Il sistema portuale nel Mediterraneo e in Europa
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Il sistema portuale nel Mediterraneo e in Europa
edilizia ambiente territorio notiziario bimestrale di ingegneria n.30-34 marzo-dicembre 2010 in questo numero PRIMO PIANO Il sistema portuale nel Mediterraneo e in Europa Civitavecchia, Napoli, Gioia Tauro, Taranto, Cagliari, Palermo Le Autostrade del Mare per lo sviluppo del Mediterraneo a cura di Oriana Giovinazzi di Oriana Giovinazzi di Giampaolo Maria Cogo Porti italiani: aspetti critici e potenzialità Reti marittime e gerarchie portuali in Europa: un confronto tra Nord e Sud di Oriana Giovinazzi 4 Focus sui porti di Genova, Venezia, Ravenna, di César Ducruet 9 18 32 Green ports: nuove proposte tra sviluppo e protezione dell’ambiente 35 di Michele Perissinotto, Stefano Soriani e Gabriele Zanetto GEOLOGIA La direttiva “Prodotti da Costruzione” (CPD) e la marcatura CE dei materiali stradali 44 di Sergio Storoni Ridolfi e Fabio Garbin LEONARDO La tecnica delle strutture in legno: sviluppo consapevole di Diego Ruggeri 52 56 Il contributo dei porti del Mediterraneo alle rotte internazionali: il Porto di Barcellona Innovazione e sviluppo competitivo del sistema logistico-portuale TECNOLOGIE E MATERIALI Quartiere residenziale in Andalusia di Santiago García-Milà di Laura Facchinelli di Gian Luca Brunetti numero 30-34, anno VI, marzo-dicembre 2010 GIUSEPPE GISOTTI (G.G.) geologo e forestale, presidente SIGEA collaboratori redazione 00136 Roma, via Alfredo Fusco 71/a tel. 06 35192249-59 fax 06 35192260 e-mail [email protected] website: www.mancosueditore.eu CARLO MANCOSU (C.M.) editore pubblicità M.E. Architectural Book and Review S.r.l. 00136 Roma, via Alfredo Fusco 71/a tel. 06 35192283 fax 06 35192260 e-mail [email protected] direttore scientifico: CARLO MANCOSU vice direttore: ENRICO MILONE direttore responsabile: FABIO MASSI FABIO MASSI (F.M.) giornalista 26 responsabile di redazione: PAOLA SALVATORE redazione: VALENTINA COLAVOLPE comitato di redazione GIAN LUCA BRUNETTI (G.L.B.) architetto GIOVANNI CARBONARA (G.C.) architetto, direttore della Scuola di Specializzazione in Restauro dei Monumenti, Università “La Sapienza” di Roma VALERIO CASALI (V.C.) architetto LUIGI MAURO CATENACCI (L.M.C.) architetto ANDREA CINUZZI (A.C.) ingegnere CARLO MANNA (C.Ma.) ingegnere, responsabile Rapporto Fonti Rinnovabili, ENEA EUGENIO MELE (E.Me.) avvocato, consigliere di Stato ENRICO MILONE (E.M.) architetto, presidente Centro Studi Ordine degli Architetti PPC (Cesarch) Roma PLINIO PERILLI (P.P.) scrittore e critico ELIO PIRODDI (E.P.) ingegnere, professore di Urbanistica, Università “La Sapienza” di Roma CLAUDIO PODESTÀ (C.P.) ingegnere, professore di Tecnica ed Economia dei Trasporti, Politecnico di Milano FULCO PRATESI (F.P.) architetto, presidente onorario WWF Italia MARCO DEZZI BARDESCHI (M.D.B.) ingegnere e architetto, professore di restauro architettonico, Politecnico di Milano-Bovisa SILVANO STUCCHI (S.S.) ingegnere, professore di Architettura Tecnica, Università Tor Vergata di Roma LAURA FACCHINELLI (L.F.) dottoressa PAOLINO ZAPPATORE (P.Z.) ingegnere 40 ORIANA GIOVINAZZI, architetto CÉSAR DUCRUET, Centre National de la Recherche Scientifique SANTIAGO GARCÍA MILÀ, Subdirector de Estrategia y Comercial – Autoridad Portuaria de Barcelona GIAMPAOLO MARIA COGO, presidente RAM S.p.A. MICHELE PERISSINOTTO, Centro IDEAS, Università Ca’ Foscari, Venezia STEFANO SORIANI, Centro IDEAS, Università Ca’ Foscari, Venezia GABRIELE ZANETTO, Centro IDEAS, Università Ca’ Foscari, Venezia FABIO GARBIN, geologo (SIGEA) SERGIO STORONI RIDOLFI, geologo (SIGEA) DIEGO RUGGERI, ingegnere GIAN LUCA BRUNETTI, architetto LUIGI MAURO CATENACCI, architetto MASSIMILIANO DAURELIO, architetto impaginazione e grafica LUCIANO CORTESI, ROBERTO DI IULIO, FABIO ZENOBI editore M.E. Architectural Book and Review S.r.l. 00136 Roma, via Alfredo Fusco 71/a tel. 06 35192255 fax 06 35192260 e-mail [email protected] website: www.mancosueditore.eu responsabile trattamento dati CARLO MANCOSU abbonamento: 6 numeri – € 60,00 tel. 06 35192256 fax 06 35192264 stampa Tipografia Grafica Artigiana – Roma in copertina: Il Porto di Valencia Autorizzazione del tribunale di Roma n. 245 del 22.06.2005 ISSN 1826-0535 Gli articoli firmati esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano la redazione, la quale è disponibile a riconoscere eventuali diritti d’autore per le immagini pubblicate, non avendone avuto la possibilità in precedenza. I manoscritti, anche se non pubblicati, non si restituiscono. La rivista è consultabile anche sul sito: www.mancosueditore.eu Le copie sono distribuite a tutti gli iscritti agli ordini degli ingegneri d’Italia, enti e istituzioni varie Questo periodico è associato all’Unione Stampa Periodica Italiana edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 primo piano Il sistema portuale nel Mediterraneo e in Europa a cura di Oriana Giovinazzi Il Porto di Valencia dal satellite Porti italiani: aspetti critici e potenzialità Mediterraneo si trova storicamente ad essere il croIl cevia principale del traffico commerciale internazionale verso il Nord America e l’Estremo Oriente; la sua posizione geografica offre particolari opportunità per quanto riguarda il settore della logistica e il trasporto delle merci, potenzialità connesse in particolare alla presenza di infrastrutture e attività portuali di una certa rilevanza, possibilità concrete e prospettive future confermate dagli studi recenti, che indicano una probabile espansione del volume dei traffici marittimi intercontinentali nel breve periodo e a cui potrebbe essere sostanzialmente legato in futuro anche lo sviluppo dell’Italia. I porti italiani giocano infatti un ruolo importante nel settore dell’economia marittima e rappresentano un nodo strategico nel sistema degli scambi commerciali del Mediterraneo; accanto ai porti del Nord d’Italia, gli scali del Sud hanno acquisito un peso considerevole nei diversi segmenti di traffico e ad essi in particolare fanno capo le reti marittime del traffico container e la Rete delle Autostrade 4 del Mare, che negli scali di Sicilia, Campania e Puglia registrano la maggiore attività. Le coste italiane costituiscono quindi una risorsa, i porti un incredibile volano di sviluppo per il territorio in grado di generare ricchezza e occupazione, catalizzare risorse e investimenti con interessanti ricadute economiche. Le infrastrutture portuali, il sistema logistico e i diversi comparti del settore (cantieristica navale, nautica da diporto, crocieristica, turismo, pesca ecc.) si attestano come vere e proprie industrie in grado di produrre ripercussioni sulla crescita dei sistemi produttivi territoriali e di generare effetti moltiplicativi, contribuendo alla competitività dell’intero sistema-Paese. L’integrazione con le infrastrutture interne e con le reti di trasporto europee – uno sviluppo non tanto infrastrutturale quanto di efficienza operativa e di competitività – superando alcune criticità e valorizzando il sistema, consentirebbe all’Italia di cogliere le grandi opportunità derivanti dalla potenziale centralità rispetto al Mediterraneo, e quindi all’Europa. edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 Una panoramica del complesso sistema portuale italiano L’attuale sistema portuale italiano non eccelle particolarmente per efficienza e dinamismo, manca di una rete strutturata e organizzata, risente fortemente dell’assenza di un sistema nazionale di trasporti marittimi e terrestri, situazione da attribuire in parte alle scelte politiche che nel tempo hanno puntato sulle differenze nelle vocazioni dei singoli porti, nelle caratteristiche operative e nelle relazioni con le economie e con i mercati interni. A partire dagli anni ’60 alcuni cambiamenti tecnologici (dimensione e specializzazione nei vettori marittimi), l’avvento dei container e la nuova impostazione del trasporto con carico unificato e su navi specializzate hanno imposto una rapida espansione dei terminal, un’organizzazione differente del lavoro, la rottura del binomio tradizionale porto industriale/porto commerciale. Nei decenni successivi le scarse iniziative legislative e numerosi progetti astratti, nonché la volontà delle Regioni di assumere maggiori poteri e competenze in ambito di trasporti e porti hanno progressivamente messo in discussione l’orientamento verso una logica di “sistema portuale”. Gli anni ’80 sono stati caratterizzati da politiche di intervento nel settore orientate a valorizzare due sistemi principali (Alto-Tirreno e Alto-Adriatico) con proiezione internazionale e due sistemi secondari (Basso-Tirreno e Basso-Adriatico) per l’Italia peninsulare; tuttavia i progetti per la specializzazione e l’integrazione funzionale dei porti all’interno del sistema non hanno trovato attuazione. La legge n. 84, varata nel 1994 con la finalità di riorganizzare e sviluppare il settore portuale, conferendo all’autorità portuale specifici compiti di programmazione, indirizzo, coordinamento e controllo, ha prodotto un certo dinamismo operativo e la ripresa di competitività dei porti. Tuttavia, dopo alcuni anni dal riordino della legislazione in materia portuale l’obiettivo di valorizzare i principali scali marittimi italiani con proiezione internazionale, riconosciuti come transit point di fondamentale importanza per lo sviluppo dell’intero sistema economico, non è stato raggiunto. La legge appare piuttosto obsoleta in rapporto ai cambiamenti che a livello internazionale hanno interessato le dinamiche dei trasporti, mentre è sempre più evidente la necessità di garantire una maggiore competitività degli scali, insieme a servizi efficienti e di elevata qualità. I mutati scenari dello shipping richiedono infatti la scelta a livello centrale di un ridotto numero di cluster portuali, maggiormente qualificati per rispondere agli standard internazionali, un incremento di funzioni e strutture evitando tuttavia concorrenze e dispersioni di risorse, un’efficiente offerta intermodale di trasporto a supporto delle grandi reti trans-europee per il recupero di competitività dell’intero Paese. Analizzando le proposte avanzate negli ultimi anni (trasformazione delle autorità portuali da enti pubblici a società di diritto privato, passaggio dal controllo statale al controllo regionale, privatizzazione dei porti ecc.), appare evidente che l’attenzione si concentra in particolare sulle modalità di modifica della governance portuale e sull’autonomia La nuova darsena nel Porto di Valencia 5 edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 Vista dall'alto del Porto di Rotterdam finanziaria, senza affrontare la complessa gestione portuale nel suo insieme e senza proporre un progetto comune e condiviso per lo sviluppo degli scali, correndo il rischio di disperdere nuove risorse e opportunità. In Italia stenta a decollare una logica di sistema caratterizzata dalla specializzazione e dall’integrazione funzionale; i ritardi accumulati sono pertanto da attribuire principalmente alla difficoltà di concepire una “regia unica” e di definire un indirizzo generale per i trasporti e la logistica, per le attività e le infrastrutture, con il rischio per i prossimi anni di ottenere risultati parziali o negativi da attribuire per lo più alla sovrapposizione di strutture e di capacità produttiva. A incrementare la complessità di questo quadro sono la carenza di risorse finanziarie, lo scarso sviluppo della catena logistica nazionale, l’elevata concentrazione dei flussi e in particolare l’intervento pubblico che, in termini di realizzazioni infrastrutturali e di rilancio della portualità, è apparso piuttosto discontinuo negli ultimi anni. La sinergia con i privati potrebbe compensare da un lato la carenza di risorse pubbliche, ma costituire dall’altro un fattore di forte condizionamento nella gestione dei porti, in cui entrano in gioco interessi diversificati e specifici. In assenza di cospicui investimenti i porti italiani rischiano di perdere competitività rispetto alla capacità di attrarre i traffici marittimi di lungo raggio, non solo quelli consolidati con il Nord Europa (Rotterdam, Amburgo, Anversa ecc.), ma anche con i porti emergenti – come quelli spagnoli (Valencia, Barcellona, Algeciras ecc.) – che attraverso investimenti in nuove infrastrutture portuali e aree logistiche hanno acquistato di recente un ruolo preminente nel bacino del Mediterraneo. Il Porto di Algeciras nello specifico, per fronteggiare la concorrenza di Tangeri sullo Stretto di Gibilterra, prevede per i prossimi anni un investimento pubblico-privato di 500 milioni di euro. 6 Sono numerosi anche i porti africani che, dal Marocco all’Egitto, si preparano a mettere a disposizione del mercato milioni di metri quadrati di banchine per ospitare i container in arrivo dal Canale di Suez. Il nuovo terminal Tangeri Med è in grado di movimentare 3,5 milioni di TEU e il governo marocchino è pronto a finanziarne il raddoppio, mentre il terminal egiziano di Port Said è oggetto di un piano di sviluppo che potrebbe consentire in futuro di intercettare il traffico in partenza dal Sud-Est Asiatico e di arrivare a movimentare fino a 9 milioni di TEU. Efficienza e competitività per lo sviluppo dei porti sul territorio Pur in uno scenario complesso che mette in evidenza diverse problematiche, il sistema portuale italiano genera ricchezza e occupazione nell’economia nazionale; l’indice di produttività tra diversi settori economici evidenzia complessivamente un buon livello di competitività. Se si considerano l’attività di logistica e i servizi ausiliari dei trasporti marittimi, insieme alle attività dei soggetti istituzionali di governance dei porti – anche escludendo il fatturato degli altri comparti economici che incentrano le proprie attività nell’area portuale (attività crocieristica, cantieristica navale, nautica da diporto, pesca ecc.) – il settore portuale italiano è in grado di produrre complessivamente un contributo al PIL superiore a 7 miliardi di euro e un’occupazione complessiva di circa 70.000 addetti. Una crescita consistente è stata registrata per quanto riguarda la modalità marittima nel 2008; il traffico container nei porti italiani ha visto al primo posto della classifica lo scalo di Trieste (+32,9%), seguito da Savona (+17,2%), Venezia (+13,9%) e Livorno (+12,2%), La Spezia, Gioia Tauro, Cagliari, Napoli; hanno registrato invece una flessione gli scali di Taranto (-2,4%), Genova (-4,8%) e Salerno (-9,2%). Gio- edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 ia Tauro e La Spezia sono tra i primi porti europei per merce containerizzata movimentata, in competizione con i porti di Algeciras, Valencia, Barcellona. Negli ultimi anni la movimentazione dei container (cresciuta del 40% circa) ha rimesso in gioco il sistema portuale nazionale e rafforzato il ruolo strategico della logistica in Italia nel più vasto contesto europeo e mediterraneo. Per incrementare la competitività dell’economia del Paese e favorire lo sviluppo territoriale, risulta determinante in questo quadro l’efficienza organizzativa, gestionale e strategica nel settore delle infrastrutture e dei trasporti, accanto all’eliminazione di criticità persistenti, come quelle legate alla dotazione infrastrutturale e alla mancanza di una programmazione della supply chain. Lo sviluppo dell’intermodalità è fondamentale, soprattutto nei contesti in cui la conformazione del territorio è particolare sia dal punto di vista fisico che per quanto riguarda l’insediamento umano e l’urbanizzazione. Il sistema italiano si attesta in modo marginale all’interno del modello logistico europeo, in cui gli scali del Nord – pur tenendo conto della crescita della portualità spagnola – offrono migliori opportunità nella combinazione e organizzazione del trasporto marittimo con quello terrestre. Il Paese, data la sua morfologia e l’elevata congestione del traffico su strada (sulla quale circola l’85% del totale), necessita di modalità alternative sulle distanze mediolunghe, quindi di un ruolo maggiore delle linee ferroviarie e delle rotte marittime che potrebbero essere in grado di mettere a disposizione soluzioni di trasporto combinato e prodotti innovativi. Osservando i recenti dati di traffico si può constatare che, mentre i volumi dei container che transitano sulle linee ferroviarie diminuiscono, si registra un certo incremento in ambito marittimo. I porti dotati di attrezzature e servizi indispensabili, di poli scambiatori integrati con le reti infrastrutturali ferroviarie e stradali e con gli altri nodi logistici (interporti, terminal aeroportuali, centri di distribuzione ecc.), potrebbero svolgere un ruolo fondamentale per quanto riguarda la ripartizione modale dei trasporti, con benefici sociali, economici e ambientali considerevoli, anche in un segmento importante come lo short sea system. La ferrovia, principale modalità alternativa alla strada in passato, sta perdendo quota nonostante gli sforzi e gli Il waterfront portuale di Salerno investimenti in Italia come in gran parte dell’Europa; la realizzazione del sistema ferroviario Alta Velocità/Alta Capacità tra Torino e Milano e la dorsale centrale BolognaFirenze-Roma-Napoli sono alcuni degli interventi finalizzati al cambiamento del sistema nazionale dei trasporti. La linea ferroviaria ad Alta Capacità Napoli-Bari (145 km di lunghezza circa) è destinata ad assumere una funzione strategica per la mobilità di persone e merci, unisce infatti il Tirreno all’Adriatico e consente di estendere il Corridoio 8 dal Mar Nero a Bari, fino a Napoli, riducendo notevolmente i tempi di percorrenza tra le due grandi aree del Sud d’Italia e favorendo di conseguenza il loro sviluppo. Tuttavia allo stato attuale la rete ferroviaria italiana appare caratterizzata da evidenti “spaccature” tra le opere recenti per l’Alta Velocità/Alta Capacità (Milano–Bologna, Torino-Milano-Salerno ecc.) e le infrastrutture già esistenti. I progetti per la sistemazione e il miglioramento delle infrastrutture e delle reti di collegamento delle linee ferroviarie con i porti raramente vengono portati a termine e con ritardi notevoli rispetto ai tempi previsti. Del resto in Italia il numero di porti in grado di consentire la formazione dei treni all’interno dei terminal, e dotati di binari di capacità adeguata e di lunghezza compatibile con gli standard europei, è notevolmente ridotto. Più complesso per quanto riguarda il sistema logistico nazionale appare il tema del trasporto terrestre collegato al trasporto marittimo. Il punto più critico in termini di servizio è rappresentato proprio dalla tratta via terra, pertanto anche minimi miglioramenti in termini di efficienza, Il waterfront di La Spezia e l'area dell'Arsenale 7 edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 Il terminal container di Livorno razionalizzazione, programmazione, coordinamento non potrebbero che generare vantaggi sostanziali. Un contributo consistente al decongestionamento delle autostrade nel contesto euro-mediterraneo potrebbe essere ricercato nel potenziamento della Rete delle Autostrade Mediterranee, considerando tuttavia che per garantire la piena operatività del sistema sono necessari terminal portuali accessibili dotati di una viabilità dedicata, possibilmente indipendente ed esterna al tessuto urbano. Il retroporto (struttura in continuità territoriale con il porto) e l’interporto (inteso come nodo della supply chain prossimo al mercato di destinazione, terminal intermodale e piattaforma logistica) costituiscono gli elementi principali dell’interazione tra sistema terrestre e rete ferroviaria in connessione con il trasporto marittimo. In Italia sono state realizzate di recente alcune strutture innovative (Verona Quadrante Europa, Interporto di Padova, CIM di Novara ecc.), che in quanto terminali di una rete integrata dispongono di infrastrutture, magazzini, superfici coperte, knowhow al servizio del settore. Sullo short sea shipping si gioca una partita fondamentale che interessa in particolare l’economia dell’area mediterranea; la Commissione Europea prevede infatti un incremento notevole dell’attuale traffico marittimo fino al 2018. L’Italia, ai primi posti in Europa per i traffici di navigazione a corto raggio, dovrebbe sfruttare le potenzialità di questo segmento, adeguando gli scali portuali esistenti e modificando i collegamenti interni, affinché possano svolgere in modo ottimale la funzione di “punti di accesso”, per arrivare a offrire un servizio marittimo in grado di garantire le condizioni necessarie per attrarre nuovi investimenti. Obiettivi per lo scenario futuro La Commissione Europea il 21 gennaio 2009 ha adottato un piano d’azione finalizzato alla creazione di uno spazio del trasporto marittimo senza barriere in Europa, in cui sono illustrate alcune misure per lo sviluppo del sistema portuale riguardanti la semplificazione di procedure amministrative, la competitività e la qualità dei servizi europei e internazionali, la disponibilità di risorse non solo economiche, ma anche umane, quindi la necessità di com- 8 petenze e know-how per valorizzare le professioni legate al mare, con un’attenzione particolare al miglioramento delle prestazioni ambientali e della sicurezza del trasporto marittimo, come all’utilizzo di strumenti di informazione e di tecnologie innovative. In linea con le indicazioni fornite e in rapporto al ritardo accumulato rispetto ad altri Paesi europei, gli obiettivi che l’Italia dovrebbe perseguire nei prossimi anni per disegnare il futuro scenario del sistema portuale sono molteplici e in alcuni casi interdipendenti. Per poter definire una “regia unica” e un sistema portuale integrato, specializzato e strettamente interconnesso, sono indispensabili nuove normative e politiche volte a incrementare innanzitutto l’efficienza del sistema, razionalizzando la logistica nazionale, e in secondo luogo a rilanciare la portualità rispettando esigenze e specificità locali in una visione complessiva della rete infrastrutturale. A tal fine è importante identificare gli scali di rilevanza nazionale e sovra-nazionale sui quali finalizzare gli investimenti pubblici, attualmente distribuiti su 25 autorità portuali, in modo da evitare una dispersione delle risorse, orientando le scelte politiche in questa direzione. La concentrazione dei flussi e l’intensificazione dell’offerta di trasporti combinati si potrebbe ottenere incrementando la quantità e la qualità delle infrastrutture, ma anche attraverso la riorganizzazione e il coordinamento di corridoi plurimodali e piattaforme logistiche, di nodi e archi della rete già esistente, nonché mediante l’utilizzo delle moderne tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Lo strumento su cui occorre puntare è una pianificazione strategica in grado di mettere in sinergia diversi attori e interessi (imprese ferroviarie, operatori, gestori delle infrastrutture, aziende di trasporto ecc.), il settore pubblico e quello privato. Per favorire un approccio integrato alla crescita economica e allo sviluppo sostenibile, è necessario incrementare la competitività e la qualità dei servizi, garantendo l’equilibrio tra costi e benefici. Con la finalità di ridurre gli impatti ambientali e sociali prodotti dalle infrastrutture e dai traffici è necessario incoraggiare gli investimenti nella ricerca e nell’innovazione del settore marittimo. Oriana Giovinazzi edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 Competitività portuale e riqualificazione urbana: l’Affresco per il Porto di Genova Genova è uno dei principali porti del Mediterraneo per quantità di traffico totale (oltre 56 milioni di tonnellate di merci/anno), per numero di linee di navigazione (oltre 150) e per servizi complementari offerti. Lo scalo dispone di 7.000.000 mq di aree, 140.000 mq di magazzini e 21.900 m di banchina distribuiti lungo 15 km di litorale. I 29 terminal specializzati consentono la movimentazione delle principali categorie merceologiche: rinfuse solide e liquide, merci convenzionali, deperibili, acciai, prodotti forestali, RO-RO e container. Questi ultimi in particolare (circa 1,8 milioni di TEU/anno) trovano accoglienza sia nei terminal commerciali di Sampierdarena che nel bacino di Voltri, recentemente ampliato. Rilevanti sono i servizi per i passeggeri (traghetti e crociere) messi a disposizione su 5 terminal situati a ridosso del centro storico, dove trovano spazio diverse strutture turistiche (Acquario, Museo del Mare, Cineplex ecc.), servizi per la nautica e per il tempo libero. Particolarmente attiva è anche l’industria di riparazione e manutenzione delle navi, con stabilimenti che insistono nella zona a levante del porto. In questo contesto si collocano le scelte del piano regolatore portuale che interpreta il progetto di trasformazione del porto – fin dai tempi antichi indissolubilmente legato alla città e al suo sviluppo economico – conservando il carattere di compresenza di tutti i settori di attività e adottando politiche differenziate per le diverse specializzazioni. Per il governo delle trasformazioni è stata istituita nel 2004 dall’Autorità Portuale, d’intesa con la Regione Liguria, la Provincia e il Comune di Genova, l’Agenzia per il Waterfront e per il Territorio, con funzione di supporto tecnicooperativo e di coordinamento allo scopo di condividere la visione strategica e di sviluppo dell’area portuale genovese. Nello specifico la pianificazione per i prossimi anni prevede l’espansione su una superficie di circa 1,2 milioni di mq, propone una contrazione delle risorse territoriali a disposizione delle attività industriali con la dismissione dell’area delle acciaierie e la ristrutturazione del porto petroli, prospetta il potenziamento della funzione commerciale, con particolare riferimento alla progettazione di tre nuovi distripark a Voltri, Multedo e Cornigliano. Alla luce della particolare morfologia del territorio, il potenziamento del patrimonio infrastrutturale esistente (tra cui la nuova linea di valico per le ferrovie che permetterebbe di incrementare l’uso di questo vettore), anche in termini di continuità tra trasporto marittimo e terrestre, acquista un ruolo determinante. In particolare la crescente movimentazione dei container, costituisce una buona condizione per l’incremento del trasporto merci su ferrovia, economicamente conveniente per le tratte medio-lunghe e vantaggioso dal punto di vista ambientale. In questo quadro si inserisce la proposta dell’Istituto Superiore sui Sistemi Territoriali per l’Innovazione (SiTI) che ha recentemente sviluppato diverse ipotesi progettuali di trasformazione del terminal di Voltri in un gateway per il traffico container (il progetto è noto come BRUCO. Bi-level rail underpass for container operations). Il progetto è basato sul recupero di aree disponibili nelle pianure oltre l’Appennino e sulla rilocalizzazione in un porto secco (circa 500 ettari) di tutte le funzioni portuali che non devono necessariamente essere svolte a ridosso della banchina; uno scalo collegato in modo diretto e continuo con le infrastrutture portuali a mare attraverso un tunnel dedicato al trasporto di merci varie, dotato di un sistema a bassa velocità e completamente automatizzato, in grado di garantire lo spostamento dei container a ciclo continuo e di gestire un transito fino a 10 milioni di TEU/anno (più di 5 volte il volume attuale). La città punta per il futuro non solo sulla competitività portuale, ma anche su una proposta di valorizzazione del waterfront urbano, avanzata dall’architetto Renzo Piano nel progetto noto come Affresco. La nuova vision traguarda una prospettiva temporale per i prossimi 20 anni e tenta di coniugare elementi di potenziamento del sistema portuale con nuove opportunità nel campo turistico-ricreativo, guardando a un miglioramento complessivo della qualità urbana e ambientale. Il progetto prevede nello specifico il trasferimento dell’aeroporto su un’isola artificiale con il conseguente recupero delle aree a distripark; il riempimento nel porto di Sampierdarena di alcuni moli distribuiti a pettine; la realizzazione di due nuovi attracchi per le Autostrade del Mare; la creazione di un porto pescherecci e di un’isola destinata alle riparazioni navali di fronte alla Lanterna. Per quanto riguarda le aree portuali più prossime al centro urbano genovese è previsto il recupero dell’affaccio a mare per l’area di Multedo con la delocalizzazione del porto petroli; la realizzazione di una passeggiata a levante della città, da Punta Vagno al Porto Antico; la riconversione dell’area delle riparazioni navali a nuove funzioni urbane, ludicoricreative e nautiche; la costruzione di un people mover che attraversa la città dall’aeroporto fino alla Fiera del Mare, e la realizzazione di spiagge e parchi urbani in prossimità del litorale. Il progetto per il waterfront genovese – oggetto di verifiche da parte dell’Agenzia per il Waterfront e il Territorio per quanto riguarda la fattibilità tecnico-finanziaria e la compatibilità con strumentazioni urbanistiche e normative vigenti – ha come obiettivo principale quello di restituire organicità a un quadro di progettualità già esistente, attraverso un disegno strategico di prospettiva per la relazione città-porto. La Stazione Marittima di Genova 9 edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 Bocca di porto del Lido di Venezia Venezia: piattaforma d’Europa per l’Oriente e primo home port del Mediterraneo Le economie asiatiche emergenti, in particolare la Cina e l’India, stanno progressivamente orientando i flussi commerciali indirizzati ai Paesi dell’Unione Europea verso i porti del Mediterraneo attraverso il Canale di Suez; in questo contesto la competitività del Porto di Venezia per quanto riguarda i trasporti marittimi tra l’Europa e l’Oriente appare evidente. Crocevia per i traffici che attraversano il continente, lo scalo occupa infatti una posizione strategica rispetto agli assi di trasporto paneuropei (Corridoio 5 Lisbona-Kiev e Corridoio 1 Berlino-Palermo, inseriti nelle reti TEN) e alle direttrici delle Autostrade del Mare che attraversano il Mediterraneo, collegando l’Oceano Atlantico all’Oceano Indiano e al Mar Nero. L’hinterland del Porto di Venezia costituisce uno dei principali bacini economico-produttivi dell’Italia, con il più alto grado di internazionalizzazione, servito da un efficiente sistema di infrastrutture che ne fa la piattaforma logistica non solo del Nord-Est, ma dell’intero Centro Europa. La modernità delle sue infrastrutture, la vicinanza dei valichi transalpini, lo sviluppo delle Autostrade del Mare e il completamento della rete ferroviaria europea AV/AC costituiscono un valore aggiunto per la collocazione del porto nel network dei trasporti a livello internazionale. Per valorizzare questa posizione strategica, lo scalo lagunare punta sulla realizzazione di una nuova piattaforma logistica nella zona industriale del porto (1.800 ettari circa di superficie), dotata di aree attrezzate, insediamenti di attività collaterali a quelle