TPIA ETÏEA
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TPIA ETÏEA
TPIA ETÏEA (TRE NOH: ESEGETICHE) í NelTultimo libro delVíliade, e precisamente nel grandioso epilogo dei poema, 1'infelicissima Andromaca piange sulla salma di Kttore. II compianto fúnebre, che il poeta fa echeggiare sulk* labbra delia vedova, ha ini/io con queste parole: Se gli esegeti hanno ormai studiato e aualizzato il valore di quell'appellattvo áv;ç- che, appunto perche immediato ed eieroen- ii) Molto interessante la variante $'hi, riportataci dallo scoliasta di A. rispetio ai Si n (datoci tut ta vi a dalla maggtoranza dei eodd.). che. ira l'altro, appesantisce quel polisindeto T ' . . . T E dei verso immediatamente seguente Í727). (2) Vv. 725-72Õ. Quanto è detto nella presente nota vale anche per l'altro luogo yomello di //., xxn, vv. 483 segg. xJTXî sui ijTjrtitá vn ~h.:ii ~/í:.T.í.; £v ~iv.vi.vi rs'j ?" ifbt ~i 5"jsá{AttS5Si. . . Qui peró íl reciproco apostamento di >.;íTTíIí e di y.rpos portando seco Pimenzionale accostamento di yfyfti (a capo di verso) con £v 0.07x11151, rende più chiaro il valore non consueto di questultima espressione Può essere interessante notare come lo scriba dei P. Lond. 121, per una evidente reminiscenza di / / , xxn. v 725, ha tracciato un "kwrs&i iieH'inu-rlinea. ai di sopra di yy.yty. 2-/Í) FOI.CO MAR'J INAZZOLI tare, c pervaso dal lirismo delia piii appassionato intimità matrimoniale (quale sorprendente modernilà d'accento oggi noi possiamo riscontrarvi ! (i)), non altrettanto mirnitamente gli studiosi si sono chiesti il valore di urfaltra frase che compare in questo medesimo passo : iv ^teyófciot. Che cosa possiamo ricavare dai com ment atori, se vogliamo comprendere il valore di questa espressione in questo luogó; Alcuni osservano che essa sta in antitesi con yjçm\ il che è vero se mai mel caso delPaltro luogo gemello offertoci da //., xxn, v. 4,84, ma non in questo caso. Altri esegeti, per chiarire, commentano parafrasando o — diciamo meglio — amplificando nel modo seguente : « «nella reggta» cosi vasta, me sola e sperduta». (2) Che tale sia la ragion d'essere di questa espressione èv jxiyx^oi7i, possiamo subito riconoscerlo, illuminati dall'evidenza stessa delia commozione: in questa espressione, per quanto breve essa sta, ci si oíTre il quadro delia solitudine in cui Andromaca è piombata di schianto, alia morte dei suo s poso. Tuttavia súbito si sente il bisogno di chiedersi se sia lecito interpretare con tonalità cosi particolare uiVcspressione che, come sv uêyacewt, ha Paria, anche agli occhi d'un mediocre conoscitore dei poemi omerici, d'essere un'espressione stereotipata. Kd è inutile far preliminarmente osservare come Fuso di una formula tenda eu ipso ad impe lire — di regola —il formarsi di un signiíicato pregnante o per lo menu nuovo e filevato. Che cosa dunque ci autorizza a conferîre un valore spéciale ed un signiíicato altamente e originalmente trágico ad una formula? Non dimentichiamo dei resto che per far esprimere nella nostra lingua siiíattu valore e siffatto signiíicato, i commcntalori sono costretti a parafrasarla — come sopra s'è visto — con hen otto parole; il che potrebbe far parère arbitrarie tanto la parafrasi stessa quanto la interpretazione ad essa relativa. (1) Ci si meraviglia alquanto ne] vedere che quello stupenJo vocativo vienc tradotto da P. MA/ON (nclla sua e diz i one omerica délie "Belles Lettres», tomo iv) quasi fosse un T»«, cioê con la parola époux, la meno adatta a darci la differentia specifica tra í duc appellativi, (a) Cosi G. (jn.i.i. nel suo fine commente al xxiv dc117Z/a<£t' (Napoli, l.oihcdo. 