produttiva, minore inquinamento ambientale, maggiore facilità di reperimento del legname, velocità di produzione, incrementata maneggevolezza degli elementi in cantiere; questo a fronte di
un più sofisticato iter progettuale, che
porta quasi sempre a un progetto costruttivo complesso, al fine di ottenere una soddisfacente cantierizzabilità dell’opera.
Di seguito si fornisce una panoramica dei materiali alternativi al legno
lamellare di abete incollato presenti
sul mercato.
Gli elementi in KVH (sigla tedesca
per “legno massiccio da costruzione”) o GLT (sigla tedesca per “travi
di legno lamellare esaminate”) sono
caratterizzati da legno massello giuntato di testa per mezzo del giunto a
pettine (KVH) oppure affiancati parallelamente tra loro (GLT, i quali
funzionano bene soprattutto per elementi trave, al pari di altri sistemi di
giunzione come i DUO/TRIO).
Il Parallam e il Microllam sono sistemi prefabbricati che utilizzano gli
6 strati di lamellare
di abete
Colla
alla resorcina
19,2
cm
10 cm
Fibra di vetro
(80% in direzione assiale)
edilizia
ambiente
territorio
n. 30-34
2010
sfogliati (piallacci) di legno orientati. Per il primo abbiamo un’orientazione prevalente longitudinale, che
coincide con l’asse dell’elemento; per
il Microllam non abbiamo una direzione preferenziale dei piallacci, per
cui anche il comportamento strutturale risulta più omogeneo, sia per la
trave che per la piastra (si vedano i
prodotti Finnforest, rispettivamente
Kerto-S e Kerto-Q). Spesso si abbinano elementi trave in Kerto-S a pannelli strutturali OSB (pannelli a fibre
orientate), andando a costituire delle vere e proprie travi IPE in legno +
colla (I-Joist: il Microllam per le ali,
l’OSB per l’anima).
Notevole interesse riveste anche la
produzione nel campo del lamellare
fibrorinforzato: grazie all’inserimento di fibre negli strati di incollaggio
(generalmente fibre di vetro) si ottiene un notevole incremento della resistenza meccanica e della stabilità dimensionale, nonché della reazione e
della resistenza al fuoco.
Grazie all’utilizzo di sezioni scatolari in lamellare si possono raggiungere luci libere fino a 18 m: si tratta di
vere e proprie “pignatte di legno” a
sviluppo longitudinale con poca o
nessuna armatura metallica (si vedano i brevetti della Legno-Lego e Lignatur).
La precompressione viene applicata
anche nel settore legno, con cavi di
post-tensione inseriti tra le lamelle e
tesati a struttura montata.
L’utilizzo di giunzioni metalliche con
piastre forate a scomparsa e resine
epossidiche ha caratterizzato interessanti soluzioni che hanno portato al
superamento di grandi luci mantenendo il solo legno a vista. La sperimentazione sulle resine epossidiche della Cenci Legno sta fornendo ora
spunti in sede produttiva direttamente per l’incollaggio delle lamelle, con
ottimi risultati rispetto alle colle tradizionali, soprattutto in termini di durabilità e di atossicità, a fronte di un
costo ancora troppo elevato. Il collante che fornisce attualmente maggiori garanzie è l’MF/UF (a base di
melamina-urea-formaldeide), che con
il suo colore trasparente ha di fatto
soppiantato l’RF (a base di resorcinolo-formaldeide), di colore scuro.
Entrambi forniscono ottime resistenze e durate anche in ambienti umidi
e all’esterno. L’UF (a base di ureaformaldeide, commercialmente noto
Copertura in legno
lamellare
di un palazzetto
dello sport
Rivestimento
esterno realizzato
con pannelli
prefabbricati
in legno massiccio
ed elementi di
supporto Lignatur
come “Kaurit”) è invece una colla utilizzata per elementi posti all’interno,
che presenta un colore trasparente e
ha costi contenuti.