portuali e collegamenti con i grandi interporti di Padova e Verona. La pianificazione degli interventi che interessano il porto commerciale e industriale di Marghera, esteso su 230 ettari circa, è finalizzata a ottimizzare la dotazione infrastrutturale esistente. Si tratta di progetti che prevedono la realizzazione di un nuovo sistema di accessibilità in grado di separare il traffico su gomma da quello su rotaia, nonché il potenziamento del parco e della rete ferroviaria esistenti, la costruzione di nuove banchine e interventi nel campo della logistica e dell’intermodalità, ma anche la ristrutturazione di alcuni magazzini, la bonifica di aree dismesse, le opere di scavo dei canali portuali di grande navigazione in laguna. A Porto Marghera, le imprese portuali specializzate nel traffico container operano su uno spazio complessivo di circa 55 ettari, mentre le attività portuali di deposito e di raffineria correlate al settore petroli si svolgono su ambiti dedicati e specificamente attrezzati. Venezia è inoltre il primo home port del Mediterraneo per quanto riguarda il settore delle crociere, con 1.455.000 passeggeri/anno circa. Il traffico passeggeri è gestito in Rendering del nuovo terminal delle Autostrade del Mare di Venezia 10 aree dedicate del centro storico per una superficie complessiva di circa 50 ettari su cui avvengono l’imbarco, lo sbarco e il transito su navi da crociera, traghetti e navi veloci. Sono numerose le crociere che salpano dal porto lagunare per l’Adriatico e il Mediterraneo, mentre il traffico RO-RO garantisce partenze in traghetto per la Grecia e l’Est del Mediterraneo lungo tutto l’arco dell’anno; per raggiungere le località turistiche della Croazia e della Slovenia sono disponibili collegamenti regolari mediante aliscafi, e in città approdi e strutture dedicate accolgono mega-yacht in uno scenario davvero unico ed esclusivo. L’ampliamento del Terminal Isonzo, la specializzazione delle aree della Marittima, la presenza di strutture e infrastrutture esclusivamente dedicate al traffico passeggeri, evita interferenze con il traffico merci e favorisce la compatibilità delle attività portuali con quelle della città e del suo territorio. Accanto al Terminal Crociere – struttura polifunzionale che ospita un auditorium da 600 posti e una sala convegni da 200 posti, oltre a un ristorante, caffè e spazi commerciali – è in fase di realizzazione una nuova stazione a servizio del turismo crocieristico sul Molo Levante. È stato recentemente ristrutturato invece il magazzino 107/108, moderno complesso di strutture dedicate alla crocieristica, caratterizzato da un elevato standard di servizi per gli utenti, ma che si attesta anche come spazio flessibile, da utilizzare per manifestazioni fieristiche ed eventi. Nel rispetto del tessuto urbano e socio-economico in cui il porto si inserisce, l’Autorità Portuale di Venezia di concerto con l’amministrazione comunale ha avviato numerosi interventi per la riqualificazione del waterfront nel centro storico, che prevedono il mantenimento delle sole attività portuali compatibili con la particolare sensibilità dei luoghi e la restituzione alla fruibilità pubblica di alcuni ambiti del Demanio Marittimo; in particolare nelle aree di San Basilio e Santa Marta alcuni magazzini sono stati recuperati a nuovi usi e la ex chiesa di origine trecentesca è stata restaurata e adibita a centro espositivo e congressuale. Impegnata nella tutela ambientale del sistema lagunare e di un paesaggio straordinario, l’Autorità Portuale di Venezia ha firmato di recente alcuni protocolli di intesa per l’innovazione tecnologica e l’abbattimento delle emissioni delle attività degli scali (progetto ENEL Ingegneria e Innovazione). Venezia pertanto è destinata a diventare un porto ecologico, insieme a La Spezia e a Civitavecchia. Tra i primi obiettivi, lo studio di un sistema di fornitura di energia elettrica in banchina in grado di alimentare le navi da crociera durante la sosta in porto e di evitare le emissioni prodotte dai generatori di bordo, ma anche lo studio di sistemi di mobilità elettrica e di fonti rinnovabili come il solare e l’eolico, l’adozione di sistemi di illuminazione a led a basso consumo ecc. edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 La Cittadella della Nautica e dell’Innovazione nel Porto-Canale di Ravenna Ravenna, porto leader in Italia per gli scambi commerciali con i mercati dell’Oriente e del Mar Nero, è una grande infrastruttura che offre servizi diversificati per ogni tipo di merce (prodotti petroliferi e chimici, materie prime e prodotti finiti, prodotti siderurgici, legname, agro-alimentare) e che movimenta 26 milioni di tonnellate/anno. In rapporto alla sua posizione geografica nel contesto del Mediterraneo, all’inclusione nel sistema della grande viabilità e al collegamento con le principali reti di trasporto risulta facilmente raggiungibile dai maggiori centri italiani ed europei, costituisce un nodo fondamentale del Corridoio Adriatico. Progettato come scalo industriale negli anni ’50, il portocanale si è consolidato negli ultimi anni per la funzione commerciale a servizio di aree e attività delle regioni padane e del Nord-Est in genere, lo scalo dispone di due terminali per il traffico container e per il traffico RO-RO, di 24 km di banchine (16 km operativi), di 2.800.000 mq di magazzini, di 1.400.000 mq di aree distribuite all’interno del perimetro portuale esteso su 2.080 ettari, dei quali oltre 1.500 urbanizzati o in corso di urbanizzazione. Si tratta di una realtà dinamica, oggetto di interventi recenti o in corso, finanziati da soggetti pubblici e privati, volti a migliorare le dotazioni infrastrutturali, ad ampliare e a specializzare l’offerta di servizi per ottenere standard qualitativi sempre più elevati. Nello specifico l’Autorità Portuale di Ravenna ha investito in questi anni oltre 220 milioni di euro per attuare il piano regolatore portuale (approfondimento dei fondali del porto-canale a -11 m, realizzazione di nuove banchine per 5 km, ampliamento del canale navigabile, costruzione di moli guardiani ecc.) e si appresta a investire altri 180 milioni di euro in nuove opere. I progetti che contribuiranno in modo determinante a ridisegnare nel prossimo futuro il PortoCanale di Ravenna sono il nuovo Avamporto di Porto Corsini e la Cittadella della Nautica e dell’Innovazione. Per il completamento dell’Avamporto di Porto Corsini – antica località balneare situata sulla riva sinistra del porto-canale – e di alcune aree del Demanio Marittimo comprese tra la Diga e il Molo Nord, il Comune e l’Autorità Portuale di Ravenna hanno stipulato nel 2001 un accordo di programma per un concorso di idee, che nel 2004 ha portato all’approvazione del progetto urbanistico risultato vincitore, la cui progettazione esecutiva e realizzazione saranno poste in essere entro il 2010 mediante una partnership pubblico-privato. Il borgo marittimo sarà caratterizzato dalla compattezza del tessuto urbano e da una distribuzione dei fabbricati residenziali su una rete privata di strade pedonali e strade a viabilità condivisa, intervallata dalla presenza di alcuni spazi pubblici. Il progetto prevede inoltre la realizzazione di una piazza e di un centro commerciale, sporting club, uffici, strutture alberghiere e residenze turistiche di standard elevato, aree verdi, parcheggi pubblici ecc. Il costo complessivo dell’intervento – che si estende su una superficie fondiaria complessiva di 18 ettari in gran parte recuperati al mare, per complessivi 41.450 mq di superficie utile – è stimato tra i 45 e i 50 milioni di euro, per un investimento pubblico pari a circa 3 milioni di euro. Nello specchio acqueo di fronte all’area riqualificata, in prossimità dell’accesso al canale Candiano, sarà collocato il nuovo Terminal Crociere. In grado di ospitare grandi navi turistiche (due dei quattro accosti previsti potranno ormeggiare navi fino a 350 m di lunghezza con un pescaggio di 11 m) e servizi di accoglienza per i passeggeri (3.000/4.000 unità e 1.500 membri di equipaggio), il terminal si collocherà nello scenario internazionale del turismo crocieristico in modo competitivo. A completamento di un sistema dedicato alla nautica da diporto, che mette a sistema tutte le località della costa ravennate valorizzando la vocazione specifica di ognuna in un progetto coerente, si colloca il progetto per la Cittadella della Nautica e dell’Innovazione, destinata a diventare un “attrattore” di nuovi investimenti in un settore strategico per il futuro della città e un’occasione per il rilancio dell’economia locale. Gli interventi per il recupero del waterfront e il potenziamento di infrastrutture e servizi portuali lungo i 12 km che corrono dalla Darsena di Città alla costa sono finalizzati in particolare a valorizzare la vocazione turistica e nautica del territorio. L’area interessata, precedentemente occupata dall’ex Sarom, si estende su circa 116 ettari lungo il Porto-Canale Candiano ed è caratterizzata dalla presenza di attività in parte produttive (28 ettari) e in parte dismesse o da riconvertire (88 ettari). È destinata ad accogliere attività secondarie e terziarie più leggere e compatibili delle preesistenti, accanto a insediamenti urbani e servizi legati agli usi del mare, quali la logistica, la cantieristica e il turismo nautico. La superficie totale dei comparti dedicati alla cantieristica, con possibilità di espansione, accoglierà 9 capannoni per una superficie utile di 45.000 mq occupati da complessi destinati all’insediamento dei cantieri nautici. La superficie destinata all’artigianato di servizio alla nautica sarà pari a 7 ettari con 55.000 mq di superficie utile, mentre altre attività industriali saranno ospitate su una superficie coperta di 18.000 mq. Il Tecnopolo, esteso su 4 ettari, metterà a disposizione circa 12.000 mq di superficie coperta per il comparto della ricerca, dell’innovazione e della formazione, ma anche spazi commerciali, zone espositive e strutture ricettive, per una superficie utile di 41.000 mq. Il Porto-Canale di Ravenna 11 edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 A Civitavecchia il modello di porto ecologico per il Mediterraneo Il Porto di Civitavecchia si colloca al centro di una rete infrastrutturale nazionale ed europea che garantisce il collegamento dello scalo con l’intero Mediterraneo. Gate strategico per l’accesso alle più importanti località turistiche italiane, si attesta come uno dei principali home port del Mediterraneo per quanto riguarda il traffico crocieristico, con 1.800.000 turisti movimentati nel 2008, e una crescita del 15% circa. Una politica lungimirante e un’attenta strategia di marketing dell’Autorità Portuale – con la finalità inoltre di potenziare lo short sea shipping tra Civitavecchia e i porti della Sardegna (Olbia-Golfo Aranci, Cagliari e Porto Torres) – hanno consentito di incrementare notevolmente il traffico passeggeri; le opere di potenziamento delle banchine e delle strutture di accoglienza hanno permesso di registrare uno straordinario incremento di navi da crociera (755 ogni anno), rafforzando il ruolo del porto turistico nel Mediterraneo. Particolarmente interessanti i dati sulle Autostrade del Mare, che hanno visto un incremento del numero dei passeggeri (16.915 passeggeri trasportati/giorno) e delle merci, cresciuti in particolare nei collegamenti con Barcellona, Tolone, Palermo, Tunisi e Malta. Per favorire ulteriormente la crescita delle Autostrade del Mare, l’Autorità Portuale ha puntato sul progetto del grande Terminal delle Autostrade del Mare (11 accosti per una superficie complessiva di 150.000 mq). Il progetto prevede la costruzione di una piattaforma a quota 2,50 m sul livello del mare dotata di moli di attracco, aree per manovre di imbarco e sbarco, postazioni doganali, aree di sosta, piazzali per autoveicoli e mezzi pesanti; una piastra a quota 9,50 m suddivisa in due ambiti per ospitare un edificio commerciale su tre livelli con terrazza, i parcheggi di pre-imbarco e il terminal con una grande hall, spazi per uffici, duty free, bar, terrazza, bookshop, information desk e servizi igienici; un viadotto pedonale sospeso che consente il collegamento tra il terminal di imbarco e la stazione marittima. Si tratta di un progetto ambizioso destinato a contribuire in modo determinante alla trasformazione di Civitavecchia in un grande polo della logistica situato nel cuore dell’Italia e del Mediterraneo, già avviato con la costruzione del nuovo interporto (50 ettari Veduta aerea del Porto di Civitavecchia (Archivio Centro Internazionale Città d’Acqua, Venezia) 12 di superficie), in funzione da alcuni anni, e con interventi di potenziamento delle infrastrutture viarie e ferroviarie, come la bretella di collegamento porto-interporto. Il Porto di Civitavecchia potrebbe diventare nei prossimi anni anche il centro della logistica per la distribuzione europea e mediterranea delle merci cinesi. Il Governo della Cina ha infatti programmato ingenti investimenti che lo porteranno in futuro a movimentare complessivamente 30 milioni di container all’anno attraverso il Terminal Asia. La scelta è da attribuire principalmente alle caratteristiche dello scalo: la posizione geografica al centro dell’Italia; la conformazione geologica, la possibilità di raggiungere pescaggi di -20 m per accogliere le navi di ultima generazione, e infine le potenzialità legate alla disponibilità di milioni di metri quadrati nelle aree retroportuali per la costruzione di un distripark. Lo sviluppo dell’area portuale avverrà comunque nel pieno rispetto dell’ambiente e del paesaggio. Civitavecchia si conferma infatti come modello di “porto verde” per il Mediterraneo, grazie a una serie di importanti iniziative mirate a ridurre l’impatto ambientale dello scalo sulla città che sono state avviate con ENEL e in collaborazione con Fincantieri. Il porto ha contribuito in modo determinante alla definizione di un percorso a livello internazionale per creare un porto ecologico ed eco-sostenibile, presentando il progetto per l’elettrificazione delle banchine, l’utilizzo di energie rinnovabili (High Voltage Shore Connection Technology), lo studio di sistemi di monitoraggio dei consumi e di sistemi di illuminazione con tecnologie avanzate per il porto storico. I progetti per il prossimo futuro puntano a valorizzare la relazione tra porto e città, in particolare attraverso lo sviluppo della cantieristica navale per le attività diportistiche e la riqualificazione del vecchio porto, che dovrebbe restituire alla città un pregevole sito dal punto di vista storico-architettonico. Sul waterfront, un complesso intervento da oltre 200 milioni di euro – che interessa in particolare la Darsena Romana, il Forte Michelangelo e la passeggiata di Viale Garibaldi – porterà alla realizzazione di gallerie commerciali, spazi espositivi, centri di documentazione, laboratori, biblioteca, ristoranti, hotel, una marina e un acquario, aree verdi ecc. L’intervento su un ambito complesso, caratterizzato da preesistenze di grande rilievo, ha comportato una serie di scelte mirate, che attraverso numerosi interventi di restauro e di ripristino delle componenti spaziali consentiranno di valorizzare le specificità dei siti. edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 Un sistema-porto multifunzionale per il rilancio del Golfo di Napoli Il ruolo strategico del Porto di Napoli nel sistema del Mediterraneo è legato in parte alle potenzialità del territorio e in parte alla sua posizione geografica. Collegato con le regioni del Centro-Nord e dell’Europa centrale, lo scalo si attesta come “porta” delle Autostrade del Mare e come polo intermodale integrato con le principali reti infrastrutturali e con i nodi presenti sul territorio, dagli hub aeroportuali agli interporti, dai centri di distribuzione alle piastre logistiche, una “cerniera” quindi tra la terra e il mare, tra il waterfront e l’entroterra. Il bacino portuale si affaccia su una superficie di circa 2.700.000 mq di specchi acquei e dispone di 75 approdi. In particolare sul canale di accesso insistono alcune darsene o bacini: le darsene Diaz, Vittorio Veneto, Granili e Pollena che costituiscono il bacino commerciale; il Bacino del Piliero per il traffico misto, merci e passeggeri; il Bacino Angioino adibito prevalentemente a traffico passeggeri; la Darsena dei Bacini destinata ad attività cantieristiche e riparazioni navali, la nuova Darsena di Levante e la darsena industriale. Il carattere multifunzionale del porto si manifesta in tre diversi settori: l’attività commerciale, l’attività cantieristica, l’attività turistico-crocieristica. Nell’ambito del traffico commerciale, il settore RO-RO ha registrato un aumento dovuto allo sviluppo dei traffici legati alle Autostrade del Mare; significativo è anche l’andamento della movimentazione dei container che, dopo aver subito alcune flessioni negli scorsi anni e un leggero incremento nel 2007 (volume complessivo di 460.810 TEU), è destinata a crescere ulteriormente. Con la finalità di movimentare in futuro più di un milione di TEU/anno saranno realizzati gli interventi per la trasformazione della Darsena di Levante in terminal container, che permetteranno di rispondere a nuove esigenze e a diverse tipologie del traffico. Nell’ambito del terminal saranno realizzate quattro aree funzionali: uno scalo ferroviario situato nella parte opposta alla banchina, un’area dedicata a uffici e parcheggi, un’area per il carico e lo scarico dei container e un ambito per lo stoccaccio delle merci. Il comparto industriale ha conosciuto di recente un nuovo rilancio con l’attività cantieristica: il numero delle navi in rimessaggio è aumentato e il settore occupa circa 2.500 persone. Il porto potrebbe quindi recuperare in tempi brevi il suo ruolo nel campo delle riparazioni e delle costruzioni navali nel bacino del Mediterraneo. Il Porto di Napoli è uno scalo di riferimento a livello internazionale per gli operatori delle crociere. Per quanto riguarda infatti il traffico passeggeri, questo settore è quello che ha fatto registrare di recente il maggior tasso di incremento (20% circa, 5% circa tra il 2006 e il 2007), con una grande capacità competitiva anche nel traffico strettamente legato al settore turistico e al trasporto locale che interessa l’intero Golfo di Napoli, secondo al mondo per numero di passeggeri dopo la Baia di Hong Kong. Per il potenziamento delle linee delle Autostrade del Mare (in prevalenza dirette verso la Sicilia), del sistema di cabotaggio che attualmente interessa la Sardegna, le Isole Pontine, le Isole Eolie e Tunisi, nonché dei collegamenti con le linee tirreniche, è in previsione l’incremento non solo dei servizi ai passeggeri, ma anche delle banchine, con l’adeguamento del Molo Immacolatella Vecchia, il consolidamento della Banchina Piscane per il traffico RO-RO, la realizzazione di nuovi ormeggi alla Calata del Piliero. Il futuro del Porto di Napoli si gioca in particolare sulla riqualificazione del waterfront, destinato a diventare un polo di particolare attrazione per crocieristi, turisti e residenti, grazie alle opportunità offerte dal patrimonio storico-architettonico, culturale e paesaggistico del territorio partenopeo. Nausicaa, holding a carattere interamente pubblico (52% Autorità Portuale, 48% tra Regione Campania, Comune e Provincia di Napoli), è deputata a programmare e a gestire un ambizioso progetto per la trasformazione dell’area turistico-monumentale del porto, che avverrà in due fasi successive: la prima interesserà l’area che si estende dall’Immacolatella Vecchia al Molo Beverello, mentre la seconda comprenderà la Darsena Acton e il Molo San Vincenzo. La Stazione Marittima (3.300 mq di superficie, 7 banchine per complessivi 1.100 m), oggi utilizzata anche come centro congressi, sarà presto dotata di alcuni spazi commerciali e diventerà una grande “piazza sull’acqua” affacciata sullo straordinario paesaggio del Golfo, mentre gli edifici dell’Immacolatella Vecchia ospiteranno il Museo del Mare. Il nuovo terminal passeggeri che sarà realizzato sul Molo Beverello dovrebbe consentire di razionalizzare i flussi di traffico (circa 9 milioni persone/anno) e dare risposta a una serie di esigenze manifestate non solo dai turisti, ma anche da pendolari e residenti. Il recupero del Molo San Vincenzo, della Darsena Acton e delle aree limitrofe consentirà di creare una passeggiata a mare dotata di ristorati, bar, botteghe artigiane e attività commerciali in prossimità del centro storico-monumentale della città. La pianificazione portuale per i prossimi anni prevede diversi interventi di natura infrastrutturale e organizzativogestionale che, a fronte di un investimento complessivo di circa 830 milioni di euro, consentiranno di migliorare le condizioni di accessibilità e fruibilità delle aree portuali e di completare il processo di specializzazione funzionale dei vari comparti portuali, rafforzando così la multifunzionalità dello scalo in un’ottica di sistema-porto del Golfo di Napoli, e consolidando nei prossimi anni la sua leadership di porto “multifunzionale” dell’Italia centro-meridionale. La città e il Porto di Napoli 13 edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 Gioia Tauro. Il primo terminal per il transhipment nel Mediterraneo Il Porto di Gioia Tauro, costruito nella prima metà degli anni ’70 a servizio degli insediamenti industriali e del centro siderurgico, che ne hanno fortemente caratterizzato dimensioni, strutture e destinazione funzionale, è stato riconvertito a partire dagli anni ’80 a causa della crisi del comparto. L’ambito portuale di Gioia Tauro occupa attualmente una superficie complessiva di 4.400.000 mq e presenta una configurazione a canale con una superficie dello specchio acqueo estesa su 180 ettari; dispone di 5.192 m di banchine su fondali di 18 m. Il canale portuale (3 km per 200 m circa) si sviluppa in direzione nord ed è in fase di ampliamento. Il porto è servito da un sistema stradale piuttosto complesso e in parte carente per quanto riguarda i raccordi con il sistema autostradale. A complemento delle connessioni del porto con i principali corridoi autostradali risulIl Porto di Gioia Tauro ta determinante il collegamento diretto, all’altezza dello svincolo di Rosarno, tra l’A3 Salerno-Reggio Calabria e l’asse attrezzato di accesso al porto, nonché la tangenziale all’altezza dello svincolo di Gioia Tauro, tra l’A3 e il porto, per decongestionare i flussi in entrata e in uscita. Lo scalo dispone di un collegamento alla rete ferroviaria tramite la stazione di Rosarno, in fase di potenziamento con la realizzazione di un secondo binario, mentre i vicini aeroporti di Lamezia Terme e Reggio Calabria offrono la possibilità di utilizzare un servizio aereo cargo e passeggeri. Il Terminal Container, esteso su circa 1.485.000 mq, di cui 1.135.000 mq già operativi e 351.000 mq in fase di infrastrutturazione, ha una capacità di movimentazione di 23 TEU/ora per gru, con circa 3 milioni di TEU movimentati l’anno e 30 milioni di tonnellate di merci; gli ampi spazi ancora inutilizzati potrebbero accogliere complessivamente fino a 54.000 TEU. I piazzali adiacenti il bacino di evoluzione nord ospitano il Terminal Auto, che ha una superficie di 240.000 mq circa e banchine di accosto lunghe 350 m. Nella zona di ponente sono situati i cantieri navali per la costruzione a terra di unità da diporto e piccole riparazioni, e sono stati realizzati tre punti di accosto per il traffi- 14 co RO-RO. A sud è collocata una piccola darsena per l’ormeggio di imbarcazioni adibite ai servizi portuali e ad attività legate prevalentemente alla pesca. Gioia Tauro è uno dei principali nodi di distribuzione dei traffici in partenza dal Nord America e dall’Estremo Oriente verso il Mediterraneo centrale e orientale, uno scalo in progressiva espansione in grado di favorire il rilancio dell’economia del Sud d’Italia. Le potenzialità per la tipologia del traffico container su grandi navi transoceaniche o su piccole navi per la distribuzione di dettaglio (feeder), per disponibilità di grandi spazi a ridosso delle banchine portuali, per ampiezza di accosti e profondità dei fondali, attestano lo scalo come il più grande terminal per il transhipment del Mediterraneo e il quinto a livello mondiale per container movimentati. La sua collocazione geo-strategica, a poche ore di navigazione dalle rotte Suez-Gibilterra e Mare del NordGibilterra, ne accentua l’attrattività, consente infatti alle navi di deviare dalla rotta principale per fare scalo in un porto che occupa una posizione intermedia tra il Nord Europa e l’Africa. Con la finalità di potenziare il ruolo di hub leader nel bacino del Mediterraneo, l’Autorità Portuale punta a ottimizzare le attività port required con interventi funzionali alle linee di sviluppo indicate dagli strumenti di pianificazione. L’adeguamento infrastrutturale dei bacini alle esigenze delle nuove navi, l’ottimizzazione della rete di collegamento del porto agli altri sistemi intermodali di trasporto, il potenziamento delle strutture e dei servizi per il traffico di cabotaggio e di merci varie, la realizzazione di infrastrutture di logistica avanzata con la creazione di un polo industriale per attività produttive sono i principali obiettivi della programmazione per i prossimi anni. L’adeguamento dell’imboccatura portuale, con un incremento in larghezza dagli attuali 286 m a circa 400 m, dovrebbe portare alla riconfigurazione del molo sud a fronte di un investimento di 23,5 milioni di euro, mentre con un importo di 14 milioni di euro dovrebbero essere completati i lavori per l’ampliamento del canale portuale in modo da consentire la navigazione alle navi di maggiori dimensioni, interventi che saranno accompagnati da opere di approfondimento e consolidamento dei fondali. L’ampliamento del terminal sul lato est, con la realizzazione di un piazzale adiacente, interessa invece un’area in prossimità delle banchine operative e una superficie pari a 390.000 mq. I lavori di espansione dello specchio acqueo verso nord, il dragaggio della zona e il banchinamento degli argini sono finalizzati all’ampliamento della darsena servizi a ridosso dell’imboccatura sud (per un importo di 15 milioni di euro) e all’incremento del numero dei posti barca per il diporto e per le imbarcazioni da pesca. La realizzazione di alcuni piazzali retrostanti nell’area sud del bacino di espansione (per un importo di 20 milioni di euro) dovrebbe portare a disporre di superfici operative per circa 340.000 mq, che vanno ad affiancarsi alle superfici recuperate a seguito della delocalizzazione e della riqualificazione del piazzale ferroviario. edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 Taranto, polo logistico intermodale sul Mediterraneo Situato in posizione strategica nella geografia del Mediterraneo, il Porto di Taranto risulta essere il baricentro delle rotte principali tra Oriente e Occidente, un ponte naturale per i traffici verso il Medio e l’Estremo Oriente e verso i Paesi africani. È il secondo scalo a livello nazionale per volume complessivo di merci movimentate, con una crescita tendenzialmente positiva che nel 2006 ha raggiunto il massimo storico, con 49.434.295 tonnellate e 892.300 TEU. In costante crescita risulta anche il numero di navi in arrivo e in partenza dal porto, che dal 2006 supera le 5.000 unità. Lo scalo possiede ottime potenzialità per quanto riguarda il traffico container di provenienza e destinazione transoceanica, lo sviluppo delle attività di transhipment e la crescita dei traffici europei, legati in particolare alla sua posizione strategica sulla rotta Suez-Gibilterra e alla disponibilità di grandi spazi. Il Porto di Taranto assicura un elevato volume di movimentazione delle merci di tipo industriale, in entrata o in uscita prevalentemente dalle industrie locali. Il 10% circa dei container proviene dal territorio regionale e nazionale (4% per via ferrovia; 6% per via strada), grazie anche al collegamento del terminal con il sistema ferroviario e la rete stradale. Per quanto riguarda i traffici RO-RO di merci varie (in prevalenza cabotaggio e navigazione a corto raggio), la posizione geografica di Taranto è attualmente simile a quella dei porti di Bari e Brindisi per i collegamenti con la Grecia e la Turchia, ma in futuro i collegamenti con i Balcani potrebbero costituire una notevole opportunità per lo scalo pugliese. Il riferimento a possibili sviluppi riguarda anche i traghetti misti e il traffico passeggeri, i cui livelli sono destinati ad aumentare in rapporto alla posizione che lo scalo occupa rispetto ad altri Paesi della sponda meridionale del Mediterraneo, in particolare all’Egitto. Il ruolo di transit port di Taranto per il traffico crocieristico di provenienza tirrenica si affianca a quello di Bari e Brindisi per le crociere che attraversano l’Adriatico. Il piano regolatore portuale indica tra i principali indirizzi di sviluppo l’implementazione della vocazione commerciale, la razionalizzazione dell’assetto portuale e la relazione con la città. Tra gli obiettivi per il prossimo futuro figura sostanzialmente il consolidamento del Porto di Taranto come piattaforma logistica intermodale, attraverso l’adeguamento delle dotazioni infrastrutturali dello scalo ionico alle nuove esigenze del mercato. Con questa finalità si procederà in tempi brevi alla realizzazione di un centro d’interscambio in cui i diversi segmenti del trasporto non saranno più suddivisi per modalità, ma costituiranno le fasi di un unico processo, un complesso destinato a modificare il sistema portuale nazionale e mediterraneo. Per la realizzazione della piastra logistica integrata al sistema intermodale del Corridoio Adriatico, sono previste opere per un valore di 155 milioni di euro che potrebbero modificare in modo determinante gli equilibri della logistica nel Mediterraneo e in particolare nel Sud d’Italia: moli e impianti per il collegamento efficiente di tutti i bacini portuali; il miglioramento delle connessioni con l’entroterra attraverso la rete stradale nazionale e un nuovo terminal ferroviario integrato con le arterie principali lungo le dorsali adriatica e ionica; la realizzazione di nuove banchine e di magazzini per una superficie complessiva di 22.500 mq; il recupero di alcune aree della RFI negli scali merci adiacenti l’ambito portuale. A contribuire in modo determinante allo sviluppo del settore logistico sul territorio sarà inoltre la costruzione in area retro-portuale di un distripark e di un complesso di edifici commerciali, che occuperanno una superficie di 750.000 mq a ridosso del Terminal Container, incentivando l’insediamento di imprese diversificate all’interno di uno dei nodi principali del sistema portuale del Corridoio Adriatico, e quindi della rete transeuropea (TEN) e paneuropea (PEN). Accanto al potenziamento della vocazione commerciale saranno avviati anche interventi per la riorganizzazione dell’assetto portuale e la riqualificazione del waterfront urbano, tra cui la realizzazione sul Molo San