10IÎ4, ad l o c ) . TPIA ËllEÀ 177 Alio scopo di assodare se Pespressibne zv uiyzcow ha o no, nei poemi omerici, valore ed uso di formula, una sia pur breve ricerca può accertarc che tale cspressione compare in talune sedi metriche llsse: per esempio nei quarto piede -j- prima parte del quinto come in //., 1. v. 3QG,* XXIV, V. 769; (Jd., II, v. 9 4 ; xix, v. 87 etc.; oppure — ed è questo il caso che c'interessa in questo momento—in un'altra sede métrica fissa, vale a dire nei secondo piede-i-prima parte del terzo: cosi in //., xxiv, v. 2i(>; 0<Y., iv, v. 3B7; xx, v. 389 etc. in questa seconda categoria di esempi si possono e si debbono includere tutti quegli altri esempi nei quali, sebbene la parola venga usata al singolare anzichè al plurale, Ia sede métrica rimane la medesima; 7/., ui, v. 125; vi, v. <)i; xxiv, v. 647; Od., 11, v. i3(j; x, v. q32: xvi, v. [65 ; xxi, v. 262 etc. Può bastare l'esame dei passi qui citati a darci la convinzione che per !o più I cspressione VJ fityácotst o simile ha una iunzione ormai quasi puramente esornativa; non di rado essa c usava addirittura pleonasticamente. K si capisce, dato che essa è fornita di una ielice struttura dattilica; no poi va dimenticato d'altronde, che u.kyxzcv era un nome genérico, adoperato per indicare i piu svariati tipi d'ambiente. I.'uso quindi dell'espressionc ci appare di solito, anche e particolarmentc dal punto di vista métrico, stereotipato (1). Chiari sono dun que i termini delia questione: occorre vedere in primo luogo se è lecito dare a questa espressione oramai cristallizzata, intimamente dipendente da quella dizione dattilica che è propria dei poemi omcrici, un'interpretazione capace di rinnovarne 1'intimo valore, per riilesso di queW'unicum costituito — nei passo omerico qui preso in esame — dalla spéciale situazione di Andromaca ; ncllo stesso tempo bisogna indagare per quali vie (se pure c possibile ripercorrcrle, almeno in piccola parte) il poeta è riuscito a dare un significa to nuovo e trágico ad un'espressione improntata da una stereotipia artística sostan- (1) In parti colore si può no tare che la desinen/a -w. (benché -stj appaia al tret tan to antica, almeno a giudicare dai pronomi Tû; e rswrfo), compare più sovente w-AX lliãde che naWOdissca (si veda P. CHANTRAINK, Morphologic historique de íJ langue grecque. Paris. Klincksieck, HJ47, p. 22); e anche questo e significativo. 2jS FGLCO MARTINAZZOL! zialmente non diversa da quella di un qualunque -irj odizscuur íóu.ívc: Orbene, il valore deli'espressione ïv ^r/iccurt, collocata sulla bocca disperata di Andromaca, sgorga appunto dalla sua quanta di formula, dalla sua nudità di stercotipo. II poeta, con una bravura della quale sono suscettibili solo le forme d : arte che, come quella omerica, siano giunte ai punto piii alto delia loro traiettoria, ha voluto deliberatamente usarc un'espressione abitualc, domestica; quella stessa che viene usata le mille volte (e talora persino pieonasticamente) quando si tratta di indicare le piii frequenti operazioni casalinghe quali il tessere, il coricarsi etc. (l) Le quali naturalmente sono lutte operazioni vitali ; senonchc qui il poeta aveva presente il pensiero della morte e, in un certo modo, la sal ma stessa di Ettore. Cosicchè quella espressione consueta, che per associazione d idee