Già da tempo si commercializza legno lamellare di larice, mentre presenta per ora limiti di lavorabilità e incollaggio (e dunque di costi) il legno
53
edilizia
ambiente
territorio
n. 30-34
2010
matura piegate a “L”) posizionati con
passo maggiore agli appoggi rispetto a quello in mezzeria, si riesce a ottenere una perfetta collaborazione tra
l’elemento trave (in legno) e l’elemento soletta (in cemento armato),
andando a costituire una trave a “T”
altamente resistente e rigida.
Il concetto della lamellazione trasposto ai pannelli strutturali ha portato
alla diffusione delle pareti a lamelle
incrociate incollate (XLAM – pan-
nelli in legno massiccio a strati incrociati) o chiodate (MHM – MassivHolz-Mauer), molto utilizzate perché
uniscono un’ottima versatilità applicativa a un miglioramento strutturale nei confronti del vento e del sisma.
Tali sistemi offrono anche un surplus
di massa, utile per il raggiungimento
dei requisiti di sfasamento e attenuazione dell’onda termica estiva nell’ambito della certificazione energetica degli edifici.
Un settore tutto da studiare è quello
del recupero delle strutture lignee storiche, con esempi provenienti dal
Nord America e dal Giappone.
Qualora non sia possibile o necessario il recupero, ci sono vari campi di
riutilizzo del materiale: dalla produzione di energia termica di combustione, alla sua riduzione in fibre e ricomposizione sia da solo (vedi OSB)
che abbinato ad altri materiali di recupero (ad esempio il WOODN, che
sfrutta il binomio legno + polimeri
termoplastici di recupero).
Diego Ruggeri
le che costituiscono la teoria ci dicono chiaramente quale modo di rottura si verifica
per primo, dandoci una chiara indicazione
sul grado dissipativo della connessione (e
più in generale della struttura tutta).
Per meglio comprendere il concetto di duttilità della struttura, e indirettamente del
fattore di struttura, si riporta un estratto
dalla normativa vigente (NT14/01/2008,
C. 7.2.1): «La duttilità d’insieme della costruzione si ottiene, in definitiva, individuando gli elementi e i meccanismi resistenti ai quali affidare le capacità dissipative e localizzando all’interno del sistema
strutturale le zone in cui ammettere la plasticizzazione, in modo da ottenere un
meccanismo deformativi d’insieme stabile,
che coinvolga il maggior numero possibile
di fonti di duttilità locale».
Avendo il legno lamellare un peso specifico
di circa 500 kg/mc, ed essendo l’azione
sismica di progetto direttamente proporzionale alla massa strutturale dell’edificio,
l’azione del vento risulta sovente più gravosa dell’azione sismica, soprattutto per
costruzioni leggere a telaio sviluppate su
più livelli (meno per costruzioni pluripiano
a parete in legno massiccio – XLAM/MHM
– , dove la massa torna ad avere un ruolo
predominante). La corretta progettazione
degli elementi di controventamento e degli
attacchi a terra è un punto fondamentale
nelle strutture a telaio in legno (come
anche nelle strutture a telaio metalliche).
Esempi
di strutture
realizzate in legno
lamellare di castagno, anche se i risultati di laboratorio hanno fornito
dati di resistenza caratteristica notevoli, grazie alla durezza del legno di
latifoglia. Il legno di conifera (pino,
abete bianco e rosso, larice) essendo
più resinoso risulta meno attaccabile
dagli insetti (tarli); inoltre possiede
un maggior grado di lavorabilità per
lamellazione e un miglior feeling con
i collanti attualmente in commercio.
Per questo appare ancora inattaccabile il primato del legno lamellare di
abete, imbattibile nel rapporto resistenza caratteristica/costo di produzione.