Cataldo di un centro polivalente dedicato a servizi per turisti e residenti (per un importo di 5 milioni di euro). Il complesso, servito da una banchina di ormeggio e da alcuni terminal dedicati ad attività crocieristiche, da spazi commerciali e culturali, da aree ricreative, potrà ospitare congressi, convegni, esposizioni e altre manifestazioni. La risistemazione delle aree portuali prevede inoltre spazi verdi, nuovi sistemi di illuminazione e interventi per la riorganizzazione della viabilità (per un importo di 1 milione di euro). Vista del Porto di Taranto 15 edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 Nuove prospettive per il Porto Vecchio di Cagliari Veduta del Porto di Cagliari 16 Nodo strategico al centro del Mediterraneo, il Porto di Cagliari serve il più importante agglomerato insediativo, commerciale e industriale della Sardegna. La circoscrizione territoriale dell’Autorità Portuale si estende per circa 30 km (da Capo Carbonara e da Capo Pula), articolata nel porto commerciale, nel Porto Canale e nel terminal di Porto Foxi. Grazie agli spazi disponibili e alla grande potenzialità funzionale, lo scalo risponde positivamente alla domanda di traffici commerciali con movimentazione di merci convenzionali, rinfuse, traffici RO-RO e attività di transhipment con merci containerizzate, cui si affiancano servizi passeggeri, attività di pesca turistica, nautica da diporto e crocieristica. Il traffico merci si caratterizza per la movimentazione di oltre 35 milioni di tonnellate, con un leggero incremento del traffico delle rinfuse e una sensibile contrazione dei volumi movimentati per quanto riguarda le merci varie, compresi i TEU (20% circa negli ultimi anni), il cui traffico è localizzato nelle aree del Porto Canale. Il traffico passeggeri di linea ha registrato un aumento del 10% circa e alcuni segnali di ripresa, che seguono tuttavia una rilevante flessione (da 635.625 nel 1987 a 330.185 nel 2007, con una riduzione del 48%). I motivi di questo andamento sono molteplici e in particolare legati all’aumento dell’offerta di trasporto aereo sull’aeroporto di Cagliari con tariffe medio-basse, all’elevato numero di voli per i principali aeroporti europei, alla maggior appetibilità dei porti di Olbia e di Porto Torres per via della buona accessibilità stradale ecc. Il porto ha ottenuto ottimi risultati per quanto riguarda invece il traffico delle crociere – settore in cui opera soltanto da un decennio – con una spiccata crescita di oltre il 164% registrata nel 2007. Nel rispetto delle linee di sviluppo strategico espresse nel piano regolatore portuale gli interventi per il potenziamento infrastrutturale nei prossimi anni riguardano la realizzazione di opere e servizi, il miglioramento dell’accessibilità e lo sviluppo dell’intermodalità, l’incremento dell’attività crocieristica, nonché la salvaguardia dell’ambiente. Il porto commerciale, esteso su una superficie di circa 112.000 mq (28 banchine, 17 accosti) con annessi 2.000.000 mq di specchi acquei, è caratterizzato prevalentemente dal traffico passeggeri e merci RO-RO, e in modo marginale dal traffico crocieristico. In corrispondenza dell’Avamporto di Ponente del Porto Canale saranno completati alcuni “denti” per consentire il contemporaneo ormeggio di 5 navi RORO e un collegamento ferroviario di 20 km di lunghezza tra il Terminal RO-RO e il Terminal Container, oggetto di interventi di ampliamento e di completamento delle banchine. Strettamente connesso al Terminal Container, sorgerà il Distretto della Logistica (617.300 mq). Il banchinamento del lato sud-ovest del Porto Canale, per una lunghezza di circa 500 m, sarà realizzato per accogliere un terminal polifunzionale a supporto delle attività portuali, industriali e dei servizi logistici che dovranno insediarsi nelle aree retrostanti. Le potenzialità per lo sviluppo futuro del waterfront di Cagliari si concentrano in particolare sulla riqualificazione del Porto Vecchio, dal quale verranno trasferite alcune attività destinate ad aree meno pregiate distribuite lungo il bacino di evoluzione esteso fino al Porto Canale; in questo modo sarà possibile recuperare a nuove destinazioni d’uso le zone comprese tra Su Siccu e Sa Perdixedda. Nella zona di Su Siccu, tra il Molo di Levante e il Pennello di Bonaria, è prevista la realizzazione del grande porto turistico, articolato in 2/3 bacini diversificati per accogliere ampie aree dedicate al diporto (60 milioni di euro, 1.800 posti barca), insediamenti e attività sportive connesse al settore della nautica, nonché servizi turistico-commerciali, di accoglienza e di ristoro. La realizzazione di una passeggiata lungo il waterfront e una nuova sistemazione urbana permetteranno la riqualificazio- ne della zona Pineta Bonaria a fronte di un investimento di circa 5 milioni di euro. Il completamento delle opere marittime del Terminal Passeggeri (12,5 milioni di euro) e la demolizione degli edifici esistenti con l’adeguamento tecnico-funzionale del Molo Sabaudo consentiranno di disporre di 2 ormeggi per le navi serviti da passerelle sopraelevate per lo sbarco dei passeggeri; al fine di garantire l’intermodalità, la nuova stazione marittima sarà collegata mediante un percorso pedonale alla stazione ferroviaria e al terminal dei mezzi pubblici. Due nuovi fabbricati nella zona Sa Perdixedda (compresa tra il mercato ittico, Via Riva di Ponente e l’edificio della Dogana) accoglieranno gli uffici e i locali di servizio necessari agli operatori portuali del settore RO-RO, su una superficie complessiva di 55.000 mq. Il progetto per la creazione di una darsena pescherecci in prossimità del mercato ittico prevede la realizzazione di 5 pontili, sui quali potrà essere trasferita l’intera flotta attualmente dislocata in diverse banchine; la zona di Sa Scaffa sarà riconvertita in parco urbano e accoglierà attività di ristorazione legate alla pesca. edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 La valorizzazione del waterfront urbano-portuale di Palermo Il Porto di Palermo, risorsa economica per la città e per l’intera regione, è fortemente inserito e integrato nel tessuto urbano. La riqualificazione delle aree portuali contigue al waterfront urbano, in particolare la zona nord e l’area dei cantieri navali – sulla quale la città sta puntando da alcuni anni per lo sviluppo futuro del territorio – impone pertanto un programma di organizzazione funzionale e infrastrutturale da parte dell’Autorità Portuale coerente e integrato con la pianificazione urbanistica e con gli interventi attuativi dell’amministrazione comunale. Cerniera tra le direttrici Nord-Sud ed Est-Ovest, il porto registra un 80% circa di traffico riconducibile ai servizi di linea di cabotaggio; le direttrici principali di tali traffici si riferiscono ai porti di Genova, Livorno, Civitavecchia, Napoli, Cagliari, Tunisi, Salerno e delle isole minori. Lo short sea shipping interessa lo scalo con collegamenti a mezzo di traghetti e aliscafi destinati a registrare un incremento in futuro, in particolare verso la Spagna, la Grecia e i Paesi del Nord Africa, in seguito all’attuazione del progetto “Autostrade del Mare e intermodalità”. Una componente importante del traffico passeggeri riguarda i croceristi (oltre 475.000 a fronte di 214 approdi), il cui movimento è cresciuto notevolmente negli ultimi anni. Decisivo anche l’incremento del traffico merci, che ha fatto registrare una crescita costante (oltre 6,6 milioni di tonnellate movimentate nel 2007), con un contributo determinante rispetto al totale delle merci dato dal traffico RO-RO (da circa 4,9 milioni di tonnellate del 1996 a oltre 5,4 milioni di tonnellate del 2007). Per favorire l’intermodalità del trasporto e il collegamento dell’ambito portuale con il sistema autostradale risulta fondamentale il raccordo sulla direttrice nord-ovest, capace di garantire anche il rapido collegamento del porto con le reti della grande viabilità dell’isola (strade di scorrimento veloce Palermo-Agrigento e Palermo-Sciacca) e di decongestionare il traffico urbano da quello commerciale in entrata e in uscita dal porto. Con la finalità di ottimizzare l’utilizzo delle aree e delle strutture esistenti differenziando le scelte strategiche per lo sviluppo, sono stati avviati interventi di recupero e rifunzionalizzazione degli ambiti portuali, e introdotti nuovi servizi dedicati al settore commerciale, al traffico passeggeri e crocieristico, alle attività cantieristiche, al diporto nautico, nonché ad attività connesse all’uso urbano e alla fruizione del litorale. Il traffico RO-RO, che registra un movimento consistente di circa 2.300.000 passeggeri/anno, rende necessario l’adeguamento in tempi brevi dell’estremità nord della Banchina Puntone, il prolungamento di 40 m del Molo Santa Lucia in modo da adeguarne la lunghezza alle nuove dimensioni delle navi in scalo nel porto, l’eliminazione di alcuni fabbricati inutilizzati che si affacciano sulla Calata Marinai d’Italia e la realizzazione di un terminal in cui collocare servizi per passeggeri e operatori del settore (spazi commerciali, biglietterie, sale di attesa, punti di ristoro, uffici ecc.). Sono previsti interventi per il completamento di alcune opere infrastrutturali e per la creazione di nuove aree per il settore della cantieristica, con l’obiettivo di concentrare le attività in una zona specifica, di riorganizzare le aree retrostanti e di trasformare il bacino esistente in un piazzale operativo dedicato. Il nuovo piano regolatore portuale prevede inoltre per la riqualificazione del waterfront urbano, il mantenimento del Molo Sud e il collegamento con la Banchina Sammuzzo per la creazione di una grande darsena dedicata al diporto nautico, elemento di cerniera tra il porto e la città, mentre le aree di maggior pregio storico-architettonico e paesaggistico, come il Molo Trapezoidale, l’area archeologica del Castello a Mare e la Cala, saranno restituite alla fruibilità pubblica. Ulteriori interventi finalizzati alla valorizzazione del fronte d’acqua riguardano il completamento degli arredi portuali, l’ammodernamento del sistema di illuminazione e il rifacimento della pavimentazione. Il porto è in grado di offrire servizi efficienti e diversificati per il settore delle crociere prevalentemente concentrati nella Stazione Marittima, oggetto di interventi di recupero e di ammodernamento per quanto riguarda la struttura architettonica e la distribuzione funzionale. La riconfigurazione degli ambiti esterni prevede l’installazione di nuove passerelle mobili (finger) per l’imbarco e lo sbarco dei passeggeri e l’adeguamento degli accessi al terminal. La necessità di creare nuove strutture tese a soddisfare le esigenze crescenti del settore diportistico emerge dalla carenza di posti-barca e servizi per la nautica in ambito urbano. Per lo sviluppo economico e occupazionale del settore sarà creato un piccolo distretto della nautica esteso dal Molo Trapezoidale al Molo Sud, intervento che si inserisce nel più ampio programma di riqualificazione del waterfront urbano-portuale con la realizzazione del Porticciolo di Sant’Erasmo, grazie a un investimento pubblico-privato di 16,2 milioni di euro, e la destinazione della Banchina Piedigrotta e della Cala al diporto nautico. Il waterfront urbano-portuale di Palermo 17 edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 Reti marittime e gerarchie portuali in Europa: un confronto tra Nord e Sud Il confronto dei porti in Europa è stato oggetto di numerosi studi, in particolare in un contesto di integrazione e di allargamento dell’Unione Europea, nonché di crescente globalizzazione, che costringe a ridefinire il ruolo dei porti nelle catene di trasporto a differenti scale organizzative e spaziali. La gerarchia portuale europea mostra tuttavia una certa stabilità nel tempo in termini di concentrazione del traffico,1 che si osserva allo stesso modo a livello di alcuni fronti, come nel Nord Europa da Le Havre ad Amburgo.2 In paragone, il fronte del Mediterraneo ha registrato una consistente concentrazione di traffico container negli anni ’90 in seguito allo sviluppo degli hub di transhipment.3 La questione della suddivisione dell’Europa in diversi ambiti portuali diventa fondamentale quando si tratta di mettere in evidenza alcune dinamiche differenti di evoluzione dei porti. Per esempio, Lemarchand e Joly4 dimostrano che i porti del Nord operano in un sistema maggiormente integrato rispetto ai porti del Sud, dove la discontinuità fisica e i contrasti nazionali sono più forti, e da cui derivano sistemi portuali più eterogenei. Infatti, i grandi porti del Nord sono impegnati a servire il vasto entroterra continentale,5 mentre i principali porti del Sud tendono a servire esclusivamente i mercati locali e regionali, a causa di una limitata accessibilità ferroviaria verso l’interno6 e di un sostanziale vantaggio dei porti del Nord per quanto riguarda la riduzione dei costi del trasporto terrestre. Una delle possibili strategie per i porti del Sud è di connettersi agli European Distribution Center (EDC) in modo da capitalizzare la loro prossimità ai mercati interni.7 Un’altra strategia è la collaborazione dei porti limitrofi su un fronte comune, e quindi la creazione di cluster portuali in tutta l’Europa, ma soprattutto nel Sud.8 Queste tendenze si possono riscontrare nella figura in basso, che illustra il maggior traffico e la concentrazione in costante crescita nel Nord, mentre nel Sud il traffico aumenta rapidamente, ma in quantità più limitate, e la concentrazione cresce in modo meno regolare, e tende addirittura a diminuire negli ultimi anni. Questa distinzione tra i porti del Nord e i porti del Sud, anche se appare semplicistica, può essere sintetizzata nella figura in alto nella pagina seguente. La configurazione centro-periferica, tipica dell’Europa occidentale rispetto al resto del mondo9 è piuttosto compromessa dallo spostamento del baricentro europeo verso Est.10 I porti del Nordsono in concorrenza diretta per i servizi ai mercati relativamente concentrati. La distanza reciproca dei porti meridionali in rapporto a questa funzione continentale si ritrova in particolare in alcuni indicatori di performance portuale elaborati di recente. Ad esempio, l’indice di diversità del traffico portuale, sulla base di sedici categorie di prodotti, mostra in Europa una correlazione relativamente marginale con il volume totale di traffico.11 Oltre a Rotterdam, porto principale e maggiormente diversificato, sono numerosi i porti del Sud con un traf- 18 0,90 0,80 50.000.000 0,70 40.000.000 0,60 0,50 30.000.000 0,40 0,30 20.000.000 0,20 10.000.000 0,10 0 0,00 1970 1975 1980 Mediterraneo 1985 Europa del Nord 1990 1995 Mediterraneo 2000 Europa del Nord 2005 Concentrazione di traffico (Gini) Ripartizione e concentrazione del traffico container in Europa (sulla base del Containerisation International Online) Traffico container (EVPs) 60.000.000 fico molto diversificato, aspetto dovuto al loro ruolo locale di servizio di una grande regione urbana costiera. I porti del Sud hanno inoltre un indice di diversità di occupazione nel trasporto più elevato che al Nord, per le stesse ragioni: il porto si inserisce in una città multifunzionale, mentre al Nord le città costiere sono spesso altamente specializzate.12 Per contro, il grado di integrazione verticale dei porti del Nord è molto più elevato rispetto al Sud, dove la catena del trasporto risulta segmentata e solitamente gestita da piccole imprese o da imprese pubbliche che operano in un unico sistema di trasporto, mentre i porti settentrionali sono inseriti in reti di operatori intermodali e logistici transnazionali, come evidenzia la figura in alto nella pagina seguente.13 Ovvero, i porti in quanto luoghi di trattamento delle merci non sono più necessariamente al centro delle catene logistiche. Il cambiamento delle attività definite “ausiliari” (immagazzinamento, stoccaggio, conservazione) corrisponde a una fase di regionalizzazione dei porti per i mercati serviti.14 Si può notare sulla mappa che la gerarchia degli spedizionieri e degli operatori logistici controlla il tessuto della città, con un aumento significativo nei confini nazionali e nelle zone tampone come la Svizzera, che si colloca nel crocevia logistico europeo. Se gli interventi sulla connessione dei porti con il loro hinterland sono molteplici, minori sono gli sforzi per lo studio dei collegamenti marittimi. Lo studio delle connessioni marittime dei porti in geografia rimane un campo di ricerca relativamente minore rispetto alle analisi condotte sui porti stessi o sull’hinterland terrestre, sull’intermodalità, sulla relazione città-porto ecc. Ma una recente valutazione proposta da Fremont15 sull’integrazione del trasporto marittimo nella catena di trasporto tende a confermare la specificità dello spazio marittimo dal punto di vista economico e geografico. Nonostante un concetto largamente condiviso sulle catene di valore globale e logistico in cui il segmento marittimo e i porti non risulterebbero che un elemento tra gli edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 Fronte Nord Mare del Nord Asimmetria Nord/Sud Est/Ovest Mar Baltico Nord America Modello centro/periferia Rete di trasporto aereo delle metropoli portuali Funzioni portuali Oceano Atlantico Funzioni urbane Percorso strategico Funzioni di hub Mar Nero Sviluppo e declino economico Reti terrestri Med. Occidentale Med. Orientale Asia altri,16 le compagnie di navigazione mantengono il primato nella decisione in merito alla selezione delle rotte. Si ipotizza che ne derivi un interesse evidente verso una migliore comprensione del modo in cui i porti si inseriscono in questo sistema (cfr. figura in basso). A tal fine, si propone di ampliare la dimensione metodologica del problema: come valutare il modo in cui i porti si inseriscono nelle reti marittime? È possibile considerare le reti marittime come gli altri sistemi strettamente fisici (rete stradale, linea ferroviaria)? Per questo vengono utilizzati degli indicatori sintetici di stato, misurati rispetto a due anni-chiave nell’evoluzione recente delle reti container: il 1996, anno di inizio di una fase di forte crescita delle dimensioni delle navi porta-container; il 2006, che segna il culmine di questa tendenza qualche anno prima della crisi finanziaria internazionale, che sembra aver rimesso in discussione la dinamica in questione.17 Si propone pertanto, attraverso l’applicazione di metodi di analisi spaziale e della teoria Amburgo Rotterdam Anversa Interfaccia terra/acqua Feedering Spostamento del baricentro europeo Rotte marittime principali dei grafi, di mettere in evidenza alcune caratteristiche specifiche relative alla situazione dei porti in un sistema marittimo dato, al fine di comprendere meglio la concorrenza e la complementarità in gioco con riferimento ai soli dati ufficiali del traffico. La seconda parte passa rapidamente in rassegna gli studi sui collegamenti marittimi e introduce la fonte e il metodo utilizzato per ricostruire, a partire dai movimenti delle navi, le reti marittime europee. La terza parte punta a descrivere la gerarchia portuale, misurata attraverso degli indicatori di centralità, e la rispettiva struttura delle reti settentrionali e meridionali. La quarta parte applica l’algoritmo dei flussi maggiori alle reti di connessione diretta e indiretta per affinare l’analisi delle gerarchie attraverso l’individuazione di regioni marittime funzionali. In conclusione vengono proposti alcuni elementi di discussione per quanto riguarda il contributo di questa ricerca allo studio comparativo delle dinamiche portuali e territoriali europee. L’analisi comparata dei collegamenti marittimi Dopo gli studi pionieristici di Weigend 18 su Amburgo, di Britton 19 sull’Australia, di Bird 20 e Von SchirachSzmigiel 21 sul Regno Unito, pochi geografi hanno mostrato interesse per le connessioni marittime dei porti, spesso date per scontate e difficilmente configurabili al pari delle reti terrestri. Si può citare, tuttavia, il concetto di “trittico portuale” proposto da Vigarié .22 Occorre attendere Joly,23 Frémont e Soppé 24 perché venga proposto un approccio realmente metodologico alle reti marittime interna- zionali. Infatti, la comunità scientifica interessata alla containerizzazione e alla sua dimensione geografica si concentra essenzialmente su considerazioni teoriche o su dati puntuali relativi al traffico portuale, in mancanza di informazioni precise e comparabili sui collegamenti marittimi portuali. Alcune analisi sono riuscite a dimostrare brillantemente la struttura gerarchica di alcune regioni, come i Caraibi,25 ma anche il Mediterraneo.26 Questo articolo propone di riprendere e affinare alcuni risultati recenti ottenuti a partire dall’analisi dei porti dell’Asia nord-orientale.27 È stato possibile indicare, attraverso la ricostruzione di una rete marittima di interesse, la posizione dei porti all’interno della stessa e i mutamenti nell’ambito geografico limitrofo registrati nel corso degli anni. Dai risultati emerge senza dubbio l’influenza delle politiche locali e nazionali, combinata con quella delle principali evoluzioni geopolitiche e macro-economiche. In ultima analisi, i metodi della teoria dei grafi permettono una maggiore comprensione, rispetto al solo traffico portuale, del modo in cui i porti si inseriscono nelle reti marittime, in base a un livello di “robustezza” e di “vulnerabilità” da definire e interpretare in funzione dei contesti specifici. Non si può ignorare, tuttavia, che le logiche geografiche di strutturazione delle linee containerizzate non coincidono necessariamente in modo netto con lo schema delle relazioni commerciali. La fonte utilizzata in questo articolo è il database internazionale del Lloyd’s Marine Intelligence Unit (LMIU)28 sui movimenti giornalieri delle navi portacontainer a pieno carico. Rappresenta quasi la totalità della flotta mondiale di questa tipologia di navi (98% di TEU) e circa il 12% in DWT 29 della flotta totale di navi di tipologie combinate. Il metodo utilizzato prende in considerazione due porti collegati in modo diretto se si trovano giustapposti lungo il percorso di una nave data, e, in modo indiretto, se sono separati da scali intermedi nell’ambito del percorso di una stessa nave. Successivamente le capacità delle navi sono addizionate per ogni connessione inter-portuale e per ciascun porto al termine di un anno di movimenti, nel 1996 e nel 2006; questo permette di operare su una rete stabilita, ma che si considera non orientata per maggiore semplicità. Organizzazione spaziale del continente europeo e situazione del fronte Nord Ripartizione degli spedizionieri e degli operatori logistici 19 edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 Struttura delle reti container 20 no in corso alcuni studi per verificare l’applicabilità di queste dinamiche all’evoluzione delle reti container.31 I risultati ottenuti per ogni regione confermano in modo evidente che la distribuzione dei “gradi” corrisponde a delle reti a invarianza di scala: il coefficiente di determinazione è molto significativo (circa 0,8) e, soprattutto, l’esponente della linea di regressione è sempre al di sopra del valore “1”, il che dimostra l’esistenza di una legge di potenza. Questo conferma Tabella 1 – Confronto delle reti marittime Nord Europa 1996 (c) 2006 (d) Numero dei porti (a) Numero delle connessioni (b) 188 Densità della rete (b/a) Mediterraneo e Mar Nero 1996 2006 212 Evoluzione (d/c) 1,13 127 180 Evoluzione (d/c) 1,42 703 967 1,37 673 1.204 1,79 3,74 4,56 1,22 5,30 6,68 1,26 quella di avere una distribuzione dei gradi prossima a una legge di potenza (power law). Questo implica che un numero limitato di porti domina la rete, mentre la probabilità per i “nuovi in ingresso” di rimanere polarizzati da questi hub dominanti è molto elevata. So- una proprietà specifica delle reti marittime containerizzate, particolarmente gerarchizzate intorno ad alcuni poli dominanti, che non necessariamente interessa altri tipi di servizi marittimi. La rete del Nord Europa è molto più gerarchizzata rispetto a quella del Me- Tabella 2 – Concentrazione delle performance portuali (Gini) Nord Europa Mediterraneo e Mar Nero 1996 2006 1996 2006 Grado 0,53 0,53 0,54 0,53 Centralità 0,84 0,84 0,74 0,74 Traffico 0,93 0,93 0,82 0,84 Europa del Nord 1996 Numero totale dei porti Mediterraneo 1996 Numero totale dei porti Grado (numero delle connessioni) Grado (numero delle connessioni) Mediterraneo 2006 Europa del Nord 2006 Numero totale dei porti Il metodo consente di proporre alcune misure di centralità dei porti nell’ambito della rete. In particolare, il “grado” è il numero di connessioni (dirette e/o indirette) di ciascun porto con gli altri, mentre la “centralità di intermediarità” è la somma dei percorsi più brevi attraverso un porto all’interno della rete. Il grado è quindi una misura “locale”, che riflette l’attitudine di alcuni porti di dominare gli altri, mentre la centralità è una misura più “globale” assimilabile all’accessibilità alla scala vasta della rete nel complesso. Un primo elemento di confronto è fornito nella tabella 1, con il numero di porti e di connessioni inter-portuali di ciascuna regione nel 1996 e nel 2006. La crescita risulta maggiore nel Sud per tutti gli indicatori, compreso il numero di collegamenti, così come il numero di porti e la densità della rete. Questo conferma la maggiore stabilità del sistema portuale del Nord rispetto al Sud. Gli indicatori della performance portuale mostrano in effetti che la gerarchia portuale delle due regioni non è mutata particolarmente nel corso dell’ultimo decennio a livello globale (tabella 2). Il grado è il meno gerarchico degli indicatori, in quanto non include il volume di traffico o la posizione nel sistema della rete. La centralità è in effetti maggiormente concentrata in un numero limitato di porti in posizione dominante. Il grado ha un livello di concentrazione simile a Nord e a Sud, ma la centralità e il traffico sono più concentrati al Nord. Si tratta di un risultato piuttosto sorprendente, rispetto alla letteratura sui porti europei che descrive il Mediterraneo come il luogo per eccellenza della concentrazione portuale. Solo il traffico totale ha registrato un lieve incremento della concentrazione nel Mediterraneo, mentre il grado e la centralità si sono mantenuti ovunque stabili da un punto di vista della distribuzione dei valori. Tuttavia, questi risultati non significano che non si sia verificato alcun cambiamento per quanto riguarda la gerarchia portuale. L’apparente stabilità può mascherare importanti mutamenti a livello di geografia dei flussi. In altre parole, la concentrazione può aver modificato la localizzazione, pur rimanendo equi- valente in termini di differenze tra valori alti e valori bassi. Un altro elemento di confronto è presentato nella figura in basso nella pagina precedente, finalizzata a verificare in quale misura le rispettive reti corrispondono a delle reti a invarianza di scala (scale-free networks). Questo determina conseguenze rilevanti in termini di strategia e di evoluzione portuale, in quanto secondo i teorici di tali leggi di organizzazione,30 una rete a invarianza di scala ha come proprietà Numero totale dei porti Gerarchie portuali e struttura della rete Grado (numero delle connessioni) Grado (numero delle connessioni) edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 diterraneo, come risulta nella tabella 2. Tuttavia, l’evoluzione del contesto dimostra che il sistema mediterraneo è orientato verso un rafforzamento della gerarchia (1,0013-1,0132), mentre nel Nord Europa la rete si “allenta” in modo più netto (1,2082-1,1553). Si può quindi ipotizzare che lo sviluppo di hub nel Mediterraneo ha effettivamente reso la struttura della rete maggiormente gerarchizzata, mentre al Nord sembra aver avuto luogo un fenomeno di decentramento, come dimostrano gli studi di Hayuth 32 sugli Stati Uniti e di Notteboom 33 sull’Europa in generale. Infine, la distribuzione geografica della centralità dei porti nell’ambito delle loro rispettive reti è un buon metodo per valutare dove si sono verificati sostanziali cambiamenti, e se l’approccio “rete” è coerente con le ricerche esistenti in materia di dinamiche del traffico (figura in basso nella pagina precedente).34 Nel 1996, Amburgo e Rotterdam risultano due poli dominanti per il Nord Europa, con una maggiore concentrazione in questa regione rispetto al Mediterraneo. Tra i principali porti solitamente classificati in base al traffico non risulta Le Havre, ma questo si spiega con la sua posizione di primo porto in entrata e in uscita dal corridoio Manica/Mare del Nord, che lo colloca in posizione periferica rispetto a questa analisi di centralità. Questo aspetto tende a incre- risultano mal posizionati, nonostante il loro traffico rilevante. Nel 2006, appaiono evidenti alcuni cambiamenti significativi. Come si osserva nella figura della pagina 23, le differenze di centralità sono minori al Nord, compresa la migliore posizione di Dublino, Zeebrugge, Bremerhaven, Klaipeda, Riga e San Pietroburgo all’interno della rete, confermando in questo modo alcune fasi teoriche dello sviluppo (peripheral port challenge) e lo spostamento del baricentro europeo verso Est. Altri porti, tuttavia, hanno perso terreno: Liverpool, Lon- mentare il divario tra i porti del fronte Nord, a partire da valori relativamente secondari di Anversa e di Bremerhaven, per esempio. Amburgo e Rotterdam esercitano dunque una forte polarizzazione in questo ambito geografico. Nel Mediterraneo e nel Mar Nero, il primo polo risulta il Pireo, ma è evidente che le differenze di centralità non sono così pronunciate come al Nord: Izmir, Genova, Odessa, La Spezia o ancora Beirut, Salonicco, Gioia Tauro e Algeciras sono relativamente prossimi. Tuttavia, i porti del fronte occidentale (Valencia, Barcellona, Marsiglia) Tabella 3 – Grado e centralità dei dieci porti principali Regione Posizione Nord Europa 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Mediterraneo e Mar Nero 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Grado 1996 Mediterraneo e Mar Nero 2006 1996 2006 Amburgo Amburgo Amburgo Amburgo Rotterdam Rotterdam Rotterdam Rotterdam Bremerhaven Bremerhaven Bremerhaven Bremerhaven Felixstowe Anversa Anversa Wismar Anversa S. Pietroburgo Felixstowe S. Pietroburgo Aarhus Felixstowe Londra Riga Göteborg Riga Riga Anversa Oslo Kotka Kaliningrad Felixstowe Gdynia Aarhus Oslo Amsterdam Zeebrugge Klaipeda Gdynia Flushing Pireo Izmir Gioia Tauro Salonicco Beirut Damietta Marsaxlokk Alexandria Mersin Genova Gioia Tauro Marsaxlokk Izmir Ambarli Pireo Barcellona Valencia Taranto Genova Cagliari Pireo Izmir Genova Beirut Kherson Salonicco Gioia Tauro Algeciras Damietta Leghorn Gioia Tauro Marsaxlokk Ambarli Izmir Barcellona Valencia Ravenna genova Varna Pireo Centralità dei porti europei, 1996 (sinistra) e 2006 (destra) Centralità di intermediarità Numero delle posizioni sui percorsi più brevi possibile nell’ambito della rete