è ormai stabilmente, diciamo pure stereotipatamente collegata a infinite ratíigurazioni di vita, si trova violentamente tuffata in un'atmosfera del tutto opposta, in un'atmosfera di morte; ciò fa risaltare, con una muta e oserei dire sottintesa eloquenza, che cosa sia ora la vedovanza di Andromaca nell'appartamento nuziale della reggia. E non solo (si badi a questa uîteriore ma essenziale sfumatura, di cui gl'interpreti non sembrano essersi avveduti), non solo perche quelle stanze sono ora disperatamente vuote della presenza di Kttore ; ma soprattutto perche esse sono le consuete stanze da cui il dolore rifiuta di uscire, perché esse sono piene di ricordi e di gesti abituali, quotidiani, mille volte ripetuti in quel rito — ignorato dai piii degli uomini — che è la vita quotidiana. Abbiamo qui una fase artística e morale della più alta maturità; una fase cioè in cui l'epiteto, Tespressione ormai sclerotizzata vengono per un'ultima volta sapientemente e audacemente rinnovati gra/.ie ad un nuovo accostamento, che, sebbene obbedisca ad una legge fondamentale di clássica semplicità, appare tuttavia dal punto di vista spirituale ed estético più che raffinato: tanto piii difficile di conseguenza a cogliersi per (L) Si noti che losprcssione =V. ;J.£--xzw-i compare spáSSO in versi aach'essi u loro volta stercotipi: p. cs. ()d., u, y4. TPIA KIIFA 2JQ la raftïnate/.za e per la semplicità che in esso coesistono. Studiando questo esempio — nel quale, per quanto piccolo, brilla concentrata tutta Tarte del poeta, cosi corne tutto i! sole si riflette in una goccia (i) — e cogliendo nel vivo questo processo artistico-morale di rinnovamento, possiamo forse intravvedere 1'ampiezza dell'evoluzione percorsa dal Farte omerica. Anche in queste manifestazioni in cui i suoi mezzi emozionali ed espressivi vengono sfruttati al massimo e per Tultima volta, Tarte omerica sa conservare una clássica semplicità di mezzi. Giacchè è clássico per deíinizione il iatto che il poeta, nelTusare quest'espressione Èvpsyõcota-i tanto mirabile quanto «effacée», abbia l'aria di lasciarci del tutto liberi di comprenderla e tradurla eventualmente nel suo nudo valore letter ale, cioè in sostanza sen/.a afferrarne quell'intimo valore di cui essa è ricca. Questa discrezione, per la quale il poeta non vuole sollecitare nè íorzare mai (diversamente da quanto fanno troppo spesso gli scrittori moderai) la nostra attenzione, è per definizionc clássica: a prova di ciò può addursi la traduzione o (diciamo meglio) la translitterazione che di questo luogo omerico aveva pallidamente dato a suo tempo il Festa : « . . .me vedova lasci qui in casa». (2) Altro non rimane da aggiungere, per concludere questa breve ricerca, se non una cosa : è la poesia omerica stcssa che ci autorizza talora a sentire in determinate formule o ripetizioni, anche se identicamente o meccanicamente riprodotte, un tono diverso da un luogo ali'altro. Basti citare Tesempio dei famosi versi sulla imminente caduta di Tróia (3); in bocca ad Agamennone essi hanno suono di cupa rainaccia, mentre invece, ripetuti da Ettore in una successiva circostanza, essi hanno tutto il pathos e la tristezza delia città condannata a perire (4). (1) Alui casi numerosi possono riscontrarsi, specialmenU' nello stesso ultimo libro dell'Iliade, ricco U'una particolarc e quiisi direramo riassuntiva fisionomia. ci) Omero. Iliade, tradotta e annotata da N. F., Palermo, Sandron, s. d., p. 276. (3) //.. iv, 164-165 ; vi, 44K-M (4) Cfr. I*. MAZON, Introduction .1 l'Iliade, l'iris, "L.c-s Ficlles Lettres», 1Q42, p. 23i|. n. 1. Si può aggiungere il caso dell'espressione ;; i'--wv áxrci y.ijxi^. che in //., xxiv, v. 461, û usata per il vecchio Priamo, invece in //., v, v. 835, è usata per un giovane guerriero nel iiore delTetà, 2&0 FOLCO MARTINAZZOLl II Due tipi o aspetti delia purificazione rituale vengono menzionati da Euripide all'inizio àtWAicesti. JI Coro, nell'angosciosa incertezza in cui si trova riguardo al trapasso della regina, cerca di trarre un estremo argomento di speranza dal íatto che per ora vede mancare, dinanzi alia porta della reggia, quel recipiente pieno d'acqua lustrale (i), il quale per consuetudine veniva posto davanti aile abitaziom iunestate dalla morte, Iva (se vogliamo us are le parole stesse dello Scoliasta) ol i^iiv-i; -tftççatvctvTc. Kcco le parole dei Coro : -ryxtcy ykwi'S hz vcuïC,t7iX'. iTÀ a&iTfîrj -•'Sí.XKZ ( 2 ) . Poco oltre poi, quando la \utrice narra le ultime ore di Alcesti, è detto che la soave ed eroica donna, dopo avère dato l'addio al tálamo, aveva voluto da se stessa eseguire la propria toeletta funèbre, e si era lavata il cândido corpo con acqua corrente : -jòztri r,c:xtj-iciz Asvxb» yzóx úmuar\ . • • (3) Benchè nell'un caso si tratti di una vera e propria purificazione rituale (4), e nelTaltro di una purificazione a carattere anche igienico oltre che rituale (3), tuttavia il poeta sente la (1) E r a l'àpSawiov, per usare il t e r m i n e t é c n i c o t r a m a n d a t o c i da l ' o l luce (vin, 6 5 ) ; lo s c o l i a s t a di Euripide lo c h i a m a invece vnçaxw. (a) Ale, vv. 98-100. (3) VV. 159-60. (4) Cfr. .1. M U E L L E R , Die griechische Alter l'ûtner, NíJrdlingen, 1887, p. 462 d. I m p o r t a n t í s s i m a , a q u e s t o p r o p ó s i t o , la legge di i u h d e ( D I T T E N BERGER, Syil., 468. i5). Materiali riechissimi e sceltissimi sulla purificazione si t r o v a n o p. es. nei q u a r t o excursus in a p p e n d i c e a : E. RoHDE, Psyché (pp. 6o5 segg. deila trad, ff., P a r i s , P a y o t , 1928). (5) Si r a m m e n t i perù che, c o m e o s s e r v a un m o d e r n o s t u d i o s o . «l'hygiène c o m m e telle ne p r é o c c u p a i t p a s tant les anciens» ( P . M. ScHUHL, lissai sur la formation Je la pensée grecque, P a r i s , A lean, nj3.j, p. 'J>\). TPIA E»EA L»-V/ necessita che tanto Tuna quanto l'altra siano eseguite con i'ausilio di quell'acqua corrente, di quel «rlumen uiuum» che solo possedeva — secondo la sensibilità e la fantasia mitopoietica degli antichi — la capacita di purificare (i). Ma ci si può chiedere per quale ragione il poeta fa menzione di fontana aqua (cosi suona la tradu/.ione del Fix) nel primo caso, e parla invece di Jîuuialis aqua nel secondo caso, per la toeletta funèbre di Alcesti. Diciamo subito che la communis opinio dei commentatori, quando suole a questo propósito ricordarci che Tacqua stagnante non veniva usata dagli antichi per le puriricazioni, è lungi dal soddisfare il nostro interrogativo. Se acqua corrente viene usata per riempire il vaso lustrale posto dinanzi all'abitazione, ed anche acqua corrente Alcesti usa per la toeletta funèbre ; perche il poeta adopera nei due casi epiteti che recano ciascuno in se una diversa determinazione? In ciù possiamo vedere qualchecosa di più che una uariafto puramente esteriore. Osserviamo intanto che la mr/tuoç yà--»^, di cui ci la menzione Curipide, è imparentata con