Nel campo del consolidamento edilizio frequente applicazione stanno
trovando i solai misti in legno-CLS
(si vedano, tra gli altri, i brevetti CNP
– Cenci, Noseda, Piazza – e Peter
Cox), che uniscono all’espressività
del legno a vista la perfetta collaborazione strutturale della soletta armata con gli altri elementi in cemento
armato verticali e orizzontali dell’edificio da consolidare (pilastri, pareti,
cordoli, travi). Come evidenziato negli studi di Turrini e Piazza, tramite
l’utilizzo di connettori metallici (costituiti anche da semplici barre di arNote
1
La Teoria di Johansen (1949) è atta a determinare le equazioni della capacità portante delle connessioni legno-legno e legnoacciaio per mezzo di connettori a gambo
cilindrico. Sotto l’ipotesi di un comportamento “rigido-plastico” dei due materiali,
si applicano semplici formule di equilibrio
allo stato limite. Sono contemplate le connessioni a uno o due piani di taglio (i
gambi metallici attraversano rispettivamente due o tre elementi, lignei e/o metallici) e ci sono tre modi di rottura possibili:
modo I (rifollamento del legno), modo II e
modo III (rifollamento del legno e contemporaneo snervamento del connettore
metallico con formazione rispettivamente
di una o più cerniere plastiche). Le formu-
54
2
edilizia
ambiente
territorio
n. 30-34
2010
tecnologie e materiali
Vista di alcune
schiere (da est)
Quartiere residenziale in Andalusia
quartiere residenziale progettato da SAMA – SeminaIl
rio de Arquitectura y Medioambiente come espansione residenziale per la città di Osuna, in Andalusia, e realiz1
zato nel 1989-90, costituisce un esempio contemporaneo
di riferimento di progettazione bioclimatica integrata per i
climi mediterranei e una importante risposta alle numerose sperimentazioni di quartieri bioclimatici effettuate negli
ultimi decenni nell’Europa centro-settentrionale.
La gestazione del progetto ebbe inizio nel 1981, con la
partecipazione a un concorso indetto dall’operatore pubblico nella zona di Siviglia per la progettazione di circa
120 unità abitative dalla dimensione minima di 65 mq +
16 mq di spazio semiprivato a patio o a portico e climatizzate in modo prevalentemente passivo. Per vicissitudini di natura burocratico-imprenditoriale l’esecuzione
del progetto dovette rimanere ferma quasi dieci anni, durante i quali i progettisti ebbero modo di realizzare a Mairena del Aljarafe, sempre vicino a Siviglia e sempre nel
contesto di un programma di edilizia pubblica, un prototipo di abitazione del tipo di quelle previste nel quartiere
di Osuna e monitorarne per un anno e mezzo, a partire dal
1986, il comportamento termico e luminoso, nell’ambito
dell’IEA Solar Heating and Cooling Program.2
La realizzazione del quartiere poté avere inizio nel 1988
e fu terminata nel 1990.
Insediamento o prototipo
Il progetto in questione è interessante sotto numerosi punti di vista, ma in particolare, a parere di chi scrive, per il
suo carattere proto-tipico nei risultati, perché applicabile
in vari tipi di contesti climatici, temperati-miti o caldosecchi e per la completa rispondenza alle esigenze climatiche del contesto di intervento.
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Le caratteristiche climatiche del sito rendevano il progetto impegnativo sia ai fini del raffrescamento estivo, sia
ai fini del bilanciamento tra le esigenze estive e invernali. Questo perché Osuna, che si trova a 37,1° di latitudine (un po’ meno di Catania) e a circa 300 m di altezza, è
caratterizzata da inverni freschi (temperatura minima media mensile di 5,3 °C a gennaio) ed estati molto calde e
secche (temperatura massima media mensile di 34,7 °C
ad agosto) e anche perché i venti che vi operano (che spirano attraverso la valle del Guadalquivir in inverno prevalentemente da nord e in estate da sud-ovest e sud), essendo non molto veloci (pur avendo una frequenza piuttosto alta), hanno caratteristiche tali da sollecitare soluzioni di ventilazione edilizia efficienti e bilanciate.
Il programma funzionale, qui essenzialmente mirato al
controllo climatico in costruzioni a basso costo, è stato
perseguito con rigore dai progettisti, che sono giunti alla
definizione di una soluzione esplicita e potenzialmente riproponibile in situazioni analoghe.