Centralità di intermediarità Numero delle posizioni sui percorsi più brevi possibile nell’ambito della rete 21 edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 dra, Bristol, Oslo, Aarhus, Göteborg. Il mutamento quindi non risulta vantaggioso per tutti i porti. Nel Mediterraneo e nel Mar Nero, si osservano molteplici concentrazioni di diversa natura: quella del fronte occidentale (Valencia, Barcellona, Marsiglia-Fos), la polarizzazione degli hub (Marsaxlokk, Gioia Tauro, Cagliari), e il rafforzamento di nuovi attori (Maghreb, Romania, Bulgaria, Turchia). Il Pireo non risulta più il porto di maggior centralità del bacino, ma segue Izmir e Ravenna. La regionalizzazione delle reti marittime Principali flussi e regioni nodali (Nord Europa, 1996) 22 L’osservazione della struttura della rete da un lato e della gerarchia dei porti d’altro non è sufficiente per comprendere come i porti risultano geograficamente collegati tra loro. La questione “chi domina chi, e dove?” è infatti fondamentale in un contesto di concorrenza portuale esacerbata, e alla luce delle dinamiche di regionalizzazione degli ambiti marittimi in risposta alle dinamiche continentali e locali.35 Tale analisi fa riferimento in particolare a studi recenti sui collegamenti marittimi della Corea del Nord, che hanno registrato un’elevata specializzazione regionale,36 e al concetto di foreland-based regionalization proposto da Rodriguez e Notteboom37 che descrive il nuovo ruolo degli hub di transhipment nella ricomposizione delle catene di trasporto multimodali e la polarizzazione regionale dei flussi. L’intercettazione dei flussi di container dovrebbe rivelare quali sono i poli e i loro satelliti, secondo i metodi convenzionali di analisi spaziale come l’algoritmo dei “flussi maggiori”.38 Questo metodo viene qui applicato per verificare l’estensione geografica della zona di influenza dei grandi porti nell’ambito della loro regione “nodale”. Ogni regione nodale deriva dalla suddivisione dell’intera rete per semplificazione: in effetti l’algoritmo mantiene solo i flussi principali (maggiori connessioni di traffico) tra i porti. Il risultato permette, nel caso di flussi interurbani, di rivelare in qualche modo la struttura urbana di una determinata regione. Nel caso dei porti, è possibile interpretare i risultati in termini di sistemi portuali sottostanti dominati da qualche hub. In questo articolo, il metodo viene applicato all’insieme dei flussi interportuali, quindi ai flussi diretti e indiretti (ossia agli scali intermedi), mentre le analisi precedenti consideravano esclusivamente i flussi diretti da porto a porto. Il vantaggio di includere i flussi indiretti è dato da una maggiore attinenza alla realtà del trasporto marittimo di linea, spesso caratterizzato da cicli garantiti da una stessa nave (servizi loop e pendulum). Ogni segmento interportuale è valutato in base alla somma della capacità delle navi transitate al termine di un anno di movimenti. L’analisi è complessiva: aggrega infatti indifferentemente i flussi locali e i flussi internazionali nella matrice origine-destinazione risultante. Ulteriori analisi potrebbero eventualmente reiterare l’algoritmo su diversi campioni di navi, a partire dalla loro capacità (soglia dimensionale per esempio: navi feeder, panamax, over-panamax ecc.) o dalla loro influenza geografica (intraregionale, inter-regionale ecc.). I risultati sono riportati, rispetto ai due anni e per regione, nelle figure di queste pagine (Nord Europa) e di quelle successive (Mediterraneo e Mar Nero). La dimensione dei nodi è equivalente al volume di traffico, mentre la loro posizione non è “geografica”: dipende da associazioni preferenziali all’interno della rete, essendo i porti maggiormente centrali posizionati nel mezzo della figura e i meno centrali in periferia. Questa scelta di rappresen- tazione è necessaria data la sovrapposizione geografica di alcune regioni nodali, che rendono complessa la lettura dei risultati su una mappa bidimensionale convenzionale. La struttura della regione del Nord è ancora una volta relativamente simile in relazione ai due anni presi in esame nello studio. Rotterdam e Amburgo dominano ampiamente nel complesso il numero dei loro “satelliti” (ossia i porti la cui connessione principale è ad essi attribuita), il secondo prevale sul primo nel 2006, fenomeno che può essere attribuito allo spostamento verso Est del baricentro europeo, di cui Amburgo beneficia in maggior misura mediante una strategia ambiziosa basata su flussi intermodali di container, in particolare su rotaia.39 L’espansione dei porti baltici si ritrova di conseguenza nel caso di Amburgo, che è il loro hub verso il resto del mondo. Infatti, nel 1996 il bacino di influenza di Amburgo nei flussi marittimi di container copre l’intero territorio Scandinavia-Baltico, e si estende inoltre a numerosi porti olandesi (ad esempio Amsterdam, Terneuzen). Anche Rotterdam spicca in questo ambito geografico, ma la sua competenza riguarda piuttosto le isole britanniche e la Francia, i cui porti sono sotto la sua influenza predominante. Anche Liverpool, che sembra possedere una certa autonomia all’interno di una sub- Anversa Dublino Rotter dam Amb urgo edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 regione con Hallstavik (Svezia), si ritrova sotto l’influenza di Rotterdam attraverso Zeebrugge, secondo il principio di transitività,40 in base al quale i livelli nodali sono gerarchicamente correlati tra loro attraverso le ramificazioni della rete. Molti dei porti principali risultano quindi sotto il controllo di questi due “giganti”, come Anversa, Bremerhaven, Le Havre e Felixstowe, non avendo puntato su questa funzione di redistribuzione dei flussi ma operando per lo più come porti di hinterland in modo esclusivo. Rotterdam ha in effetti adottato ufficialmente una strategia simile con il suo terminal dedicato al trasporto marittimo di breve distanza (short-sea shipping terminal). Nel 2006, le specializzazioni geografiche osservate in precedenza risultano ancora valide. Tuttavia Amburgo, aumentando il numero dei suoi “satelliti” ha anche diversificato la propria area di influen- za, che si estende ora ai porti inglesi, pur risultando questi ultimi degli scali relativamente minori (Teignmouth, Keadby, Queenborough, Leith, Perth, Rochester, Sheerness, Barrow on Humber, North Killingholme ecc.). La posizione degli altri grandi porti sul fronte Nord non è cambiata molto, ad eccezione della composizione dell’area di influenza di Anversa, che è slittata dalla Scandinavia verso le isole britanniche e la Francia. Rotterdam possiede quindi un bacino di attrazione ridotto rispetto al 1996, e questo nonostante una crescita generale della rete. Un altro cambiamento notevole, che comunque non altera in modo sostanziale la struttura complessiva, è l’individualizzazione di due regioni nodali, centrate su Rostock/Wismar (Regione Baltica) da un lato e su Bergen/Stavanger (Norvegia) dall’altro. È possibile attribuire questo aspetto allo sviluppo di servizi a breve distanza, es- Anversa Amb urgo Dublino sendo Rostock un porto rilevante anche da questo punto di vista. Cosa accade, in paragone, nel Sud dell’Europa? In primo luogo, la struttura complessiva differisce profondamente in quanto a partire dal 1996 si distinguono numerose sub-regioni, mentre al Nord, una sola regione è (e resta) polarizzata da Rotterdam e da Amburgo. Questa distinzione nel 1996 è fortemente caratterizzata dalla suddivisione in due grandi bacini: il quartetto Pireo/Kherson/Izmir/Beirut polarizza il Mediterraneo orientale e il Mar Nero, mentre l’insieme Barcellona/Valencia/Genova/Algeciras/Gioia Tauro/Marsaxlokk polarizza il Mediterraneo occidentale; questo risponde alla questione di Foschi 41 sulla pertinenza di una divisione Est/Ovest del Mediterraneo da un punto di vista marittimo. Si possono distinguere altre due regioni di minore dimensione: Damietta/Limassol e Larnaca/Trieste, ciascuna con un’influenza più o meno specializzata dal punto di vista geografico. Il ruolo centrale del Pireo è da attribuire sia alla diversità geografica del suo raggio di azione che interessa i porti dell’intero bacino, sia alla transitività della sua influenza. In confronto, Izmir è particolarmente specializzato nella captazione dei porti turchi. Appare evidente la specializzazione francese di Barcellona e magrebina di Algeciras, non mostrando altri hub un’equivalente consistenza. Una questione interessante in termini di sviluppo dei porti all’interno della rete è quella di comprendere in che modo la diversità o la specializzazione dei loro ambiti di influenza costituiscono un elemento di forza o di debolezza in funzione della loro progressione nella gerarchia portuale. Nel 2006 i risultati mostrano un’interessante evoluzione da questo punto di vista. Il Pireo è ancora al centro di una regione nodale principalmente rivolta verso il Mediterraneo orientale e il Mar Nero, mentre Izmir, in precedenza altamente specializzato sui porti turchi, ha perso terreno in modo consistente a favore di Ambarli, più prossimo alla regione della capitale (Istanbul) e che possiede inoltre un maggior numero di “satelliti” rispetto al Pireo. Due regioni si sono evolute secondo logiche diverse: quella dei tre hub di Gioia Tauro/Algeciras/Cagliari basata sul transhipment e quella del Mar Nero occidentale di Con- Principali flussi e regioni nodali (Nord Europa, 2006) 23 Algeri edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 Genova Principali flussi e regioni nodali (Mediterraneo e Mar Nero, in alto 1996, in basso 2006) Tutte le figure sono state realizzate dall’autore stanza/Varna/Yeisk fondata sulla creazione di un fronte portuale a vocazione continentale. Infine, Barcellona, Valencia e Genova continuano ad appartenere alla stessa regione nodale, connessa a Marsaxlokk/Algeri/Nemrut Bay piuttosto orientata verso la polarizzazione del Maghreb, ma in estensione anche verso il Mar Nero attraverso il porto di Azov. Pertanto, la suddivisione del 2006 risulta molto meno geografica rispetto al 1996, come già sottolineato da Foschi 42 nella sua critica alle ripartizioni arbitrarie del Mediterraneo, anche se alcune logiche di prossimità risultano sempre evidenti e continuano a determinare le relazioni interportuali. In ogni caso, la struttura nodale dell’Europa marittima meridionale rimane prevalentemente policentrica rispetto a quella del Nord. Barcellona Tartous Pireo Costanza Conclusioni Lo studio della struttura delle reti marittime container dell’Europa settentrionale e meridionale consente in primo luogo di descrivere meglio la gerarchia portuale, spesso riferita esclusivamente al traffico. Quest’ultimo è il risultato di una situazione più o meno “forte” in una rete, anche se i due elementi non sempre coincidono, come è emerso nel caso di Le Havre e di Anversa, la cui centralità rimane piuttosto moderata in relazione al tonnellaggio annuale realizzato altrove. La situazione dei porti all’interno della rete mette in evidenza la funzione di ridistribuzione del flusso, che risulta di minor rilievo per i porti strettamente dell’hinterland. Questo spiega il predominio di Amburgo e di Rotterdam al Nord, che fungono da piattaforme inevitabili per il transito dei flussi europei nel Nord Europa e nel resto del mondo. L’articolo ha consentito di evidenziare una differenza sostanziale tra Nord e Sud: la struttura prevalentemente policentrica delle reti marittime meridionali che, pur essendo anch’esse ugualmente polarizzate da qualche grande porto (Pireo, Barcellona), conserva una certa stabilità nel tempo nonostante l’emergere di hub per il transhipment e la rilevante polarizzazione che esercitano sull’intero bacino del Mediterraneo. Porsi la questione di quale struttura risulti più sostenibile è inutile, in quanto l’architettura delle reti marittime riflette prima di tutto le economie servite: un’Europa del Nord maggiormente integrata e un’Eu- 24 Pireo Barcellona Genova edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 ropa del Sud più frammentata. In questa differenziazione, la geografia fisica acquista lo stesso peso di fattori culturali, storici, economici e politici. Il seguito di questo lavoro dovrebbe porre maggiormente l’accento sul- l’interazione di tali sistemi marittimi con le reti terrestri, prendendo in considerazione l’estensione dell’analisi ad altri anni (ad esempio 1986, 1991, 2001, 2010) e il confronto con altre regioni marittime interessate da un’evo- luzione simile (bacino dei Caraibi, Mediterraneo asiatico). L’analisi separata delle connessioni marittime europee tra Nord e Sud potrebbe anche rivelarsi un campo di ricerca fecondo. César Ducruet Note T.E. Notteboom, Concentration and load centre development in the European container port system, «Journal of Transport Geography» 5(2), 1997, pp. 99-115 2 A. Frémont e M. Soppé, Port concentration, shipping line concentration and port hierarchy. The example of the Northern European range, in: J.J. Wang, D. Olivier, T. Notteboom e B. Slack (eds.) Ports, Cities, and Global Supply Chains, Ashgate, Aldershot, 2007 3 Ridolfi, Containerisation in the Mediterranean: Between global ocean routeways and feeder services, «Geojournal» 48(1), 1999, pp. 29-34; J. Zohil e M. Prijon, The MED rule: the interdependence of container throughput and transshipment volumes in the Mediterranean ports, «Maritime Policy and Management» 26(2), 1999, pp. 175-193; Fageda, Load centres in the Mediterranean port range: ports hub and ports gateway, 40th Congress of the European Regional Science Association, Barcellona, Spagna, 29 agosto-1 settembre 2000; Foschi, The maritime container transport structure in the Mediterranean and Italy, e-papers del Dipartimento di Scienze Economistiche, Università di Pisa, Discussion Paper 24, 2003 4 A. Lemarchand e O. Joly, Regional integration and maritime range, in T.E. Notteboom, C. Ducruet e P.W. De Langen (Eds.), Ports in Proximity: Competition and Coordination Among Adjacent Seaports, Aldershot, Ashgate, 2009 5 C. Rozenblat (Ed.), Comparer les Villes Portuaires en Europe, Maison de la Géographie, Montpellier, 2004 6 E. Gouvernal, J. Debrie e B. Slack, Dynamics of change in the port system of the Western Mediterranean, «Maritime Policy and Management» 32(2), 2005, pp. 107-121 7 C. Ferrari, F. Parola e E. Morchio, Southern European ports and the spatial distribution of EDCs, «Maritime Economics and Logistics» 8(1), 2006, pp. 60-81 8 T.E. Notteboom, Complementarity and substitutability among adjacent gateway ports, «Environment and Planning A» 41(3), 2009, pp. 743-762 9 S.W. Lee, D.W. Song e C. Ducruet, A tale of Asia’s world ports: The spatial evolution in global hub port cities, «Geoforum» 39, 2008, pp. 372-385 10 M. Brocard, Les contradictions des politiques européennes: politiques des transports et d’aménagement du territoire, 29ème Congrès de l’Union Géographique Internationale, Seul, Corea del Sud, 13-18 agosto 2000 11 C. Ducruet, H.R.A. Koster e D.J. Van der Beek, Commodity variety and seaport performance, Regional Studies, in corso di stampa, 2010 12 C. Ducruet e S.W. Lee, Measuring intermodalism at European port cities: An employment-based study, «World Review of Intermodal Transport Research» 1(3), 2007, pp. 313-334 13 C. Ducruet, e M.R. Van der Horst, Transport integration at European ports: Measuring the role and position of intermediaries, «European Journal of Transport and Infrastructure Research» 9(2), 2009, pp. 121-142 14 H.A. Van Klink, The port network as a new stage in port development: The case of Rotterdam, «Environment and Planning A» 30(1), 1998, pp. 143-160; T.E. Notteboom e J.P. Rodrigue, Port regionalization: towards a new phase in port development, «Maritime Policy and Management» 32(3), 2005, pp. 297-313 15 A. Frémont, Intégration, non-intégration des transports maritimes, des activités portuaires et logistiques: quelques évidences empiriques, OECD Working Paper, 2009 16 R. Robinson, Ports as elements in value-driven chain systems: the new paradigm, «Maritime Policy and Management» 29(3), 2002, pp. 241-255 17 G. De Monie, J.P. Rodrigue e T.E. Notteboom, Economic cycles in maritime shipping and ports: The path to the crisis of 2008, International Workshop on Integrating Maritime Transport in Value Chains, Montreal, 9-12 giugno 2009 18 Weigend, Some elements in the study of port geography, «Geographical Review» 48, 1958, pp. 185-200 19 J.N.H. Britton, Coastwise external relations of the ports of Victoria, «The Australian Geographer» 9, 1965, pp. 269-281 20 J. Bird, Traffic flows to and from British seaports, «Geography» 54, 1969, pp. 284-301 21 C. Von Schirach-Szmigiel, Trading areas of the United Kingdom ports, «Geografiska Annaler» 55B, pp. 71-82, 1973 22 A. Vigarié, Ports de Commerce et Vie Littorale, Hachette, Parigi, 1979 23 O. Joly, La Structuration des Réseaux de Circulation Maritime, Thèse de Doctorat en Aménagement du Territoire, Le Havre, Université du Havre, 1999 24 Frémont e Soppé, 2007 25 R.J. McCalla, B. Slack e C. Comtois, The Caribbean basin: Adjusting to global trends in containerization, «Maritime Policy and Management» 32, 2005, pp. 245-261 26 D. Cisic, P. Komadina e B. Hlaca, Network analysis applied to Mediterranean liner transport system, International Association of Maritime Economists (IAME) Conference, Atene, Grecia, 4-6 luglio 2007 27 C. Ducruet, S.W. Lee e K.Y.A. Ng, Centrality and vulnerability in liner shipping networks: revisiting the Northeast Asian port hierarchy, «Maritime Policy and Management» 37(1), 2010, pp. 17-36 28 www.lloydsmiu.com 29 Misure della capacità delle navi: Twenty Foot Equivalent Unite (TEU) e Dead-Weight Tonnage (DWT) 30 A.L. Barabasi e R. Albert, Emergence of scaling in random networks, «Science» 286(5439), 1999, pp. 509-512 31 C. Ducruet, T.E. Notteboom, A. Banos, D. Ietri e C. Rozenblat, Structure and evolution of liner shipping networks, International Association of Maritime Economists (IAME) Conference, Lisbona, Portogallo, luglio 2010 32 Y. Hayuth, Rationalization and deconcentration of the U.S. container port system, «The Professional Geographer» 40(3), 1988, pp. 279-288 33 T.E. Notteboom, Concentration and load centre development in the European container port system, «Journal of Transport Geography» 5(2), 1997, pp. 99-115 34 Vedere la tabella 3 per un quadro di valutazioni principali 35 A. Vallega, Fonctions portuaires et polarisations littorales dans la nouvelle régionalisation de la Méditerranée, quelques réflexions, 1976, pp. 355-367 in: Villes et Ports, Développement Portuaire, Croissance Spatiale des Villes, Environnement Littoral, «2nd Colloque Franco-Japonais de Géographie», 25 settembre-8 ottobre 1978, n. 587, CNRS, p. 595 36 C. Ducruet, Hub dependence in constrained economies: The case of North Korea, «Maritime Policy and Management», 35(4), 2008, pp. 374-388 37 J.P. Rodrigue e T.E. Notteboom, Foreland-based regionalization: Integrating intermediate hubs with port hinterlands, Research in Transportation Economics, in corso di stampa, 2010 38 J.D. Nystuen e M.F. Dacey, A graph theory interpretation of nodal regions, «Papers in Regional Science» 7(1), 1961, pp. 29-42 39 J. Debrie, E. Eliot e M. Soppé, Un modèle transcalaire des nodalités et polarités portuaires: exemple d’application au port de Hambourg, «Mappemonde» 79(3), 2005 40 Nystuen e Dacey, 1961 41 Foschi, The maritime container transport structure in the Mediterranean and Italy, e-papers del Dipartimento di Scienze Economische, Università di Pisa, Discussion Paper 24, 2003 42 Foschi, 2003 1 25 edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 Il contributo dei porti del Mediterraneo alle rotte internazionali: il Porto di Barcellona Negli ultimi decenni, soprattutto a partire dagli anni ’80, e in particolare a seguito della crescente delocalizzazione industriale, il commercio mondiale via mare è aumentato in modo esponenziale. Questo ha prodotto un incremento del trasporto marittimo internazionale, attribuendo ai porti un ruolo fondamentale nella catena logistica globale e nella competitività del tessuto imprenditoriale e commerciale delle economie in cui si inseriscono. L’Asia si colloca alla guida di questa crescita, in relazione alle sue relazioni commerciali con il mondo intero, e grazie all’aumento del proprio commercio intra-asiatico. Gli scambi commerciali tra Asia e Africa attraverso la rotta trans-pacifica e il Canale di Panama sono quelli più consistenti, seguiti da traffici altrettanto significativi tra Asia e Europa, che transitano per il Mediterraneo attraverso il Canale di Suez. Ha registrato un incremento anche il traffico commerciale tra Europa e Nord Africa, così come gli interscambi con il Sud America. I porti del Nord Europa, che fino alla metà degli anni ’80 hanno servito principalmente il commercio Europa-America, sono quelli che oggi muovono la maggior parte dei flussi Europa-Asia, con una quota del 72%, mentre i porti del Mediterraneo assorbono soltanto il rimanente 28%. Questo significa che una gran parte del commercio marittimo Europa-Asia attraversa il Mediterraneo, ma dopo aver costeggiato la Penisola Iberica viene imbarcato o sbarcato nei porti del Nord Europa (Le Havre, Anversa, Rotterdam, Brema e Amburgo), per essere successivamente distribuito nell’intero continente. Tuttavia, la partecipazione dei porti del Sud a questi traffici ha registrato un leggero incremento negli ultimi anni, passando dal 24% del 2004 al 28% attuale. Questa situazione è da attribuire a diversi fattori: in primo luogo, il ruolo crescente dei nostri porti e di quelli del Mediterraneo orientale per quanto riguarda il commercio marittimo europeo. Contribuisce, inoltre, il fatto che sia i porti del 13,3 m 20 m Ambiti strategici del traffico marittimo 6,7 m Europa 2,2 m Canale di Suez America Asia 4,4 m Stretto di Malacca 2,2 m 13,3 m Canale di Panama 18,4 m 5,1 m Ambiti strategici di traffico marittimo Fonte: Drewry, dati stimati al 2008 Il consolidamento di questi grandi assi del commercio mondiale hanno convertito il Mediterraneo in un crocevia delle rotte trans-oceaniche est-ovest (Asia-Europa mediterranea-America atlantica) e nord-sud, offrendo ai porti l’opportunità di acquisire un ruolo determinante nel commercio marittimo internazionale. Inoltre, le limitazioni del Canale di Panama e la congestione sulla costa occidentale degli Stati Uniti fanno sì che una parte significativa del commercio asiatico con questo Paese (in particolare sulla costa atlantica) attraversi anche il Mediterraneo nel suo lungo viaggio dall’Asia verso l’America del Nord. Nel 2008 i traffici commerciali tra Europa e Asia sono stati di gran lunga i più rilevanti del commercio marittimo europeo e sono risultati 4 volte superiori ai traffici dell’Europa con il mercato dell’America del Nord, superando i 18 milioni di TEU. 26 Nord che le reti del trasporto risultano particolarmente congestionate e, infine ma non meno importante, il miglioramento del livello di competitività raggiunto dai porti del Sud in termini di produttività e di efficienza, che li colloca in condizioni ottimali per poter diventare importanti centri per la raccolta e la distribuzione delle merci per l’Europa e il Mediterraneo. I porti del bacino del Mediterraneo possiedono un’opportunità unica per riequilibrare la rete dei trasporti europei e per ridurre le differenze Nord-Sud, in quanto dispongono di una serie di vantaggi competitivi rispetto ai porti del Nord in relazione ai flussi di traffico tra l’Europa e l’Asia e allo stesso tempo rispetto ai flussi con il Sud America, il Nord Africa ecc. L’utilizzo dei porti del Sud consente, da un lato, di ridurre di più di tre giorni la navigazione delle navi provenienti dall’Asia, con un conseguente risparmio di tempo per edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 AsiaMediterraneoAmerica: la migliore alternativa di distribuzione del commercio internazionale Congestione portuale Limitata capacità di transito Fonte: Drewry Asia Atlantico la destinazione delle merci dirette in Europa. Pertanto, l’importatore/esportatore o l’operatore logistico può disporre delle merci tre giorni prima rispetto all’utilizzo di un porto del Nord. Questa riduzione del transit time di na- vigazione comporta inoltre un miglioramento dell’impatto ambientale del trasporto, in quanto genera minori emissioni di CO2 (per esempio, si stima un risparmio di circa 45 kg di CO2 nel percorso Shanghai-Lione via Barcellona se non si utilizza un porto sull’Atlantico), un minor numero di navi che servono la linea grazie alla complessiva riduzione della permanenza in mare, e un sensibile risparmio di combustibile. Esistono già alcuni casi di aziende asiatiche che traggono vantaggio da questa alternativa e che fanno riferimento ai porti del Sud per l’ingresso dei loro prodotti in Europa e la successiva distribuzione su questo mercato e su quello del Nord Africa. La posizione geo-strategica privilegiata dei porti del Mediterraneo nord-occidentale è maggiormente accentuata dalla forte crescita economica dei Paesi limitrofi del Maghreb, che stanno registrando un significativo incremento degli scambi commerciali tra queste nazioni e l’Europa. Nel Mediterraneo, in particolare nelle relazioni con i Paesi del Maghreb, sono determinanti le Autostrade del Mare. Queste connessioni consistono in servizi di trasporto Barcellona riveste un ruolo strategico per le rotte da e verso l’Europa, l’Asia, l’America e i Paesi del Maghreb Il terminal container del Porto di Barcellona 27 edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 marittimo rapidi e regolari, di breve distanza (in particolare per i traffici RO-RO), nonché di elevata efficienza, collegati a una rete di distribuzione terrestre, ferroviaria e stradale. Il Porto di Barcellona ha consolidato la sua posizione competitiva in questo tipo di traffici con le linee di short sea shipping già esistenti con l’Italia, attraverso servizi giornalieri con i porti di Livorno, Genova, Civitavecchia e Porto Torres, e con il Nord Africa (Algeria, Marocco e Tunisia), e sviluppando nuove linee verso altre destinazioni del Nord Africa e del Mediterraneo orientale (Turchia, Grecia ecc.). tani dal modello Fiandre/Anversa, in cui il Porto di Anversa rappresenta probabilmente più del 10% del PIL dell’economia delle Fiandre. Vi è comunque un grande potenziale di crescita nell’incidenza che il Porto di Barcellona può avere per l’economia e nella capacità di generare maggiore ricchezza, nella misura in cui si dimostri capace di convertirsi in un centro di distribuzione continentale, come i Paesi vicini delle Fiandre. Sul territorio limitrofo al Porto di Barcellona si localizza la principale concentrazione logistica del Sud dell’Europa. In un raggio di 5 km si incontrano il porto, l’aeropor- Linee di short sea shipping del Porto di Barcellona BCN-Genova 3 servizi/settimana Partenza: da lunedì a venerdì Genova BCN-Livorno 5 servizi/settimana Partenza: da lunedì a venerdì Livorno Barcellona BCN-Tangeri 3 servizi/settimana Partenza: giornaliera Porto Torres BCN-Porto Torres 6 servizi/settimana Partenza: lunedì Tangeri BCN-Civitavecchia 5 servizi/settimana Partenza: da lunedì a venerdì Eleusi BCN-Tunisia 1 servizi/settimana Partenza: martedì Il Porto di Barcellona, la maggiore concentrazione logistica del Sud d’Europa La logistica è un elemento chiave per lo sviluppo locale e per la creazione di produttività, innovazione e competitività a scala internazionale, non solo per migliorare i livelli della produzione industriale e agricola, ma per attrarre nuove attività, in particolare attraverso la generazione di valore aggiunto alle merci in transito del commercio internazionale. In Catalogna, il trasporto e la logistica rappresentano il 4% del valore aggiunto lordo (VAL) totale e il 12% del VAL nel settore dei servizi (tale contributo per l’economia è superiore a quello generato dai servizi di intermediazione finanziaria) e occupa 58.000 lavoratori a Barcellona. Il Porto di Barcellona è il terzo cluster economico della Catalogna dopo La Caixa e SEAT. Occupa in modo diretto 19.000 persone e apporta all’economia un contributo di 1.012 milioni di euro del valore aggiunto lordo (1% circa del VAL della Catalogna). Una volta completata l’espansione del porto, nel 2020, potrebbe arrivare a generare il 5% del VAL catalano; questa cifra contribuisce a dare un’idea dell’importanza del settore della logistica per l’economia di un Paese. Malgrado questi interessanti risultati, siamo ancora lon- 28 Civitavecchia (Roma) Tunisi BCN-Eleusi to, la zona delle attività logistiche, la zona franca e diversi poli industriali. Aziende come Decathlon e Honda Logistics possiedono i centri di distribuzione per il Sud Europa e il Mediterraneo situati nel Porto di Barcellona; occorre fare in modo che i grandi spedizionieri internazionali e gli operatori della logistica internazionale scelgano Barcellona come la migliore localizzazione per la distribuzione in Europa e nel Nord Africa e che il porto diventi la principale porta logistica del Sud Europa. Per questo, il Porto di Barcellona ha sviluppato nell’entroterra alcune aree logistiche e diversi terminali marittimi connessi con l’ambito portuale, in cui vengono forniti servizi di trasporto diretti agli importatori, agli esportatori e agli operatori del settore logistico. Allo stesso modo è stata creata una rete efficiente di servizi logistici e di trasporto del Porto di Barcellona nei principali corridoi della penisola: il corridoio del fiume Ebro (Barcellona-Saragozza-Spagna del Nord) e il corridoio trasversale (Barcellona-Saragozza-Madrid-Lisbona) e nei principali corridoi europei, il corridoio della Francia meridionale (Barcellona-Tolosa-Bordeaux) e il corridoio europeo (Barcellona-Lione-Metz), sviluppando così quello che si è soliti chiamare il “porto in rete”. L’impatto dei porti per quanto riguarda l’efficienza e la edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 Trasparenza che il Porto di Barcellona assicura mediante la piattaforma elettronica Portic, attraverso la quale i clienti possono verificare in tempo reale ciò che sta accadendo alle merci e conoscere in qualsiasi momento, ad esempio, dove si trova (dal punto di vista fisico e procedurale) il loro contenitore. Produttività simile o maggiore a quella dei porti del Nord Europa, sia in terMarsiglia mini di produttività netta delle gru per il carico e lo scarico delle navi, sia in termini di numero di movimenti per etBarcellona Porto taro nei terminal container ecc. Zone di attività logistiche portuali È da sottolineare la crescente parteciPiattaforma logistica Mar Mediterraneo pazione del settore privato nella gestioCentro di trasporto merci via strada Terminal marittimo interno ne dei terminal container in diversi porPiattaforma logistica di interscambio modale ti del Mediterraneo nord-occidentale. (interporto) Centro di carico aereo non include terminal Hutchison a Barcellona o MSC a Vadi trasporto combinato In progetto lencia sono solo due esempi dei numeIn funzionamento o in