quell" sbojpotTOV uoo>p col quale l'Achille omerico vuole pur i hearsi prima delia libazione (2); giova anche ripensare p. es. al verso virgiliano : «ter sócios pura circumtuht unda» (3) e a quello tibulliano: «et manibus puris sumite fontis aquam» (4). In tutti questi casi si tratta sempre di acqua assolutamente pura, di acqua, per dir cost, vergine. Questa r^nystïo; /ïyji\ che, dunque, la pietà dei parenti doveva porre dinanzi alla soglia, per lar purificare i visitatori dal contatto ammorbante délia morte, è sentita dal poeta come la piii pura che mano umana possa attingere, poichè deve ( 1 ) Cfr. Verg., Aen., 11, v. ynj. Né\\*ljigenia Taurica leggiamo (v. 1 io3): /./.Zn -x/7% riwfw:ro»v /.a/.x: ['acqua «.lei mare appariva per cosi dire più efficace d'ogni altra, per il suo movimento e per la sua salsedioe. Presso Eschilo infatti ï. âyuftvrv; indica (Pers ,v. 58i) ii mare (vJ'7- '"•> 5£»í "nttânXáaaitt •/.rzizaúi S'TTI: Ktytn. .1/., 1*27, i'í). Cfr.: Liv., 1,45.6: «uiuo ilumine»; ed Ov,, Met., tu, 27: «e uiuis Nbandas fontibus undas». (2) Il, xxiv. v. 3o3. l'er l u s o delia parola sbo^xr*;, cfr. //., xv, v. 498J OJ. ix. v. 2o5 e xv», v. 532. (3) Acn , vi. v. 229. ZÍ/MJV. (4) «J »i «2. 2<Su FOI.CO MAkTlNAZZOLI essere attinta piu dappresso che si può alie misteríose scaturigini ove il mito poneva il ricetto delle Ninfe rcviyawet. QuelTepiteto irnyáioç indica —e non solo plasticamente - lesigenza di raccogliere Pacqua, in una implícita contrapposizione agli vòstxcc r.tziííi-x di poço oltre, in condizioni di massima purità, accostando cioè 1'orlo dei recipiente alia polia In modo ehe non un solo granello di polvere la turbi o la oíluschi. Mercê questo epíteto, una suggestione profondamente lírica (non si dimentlchi che è il Coro a parlare) avviva la prassi tradizionale delia purificazione fúnebre. Tanto piu viva appare questa suggestione lirica, quando si ponga mente che Facqua da Alcesti usata per com pire la sua toeletta fúnebre è— ci dice il poeta -acqua fluviale, pura anche essa ma tut ta via 1 ont an a dalla sua scaturtgine, già inçammin ata per il suo corso e quasi impregnata di vivente umanità; acqua di liume cui gli uccelti si dissetarono, cui le donne s'accostarono cantando per accudire ai bucato, In quel primo epíteto delTaqua, che ci fa ricordare il bellissimo epíteto datole da Platone—• sváiáçSapwç ( i )—, 1'accento batte insomma sulTassoluta purezza sorgiva deli'acqua «che surge di vena» ; il secondo epíteto invece e tale da farei avvertire in esso come un ricordo dei TZOXOL^JOIQ ;*òC; ai quale la Nfausicaa dei poema omerico s'era recata con le ancelle. Quel •XQremtoç s'intona, anzichè alla vita rituale, piuttosto alla vita domestica delia donna, regina o popolana che sia. Cosi, alia diversità tutt'altro che casuale di questi due epiteti Íl poeta ha saputõ consegnare tutta una evocazione d'immagini; rivelandoci una sensibilità non disforme da quella sua piu matura sensibilità, per la quale egli — con una íntuizione capitale nclla storia dell'anima ellenica— saprà distinguere la contaminazione física da quella morale (2). (1) (2) /,(<££.. * 4 5 D. Ne IPIppolito (v. 317) Pedra d i c e : /i'.ç;; ij.iv %-rfX'.. çp.v í" v/y. ixíewuaí ~'.. TIM A K1IKA 283 III I In singolare motivo letterario compare frequentemente, ad opera di poeti diversi, nel quinto libro deWAnthologia Palatina: esso consiste nella lode erotica della donna giunta in età ormai provetta. 