Quello che distingue le residenze in oggetto, destinate a
un clima caldo, dalle usuali costruzioni bioclimatiche pensate per i climi temperati-freddi, è che le seconde possono “accontentarsi” di essere specialmente “solari”, mentre le prime devono essere in parte “solari” (in inverno) e
in parte “antisolari” (in estate). E ciò che le accomuna è
che, poiché, in tutti e due i casi, l’accesso solare è il principale fattore di determinazione delle scelte progettuali, in
tutti e due i casi l’edificio è destinato ad essere zonizzato
in modo “solare”. Ossia progettato in relazione al sole.3
L’unità residenziale qui descritta, destinata a un clima caldo, in inverno “funziona” con la stessa logica di quelle destinate ai climi freddi: lo spazio abitativo a sud è anche
uno spazio di guadagno solare e la zona termica a nord
edilizia
ambiente
territorio
n. 30-34
2010
A sinistra:
planimetria del
quartiere. Si noti
che il terreno è in
leggera pendenza
da nord verso sud
A destra:
piante (in alto:
piano terreno; in
basso: primo
piano) e sezione
trasversale di una
unità abitativa
Sud
Sud
svolge il ruolo di cuscinetto termico ospitante gli spazi di
servizio (cucina, bagni, scale). La funzione di tale spaziocuscinetto nelle residenze a Osuna si differenza, però, nella stagione estiva, grazie alla continuità tra il piano inferiore e il superiore, resa possibile dal vano scala, e grazie all’appropriata collocazione delle aperture di ventilazione nel vano scala stesso. Durante l’estate tale spazio
viene infatti utilizzato come un “pozzo” di ventilazione
atto a servire i vani abitati: finalizzato sia a incanalare verso il basso eventuali brezze provenienti da sud, sia a dare
luogo a ventilazione per effetto camino.4
La conformazione di questa “fascia” termica rivolta a nord
è insomma dettata dalla sua funzione estiva, qui prevalente su quella invernale. Mentre negli edifici bioclimatici
per i climi freddi la zona-cuscinetto a nord solitamente è
alta quanto la zona rivolta a sud, o più bassa (perché è nella prima che avviene il guadagno solare), in questi edifici
per i climi caldi essa è più alta di quella della “fascia” sud,
sia perché la sua maggiore altezza accentua l’effetto camino, sia perché essa consente la collocazione di lucernari verticali rivolti a sud sopra la falda di copertura della zona
vani, così da rendere possibile la captazione delle brezze
estive senza incorrere in un effetto serra di entità pari a quella che deriverebbe dalla presenza di lucernari orizzontali.
In questo quadro, poiché la fascia sud dell’edificio – ospitante al piano terra la zona giorno e al piano superiore
le camere – è più profonda della fascia nord, la falda sud
della copertura è meno inclinata della falda della nord.
Un vantaggio secondario di questa conformazione è quello di permettere il posizionamento di pannelli solari termici per il riscaldamento dell’acqua sanitaria a fianco dei
lucernari che si trovano alla sommità dei vani scala.
Anche la natura materica dell’unità-tipo discende dalla
sua collocazione climatica. Essa è infatti realizzata con
un involucro massivo termoisolato verso l’esterno, così
da fruttarne l’inerzia termica ai fini della climatizzazione naturale; e questo sia in corrispondenza delle chiusure verticali, sia in corrispondenza dei solai (di copertura
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edilizia
ambiente
territorio
n. 30-34
2010
A sinistra:
accesso solare ai
vani; dall’alto: 21
dicembre e 21
giugno
1
2
27°
3
A destra:
sezioni costruttive
del prototipo
di unità abitativa.
In alto: parete di
chiusura; in basso:
copertura
4
5
6
7
8
73°
9
10
11
12
13
e inferiore). Le pareti di chiusura verticale sono infatti costituite (dall’interno verso l’esterno) da muratura portante massiva (blocchi portanti semipieni da 25 cm circa),
termoisolante (polistirene espanso, 3 cm), muratura leggera di forati posati in foglio (12 cm) e intonaco bianco
(al fine di ridurre il guadagno solare); i solai delle coperture, come i solai di interpiano, sono in laterocemento, termoisolati all’estradosso e coperti con tegole in cotto; e i
solai controterra sono in cemento armato su tavelloni e
muricci su vespaio aerato da 30 cm.