costruzione rosi operatori privati a livello globale competitività della catena logistica globale non è legato che hanno optato per i porti del Mediterraneo occidentale esclusivamente ai costi e/o alle tariffe portuali (solo una indotti dagli elevati livelli di efficienza. piccola percentuale dei costi del tratto marittimo di que- Affinché i porti del Mediterraneo possano diventare un’alsta catena è da attribuire ai porti), ma è legato soprattut- ternativa ancora più interessante per i porti dell’Atlantico to alla affidabilità, alla flessibilità, alla trasparenza, alla nei flussi tra Europa e Asia, occorre l’efficienza e la comproduttività e all’intermodalità. petitività di tutti i porti affacciati sul Mediterraneo nordAffidabilità che il Porto di Barcellona garantisce, ad esempio occidentale. In questo senso, non si tratta di individuare attraverso il suo Plan de Garantías (prossimamente entrerà un unico porto leader e altamente efficiente, ma di offriin vigore una nuova versione dello stesso, maggiormente com- re un fronte portuale complessivamente efficiente, diverpetitiva) e le indicazioni in esso contenute, offrendo ai clien- sificato e sufficientemente potente, negli stessi termini ti la possibilità di conoscere scadenze e programmazioni pre- in cui questo si verifica nel Nord dell’Europa, dove quatviste per le spedizioni da soddisfare. tro o cinque grandi porti collaborano e competono allo Flessibilità grazie all’eccellente coordinamento tra tutti gli stesso tempo. Per il contesto asiatico o latino-americano, attori coinvolti nel passaggio portuale delle merci e ai pro- per esempio, questo è essenziale, dal momento che necescedimenti semplificati interni al porto, che permettono di sitano di diverse alternative affidabili per poter servire in ridurre al massimo il tempo trascorso dalle merci nel por- modo efficiente il mercato europeo e il Mediterraneo atto associato alle procedure portuali. traverso l’Europa meridionale. Oceano Atlantico Principali infrastrutture per il trasporto e la logistica Il Porto di Barcellona è leader europeo e quarto porto del mondo nel traffico delle crociere 29 edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 La strategia del Porto di Barcellona per affermarsi come piattaforma di distribuzione continentale e regionale del Sud Europa Il Porto di Barcellona può avvalersi di un certo numero di vantaggi competitivi per potersi consolidare come grande hub logistico del Mediterraneo: la potenzialità che deriva dalla sua ubicazione a Barcellona, il centro industriale e commerciale più importante del Mediterraneo, e nella Catalogna, una delle regioni principali d’Europa; la sua forte posizione competitiva nel settore della tecnologia, della qualità e della logistica; e la posizione geo-strategica rispetto agli attuali flussi commerciali dell’Europa e del Mediterraneo. Dopo aver garantito affidabilità, trasparenza, produttività e flessibilità, la strategia del Porto di Barcellona per diventare la principale piattaforma per la distribuzione regionale e continentale dell’Europa meridionale si basa su tre pilastri: l’incremento della capacità portuale attraverso l’espansione della sua superficie, il miglioramento della connettività terrestre e degli accessi viari e ferroviari e, infine, lo sviluppo di una rete di piattaforme logistiche e di trasporto nei nodi strategici del territorio per soddisfare le esigenze dei clienti con la finalità di servire una zona di influenza più ampia. La grande espansione del Porto di Barcellona (la maggiore della sua storia) è in corso, con il completamento nel 2008 della costruzione di alcune dighe e del nuovo terminal container Tercat&Hutchison, garanzia della crescita di Barcellona in quanto infrastruttura portuale. Il piano di ampliamento prevede il raddoppio della superficie portuale fino a 1.200 ettari e la triplicazione dell’area logistica fino a raggiungere i 220 ettari, con il conseguente aumento della capacità portuale fino a 4,5 milioni di TEU e 85 milioni di tonnellate nel 2012, e a 10 milioni di TEU e 100 milioni di tonnellate nel 2020. Il Porto di Barcellona si caratterizza come leader in diversi segmenti di traffico, aspetto che lo differenzia dai porti limitrofi e lo rende un porto esclusivo. Leader europeo e quarto porto del mondo (dopo i porti dei Caraibi) nel traffico delle crociere, uno dei principali porti del Mediterraneo nel traffico RO-RO, primo porto mediterraneo per il traffico di veicoli, primo scalo spagnolo nel traffico totale import-export (escluso il traffico di transhipment) e secondo nel traffico container import-export. Il porto dispone inoltre di terminal specializzati per le rinfuse liquide (gas naturale e prodotti chimici) e solide (soia, farina, cereali ecc.) e per i prodotti agro-alimentari. Il secondo elemento fondamentale nella strategia del porto risulta, da un lato, lo sviluppo di diverse azioni finalizzate a garantire un accesso stradale all’ambito portuale di grande capacità e ad uso esclusivo delle merci, in grado di assorbire l’incremento di traffico previsto e, dall’altro, il miglioramento del sistema ferroviario interno ed esterno al porto. Le infrastrutture ferroviarie attualmente in costruzione dovrebbe consentire il passaggio dalla quota attuale del 4% delle merci in entrata e in uscita dal porto al 30%. Il Porto di Barcellona mira a diventare la principale piattaforma per la distribuzione regionale e continentale dell’Europa meridionale Ampliamento dei terminal e ZAL Capacità/anno 2008 2011 Opere finali Tonnellate 51 milioni 85 milioni 130 milioni Container (TEU) 2,5 milioni 5 milioni 10 milioni Incrementi Superficie terrestre 400 ha Linea del molo 5,3 km Area logistica 150 ha ZAL Barcellona 68 ha ZAL Prat (ZAL II) 150 ha Molo Prat 100 ha operativi Nuovi Nuovi terminal terminal 10.500 m 30 7.000 m Porto ZAL Ampliamenti portuali Oltre alle infrastrutture, la comunità portuale del Porto di Barcellona ha lavorato attivamente negli ultimi anni per lo sviluppo di servizi ferroviari efficienti nei principali nodi strategici dell’entroterra. Attualmente il Porto di Barcellona dispone di servizi ferroviari quotidiani e settimanali con differenti destinazioni in Spagna (Madrid, Saragozza ecc.) e in Europa (Lisbona, Lione ecc.). Il terzo pilastro della strategia portuale è la creazione di una rete di terminal marittimi interni connessi con il territorio limitrofo, che offrano servizi portuali a operatori e clienti finali, contribuendo a migliorare la loro competitività. Il Ter- edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 BCN-Anversa 2 servizi/settimana Tempo di transito: A-D BCN-Le Havre 2 servizi/settimana Tempo di transito: A-C Partenza: martedì e giovedì BCN-Vitoria 2 servizi/settimana Tempo di transito: A-C Partenza: lunedì e mercoledì BCN-Bilbao 1 servizio/settimana Tempo di transito: A-B Partenza: venerdì BCN-Strasburgo Tempo di transito: A-C BCN-Tolosa/Bordeaux 2 servizi/settimana Tempo di transito: A-C Partenza: martedì e giovedì La Coruña Strasburgo BCN-Lione 2-3 servizi/settimana Tempo di transito: A-B Partenza: martedì e giovedì Bordeaux Bilboa BCN-Burgos 2 servizi/settimana Tempo di transito: A-C Partenza: lunedì e venerdì Anversa Le Havre Vigo Lione Vitoria Tolosa Burgos Il Porto di Barcellona dispone di servizi quotidiani e settimanali con il resto della Spagna e con l’Europa BCN-Lleida 2 servizi/settimana Tempo di transito: A-A Partenza: martedì e giovedì Lisbona Barcellona Saragozza Madrid BCN-Lisbona/Leixoes 1 servizio/settimana Tempo di transito: A-B Partenza: mercoledì e venerdì BCN-Saragozza 5 servizi/settimana Tempo di transito: A-B Partenza: da lunedì a venerdì BCN-Madrid (Azuqueca) 5 servizi/settimana Tempo di transito: A-B Terminal marittimi interni del Porto di Barcellona e corridoi ferroviari Anversa Terminal marittimi interni del Porto di Barcellona Le Havre Corridoi ferroviari Strasburgo Bordeaux La Coruña Bilbao Vigo Tolosa Lione Genova Burgos Vitoria Livorno Perpignan Lisbona Madrid Saragozza Barcellona Civitavecchia (Roma) 1 0 0 0 km 300 km 600 km Tangeri Algeri Tunisi minal Marítima de Zaragoza (TMZ), realizzato in stretta collaborazione con le autorità locali e regionali di Saragozza e Aragona, è una piattaforma di servizi per le importazioni e le esportazioni di Aragona, Navarra e La Rioja. Il TMZ occupa una posizione strategica nella rete delle comunicazioni stradali del Nord della penisola e rispetto all’asse ferroviario Barcellona-MadridLisbona. Allo stesso modo, lo ZAL di Tolosa mette il porto a disposizione dei suoi clienti del Midi francese. I porti a secco di Madrid, che si trovano in Coslada e in Azuqueca de Henares, offrono diversi servizi all’importante polo logistico e di consumo rappresentato dalla capitale della Spagna e dalla comunità di Madrid, e lo connettono con gli altri mercati della Penisola Iberica. Il Porto di Barcellona, inoltre, partecipa in una società economica mista che gestisce il terminale ferroviario Saint Charles a Perpignan e che, attraverso il CILSA (impresa che coordina lo ZAL del porto), sta per essere impiantata a Tanger-Med, in Marocco. Santiago García-Milà 31 edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 Le Autostrade del Mare per lo sviluppo del Mediterraneo Rete dei collegamenti marittimi offerti dalle Autostrade del Mare Un esito molto probabile dell’attuale crisi finanziaria mondiale sarà il ridimensionamento del modello di globalizzazione e, quindi, una rimodulazione dei cicli produttivi che porterà alla rivalutazione dei sistemi economici su scala regionale e non più soltanto globale. In questo quadro il Mediterraneo potrà svolgere un ruolo essenziale non soltanto come teatro di flussi di traffico di passaggio sulla direttrice Suez-Gibilterra, ma come vero e proprio polo di aggregazione economica con grandi potenzialità di crescita. Se questo è il prevedibile scenario a breve-medio termine per il dopo-crisi, è evidente che il potenziamento della rete di collegamenti marittimi offerti dalle Autostrade del Mare rappresenta uno strumento essenziale delle politiche di integrazione euro-mediterranee; coerentemente, la messa a punto delle politiche comunitarie nel settore dei trasporti, in particolare nell’ambito del Programma TEN-T, sostiene le Autostrade del Mare al fine di accrescere la quota di traffico commerciale movimentato attraverso la modalità marittima. I benefici che deriveranno da tale approccio saranno molteplici: dal decongestionamento delle reti fisiche ormai fortemente sovraccaricate dal traffico su gomma alla riduzione delle emissioni nocive e dei livelli di inquinamento ambientale, alla facilitazione della coesione territoriale e commerciale fra i Paesi membri dell’Unione Europea attraverso l’interconnessione tra la modalità marittima e le altre modalità di trasporto. All’interno di questo scenario euro-mediterraneo, il nostro Paese si presenta all’appuntamento con la logistica con debolezze che frenano le potenzialità di sviluppo dei porti italiani. Dal punto di vista strutturale si tratta di criticità quali la profondità dei fondali, la limitatezza di banchine e piattaforme poco adatte alla movimentazione e la carenza di spazi operativi. Tra i principali aspetti di criticità si annoverano anche l’eccessiva presenza di strutture portuali, spesso inserite all’interno di realtà urbane già congestionate, nonché l’inadeguatezza delle infrastrutture di trasporto terrestri che causa difficoltà di smistamento delle merci sulle reti stradali e ferrate e condiziona lo sviluppo dei traffici. A ciò si aggiungono la dotazione infrastrutturale portuale non sem- 32 pre adeguata e la sottoutilizzazione del trasporto ferroviario. Per far fronte alla limitata crescita della portualità italiana e alla contenuta capacità intermodale dei grandi nodi di scambio infrastrutturali e urbani, le istituzioni italiane hanno promosso iniziative sia all’interno che all’esterno delle cinte portuali, ricercando soluzioni per fluidificare i flussi e ridurre i costi del trasporto da e per i porti. Il porto, infatti, assume sempre più il ruolo di snodo fondamentale nell’ambito di un network logistico-trasportistico di livello globale e occorre essere consapevoli che la sola posizione geografica favorevole non è sufficiente a determinare il vantaggio competitivo di una nazione nel settore marittimo. Alla luce di tutto ciò e all’indomani dell’inserimento del Programma delle Autostrade del Mare come progetto prioritario n. 21 della Rete Trans-Europea TEN-T da parte della Commissione Europea, nel 2004 il Governo italiano ha ritenuto opportuno dotarsi della società Rete Autostrade Mediterranee SpA (RAM), quale strumento operativo cui il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, sulla base di un’apposita convenzione, ha affidato la realizzazione delle attività inerenti al Programma Nazionale delle Autostrade del Mare in attuazione del già citato programma europeo. La società, il cui capitale era inizialmente detenuto da Sviluppo Italia (oggi Agenzia Nazionale per l’Attrazione degli Investimenti e lo Sviluppo d’Impresa), ha avuto un rilancio nell’ottobre 2008, allorquando l’intero azionariato è stato trasferito in capo al Ministero dell’Economia e, conseguentemente, è stato nominato il nuovo e attuale Consiglio di Amministrazione, che si è posto da subito l’obiettivo della piena ed efficiente ripresa delle attività societarie. Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha affidato alla società l’aggiornamento del Master Plan delle Autostrade del Mare, sia con riferimento allo scenario nazionale che al più ampio contesto euro-mediterraneo. La RAM realizza, altresì, le operazioni istruttorie, di informazione e di monitoraggio di misure comportanti incentivi connessi allo sviluppo delle Autostrade del Mare, nonché l’aggiornamento delle analisi ambientali inerenti alle modalità di trasporto interessate e attua gli interventi di sostegno alle edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 politiche del Ministero nel settore intermodale, fornendo allo stesso resoconti periodici sulle attività svolte. In ambito comunitario, la RAM è impegnata nella gestione di importanti progetti quali East-Med-Mos e Westmed Corridors. Il primo progetto, al quale hanno partecipato Grecia, Italia, Slovenia, Malta e Cipro, è stato avviato nel 2006 e si è concluso lo scorso dicembre 2009 con l’elaborazione di un master plan per il Mediterraneo orientale, il quale ha identificato nove nuovi possibili corridoi di Autostrade del Mare da realizzare e/o implementare. Queste proiezioni sono state elaborate fino al 2015 e dall’analisi dei bisogni necessari per l’implementazione delle Autostrade del Mare nel Mediterraneo orientale è stato preventivato un fabbisogno finanziario per attuare gli investimenti necessari di 1 miliardo di euro da ripartire tra tutti i Paesi partner del progetto. In tal contesto sono state lanciate due call for proposals per ricevere proposte da parte degli operatori del settore, la seconda delle quali si è conclusa nel novembre 2009. Per quanto attiene Westmed Corridors, l’Italia è il Paese coordinatore del progetto ed è forte dell’esperienza pregressa, in quanto si tratta del progetto gemello di East-Med-Mos, e intende definire i corridoi per le Autostrade del Mare da parte dei Paesi membri, interessati allo sviluppo delle stesse nell’area del Mediterraneo occidentale (Italia, Spagna, Francia e Malta). La proposta si concretizza attraverso uno studio articolato in diversi punti: definizione della domanda, selezione dei porti o dei gruppi di porti (port clusters), requisiti di qualità dei servizi necessari, priorità di attivazione delle nuove linee nell’area e valutazione degli incentivi necessari relativamente a tali corridoi. L’obiettivo consiste nel finalizzare le procedure di gara per aprire nuove linee di Autostrade del Mare nell’ambito dei corridoi stabiliti precedentemente, attraverso le priorità richieste e le necessità infrastrutturali e progettuali indispensabili. Il progetto attualmente si sta focalizzando negli studi da sviluppare al fine di redigere un master plan per l’intera area. A tal proposito è stata lancia- ta la prima call for proposals, conclusasi lo scorso dicembre 2009 con l’acquisizione di numerose proposte provenienti da tutti e quattro i Paesi partecipanti. In questo quadro, si inserisce anche l’accordo bilaterale fra Italia e Spagna firmato durante il vertice italo-spagnolo svoltosi a La Maddalena nel settembre 2009. L’accordo prevede, tra l’altro, l’istituzione di una commissione mista composta da due delegazioni di sei membri per ciascun Paese con rappresentanti dei ministeri delle infrastrutture e dei trasporti, degli esteri, dell’economia e, per l’Italia, anche di RAM. Tale commissione avrà il compito di selezionare, attraverso apposite gare internazionali, le varie proposte per incrementare i traffici delle merci con i collegamenti marittimi tra i due Paesi, e nel contempo, per tutelare l’ambiente abbattendo le emissioni di CO2. Quanto detto è in linea con gli obiettivi delle Autostrade del Mare che sempre più si prefigurano come una vera alternativa alla via stradale. L’approccio al tema delle Autostrade del Mare, però, dovrebbe andare oltre la dimensione puramente comunitaria aprendosi anche ai Paesi della sponda sud del Mediterraneo, alla Turchia, al Mar Nero nonché alla Russia al fine di contribuire allo sviluppo di un sistema multimodale che sia efficiente e allo stesso tempo ecosostenibile. Questo è stato uno dei principi che hanno portato alla collaborazione, con la Commissione Europea e il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, nell’organizzazione della Giornata Europea del Mare (Roma, 18-20 maggio 2009) e della Conferenza Ministeriale “TEN-T Days 2009” (Napoli, 21-22 ottobre 2009); manifestazioni internazionali di elevato livello istituzionale e forte impatto mediatico: la prima, più incentrata sul tema del mare e, quindi, del trasporto marittimo; la seconda, alla quale hanno partecipato 41 delegazioni rappresentanti i ministeri dei trasporti dell’Unione Europea, di Paesi africani, della Turchia e di altri Paesi extra-europei, ha inteso manifestare la volontà di «sviluppare una rete infrastrutturale di Autostrade del Mare (area orientale) Autostrade del Mare (area occidentale) Nuovi corridoi delle Autostrade del Mare individuati in ambito comunitario 33 edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 In Italia è previsto un Ecobonus per gli autotrasportatori trasporti a vocazione sostenibile, attraverso l’affermazione di una politica di partenariato rafforzato». Nell’ambito degli incentivi al Programma Autostrade del Mare, la RAM è attiva con la gestione operativa dell’Ecobonus, uno strumento di sostegno agli autotrasportatori previsto dalla legge n. 265 del 2002 e finora adottato soltanto dal nostro Paese, ma che viene guardato con sempre maggiore interesse dai partner comunitari. Effettivamente, l’agevolazione rappresentata dall’Ecobonus appare molto importante, in quanto prevede il rimborso fino a un massimo del 30% del prezzo pagato dalle imprese di autotrasporto che scelgono una delle 33 rotte incentivate per il trasporto dei camion in alternativa al percorso stradale. In questo modo si può limitare la congestione delle strade, ottenendo benefici sulle esternalità prodotte dal traffico, tra cui la prevenzione dell’incidentalità e la riduzione dell’inquinamento ambientale. Si tratta di un’esperienza di successo, molto apprezzata dal mondo dell’autotrasporto e che sta portando all’erogazione di 240 milioni di euro per il triennio 2007-2009 tramite procedure molto snelle gestite attraverso lo specifico know-how tecnologico (database, software dedicato) e amministrativo messo a punto da RAM, per conto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Ad oggi sono stati già erogati gli incentivi dell’annualità 2007 per l’ammontare di circa 50 milioni di euro; le pratiche relative all’annualità 2008 sono in fase di lavorazione avanzata ed è stato avviato il ritiro delle istanze relative al 2009. L’incentivo, certamente a sostegno dell’intermodalità, favorisce anche i processi di aggregazione tra le imprese con indubbi vantaggi sull’intero comparto della logistica, tanto che si sta lavorando alla prospettiva dell’Ecobonus Europeo commisurato all’intero percorso utilizzato tra due porti comunitari e non soltanto – come accade ora – limitatamente alla tratta su territorio italiano; ovviamente, la misura andrebbe estesa a tutte le possibili rotte europee che si intende incentivare e potrebbe anche diventare il volano di sostegno all’apertura di nuove rotte inframediterranee verso i Paesi terzi. L’ottimo risultato ottenuto da questa misura di incentivazione ha contribuito a sviluppare un rapporto positivo con il mondo dell’autotrasporto, che potrà essere consolidato in quanto il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti si avvale della società RAM, anche per l’espletamento dell’attività istruttoria e di gestione dei fondi relativi agli incentivi introdotti dal DPR 29 maggio 2009 n. 83 e dal DPR 29 maggio 2009 n. 84, rispettivamente diretti alla formazione professionale nel settore dell’autotrasporto e alle aggregazioni imprenditoriali nel settore dell’au- 34 totrasporto. Nello specifico, l’incentivo per la formazione professionale nel settore dell’autotrasporto è diretto alle imprese di autotrasporto, i cui titolari, soci, amministratori, dipendenti o addetti partecipino a iniziative di formazione o aggiornamento professionale. L’obiettivo di questa misura di incentivazione è di accrescere le competenze e le capacità professionali degli imprenditori e degli operatori del settore dell’autotrasporto, allo scopo di promuovere lo sviluppo della competitività, l’innalzamento del livello di sicurezza stradale e di sicurezza sul lavoro, mediante azioni di formazione generale o specifica. Per tali incentivi è previsto uno fondo di 7 milioni di euro. La finalità degli incentivi alle aggregazioni imprenditoriali nel settore dell’autotrasporto, invece, è di favorire i processi di aggregazione fra le piccole e medie imprese di autotrasporto di merci per conto di terzi. Gli incentivi (nei limiti della capienza del fondo pari a 9 milioni di euro) andranno alle spese per i servizi di consulenza esterna, compresa l’assistenza notarile e legale, connessi al processo di aggregazione, e all’avviamento delle nuove strutture aziendali, nonché all’introduzione di sistemi avanzati di gestione aziendale riferiti all’operazione. Per il futuro, la RAM proseguirà lo sviluppo di iniziative in ambito nazionale ed europeo, con particolare attenzione alla diffusione di sistemi informatici e telematici per la logistica e alla promozione di interventi infrastrutturali volti a decongestionare i sistemi di accesso alla rete portuale, lavorando per eliminare i punti di debolezza del nostro Paese e far sì in tal modo che l’Italia possa esercitare appieno il ruolo di piattaforma logistica dell’Europa centro-meridionale e la funzione di molo logistico naturale nel bacino del Mediterraneo. Concludendo si possono fare due importanti riflessioni sulle Autostrade del Mare. La prima si identifica con l’auspicio di un sempre più forte impegno comune per un riequilibrio modale che accresca la quota di traffico commerciale movimentata attraverso la modalità marittima, meno costosa in termini energetici, più ecosostenibile e tale da contribuire a decongestionare il carico sulla modalità stradale ormai vicina a preoccupanti livelli di saturazione. La seconda si riferisce alla valorizzazione delle Autostrade del Mare come strumento di avvicinamento e di integrazione dell’Europa comunitaria con gli altri Paesi dell’area mediterranea nella prospettiva di una grande zona euro-mediterranea di libero scambio nella quale il prevedibile, crescente flusso di relazioni commerciali non potrà che essere veicolato attraverso un sempre più fitto reticolo di Autostrade del Mare. Giampaolo Maria Cogo edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 Green ports: nuove proposte tra sviluppo e protezione dell’ambiente L’espressione green port viene generalmente utilizzata per riferirsi a un porto che persegue obiettivi di sviluppo (attirare investimenti, aumentare i traffici, creare valore economico per il contesto territoriale nel quale esso insiste ecc.) minimizzando, con l’obiettivo di azzerarle nel medio-lungo periodo, le esternalità negative, sia ambientali (inquinamento, cambiamento morfologico, riduzione biodiversità nelle aree costiere ecc.) sia territoriali (congestione, conflitti d’uso dello spazio ecc.). In questo quadro, sempre maggiore attenzione viene prestata negli anni recenti all’obiettivo della riduzione degli impatti ambientali dei porti alla scala globale, soprattutto rispetto al tema delle emissioni di gas serra1 (d’ora in avanti GHG), in particolare anidride carbonica.2 Al centro dell’attenzione stanno quindi il tema dell’efficienza energetica e del consumo totale di energia, nonché quello del maggior utilizzo di energia prodotta da fonti rinnovabili. In questo senso, infatti, molti studi hanno confermato come le emissioni di CO2 generate dai trasporti internazionali (aerei e marittimi) siano particolarmente significative alla scala globale,3 per effetto dell’utilizzazione di energie da fonti fossili (soprattutto petrolio e gas naturale). Non stupisce perciò come, anche per effetto della maggiore attenzione politica e pubblica ai temi ambientali nelle aree costiere, le principali realtà portuali mondiali (in America del Nord, in Europa e in Oceania in primis) stiano avviando politiche e iniziative volte a ristrutturare, in chiave ambientale, la loro attività. Carbon Footprint e Carbon Neutral Protocol Il concetto di Impronta del Carbonio o Carbon Footprint (CF) è stato introdotto per misurare e contabilizzare le emissioni di CO2 delle diverse attività antropiche, alla luce dell’obiettivo di definire politiche e iniziative in grado di ridurre, tendenzialmente a zero, le emissioni, sia attraverso il loro abbattimento, sia attraverso la definizione di adeguate misure di compensazione. Benché il concetto non abbia trovato ancora una sistemazione teorica del tutto soddisfacente, esso viene sempre più utilizzato come base per valutare le performance ambientali di attori privati e pubblici, individuali e collettivi. Essa è, riportando la definizione proposta da T. Wiedmann e J. Minx,4 «la misura dell’ammontare totale delle emissioni di CO2 che sono direttamente e indirettamente causate da un’attività, o che si sono accumulate nei vari stadi di vita di un prodotto».5 Le attività sono quelle “in capo” a individui, popolazioni, governi, compagnie, organizzazioni, settori industriali ecc., per la produzione, distribuzione e consumo di beni e servizi. Il concetto fa riferimento perciò alle emissioni dirette (in situ, interne) e a quelle indirette (ex situ, esterne, incorporate a monte e a valle del processo produttivo) legate ai cicli di produzione e consumo dei beni/servizi. L’ammontare totale di diossido di carbonio è misurato in tonnellate di CO2. Una volta stimato la quantità di emissioni globali, si procede a individuare delle strategie di riduzione, di mitigazione o di compensazione, intervenendo direttamente sulle emissioni, abbassandole, Nave RO-RO e aliscafo, Venezia. Il transito delle navi, soprattutto nei porti urbani, chiama gli attori portuali e marittimi a un’attenta opera di monitoraggio e gestione dei transiti e degli impatti ambientali, in particolare fumi ed effetti sul moto ondoso 35 edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 o attraverso lo sviluppo di progetti alternativi come il ricorso all’energia solare, eolica ecc., o rimboschimenti. Legato al concetto di CF è il marchio Carbon Neutral: questo marchio, riconducibile agli strumenti di politica e gestione ambientale di tipo volontario, ha lo scopo di certificare la bontà della politica e gestione ambientale d’impresa rispetto al tema delle emissioni: essere Carbon Neutral, infatti, implica avere zero emissioni di GHG. Per ottenerlo, l’impresa deve applicare un rigoroso processo standardizzato (Carbon Neutral Protocol).6 Questo protocollo individua gli scopi da raggiungere, obbliga a misurare e verificare le emissioni al fine di ridurle direttamente o, dove non fosse possibile, applicare delle compensazioni. Le emissioni dirette comprendono tutto l’inquinamento prodotto dal processo produttivo, inclusi i trasporti, i veicoli e i viaggi lavorativi del personale. Le emissioni indirette comprendono tutte quelle emissioni inquinanti che conseguono dall’acquisto o dall’utilizzo di un prodotto. La CF e i porti La tendenza alla continua crescita dimensionale delle navi pone nuove sfide ai porti, in termini di linearità e profondità dei canali, layout e infrastrutture di banchina 36 Anche ai porti, come a qualsiasi altro tipo di organizzazione o ente, può essere riferito il tema della CF. Essi, infatti, svolgendo le loro attività tipiche (movimentazione di merci, gestione dei depositi, gestione delle operazioni intermodali, trasporto merce nello spazio di influenza ecc.) hanno una CF. Nell’ambito della World Ports Climate Conference di Rotterdam (luglio del 2008), alcune autorità portuali hanno presentato i risultati di studi e indagini mirati al calcolo della rispettiva CF. In particolare, i porti di Oslo e di Rotterdam, basandosi sul Protocollo dei Gas Serra (GHG Protocol) e sulle ISO 140641/2/3 (Greenhouse Gases), hanno avviato la definizione di un sistema di gestione del carbonio in grado di orientare le politiche di gestione ambientale negli anni futuri. Il Porto di Belfast è stato il primo al mondo a raggiungere lo standard di Carbon Neutral nel 2009,7 attraverso lo sviluppo di impianti di produzione dell’energia elettrica da fonti rinnovabili, migliorando la gestione dei rifiuti, promuovendo un sistema di riscaldamento più efficiente negli uffici portuali e cambiando il tradizionale sistema di illuminazione, nelle aree del porto, con uno a minor impatto ambientale. Anche negli Stati Uniti, indipendentemente dal problema della ratifica del Protocollo di Kyoto, molte realtà si stanno muovendo per ridurre e compensare le emissioni di GHG e altre emissioni inquinanti. Il Porto di Seattle, ad esempio, sta proponendo varie politiche mirate a incentivare chi inquina di meno (le navi container che adottano carburanti a basso contenuto di zolfo, inferiore allo 0,5%, ricevono degli incentivi tariffari durante la permanenza nelle banchine), proibendo l’ingresso nelle aree portuali a quei mezzi (camion, motrici ecc.) troppo datati, proponendone lo smaltimento e aiutando nell’acquisto di mezzi più moderni e meno inquinanti, come i mezzi ibridi.8 Casi analoghi avvengono anche nel Porto di Vancouver.9 Altro esempio è quello del Porto di Goteborg: esso è stato il primo porto del mondo a installare, nel 2000, una connessione elettrica ad alto voltaggio per le imbarcazioni di tipo RORO. Ad oggi, nel Porto di Goteborg ci sono due banchine elettrificate che riforniscono