11 motivo è interessante da studiare, in quanto taluni degli epigrammi in questione giungono ad essere addirittura un paradossale elogio di ciù clic meno suole attirare nella donna: la sessantina. L'esernpio piii interessante è quello che ci offre un poeta greco víssuto nella Roma di Cicerone, Filodemo di Gadara. I n suo epigramma dice : «Compte sessant'anni Carito, ma ancora le rimangono tanti nerissimi capelli da farle come uno strascico; e nel suo petto, ecco, marmoree mammelle drizzano le punte, senza il sostegno di faseia alcuna; e la sua pelle priva di rughe distilla ancora ambrosia, ancora seduzioni d'ogni sorta, innumerevoli vezzi ancora. K dunque, voi amanti, quanti non rifuggite daU'ardenle desiderio, venitc qua e dimenticatevi il numero degli anni.» ft) Osserva uno studioso francese, il Waltz (2), che i complimenti ad una bella vecchta sono un motivo comune a lutte le letterature. Ma, in un caso simile, 1'idea del complimento «alia francese» può forse sviarci: qui si tratta di una lode erotica, che prosegue un motivo ben noto ai poeti dell'Antholou;ia. II Waltz osserva inoltre che un'idea supersti/.iosa era legata al fenómeno d'una bellezza conservata oltre Teta naturale, gtacchè in ciò si vedeva l'effetto d'un favore eccezionale degli dei: qui è da chiedersi quanto seriamente un Filodemo — e con lui gli imitatori del motivo da Filodemo probabilmente inaugurato — potesse credere in siffatte protezioni divine. Non occorre spendere parole per ricordare che un motivo canónico dell'epigrammistica è l'elogio erótico délie -zcZz-jixi yxci-n, del le attrattive tîsiche giovanili (3). (1) A, P M v , i3. (1) Anthologie grecque, premiere partie. Anthologie «Les Belles Lettres», i*j2S, Notice, p. 26, n. 2. (3) Si veda p. es. A. P.} v, 194. Palatine, Paris, 2&4 FOLCO MARTINAZZOL1 Xell'elogio delia bellezza femminile, che per antonomásia Lfreschezza di gioventu, si esercita sino all'es au ri mento la capacita artística degli epigrammisti, cos icehè non ci stupisce che compaiano a volte composizioni attestanti non solo un gusto personate che alquantosi scosta da siffatto cânone, ma anche un desiderio di rinnovare e rinfrescare quel motivo già trattato per tutti i versi. Infatti Fepigrammista Onesto nell'età augustea, trova piii originale elogiare la bellezza nella sua maturità; «giacchè — dice —come ho pietà delia vergine, cosi ho rispetto per la vecchia.» (i) Ma il trapasso è già in atto e non si doveva íermare qui. Non c è quindi da stupirsi se altri poeti, mos si dalla ricerca dei nuovo a tutti i costi, abbiano coraggiosamente coltivato il motivo delia lode erotica alla veelíarda. Scorrendo i numerosi epigrammi che trattano tale soggetto (2), si acquista la certezza delia loro serietà, dal punto di vista — sintende — letterario. Siamo in presenza di una serie unívoca di esereitazioni poetiche, di tours de force sopra un tema volutamente paradossale. Siamo insomma nel campo delia «letteratura». L'unica istanza clie si può far valere riguardo a questo genere di epigrammi, la cui letterarietà sarebbe di per sè prova delia mancanza di ogni risonanza superstiziosa, è lorse un'istanza di carattere soíistico. Si ricordi che già Asclepiade, innamoratosi di una bellissima negra, aveva esclamato, con quel tono tutto suo: «Se e nera di pelle, che importa? Anche i carboni lo sono: ma quando sono accesi, ardono come calici di rosa.» (3) In sostanza, dice il poeta: — voi dite che è brutta ? ma se a me par bel la, essa diventa tale. — Cosicchè Marco