1 ORIGINE ED EVOLUZIONE DELLA COOPERAZIONE

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1 ORIGINE ED EVOLUZIONE DELLA COOPERAZIONE
ORIGINE ED EVOLUZIONE DELLA COOPERAZIONE DECENTRATA ITALIANA di Gildo Baraldi Alcune autonomie locali italiane, soprattutto piccoli comuni, hanno iniziato attività di coope­ razione internazionale già negli anni '60 del secolo scorso. Per lo più si trattava di piccoli in­ terventi di solidarietà, sostenendo l’opera di associazioni terzomondiste o di missionari del proprio territorio. Il primo esempio di cooperazione più strutturata fu forse quello che in que­ gli anni avviò il Comune di Reggio Emilia nel Nord del Mozambico, per lo sviluppo e la gover­ nabilità territoriale delle cosiddette "zone liberate” dalla FreLiMo (Frente de Libertação do Moçambique). Tuttavia Città metropolitane e Regioni cominciarono ad attivarsi solo dopo l’approvazione nel 1987 dell’attuale legge nazionale sulla cooperazione allo sviluppo ( 1 ) e, l’anno successivo, delle “linee di indirizzo per lo svolgimento di attività di cooperazione allo sviluppo da parte delle regioni, delle province autonome e degli enti locali”. E’ su queste basi che nell’ultima decade del secolo scorso quasi tutte le Regioni hanno deliberato una legge regio­ nale sulla cooperazione internazionale. Peraltro è solo il quel periodo che la cooperazione decentrata è diventata in Italia un feno­ meno diffuso e consistente. Elemento scatenante di questo fenomeno sono state le guerre dei Balcani: prima il conflitto tra serbi e croati, poi la guerra di Bosnia tra serbi, croati e mus­ sulmani, poi l’esodo di massa dall’Albania dopo la caduta del regime di Enver Hoxa, infine la guerra internazionale contro la Serbia per il Kossovo e l’assistenza ai profughi kossovari in Albania. I disastri umani, sociali ed economici provocati da questi eventi così vicini al nostro Paese hanno indotto molti Comuni, Province e Regioni a promuovere interventi di emergen­ za, solidarietà, ricostruzione e cooperazione in quell’area. In queste sue forme iniziali la cooperazione decentrata italiana non aveva ancora le caratteri­ stiche attuali: prevalevano le iniziative di solidarietà e seconda emergenza basate su invio di beni e attrezzature, assistenza all’erogazione di servizi al territorio (sanità, minori, servizi pubblici quali acqua, energia, trasporti urbani e ciclo dei rifiuti) e, soprattutto, la cosiddetta “cooperazione decentrata indiretta”, consistente nel sostegno offerto dall’Amministrazione regionale o locale alle iniziative promosse dalle ONG e dalle altre Associazioni della società civile del proprio territorio. Queste stesse componenti sono ancora presenti e molto importanti, tuttavia la cooperazione decentrata italiana si è progressivamente evoluta fino ad assorbire oggi tutte le valenze delle relazioni internazionali delle autonomie locali verso i Paesi terzi. Innanzitutto, sempre nell’ambito della cooperazione allo sviluppo, all’intervento “indiretto” si è via via affiancata una “cooperazione decentrata diretta”, promossa e gestita dalla pubblica Amministrazione regionale o locale italiana, in partenariato con le Autonomie locali dei Paesi partner, avvalendosi della partecipazione attiva e della collaborazione come enti esecutori dei diversi soggetti interessati nei due territori. Questi soggetti sono anche ed innanzitutto le ONG e le altre Associazioni non lucrative, ma anche le piccole­medie imprese, le cooperative e gli istituti di credito, gli enti locali del territorio ed i loro enti strumentali, le Comunità orga­ nizzate di immigrati (in Italia) e quelle di emigrati italiani (nei Paesi partner), gli istituti di formazione e le Università, le forze sociali, i centri di ricerca, ecc. Ma soprattutto alla dimensione originaria di aiuto allo sviluppo dei Paesi terzi si sono aggiun­ te e inestricabilmente mescolate le altre dimensioni delle relazioni internazionali: il sostegno 1 La legge n. 49 del 1987 stabilisce all’art. 2 che le attività di cooperazione “possono essere attuate … anche uti­ lizzando le strutture pubbliche delle regioni, delle province autonome e degli enti locali” (comma 4) e che “le regioni, le province autonome e gli enti locali possono avanzare proposte in tal senso alla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo” (comma 5).
1 ai processi d’internazionalizzazione territoriale (sia economica e commerciale, sia culturale), il miglioramento dei flussi immigratori (potenziando e favorendo l’integrazione della componen­ te “chiamata”, utile a noi e ai paesi di origine, e stabilizzando in tali paesi la componente “di fuga”), l’assistenza ma anche la valorizzazione delle comunità territoriali emigrate, il ruolo di “diplomazia parallela” che sempre più Regioni ed enti locali possono svolgere per ridurre le tensioni, favorire la stabilizzazione e prevenire le conflittualità. Anche sul piano organizzativo interno sempre più regioni stanno razionalizzando e riorganiz­ zando le proprie strutture così da unificare o correlare organicamente tra loro i servizi dedi­ cati alle relazioni internazionali e comunitarie, all’internazionalizzazione verso i Paesi terzi, all’emigrazione ed all’immigrazione. Quanto alla distribuzione geografica, l’origine storica della cooperazione decentrata italiana, la disponibilità di finanziamenti della Commissione Europea e di una specifica legge nazionale (legge n 84 del 2001) e la necessità di assicurare armonizzazione ai confini, di rendere go­ vernabili i flussi immigratori e di intervenire nelle aree transfrontaliere marittime e terrestri hanno fatto sì che ancor oggi l’area dei Balcani sia prioritaria. Successivamente si è affermata una seconda priorità nel Bacino del Mediterraneo (Nordafrica e Medio Oriente) per motivi analoghi: disponibilità di finanziamenti comunitari e nazionali ag­ giuntivi a quelli delle autonomie locali, contenimento dell’instabilità e della conflittualità nell’area (soprattutto in Libano e Palestina), incremento dell’immigrazione, armonizzazione ai confini, prossimità geografica e delle relazioni economiche e di trasporti. Più recentemente è fortemente cresciuto l’interesse delle Regioni italiane anche verso l’America latina. Molte le ragioni: presenza in quei Paesi di consistenti comunità di origine ita­ liana; strutture politiche, amministrative, economiche, sociali e culturali simili e complemen­ tari; importanza del sistema delle piccole e medie imprese (PMI) e dei distretti industriali (cluster) in entrambe le economie; reperibilità di interlocutori istituzionali credibili e affidabili per realizzare i partenariati per il co­sviluppo dei due territori. Nell’Africa sub­sahariana e negli altri Paesi più poveri tuttora le Regioni e gli Enti locali italiani intervengono prevalentemente attraverso la cooperazione decentrata “indiretta”, anche per la maggiore difficoltà di reperire in quei Paesi dei partners istituzionali, credibili, democrati­ camente eletti e attenti agli interessi reali delle popolazioni amministrate, ma stanno recen­ temente moltiplicandosi anche le altre componenti, soprattutto nell’Africa australe ed in quel­ la saheliana.
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