navi RO-RO e da crociera. La Commissione Europea nel 2007, con la Comunicazione sulla politica portuale europea,10 ha indicato il quadro generale entro il quale valutare il tema delle performance economiche dei porti. Al tempo stesso, attenzione è stata prestata anche al tema della sostenibilità ambientale, attraverso la sottolineatura della necessità di promuovere e implementare nuovi sistemi di gestione ambientale, l’efficienza energetica, l’utilizzo di fonti rinnovabili, l’utilizzo degli strumenti economici per “internalizzare” le esternalità negative. Inoltre, rispetto al particolare tema della riduzione delle emissioni e della promozione di migliori strumenti di monitoraggio, reporting e gestione ambientale, importanti risultano altri interventi, europei e nazionali, istituzionali e non. Possiamo ricordare, tra questi, il Piano Nazionale per la Riduzione delle Emissioni di Gas responsabili dell’Effetto Serra 2003-2010,11 della Commissione Europea, la Comunicazione su una politica europea dei porti,12 il Quality Assurance/Quality Control Plan per l’Inventario Italiano sulle emissioni, 2007,13 il Port Environmental Review System (PERS), metodologia per l’attuazione delle indicazioni contenute nell’Environmental Review della European Sea Ports Organization (ESPO).14 Si tratta di iniziative e strumenti riconducibili al progetto europeo EcoPorts (2002-2005), che ha portato alla realizzazione di una serie di strumenti di gestione ambientale a supporto alle amministrazioni portuali (2007/C168/12). Per quanto riguarda la legislazione comunitaria in vigo- re, esistono delle norme che stabiliscono efficaci misure di controllo per i diversi modi di trasporto: una specifica strategia europea in materia di trasporti e ambiente 15 definisce gli obiettivi per l’integrazione delle esigenze ambientali nella politica dei trasporti. Fornisce le linee guida per una serie di misure nei vari settori di trasporto: stradale, aereo, ferroviario, marittimo ecc.; un’altra linea guida riguarda la tassazione degli autoveicoli pesanti, con la direttiva “eurobollo”,16 che intende privilegiare quei mezzi che inquinano di meno: viene chiesto un importo che corrisponde al costo dell’inquinamento atmosferico e acustico dovuto al traffico, e al costo della congestione imposta agli altri veicoli. Per le navi, esiste una strategia di riduzione delle emissioni atmosferiche17 e di prevenzione all’inquinamento.18 Inoltre, esiste una legislazione in materia di contenuto di zolfo nella benzina e del combustibile diesel anche per i veicoli terrestri e, come già scritto, una direttiva specifica in materia di contenuto di zolfo del combustibile per uso marittimo.19 Ricordiamo che nel 2010 la normativa europea prevede per le navi tenore di zolfo pari allo 0,1%.20 Su questo tema, va poi ricordato come l’IMO, nella decisione presa alla 58a riunione del MEPC (Comitato Marittimo per la Protezione Ambientale), preveda una profonda riforma dell’Annesso VI della Convenzione Marpol edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 sul controllo dell’inquinamento atmosferico delle navi con l’introduzione di standard ambientali sui combustibili e sui motori navali. Questi standard hanno l’effetto di ridurre le emissioni solforose, di particolato e di ossidi di azoto delle navi, con benefici notevoli in termini di miglioramento della qualità dell’aria a livello globale e nelle aree speciali di controllo delle emissioni, dove entreranno in vigore limiti ancora più stringenti. L’IMO ha inoltre deciso di abbandonare gradualmente l’utilizzo dell’olio pesante (cosiddetto bunker), che costituisce il residuo sporco della raffinazione, per adottare obbligatoriamente i distillati, prima nelle aree speciali e poi a livello globale, che presentano un livello di tenore di zolfo molto più basso. La centralità del tema dell’energia nel contesto del dibattito sul green port L’utilizzo delle fonti rinnovabili (solare, eolica, idraulica, geotermica, del moto ondoso, maremotrice – maree e correnti – e le biomasse) rappresenta un’esigenza sia per i Paesi industrializzati che per quelli in via di sviluppo. I primi necessitano, nel breve periodo, di un uso più sostenibile delle risorse, di una riduzione delle emissioni di gas serra e dell’inquinamento atmosferico, di una diversificazione del mercato energetico e di una sicurezza di approvvigionamento energetico. Per i Paesi in via di sviluppo, le energie rinnovabili rappresentano una concreta opportunità di sviluppo sostenibile e di accesso all’energia in aree remote. In questo contesto, è evidente come una migliore performance ambientale, accompagnata anche a risparmi nella struttura dei costi per energia e gestione ambientale, richieda un mix di diversi strumenti: interventi sugli edifici con lo scopo di migliorare l’isolamento termico, la protezione solare, l’illuminazione naturale, eliminando gli sprechi e ottimizzando i sistemi di controllo e regolazione (ad esempio con la domotica); utilizzazione di sistemi di co- o trigenerazione di energia; realizzazione di nuovi edifici a maggiore efficienza energetica; maggior uso delle fonti rinnovabili (fotovoltaico, biomasse, eolico ecc.). In sostanza, almeno per il momento, l’obiettivo di un maggior utilizzo di energia da fonti rinnovabili va chiaramente accompagnato a politiche volte a razionalizzare e a rendere più efficienti i sistemi basati sulle fonti tradizionali. Al tempo stesso, sono necessari gli strumenti economici, soprattutto incentivi, che consentano, in particolare per quelle nuove tecnologie per le quali le economie di scala (vale a dire le basse economie) costituiscono ancora un problema, nuovi spazi di consolidamento e sviluppo. Il sistema di promozione dell’energia rinnovabile in Italia, inizialmente incentivato con il provvedimento noto come CIP6,21 è stato profondamente riformato con il decreto legislativo 79/99, che ha introdotto l’obbligo per le imprese che producono o importano elettricità da fonti fossili a immettere in rete una quota prodotta da impianti nuovi o ripotenziati alimentati da fonti di energia rinnovabile. Tale quota era stata fissata inizialmente al 2% dell’energia eccedente i 100 GWh. Tutti gli operatori soggetti all’obbligo possono provvedere autonomamente alla produzione della quota di energia rinnovabile che devono immettere in rete, o comperare tale quota da terzi attraverso un meccanismo di mercato che prevede la cessione dei cosiddetti Certificati Verdi (CV). Si tratta di titoli attribuibili dal Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale (GRTN) all’energia prodotta da fonti rinnovabili. Tali titoli hanno una taglia di 100 MWh e possono essere vantaggiosamente negoziati, tramite contratti bilaterali tra detentori di CV e gli operatori soggetti all’obbligo o nella piattaforma di negoziazione nel Gestore dei Mercati Energetici (GME). Altre importanti iniziative internazionali sono state recentemente avviate allo scopo di sensibilizzare il mondo dell’economia, della politica e della cultura sul tema delle rinnovabili; tra queste, l’iniziativa EIE - Energia Intelligente per l’Europa,22 della Commissione Europea, prorogata fino al 2013: questa promuove, anche attraverso iniziative di comunicazione rivolte al grande pubblico (dal 22 al 26 marzo 2010 si è svolta la Settimana per l’Energia Sostenibile),23 i progetti più significativi a scala europea volti allo sviluppo di tecnologie legate alle energie rinnovabili, al miglioramento dell’efficienza energetica. In questa prospettiva, è evidente l’importanza strategica dei porti. Questi, infatti, data la loro importanza economica, la loro centralità nelle strategie di sviluppo, gli ampi spazi di cui sono dotati, costituiscono dei contesti territoriali di fondamentale valore per perseguire progetti di efficienza, di riconversione energetica, di valorizzazione e sviluppo di nuove tecnologie. Alcuni esempi italiani meritano di essere richiamati. In Italia il Porto di Civitavecchia si sta dotando di una banchina elettrificata (cold ironing), che permette di fornire alimentazione energetica alle navi ferme all’ormeggio; ne consegue che non verranno più tenuti accesi i generatori di energia, fortemente inquinanti.24 Un moderno terminal per contenitori (Terminal ECT Rotterdam): l’operazione di carico e scarico delle navi è una attività ad elevata domanda energetica, con impatti significativi sulla qualità dell’aria Un esempio di “cold ironing” o “banchina elettrificata” (Porto di Los Angeles). Sono sempre più frequenti le esperienze pilota per ridurre l’emissione di sostanze inquinanti, attraverso la fornitura diretta di energia elettrica alle navi in banchina 37 edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 In particolare nei porti urbani (nella foto il Porto di Malta) il transito e la sosta in banchina delle navi per crociere possono porre significativi impatti in termini sia paesaggistici sia ambientali (qualità dell’aria, rumore, elettromagnetismo ecc.) In questi giorni, i presidenti delle Autorità Portuali di Venezia e Spezia hanno firmato a Roma, con l’ENEL, dei protocolli di intesa finalizzati a ridurre le emissioni; essi prevedono l’offerta di un’ampia gamma di servizi ad alto valore ambientale: studio di sistemi di mobilità elettrica e sviluppo di fonti rinnovabili come il solare e l’eolico nelle aree portuali, l’adozione di sistemi di illuminazione a LED a basso consumo, la realizzazione di banchine elettrificate. Inoltre, il Porto di Venezia sta avviando un progetto pilota (progetto ENALG)25 per realizzare in laguna dei bioreattori in grado di produrre biocarburanti dalle alghe.26 L’obiettivo è alimentare l’attività del porto, soprattutto nel comparto della crocieristica, con elettricità disponibile in banchina, rendendo possibile lo spegnimento dei generatori delle navi, aspetto questo fondamentale per ridurre l’inquinamento e il rumore. Un altro progetto interessante, che coinvolge il contesto veneziano, è quello dell’Hydrogen Park, promosso dall’omonimo consorzio e dall’Unione Industriali di Venezia con l’apporto di numerose aziende. Esso è finalizzato a creare un Centro Idrogeno dove sperimentare le tecnologie relative alle celle a combustibile, allo stoccaggio e all’utilizzo dell’idrogeno, in quanto vettore energetico. Va poi ricordato come il porto possa costituire un anello essenziale nell’operazione di greening della filiera logistica. Anche rispetto a questo tema, la recentissima esperienza veneziana viene in soccorso: la realizzazione di un nuovo servizio di trasporto di container su chiatte dalla laguna di Venezia a Mantova (cinque chiatte, ognuna delle quali può trasportare 60 container) consente di ridurre le emissioni: si valuta, infatti, che a regime il sistema consentirà una riduzione annua di circa 32.000 t di CO2 rispetto al trasporto su strada. Ma lo stesso vale per i molti progetti che nei nostri porti intendono sviluppare l’intermodalità ferroviaria, oggi, al di fuori di qualche caso, ancora poco sviluppata. Valutazioni conclusive A partire dai primi anni Novanta del secolo scorso maggiore è l’attenzione che viene rivolta al contributo che le attività marittime, portuali e del trasporto danno alle emissioni globali, e quindi ai processi di climate change. In 38 questa prospettiva, i porti sono attori fondamentali nelle politiche e iniziative volte a migliorare l’efficienza energetica e favorire l’utilizzo di fonti rinnovabili, sia al loro interno (nelle aree portuali propriamente dette), sia come motori fondamentali delle catene del trasporto e della logistica continentale. Rispetto a questo tema, i seguenti punti meritano una sottolineatura finale. Seppure chiaramente centrale, il tema dell’energia non esaurisce le problematiche legate all’obiettivo di fare dei porti dei green ports. Gestione dei rifiuti, realizzazione di reti ecologiche, definizione e implementazione di politiche di mitigazione e compensazione rappresentano questioni di rilevante importanza. In secondo luogo, benché l’aspetto tecnologico sia essenziale, va ricordato come il dibattito sul green port sottolinei l’importanza di altri aspetti: qualità dei sistemi di monitoraggio, necessità di adeguate politiche e iniziative di comunicazione ambientale, necessità di promuovere modelli di gestione ambientale del tipo complianceplus (miglioramento delle performance ambientali attraverso approcci volontari: ISO, EMAS ecc.). Al tempo stesso, lo sviluppo di nuove tecnologie può trovare un fondamentale stimolo nell’adozione di strumenti economici appropriati (incentivi, realizzazione di mercati di permessi, nuove forme di tassazione/detassazione ecc.). In terzo luogo, benché il tema del green port rifletta una crescente attenzione a tematiche di natura globale (emissioni di GHG, contributo delle attività marittime, portuali e del trasporto al climate change ecc.), va comunque sottolineata la sua fondamentale importanza alla scala locale, vale a dire alla scala della città-porto. È ben noto come la natura delle relazioni tra porti e città sia spesso caratterizzata da conflitti, a causa dei costi/opportunità associati all’uso dello spazio e alle esternalità negative: tutti elementi che contribuiscono ad aumentare le soglie di attenzione sociale alla qualità dell’ambiente. In questo senso, la “ristrutturazione in chiave ambientale” dei porti costituisce una leva fondamentale per migliorare la loro immagine nei confronti della popolazione e di nuovi potenziali investitori, ridurre i conflitti (elemento fondamentale soprattutto rispetto ai processi di pianificazione), migliorare il business edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 In senso orario: l’utilizzo di mezzi elettrificati all’interno delle aree portuali consente di ridurre le emissioni locali di inquinanti (CO2, polveri sottili, rumore ecc.) environment e la capacità di attrarre nuovi investimenti. Questo è un aspetto essenziale per la gran parte di porti italiani, che restano nella loro sostanza dei “porti urbani” (si pensi ai casi di Bari e Venezia, tra tutti). Infine, va sottolineata l’importanza che gli investimenti in nuove tecnologie e servizi ambientali (fonti rinnovabili, risparmio ed efficienza energetica, disinquinamento e gestione ambientale) possono avere nel favorire la rigenerazione economica di contesti economici che vivono l’esperienza del declino e della difficile riconversione. In questo senso, favorire la transizione dei nostri porti verso la tipologia del green port potrebbe costituire una leva importante per riqualificare, in chiave strategica, la spesa pubblica, soprattutto nell’attuale periodo di crisi economica. Michele Perissinotto, Stefano Soriani e Gabriele Zanetto l’impiego di banchine elettrificate e automatizzate per un veloce scarico e carico dei container, unito a moduli su rotaia per un rapido movimento delle merci, permette una migliore gestione del modal-split esempio di mezzo elettrico all’interno delle aree portuali Note 1 Il tema del controllo dei gas a effetto serra ha acquisito sempre maggior rilevanza internazionale grazie alla Convenzione quadro sui cambiamenti climatici del 1992 (UNCCC, 1992) e al Protocollo di Kyoto (entrato in vigore nel gennaio del 2005). Nel 2007 gli Stati membri dell’Unione Europea hanno deciso di ridurre le emissioni di GHG del 20% entro il 2020 su tutti i settori interessati. Tra le iniziative avviate merita ricordare le seguenti: CEN WG (Comitato Europeo per la Standardizzazione, www.cen.eu/cenorm/homepage.htm), l’ISO 14064 (Progetto di norma sui Gas a effetto serra, suddiviso in ISO/CD 14064-1 Greenhouse gases – Part 1: Specification for the quantification, monitoring and reporting of organization emissions and removals; in ISO/CD 14064-2 Greenhouse gases – Part 2: Specification for the quantification, monitoring and reporting of project emissions and removals; e in SO/CD 14064-3 Greenhouse gases – Part 3: Specification and guidance for validation and verification), il Greenhouse Gas Protocol (www.ghgprotocol.org), la Global Reporting Initiative (www.globalreporting.org/Home), l’UK Carbon Trust (www.carbontrust.co.uk/default.ct) ecc. 2 Oltre alla CO2, metano (CH4), protossido di azoto (N2O), idrofluorocarburi (HFC), perfluorocarburi (PFC), esafluoruro di zolfo (SF 6) 3 www.ipcc.ch/about/index.htm 4 Wiedmann T., Minx J., A definition of Carbon Footprint, Durham, ISA Research Report, 2007 5 Vengono prese in esame solamente le emissioni di CO2, in quanto più facilmente quantificabili; per esse, poi, esiste un’ampia disponibilità di dati. La CO2, inoltre, è il gas che alla scala globale più incide. Infine, abbattendo la CO2 si abbattono anche altri tipi di inquinanti. 6 www.carbonneutral.com/uploadedfiles /TCNC%20Protocol%202008.pdf, www.scribd. com/ doc/4868535/The-Carbon-Neutral-Protocol 7 www.belfast-harbour.co.uk /news.htm 8 www.portseattle.org/seaport/cargo/GreenGateway.shtml 9 In alcuni porti nordamericani si stanno anche realizzando sistemi di Truck Licensing Systems, sistemi di permessi a pagamento che consentono l’entrata nelle aree portuali dei mezzi più inquinanti. L’obiettivo è quello di favorire l’ammodernamento del ‘parco mezzi’ in una determinata area geografica 10 Commissione Europea, COM(2007)616 11 www.cipecomitato.it 12 www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do ?pubRef=-//EP//TEXT+REPORT+A6-2008-0308+0 + DOC+XML+V0//IT 13 www.apat.gov.it/site/_files/QA_QC_ITALY08.pdf 14 www.apat.gov.it/site/_files/Port_Environmental_Review_system_PERS.pdf 15 http://europa.eu/legislation_summaries/environment/air_pollution/l28165_en.htm 16 http://europa.eu/legislation_summaries/environment/tackling_climate_change/l24045b_it.htm 17 COM (2002) 595 final, http://europa.eu/legislation_summaries/environment/air_pollution/l28131_en.htm 18 Dir. 2002/84/EC,http://europa.eu/legislation_summaries/environment/water_protection_management/ l24270_en.htm 19 Dir.2009/30/CE, www.amministrativo.it/ambiente/osservatorio.php?num=1331 20 Decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 205, in attuazione della direttiva 2005/33/CE che modifica la direttiva 1999/32/CE in relazione al tenore di zolfo dei combustibili per uso marittimo (GU n. 261 del 9-11-2007 - Suppl. Ordinario n. 228) 21 Il CIP6 è un provvedimento del Comitato Interministeriale Prezzi, ed è stato adottato il 29 aprile 1992 a seguito della legge n. 9 del 1991, con cui sono stabiliti prezzi incentivati per l’energia elettrica prodotta con impianti alimentati da fonti rinnovabili e “assimilate”. In conseguenza di esso chi produce energia elettrica da fonti rinnovabili o assimilate ha diritto a rivenderla a un prezzo superiore a quello di mercato. I costi di tale incentivo vengono finanziati mediante un sovrapprezzo del 6% del costo dell’energia elettrica, che viene addebitato direttamente ai consumatori finali nel conteggio di tutte le bollette 22 Programma pluriennale volto a favorire lo sviluppo sostenibile nel contesto dell’energia. Dal 2007 il programma EIE è stato incluso nel Programma Quadro per la Competitività e l’Innovazione (CIP)7 allo scopo di contribuire al raggiungimento degli obiettivi di politica energetica europea stabiliti dall’Agenda di Lisbona. http://ec.europa.eu/energy/intelligent/index_en.html 23 www.eusew.eua 24 www.port-of-rome.org/ index.php?module=News&siteid=0&tipo=1&idnews=273&Pagina=1&idMenuSel=0&idNetwork=0 25 www.enalg.it/porto_di_venezia.html 26 Autorità Portuale di Venezia, Venezia Porto Verde: iniziative ambientali per il porto di Venezia, Venezia, APV, gennaio 2010, p. 21 39 edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 Innovazione e sviluppo competitivo del sistema logistico-portuale Nel mese di novembre 2009 si è svolta a Genova la prima edizione di Port&ShippingTech, forum internazionale sull’innovazione tecnologica per lo sviluppo competitivo e sostenibile del sistema logistico-portuale e dello shipping. In tale sede sono stati affrontati alcuni rilevanti temi tecnico-organizzativi, volgendo lo sguardo alla situazione dei porti italiani e agli interventi normativi e progettuali necessari per difenderne e rafforzarne il ruolo nel contesto del Mediterraneo (www.shippingtech.it). Promossa da Autorità Portuale di Genova, Regione Liguria, Provincia, Comune e Camera di Commercio di Genova, l’iniziativa è stata ideata e organizzata da Click Utility, società di marketing e consulenza operante nei settori della mobilità e dei servizi pubblici locali dal 2005 (www.clickutility.it). All’ing. Carlo Silva, presidente di ClickUtility, abbiamo rivolto alcune domande. Veduta dall’alto del Porto di Chioggia 40 Ing. Silva, uno dei primi temi affrontati a Genova è stato quello della telematica e delle nuove tecnologie al servizio dei porti e della logistica intermodale. Porto vuol dire intermodalità, e dunque strutture e metodi che consentano il trasferimento delle merci fra nave e veicoli terrestri, su ferro o gomma. Quali le novità? Quali i tempi di applicazione e i benefici? «I porti sono soltanto uno degli anelli della catena logistica. Le merci e le persone devono transitare dal porto e quindi gli scali necessitano di adeguate infrastrutture, sia stradali che ferroviarie. Non solo, devono essere collegati con le strutture logistiche interne, come porti e interporti. Ormai la competitività del trasporto e quindi dei costi finali dei prodotti si gioca sull’efficienza della catena logistica e sulla “comobilità”. Il concetto di comobilità è diverso da quello di mobilità: nel mercato globale è necessario l’utilizzo “combinato” di diverse modalità del trasporto. Basti pensare all’integrazione del trasporto marittimo con quello terrestre per le Autostrade del Mare o all’ultimo miglio per la distribuzione di merci fino a destino, nel caso del trasporto car- ste, le città portuali. In Italia le autorità portuali stanno attuando politiche tese a consentire lo sviluppo sostenibile dei traffici, anche in considerazione dello stretto legame fra porti e città». go ferroviario. Le tecnologie giocano un ruolo fondamentale, soprattutto per il flusso di informazioni necessarie a rendere efficiente l’intero sistema. Oggi, purtroppo, la merce più trasportata su gomma è l’aria, nel senso che la maggior parte dei camion fa il viaggio di ritorno vuoto, con insostenibili danni anche ambientali. Si tratta di mettere in rete le esperienze e superare gli interessi di parte». Intermodalità e logistica, in prospettiva futura, debbono evolversi nel senso della sostenibilità. Può sintetizzarci le strategie adottate e i progetti da realizzare? «C’è sempre più attenzione alle problematiche ambientali sia nel settore marittimo e portuale che in quello del trasporto terrestre e aereo. Le buone pratiche stanno piano piano evolvendo, ma sono ancora troppo lasciate alla buona volontà e alla sensibilità degli operatori. Nel settore marittimo ad esempio alcune direttive europee suggeriscono misure da adottare per salvaguardare l’ambiente marino, le co- In tema di salvaguardia e tutela dell’ambiente, i “green ports” dovrebbero condividere lo sforzo di ridurre il consumo di combustibile e di adottare nuove fonti di energia alternativa. Ci sono già, nei nostri porti, scelte adottate in questo senso? «Sono numerose le tematiche ambientali che riguardano i porti. Si parte dalle emissioni in aria, specie di polveri, fino alla tutela delle acque (pulizia degli specchi acquei portuali, rete fognaria, controllo degli scarichi civili e industriali, riduzione dei rischi di sversamento di prodotti petroliferi, anti inquinamento ecc.); da non dimenticare il rumore e le vibrazioni, e ancora la tutela del suolo (monitoraggio periodico delle eventuali fonti di inquinamento del suolo demaniale). I porti consumano energia, a partire da quella occorrente per l’illuminazione pubblica e delle aree operative. Si devono gestire i rifiuti, sia quelli prodotti dalle imprese operanti in porto, sia quelli prodotti e conferiti dalle navi, e infine i servizi e i controlli nella movimentazione di merci pericolose. Per quanto riguarda le opere pubbliche sono da monitorare due aspetti principali: i dragaggi e quindi l’utilizzo dei edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 fanghi e dei materiali di risulta, e l’impatto ambientale di altre grandi opere infrastrutturali come ad esempio le vasche di colmata che servono a strappare aree operative al mare. Sono di questi giorni due importanti accordi sottoscritti da ENEL con le Autorità Portuali di La Spezia e Venezia sul tema delle politiche ambientali da adottare che vanno dal cold ironing – cioè l’elettrificazione delle banchine per evitare le emissioni dalle navi ferme in banchina – all’utilizzo di vettori elettrici per la mobilità nelle aree portuali, fino all’impiego di illuminazione con tecnologia LED. Un precedente accordo era stato sottoscritto per il Porto di Civitavecchia. Assoporti, l’associazione nazionale dei porti italiani, da tempo lavora su questi temi e lo scorso anno, proprio in occasione di Port&ShippingTech, ha presentato un importante studio condotto con l’ISPRA: Traffico marittimo e gestione ambientale nelle principali aree portuali nazionali. Alcuni porti stanno cominciando a utilizzare fonti alternative per la produzione di energia, a partire dal fotovoltaico, che è usato a Civitavecchia, Livorno, Ancona; un progetto sta per partire a Savona per il Terminal Crociere e altri ancora. Si parla anche di minieolico e di sfruttamento del moto ondoso, sistemi che potrebbero, complessivamente o in parte, soddisfare il fabbisogno energetico di quei porti. Sul versante dello shipping, dal 1° gennaio la Comunità Europea chiede agli armatori di limitare il contenuto di inquinanti nei combustibili delle navi durante le soste in porto: questo significa avere doppie cisterne e combustibili a più Il Porto di La Spezia A sinistra: operazioni nel Porto di Livorno re delle convenienze economiche sia per gli armatori che per chi investe nell’elettrificazione delle banchine: si tratta quindi di ampliare i numeri sia delle navi dotate di questa tecnologia che dei porti attrezzati ad accoglierle». «Le Autostrade del Mare si vanno affermando, anche se con qualche stop and go. Lo Stato ha favorito il trasferimento dei camion dalla terra al mare con misure incentivanti per l’autotrasporto, il cosiddetto “Ecobonus”. La Comunità Europea appoggia pienamente le politiche marittime e sostiene i progetti che permettono di spostare le merci dalla strada al mare. Alcuni armatori hanno investito nel settore dei RO-RO e RO-Pax, cioè dei traghetti sia merci che misti passeggeri/merci. Vi sono porti come Civitavecchia, Livorno, Genova e Napoli, mentre altri si stanno attrezzando in Adriatico, che sono capolinea delle Autostrade del Mare. I camion e i veicoli non sono più solamente fra la nostra penisola e le isole – il cosiddetto “cabotaggio nazionale” – ma collegano l’Italia con molti Paesi del Mediterraneo: dalla Francia alla Spagna, alla Tunisia, ai Paesi della costa orientale dell’Adriatico. Molti porti stanno stringendo contatti per nuovi traffici con i Paesi del Maghreb e del Mediterraneo sudorientale. Ormai nel Mediterraneo vanno assumendo sempre più importanza le direttrici Nord-Sud e non solo quelle fra Est e Ovest per i traffici intercontinentali, dalle Americhe al Far East». In un Paese come l’Italia, che è circondata dal mare, dovrebbe essere ovvio trasferire parte dei traffici dalle strade alle vie d’acqua. Cosa si è fatto, concretamente, in tema di Autostrade del Mare? Quali gli strumenti necessari per imprimere una svolta in quella direzione? Quale l’evoluzione dei traffici marittimi attesa, nei prossimi 10-20 anni, nello scenario del Mediterraneo? «La crisi economica ha ritardato gli effetti della globalizzazione in termini di merci trasportate. Nel Mediterraneo viaggiano circa 30 milioni di alto costo. Alcune navi sono dotate anche di apposite piastre per il cold ironing. Fincantieri ha sottoscritto un programma per prevedere questo sistema nella costruzione delle nuove navi, soprattutto da crociera. Ma ci devono esse- 41 edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 Il Porto container di Venezia Sotto: una gru nel Porto di Venezia e sullo sfondo il ponte strallato container, dei quali circa 10 interessano i porti italiani. Qualche anno fa si pensava al raddoppio di queste quantità nell’arco di una decina d’anni. Oggi lo scenario è diverso: molte compagnie internazionali hanno avuto flessioni e in alcuni grandi porti come Singapore le navi portacontainer sono in rada, inutilizzate. Sia il mondo dei terminalisti che quello dell’armamento aspettano la ripresa economica. In media tutti i nostri scali hanno registrato perdite, alcuni con picchi preoccupanti, come il -37% nel settore container del Porto di Taranto o le percentuali scoraggianti di Cagliari e Gioia Tauro, solo per parlare dei tre grandi porti di transhipment. Ma vi sono state riduzioni anche per altre tipologie di merci, dai prodotti petroliferi, alle rinfuse, alle merci varie. Alcuni segnali positivi cominciano ad arrivare, anche se con lentezza». A quali condizioni l’Italia può riacquistare un ruolo importante nei traffici marittimi, incalzata com’è dalla concorrenza dei porti del Mediterraneo e del Nord Europa? «Se l’Italia negli anni ’90 aveva superato il gap nei confronti dei porti del Northern Range, grazie anche alle nuove regole introdotte nei porti dalla legge di riforma portuale, oggi rischiamo di perdere di competitività, e non solo nei confronti dei nostri vicini spagnoli e francesi. Stanno sorgendo nuovi scali in Marocco, come Tangeri, o in Egitto, come Port Said, più vicini alle rotte Est-Ovest da Gibilterra a Suez, e soprattutto più convenienti economicamente in termini sia di costi generali che di manodopera. Proprio in questi giorni si stanno mettendo in cassa integrazione 400 dipendenti del Medcenter di Gioia Tauro. Il sistema dei porti italiani deve adeguarsi in fretta alle richieste del mercato, dotando i porti di strutture e infrastrutture adeguate. Deve competere anche in termini di qualità dei servizi e affidabilità, e soprattutto creare le condizioni per il veloce inoltro delle merci dalla produzione al consumo grazie a una catena logistica efficiente. Sono necessarie misure urgenti negli scali, a partire dai dragaggi, per permettere l’accesso alle navi di ultima generazione fino allo snellimento delle procedure doganali. Siamo in attesa del nuovo testo della “legge di 42 edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 riforma portuale” che dia, fra l’altro, una maggiore autonomia finanziaria ai porti in modo che le autorità portuali possano reinvestire negli scali per attrarre nuovi traffici. C’è scarsezza di risorse economiche e si rischia che la competizione avvenga fra i nostri scali piuttosto che nei confronti di quelli emergenti extraeuropei». ClickUtility sta già lavorando alla seconda edizione di Port&ShippingTech, che si svolgerà a Genova il 22 e 23 novembre 2010. Nell’ambito dei convegni in programma verranno approfondite le tematiche discusse con l’ing. Silva, con particolare riferimento alle politiche