Argentario pote va giustamente osservare, con un'iutuizione che a noi modemi appare sorprendente : «Macchè amore; non si tratta d'amore, quando taluno vuol possedere una donna che è bella. Ciò prova solamente che si hanno due buone pata d'occhi e che ci si affida ai loro giudizio. Ma che, alia vista di una persona brutta, quasi trafitti da d ardi, c\ sinnamori, si perda la testa e si prenda (O (a) (3) grammi A. P., v. 20. A. P., 38, 48, 62, 227, 258, 282. A. P., v, 2io. Un motivo análogo appare anche nei seguenti epi121 c i3i, TIM A FJIEA 28S fuoco, questo è l'amore, questa è la sua fiam ma. Poichè ia beltà attrae scnza distinzione tutti coloro che sanno discernerla.» (1) Appare evidente da queste parole quanto il gusto fosse mutato ; basti pensare che, per US are le parole del Pasquali (2), secondo i Greci del v secolo la bellezza era típica, canónica, e solo il brutto era individuale. Leggiamo ora uno degli squisiti poemetti in prosa del Baudelaire, dal titolo In cheval de race. «Mlle est bien laide. Elle est délicieuse pourtant! Le Temps et l'Amour l'ont marquée de leurs grilles et lui ont cruellement enseigné ce que chaque minute et chaque baiser emportent de jeunesse et de fraîcheur. Klle est vraiment laide ; elle est fourmi, araignée, si vous voulez, squelette même; mais aussi elle est breuvage, magistère, sorcière! en somme, elle est exquise. Le Temps n'a pu rompre l'harmonie pétillante de sa démarche ni L'élégance indestructible de son armature. L'Amour n'a pas altéré la suavité de son haleine d'enfant; et le Temps n"a rien arraché de son abondante crinière d'où s'exhale en fauves parfums toute la vitalité endiablée du Midi français: Nîmes, Aix, Arles, Avignon, Narbonne, Toulouse, villes bénies du soleil, amoureuses et charmantes ! Le Temps et l'Amour l'ont vainement mordue à belles dents ; ils n'ont en rien diminué du charme vague, mais éternel, de sa poitrine garçonnière. Usée peut-être, muis non fatiguée, et toujours héroïque, elle fait penser à ces chevaux de grande race que l'oeil du véritable amateur reconnaît, même attelés à une carosse de louage ou à un lourd chariot. Et puis elle est si douce et si fervente ! Elle aime comme on aime en automne ; on dirait que les approches de l'hiver allument dans son coeur un feu nouveau, et la servilité de sa tendresse n'a jamais rien de fatigant. » (3) Potranno vedere i cultori di storia ietteraria francese se sia d) A. P., v, 89. (i) Omero, il brutto c il ritratto, m : Ter^e pagine stravuganti, Firenzc, S an s oui, 1942, p. 140. (3) Uso l'edizione critica curata da Daniel Hops, Paris, «Les Belles Lettres-, Itj34- 286 FOLGO MARl'INAZZOLl da ritenere chc il Baudelaire —in questo suo poemetto ove si riscontra come una «deformazione» imparentata a quella clie doveva essere la deíormazione delia pittura impressionistic a francese — si ispirasse a qualcuno degli epigrammi àéWAnthologia PaLitina, sopra riportati. Certo è che il Baudelaire, oltre ad aver ncevuto una educazione umanislica, mostra negli stessi Petits Poèmes talune reminiscenze classiche che vanno da Virgílio (Les bous chiens, fine) ad Erodoto (Le tir et le cimetière, inizio). Comunque stia la cosa, l'utilizzazione, da parte di questi poeti délia tarda grecità e dei poeta i'rancese moderno, di un motivo letterario-morale che, mutatis mutandis, è il medesimo, appare un fatto sintomático; esso indica un prolondo rap porto di affinità che lega tra di loro gli antichi e il moderno. FOLCO MARTINAZZOLI