L’esiguo spessore di materiale termoisolante utilizzato in
tutte le posizioni – 3 cm – (al quale corrispondono vetri
singoli per la chiusura dei serramenti) sono dovuti alla mitezza invernale del clima.5
In corrispondenza della parete pesante di partizione tra la
fascia dei vani e la fascia dei servizi è posizionata la stufa a gas, che distribuisce aria calda ai vani del piano superiore tramite una cavità intramuraria contenuta nella parete che separa i vani dal vano-disimpegno-camino a nord.
Dall’edificio al quartiere
Lo spazio esterno a sud dei vani del piano terreno è stato pensato come ambito semiprivato, sia perché è predisposto alla collocazione di un pergolato a foglia caduca
davanti all’ingresso (che invero era molto più generosamente dimensionato nel prototipo) finalizzato a schermare la radiazione solare e a fornire raffrescamento evaporativo anche in funzione della ventilazione passante
nei vani, sia perché risulta protetto dalla schermatura solare orizzontale costituita dall’aggetto del piano superiore della facciata sud.
Le prestazioni termiche e luminose dell’edificio così con-
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14
15
16
17
Legenda
1. rivestimento esterno, intonaco bianco
2. forati in laterizio, 5,5 cm
3. rinzaffo
4. camera d’aria
5. isolamento in polistirene espanso, 4 cm
6. rinzaffo, 2 cm
7. blocchi in laterizio, 24,5 cm
8. intonaco interno, 3 cm
9. solaio in calcestruzzo armato, 23 cm
10. isolamento in polistirene espanso
11. massetto
12. muretto in laterizio
13. fondazione
14. tegole in cotto
15. manto impermeabile
16. isolamento in polistirene espanso, 3 cm
17. solaio in calcestruzzo armato
edilizia
ambiente
territorio
n. 30-34
2010
A sinistra:
grafici delle
temperature
registrate durante
alcuni mesi nel
prototipo di unità
abitativa; in alto,
in inverno; in
basso, in estate
GEN
A destra:
schemi relativi alla
ventilazione
naturale. Dall’alto:
piano terreno,
piano primo,
sezione trasversale
in assetto estivo,
sezione trasversale
in assetto
invernale
Sud
FEB
30 Dic
30 Mar
GIU
LUG
1Giu
Giu
AGO
SET
30 Set
Legenda
A. temperatura media esterna
B. temperatura media del soggiorno
C. temperatura media del vano scala
cepito, come dimostrato dalle rilevazioni effettuate sul
prototipo, rendono superflua, da un punto di vista termico – anche se non incompatibile – un’organizzazione a
patio del tessuto costruito. Ma a causa di questo fatto, anche nel caso della tipologia “solare” in oggetto si verifica (come nel caso, ancora, di molti “villaggi solari” per i
climi nordici) una forte vocazione alla combinazione con
un tessuto viario fortemente segnato da una direzione prevalente (nel caso specifico, appunto, quella est-ovest): che
notoriamente è una condizione non facile da coniugare con
la configurazione dell’isolato urbano, per il fatto che esso
Scale
Scale
Sotto a sinistra:
veduta su una via
orientata in
direzione nord-sud
(da nord)
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edilizia
ambiente
territorio
n. 30-34
2010
Sopra a sinistra:
studio della
geometria di un
sistema finestra in
relazione alla
posizione del sole
nel periodo estivo
Sopra a destra:
distribuzione dei
fattori di luce
diurna nei vani.
Dall’alto: piano
terreno, piano
primo, sezione
trasversale
A fianco:
dettaglio di un
ingresso
usualmente è impostato su una situazione di prevalenza
meno accentuata di una direzione viaria sull’altra.
La soluzione adottata nel caso specifico è stata quella di
combinare la presenza di vie di attraversamento di calibro
più consistente sull’asse nord-sud con vie di calibro più piccolo destinate alla distribuzione minuta, pedonale verso gli
edifici sull’asse est-ovest e creare, tra le schiere di abitazioni che si fronteggiano, slarghi idonei, per conformazione,
proporzioni e scala, a costituire ambiti di vicinato.