per la crescita della logistica portuale e terrestre italiana, ai piani di sviluppo infrastrutturale nei contesti portuali nazionali, all’evoluzione di tecnologie e nuovi prodotti ecosostenibili. Novità della seconda edizione sarà l’evento sull’identificazione automatica ID 2.0 Summit, organizzato in partnership con la società Wireless e dedicato ai CIO di aziende di logistica e trasporti. Laura Facchinelli Una veduta del Porto di Venezia 43 edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 geologia a cura di Giuseppe Gisotti La direttiva “Prodotti da Costruzione” (CPD) e la marcatura CE dei materiali stradali e norme tecniche nazionali, il cui fine principale consiste nel garantire un livello minimo di salute e sicuL rezza, hanno spesso costituito un ostacolo alla libera circolazione delle merci fra i diversi Paesi della UE. Per cercare di eliminare queste barriere tecniche la politica comunitaria ha adottato due principi fondamentali: 1. il principio di mutuo riconoscimento: in assenza di una legislazione europea di armonizzazione, gli Stati membri devono riconoscere reciprocamente i prodotti provenienti dagli altri Paesi UE, fabbricati nel rispetto dei regolamenti tecnici nazionali; 2. l’armonizzazione dei regolamenti tecnici nazionali attraverso le direttive, che vincolano lo Stato membro al raggiungimento di un obiettivo, mantenendone la competenza sulla forma e i mezzi con i quali raggiungere tali risultati. Le direttive pertanto non sono atti comunitari direttamente vincolanti per gli Stati membri, ma devono essere introdotte attraverso provvedimenti nazionali di recepimento. Una direttiva tipo è strutturata secondo i seguenti criteri: – definizione del campo di applicazione, dove vengono descritti i prodotti coperti dalla direttiva; – affermazione della clausola generale di immissione sul mercato: possono essere immessi sul mercato comunitario solo i prodotti che, installati e utilizzati conformemente alla loro destinazione, siano conformi ai requisiti essenziali di sicurezza previsti da ciascuna direttiva. Responsabile dell’immissione sul mercato di prodotti sicuri è il fabbricante (o eventualmente l’importatore); – principio di conformità: i prodotti conformi alle norme tecniche elaborate dagli organismi di normalizzazione europei (norme armonizzate) beneficiano di una presunzione di conformità nei confronti dei requisiti essenziali della direttiva; – procedure di certificazione: ciascuna direttiva stabilisce le procedure a cui vanno sottoposti i prodotti per dimostrare la conformità ai requisiti essenziali (quindi per apporre la marcatura CE). La complessità delle procedure aumenta col crescere della pericolosità del prodotto: in molti casi è sufficiente quella che viene impropriamente chiamata “autocertificazione”, cioè la dichiarazione di conformità redatta e firmata dallo stesso fabbricante, ovviamente dopo aver provveduto a verificare la conformità del prodotto con quanto previsto dalla direttiva; per prodotti più pericolosi è invece necessario prevedere sistemi di controllo del processo in fabbrica e l’intervento di un organismo notificato che accerti tali conformità; – elaborazione di un fascicolo tecnico: costituito dalla documentazione tecnica utile a dimostrare la conformità dei prodotti ai requisiti della direttiva; – definizione del periodo transitorio: la maggior parte delle direttive prevede un periodo transitorio durante il quale il produttore può scegliere se immettere sul mercato prodotti conformi alla direttiva di riferimento o alla le- 44 gislazione nazionale preesistente. Al termine del periodo transitorio invece deve essere applicata solo la normativa comunitaria, escludendo quindi ogni regolamentazione nazionale preesistente relativa agli stessi prodotti e concernente gli stessi requisiti essenziali della direttiva. L’organismo generale europeo di normazione è il CEN (per l’ambito elettromeccanico è il CENELEC e per le telecomunicazioni l’ETSI). Sono membri del CEN gli organismi nazionali di normazione (per l’Italia l’UNI). L’elaborazione delle norme del CEN è compito dei comitati tecnici (technical committee, TC) i quali possono organizzarsi in sotto-commissioni (SC) e in gruppi di lavoro (WG) per argomenti e/o compiti specifici. Lo strumento contrattuale attraverso cui la Commissione Europea incarica il CEN di predisporre le norme armonizzate specifiche per ogni prodotto, è il “mandato”. Lo schema dell’iter procedurale per l’adozione di una norma armonizzata è il seguente: – la Commissione predispone il mandato per una famiglia di prodotti; – il mandato viene inviato al CEN (o agli altri comitati di standardizzazione); – il CEN predispone la norma tecnica per la famiglia di prodotti; – la norma, dopo l’approvazione in ambito CEN, viene inviata alla Commissione che ne verifica la conformità al mandato iniziale e quindi la fa pubblicare sulla «Gazzetta Ufficiale» (OJ); – la norma diventa armonizzata e sostituisce tutte le norme nazionali. La condizione fondamentale per l’affissione della marcatura CE su un prodotto è la dichiarazione di conformità, sottoscritta dal produttore, che rappresenta l’atto formale con cui esso dichiara, sotto la propria responsabilità, che il prodotto è conforme all’allegato ZA della specifica norma armonizzata. Con il termine “conformità” si deve intendere la rispondenza di un prodotto, processo o servizio ai requisiti specificati nella direttiva di riferimento che, pur avendo carattere di obbligatorietà per il produttore, non contiene tuttavia alcuna indicazione per quanto riguarda i requisiti tecnici dei singoli prodotti. Per verificare la conformità, le direttive rimandano quindi alle specifiche norme armonizzate sui prodotti. A sua volta, il sistema di attestazione è la procedura pratica mediante la quale viene documentata la conformità del prodotto a tali norme e deve essere messa in opera dal produttore sotto la propria diretta responsabilità o attraverso il coinvolgimento di un organismo di certificazione, di ispezione o di un laboratorio (organismi notificati). Gli organismi notificati (notified body, NB) sono parti terze indipendenti che posseggono le competenze necessarie per poter eseguire le prove, ispezioni o altri tipi di verifica di conformità previsti dalle direttive, i cui compiti sono riportati nella tabella 1. edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 Tabella 1 – Gli organismi notificati Categoria Organismo di certificazione Incarico Rilascia il certificato di conformità, a seconda del sistema di attestazione della conformità da applicare al prodotto da costruzione o al controllo del processo di fabbrica, secondo regole procedurali date. La base per la certificazione sono i risultati dell’attività di ispezione e, a seconda dei casi, di prova Organismo di ispezione Svolge le proprie funzioni di ispezione, di valutazione iniziale e successive ispezioni di sorveglianza del controllo di produzione di fabbrica attuato dal produttore, così come, se previsto, del prelievo di campioni, secondo specifici criteri. Esso relaziona correntemente, ove previsto, la propria attività a un organismo di certificazione notificato Laboratorio di prova Provvede a misurare, esaminare, provare o determinare in altro modo le caratteristiche o le prestazioni del prodotto da costruzione, fornito dal produttore ovvero prelevato durante l’eventuale processo di sorveglianza (sistema di attestazione 1+) dall’organismo di ispezione. Esso relaziona correntemente o, nel caso di sistema di attestazione 3, emette dei propri rapporti di prova sotto notifica La legislazione comunitaria prevede differenti sistemi di attestazione fra i quali la Commissione assegna quello più idoneo da applicare al prodotto (o alla famiglia di prodotti), in funzione dell’importanza e del tipo di impiego che il prodotto assumerà nella costruzione, rispetto ai requisiti essenziali (in particolare quelli riguardanti la salute e la sicurezza). della standardizzazione dei prodotti per la libera circolazione delle merci all’interno dei Paesi della Comunità. Essa è indirizzata agli Stati membri, è obbligatoria e deve essere trasposta, cioè resa attuativa, nel corpo legislativo nazionale. In Italia il recepimento della CPD è avvenuto tramite il DPR n. 246/1993 e il successivo DPR n. 499/1997, che ha considerato l’avvenuto successivo emendamento alla CPD. Tabella 2 – I diversi sistemi di attestazione previsti dalla legislazione comunitaria Sistema di attestazione Compiti del produttore Compiti dell’organismo notificato Condizione per la marcatura CE 3 Prove iniziali di tipo sul prodotto (ITT) Controllo del processo di fabbrica (FPC) Controllo del processo di fabbrica 2 Prove iniziali di tipo sul prodotto (ITT) Controllo del processo di fabbrica (FPC) Certificazione del controllo del processo di fabbrica sulla base di un’ispezione iniziale Prove iniziali di tipo sul prodotto (ITT) Controllo del processo di fabbrica (FPC) Prove su campioni di prodotto secondo un programma di prove definito Certificazione del controllo del processo di fabbrica sulla base di un’ispezione iniziale, di una sorveglianza continua, della valutazione e approvazione del controllo del processo di fabbrica Controllo del processo di fabbrica (FPC) Prove ulteriori su campioni di prodotto secondo un programma di prove definito Prove iniziali di tipo sul prodotto Ispezione iniziale della fabbrica e del controllo del processo di fabbrica Sorveglianza continua, valutazione e approvazione del controllo del processo di fabbrica Dichiarazione di conformità da parte del produttore, accompagnata da certificato di conformità del prodotto Controllo del processo di fabbrica (FPC) Prove ulteriori su campioni di prodotto secondo un programma di prove definito Prove iniziali di tipo sul prodotto Ispezione iniziale della fabbrica e del controllo del processo di fabbrica Sorveglianza continua, valutazione e approvazione del controllo del processo di fabbrica Prove di verifica di campioni prelevati in fabbrica, sul mercato o in cantiere Dichiarazione di conformità da parte del produttore, accompagnata da certificato di conformità del prodotto 4 2+ 1 1+ Prove iniziali di tipo sul prodotto Nel processo che conduce alla marcatura di un prodotto ci sono due momenti fondamentali. Il primo è relativo alla definizione delle sue caratteristiche prima della immissione sul mercato, tramite prove iniziali di tipo (initial type testing, ITT); il secondo è l’insieme dei controlli atti ad assicurare che le caratteristiche iniziali determinate siano mantenute nel tempo mediante il controllo del processo di fabbrica (factory production control, FPC). La direttiva “Prodotti da Costruzione” La direttiva “Prodotti da Costruzione” (Construction Product Directive 89/106/CEE, CPD) si inquadra nel filone Dichiarazione di conformità da parte del produttore Dichiarazione di conformità da parte del produttore Dichiarazione di conformità da parte del produttore, accompagnata dalla certificazione del controllo del processo di fabbrica Dichiarazione di conformità da parte del produttore, accompagnata dalla certificazione del controllo del processo di fabbrica L’obbiettivo della libera circolazione delle merci viene raggiunto imponendo agli Stati membri di assumere tutte le misure necessarie affinché soltanto i prodotti considerati idonei per l’utilizzo previsto possano essere immessi sul mercato comunitario e, di conseguenza, ne sia consentita la libera circolazione. L’idoneità all’impiego significa che i prodotti possiedono caratteristiche tali per cui le opere nelle quali debbono essere incorporati, montati, applicati o installati possono soddisfare, se propriamente progettate e fabbricate, i requisiti essenziali previsti dalla direttiva, e cioè: 1. resistenza meccanica e stabilità; 2. sicurezza in caso d’incendio; 45 edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 3. igiene, salute e ambiente; 4. sicurezza in uso; 5. protezione contro il rumore; 6. risparmio energetico e ritenzione del calore. Ciascuno di questi requisiti deve inoltre far riferimento a un settimo requisito: la durabilità, ovvero la permanenza per un ragionevole periodo di tempo dei requisiti sopra elencati. I materiali stradali La CPD definisce con il termine “materiale da costruzione” qualsiasi prodotto/materiale destinato a essere permanentemente incorporato in opere da costruzione (edifici e opere di ingegneria civile in genere). In questo contesto, quindi, anche gli inerti, i conglomerati bituminosi e il bitume stesso sono materiali che subiscono lavorazioni, entrano a far parte di una costruzione e sono considerati prodotti, la cui attività normativa è seguita dal Comitato Tecnico CEN/TC 227 Road Materials che si articola in cinque gruppi di lavoro: – WG 1 Conglomerati bituminosi; – WG 2 Trattamenti superficiali; – WG 3 Materiali per pavimentazioni a base di calcestruzzo, compresi i materiali per riempimento e sigillatura dei giunti; – WG 4 Materiali per misti cementati, misti granulari non legati e materiali marginali; – WG 5 Caratteristiche superficiali. Altri comitati tecnici che si occupano di prodotti per la costruzione di strade sono: – CEN/TC 154 Aggregati; – CEN/TC 178 Elementi per pavimentazioni e marciapiedi; – CEN/TC 189 Geosintetici; – CEN/TC 336 Leganti bituminosi. La marcatura CE per gli aggregati Le norme armonizzate sugli aggregati per la traduzione dei sei requisiti essenziali per i prodotti da costruzione, previsti dalla direttiva, in requisiti tecnici specifici che permettano di caratterizzare gli aggregati sono nate attraverso il Mandato M/125 Aggregati naturali, da frantumazione, da processo industriale, riciclati. Il CEN, allo scopo di rendere operativa la direttiva, ha elaborato le norme riportate nella tabella 3. I sistemi di attestazione previsti, in relazione alla sicurezza dell’opera, sono due: il 2+ e il 4. Con decreto ministeriale 7 aprile 2004 Applicazione della Direttiva 89/106/CEE sono state pubblicate le corrispondenti norme italiane di recepimento, la data di entrata in vigore delle norme armonizzate (marcatura CE volontaria) e la fine del periodo di coesistenza delle disposizioni legislative nazionali preesistenti (marcatura CE obbligatoria), fissato per il 1° giugno 2004. A partire da tale data, per le sette categorie di aggregati è obbligatoria la marcatura CE. Il successivo decreto ministeriale 11 aprile 2007 ha individuato, per l’Italia, i prodotti e i relativi metodi di conformità degli aggregati che sono il 2+, o il 4, a seconda dell’uso strutturale o meno. Aggregati per conglomerati bituminosi (UNI EN 13043) La norma specifica le proprietà di aggregati e filler da utilizzare nei conglomerati bituminosi e trattamenti superficiali di strade, aeroporti e altre aree soggette a traffico. Non riguarda l’utilizzo di conglomerati bituminosi fresati (di riciclo). Data la natura degli aggregati dei sei requisiti essenziali previsti dalla direttiva, solo i seguenti tre risultano applicabili: – resistenza meccanica e stabilità (requisito essenziale 1); – igiene, salute e ambiente (requisito essenziale 3); – sicurezza nell’utilizzo (requisito essenziale 4). Per il soddisfacimento dei requisiti 1 e 4 vengono definite come proprietà prestazionali determinanti: – la dimensione; – la forma e la massa volumica dei granuli; – la percentuale di granuli frantumati; – la pulizia; – la resistenza alla frammentazione, all’abrasione e all’usura; – l’assorbimento d’acqua. Per il soddisfacimento del requisito 3 devono essere controllati i contaminanti leggeri di grosse dimensioni. Deve inoltre essere garantita la durabilità nei confronti degli agenti che possono risultare importanti (gelo e disgelo, sali disgelanti, alcali ecc.). Le proprietà degli aggregati sono descritte in tre sezioni riguardanti rispettivamente: – i requisiti geometrici; – i requisiti fisico-meccanici; – i requisiti chimici. Tabella 3 – Norme elaborate dal CEN per rendere operativa la direttiva “Prodotti da Costruzione” Norma Europea Titolo EN 12620 Aggregati per calcestruzzo EN13242 Aggregati per materiali non legati e legati con leganti idraulici per l’impiego in ingegneria civile e nella costruzione stradale EN13285 Miscele non legate: specifiche EN 13043 Aggregati per miscele bituminose e trattamenti superficiali per strade, aeroporti e altre aree soggette a traffico EN13450 Aggregati per massicciate ferroviarie EN13383-1 EN13139 46 Aggregati grossi per opere idrauliche – Parte 1: specifiche Aggregati per malta EN13055-1 Aggregati leggeri – Parte 1: aggregati leggeri per calcestruzzo e malta EN13055-2 Aggregati leggeri – Parte 2: aggregati leggeri per miscele bituminose, trattamenti superficiali e applicazioni per materiali legati e non legati, escluse applicazioni con calcestruzzo e malta edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 Requisiti geometrici. Il più importante requisito geometrico dell’aggregato è la distribuzione granulometrica (categoria G) che definisce le classi granulometriche riportate nella tabella 4. La prova è eseguita per setacciatura, Il contenuto di fini dell’aggregato permette di classificare il materiale conformemente alla categoria f (tab. 6), basandosi sulla percentuale p0,063 (passante al setaccio 0,063 mm), il cui valore stabilisce le modalità di valutazione del Tabella 4 – Categorie per la designazione della granulometria Aggregato Percentuale del passante in massa Dimensione (mm) 2D D>2 Grosso Fine D≤2 D ≤ 45 ed=0 Misto Categoria G 1.4 D D d 2/2 100 100 90-99 0-10 0-2 GC90/10 100 98-100 90-99 0-15 0-5 GC90/15 100 98-100 90-99 0-20 0-5 GC90/20 100 98-100 85-99 0-15 0-2 GC85/15 100 98-100 85-99 0-20 0-5 GC85/20 100 98-100 85-99 0-35 0-5 GC85/35 85-99 – – GF85 100 98-100 90-99 – – GA90 100 98-100 85-99 – – GA85 100 conformemente alla EN 933-1 e alla EN 933-2, utilizzando, a seconda delle dimensioni D/d dell’aggregato, setacci appartenenti rispettivamente alla serie di base, alla serie di base +1 o alla serie di base +2. Le classi granulometriche sono definite, per l’aggregato grosso, mediante la percentuale minima di passante al setaccio superiore e quella massima al setaccio inferiore, mentre per il materiale fine o in frazione unica la categoria rappresenta solamente la percentuale minima di passante al setaccio superiore. Tabella 5 – Requisiti geometrici: classi granulometriche Serie di base (mm) Serie di base + serie 1 Serie di base + serie 2 0 0 1 1 2 2 4 4 5,6(5) 6,3(6) 8 8 10 11,2(11) 12,5(12) 14 16 16 20 22,4(22) 31,5(32) 31,5(32) 40 45 63 63 d=dimensione nominale inferiore D=dimensione nominale superiore Il rapporto D/d deve essere non inferiore a 1,4 0 1 2 4 8 16 31,5(32) 63 contenuto di fini nocivi (ad esempio il rigonfiamento dell’argilla): a) se p0,063 non è maggiore del 3% non sono necessarie ulteriori prove; b) se p0,063 è compreso tra il 3 e il 10% la quantità di fini nocivi presenti nella frazione 0/0,125 mm viene determinata con la prova del blu di metilene (UNI EN 933-9); le classi di categoria MBf previste sono: MBF 10, MBF25 e MBF (dichiarata per un valore di blu di metilene rispettivamente ≤ 10; ≤ 25 e > 25); c) se p0,063 è maggiore del 10% il contenuto di fini deve soddisfare i requisiti dell’aggregato filler. Nei capitolati Autostrade SpA e ANAS per valutare la qualità dei fini è prevista invece la prova dell’equivalente in sabbia. La norma prevede anche la determinazione della forma dei granuli dell’aggregato grosso, mediante l’assegnazione di una specifica categoria FI in base al valore assunto dal coefficiente di appiattimento (UNI EN 933-3) e utilizzando, quando richiesto, anche l’indice di forma (UNI EN 933-4) da dichiararsi in conformità alla categoria SI da abbinare alla categoria FI (tab. 7). Sempre per quanto concerne l’aggregato grosso la norma qualifica l’inerte nella categoria C ottenuta in base alle percentuali di granuli costituenti rispettivamente frantumati, totalmente frantumati e arrotondati, prendendo così in esame un requisito geometrico non previsto dalle norme CNR. Infatti per gli aggregati da utilizzare in conglomerati bituminosi la Tabella 6 – Categorie per il contenuto e la qualità dei fini Aggregato Grosso Fine Categorie per il contenuto dei fini Percentuale del passante Categoria f sullo staccio da 0,063 mm 0,5 f0.5 f1 1 2 f2 4 f4 >4 fdichiarato Senza requisiti fNR f3 3 f10 10 f16 16 f22 22 fdichiarato >22 fNR Senza requisiti Categorie per la qualità dei fini Valore del Blu MBF (g/kg) Categoria MBF – ≤ 10 ≤ 25 >20 Senza requisiti MBFNT MBF10 MBF25 MBF Dichiarato MBFNR Non è richiesta l’indagine sulla qualità dei fini se il contenuto nell’aggregato fine (o misto ≤ 8) è minore di 3% Se il contenuto in fini è 3410% si determina il contenuto in argilla con la prova al blu metilene Per contenuto in fini >10% si rimanda ai requisiti del filler 47 edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 Tabella 7 – Categorie per la forma dell’aggregato grosso Indice di appiattimento Categoria FI Indice di forma Categoria SI FI10 FI15 FI20 FI25 FI30 FI35 FI50 ≤15 ≤20 ≤25 ≤30 ≤35 ≤50 >50 SI15 SI20 SI25 SI30 SI35 SI50 FIdichiarato FINR Nessun requisito ≤10 ≤15 ≤20 ≤25 ≤30 ≤35 ≤50 >50 Nessun requisito SIdichiarato SINR normativa italiana non prevede una prova specifica finalizzata alla determinazione del grado di frantumazione del materiale, anche se, ad esempio, il capitolato ANAS, vieta l’utilizzo di materiale arrotondato negli strati di collegamento e usura, e ammette la presenza di ghiaia e ghiaietto fino a un rapporto massimo del 30% in massa per lo strato di base. La granulometria del filler (cioè l’aggregato, di origine minerale, prodotto separatamente e poi addizionato) è determinata con setacciatura a getto d’aria (UNI EN 933-10), individuando le frazioni granulometriche 0,125/2 mm, 0,063/0,125 e frazioni < 0,063 mm, mediante la vagliatura del materiale all’interno dell’apparecchio. La presenza dei nocivi viene stabilita sempre in base al valore di blu di metilene. Requisiti fisici e meccanici. Un requisito importante per la caratterizzazione meccanica di un aggregato ai fini del suo impiego in campo stradale è la resistenza alla frammentazione, valutata mediante la categoria LA, legata al coefficiente Los Angeles (UNI EN 1097-2), determinato con procedure in parte diverse rispetto alla corrispondente norma CNR. Le definizioni delle masse volumiche (UNI EN 1097-6) rispettivamente apparente (ra), dei granuli pre-essiccati in stufa (rrd), dei granuli in condizione di saturazione a superficie asciutta (rssD), nonché l’assorbimento d’acqua dopo 24 h di immersione (WA24), sono riportati nella tabella 8. Il criterio di determinazione di tali grandezze fisiche varia a seconda della dimensione dell’aggregato, poiché se questa presenta valore 0,063/4 mm o 4/31,5 mm si usa il metodo del picnometro, altrimenti se la dimensione del materiale è 31,5/63 mm la determinazione di tali grandezze avviene con il metodo del cestello. Come prova per il requisito della durabilità, viene considerata la resistenza al gelo/disgelo valutata mediante il valore di assorbimento d’acqua determinato con il metodo del cestello a rete, portando i granuli alla condizione di saturazione tramite immersione in acqua senza ottenere la massa costante (EN 1097-6, punto 7), oppure protraendo l’assorbimento fino al raggiungimento di quest’ultima (UNI EN 1097-6, appendice B). Nel primo caso, si ritiene l’aggregato resistente al gelo/disgelo quando il valore dell’assorbimento d’acqua non è maggiore dell’1% oppure del 2% (classi di categoria WA241 e WA242), nel secondo caso invece il materiale resiste al gelo/disgelo per valori di assorbimento d’acqua che non superino il valore massimo 0,5 cm. La perdita di resistenza che il materiale subisce a causa dei cicli di gelo/disgelo può essere determinata anche secondo la UNI EN 1367-1, considerando la perdita di massa delle frazioni di prova degli aggregati a granulometria omogenea, in seguito a immersione in acqua e all’azione di 10 cicli di congelamento a -17,5 °C e scongelamento a 20 °C. Al termine della prova si valutano eventuali modifiche dei campioni (ad esempio la formazione di cricche) e si calcola la perdita di massa in funzione della percentuale di passante al setaccio di dimensione pari alla metà della dimensione inferiore dei campioni, designando una classe della corrispondente categoria F: F = 100 (M1 – M2)/M1; F = perdita di percentuale di massa dei tre campioni di prova dopo i cicli di gelo e disgelo; M1 = massa totale iniziale dei tre campioni di prova essiccati (in g); M2 = massa finale dei tre campioni di prova essiccati, trattenuta sullo specifico setaccio (in g). Requisiti chimici. I principali sono quelli riportati nella tabella 9. Tabella 9 – Requisiti chimici Composizione chimica Se richiesto si determina la composizione chimica dell’aggregato secondo EN 932-3 e si dichiarano i valori dei risultati Contaminanti leggeri di grosse dimensioni Se richiesto si determina, secondo EN 1744-1, il contenuto in contaminanti leggeri organici di grosse dimensioni (> 2 mm) e si dichiara il valore in termini di categoria Costituenti che riguardano la stabilità volumetrica di loppa d’alto forno e loppe d’acciaio Disintegrazione di silicato bicalcico Disintegrazione ferrosa delle scorie d’alto forno Stabilità di volume delle scorie d’acciaio Tabella 8 – Definizione delle masse volumiche dei granuli e assorbimento d’acqua Massa volumica apparente dei granuli (Mg/m3) ρ 0 =ρ M M −(M − M ) 4 w 4 2 3 Massa volumica dei granuli pre-essiccati in stufa (Mg/m3) ρ rd = ρw M M −(M − M ) 4 1 2 3 Massa volumica dei granuli in condizione di saturazione a superficie asciutta (Mg/m3) ρ ssd = ρw M M −(M − M ) 1 1 2 Assorbimento acqua (%) WA 3 M1- Massa in aria dell’aggregato saturo a superficie asciutta, in g M2- Massa apparente in acqua del cestello con il campione di aggregato saturo, in g M3- Massa apparente in acqua del cestello vuoto, in g M4- Massa in aria del campione essiccato in stufa, in g ρw- Densità dell’acqua alla temperatura registrata all’atto della valutazione di M2 48 24 =ρ 100 w (M − M ) M 1 4 4 edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 La Marcatura CE per i conglomerati bituminosi Le norme armonizzate sui conglomerati bituminosi sono nate in risposta al Mandato M/124 Prodotti per la costruzione di strade, che riguarda i seguenti prodotti: – bitume ed emulsioni bituminose per conglomerati bituminosi e trattamenti superficiali; – conglomerati bituminosi; – trattamenti superficiali; – sistemi di impermeabilizzazione di impalcati per ponti; – prodotti accessori per le strade in calcestruzzo. La marcatura CE regola solo le fasi di produzione e consegna del prodotto, mentre è esclusa la fase di posa in opera. Il periodo transitorio si è concluso il 1° marzo 2008. Le caratteristiche fanno riferimento alle norme armonizzate della serie EN 13108 che comprende tutti i conglomerati bituminosi prodotti con legante tradizionale (UNI EN 12591) e modificato (UNI EN 14023). Tabella 10 – Serie EN 13108 che comprende tutti i conglomerati bituminosi prodotti con legante tradizionale e modificato Norma Europea Titolo EN 13108 – 1 Conglomerato bituminoso a caldo EN 13108 – 2 Conglomerato bituminoso per strati molto sottili EN 13108 – 3 Conglomerato bituminoso con bitume molto tenero EN 13108 – 4 Conglomerato bituminoso chiodato EN 13108 – 5 Conglomerato bituminoso antisdrucciolo chiuso EN 13108 – 6 Asfalto colato EN 13108 – 7 Conglomerato bituminoso a elevato contenuto di vuoti EN 13108 – 8 Conglomerato bituminoso fresato EN 13108 – 20 Prove iniziali di tipo EN 13108 – 21 Controllo di produzione in stabilimento La norma individua quale unico sistema di attestazione per i conglomerati bituminosi a caldo il sistema 2+. Per la definizione dei requisiti dei materiali costituenti e delle miscele, l’insieme delle norme UNI EN 13108 rimanda puntualmente alle specifiche comprese nelle norme UNI EN 12697 che precisano i parametri e le condizioni di prova. Dei sei requisiti essenziali della direttiva, sono applicabili solo quelli riportati nella tabella 11. I materiali costituenti considerati sono: – il legante bituminoso; – l’aggregato lapideo; – il conglomerato bituminoso riciclato; – gli additivi. Per quanto riguarda il bitume, è richiesta la conformità alla UNI EN 12591 per il tipo tradizionale, alla UNI EN 14023 per il tipo modificato e alla UNI EN 13294 per il bitume duro a bassa penetrazione. Gli aggregati lapidei sono raggruppati nei seguenti tipi: – aggregato grosso (dimensioni più piccole d > 2 mm); – aggregato fine (dimensioni più piccole D < 2 mm); – aggregati in frazione unica (misto di aggregati grossi e fini); – filler (frazione granulometrica inferiore a 0,063 mm). Gli aggregati devono essere conformi ai requisiti previsti dalla norma UNI EN 13043 che, come visto, ne specifica i requisiti ai fini della marcatura CE. Sono previsti i seguenti tipi di compattazione in laboratorio del materiale sciolto: – a impatto (UNI EN 12697-30); – con pressa giratoria (UNI EN 12697-31); – a vibrazione (UNI EN 12697-32); – con compattatore a rullo (UNI EN 12697-33). La determinazione della stabilità Marshall (UNI EN 1269734), largamente utilizzata in Italia, è prevista solo per le applicazioni aeroportuali, specificate con l’approccio empirico. Le caratteristiche principali prese in considerazione sono le seguenti: – vuoti residui (V): rappresenta la percentuale di vuoti del conglomerato bituminoso, rispetto al volume della miscela compattata; – vuoti riempiti di bitume (VFB): rappresenta la percentuale dei vuoti che viene riempita di bitume; – vuoti nell’aggregato minerale (VMA): è il volume dei vuoti intergranulari di una miscela di conglomerato bituminoso compattato ed è composto dalla somma della percentuale dei vuoti residui della miscela e il contenuto di bitume non adsorbito dall’aggregato; – vuoti a 10 rotazioni (V10G): rappresenta la percentuale dei vuoti di un conglomerato compattata mediante compattatore giratorio con 10 rotazioni. L’energia corrispondente misurata è utile a stabilire la densità della miscela al momento della posa in opera da parte della vibrofinitrice, prima del passaggio del rullo; – contenuto di legante: definisce la quantità di legante utilizzato nella miscela, che deve garantire un idoneo rivestimento di tutti gli inerti. È un parametro strettamente dipendente dalla curva granulometrica scelta per il conglomerato bituminoso. Un eccesso di bitume può condurre a fenomeni di refluimento ed eccessivo scorrimento fra i granuli a scapito della stabilità della miscela stessa; una sua deficienza determina un ricoprimento parziale della superficie degli inerti con conseguente assenza di legame tra i granuli che può portare a fenomeni di disgregazione; – resistenza alla deformazione permanente (ormaiamento): misura la resistenza di un conglomerato bituminoso all’accumulo di deformazioni irreversibili, generate dal passaggio ripetitivo dei veicoli (metodo della traccia delle ruote o metodo della prova triassiale); – temperatura della miscela: fornisce un controllo sull’eccessivo riscaldamento della miscela con perdita irreparabile delle caratteristiche visco-elastiche del legante (temperatura in fase di produzione) e sul livello minimo di lavorabilità che garantisce una corretta compattazione (temperatura alla fase di consegna); – rigidezza: rappresenta la capacità del conglomerato bituminoso di diffondere le tensioni al proprio interno; – resistenza a fatica: la fatica è un fenomeno che si verifica in un conglomerato bituminoso sottoposto a sollecitazioni cicliche, caratterizzate da un carico inferiore al carico a rottura. La resistenza a fatica corrisponde al numero di cicli di applicazione del carico tali da indurre la fessurazione nel materiale oppure un decadimento del suo modulo di rigidezza; 49 edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 Tabella 11 – Conglomerati bituminosi Requisiti essenziali direttiva CPD 1e4 Caratteristiche Adesione del legante all’aggregato < < < < Temperatura della miscela Contenuto di legante Vuoti residui Sensibilità dell’acqua Rigidezza < < < < Temperatura della miscela Contenuto di legante Granulometria Vuoti residui Resistenza alle deformazioni permanenti < < < < < < < Temperatura della miscela Contenuto di legante Granulometria Vuoti residui Determinazione dei vuoti riempiti di bitume (VFB) Determinazione dei vuoti nell’aggregato minerale (VMA) Resistenza alla deformazione permanente Resistenza a fatica Misto < Contenuto di legante < Granulometria < Vuoti residui Resistenza all’abrasione < Contenuto di legante < Granulometria Reazione al fuoco < < < < Contenuto di legante Granulometria Vuoti residui Permeabilità del provino Solo nel caso di impiego dei conglomerati dove è prevista la regolamentazione per reazione al fuoco Assorbimento del rumore < Contenuto di legante < Granulometria < Vuoti residui – permeabilità: viene misurata solo nel caso di conglomerati bituminosi ad alto tenore di vuoti per fornire informazioni sulla capacità drenante dovuta all’elevata percentuale dei vuoti. Una delle principali particolarità presente nella UNI EN 13108 è costituita dalla possibilità di scegliere fra due possibili metodi di approccio (almeno per i prodotti compresi nella parte 1: Conglomerati bituminosi a caldo): – metodo empirico: di carattere prescrittivo, basato sulla puntuale definizione dei requisiti delle miscele e dei materiali costituenti, dai quali si possono dedurre le prestazioni del conglomerato bituminoso (si determina una grandezza da cui è possibile evincere una prestazione in opera – performance related); – metodo fondamentale: di carattere prestazionale in cui i requisiti, direttamente misurati, possono essere correlati con le prestazioni del prodotto finito (performance based). Un esempio di prova meccanica di tipo empirico è la prova Marshall (UNI EN 12697-34) in quanto il massimo carico applicato al provino (stabilità), la deformazione conseguente (scorrimento) e il rapporto tra queste due grandezze (rigidezza) non sono una misura di prestazione del conglomerato bituminoso, perché rappresentano parametri meccanici ottenuti nella condizione limite di rottura del provino. Esempi prestazionali sono la prova per il calcolo del modulo di rigidezza (UNI EN 12697-26), la prova a fatica (UNI EN 12697-24), la prova di creep (UNI EN 50 < Temperatura della miscela < Contenuto di legante < Vuoti residui Resistenza allo scivolamento Permeabilità 2 Requisiti 12697-25), la prova di ormaiamento (UNI EN 1269722) ecc. La norma non ammette invece la combinazione tra l’approccio empirico e quello fondamentale (eccesso di specifiche). Dopo aver elencato le principali caratteristiche delle norme europee, è doveroso ricordare che la marcatura CE non è l’unica condizione perché i prodotti possano essere messi in opera, in quanto il materiale deve avere anche le caratteristiche tecniche e/o prestazionali richieste dai vari capitolati. Le norme armonizzate sono infatti norme di prodotto che nulla hanno a che fare con l’accettazione del prodotto stesso nei lavori e nelle opere cui i prodotti sono destinati. Tale accettazione dipende dalle norme tecniche di impiego dei prodotti, in cui sono definite le specifiche che essi devono possedere al fine di essere impiegati nelle opere. Nelle norme armonizzate pertanto viene lasciata aperta anche la possibilità di non certificare quelle caratteristiche che non sono regolamentate dalla normativa nazionale di impiego di almeno uno Stato membro (nessuna prestazione determinata, NPD). In Italia, ad esempio, per il capitolato ANAS (2009) i requisiti obbligatori richiesti sono solo: – temperatura delle miscela alla produzione e alla consegna (valori di soglia); – contenuto minimo di legante (categoria e valore reale); – composizione granulometrica (%); – contenuto dei vuoti a 10 rotazioni (categoria e valore reale). Per gli altri requisiti è lecito indicare la categoria NPD. Sergio Storoni Ridolfi e Fabio Garbin – Sigea edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 Zaha Hadid, Terminal, Strasburgo A sinistra: esempio di certificato di marcatura CE, dal Capitolato Speciale D’Appalto, Norme Tecniche per le Pavimentazioni Stradali e Autostradali, ANAS SpA 2009 A fianco: cantiere e messa in opera del conglomerato bituminoso 51 edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 leonardo a cura di Silvano Stucchi Legno di recupero legato a polimeri termoplastici riciclati al 100% (WOODN) La tecnica delle strutture in legno: sviluppo consapevole on le nuove Norme Tecniche per C le Costruzioni (DM 14/01/08) e la circolare applicativa n. 617, entra- Legno fibrorinforzato Sistemi CNP (solai collaboranti legno-cls) 52 te in vigore dal 1° luglio 2009, si sancisce l’equivalenza di fatto tra il legno e gli altri materiali dell’apparecchiatura costruttiva (acciaio, calcestruzzo, muratura). L’approccio prestazionale delle nuove norme assegna alle costruzioni in legno fattori di struttura vantaggiosi (il fattore di struttura – q>1,5 – sintetizza le proprietà dissipative di una costruzione in seguito al sisma; con esso si determina lo spettro di progetto agli stati limite, partendo dallo spettro elastico caratteristico, del quale ne riduce le ordinate); in particolare va sottolineata la capacità di assorbimento dell’azione sismica per l’alto grado di plasticizzazione raggiungibile dalle connessioni duttili (Teoria di Johansen).1 Le azioni che creano le sollecitazioni secondarie più severe per gli edifici in legno sono quelle prodotte dal vento: una struttura correttamente progettata nei confronti del vento è spesso verificata anche nei confronti del sisma.2 Le nuove norme per le costruzioni prevedono altresì che tutti i materiali utilizzati siano marcati CE o qualificati a livello ministeriale: anche il legno, sia esso massello o prodotto in stabilimento per lamellazione/compensazione, dovrà provenire da un processo industriale qualificato (DM 14/01/2008, C.11.1 Generalità e C.11.7 Materiali e prodotti a base di legno). La regolamentazione del taglio dei tronchi garantisce un ricambio ciclico delle colture giovani finalizzate al consumo per l’edilizia, lasciando intatte le foreste europee più antiche e protette (si vedano associazioni come Forest Stewardship Council – FSC e Programme for Endorsement of Forest Certification schemes – PEFC). Se negli anni ’90 la ricerca si concentrava su tecnologie che incrementassero la resistenza meccanica degli elementi strutturali in legno, attualmente la tendenza è quella di migliorare la durabilità del materiale e la sostenibilità del processo edilizio, dalla produzione allo smaltimento. Si trovano sempre più sperimentazioni che tendono alla “riscoperta” degli elementi in legno massello o ricomposto a piccola percentuale di incollaggio: le grandi luci non sono più solo appannaggio delle grandi travi in legno lamellare incollato, ma sono affidate anche a soluzioni reticolari (piane o spaziali) formate da elemen- ti di dimensioni minori, con il minimo utilizzo di collante e di connessioni metalliche. Le conseguenze di questa più recente tendenza sono: maggiore sostenibilità produttiva, minore inquinamento ambientale, maggiore facilità di reperimento del legname, velocità di produzione, incrementata maneggevolezza degli elementi in cantiere; questo a fronte di un più sofisticato iter progettuale, che porta quasi sempre a un progetto costruttivo complesso, al fine di ottenere una soddisfacente cantierizzabilità dell’opera. Di seguito si fornisce una panoramica dei materiali alternativi al legno lamellare di abete incollato presenti sul mercato. Gli elementi in KVH (sigla tedesca per “legno massiccio da costruzione”) o GLT (sigla tedesca per “travi di legno lamellare esaminate”) sono caratterizzati da legno massello giuntato di testa per mezzo del giunto a pettine (KVH) oppure affiancati parallelamente tra loro (GLT, i quali funzionano bene soprattutto per elementi trave, al pari di altri sistemi di giunzione come i DUO/TRIO). Il Parallam e il Microllam sono sistemi prefabbricati che utilizzano gli 6 strati di lamellare di abete Colla alla resorcina 19,2 cm 10 cm Fibra di vetro (80% in direzione assiale) edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 sfogliati (piallacci) di legno orientati. Per il primo abbiamo un’orientazione prevalente longitudinale, che coincide con l’asse dell’elemento; per il Microllam non abbiamo una direzione preferenziale dei piallacci, per cui anche il comportamento strutturale risulta più omogeneo, sia per la trave che per la piastra (si vedano i prodotti Finnforest, rispettivamente Kerto-S e Kerto-Q). Spesso si abbinano elementi trave in Kerto-S a pannelli strutturali OSB (pannelli a fibre orientate), andando a costituire delle vere e proprie travi IPE in legno + colla (I-Joist: il Microllam per le ali, l’OSB per l’anima). Notevole interesse riveste anche la produzione nel campo del lamellare fibrorinforzato: grazie all’inserimento di fibre negli strati di incollaggio (generalmente fibre di vetro) si ottiene un notevole incremento della resistenza meccanica e della stabilità dimensionale, nonché della reazione e della resistenza al fuoco. Grazie all’utilizzo di sezioni scatolari in lamellare si possono raggiungere luci libere fino a 18 m: si tratta di vere e proprie “pignatte di legno” a sviluppo longitudinale con poca o nessuna armatura metallica (si vedano i brevetti della Legno-Lego e Lignatur). La precompressione viene applicata anche nel settore legno, con cavi di post-tensione inseriti tra le lamelle e tesati a struttura montata. L’utilizzo di giunzioni metalliche con piastre forate a scomparsa e resine epossidiche ha caratterizzato interessanti soluzioni che hanno portato al superamento di grandi luci mantenendo il solo legno a vista. La sperimentazione sulle resine epossidiche della Cenci Legno sta fornendo ora spunti in sede produttiva direttamente per l’incollaggio delle lamelle, con ottimi risultati rispetto alle colle tradizionali, soprattutto in termini di durabilità e di atossicità, a fronte di un costo ancora troppo elevato. Il collante che fornisce attualmente maggiori garanzie è l’MF/UF (a base di melamina-urea-formaldeide), che con il suo colore trasparente ha di fatto soppiantato l’RF (a base di resorcinolo-formaldeide), di colore scuro. Entrambi forniscono ottime resistenze e durate anche in ambienti umidi e all’esterno. L’UF (a base di ureaformaldeide, commercialmente noto Copertura in legno lamellare di un palazzetto dello sport Rivestimento esterno realizzato con pannelli prefabbricati in legno massiccio ed elementi di supporto Lignatur come “Kaurit”) è invece una colla utilizzata per elementi posti all’interno, che presenta un colore trasparente e ha costi contenuti. Già da tempo si commercializza legno lamellare di larice, mentre presenta per ora limiti di lavorabilità e incollaggio (e dunque di costi) il legno 53 edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 matura piegate a “L”) posizionati con passo maggiore agli appoggi rispetto a quello in mezzeria, si riesce a ottenere una perfetta collaborazione tra l’elemento trave (in legno) e l’elemento soletta (in cemento armato), andando a costituire una trave a “T” altamente resistente e rigida. Il concetto della lamellazione trasposto ai pannelli strutturali ha portato alla diffusione delle pareti a lamelle incrociate incollate (XLAM – pan- nelli in legno massiccio a strati incrociati) o chiodate (MHM – MassivHolz-Mauer), molto utilizzate perché uniscono un’ottima versatilità applicativa a un miglioramento strutturale nei confronti del vento e del sisma. Tali sistemi offrono anche un surplus di massa, utile per il raggiungimento dei requisiti di sfasamento e attenuazione dell’onda termica estiva nell’ambito della certificazione energetica degli edifici. Un settore tutto da studiare è quello del recupero delle strutture lignee storiche, con esempi provenienti dal Nord America e dal Giappone. Qualora non sia possibile o necessario il recupero, ci sono vari campi di riutilizzo del materiale: dalla produzione di energia termica di combustione, alla sua riduzione in fibre e ricomposizione sia da solo (vedi OSB) che abbinato ad altri materiali di recupero (ad esempio il WOODN, che sfrutta il binomio legno + polimeri termoplastici di recupero). Diego Ruggeri le che costituiscono la teoria ci dicono chiaramente quale modo di rottura si verifica per primo, dandoci una chiara indicazione sul grado dissipativo della connessione (e più in generale della struttura tutta). Per meglio comprendere il concetto di duttilità della struttura, e indirettamente del fattore di struttura, si riporta un estratto dalla normativa vigente (NT14/01/2008, C. 7.2.1): «La duttilità d’insieme della costruzione si ottiene, in definitiva, individuando gli elementi e i meccanismi resistenti ai quali affidare le capacità dissipative e localizzando all’interno del sistema strutturale le zone in cui ammettere la plasticizzazione, in modo da ottenere un meccanismo deformativi d’insieme stabile, che coinvolga il maggior numero possibile di fonti di duttilità locale». Avendo il legno lamellare un peso specifico di circa 500 kg/mc, ed essendo l’azione sismica di progetto direttamente proporzionale alla massa strutturale dell’edificio, l’azione del vento risulta sovente più gravosa dell’azione sismica, soprattutto per costruzioni leggere a telaio sviluppate su più livelli (meno per costruzioni pluripiano a parete in legno massiccio – XLAM/MHM – , dove la massa torna ad avere un ruolo predominante). La corretta progettazione degli elementi di controventamento e degli attacchi a terra è un punto fondamentale nelle strutture a telaio in legno (come anche nelle strutture a telaio metalliche). Esempi di strutture realizzate in legno lamellare di castagno, anche se i risultati di laboratorio hanno fornito dati di resistenza caratteristica notevoli, grazie alla durezza del legno di latifoglia. Il legno di conifera (pino, abete bianco e rosso, larice) essendo più resinoso risulta meno attaccabile dagli insetti (tarli); inoltre possiede un maggior grado di lavorabilità per lamellazione e un miglior feeling con i collanti attualmente in commercio. Per questo appare ancora inattaccabile il primato del legno lamellare di abete, imbattibile nel rapporto resistenza caratteristica/costo di produzione. Nel campo del consolidamento edilizio frequente applicazione stanno trovando i solai misti in legno-CLS (si vedano, tra gli altri, i brevetti CNP – Cenci, Noseda, Piazza – e Peter Cox), che uniscono all’espressività del legno a vista la perfetta collaborazione strutturale della soletta armata con gli altri elementi in cemento armato verticali e orizzontali dell’edificio da consolidare (pilastri, pareti, cordoli, travi). Come evidenziato negli studi di Turrini e Piazza, tramite l’utilizzo di connettori metallici (costituiti anche da semplici barre di arNote 1 La Teoria di Johansen (1949) è atta a determinare le equazioni della capacità portante delle connessioni legno-legno e legnoacciaio per mezzo di connettori a gambo cilindrico. Sotto l’ipotesi di un comportamento “rigido-plastico” dei due materiali, si applicano semplici formule di equilibrio allo stato limite. Sono contemplate le connessioni a uno o due piani di taglio (i gambi metallici attraversano rispettivamente due o tre elementi, lignei e/o metallici) e ci sono tre modi di rottura possibili: modo I (rifollamento del legno), modo II e modo III (rifollamento del legno e contemporaneo snervamento del connettore metallico con formazione rispettivamente di una o più cerniere plastiche). Le formu- 54 2 edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 tecnologie e materiali Vista di alcune schiere (da est) Quartiere residenziale in Andalusia quartiere residenziale progettato da SAMA – SeminaIl rio de Arquitectura y Medioambiente come espansione residenziale per la città di Osuna, in Andalusia, e realiz1 zato nel 1989-90, costituisce un esempio contemporaneo di riferimento di progettazione bioclimatica integrata per i climi mediterranei e una importante risposta alle numerose sperimentazioni di quartieri bioclimatici effettuate negli ultimi decenni nell’Europa centro-settentrionale. La gestazione del progetto ebbe inizio nel 1981, con la partecipazione a un concorso indetto dall’operatore pubblico nella zona di Siviglia per la progettazione di circa 120 unità abitative dalla dimensione minima di 65 mq + 16 mq di spazio semiprivato a patio o a portico e climatizzate in modo prevalentemente passivo. Per vicissitudini di natura burocratico-imprenditoriale l’esecuzione del progetto dovette rimanere ferma quasi dieci anni, durante i quali i progettisti ebbero modo di realizzare a Mairena del Aljarafe, sempre vicino a Siviglia e sempre nel contesto di un programma di edilizia pubblica, un prototipo di abitazione del tipo di quelle previste nel quartiere di Osuna e monitorarne per un anno e mezzo, a partire dal 1986, il comportamento termico e luminoso, nell’ambito dell’IEA Solar Heating and Cooling Program.2 La realizzazione del quartiere poté avere inizio nel 1988 e fu terminata nel 1990. Insediamento o prototipo Il progetto in questione è interessante sotto numerosi punti di vista, ma in particolare, a parere di chi scrive, per il suo carattere proto-tipico nei risultati, perché applicabile in vari tipi di contesti climatici, temperati-miti o caldosecchi e per la completa rispondenza alle esigenze climatiche del contesto di intervento. 56 Le caratteristiche climatiche del sito rendevano il progetto impegnativo sia ai fini del raffrescamento estivo, sia ai fini del bilanciamento tra le esigenze estive e invernali. Questo perché Osuna, che si trova a 37,1° di latitudine (un po’ meno di Catania) e a circa 300 m di altezza, è caratterizzata da inverni freschi (temperatura minima media mensile di 5,3 °C a gennaio) ed estati molto calde e secche (temperatura massima media mensile di 34,7 °C ad agosto) e anche perché i venti che vi operano (che spirano attraverso la valle del Guadalquivir in inverno prevalentemente da nord e in estate da sud-ovest e sud), essendo non molto veloci (pur avendo una frequenza piuttosto alta), hanno caratteristiche tali da sollecitare soluzioni di ventilazione edilizia efficienti e bilanciate. Il programma funzionale, qui essenzialmente mirato al controllo climatico in costruzioni a basso costo, è stato perseguito con rigore dai progettisti, che sono giunti alla definizione di una soluzione esplicita e potenzialmente riproponibile in situazioni analoghe. Quello che distingue le residenze in oggetto, destinate a un clima caldo, dalle usuali costruzioni bioclimatiche pensate per i climi temperati-freddi, è che le seconde possono “accontentarsi” di essere specialmente “solari”, mentre le prime devono essere in parte “solari” (in inverno) e in parte “antisolari” (in estate). E ciò che le accomuna è che, poiché, in tutti e due i casi, l’accesso solare è il principale fattore di determinazione delle scelte progettuali, in tutti e due i casi l’edificio è destinato ad essere zonizzato in modo “solare”. Ossia progettato in relazione al sole.3 L’unità residenziale qui descritta, destinata a un clima caldo, in inverno “funziona” con la stessa logica di quelle destinate ai climi freddi: lo spazio abitativo a sud è anche uno spazio di guadagno solare e la zona termica a nord edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 A sinistra: planimetria del quartiere. Si noti che il terreno è in leggera pendenza da nord verso sud A destra: piante (in alto: piano terreno; in basso: primo piano) e sezione trasversale di una unità abitativa Sud Sud svolge il ruolo di cuscinetto termico ospitante gli spazi di servizio (cucina, bagni, scale). La funzione di tale spaziocuscinetto nelle residenze a Osuna si differenza, però, nella stagione estiva, grazie alla continuità tra il piano inferiore e il superiore, resa possibile dal vano scala, e grazie all’appropriata collocazione delle aperture di ventilazione nel vano scala stesso. Durante l’estate tale spazio viene infatti utilizzato come un “pozzo” di ventilazione atto a servire i vani abitati: finalizzato sia a incanalare verso il basso eventuali brezze provenienti da sud, sia a dare luogo a ventilazione per effetto camino.4 La conformazione di questa “fascia” termica rivolta a nord è insomma dettata dalla sua funzione estiva, qui prevalente su quella invernale. Mentre negli edifici bioclimatici per i climi freddi la zona-cuscinetto a nord solitamente è alta quanto la zona rivolta a sud, o più bassa (perché è nella prima che avviene il guadagno solare), in questi edifici per i climi caldi essa è più alta di quella della “fascia” sud, sia perché la sua maggiore altezza accentua l’effetto camino, sia perché essa consente la collocazione di lucernari verticali rivolti a sud sopra la falda di copertura della zona vani, così da rendere possibile la captazione delle brezze estive senza incorrere in un effetto serra di entità pari a quella che deriverebbe dalla presenza di lucernari orizzontali. In questo quadro, poiché la fascia sud dell’edificio – ospitante al piano terra la zona giorno e al piano superiore le camere – è più profonda della fascia nord, la falda sud della copertura è meno inclinata della falda della nord. Un vantaggio secondario di questa conformazione è quello di permettere il posizionamento di pannelli solari termici per il riscaldamento dell’acqua sanitaria a fianco dei lucernari che si trovano alla sommità dei vani scala. Anche la natura materica dell’unità-tipo discende dalla sua collocazione climatica. Essa è infatti realizzata con un involucro massivo termoisolato verso l’esterno, così da fruttarne l’inerzia termica ai fini della climatizzazione naturale; e questo sia in corrispondenza delle chiusure verticali, sia in corrispondenza dei solai (di copertura 57 edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 A sinistra: accesso solare ai vani; dall’alto: 21 dicembre e 21 giugno 1 2 27° 3 A destra: sezioni costruttive del prototipo di unità abitativa. In alto: parete di chiusura; in basso: copertura 4 5 6 7 8 73° 9 10 11 12 13 e inferiore). Le pareti di chiusura verticale sono infatti costituite (dall’interno verso l’esterno) da muratura portante massiva (blocchi portanti semipieni da 25 cm circa), termoisolante (polistirene espanso, 3 cm), muratura leggera di forati posati in foglio (12 cm) e intonaco bianco (al fine di ridurre il guadagno solare); i solai delle coperture, come i solai di interpiano, sono in laterocemento, termoisolati all’estradosso e coperti con tegole in cotto; e i solai controterra sono in cemento armato su tavelloni e muricci su vespaio aerato da 30 cm. L’esiguo spessore di materiale termoisolante utilizzato in tutte le posizioni – 3 cm – (al quale corrispondono vetri singoli per la chiusura dei serramenti) sono dovuti alla mitezza invernale del clima.5 In corrispondenza della parete pesante di partizione tra la fascia dei vani e la fascia dei servizi è posizionata la stufa a gas, che distribuisce aria calda ai vani del piano superiore tramite una cavità intramuraria contenuta nella parete che separa i vani dal vano-disimpegno-camino a nord. Dall’edificio al quartiere Lo spazio esterno a sud dei vani del piano terreno è stato pensato come ambito semiprivato, sia perché è predisposto alla collocazione di un pergolato a foglia caduca davanti all’ingresso (che invero era molto più generosamente dimensionato nel prototipo) finalizzato a schermare la radiazione solare e a fornire raffrescamento evaporativo anche in funzione della ventilazione passante nei vani, sia perché risulta protetto dalla schermatura solare orizzontale costituita dall’aggetto del piano superiore della facciata sud. Le prestazioni termiche e luminose dell’edificio così con- 58 14 15 16 17 Legenda 1. rivestimento esterno, intonaco bianco 2. forati in laterizio, 5,5 cm 3. rinzaffo 4. camera d’aria 5. isolamento in polistirene espanso, 4 cm 6. rinzaffo, 2 cm 7. blocchi in laterizio, 24,5 cm 8. intonaco interno, 3 cm 9. solaio in calcestruzzo armato, 23 cm 10. isolamento in polistirene espanso 11. massetto 12. muretto in laterizio 13. fondazione 14. tegole in cotto 15. manto impermeabile 16. isolamento in polistirene espanso, 3 cm 17. solaio in calcestruzzo armato edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 A sinistra: grafici delle temperature registrate durante alcuni mesi nel prototipo di unità abitativa; in alto, in inverno; in basso, in estate GEN A destra: schemi relativi alla ventilazione naturale. Dall’alto: piano terreno, piano primo, sezione trasversale in assetto estivo, sezione trasversale in assetto invernale Sud FEB 30 Dic 30 Mar GIU LUG 1Giu Giu AGO SET 30 Set Legenda A. temperatura media esterna B. temperatura media del soggiorno C. temperatura media del vano scala cepito, come dimostrato dalle rilevazioni effettuate sul prototipo, rendono superflua, da un punto di vista termico – anche se non incompatibile – un’organizzazione a patio del tessuto costruito. Ma a causa di questo fatto, anche nel caso della tipologia “solare” in oggetto si verifica (come nel caso, ancora, di molti “villaggi solari” per i climi nordici) una forte vocazione alla combinazione con un tessuto viario fortemente segnato da una direzione prevalente (nel caso specifico, appunto, quella est-ovest): che notoriamente è una condizione non facile da coniugare con la configurazione dell’isolato urbano, per il fatto che esso Scale Scale Sotto a sinistra: veduta su una via orientata in direzione nord-sud (da nord) 59 edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 Sopra a sinistra: studio della geometria di un sistema finestra in relazione alla posizione del sole nel periodo estivo Sopra a destra: distribuzione dei fattori di luce diurna nei vani. Dall’alto: piano terreno, piano primo, sezione trasversale A fianco: dettaglio di un ingresso usualmente è impostato su una situazione di prevalenza meno accentuata di una direzione viaria sull’altra. La soluzione adottata nel caso specifico è stata quella di combinare la presenza di vie di attraversamento di calibro più consistente sull’asse nord-sud con vie di calibro più piccolo destinate alla distribuzione minuta, pedonale verso gli edifici sull’asse est-ovest e creare, tra le schiere di abitazioni che si fronteggiano, slarghi idonei, per conformazione, proporzioni e scala, a costituire ambiti di vicinato. La medesima attenzione dedicata alla progettazione degli edifici è stata nell’housing a Osuna dedicata nella progettazione degli spazi aperti, dove il comfort termico estivo è stato perseguito attraverso un’attenta piantumazione degli spazi e una oculata scelta dei materiali. Le pavimentazioni degli spazi aperti pubblici sono per esempio state realizzate in lastre di calcestruzzo chiaro bordate da file di mattonelle in laterizio, in considerazione del minore 60 guadagno solare a cui questo tipo di pavimentazione dà luogo rispetto a pavimentazioni in asfalto. Un altro tipo di spazi ai quali i progettisti si sono trovati nella condizione di dovere dare forma sono state le piazze, che necessitavano di essere delimitate in certe parti da una “materia” edilizia più malleabile di quella costituita dai corpi a schiera rivolti verso il sole. In corrispondenza delle due piazze del quartiere sono state per questo moti- edilizia ambiente territorio n. 30-34 2010 In senso orario: facciata nord di una schiera; vista di uno spazio pubblico; uno spazio pubblico vo previsti edifici di appartamenti distribuiti in linea. Non è forse, però, un caso che proprio questi ultimi siano risultati quelli a più bassa (pur non bassa in senso assoluto) votazione di gradimento nel questionario che è stato distribuito nel 1991 agli abitanti dai progettisti per vagliare il loro grado di soddisfazione abitativa.6 Non è irrilevante, a questo proposito, che tale questionario abbia evidenziato un elevato livello complessivo di soddisfazione degli abitanti stessi in merito alla qua- lità degli alloggi e alle loro prestazioni termiche e luminose. È questa un’ulteriore prova dell’appartenenza del quartiere low-tech in Osuna qui descritto al novero dei nuovi possibili archetipi (al pari, per esempio, del noto quartiere progettato da Alvaro Siza a Evora, in Portogallo, negli anni ’70) tesi tra passato e futuro per la realizzazione di insediamenti residenziali ecocompatibili in ambito mediterraneo. Gian Luca Brunetti Note 1 Nell’ambito del SAMA, il progetto è stato realizzato da Pilar Alberich Sotomayor, Jaime López de Asiaín, Jorge Gómez Calvo, Angel Díaz Domínguez, Manuel Laffarga Osteret e collaboratori. Il progetto architettonico è stato coordinato da Pilar Alberich Sotomayor per quanto riguarda le scelte compositive e da Jaime López de Asiaín relativamente all’ambito delle prestazioni ambientali. 2 Il caso studio è stato riportato nella pubblicazione Passive Solar Homes: Case Studies. Design Information Booklet n. 6, 1990, IEA (International Energy Agency) Task VIII (Passive and Hybrid Low Energy Buildings). 3 Nel caso del clima caldo, se poi i venti estivi prevalenti sono in direzione sud-nord, come nella situazione in questione, tanto meglio, perché in questo modo la forma e l’orientamento richiesti ai fini solari coincidono con quelli richiesti ai fini ventilativi, senza contraddizione. 4 Condizione che si verifica quando la temperatura dell’aria in tale vano è più elevata di quella dell’aria esterna. 5 Persino nelle condizioni climatiche in oggetto, l’isolamento termico ai fini del raffrescamento estivo è infatti in qualche misura meno importante che ai fini del raffrescamento invernale. Questo è dovuto al fatto che in condizioni medie estive la differenza tra temperatura dell’aria esterna e quella del comfort è minore che la differenza tra temperatura del comfort e quella esterna in condizioni medie invernali. 6 Le informazioni relative a questa rilevazione e molte delle informazioni tecniche a cui si è fatto riferimento nell’articolo sono state ricavate da: Jaime López de Asiaín, Un nuevo barrio ad Osuna, Esquela Tecnica Superior de Arquitectura de Sevilla (ETSAS), Siviglia, 1996. 61