La medesima attenzione dedicata alla progettazione degli
edifici è stata nell’housing a Osuna dedicata nella progettazione degli spazi aperti, dove il comfort termico estivo
è stato perseguito attraverso un’attenta piantumazione degli spazi e una oculata scelta dei materiali. Le pavimentazioni degli spazi aperti pubblici sono per esempio state
realizzate in lastre di calcestruzzo chiaro bordate da file
di mattonelle in laterizio, in considerazione del minore
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guadagno solare a cui questo tipo di pavimentazione dà
luogo rispetto a pavimentazioni in asfalto.
Un altro tipo di spazi ai quali i progettisti si sono trovati
nella condizione di dovere dare forma sono state le piazze, che necessitavano di essere delimitate in certe parti da
una “materia” edilizia più malleabile di quella costituita
dai corpi a schiera rivolti verso il sole. In corrispondenza
delle due piazze del quartiere sono state per questo moti-
edilizia
ambiente
territorio
n. 30-34
2010
In senso orario:
facciata nord
di una schiera;
vista di uno spazio
pubblico;
uno spazio
pubblico
vo previsti edifici di appartamenti distribuiti in linea. Non
è forse, però, un caso che proprio questi ultimi siano risultati quelli a più bassa (pur non bassa in senso assoluto) votazione di gradimento nel questionario che è stato
distribuito nel 1991 agli abitanti dai progettisti per vagliare il loro grado di soddisfazione abitativa.6
Non è irrilevante, a questo proposito, che tale questionario abbia evidenziato un elevato livello complessivo
di soddisfazione degli abitanti stessi in merito alla qua-
lità degli alloggi e alle loro prestazioni termiche e luminose. È questa un’ulteriore prova dell’appartenenza
del quartiere low-tech in Osuna qui descritto al novero
dei nuovi possibili archetipi (al pari, per esempio, del
noto quartiere progettato da Alvaro Siza a Evora, in Portogallo, negli anni ’70) tesi tra passato e futuro per la
realizzazione di insediamenti residenziali ecocompatibili in ambito mediterraneo.
Gian Luca Brunetti
Note
1
Nell’ambito del SAMA, il progetto è stato realizzato da Pilar Alberich Sotomayor, Jaime López de Asiaín, Jorge Gómez Calvo,
Angel Díaz Domínguez, Manuel Laffarga Osteret e collaboratori. Il progetto architettonico è stato coordinato da Pilar Alberich
Sotomayor per quanto riguarda le scelte compositive e da Jaime López de Asiaín relativamente all’ambito delle prestazioni
ambientali.
2
Il caso studio è stato riportato nella pubblicazione Passive Solar Homes: Case Studies. Design Information Booklet n. 6, 1990,
IEA (International Energy Agency) Task VIII (Passive and Hybrid Low Energy Buildings).
3
Nel caso del clima caldo, se poi i venti estivi prevalenti sono in direzione sud-nord, come nella situazione in questione, tanto
meglio, perché in questo modo la forma e l’orientamento richiesti ai fini solari coincidono con quelli richiesti ai fini ventilativi,
senza contraddizione.
4
Condizione che si verifica quando la temperatura dell’aria in tale vano è più elevata di quella dell’aria esterna.
5
Persino nelle condizioni climatiche in oggetto, l’isolamento termico ai fini del raffrescamento estivo è infatti in qualche misura
meno importante che ai fini del raffrescamento invernale. Questo è dovuto al fatto che in condizioni medie estive la differenza
tra temperatura dell’aria esterna e quella del comfort è minore che la differenza tra temperatura del comfort e quella esterna in
condizioni medie invernali.
6
Le informazioni relative a questa rilevazione e molte delle informazioni tecniche a cui si è fatto riferimento nell’articolo sono
state ricavate da: Jaime López de Asiaín, Un nuevo barrio ad Osuna, Esquela Tecnica Superior de Arquitectura de Sevilla (ETSAS),
Siviglia, 1996.
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